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Sommario del 18/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: chi si pavoneggia e non si china a servire i fratelli è un pagano
  • Oltre un milione e mezzo di persone alle udienze di Papa Francesco in 9 mesi di Pontificato
  • La Chiesa ha un nuovo Santo: il gesuita Pietro Favre
  • Canonizzazione Favre. P. Spadaro: la sua apertura mentale e spirituale è la stessa di Bergoglio
  • Papa Francesco telefona a Benedetto XVI per gli auguri di Natale
  • Il Papa nomina mons. Bonazzi nunzio apostolico in Canada
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Aleppo sotto le bombe. Mons. Jeanbart: sparano anche sulle scuole, così uccidono la Siria
  • Accordo Putin-Janukovich: sconto sul gas russo e investimenti in titoli di Stato ucraini
  • Gaza nella morsa dell'isolamento e del freddo. Il vice parroco: mancano anche acqua e cibo
  • Ritiro Nato dall'Afghanistan: incognite sulla realizzazione del gasdotto dal Turkmenistan all'India
  • Giornata dei migranti. Mons. Montenegro: l'appello del Papa a Lampedusa ha scosso le coscienze
  • La Serbia più vicina all’integrazione con l’Unione Europea
  • Immigrazione: in Italia aumentano i minori non accompagnati. Kyenge: in arrivo legge sulla cittadinanza
  • Linee-guida per la "corretta" informazione Lgbt. Tarquinio: un decalogo che sovverte la realtà
  • Presentata la 46.ma Marcia della pace di Campobasso. Mons. Bregantini: serve fraternità
  • Villa Manin: grande retrospettiva del fotoreporter Rober Capa a 100 anni dalla nascita
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Sud Sudan. Appello dei leader religiosi a fermare la violenza
  • Mali: alle legislative maggioranza assoluta per la coalizione di governo
  • Somalia: a Mogadiscio sei medici uccisi in un agguato
  • Filippine: proteggere i diritti dei bambini vulnerabili e aiutarli a tornare a scuola
  • Perù: alla religiosa impegnata con le donne dell’Amazzonia, il premio dei Diritti umani
  • Messico: vivere le “posadas” come occasione di evangelizzazione e convivenza
  • Germania. Mons. Zollitsch su nuovo governo Merkel: "Cooperazione con le Chiese"
  • Londra: firmato decreto del Seminario Redemptoris Mater del Cammino neocatecumenale
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: chi si pavoneggia e non si china a servire i fratelli è un pagano

    ◊   Papa Francesco nel clima natalizio dell’Avvento, ricorda che Dio si abbassa in Terra, nel mondo reale, per abitare la nostra storia con i suoi drammi e risollevarci da miserie, difficoltà e peccati. Anche oggi decine di migliaia i fedeli e i turisti in piazza San Pietro, per l’ultima udienza generale, la 30.ma, del 2013. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Il “Natale di Gesù, festa della fiducia e della speranza, che supera l’incertezza e il pessimismo”. Cosi Francesco:

    “Dio è con noi e si fida ancora di noi! Ma è generoso questo Padre Dio, eh? Dio viene ad abitare con gli uomini, sceglie la terra come sua dimora per stare insieme all’uomo e farsi trovare là dove l’uomo trascorre i suoi giorni nella gioia e nel dolore”.

    “Ma c’è qualcosa di più sorprendente”, ha sottolineato il Papa:

    “La presenza di Dio in mezzo all’umanità non si è attuata in un mondo ideale, idilliaco, ma in questo mondo reale, segnato da tante cose buone e cattive, segnato da divisioni, malvagità, povertà, prepotenze e guerre. Egli ha scelto di abitare la nostra storia così com’è, con tutto il peso dei suoi limiti e dei suoi drammi”.

    Dio è dalla nostra parte:

    “Gesù è Dio-con-noi; da sempre e per sempre con noi nelle sofferenze e nei dolori della storia. Il Natale di Gesù è la manifestazione che Dio si è “schierato” una volta per tutte dalla parte dell’uomo, per salvarci, per risollevarci dalla polvere delle nostre miserie, delle nostre difficoltà, dei nostri peccati”.

    Ecco “il grande ‘regalo’ del Bambino di Betlemme”:

    “Un’energia spirituale, ci porta Lui, un’energia che ci aiuta a non sprofondare nelle nostre fatiche, nelle nostre disperazioni, nelle nostre tristezze, perché è un’energia che riscalda e trasforma il cuore”.

    Ha aggiunto Francesco: “Dio si rivela non come uno che sta in alto e che domina l’universo”, ma “si “abbassa, discende sulla Terra piccolo e povero” e quindi “per essere simili a Lui non dobbiamo metterci al di sopra degli altri”:

    “Ma, è una cosa brutta quando si vede un cristiano che non vuole abbassarsi, che non vuole servire, un cristiano che si pavoneggia dappertutto: è brutto, eh? Quello non è cristiano: quello è pagano!”.

    E, “se Dio, per mezzo di Gesù, si è coinvolto con l’uomo al punto da diventare uno di noi”:

    “Vuol dire che qualunque cosa avremo fatto a un fratello o a una sorella l’avremo fatta a Lui”.

    Al termine dell’udienza generale il Papa, dopo aver abbracciato numerosi disabili, ha ricevuto il saluto del gruppo del musical “Viva la gente”, composto da giovani di tutto il mondo, che ha intonato un “Happy birthday” per i suoi 77 anni compiuti ieri. Ha poi ricevuto da una delegazione austriaca, guidata dal vescovo di Linz, mons. Ludwig Schwarz, una lanterna – “Luce della Pace” - accesa nella Grotta di Betlemme. Ancora, da un gruppo di fedeli argentini ha ricevuto un recipiente con il mate, tradizionale bevanda del suo Paese, e infine una gioiosa parentesi calcistica: Papa Francesco ha ricevuto dalla sua squadra del cuore il San Lorenzo, la Coppa dello scudetto vinta quest’anno oltre alla loro maglietta rossoblu con su scritto “Francisco Campeon”.

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    Oltre un milione e mezzo di persone alle udienze di Papa Francesco in 9 mesi di Pontificato

    ◊   Oltre un milione e mezzo di presenze in quasi nove mesi di Pontificato. È questo il dato che emerge dall’analisi dei biglietti distribuiti dalla Prefettura della Casa Pontificia per le udienze di Papa Francesco. Il dato ufficiale è compreso tra la prima udienza generale del mercoledì del 27 marzo e quella odierna del 18 dicembre 2013. La cifra – viene specificato – non contempla il numero di fedeli “che hanno partecipato spontaneamente alle udienze lungo Via della Conciliazione”. Il picco, attorno alle 90 mila presenze, è stato toccato il 29 maggio scorso, quando Papa Francesco – dopo un giro sulla jeep tra la folla sotto una pioggia battente e senza ombrello – inaugurò un nuovo ciclo di catechesi sul mistero della Chiesa.

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    La Chiesa ha un nuovo Santo: il gesuita Pietro Favre

    ◊   La Chiesa ha da ieri un nuovo santo. Papa Francesco ha infatti esteso alla Chiesa Universale il culto liturgico in onore di Pietro Favre, sacerdote professo della Compagnia di Gesù. In segno di ringraziamento, Papa Francesco presiederà una Messa nella Chiesa di Gesù il 3 gennaio prossimo, alle ore 9, nel giorno della ricorrenza liturgica del Santissimo Nome di Gesù, “Titolo” della Compagnia di Gesù. A concelebrare con il Papa saranno i suoi confratelli Gesuiti presenti a Roma. Nel ricevere ieri il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il Pontefice ha inoltre autorizzato la promulgazione dei Decreti riguardanti il miracolo attribuito all'intercessione della Venerabile Serva di Dio Maria Teresa Demjanovich, Suora professa della Congregazione delle Suore della Carità di Sant'Elisabetta, morta a Elizabeth negli Stati Uniti nel 1927, le virtù eroiche del Servo di Dio Emanuele Herranz Establés, sacerdote diocesano e Fondatore delle Religiose Esclavas de la Virgen Dolorosa, morto a Madrid nel 1968, e le virtù eroiche del Servo di Dio Giorgio Ciesielski, Laico e Padre di famiglia morto in Egitto il 9 ottobre 1970. Sulla figura del nuovo Santo, il servizio di Alessandro De Carolis:

    Un uomo pio, al tempo in cui questo appellativo non suscitava come oggi sorrisi di sufficienza ma racchiudeva l’ammirazione per una persona di superiore fibra umana e spirituale. Questo fu ai suoi tempi – 500 anni fa – Pietro Favre, di professione “apostolo”. Apostolo del Vangelo, apostolo del Papa, apostolo del nascente carisma dei Gesuiti, che propagherà dappertutto durante i suoi molti viaggi. Favre studia a Parigi e insegna per due anni alla “Sapienza” di Roma, ma la sua dottrina è per gli istruiti come per gli analfabeti e per lui non fa differenza lasciare il prestigio della cattedra quando il Papa lo invia a insegnare catechismo nelle campagne parmensi. E nessuna differenza ancora farà, più tardi, obbedire al Papa che lo invia in Germania come ponte di dialogo tra Chiesa e il montante protestantesimo di Lutero. Del resto, Favre è un gesuita innamorato della via aperta da Sant’Ignazio, nella quale diventa il primo sacerdote nel maggio del 1534 e il 15 agosto seguente, con il fondatore della Compagnia e altri cinque compagni emette il celebre voto di Montmartre, cioè di vivere in povertà e di andare a Gerusalemme, promettendo di mettersi a disposizione del Papa.

    La guerra tra turchi e veneziani si mette di mezzo a impedire il pellegrinaggio, e allora quel primo nucleo del futuro Ordine si reca da Paolo III. Gli incarichi che il Papa affida sono diversi. Pietro Favre si mette in viaggio attraverso l'Europa. Predica, tiene esercizi, visita monasteri, con una dedizione e una sopportazione della fatica che finisce per minare la sua tenuta fisica. Ed è con la salute malmessa che Pietro Favre si mette in viaggio per Roma, che raggiunge il 17 luglio 1546, per quello che sarà il suo ultimo, grande incarico: offrire un contributo di dialogo alla discussione del Concilio di Trento, col quale la Chiesa intende rispondere alla Riforma di Lutero. Favre però si ammala e a Roma muore il primo agosto 1547.

    La bellezza spirituale di Pietro Favre è condensata nello spagnolo e nel latino che usa per redigere il suo “Memoriale”, sorta di diario spirituale che, assieme al suo epistolario, fa brillare la gemma della sua fede e del suo stile di vita genuinamente cristiano.


    Sul legame speciale di Pietro Favre con Sant’Ignazio di Loyola, e sulla devozione che nutre tutta la Compagnia del Gesù nei suoi confronti a partire da Papa Francesco, Gudrun Sailer ha intervistato padre Anton Witwer, postulatore generale dei Gesuiti:

    R. – Questo incontro è stato decisivo per tutta la sua vita, perché da Sant’Ignazio ha ricevuto la sua formazione spirituale. Poi, però, per Sant’Ignazio stesso era diventato uno che lo sfidava, particolarmente per gli scrupoli che aveva avuto a lungo nel tempo. Questo ha portato Sant’Ignazio a mettere poi nel libro degli Esercizi le regole degli scrupoli. Nella Compagnia, Pietro Favre ha sempre vissuto nell’obbedienza ed è sempre stato in missione per altri: per il Papa, per il padre generale, per l’imperatore, per il re del Portogallo, di Spagna. E così, proprio per questo sforzo immenso durante questi viaggi, lui è morto a 40 anni.

    D. – Il Santo Padre, Francesco, apprezza tantissimo Pietro Favre e l’ha chiamato nella sua lunga intervista alla rivista gesuita “un prete riformato”, ma che cosa significa?

    R. – All’inizio, tutti i Gesuiti sono stati considerati preti riformati e non solamente Pietro Favre, perché hanno vissuto il sacerdozio in povertà – aspetto decisivo – e si sono messi a disposizione di tutta la Chiesa, senza chiedere niente. Questa è stata la cosa nuova, ed è l’aspetto che è rimasto nella spiritualità della Compagnia. Perché la devozione particolare a Pietro Favre? Perché è stato il primo sacerdote della Compagnia. Lui ha celebrato la Messa, in cui tutti i primi compagni, incluso Sant’Ignazio, fecero voto a Montmartre, il 15 agosto 1534. E dopo la partenza di Ignazio dalla Spagna, Pietro Favre è stato il direttore spirituale di tutto questo gruppo. L’influenza, quindi, del suo modo di vivere il sacerdozio su tutti gli altri compagni è stata molto grande. E per questo, nella Compagnia, rispetto al sacerdozio, lui è la figura più importante.

    D. – Pietro Favre viaggiava tanto ed è entrato in contatto anche con la Riforma, con le guerre tra le confessioni. Quale atteggiamento lo contraddistingue nelle situazioni difficili?

    R. – Pietro Favre è sempre stato un uomo della riconciliazione, della pace. Ha visto i protestanti essere non tanto un attacco alla Chiesa, anche se soffriva, però, l’”ignoranza” della gente nei confronti della fede. Per questo, ha detto “ciò che noi dobbiamo fare è annunciare il Vangelo”. Era convinto che l’annuncio autentico della fede in Gesù Cristo potesse eliminare tutte le divisioni – anche per noi oggi è molto importante – nella misura in cui tutti crescono come cristiani. Anche l’unità può diventare una realtà.

    D. – San Pietro Favre che cosa ci dice oggi come cattolici?

    R. – Noi da lui possiamo imparare a guardare la nostra realtà, la realtà quotidiana, con gli occhi di Gesù Cristo.

    D. – San Pietro Favre come il Santo della coscienza...

    R. – E’ il Patrono dell’esame di coscienza, cui siamo tutti invitati.

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    Canonizzazione Favre. P. Spadaro: la sua apertura mentale e spirituale è la stessa di Bergoglio

    ◊   Dialogo, discernimento, frontiera. Le tre parole chiave di San Pietro Favre richiamano immediatamente l’azione pastorale di Papa Francesco. Una sintonia che viene sottolineata dal direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, che proprio in occasione della canonizzazione ha pubblicato, per i tipi della casa editrice “Ancora”, il volume “Pietro Favre. Servitore della consolazione”. Alessandro Gisotti ha chiesto a padre Spadaro quanto sia importante per i Gesuiti la canonizzazione del primo compagno di Ignazio di Loyola:

    R. – Ha un significato molto forte, perché tutti conoscono San Francesco Saverio, il secondo compagno di Sant’Ignazio di Loyola. Ma Pietro Favre fu il primo, il primo compagno che condivise con Sant’Ignazio la stanza in cui studiava all’Università di Parigi, è stato il primo ad accostarsi a lui, il primo a fare gli Esercizi spirituali… Direi che senza Pietro Favre la Compagnia di Gesù non esisterebbe. Quindi, è un momento molto particolare e veramente importante per noi.

    D. – Pietro Favre, appunto, è il primo compagno di Ignazio di Loyola eppure – è un fatto, questo – è rimasto nell’ombra per tanto tempo. Quali sono i motivi?

    R. – Forse nel tempo, specialmente durante la seconda metà del XVI secolo, la sua fama è rimasta un po’ vittima di una sorta di diffidenza verso la dimensione mistica che persino nella Compagnia di Gesù si è fatta strada in favore di un atteggiamento più ascetico che mistico. Invece, Pietro Favre è una figura mistica, se vogliamo anche difficile da comprendere bene: è un po’ complessa. Tuttavia, la devozione non si è mai persa nel corso del tempo. Lo stesso Sant’Ignazio, in realtà, più che celebrare suffragi per lui, fece celebrare Messe di gioia, di trionfo, e addirittura San Francesco Saverio, appena Pietro Favre morì, aggiunse il suo nome alle Litanie dei Santi.

    D. – A canonizzare il primo compagno di Sant’Ignazio è il primo Papa gesuita: perché la figura di Favre è così amata da Jorge Mario Bergoglio?

    R. – Perché al Papa piace Favre? Lui mi ha risposto sostanzialmente con una lista di ragioni: il dialogo con tutti, anche i più lontani, gli avversari. La sua pietà semplice, direi popolare, una certa ingenuità – il Papa stesso si è definito un po’ ingenuo, un po’ furbo – la sua disponibilità immediata. Ma poi due cose che ritengo veramente fondamentali: il suo atteggiamento di discernimento interiore e il fatto di essere un uomo di grandi e forti decisioni, pur essendo una persona molto, molto dolce.

    D. – Cosa ritroviamo di Favre, invece, proprio nell’azione pastorale di Papa Francesco?

    R. – Troviamo tanto: nel tratto umano, nella spiritualità Favre era un uomo molto aperto all’esperienza e alla vita. Soprattutto, era un uomo privo di barriere mentali, di preclusioni. Amante della riforma della Chiesa, sapeva che c’era bisogno di tanto tempo e fondava il suo desiderio di riforma nell’amicizia. Un giorno, per esempio, ha sentito interiormente di dover pregare insieme per il Papa, per Lutero, per Enrico VIII e per Solimano II. Favre, del resto, ha vissuto in un clima fluido e burrascoso nella prima metà del Cinquecento parigino ed è portatore di una sensibilità moderna che oggi vibra in consonanza con la nostra. Quindi, incarnò un’apertura mentale e spirituale nei confronti delle sfide della sua epoca, che ci ricorda molto lo slancio missionario di Papa Francesco.

    D. – Il titolo del suo libro su Favre è “Servitore della Consolazione”. In qualche modo, si potrebbe anche accostare questa definizione proprio a Papa Francesco: servitore della consolazione, della misericordia …

    R. – Penso di sì. In fondo, Papa Francesco ama Favre anche proprio per la sua capacità di discernimento, cioè la sua capacità di comprendere la vita spirituale e di capire come Dio agisce dentro di noi. La consolazione è la percezione sensibile interiore dell’unione con Dio. La mistica di Pietro Favre ha a che fare con la vita di tutti i giorni, con la vita quotidiana: Favre ha sempre vissuto una familiarità con Dio immediata, diretta e per Favre, come per Papa Francesco, vale ciò che ha scritto Sant’Ignazio, cioè che Dio si comunica a ognuno di noi con mozioni interiori: cioè, muove e attira la volontà. Quindi, direi che l’esperienza di Favre va meglio compresa e studiata anche per capire lo stile e il modo di governo di Papa Francesco.

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    Papa Francesco telefona a Benedetto XVI per gli auguri di Natale

    ◊   Una breve conversazione per rivolgere un saluto e augurare il buon Natale al suo predecessore. È quella che Papa Francesco ha avuto ieri nel corso di una telefonata al Pontefice emerito Benedetto XVI. A riferirlo è stato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.

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    Il Papa nomina mons. Bonazzi nunzio apostolico in Canada

    ◊   Papa Francesco ha nominato nunzio apostolico in Canada l’arcivescovo Luigi Bonazzi, finora nunzio apostolico in Lituania, Estonia e Lettonia.

    Negli Stati Uniti, il Papa ha nominato vescovo di Portland mons. Robert P. Deeley, finora ausiliare dell’arcidiocesi di Boston. Mons. Deeley è nato il 18 giugno 1946 a Cambridge (Massachusetts), situata nell’arcidiocesi di Boston. Dopo aver ottenuto il Baccalaureato in Filosofia presso la “Catholic University of America” a Washington, D.C. (1969), ha frequentato il Pontificio Collegio Americano del Nord (1969-1973), ottenendo il Baccalaureato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Poi, ha conseguito la Licenza (1981-1983) e il Dottorato (1983-1985) in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana. Ordinato sacerdote il 14 luglio 1973 per l’arcidiocesi di Boston, ha svolto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della “Saint Bartholomew Parish” a Needham (1973-1978), Segretario del Tribunale Metropolitano di Boston (1978-1981), Giudice del Tribunale Metropolitana di Boston (1985-1986), Vicario Giudiziale aggiunto dell’arcidiocesi di Boston (1986-1989), Cappellano arcidiocesano dei Cavalieri di Colombo (1988-1991), Vicario Giudiziale (1989-1999), Direttore Spirituale del “Catholic Lawyers Guild” (1991-1999), Parroco della “Saint Ann Parish” a Wollaston (1999-2004), Presidente della “Canon Law Society of America” (2000-2004), Vicario Foraneo della “South Region” dell’arcidiocesi di Boston (2002-2004), Officiale della Congregazione per la Dottrina della Fede (2004-2011). Dal 2011 è Vicario Generale e Moderatore della Curia dell’arcidiocesi di Boston. Nominato Vescovo titolare di Kearney ed Ausiliare di Boston il 9 novembre 2012, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 4 gennaio successivo. Oltre l’inglese parla l’italiano.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, “Come uno di noi”; all’udienza generale in piazza San Pietro Papa Francesco parla della nascita di Gesù.

    Nelle pagine della cultura, il «Caos apparente» di Gianluigi Colin in mostra alla Galleria d’arte moderna e contemporanea di Pordenone; di Cinzia Leone, “Viaggio tra sessantasette parole”; di Giulia Galeotti, sull’ultimo libro di Mariapia Veladiano, e “Quant’è lontano il Signore degli anelli”, di Gaetano Vallini sul secondo film tratto dal libro «Lo Hobbit».

    Pagina 5 invece è interamente dedicata a Pietro Favre, il gesuita dichiarato santo martedì scorso, con articoli di Michel de Certeau, Anton Witwer e Marc Lindeijer.

    A pagina 7, le parole di Papa Francesco ai fedeli riuniti in piazza San Pietro per l’ultima udienza generale dell’anno, mercoledì 18 dicembre: il Natale, spiega il Papa, ricorda la scelta di Gesù di abitare nel nostro mondo reale, segnato com’è da “divisioni, malvagità, povertà, prepotenze e guerre”: pertanto, la terra non è più soltanto una “valle di lacrime”, ma è il luogo dove Dio stesso ha posto la sua tenda.

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    Oggi in Primo Piano



    Aleppo sotto le bombe. Mons. Jeanbart: sparano anche sulle scuole, così uccidono la Siria

    ◊   Sono ripresi questa mattina, per il quarto giorno consecutivo, i raid aerei del regime siriano contro quartieri residenziali di Aleppo, nel nord del Paese. Lo riferiscono testimoni sul posto. Non si hanno ancora notizie di vittime. Sono almeno 100 le persone rimaste uccise negli attacchi dei giorni scorsi. Almeno una trentina sarebbero bambini. Salvatore Sabatino ha intervistato mons. Jean-Clement Jeanbart, arcivescovo melchita di Aleppo:

    R. – Proiettili e bombe cadono da ogni parte. Ci sono tantissimi morti, ma anche tanta distruzione. Questa guerra adesso si svolge in una città piena di gente: a un certo punto non si distingue più da dove vengono i proiettili, da dove cadono. Ci sono bombardamenti aerei, bombardamenti da cannoni, bombardamenti da carri armati, ma anche colpi di mortaio…

    D. – Non vengono risparmiate nemmeno le scuole?

    R. – Nemmeno le scuole. In genere, vengono colpite e distrutte anche dai bombardamenti dell’opposizione. Poi ,molti dei ribelli si mischiano tra la gente e provano, per quanto possibile, a nascondersi tra gli abitanti e questo provoca stragi, la morte di tanti innocenti: bambini, uomini, donne oltre ai combattenti.

    D – A questo si va a sommare anche la difficoltà che ha la comunità cristiana: abbiamo visto numerosi villaggi occupati dagli islamisti che cercano di imporre le leggi coraniche…

    R. - Ieri un sacerdote, in un villaggio cristiano, ci ha comunicato che gli hanno impedito di mettere le croci e di mostrare qualsiasi segno cristiano. Le donne devono uscire obbligatoriamente con il velo, non si possono suonare le campane delle chiese…

    D. – Tra l’altro, si sta avvicinando il Natale, e questo è un Natale…

    R. - …insanguinato, triste… Ma speriamo, guardiamo con speranza a questo Natale, che ci porti una certa ragionevolezza da parte di tutti e che tutti vadano con buone intenzioni all’incontro di “Ginevra 2”. Speriamo che questo incontro ci possa dare un inizio di pacificazione, di intesa tra tutti. Il problema, però, è che non sono solo gli opponenti che sono in causa, ma anche i fondamentalisti salafiti che sono entrati nel Paese da ogni parte: sono decine di migliaia.

    D. – Infatti, questa è una guerra che si sta complicando sempre più…

    R. - Sempre di più e ormai sentiamo che tanti si rendono conto che la guerra è per distruggere la Siria, non per migliorare, o riformare, o creare un Paese dove si possa vivere in pace e in calma. Non si sa più… è come la Torre di Babele, come le invasioni barbariche del Medio Evo, anche di più: non credo che avessero fatto tanto danno e tanta distruzione…

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    Accordo Putin-Janukovich: sconto sul gas russo e investimenti in titoli di Stato ucraini

    ◊   Russia ed Ucraina hanno firmato ieri al Cremlino un importante accordo, fase preliminare verso il libero scambio. A Kiev, intanto, l’opposizione pro-europeista continua la protesta di piazza. Il servizio di Giuseppe D’Amato:

    Forte sconto temporaneo sul prezzo delle forniture del gas e promessa di acquistare eurobond ucraini per un valore di 15 miliardi di dollari. Ecco in sintesi le due maggiori concessioni del Cremlino al presidente Janukovich. Cosa Kiev si sia impegnata a dare in cambio non è assolutamente chiaro. La paura delle opposizioni ucraine è che Janukovich stia portando il Paese ad aderire all’Unione doganale, la “mini-Urss” economica, che Putin sta costruendo. Non è al momento nemmeno tanto comprensibile quanto queste intese, appena sancite con Mosca, possano essere compatibili con il Trattato di associazione con l’Unione Europea. Diplomaticamente la partita appare sempre più complicata, mentre la piazza, a Kiev, delusa, chiede le dimissioni di tutti. Insomma, elezioni anticipate generali. Le opposizioni sono decise ad andare avanti ad oltranza. Tutta l’attenzione è quindi rivolta ora allo scenario interno ucraino.


    Per un’analisi della situazione Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento del prof. Aldo Ferrari, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e responsabile ricerche Ispi su Russia, Caucaso e Asia Centrale:

    R. – L’Unione Europea ribadisce: “Porte aperte”, ma questa associazione dell’Ucraina avrebbe costi altissimi. Il Paese non è preparato, non è in grado di sostenere questi accordi con l’Ue e non si capisce quanto l’Unione Europea sarebbe disposta a investire politicamente e soprattutto economicamente. Di fronte a questa ambiguità, la Russia costituisce una opzione diversa, più tradizionale ma economicamente valida, nel senso che quello che è stato fatto a livello di prestito e soprattutto l’agevolazione sui costi del gas è qualcosa di molto pratico, molto corrispondente agli immediati bisogni economici dell’Ucraina. Ovviamente, c’è una questione più ampia: il Paese è indeciso, è incerto, è spaccato su queste due opzioni.

    D. – L’espressione di questa dualità del Paese si vede riflessa anche nei ruoli del premier e del presidente, che sembrano in contrasto…

    R. – Non esprimono in maniera chiarissima una linea politica perché non solo la dirigenza, ma lo stesso Paese non è in grado di esprimerla. Molto spesso si ha l’impressione che il potere sia contro l’intera popolazione. In realtà, la popolazione è politicamente divisa a metà e chi guida il Paese, sia a livello presidenziale sia a livello di primo ministro, fa fatica a rappresentarne entrambe le anime. La questione fondamentale è che l’Ucraina non deve diventare un campo di battaglia tra Federazione russa e Unione Europea, ma il luogo di una collaborazione necessaria. Entrambe le realtà ne hanno bisogno, ma soprattutto ne ha bisogno l’Ucraina per uscire da una situazione difficilissima.

    D. – Altrimenti, rischia di essere stritolata tra queste due realtà, in sostanza?

    R. – Di essere lacerata tra queste due spinte opposte, entrambe – se vogliamo – illegittime perché provengono dall’esterno. Dovrebbe essere l’Ucraina a scegliere liberamente in che direzione andare. Ma non è che le pressioni russe siano più illegittime di quelle europee o statunitensi: sono pressioni esterne che vanno a forzare la scelta di un Paese che dovrebbe avere la capacità, la forza di scegliere autonomamente. E questo pare non sia ancora possibile.

    D. – Le leve utilizzate sono l’Europa, la speranza di un futuro migliore. Una stabilità economica e un sostegno per quanto riguarda, invece, la Russia…

    R. – Per un Paese che ha serissimi problemi economici, la scelta è piuttosto chiara: forse non corrispondente alle idealità, ai sogni di buona parte della popolazione, ma corrispondente alla realtà. E’ pronta l’Unione Europea a mettere sul piatto lo stesso tipo di appoggio? Ne è capace? Ne ha la possibilità? Non credo proprio. Quindi, l’Unione Europea in tutto questo è più un miraggio che una realtà; la Russia, una realtà. E da questo punto di vista, la scelta della dirigenza ucraina può forse non soddisfare sicuramente gran parte degli ucraini, può non soddisfare l’Unione Europea ma sembra essere razionale.

    D. – Sulla questione, l’Unione Europea prima ha chiuso poi ha aperto le porte: il ministro degli esteri dell’Ue, Ashton, ha ribadito che non sono in pericolo i rapporti con la Russia, come a evitare proprio delle tensioni…

    R. – E’ un momento delicato e quello ucraino è un ennesimo braccio di ferro con l’Unione Europea, laddove però la politica della Russia è più coesa, più coerente, rappresenta un’esigenza tradizionale di uno Stato forte, le cui operazioni sono discutibili finché si vuole ma che ha una politica chiara, laddove l’Unione Europea si muove in maniera confusa: si sente chiaramente che dietro non c’è una linea politica unitaria, chiara.

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    Gaza nella morsa dell'isolamento e del freddo. Il vice parroco: mancano anche acqua e cibo

    ◊   Almeno 5.000 sfollati e diverse persone morte. E’ il bilancio provocato dal maltempo nella Striscia di Gaza. Nella regione palestinese la situazione si è ulteriormente aggravata da quando negli ultimi mesi sono stati distrutti, dalle forze egiziane, i tunnel attraverso cui passavano clandestinamente cibo e merci. Su questa emergenza, legata al maltempo, Antonella Palermo ha raccolto la testimonianza di padre Mario Da Silva, dell'Istituto del Verbo incarnato, vice parroco nell'unica parrocchia di Gaza:

    R. - Abbiamo avuto veramente grandi disagi: una parte della città è stata totalmente inondata e abbiamo saputo di persone che hanno perso la vita per le piogge. La città è stata ‘ferma’ per cinque giorni. Faccio solo un esempio: qui la parrocchia cattolica ha due scuole e in questi cinque giorni era impossibile accedere, non abbiamo avuto lezioni perché la gente non poteva uscire di casa.

    D. – A fronte di questa emergenza, ci sono stati episodi di solidarietà…

    R. – Sì, anche perché il popolo palestinese è molto gentile in queste cose. Abbiamo visto, per esempio, le scuole – specialmente quelle dell’Onu – che hanno aperto le porte per accogliere 500 persone evacuate dalle loro case.

    D. – Ci può raccontare la situazione che si vive nella Striscia di Gaza da sei mesi a questa parte?

    R. – Questi problemi degli ultimi giorni vanno a peggiorare, ancor di più, la situazione in cui viviamo da quando sono stati chiusi i tunnel, attraverso cui passava la merce anche clandestinamente. Passava la maggioranza della merce e del cibo tramite i tunnel nella frontiera tra Gaza e l’Egitto. Quei tunnel sono stati distrutti; penso che ne rimangono pochissimi. Noi stiamo veramente vivendo una situazione molto difficile. Anche i prezzi ora sono altissimi: la spesa che facevamo sette mesi fa con 200/300 shekel, ora la paghiamo 600/700 addirittura. La cosa principale è che manca la benzina sia per le macchine, sia per l’elettricità: prima avevamo, più o meno, 10 ore di elettricità al giorno. In questi sei mesi si sono ridotte a sei ore ed alcuni giorni addirittura a tre ore al giorno. La gente che vendeva carne o prodotti surgelati ha perso tutto. Poi manca anche l’acqua. È veramente una situazione molto difficile in questi ultimi sei mesi per la chiusura del passo di Rafah, la frontiera tra l’Egitto e Gaza.

    D. – Papa Francesco ha espresso il desiderio di visitare la Terra Santa l’anno prossimo. Da voi quali reazioni?

    R. – Anche noi preghiamo tanto perché il Papa possa venire veramente. Per noi sarebbe una speranza molto grande: in primo luogo, perché lui insiste molto sul messaggio della pace; per noi sarebbe un beneficio molto grande; inoltre, dato che Papa Francesco sta guadagnando sempre più l’amore e l’affetto di tutte le persone – non solo dei cristiani ma di tutte le religioni, per esempio, qui a Gaza tanti musulmani parlano con affetto di Papa Francesco – la sua visita qui in Terra Santa sarebbe un grande aiuto per i cristiani e per noi cattolici che qui siamo in minoranza.

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    Ritiro Nato dall'Afghanistan: incognite sulla realizzazione del gasdotto dal Turkmenistan all'India

    ◊   Un gasdotto di 1.700 km, che colleghi il Turkmenistan all’India, passando per Afghanistan e Pakistan. È il Tapi, un’opera colossale dal costo inizialmente previsto di oltre 7 miliardi di dollari, già salito nelle stime ad almeno 10 miliardi di dollari, che si presenta come una possibilità di cooperazione tra i Paesi coinvolti e le comunità locali. Alla vigilia del ritiro delle truppe Nato dall’Afghanistan, entro il 2014, cresce però la preoccupazione della comunità internazionale sulla stabilizzazione dell’Afghanistan stesso e non solo. Sul futuro del gasdotto, Giada Aquilino ha intervistato Riccardo Mario Cucciolla, studioso di Asia centrale e dottorando all’Istituto di studi avanzati Imt di Lucca:

    R. – E’ un’opportunità, innanzitutto, per l’India e per il Pakistan, che sono due Paesi che in questo momento stanno fortemente aumentando la domanda interna di energia. E’ inoltre un’opportunità non soltanto per i mercati di destinazione, ma anche per i Paesi di transito, come l’Afghanistan e il Pakistan, e per i Paesi produttori, in questo caso il Turkmenistan. E non solo per motivi economici, ma pure politici. Vediamo che, attraverso il Tapi, il Turkmenistan riuscirebbe effettivamente a diversificare le proprie rotte di esportazione. Negli scorsi anni, nell’ultimo quinquennio, c’erano stati problemi di esportazione verso le rotte tradizionali, destinate al mercato russo. Dal 2008 il Turkmenistan ha iniziato così a cercare nuove rotte di esportazione: una settentrionale, che sempre attraverso l’Asia centrale sarebbe stata destinata alla Cina, e una, adesso, meridionale. Il Turkmenistan, un’economia fortemente dipendente dalle esportazioni delle proprie risorse naturali, avrebbe così l’opportunità di trovare degli effettivi acquirenti, mentre la Russia si è dimostrata non eccessivamente interessata ad aumentare le forniture provenienti dall’Asia centrale. Ciò che interessa in questi mesi è poi la situazione che riguarda l’Afghanistan, che potrebbe avere dalla realizzazione di questo progetto degli incredibili vantaggi, non soltanto in termini economici. Sarebbe, infatti, soprattutto un’opportunità per rilanciare una politica estera ed energetica di un Paese che, al momento, cerca di trovare una propria via verso l’indipendenza.

    D. – Quando ormai è imminente il ritiro delle truppe Nato dall’Afghanistan, ci si domanda, però, quanto sia stabilizzato il Paese e quanto l’insicurezza sul terreno possa poi minare la costruzione del gasdotto, ma anche l’opera una volta terminata...

    R. – Questa è la grande sfida dell’Afghanistan post 2014. Nei prossimi mesi verrà ritirata la maggior parte dei contingenti internazionali. In Afghanistan, ci saranno anche le elezioni presidenziali in aprile. Bisognerà vedere come riusciranno a trovare dei compromessi le prossime dirigenze afghane: come si riuscirà ad inserire all’interno del processo di stabilizzazione le stesse popolazioni e le elite dominanti.

    D. – Al di là degli interessi dei Paesi coinvolti, in gioco ci sono le grandi multinazionali dell’energia?

    R. – Adesso bisognerà vedere fino a che punto le multinazionali saranno interessate ad investire in un progetto così ambizioso, ma allo stesso tempo così rischioso. Nei prossimi mesi vedremo se la Banca asiatica di sviluppo sarà effettivamente capace, attraverso il consorzio multilaterale concordato con i Paesi interessati, di trovare gli ormai stimati dieci miliardi di dollari e oltre per destinarli al progetto.

    D. – Che tempi avrà il gasdotto?

    R. – Inizialmente doveva essere completato e diventare operativo già entro la fine del 2014. Probabilmente l’operatività del gasdotto slitterà al 2015, perché ci sono ancora problemi, non soltanto logistici, ma anche politici e finanziari, legati all’investimento e alla realizzazione dell’opera.

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    Giornata dei migranti. Mons. Montenegro: l'appello del Papa a Lampedusa ha scosso le coscienze

    ◊   Da Lampedusa ai Caraibi, ai mari dell'indonesia, il 2013 potrebbe essere stato - secondo l'Onu - l'anno più costoso in termini di vite umane per i migranti che cercano di attraversare con qualsiasi mezzo le frontiere del pianeta. Le Nazioni Unite stimano che nel 2013 circa 232 milioni di persone hanno lasciato il proprio Stato, 57 milioni in più rispetto al 2000. Oggi, in occasione della Giornata mondiale dei migranti, l'arcivescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro traccia un bilancio del fenomeno, alla luce della visita del Papa a Lampedusa dello scorso 8 luglio. Lo ha intervistato Filippo Passantino:

    R. – Credo che quelle del Papa siano state parole che hanno aiutato a riflettere un po’ di più su questo argomento. Ha usato parole forti anche se le ha presentate con delicatezza. Io mi rendo conto che anche da noi si fa spesso riferimento a questa venuta del Papa qui, a Lampedusa, e a ciò che ha detto. Anche il nostro piano pastorale parte da quelle affermazioni del Papa. In generale – un po’ mi è capitato di girare – debbo dire che maggiore attenzione al problema c’è. Credo che il primo atteggiamento sia quello di non rifiutare questa realtà, questo esodo biblico perché ormai fa parte della Storia: si deve finire di pensare che sia un’emergenza.

    D. – La legislazione italiana in material di migranti è ferma alla Legge Bossi-Fini che prevede respingimenti e sanzioni per i profughi. Quale dev’essere la reazione della politica, adesso?

    R. – Credo che qualche piccola reazione ci sia stata, e questo è stato un segnale positivo che lascia sperare che quella legge in qualche modo debba essere ritoccata e rivista, riformulata. Una cosa è certa: che se succedono certi fatti è perché questa legge li permette.

    D. – Le migrazioni diventano spesso un’occasione di schiavitù: cosa bisogna fare per debellare i fenomeni della tratta di persone o il traffico dei migranti?

    R. – Qua dovremmo riflettere tutti sui diritti dell’uomo: le colonizzazioni non sono finite. Se leggiamo la Bibbia, ci ritroviamo Erode, il faraone … ma questa Storia sta continuando e fino a quando ci saranno degli Erodi, dei faraoni che decidono sulla sorte dei poveri, queste storie continueranno.

    D. – La realtà di Lampedusa è anche accoglienza: i pescatori hanno aiutato i profughi a raggiungere l’isola in più occasioni, ma c’è anche un Centro di accoglienza nel quale il trattamento dei migranti, come ci hanno mostrato alcune immagini, non è molto umano. Qual è il suo pensiero a questo proposito?

    R. – Il mio pensiero – l’ho manifestato – è soltanto di grande indignazione e ho aggiunto anche la parola vergogna perché nella mia terra succedono queste cose: io sono agrigentino, sono vescovo di Agrigento, e queste sono cose che non dovrebbero succedere, e quel Centro non è un centro d’accoglienza. Il fatto che stiano per tanto tempo e non solo per alcuni giorni, e in quella situazione, fa pensare più a un Centro di detenzione. Questi uomini non sono criminali, anche se la legge li vede così: sono persone che hanno voglia, davvero, di vivere, e non possiamo chiudere le porte. I Centri di accoglienza devono essere idonei ad accogliere persone che poi dovranno essere smistate in altri luoghi.

    D. – Nella Giornata mondiale dei migranti, quale messaggio vuole lanciare, da pastore di una comunità particolarmente colpita dal fenomeno delle migrazioni?

    R. – Mi viene in mente una frase che ormai viene ripetuta sempre: crederci di più in quel “ogni uomo è mio fratello”. E anche quell’aggiunta importante, che si fa ogni tanto: “Lui forse non lo sa”. E allora, noi dobbiamo fargli scoprire che venendo incontro a noi o venendo vicino a noi, troveranno degli uomini-fratelli che hanno voglia di camminare insieme. Se questa Giornata porta a questa riflessione, alla riscoperta che io posso essere il fratello di altri, soprattutto se più sfortunati di me, questo diventa quel segno di speranza di cui il mondo ha bisogno e che anche questo periodo natalizio invoca, da parte nostra.

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    La Serbia più vicina all’integrazione con l’Unione Europea

    ◊   La Serbia ha compiuto progressi impressionanti nella normalizzazione delle relazioni con il Kossovo. E’ quanto ha dichiarato ai giornalisti il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, presentando l'ultimo rapporto dettagliato sulla base del quale i rappresentati europei, in ultima istanza il Consiglio del 19-20 dicembre, prenderanno una decisione sulla prima conferenza intergovernativa, che segna di regola l'avvio del negoziato di adesione all'Unione. In Serbia in questi giorni è stato, in visita al contingente italiano, il ministro della Difesa italiano Mario Mauro. Fausta Speranza lo ha intervistato:

    R. – Il contingente italiano è un contingente che qui ha ruolo strategico per il conseguimento degli obiettivi della missione KFor che, lo ricordo a tutti, è una missione operativa da 14 anni, con l’intento di impedire lo scontro tra la popolazione serba e la popolazione di etnia albanese ma soprattutto di costruire nel tempo le istituzioni democratiche nel Kosovo. Entrambi gli obiettivi sono stati largamente perseguiti e oggi ha senso continuare la missione perché questa è una missione che è al centro dell’Europa e rende possibile nel tempo che quel pezzo di Europa, che sono i Balcani del Sudovest, che ancora non partecipano all’esperienza europea, possano ancorarsi a questa opportunità storica dando vita, finalmente, ad un processo di integrazione che comprenda ciò che fino a pochi anni fa era ancora sotto dittatura comunista.

    D. – Possiamo dire che i soldati italiani non sono soltanto lì per evitare conflitti ma sono lì per promuovere qualche opera sociale, proprio per la popolazione?

    R. – In realtà, l’operato di KFor in questi anni è andato ben al di là, anche di attività di promozione umana, perché la verità è che qui è cresciuto un tessuto economico-sociale che in gran parte vive del fatto che avendo garantito la sicurezza, si è sviluppata poi una economia locale. Detto questo, oggi gli obiettivi di KFor vanno politicamente verso la possibilità di garantire a questo Paese di avere sempre più standard dell’Unione Europea e standard Nato e quindi, in prospettiva, inserirsi in una condivisione del progetto europeo che, marciando di pari passo con la riconciliazione con i serbi, consenta ad entrambi di entrare in Europa.

    D. – Da questo punto di vista, è cruciale questa settimana? Si parla della prima Conferenza intergovernativa che segna di solito l’avvio del negoziato di adesione all’Unione Europea: è così?

    R. – L’Italia sta moltiplicando i propri sforzi per assicurare sia al Kosovo da un lato, per l’accordo di associazione, sia alla Serbia per il suo percorso di partnership, le condizioni più adeguate per poter continuare il proprio cammino. Sono certo che ce la faremo; sono certo che gli altri Paesi europei saranno comprensivi nei confronti delle ragioni che vengono portate dai governanti di questi Paesi, e che tutto questo continuerà ad ulteriormente stabilizzare quest’area.

    D. – Stabilizzare quest’area, alle porte dell’Europa – è particolarmente significativo …

    R. – Nel cuore dell’Europa … Chi ha vissuto e chi è stato in questi Paesi sa che quando sarà più chiara la prospettiva europea di questi Paesi, noi avremo ulteriormente dato una mano al progetto europeo ad apparire come attrattivo per il mondo intero.

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    Immigrazione: in Italia aumentano i minori non accompagnati. Kyenge: in arrivo legge sulla cittadinanza

    ◊   In forte crescita, in Italia, il numero di minori stranieri non accompagnati. Ragazzi in fuga dalla povertà, da conflitti armati o da persecuzioni, spesso vittime di abusi e sfruttamento. Il fenomeno è stato al centro, ieri, del convegno “Ragazzi lontani… dalla famiglia, dal proprio paese, da se stessi”, promosso dalla Caritas di Roma in occasione dei venticinque anni di attività dei Centri di pronta accoglienza per minori. Il servizio di Antonella Pilia:

    Sono sempre di più i minori non accompagnati che raggiungono l’Italia clandestinamente, alla ricerca di un futuro migliore. Secondo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, alla fine di novembre in Italia erano oltre 6.500, provenienti soprattutto da Egitto, Bangladesh e Albania. Nei primi dieci mesi del 2013, la Caritas di Roma ne ha accolto ben 332 nei Centri di prima assistenza. Maria Chiara Posa, responsabile area minori Caritas Roma:

    “Attualmente, i minori maggiormente presenti nei nostri centri arrivano dall’Egitto: c’è, quindi, una grande emergenza Nord Africa. Sono in prevalenza maschi, sempre più piccoli - hanno meno di 16 anni - e pur avendo entrambi i genitori nell’85% dei casi nelle proprie nazioni di origine, hanno comunque deciso per motivi economici di emigrare in cerca di un futuro diverso, affrontando anche numerosi pericoli. Molti di loro, infatti, perdono la vita nel tentativo di raggiungere l’Italia”.

    Questi bambini e adolescenti, lasciati a se stessi, “sono vittime del traffico di esseri umani finalizzato all’immigrazione clandestina, ma anche all’accattonaggio, al lavoro forzato e allo sfruttamento sessuale”, ha denunciato mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma:

    “In questi 25 anni, sono stati accolti più di 3.800 ragazzi, che devono essere ricostruiti non solamente fisicamente, perché sono denutriti o hanno dei problemi, ma soprattutto interiormente e spiritualmente. Tant’è vero che abbiamo un servizio, che chiamiamo di ferite invisibili. I ragazzi che arrivano da noi hanno una distruzione interiore e devono essere quindi ricostruiti. E questo è quello che cerchiamo di fare”.

    Due le richieste avanzate da mons. Feroci al ministro per l'integrazione:

    “Abbiamo chiesto al ministro Cécile Kyenge di essere attenta alla salute dei minori, anche non italiani, perche possano essere assistiti e curati. E abbiamo chiesto anche maggiore attenzione sul discorso della cittadinanza per quei ragazzi che sono nati in Italia e che devono aspettare i 18 anni prima di poter chiedere la cittadinanza, oppure quelli che hanno i genitori in Italia e hanno chiesto la cittadinanza italiana. C’è, insomma, tutto un percorso da facilitare perché queste persone possano avere la cittadinanza”.

    Le risposte del ministro Kyenge non si sono lasciate attendere:

    “La richiesta di assistenza per i minori stranieri non accompagnati è contenuta nel decreto che tutte le regioni devono recepire e che, ad oggi, soltanto sette hanno recepito. In questo caso, credo che bisognerebbe fare una valutazione sull’accesso ai servizi sanitari. La cittadinanza, invece, è un lavoro che sto portando avanti sia come ministero, guardando la semplificazione, ma anche nel ruolo di ministro, di deputata, cercando di sensibilizzare e monitorare un percorso di riforma sulla legge della cittadinanza che, di fatto, oggi ha avuto l’apertura di molti partiti”.

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    Linee-guida per la "corretta" informazione Lgbt. Tarquinio: un decalogo che sovverte la realtà

    ◊   Sono state poco pubblicizzate, ma suscitano perplessità le “Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone Lgbt” (sigla che sta per Lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) pubblicate dal Dipartimento per le Pari opportunità e rivolte ai giornalisti nell’ambito di un progetto finanziato dal Consiglio d’Europa. Il documento, a cura dell’agenzia Redattore Sociale, promuove la teoria del gender e invita in 10 punti a non utilizzare più termini quali “famiglia tradizionale” o “nozze gay”: meglio parlare genericamente di matrimoni nel rispetto della dignità di tutti. Scorretta è ritenuta anche l’espressione “utero in affitto”, alla quale si preferisce “maternità di sostegno”. “Un decalogo che sovverte la realtà”, commenta il quotidiano Avvenire. Paolo Ondarza ne ha intervistato il direttore, Marco Tarquinio:

    R. - C’è una pretesa di "rieducare" non solo i giornalisti, ma il linguaggio stesso utilizzato attraverso i mass media, ammettendo al dialogo con il pubblico soltanto quelli che si adeguano a questa linea, che cancellino le parole scomode e dicano solo le parole secondo il pensiero che si vuole imporre, cioè la teoria del gender, secondo cui la differenza tra uomo e donna non è un dato di natura, ma di cultura.

    D. - Ma che valore hanno queste Linee-guida per quanto riguarda il fare informazione?

    R. - L’Ordine nazionale dei giornalisti non le cita tre le fonti alle quali riferirsi per quanto riguarda la deontologia, cioè il sistema di norme che regolano anche moralmente la nostra professione, e questo è un bene. Queste linee sono appena uscite: mi auguro che questo non sia un dato solo di "ritardo" nel recepire, quanto piuttosto una scelta consapevole contro una forma di censura molto grave che è contenuta all’interno di queste norme, che sembrano affermare libertà ma che in realtà negano delle libertà.

    D. - Le Linee-guida sconsigliano di utilizzare termini quali "utero in affitto", "famiglia normale", o "nozze gay": sono matrimoni e basta, tutti hanno pari dignità…

    R. - Bisognerebbe parlare di matrimoni e mai di "nozze gay", bisognerebbe evitare di parlare di una "famiglia normale", cioè quella composta da un padre e da una madre. Tutto questo contrasta non solo con il senso comune, ma con l’esperienza concreta di vita esistenziale di altre persone. È questo che lascia perplessi. Per questo qualcuno ha parlato, anche con un’espressione un po’ forte, di una “linea da Minculpop”, il Ministero che in epoca fascista vigilava sull’omogeneità della dottrina sul regime. Non penso che siamo a questo punto. Mi preoccupa che si voglia costruire un clima nel quale tutte le opinioni sono formalmente uguali, ma qualcuna è molto meno uguale delle altre. Guarda caso, sono molto meno uguali delle altre, le opinioni di quelli che sostengono ciò che fino a poco tempo fa non era neanche in discussione, cioè il fatto che gli uomini siano uomini e donne, e che i figli nascano da un rapporto tra un uomo ed una donna.

    D. - Questo discorso riguarda particolarmente i giornalisti cattolici, che su certe tematiche sono chiamati ad usare un linguaggio chiaro…

    R. - Certamente, riguarda soprattutto i giornalisti cattolici, ma non solo. Ci sono anche i giornalisti laici, ci sono persone che hanno diverso sentimento culturale religioso che la pensano come noi su questa questione, ma non perché noi siamo i tutori di una verità di parte, ma perché siamo persone che prendono atto dei dati della realtà, non ci inventiamo una teoria. Io credo che le teorie alla fine si arrendano e affondano di fronte ai dati della realtà. Posto anche che i climi sono pericolosi, e quando cala un clima nebbioso, oscuro, diventa un problema, soprattutto per coloro che devono usare le parole giuste. E in questo momento non servono parole aspre, credo che servano parole luminose che aiutino a squarciare la nebbia, che aiutino a capire dove si trova il cuore delle questioni e a capire soprattutto che le parole sono strumenti anche di coloro che vogliono costruire un grande mercato intorno alla vita umana. Mi sembra che in questo tempo, l’obiettivo sia quello di governare la nascita delle persone, la nascita degli esseri umani. Scegliere le parole giuste per servire a questo, che sono in realtà parole sbagliare, parole che rovesciano la realtà, è uno dei passi necessari. Credo che sia bene cercare di far aprire gli occhi alla gente.

    D. - Recentemente - Avvenire lo ha denunciato - la teoria del gender è stata introdotta anche nelle scuole con corsi di formazione ad hoc per insegnanti…

    R. - Sì. Credo che il rispetto vada dato a tutte le persone. Non capisco le norme di "super tutela" come quelle che si vanno delineando in diversi campi rispetto alla cosiddetta categoria Lgbt. Ritengo che sarebbe necessario pensare con grande rispetto soprattutto ai più piccoli e non immaginare che ci possano essere percorsi scolastici nei quali venga raccontato, ad esempio, che tutto è uguale, che tutto è distinto, e che non c’è una verità su come si viene al mondo e su come si sta al mondo. Credo che su questo una vigilanza e un servizio alla verità da parte di tutti gli operatori di formazione sia fondamentale.

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    Presentata la 46.ma Marcia della pace di Campobasso. Mons. Bregantini: serve fraternità

    ◊   “Fraternità fondamento e via per la pace” sarà il tema della 46.ma Marcia per la pace, che si svolgerà il prossimo 31 dicembre a Campobasso. L’iniziativa, presentata questa mattina nella Sala Marconi della Radio Vaticana, è promossa dalla Conferenza episcopale italiana (Cei), dalla Caritas, da Azione cattolica e Pax Christi. La marcia partirà dalla nuova mensa Caritas del capoluogo molisano, per poi toccare altre tappe significative come il carcere e l’università. Perché la scelta del Molise per questa iniziativa? Ascoltiamo mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo della diocesi di Campobasso-Bojano e presidente della Commissione Lavoro, Giustizia e Pace della Cei, al microfono di Marina Tomarro:

    R. – E’ una regione periferica. Proprio per questa ragione: come periferia di un’Italia piccola, minore ma vivace e interessante. Questo è il messaggio che noi vogliamo dire: anche dalle realtà più semplici può venire un messaggio di grande coraggio e di speranza.

    D. – Ci saranno due tappe particolarmente significative: una, durante all’Università degli Studi del Molise, l’altra davanti al carcere. Perché queste scelte?

    R. – Perché se nelle aule scolastiche non si parlerà più di Grande Guerra ma di inutile strage, sarà già il passaggio culturale più importante. E poi il carcere perché lì, veramente, di fatto, vedi la non-fraternità. Finché uno Stato non si occupa o non si preoccupa di dare speranza, e con modalità differenti, alla tematica del carcere, non riusciremo mai a creare le condizioni della pace.

    D. – La Croce che aprirà la marcia viene da Lampedusa ed è stata fatta con dei pezzi di legno appartenenti a dei barconi affondati. Che significato vuole avere?

    R. – La Croce di Lampedusa ci ricorderà il dramma “Dov’è tuo fratello?”. Lì, il Papa già a Lampedusa ha detto: “C’è la risposta di Caino che dice: sono forse io il custode di mio fratello?”. Ecco, quando rispondiamo così, la pace non è costruita, perché non c’è fraternità. La risposta da dare, invece, è quella di Gesù che sulla croce riconcilia in sé, nel suo corpo, i due popoli che hanno costruito l’umanità.

    D. – In un momento in cui l’Italia è attraversata dalle proteste dei "forconi", che significato può avere la marcia per la pace?

    R. – Secondo me, è un’occasione per riflettere sui loro drammi, sulle posizioni che loro portano. Ovviamente, non da condividere nei metodi. Ma nelle istanze, nelle paure, nella drammaticità sono realtà che ci fanno molto, molto pensare, ci interpellano. Ora, la marcia non è risposta, ma è modalità con cui io ascolto il dramma dei carcerati, i giovani nell’Università, i ragazzi che cercano lavoro e la gente che vuole giustizia, uno Stato che dev’essere efficiente. Letta così, la marcia non è una passeggiata, ma è un’operazione culturale, spirituale innovativa, di profonda vicinanza a chiunque soffra.

    E anche l’Azione Cattolica parteciperà alla marcia per la pace. Il segretario generale, Luigi Borgiani:

    "Credo che soprattutto questa edizione voglia raccontare che il principio della fraternità sia fondamentale, se noi vogliamo veramente realizzare una famiglia umana così come dice Papa Francesco, così come è stato detto anche dai suoi predecessori. Quindi, noi crediamo che proprio l’atteggiamento fraterno, il sentirsi figli di un unico Padre, sia indispensabile per aiutarci ad acquisire quella responsabilità di cui oggi la società manca per far fronte non soltanto alla cosiddetta crisi ma anche a questo deficit di umanità che c’è".


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    Villa Manin: grande retrospettiva del fotoreporter Rober Capa a 100 anni dalla nascita

    ◊   Nel centenario della nascita, una grande retrospettiva dedicata al celebre fotoreporter ungherese, Robert Capa, è in corso fino al prossimo 19 gennaio a Villa Manin di Passariano, in provincia di Udine. La mostra, voluta dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia e realizzata dall’Azienda speciale Villa Manin in collaborazione con l'agenzia Magnum Photos di Parigi e con l'International Center of Photography di New York, attraversa tutte le principali esperienze di Capa: gli anni parigini, la Guerra civile spagnola, quella fra Cina e Giappone, la Seconda guerra mondiale con lo sbarco in Normandia, la Russia del secondo dopoguerra, la nascita dello stato di Israele e, infine, il conflitto in Indocina, dove morirà prematuramente nel 1954. Ma tra le 180 fotografie esposte ci sono anche quelle riferite ad un aspetto meno noto del lavoro di Robert Capa, quello di cineasta e di fotografo di scena. Ma che cosa ha fatto di lui un grande fotografo? Adriana Masotti lo ha chiesto a Marco Minuz, curatore della mostra che ha per titolo: "La realtà di fronte":

    R. - Ci sono due termini che definiscono molto bene il lavoro di Robert Capa. Il primo è il coraggio che è la dimensione fondamentale per capire tutto il suo lavoro. In effetti, fin dalla prima sua esperienza bellica - la Guerra civile spagnola, dove partecipò direttamente - Robert Capa fu sempre in prima linea. Altro elemento estremamente significativo che permette di capire proprio la profondità del suo lavoro è ricollegabile ad una parola: amore. In tutto il suo lavoro infatti c’è questa forte componente di vicinanza rispetto a tutte quelle persone che ritraeva con la sua macchina, ma che erano vittime di quelle sciagure belliche.

    D. - Che tipo di sguardo era quello di Robert Capa, che cosa destava il suo interesse e cosa voleva dire con i suoi scatti?

    R. - C’era sempre in lui questa volontà di ritrarre l’anima più profonda che univa tutte le persone che ovviamente erano coinvolte all’interno di un conflitto bellico. Quindi, c’è una precisa sensibilità di avvicinarsi il più possibile: una vicinanza dal punto di vista fisico, perché con la macchina fotografica si avvicinava molto al fronte; contemporaneamente anche una vicinanza per quanto riguarda i sentimenti che in quel momento quelle persone vivevano.

    D. - Partecipazione alle persone e agli eventi che gli ha fatto fare con coraggio, come diceva appunto lei, azioni spericolate che hanno poi portato anche alla morte stessa di Robert Capa…

    R. - Nel 1954 - aveva solo 40 anni - viene invitato in Giappone per l’avvio di un progetto fotografico e lì riceve la telefonata da parte della rivista americana Life - con cui collaborava ormai da molti anni - che lo invitava per un mese a sostituire un collega in Indocina. Lui decide di partire e di recarsi in Indocina. E lì, il 25 maggio del 1954, perderà la vita camminando all’interno di una distesa dietro ad un convoglio militare e calpestando una mina antiuomo.

    D. - Può descriverci una o due foto tra le più interessanti della mostra?

    R. - Sicuramente la prima è “Morte del miliziano spagnolo”: fotografia scattata accidentalmente nel 1937 in cui Robert Capa, che si trovava all’interno di una trincea, sente il rumore di alcuni spari, alza la macchina fotografica sopra la sua testa e scatta alcune fotografie. Quando, poi sviluppa queste fotografie, si accorge di aver ritratto il momento in cui un soldato repubblicano spagnolo viene colpito, proprio nell’istante in cui perde la vita. E’ una fotografia estremamente importante, di cui si è discusso molto sulla veridicità. Da una serie di approfondite ricerche e studi oggi siamo certi che quella foto è stata un momento decisivo, reale, di verità. Un’altra fotografia, forse meno conosciuta dal grande pubblico, è una fotografia di Ingrid Bergman: nel 1945 - al termine della Seconda Guerra mondiale - all’hotel Ritz conosce questa straordinaria donna e da lì inizia una storia d’amore. L’attrice svedese invitò poi Robert Capa a spostarsi ad Hollywood e lì lui realizza una serie di fotografie all’interno del set cinematografico “Notorious” di Hitchcock, dove una delle protagoniste era appunto Ingrid Bergman.

    D. - A Villa Manin oltre alla mostra, per tutto il periodo si susseguono incontri con studiosi, fotografi, registi… un calendario molto ricco fino a gennaio…

    R. - Sì, la nostra volontà non era fermarci esclusivamente al percorso espositivo ma creare una vera e propria “piattaforma” di approfondimento, legata alla vita ed al lavoro di Robert Capa. Ecco che quindi, in queste settimane ci saranno una serie di appuntamenti, di approfondimenti, di proiezioni di documentari. Ne cito uno per tutti: alcune settimane fa abbiamo avuto il grande fotografo italiano Mario Rionero che ha discusso di questa celebre fotografia di cui accennavo che è “Morte del miliziano spagnolo”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Sud Sudan. Appello dei leader religiosi a fermare la violenza

    ◊   “Qualsiasi cosa sia accaduta negli ultimi giorni a Juba, siamo molto preoccupati per le conseguenze”: lo scrivono i leader religiosi del Sud Sudan in un messaggio diffuso oggi mentre la situazione in città – teatro di scontri armati dalla notte di domenica – non è ancora tornata alla normalità. “C’è un problema politico all’interno dell’Splm, sottolineano i religiosi, che non andrebbe trasformato in uno scontro etnico. Purtroppo, sul terreno, questo sta già accadendo. Ma è una deriva che va fermata prima che sia troppo tardi”. I vescovi affermano che “la riconciliazione tra i leader politici è necessaria” e che “la violenza non è in alcun modo accettabile come mezzo per risolvere le controversie”. “Siamo preoccupati dall’insicurezza crescente. Oggi avrebbe dovuto essere un giorno come tanti altri e invece combattimenti, uccisione e saccheggi sono tuttora in corso. L’esercito dev’essere controllato. Chiediamo alle forze di sicurezza, che sono i nostri fratelli, i nostri figli e i nostri cari, di esercitare il massimo autocontrollo nel rispetto dei civili” prosegue il messaggio. “Esortiamo i civili a restare calmi e a rimanere in luoghi sicuri” insistono i prelati, appellandosi alle Nazioni Unite e alle ong sul posto “perché assicurino assistenza umanitaria agli sfollati”. “Quest’anno il Natale si preannuncia diverso da come ci aspettavamo” conclude il testo del messaggio, letto alla televisione nazionale e alla radio dall’arcivescovo di Juba Paulino Lukudu Loro a nome dei rappresentanti delle chiese sud sudanesi, che invita a “pregare per la pace, riconciliazione e guarigione del nostro giovane Paese”. (R.P.)

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    Mali: alle legislative maggioranza assoluta per la coalizione di governo

    ◊   Il partito del presidente Ibrahim Boubacar Keita e dei suoi alleati ha ottenuto la maggioranza assoluta alle elezioni legislative, il cui secondo turno si è svolto domenica. Lo riferiscono risultati provvisori pubblicati nella serata di ieri dalla Commissione elettorale nazionale secondo cui il Raggruppamento per il Mali (Rpm) si assicura circa 60 seggi sui 147 dell’Assemblea Nazionale e i suoi alleati, tra cui l’Alleanza per la democrazia in Mali (Adema), ne ottengono più di 50 per un totale complessivo di 115 seggi. Dal canto suo, l’Unione per la Repubblica e la democrazia (Urd) dell’oppositore Soumalia Cissé, battuto al ballottaggio per le presidenziali, l’11 agosto, da Keita avrà a disposizione tra i 17 e 19 rappresentanti. Il tasso di adesione al voto – riferisce ancora la commissione – si è attestato al 37,2%, un leggera diminuzione rispetto al primo turno del 24 novembre quando aveva raggiunto il 38,6% degli aventi diritto. Secondo gli osservatori elettorali dell’Unione Europea il secondo turno delle legislative – un appuntamento cruciale nel processo di archiviazione della transizione seguita al colpo di stato militare del marzo 2012 – si è tenuto “in conformità con le norme internazionali”. (R.P.)

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    Somalia: a Mogadiscio sei medici uccisi in un agguato

    ◊   Sei medici, tre siriani e tre somali, sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco in un agguato alle porte di Mogadiscio. Lo riferiscono fonti locali secondo cui i dottori sono caduti in un’imboscata mentre si recavano alla clinica di Afgoye, una trentina di chilometri a sud della capitale. Nell’attacco sarebbero rimaste uccise anche due guardie del corpo mentre altri due medici, un somalo e un siriano risultano feriti. Esponenti dell’insurrezione al Shabaab, in armi contro il governo centrale, avrebbero smentito ogni coinvolgimento nella vicenda, una drammatica testimonianza della persistente insicurezza nel Paese, infestato da bande armate e gruppi criminali. Nell’agosto scorso, dopo una presenza ultraventennale nel Paese, l’organizzazione Medici Senza Frontiere (Msf) annunciò la chiusura dei suoi programmi in Somalia in seguito agli “attacchi indiscriminati contro il proprio personale”. Msf rivolse pesanti accuse alle autorità di Mogadiscio “che tollerano e in qualche modo sostengono il brutale assassinio e i sequestri di operatori umanitari”. (R.P.)

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    Filippine: proteggere i diritti dei bambini vulnerabili e aiutarli a tornare a scuola

    ◊   I bambini sono la fascia della popolazione più vulnerabile alla violenza, allo sfruttamento e all’abuso e necessitano di maggior tutela. Ad un mese dal passaggio del Tifone Haiyán, Plan Internacional, una delle ong internazionali più grandi al mondo che si occupa di salvaguardare i diritti dell’infanzia, sta collaborando con lo Stato filippino per un programa di recupero previsto per i prossimi 5 anni. L’ong mantiene, dalla Spagna, una campagna di raccolta fondi per alleviare le necessità più impellenti degli oltre 5 milioni di bambini e bambine rimasti vittime di questo disastro senza precedenti. Attualmente i minori sfollati sulle isole sono 8 milioni esposti a violenza, sfruttamento, abuso e negligenza. L’ong ha istituito vari “Spazi Amici dell’Infanzia”, sostenuti dal personale e dai volontari che si occupano di offrire ai piccoli un luogo dove giocare, imparare, ricevere aiuti psicologici e potersi rendere conto di quanto accaduto, ma in un ambiente sicuro. Obiettivo prioritario è protegere i diritti dell’infanzia e aiutare i piccoli a tornare a scuola. Purtroppo, a causa dell’emigrazione di molti genitori in cerca di lavoro fuori dalle zone colpite, sta aumentando il fenomeno del traffico di minori. Molte famiglie sono rimaste prive di ogni mezzo di sussitenza. Le piantagioni di noci di cocco erano una delle principali fonti di guadagno nel Samar dell’est, dove il tifone ha distrutto tutto e ci vorranno tra 8 e 10 anni prima dei prossimi raccolti. Tutte le agenzie di Plan Filipinas sul luogo, oltre a 40 mila beneficiari dei progetti dell’organizzazione, sono stati colpiti in 4 province (Samar Est, Samar Ovest, Cebu e Leyte). Ogni anno, una media di 20 tifoni colpiscono l’isola asiatica, dei quali due o tre devastanti. Haiyan, è stato il più forte del 2013. Fondata circa 76 anni fa in Spagna, la ong Plan Internacional è presente in 69 Paesi portando aiuti direttamente a 84 milioni di bambini e bambine attraverso 9 mila progetti diffusi in 50 Paesi dell’Africa, America e Asia. E’ impegnata nelle Filippine dal 1961, con progetti dei quali attualmente beneficiano oltre 420 comunità di tutto il Paese, che vedono coinvolte oltre 80 mila famiglie. (R.P.)

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    Perù: alla religiosa impegnata con le donne dell’Amazzonia, il premio dei Diritti umani

    ◊   Suor María del Carmen Gomez Calleja, della Congregazione di San Giuseppe, ha ricevuto il Premio nazionale dei Diritti Umani 2013, mentre il sacerdote Gerald Veilleux è stato nominato per il Premio Speciale assegnato ogni anno dalla Commissione nazionale dei Diritti umani del Perù. I premi - riferisce l'agenzia Fides - sono stati consegnati in occasione della Giornata Universale dei Diritti Umani, come atto di riconoscimento per coloro che svolgono un duro lavoro nella difesa dei diritti fondamentali in Perù. La missionaria spagnola lavora nel vicariato di San Francisco, a Bagua, nella foresta nord del Perù. La nota inviata all’agenzia Fides riferisce che suor Maricarmen si è rifiutata di firmare un rapporto ufficiale che presentava delle irregolarità sul conflitto sociale in Bagua; ancora oggi lei continua a lavorare per chiarire gli eventi e le responsabilità politiche che hanno dato origine al tragico conflitto soprannominato "Baguazo" in cui morirono una trentina di persone. Da 45 anni la Congregazione di S. Giuseppe accompagna i popoli indigeni dell'Amazzonia peruviana, a Bagua, e da allora è impegnata nella promozione delle donne indigene Awajun. Suor Maria del Carmen lavora in questa regione da sei anni, e ritiene che la sua esperienza "faccia parte di questa bella storia, in cui la donna Awajún che presenta alcune caratteristiche tipiche della cultura del popolo indigeno amazzonico, è oggi una donna istruita. Le donne insegnanti del nostro centro educativo sono state prima studenti in questo luogo, e quindi il contatto con questa cultura è parte di questo popolo". (R.P.)

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    Messico: vivere le “posadas” come occasione di evangelizzazione e convivenza

    ◊   La Conferenza episcopale del Messico (Cem) ha invitato a vivere pienamente il tempo delle "posadas" perché siano un momento di fraternità e di incontro con Dio. Secondo alcuni storici, nel 1587 Papa Sisto V autorizzò la celebrazione nella “Nuova Spagna” delle Messe in preparazione al Natale, da celebrare dal 16 al 24 dicembre davanti alle chiese (o nel cortile). Alla fine della Messa si preparava una rassegna di canzoni e delle rappresentazioni sceniche sul Natale. L'obiettivo era quello di evangelizzare gli indigeni. Col passare del tempo sono stati distinti tre momenti precisi: la preghiera (a volte il Rosario); una piccola processione durante la quale la gente (specie i più piccoli) chiedono “posada”, cioè cercano alloggio come Maria e Giuseppe, bussando alle case che incontrano lungo il percorso, mentre la gente canta inni religiosi o natalizi; infine il terzo momento è l’arrivo del corteo al luogo della festa, dove si mangia e si gioca a rompere la "piñata". Le sette punte della piñata rappresentano i sette peccati capitali (superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia e accidia). I loro colori vivaci indicano che il peccato può sembrare attraente. Il coprire gli occhi a colui che prova a rompere la piñata dimostra che uno può essere guidato dalla fede e quindi essere cieco al peccato. Il bastone rappresenta il Vangelo, con il quale si distrugge il peccato. I partecipanti, che devono guidare ad indirizzate chi dove colpire la piñata, rappresentano la Chiesa. Rompere la piñata simboleggia la grazia di Dio effusa per distruggere il peccato. I vescovi messicano invitano a vivere anche oggi le posadas secondo lo spirito con cui vennero create, come occasione di “incontro con Dio e sana convivenza con i familiari, gli amici e i vicini di casa, per vivere insieme nell'amore, che è comprensione, giustizia, servizio, solidarietà, perdono e riconciliazione". La nota inviata all’agenzia Fides riporta che le "Posadas 2014" secondo la tradizione messicana si celebrano dal 16 al 24 dicembre. Il Segretario generale della Conferenza episcopale, il vescovo ausiliare di Puebla mons. Eugenio Lira, ricordando che queste hanno un significato "profondo e prezioso", raccomanda di recuperarle e viverle insieme. (R.P.)

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    Germania. Mons. Zollitsch su nuovo governo Merkel: "Cooperazione con le Chiese"

    ◊   Il Presidente della Conferenza episcopale tedesca (Dbk), mons. Robert Zollitsch, si è congratulato con Angela Merkel per la sua rielezione a cancelliera. Con una lettera diffusa ieri, mons. Zollitsch ha espresso soddisfazione per le affermazioni contenute nel patto di coalizione sul rapporto tra Stato e Chiesa: “È un buon segno che si faccia espressamente riferimento all’impronta cristiana del nostro Paese”, scrive l’arcivescovo. È inoltre incoraggiante il fatto che “i partner di coalizione considerino il diritto ecclesiastico come base idonea per una cooperazione paritaria con le comunità religiose”. Zollitsch - riporta l'agenzia Sir - ha offerto al governo il sostegno dei vescovi su temi quali la politica per le famiglie, la svolta energetica e sulle questioni etiche: “In questo ambito le chiedo non solo di ascoltare la competenza delle Chiese”, ma anche di tener conto della loro voce nella valutazione di questioni spesso complesse”. Il presidente del Consiglio evangelico della Chiesa tedesca (Ekd), Nikolaus Schneider, ha dal canto suo parlato di “grande fiducia” della gente nell’operato finora compiuto. Per Schneider “Merkel merita rispetto e gratitudine”. (R.P.)

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    Londra: firmato decreto del Seminario Redemptoris Mater del Cammino neocatecumenale

    ◊   L’arcivescovo della diocesi londinese di Westminster, mons. Vincent Nichols, ha firmato il decreto ufficiale con il quale si stabilisce definitivamente il Seminario missionario Redemptoris Mater del Cammino neocatecumenale. La firma ha avuto luogo insieme agli iniziatori e responsabili del Cammino neocatecumenale Kiko Argüello, Carmen Hernández e il presbitero Mario Pezzi e altri responsabili di questa realtà ecclesiale, durante un incontro al quale hanno preso parte quasi 2mila persone. Dopo 20 anni di collaborazione tra il seminario diocesano Allen Hall e il Cammino neocatecumenale, Westminster ha voluto fare questo importantissimo passo. La diocesi ha spiegato che in questi anni «ha assistito a un’enorme crescita della fiducia e comprensione reciproca nella formazione di coloro che si sentono chiamati al sacerdozio, apprezzando profondamente la forza dell’itinerario formativo del Cammino Neocatecumenale e delle sue comunità". L’accordo stabilisce che il Seminario, come tutti i Redemptoris Mater, ha un carattere fortemente missionario che prepara i sacerdoti la cui vocazione e vita cristiana si nutre del Cammino, per essere così preparati a servirlo non solo come sacerdoti della diocesi di Westminster bensì come risposta alle richieste e inviti della nuova evangelizzazione nei Paesi di tutto il mondo. Inoltre, "tale accordo stabilisce le basi per una generosa partecipazione della diocesi di Westminster alla 'missio ad gentes', fondamentale nella visione del Cammino neocatecumenale, nel quale l’appoggio delle famiglie del Cammino gioca un ruolo fondamentale", ha affermato la diocesi in un comunicato. "La firma di tali accordi e la creazione del seminario Redemptoris Mater è il frutto di questi anni di collaborazione e si tratta di un passo realmente importante nello sviluppo di questa cooperazione tra le diocesi e il Cammino neocatecumenale".

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 352

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