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Sommario del 16/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: quando nella Chiesa manca la profezia, c'è il clericalismo
  • Tweet del Papa: non ci rassegniamo a un Medio Oriente senza cristiani, preghiamo ogni giorno per la pace
  • Il card. Marc Ouellet confermato dal Papa alla guida della Congregazione per i Vescovi
  • Il Papa riceve il nuovo ambasciatore di Corea per la presentazione delle Lettere Credenziali
  • Musicare il "Padre nostro": il card. Ravasi presenta il Concorso internazionale "Francesco Siciliani"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nuova strage di bambini in Siria. Villaggio cristiano occupato dagli islamisti
  • Germania, firmato l'accordo di grande coalizione
  • La crisi in Ucraina. Bruxelles non chiude la porta all'associazione di Kiev all'Ue
  • Afghanistan, nel 2014 il ritiro delle forze internazionali. Le reazioni della società civile
  • I Forconi si dividono sulla manifestazione a Roma. Mons. Bregantini: ascoltare il grido del disagio
  • Lunedì nero per i contribuenti italiani. Belletti: tasse su tasse, si torni a investire sulla famiglia
  • Continua a crescere nelle scuole italiane il numero degli alunni con disabilità
  • Immigrazione: in Italia c'è più attenzione da parte dei media
  • Premio “Giuseppe De Carli” alla comunità di Lampedusa: consegna a Roma al sindaco Nicolini
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Caritas Libano: "Migliaia di profughi siriani rischiano di morire per gelo e neve"
  • Siria. L'arcivescovo Nassar: migliaia di bambini siriani sotto le tende come nella stalla di Betlemme
  • Siria. Rapporto sull'istruzione: 3 milioni di bambini senza scuola
  • Sud Sudan, il presidente Kiir: sventato un golpe
  • Centrafrica, appello di mons. Nzapalainga: i cristiani non cedano alla vendetta
  • Filippine: superata l'emergenza. Salito a 6.000 il bilancio delle vittime
  • India. A Mumbai dissacrato un antico crocifisso. Card. Gracias: una ferita per tutta la popolazione
  • Haiti. Messaggio dei vescovi: "molte famiglie continuano a fuggire rischiando la vita”
  • Messico: i vescovi di Veracruz chiedono la fine della violenza e invitano alla solidarietà con Tuxpan
  • Thailandia: la crisi continua, non si attenua la tensione
  • Giappone. I vescovi: con la legge sul segreto di Stato, il governo tradisce la Costituzione
  • Taizé: 20mila giovani a Strasburgo per l'incontro europeo della speranza
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: quando nella Chiesa manca la profezia, c'è il clericalismo

    ◊   Quando manca la profezia nella Chiesa, manca la vita stessa di Dio e ha il sopravvento il clericalismo: è quanto ha affermato Papa Francesco stamani nella Messa presieduta a Santa Marta nel terzo lunedì d’Avvento. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Il profeta – ha affermato il Papa commentando le letture del giorno – è colui che ascolta le parole di Dio, sa vedere il momento e proiettarsi sul futuro. “Ha dentro di sé questi tre momenti”: il passato, il presente e il futuro:

    “Il passato: il profeta è cosciente della promessa e ha nel suo cuore la promessa di Dio, l’ha viva, la ricorda, la ripete. Poi guarda il presente, guarda il suo popolo e sente la forza dello Spirito per dirgli una parola che lo aiuti ad alzarsi, a continuare il cammino verso il futuro. Il profeta è un uomo di tre tempi: promessa del passato; contemplazione del presente; coraggio per indicare il cammino verso il futuro. E il Signore sempre ha custodito il suo popolo, con i profeti, nei momenti difficili, nei momenti nei quali il Popolo era scoraggiato o era distrutto, quando il Tempio non c’era, quando Gerusalemme era sotto il potere dei nemici, quando il popolo si domandava dentro di sé: ‘Ma Signore tu ci ha promesso questo! E adesso cosa succede?’”.

    E’ quello che “è successo nel cuore della Madonna – ha proseguito Papa Francesco - quando era ai piedi della Croce”. In questi momenti “è necessario l’intervento del profeta. E non sempre il profeta è ricevuto, tante volte è respinto. Lo stesso Gesù dice ai Farisei che i loro padri hanno ucciso i profeti, perché dicevano cose che non erano piacevoli: dicevano la verità, ricordavano la promessa! E quando nel popolo di Dio manca la profezia – ha osservato ancora il Papa - manca qualcosa: manca la vita del Signore!”. “Quando non c’è profezia la forza cade sulla legalità”, ha il sopravvento il legalismo. Così, nel Vangelo i “sacerdoti sono andati da Gesù a chiedere la cartella di legalità: ‘Con quale autorità fai queste cose? Noi siamo i padroni del Tempio!’”. “Non capivano le profezie. Avevano dimenticato la promessa! Non sapevano leggere i segni del momento, non avevano né occhi penetranti, né udito della Parola di Dio: soltanto avevano l’autorità!”:

    “Quando nel popolo di Dio non c’è profezia, il vuoto che lascia quello viene occupato dal clericalismo: è proprio questo clericalismo che chiede a Gesù: ‘Con quale autorità fai tu queste cose? Con quale legalità?’. E la memoria della promessa e la speranza di andare avanti vengono ridotte soltanto al presente: né passato, né futuro speranzoso. Il presente è legale: se è legale vai avanti”.

    Ma quando regna il legalismo, la Parola di Dio non c’è e il popolo di Dio che crede, piange nel suo cuore, perché non trova il Signore: gli manca la profezia. Piange “come piangeva la mamma Anna, la mamma di Samuele, chiedendo la fecondità del popolo, la fecondità che viene dalla forza di Dio, quando Lui ci risveglia la memoria della sua promessa e ci spinge verso il futuro, con la speranza. Questo è il profeta! Questo è l’uomo dall’occhio penetrante e che ode le parole di Dio”:

    “La nostra preghiera in questi giorni, nei quali ci prepariamo al Natale del Signore, sia: ‘Signore, che non manchino i profeti nel tuo popolo!’. Tutti noi battezzati siamo profeti. ‘Signore, che non dimentichiamo la tua promessa! Che non ci stanchiamo di andare avanti! Che non ci chiudiamo nelle legalità che chiudono le porte! Signore, libera il tuo popolo dalla spirito del clericalismo e aiutalo con lo spirito di profezia’”.

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    Tweet del Papa: non ci rassegniamo a un Medio Oriente senza cristiani, preghiamo ogni giorno per la pace

    ◊   Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: “Non ci rassegniamo a pensare a un Medio Oriente senza i cristiani – scrive - Preghiamo ogni giorno per la pace”.

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    Il card. Marc Ouellet confermato dal Papa alla guida della Congregazione per i Vescovi

    ◊   Il Papa ha confermato il cardinale Marc Ouellet quale prefetto della Congregazione per i Vescovi. Il porporato canadese, 69 anni, arcivescovo emerito di Québec, era stato nominato nel 2010 alla guida del dicastero da Benedetto XVI.

    Papa Francesco ha quindi nominato membri della Congregazione per i Vescovi i cardinali Francisco Robles Ortega, arcivescovo di Guadalajara (Messico); Donald William Wuerl, arcivescovo di Washington (Stati Uniti d'America); Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotá (Colombia); Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani; João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica; e i monsignori: Pietro Parolin, arcivescovo tit. di Acquapendente, segretario di Stato; Beniamino Stella, arcivescovo tit. di Midila, prefetto della Congregazione per il Clero; Lorenzo Baldisseri, arcivescovo tit. di Diocleziana, segretario Generale del Sinodo dei Vescovi; Vincent Gerard Nichols, arcivescovo di Westminster (Gran Bretagna); Paolo Rabitti, arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio (Italia); Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve (Italia); Felix Genn, vescovo di Münster (Germania);

    Quindi, ha confermato membri del dicastero i cardinali Tarcisio Bertone, Zenon Grocholewski, George Pell, Agostino Vallini, Antonio Cañizares Llovera, André Vingt-Trois, Jean-Louis Tauran, William Joseph Levada, Leonardo Sandri, Giovanni Lajolo, Stanislaw Rylko, Francesco Monterisi, Santos Abril y Castelló, Giuseppe Bertello, Giuseppe Versaldi; e i monsignori: Claudio Maria Celli, José Octavio Ruiz Arenas, Zygmunt Zimowski. Il Papa ha confermato i consultori del dicastero.

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    Il Papa riceve il nuovo ambasciatore di Corea per la presentazione delle Lettere Credenziali

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: il sig. Francesco Kyung-surk Kim, ambasciatore di Corea presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali. Inoltre, ha ricevuto: il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; mons. Jan Romeo Pawłowski, arcivescovo tit. di Sejny, nunzio apostolico nella Repubblica del Congo e in Gabon.

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    Musicare il "Padre nostro": il card. Ravasi presenta il Concorso internazionale "Francesco Siciliani"

    ◊   Dopo lo straordinario successo dell’edizione 2012 con oltre duecento partiture arrivate dai cinque continenti, torna, nella 69.ma Sagra musicale umbra del prossimo settembre sul tema “Libertà”, il Concorso internazionale di composizione per un’opera di musica sacra,“Premio Francesco Siciliani”. A presentare il concorso a Roma, il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi, in collaborazione con la Fondazione Perugia Musica classica. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Una composizione per coro con o senza organo, della durata massima di 15 minuti da presentare entro il primo giugno 2014, sul testo della preghiera più squisitamente cristiana, quella del "Padre nostro". E’ questa la base della prossima edizione del Concorso internazionale di composizione che il cardinale Gianfranco Ravasi promuove e sostiene:

    “Uno dei grandi problemi, a partire dal Concilio Vaticano II, è proprio quello di trovare nuove forme espressive, anche del canto popolare. Forse questa potrebbe essere una delle tappe faticose, che dobbiamo percorrere, per riuscire ad avere buona musica - musica qualificata, secondo, però, la grammatica e lo stile contemporaneo – e, dall’altra parte, l’atmosfera sacra, propria della liturgia”.

    Il 13 settembre, nella serata finale, la composizione vincitrice sarà eseguita nella Basilica superiore di Assisi dal Coro della cattedrale di Stoccolma, diretto da Gary Graden. L’eccellenza del luogo, degli interpreti, e anche della giuria internazionale, presieduta dal polacco Krzysztof Penderecki, per un testo che, ha voluto sottolineare il cardinale Ravasi, può diventare l’invocazione dell’intera umanità, che attende dal cielo una mano che allevi le sue paure e il suo vuoto:

    “Il Padre nostro, forse, possiamo veramente dire che sia la preghiera della riscoperta di un Padre, che si impegna sia per rivestire i suoi figli nella concretezza dell’esistenza, ma anche per andare fino all’interiorità profonda dei loro cuori”.

    “Sed Libera nos a Malo”: l’ultimo verso del "Padre nostro", testo del Concorso, ha ispirato quest’anno anche il tema della Sagra musicale umbra, che sarà la libertà, investigato attraverso i secoli, nei suoi molteplici aspetti, come anticipa il direttore artistico della Sagra, Alberto Batisti:

    R. - Per esempio, il tema della liberazione di un popolo, come ‘Israele in Egitto’ di Händel, che è uno dei più grandi oratori della storia e che racconta una storia di liberazione: il passaggio del Mar Rosso; ma anche questa intonazione di Poulenc delle poesie di Eluard in ‘Figure humain’, dove c’è questa meravigliosa lirica ‘liberté j'écris ton nom’, che Poulenc scrive durante la Seconda Guerra Mondiale. C’è anche un Coro di Britten, ma non so se riuscirò a farlo, che si chiama ‘Advance democracy’. Vorrei anche dare qualche assaggio almeno, un esempio di cori rivoluzionari del periodo della Rivoluzione francese, cori però d’autore. Sono tutti, infatti, cori importanti, di celebrazioni per le vittorie o l’esaltazione del lavoro, dell’agricoltura...

    D. – Quindi, libertà dall’oppressione, libertà dal male in senso più lato possibile...

    R. – In senso più lato possibile, anche storicamente. Vedere cioè momenti critici in cui questo tema della libertà è apparso, anche in musica, rivelando una ferita, un sanguinare, ripreso e interpretato dall’artista in questo caso. Così come anche mi piacerebbe dare un segnale ovviamente di quello che per tutti noi musicisti è il primo grande cantore della libertà: Beethoven. Un qualcosa di Beethoven ci dovrà essere per forza, variando le epoche, variando i linguaggi, variando i contesti, altrimenti diventa un Festival monotematico.

    Libertà, tema delicato e complesso per il cristiano, sarà al centro della Lectio magistralis che lo stesso cardinale Guanfranco Ravasi terrà il giorno della finale del concerto a Perugia, il 13 settembre:

    “La libertà sostanzialmente ha due aspetti: è una ‘libertà da’, cioè far cadere dalle spalle l’oppressione, ma è ‘libertà per’, soprattutto, cioè una libertà con una meta. La persona libera è colei che crea, non soltanto colei che è libera da un’oppressione, da un’imposizione. Il dramma della società contemporanea sta proprio nel fatto che non ci siano grandi oppressioni politiche, ci sono – è vero – oppressioni mediatiche eventualmente, ma soprattutto, alla fine, c’è un grande vuoto. Non c’è un grande senso da dare alla propria esistenza, e questa è la libertà più importante da ricostruire”.

    Confermati anche in questa seconda edizione del Concorso internazionale di musica sacra i due premi collaterali: quello della critica e del pubblico presente nella Basilica Superiore di Assisi, nella serata finale.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Nella casa della gioia: all'Angelus il Papa invita i fedeli a rallegrarsi per il Natale ormai vicino.

    Alla ricerca dei talenti: l'incontro del Pontefice con la comunità di Villa Nazareth.

    Un punto di svolta: Piero Di Domenicantonio sulle novità e sul restyling del sito del giornale ().

    Nell'informazione internazionale, in rilievo la situazione in Sud Sudan: si inasprisce lo scontro tra le fazioni rivali.

    Dio apre sempre le porte: in cultura, l'intervista rilasciata da Papa Francesco al quotidiano La Stampa.

    Non è più solo nostro: Silvia Guidi a colloquio con Julio Rimoldi, direttore generale di Canal 21, l'emittente televisiva dell'arcidiocesi di Buenos Aires.

    Era simpatico persino a Voltaire: Pedro Aliaga Asensio sulla morte, otto secoli fa, di san Giovanni de Matha, fondatore dei trinitari.

    Per combattere le moderne schiavitù: iniziative dell'episcopato negli Stati Uniti per la protezione dei migranti e della libertà religiosa.

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    Oggi in Primo Piano



    Nuova strage di bambini in Siria. Villaggio cristiano occupato dagli islamisti

    ◊   La Siria è stata teatro ieri dell’ennesima strage di bambini, avvenuta ad Aleppo. Intanto si teme per la sorte di duemila cristiani, in trappola nel loro villaggio, nei pressi di Idlib. Il servizio è di Salvatore Sabatino:

    Aumenta con il passare delle ore il bilancio delle vittime causate dal bombardamento dell’aviazione governativa che ieri ha interessato i quartieri Est di Aleppo, occupati dai ribelli. I morti sarebbero oltre 80, tra i quali figurano 28 bambini. Una nuova strage di innocenti, dunque, per questa guerra che da quasi 3 anni insanguina il Paese; e che non risparmia davvero nessuno. Un conflitto che mette in canna i suoi colpi peggiori, causa di un’ondata di profughi senza precedenti: le Nazioni Unite stimano che entro la fine del 2014 saranno 4,1 milioni le persone che si riverseranno in Libano, Giordania, Turchia, Iraq ed Egitto. A questi vanno aggiunti i 9 milioni che all’interno della Siria avranno bisogno di aiuti, per i quali ci vorranno almeno 6,5 miliardi di dollari. Previsioni catastrofiche, insomma, che non tralasciano il dramma quotidiano vissuto dai civili. Assolutamente preoccupante, ad esempio, quanto sta avvenendo nel villaggio di Kanaye, nella zona di Idlib, dove duemila cristiani sono tenuti sotto scacco da gruppi di miliziani di Al Nusra e Salafiti. In base a testimonianze raccolte sul posto i qaidisti avrebbero ordinato alla popolazione di adeguarsi alla legge coranica. Se anche una sola donna dovesse uscire senza il velo islamico, tutti gli abitanti del villaggio sarebbero passati per le armi. Si teme, a questo punto, che dalle minacce si passi ai fatti, e che il mondo viva, impotente, un’altra terribile strage di civili inermi.

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    Germania, firmato l'accordo di grande coalizione

    ◊   In Germania, è stato firmato oggi l’accordo di grande coalizione per la formazione del prossimo governo guidato dal cancelliere, Angela Merkel. Dopo l’ufficializzazione dell’intesa tra i leader dell’Unione Cristiano Democratica (Cdu), dell’Unione Cristiano Sociale (Csu) e del Partito Socialdemocratico (Spd), domani la rielezione formale della Merkel a capo dell’esecutivo. Ma quale la ricaduta per l’Europa della nuova compagine di governo tedesca? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Adriana Cerretelli, corrispondente a Bruxelles per il Sole 24 Ore:

    R. - Purtroppo non ci saranno grandi ricadute per l’Europa, perché l’accordo di grande coalizione – almeno così come è stato concepito – prevede certamente ricadute positive sulla situazione economico sociale tedesca. Per esempio, prevede il salario minimo, quindi una cerca flessibilità nella gestione della politica economica, con sensibilità sociale che prima non era prevista; mentre, per quello che riguarda l’Europa il rigore previsto nella gestione della governance europea resterà. Non si parla naturalmente di eurobond, non si parla di esposizione in nessun modo di tipo solidaristico nell’unione bancaria - che dovrebbe decollare alla fine dell’anno prossimo – perché, che siano di destra o di sinistra, i tedeschi non vogliono rischiare nulla per le economie del Sud. Questo è il messaggio che viene da questo nuovo accordo di grande coalizione per l’Europa.

    D. – Questo accordo indica comunque che la posizione della Merkel è politicamente più debole rispetto al passato?

    R. – Sì e no. Nel senso che la Merkel comunque per la terza volta è stata rieletta alla Cancelleria, non ce l’ha fatta per un soffio ad avere la maggioranza assoluta; ha dovuto naturalmente allearsi con la Fpd ma la Fpd, per quello che riguarda la crescita e la gestione della politica europea, si dimostra perfettamente in linea con la Merkel. Quindi, la Merkel, sotto questo aspetto, non esce per nulla indebolita da questo accordo.

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    La crisi in Ucraina. Bruxelles non chiude la porta all'associazione di Kiev all'Ue

    ◊   La crisi politica Ucraina in primo piano al Consiglio Europeo degli Affari esteri di Bruxelles, che lascia aperta la porta all’associazione. Ieri la “sospensione” dei lavori dell’Ue per arrivare alla firma di un accordo tra Kiev e l'Unione. Intanto oggi il presidente ucraino Yanukovich è a Mosca per l’incontro con il suo omologo russo Putin. Massimiliano Menichetti:

    Le pressioni filo-europeiste continuano a Kiev nonostante ieri il commissario europeo all'Allargamento, Stefan Fuele, abbia gelato la piazza ribadendo che Bruxelles ha sospeso i negoziati sull'Accordo di associazione. Per Fuele le dichiarazioni e le azioni dell’Ucraina sono contraddittorie. Oggi il premier ucraino, Mykola Azarov - mentre il presidente Viktor Yanukovich è a Mosca per incontrare, l’omologo, Vladimir Putin - ha dichiarato che il suo Paese ''ha fatto la sua scelta di procedere per l'integrazione” con il Vecchio Continente. Ma la situazione tutt’altro che chiara ha richiamato l’attenzione del Consiglio Europeo degli Affari esteri di Bruxelles. I capi dicastero non chiudono all'accordo di associazione con Kiev anzi sottolineano che "se c'è un messaggio univoco da Kiev”, la firma potrebbe essere immediata. Intanto l'Alto Rappresentate degli Affari esteri della Ue, Catherine Ashton, ha assicurato che “non ci sono rischi di deterioramento di rapporti con la Russia”.

    Per un'analisi della situazione abbiamo raccolto il commento di Luigi Geninazzi, inviato speciale di Avvenire ed esperto dell'area:

    R. – Siamo in una situazione parecchio confusa, anche se ci sono almeno due aspetti più leggibili. Il primo è che il presidente Jakunovic, accingendosi a firmare l’accordo per l’associazione all’Unione Europea, ritirandosi poi all’ultimo minuto, ha fatto capire che è un po’ sottoscacco da parte di Putin, da parte del Cremlino: quello che chiede, anche come aiuto finanziario, all’Unione Europea non può ottenerlo, mentre Putin è pronto a scaglionare l’elevato debito che l’Ucraina ha per il gas con la Russia e ad agevolarla finanziariamente, dandole aiuti economici. Quindi è chiaro che Jakunovic sta cercando di giocare un po’ su due tavoli, ma il problema è che c’è un terzo tavolo - che è ancora più tra ballante - che è quello della politica interna. Stiamo assistendo ad un revival della Rivoluzione arancione di 9 anni fa: il presidente Jakunovic è contestato a tutti i livelli da una gran parte della popolazione e quindi è chiaro che il discorso dell’adesione o meno all’Unione Europea è un motivo di polemica in un contesto di mancanza di libertà, di corruzione crescente, di inefficienza delle strutture pubbliche, di crisi dell’economia ucraina. Nella maggioranza della popolazione ucraina si vede l’Europa come un approdo di benessere, un traguardo di democrazia soprattutto e di sicurezza.

    D. – Sono giorni in cui si continua a parlare di rimpasto di governo in Ucraina: questo potrebbe cambiare la situazione?

    R. – No, io non credo perché è un Paese che è sempre stato diviso in due tra quelli che guardano ad Occidente e quelli che invece guardano a Mosca. Questa situazione, che poteva essere un problema – diciamo culturale – è diventato un lacerante problema politico, sociale ed economico proprio per la posizione del presidente Jakunovic.

    D. – Il Commissario europeo per l’allargamento ha di fatto sospeso i lavori per l’associazione dell’Ucraina; i ministri degli Esteri di Bruxelles, invece, aprono: c’è confusione all’interno dell’Unione?

    R. – L’Unione Europea non ha brillato per chiarezza! Ci sono degli Stati – a cominciare dalla Polonia, dalle Repubbliche Baltiche, che guardano con interesse e sono i più attivi a sostenere la marcia di avvicinamento di un grande Paese come l’Ucraina che, dal punto di vista culturale e storico è senza dubbio Europa – a sostenere questa marcia di avvicinamento all’Unione Europea. Gli altri – diciamo la verità! – sono abbastanza indifferenti. L’Unione Europea ha già molti problemi di suo e quindi anche questa situazione, rispecchia la confusione interna di Kiev e di Bruxelles.

    D. – Ci sono timori anche per quanto riguarda il costo e l’approvvigionamento del gas: ricordiamo che l’Ucraina è uno snodo importante…

    R. – Abbiamo già assistito a questa sceneggiata - piuttosto costosa, per noi - almeno due o tre volte negli ultimi dieci anni. Io non credo che adesso l’Ucraina voglia tornare a giocare su questo tavolo molto pericoloso: nel senso che indebolirebbe ancora di più la sua credibilità. Però è sempre possibile che qualcosa del genere avvenga… Diciamo che ora l’importante è vedere come verrà sbloccata la crisi politica ucraina. Facevo prima il paragone con la Rivoluzione arancione di 9 anni fa e oggi la situazione è anche più drammatica! Jakunovic non sembra rassegnato a dare le dimissioni, a seguire quello che era avvenuto 9 anni fa, quando era stato eletto con i brogli. Quindi la situazione è davvero più complicata e anche più pericolosa rispetto a quella che c’era nell’inverno del 2004.

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    Afghanistan, nel 2014 il ritiro delle forze internazionali. Le reazioni della società civile

    ◊   Entro la fine del 2014 l’Afghanistan vedrà il ritiro totale del contingente Nato. Per capire come la società civile afgana affronta questo delicato periodo di transizione il giornalista e ricercatore Giuliano Battiston ha condotto una ricerca sul campo per conto della rete Afgana, in partenariato con una serie di associazioni e col finanziamento del Ministero degli Esteri. L’indagine è stata presentata alla Farnesina. Il servizio è di Elvira Ragosta:

    La fase più delicata per l’Afghanistan sarà quella tra il 2014 e il 2015, con il ritiro completo delle forze internazionali e le nuove elezioni presidenziali. Centrotrenta le interviste realizzate ad altrettante persone, scelte in rappresentanza dei gruppi identificativi della società afgana, in sette province diverse del Paese e prevalentemente in ambiti urbani. Le domande: sulle cause interne ed esterne del conflitto, sul processo di pace e sulla riconciliazione con i talebani, che saranno ammessi al governo del territorio. Giuliano Battiston, responsabile della ricerca:

    R. – C’è una forte voglia di pace, c’è un forte sostegno per il negoziato politico con i movimenti antigovernativi e quindi con i talebani. Però c’è una critica radicale al modo in cui sia il governo afghano che la Comunità internazionale stanno portando avanti questo negoziato. Gli interlocutori incontrati chiedono chiarezza, trasparenza sui metodi e sugli obiettivi finali del negoziato.

    D. – Con il ritiro delle truppe internazionali Nato servirebbero alle forze armate afghane locali 4,1 miliardi di dollari che sia gli Stati Unti che gli altri Paesi delle forze internazionali si sono impegnati ad elargire, ma ad un patto fondamentale…

    R. – Sì! Il patto è che il governo afghano, in qualche modo, metta in piedi delle riforme che garantiscano la battaglia contro la corruzione, che è molto diffusa nel Paese; e poi che accettino il patto bilaterale di sicurezza con gli Stati Uniti: altrimenti né gli Stati Uniti, né i Paesi della Nato vorranno destinare le risorse impegnate nella Conferenza di Chicago del maggio del 2012.

    D. – Un patto che Karzai rimanda ancora oggi, che sarebbe elemento fondamentale anche per i Paesi Nato…

    R. – Sì. Karzai su questo ha fatto una mossa inaspettata: ci si aspettava che dopo il sostegno della Loya Jirga - la grande assemblea - al Patto bilaterale di sicurezza, in qualche modo Karzai incassasse il “sì” e procedesse verso la ratifica. Invece ha detto di “no” e ha chiesto altre condizioni, tra cui un impegno maggiore degli Stati Uniti per il negoziato di pace.

    D. - Se le forze internazionali attualmente in campo in Afghanistan non dovessero supportare il sistema delle forze armate locali e anche gli investimenti per la popolazione civile, quali sarebbero gli attori geo-politicamente vicini a poter approfittare della situazione?

    R. – Karzai sta cercando sponde politiche non solo con i Paesi dell’area: proprio di questi giorni è un viaggio di tre giorni in India, uno dei partner principali dal punto di vista commerciale e politico. C’è poi il Pakistan, con cui c’è un rapporto molto ambivalente: per gli afghani il Pakistan è un Paese che alimenta il conflitto, che lo fomenta, che contribuisce ai movimenti antigovernativi. C’è poi un rapporto con l’Iran, anche in questo caso molto equivoco e controverso. In ogni caso la scelta dell’Afghanistan è tra ricollocarsi dentro la cornice asiatica oppure aprirsi alla Nato e quindi ai Paesi occidentali.

    Alla fine del 2014 la sicurezza del territorio tornerà totalmente sotto il controllo delle forze armate locali. Dopo la firma dell’Accordo di sicurezza con gli Stati Uniti arriverà anche l’aiuto economico dei 70 Paesi Isaf e l’Afghanistan potrebbe avviarsi verso una pace durevole. Francesco Fransoni, inviato speciale del ministero degli Esteri per l’Afghanistan:

    “Ritengo che una presenza occidentale rimarrà: molto diversa, no combat si dice in termine Nato. Formazione, addestramento, assistenza e via dicendo, ma ormai da mesi la sicurezza è nella mani delle forze afghane. Certo le perdite aumentano, perché in prima linea da mesi ci sono loro. E’ un Paese che viene da 30 anni di guerra civile e quindi chiaramente è un Paese devastato. Non è che ci possiamo attendere standard occidentali”.


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    I Forconi si dividono sulla manifestazione a Roma. Mons. Bregantini: ascoltare il grido del disagio

    ◊   In Italia, il movimento dei “Forconi” si divide sulla manifestazione di mercoledì a Roma. Uno dei leader, Danilo Calvani, l’ha confermata sottolineando che si farà senza cortei, per ridurre al minimo il rischio di infiltrazioni estremiste e incidenti. Mariano Ferro, il leader siciliano del movimento, spiega invece che spostare le persone per portarle "in una gabbia, che si chiama Piazza del Popolo non serve a niente". Intanto, un tribunale di Roma ha condannato a tre mesi di reclusione e cento euro di multa Simone Di Stefano, vicepresidente di Casapound, accusato di furto pluriaggravato per aver sostituito, sabato scorso, la bandiera della Ue dalla sede di Via IV Novembre con quella italiana. Sulla situazione Antonella Palermo ha intervistato mons. Giancarlo Bregantini, presidente della Commissione Lavoro, giustizia e pace della Cei:

    R. - È veramente preoccupante, perché questo clima di tensione, dove si può innestare senza fatica anche chi vuole degenerare e far degenerare una situazione sociale già difficile, fa esplodere con molta facilità il tessuto sociale.

    D. - Come rispondere alle istanze del movimento?

    R. - Primo: non ingigantire il problema, perché il problema esplode, ma il nodo è a monte, cioè creare una politica sana. Quindi, il problema non sta nel difendersi dai Forconi, ma nell’impegnarsi a creare condizioni di chiarezza, di presenza, di risposta. Secondo: non va affrontato in maniera diretta, ma indiretta, altrimenti creiamo i martiri.

    D. - Come valutare l’atteggiamento delle istituzioni politiche di fronte alla protesta?

    R. - Il governo ha fatto bene ad essere vicino, non oppositivo, perché già il movimento da solo si sfalda. Però, va raccolto l’appello che loro ci fanno. Deve essere vero lo stile con il quale i politici lavorano e sobria la loro ricompensa a livello economico; precisa e incisiva la risposta davanti ai drammi e solidale lo stile. Loro in fondo ci lanciano un appello in modo sbagliato, però ci dicono che la politica non può stare lontano, ricorregga non tanto l’Euro ma le condizioni dell’Euro. La finanza non può essere l’unica legge. L’Europa non è costruita sulle banche, ma sui cuori. Ecco, sono tanti gli appelli positivi che questo movimento ha lanciato all’intera nazione.

    D. - In che modo la Chiesa potrebbe raccogliere le domande che giungono dai Forconi?

    R. - Secondo me anche la Chiesa, in primo luogo, può raccoglierli, e l’idea di raccogliere costruendo legami di fraternità, perché la fraternità caccia la guerra - come dice il Papa -, la fraternità pone le condizioni per la pace, la fraternità è lo spazio vero del Vangelo. Tutto questo chiede a noi uno sguardo lungimirante cogliendo le occasioni d’oro che la prossima Marcia della pace e la Giornata della pace offrono a tutto il mondo.

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    Lunedì nero per i contribuenti italiani. Belletti: tasse su tasse, si torni a investire sulla famiglia

    ◊   Lunedì nero per i contribuenti italiani alle prese con la scadenza della Tares, il tributo sui rifiuti, e del saldo Imu per le abitazioni sulle quali la tassa non è stata cancellata. C’è ancora molta confusione su quanto e cosa dovrà essere versato al fisco nel 2014. Intanto ieri un emendamento alla legge di stabilità ha previsto lo sblocco del fondo di 30 milioni di euro per il bonus bebè. “Una non notizia” secondo il presidente del Forum delle Famiglie Francesco Belletti intervistato da Paolo Ondarza:

    R. – Una non notizia, nel senso che non sono soldi nuovi, sono soldi già stanziati in precedenza che non sono stati spesi (provenienti dal precedente 'Fondo di credito per i nuovi nati'; ndr). Quindi giusto segnalare il fatto che arriveranno, però di fatto, in sostanza, non c’è una grande assunzione di responsabilità politica. Se questo bonus bebè venisse, per esempio, garantito a tutti i nuovi nati, l’ordine di grandezza sarebbe attorno al miliardo: per dare 300 euro per sei mesi ad ogni neonato bisognerebbe investire un miliardo e questo credo che sia l’ordine di grandezza che ogni governo dovrebbe avere in mente se vuole davvero sostenere la natalità.

    D. – I soldi del bonus bebè andranno alle categorie più deboli?

    R. – Sarà necessario dover concentrare queste risorse sulle fasce più deboli. Questo è ragionevole in un tempo di così grande difficoltà. Su molti altri provvedimenti questo criterio – il criterio del reddito - non viene mai utilizzato ed è per questo che evidenziamo un problema: le politiche di natalità vengono sempre appiattite sul contrasto alle urgenze, alle emergenze, alle povertà più drammatiche. Per questo il nostro è un Paese fermo sulla famiglia, perché non investe in modo strategico.

    D. – Non vengono fatte quelle politiche familiari che voi da anni chiedete?

    R. – Ma sì, che sono poi universalistiche e promozionali e preventive. Se - per esempio - il fisco fosse capace di proteggere le famiglie numerose, molte di queste famiglie non sarebbero sotto la soglia di povertà!

    D. – A proposito di fisco, adesso le famiglie italiane dovranno fare i conti con la mini-rata dell’Imu, che scade il 24 gennaio. Per non parlare poi delle nuove tasse in arrivo nel 2014… Che impatto sta avendo attualmente il fisco sulle famiglie italiane?

    R. – I segnali sono molto preoccupanti! La stessa Uil segnala un incremento in moltissimi comuni delle tasse sui rifiuti anche del 40, del 100 per cento. Di fatto il problema è che avremmo apprezzato una politica fiscale locale, se avesse sostituito l’imposizione nazionale. Qui invece si cumulano tasse su tasse, complicando la questione, perché oggi una famiglia non è in grado di sapere quante tasse deve pagare. Quindi c’è un problema di trasparenza! Sicuramente nelle tasche di tantissime famiglie resteranno meno soldi perché ci sono più tasse!

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    Continua a crescere nelle scuole italiane il numero degli alunni con disabilità

    ◊   In Italia gli alunni con disabilità sono 149 mila, pari al 3% del totale. Gli insegnanti di sostegno sono più di 67 mila. Sono alcuni dei dati diffusi dall’Istat sull’integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di primo grado in riferimento all’anno 2012-2013. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Continua a crescere il numero di alunni con disabilità nella scuola. Il ritardo mentale, i disturbi del linguaggio, dell’apprendimento e dell’attenzione sono i problemi più frequenti. I maschi rappresentano più del 60% degli alunni con disabilità. Roberta Crialesi, dirigente di ricerca dell’Istat del settore “Salute e Assistenza”:

    “Continua ad aumentare il numero di alunni con disabilità: nell’anno scolastico 2012-2013, nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, quattromila in più dell’anno precedente. Si tratta essenzialmente di ragazzi con problemi di autonomia o con problemi di tipo fisico-psicologico. Nel 21 per cento dei casi sono ragazzi che non sono autonomi in nessuna delle attività, quali spostarsi, mangiare o andare in bagno. Una percentuale che, se guardiamo al Mezzogiorno, sale al 27 per cento. A fronte di una maggiore criticità, di una maggiore problematicità di questi alunni, si riscontra anche una presa in carico differente rispetto al resto delle regioni italiane”.

    Nelle regioni meridionali, dove sono più numerosi gli alunni disabili non autonomi, non è adeguata, in particolare, la presenza di figure professionali che supportino la socializzazione:

    “Nel Mezzogiorno, l’alunno con disabilità può contare quasi esclusivamente sull’insegnante di sostegno. E questa è una delle criticità più evidenti. Anche il numero di ore settimanali, di cui usufruiscono, è superiore al resto d’Italia, per quanto riguarda l’insegnante di sostegno. Non troviamo, però, figure professionali, quali l’assistente ad personam, che invece dovrebbero supportare e condividere la presa in carico del ragazzo”.

    Lo scarso utilizzo della tecnologia, in grado di facilitare l’inclusione scolastica, l’elevata quota di edifici scolastici con barriere architettoniche sono altre criticità che si aggiungono ad una scarsa partecipazione, da parte degli alunni disabili, alle attività extra scolastiche. Ancora Roberta Crialesi:

    “La partecipazione degli alunni con disabilità ad attività extra-scolastiche è ancora troppo bassa. Solo un ragazzo su due partecipa alle gite scolastiche, quelle giornaliere, e addirittura meno di un ragazzo su sei è in grado di partecipare ai campi scuola. Su questo terreno, sul terreno della partecipazione, c’è ampio spazio di miglioramento, insieme alla riduzione delle barriere architettoniche”.

    Il numero medio di alunni con disabilità per insegnante è molto vicino, a livello nazionale, a quello che era il tetto previsto dalla legge 244 del 2007 (un insegnante di sostegno ogni due alunni con disabilità): ci sono, mediamente, 1,8 alunni con disabilità ogni insegnante di sostegno nella scuola primaria e 2 nella scuola secondaria di primo grado.

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    Immigrazione: in Italia c'è più attenzione da parte dei media

    ◊   C’è una maggiore sensibilità dei mezzi di comunicazione rispetto al tema dell’immigrazione. Questo il dato più significativo emerso dal primo Rapporto annuale tra media e immigrazione in Italia dal titolo “Notizie fuori dal ghetto”, presentato a Montecitorio dall’osservatorio dell’associazione Carta di Roma. Antonella Pilia ha intervistato il presidente, Giovanni Maria Bellu:

    R. – C’è ancora molta strada da fare, ma sicuramente c’è una maggiore sensibilità della stampa e una maggiore attenzione a rispettare la verità sostanziale dei fatti, non perpetuando quindi dei cliché e dei pregiudizi, anche se via via – e sta succedendo – saranno semplicemente gli stessi immigrati a diventare dei giornalisti, entrare nei giornali e raccontarsi. Ecco, noi accompagniamo questo percorso.

    D. – Dal Rapporto emerge che le seconde generazioni di immigrati si ritagliano un ruolo da protagonisti nelle cronache italiane…

    R. - Questo aspetto è uno tra i più significativi, perché da questo report emerge che rispetto alle seconde generazioni si esce dai cliché dei pregiudizi. Probabilmente una delle spiegazioni è che queste seconde generazioni ci appaiono mene estranee perché si tratta, molto spesso, dei compagni di scuola dei nostri figli. Quindi questo dimostra che la conoscenza diretta, il rapporto e la relazione portano al cambiamento.

    D. – In particolare emerge che i figli di immigrati rivendicano i propri diritti. Quanto influisce, in questo caso, il dibattito politico sullo ius soli?

    R. – Credo che sia stato sicuramente di grande aiuto, perché nasce attraverso anche la divulgazione della sorpresa e dello sconcerto rispetto a certe situazioni che erano semplicemente sconosciute ai più. Cioè, l’italiano medio non sapeva che quel ragazzo che parla con accento romano o milanese e che tifa la squadra locale non fosse un cittadino italiano, nonostante apparisse come tale. Questo ha creato, secondo me, la sorpresa e lo scandalo del dibattito dello ius sol e ha aiutato a diffondere anche una percezione diversa del problema.

    D. – Qual è invece l’immagine della donna migrante?

    R. – Quando si parla delle donne immigrate e, in particolare, del femminicidio che ha visto coinvolte delle donne immigrate, abbiamo la sopravvivenza degli schematismi: si tende ad attribuire il femminicidio della donna immigrata all’ambiente culturale di provenienza; mentre quando questi casi riguardano donne italiane si parla molto di più delle relazioni familiari. Quindi nello stesso sistema di informazione ci sono atteggiamenti diversi.

    D. – Perché, secondo lei, le donne migranti oggi rimangono ancorate al ruolo di vittime e non escono dal ghetto mediatico, a differenza delle seconde generazioni?

    R. – Questo atteggiamento nei confronti delle donne appartiene a un modo generale di fare giornalismo e a una visione della donna come la figura debole, emotiva, che serve a creare commozione. Nel Rapporto si fa notare che quando c’è uno sbarco, i caporedattori dei telegiornali indicano ai giornalisti e agli operatori che serve l’immagine di una donna con un bambino… Quindi stiamo parlando di atteggiamenti generali del giornalismo che incrociano le questioni dell’immigrazione e svelano i problemi del giornalismo stesso. Come quando un organismo debole entra in un ambiente malsano: in questo caso l’organismo debole è quello dell’immigrazione, che entra nell’ambiente, non malsano ma certo complesso, dell’informazione generale.

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    Premio “Giuseppe De Carli” alla comunità di Lampedusa: consegna a Roma al sindaco Nicolini

    ◊   Oggi a Roma, nella Sala Zuccari del Senato, la consegna del Premio in onore del giornalista e scrittore Giuseppe De Carli, direttore di Rai Vaticano, scomparso tre anni fa. Vincitrice di questa prima edizione è la comunità di Lampedusa. A ritirare il Premio dalla mani del sindaco di Roma, la prima cittadina dell’isola siciliana, Giusi Nicolini. Ad illustrare alla stampa i motivi della scelta è stato Giuseppe Benelli, presidente della Fondazione “A life for Faith”, che assegna il Premio. Ascoltiamo al microfono di Roberta Gisotti:

    R. – Lampedusa rappresenta in questo momento un simbolo di una vita per la fede; un’isola che si trova per motivi geografici a dover affrontare un’emergenza particolarmente grave. E quindi l’attestato di questo Premio va dato a tutta la comunità. Nello spirito di Giuseppe De Carli questa nostra Fondazione vuole dimostrare una fede operativa, una fede laica, una fede che si apre alla conoscenza della propria identità, nel rispetto delle altre identità. Allora, ci siamo chiesti: chi meglio del sindaco di Lampedusa, del rappresentante di questa comunità, merita questo attestato?

    D. – Al Premio sappiamo che è associata una borsa di studio...

    R. – De Carli aveva pensato ad un premio religioso particolare, ma l’aveva pensato in senso grande. Allora noi, interpretando il suo desiderio, assegniamo una borsa di studio di 20 mila euro, che la comunità di Lampedusa potrà spendere, puntando su un giovane - che sceglierà lei - su un ragazzo meritevole, che abbia voglia di studiare e di fare.

    D. – Lei ha sottolineato una fede operativa, laica e che guarda ai giovani, in tempi in cui si sottolinea che abbiamo tolto il futuro a questa nostra gioventù...

    R. – Sì, purtroppo sì. Guardiamo al mondo dei giovani, proprio perché questo momento storico è veramente preoccupante. Puntare con questa nostra Fondazione al mondo giovanile significa consentire a dei giovani di entrare nel mondo del lavoro e, soprattutto, di guardare con più ottimismo al futuro. Lo dico perché Giuseppe De Carli, nella sua vita, sia come studente liceale, poi come studente di Filosofia e di Scienze Politiche e poi soprattutto di studi teologici nella sua maturità, concepiva la cultura come trasmissione di valori. E allora la Fondazione, con questa iniziativa, vuole valorizzare le capacità dei giovani.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Caritas Libano: "Migliaia di profughi siriani rischiano di morire per gelo e neve"

    ◊   "La situazione nella valle della Bekaa è terribile. Molte persone stanno morendo a causa di questo clima eccezionalmente rigido. I profughi hanno solo tende e baracche per ripararsi dal gelo e dalla neve". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews mons. Simon Faddoul, presidente di Caritas Lebanon, che sottolinea la drammatica situazione degli oltre 800mila rifugiati siriani accampati nelle aree al confine con la Siria colpite dall'intensa tempesta di neve causata dal ciclone Alexa, che in questi giorni ha provocato alluvioni e tormente in tutto il Medio Oriente. "Insieme ad altre organizzazioni non governative e all'Onu - continua mons. Faddoul - la Caritas tenta di soccorrere i rifugiati. In queste settimane abbiamo distribuito migliaia di coperte, materassi, stufe a kerosene, vestiti invernali , teloni di plastica e buoni carburante, nella speranza di scongiurare il peggio, ma i nostri sforzi non sono sufficienti. L'esodo è quotidiano, il numero delle persone che varcano ogni giorni i confini è ormai incalcolabile". Il sacerdote lancia un appello ai Paesi occidentali e a tutti i cristiani invitandoli ad inviare aiuti e denaro per la popolazione siriana. Nella sola valle della Bekaa vi sono circa 430 insediamenti improvvisati. Le famiglie più "attrezzate" hanno costruito i loro ripari con tavole di legno, sacchi di iuta e lamiere, divenuti ormai un bene di lusso. Gli ultimi arrivati tentano di trovare rifugio nei ripari di altri gruppi familiari, ma le baracche sono piccole e le famiglie numerose. Per molte persone l'unica alternativa è dormire in tende realizzate con teloni di plastica e costruite alla meno peggio con cartone, copertoni e altri rifiuti. Per mons. Faddoul l'inverno di quest'anno ha trasformato la già grave situazione umanitaria dei rifugiati in una catastrofe: "Molte madri tentano di scaldare i propri figli accendendo dei falò all'interno delle baracche, con un alto rischio di incendi. L'ultimo è avvenuto proprio questa notte in un campo situato nel sud del Libano. Il rogo causato da un piccolo falò si è propagato per tutto l'insediamento uccidendo un bambino di un anno e facendo diversi di feriti. Tali incidenti possono accadere ogni giorno". Il sacerdote sottolinea che a una "emergenza del genere si può rispondere solo con la carità, donando aiuti e ricordando, soprattutto nel periodo natalizio, il destino di centinaia di migliaia di persone che in questi tre anni hanno perso i loro familiari, la loro casa e ora rischiano di morire per il freddo e la fame". Nonostante la grave situazione molte famiglie di profughi, cristiani e musulmani, preparano al Natale. Nei prossimi giorni la Caritas organizzerà alcune iniziative per i bambini residenti nei campi profughi. "Stiamo preparando con i nostri volontari - spiega mons. Faddoul - dei giochi e canti natalizi per portare un po' di speranza e gioia, almeno fra i più piccoli". (R.P.)

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    Siria. L'arcivescovo Nassar: migliaia di bambini siriani sotto le tende come nella stalla di Betlemme

    ◊   “In Siria a Gesù Bambino non mancano i compagni: migliaia di bambini che hanno perso le loro case vivono sotto tende povere come la stalla di Betlemme”. Così l'arcivescovo maronita Samir Nassar descrive la condizione vissuta dall'infanzia siriana nel tempo che precede il Santo Natale. In un toccante messaggio di riflessioni natalizie inviato all'agenzia Fides, l'arcivescovo maronita di Damasco esprime con immagini forti i sentimenti condivisi da tanti cristiani siriani davanti all'avvicinarsi dell'ennesimo Natale di guerra. “Gesù” fa notare mons. Nassar “non è solo nella sua miseria. L'infanzia siriana, abbandonata e segnata dalle scene di violenza, sogna di essere al posto di Gesù, che ha sempre con sé i suoi genitori che lo circondano e lo accarezzano”. Anche Maria – insiste l'arcivescovo maronita “non è più sola, nelle sue difficoltà: tante mamme infelici e sfortunate vivono nella povertà estrema e si caricano tutte le responsabilità familiari da sole, senza i loro mariti... La presenza rassicurante di Giuseppe presso la Sacra Famiglia suscita gelosia tra le migliaia di famiglie private del papà. Un'assenza che alimenta la paura, l'angoscia e l'inquietudine”. Nella condizione martoriata del popolo siriano, sembra non esserci posto per la promessa di pace e letizia propria del Natale: “Il rumore infernale della guerra” scrive Nassar “soffoca il Gloria degli Angeli. La sinfonia del Natale per la pace cede davanti all'odio e alle crudeltà più atroci”. Eppure proprio l'estenuante prolungarsi del conflitto che ha già superato i mille giorni rende ancora più forte il grido di preghiera dei cristiani davanti al presepe: “Signore, esaudiscici”, così conclude il suo messaggio l'arcivescovo Nassar. (R.P.)

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    Siria. Rapporto sull'istruzione: 3 milioni di bambini senza scuola

    ◊   “Il calo dei livelli di istruzione per i bambini siriani è stato il più rilevante e rapido nella storia della regione”: è quanto emerge dal rapporto “Syria Crisis: Education Interrupted” (L’Istruzione interrotta”), promosso da Unicef, Unhcr, Save the Children e World Vision. Il documento sottolinea che “dal 2011 circa 3 milioni di bambini della Siria sono stati costretti a interrompere il proprio percorso di studi a causa dei combattimenti che hanno distrutto le classi, hanno impedito ai bambini di andare a scuola e hanno costretto le famiglie a lasciare il Paese”. Così i progressi che erano stati compiuti “nell’ultima decade si sono invertiti negli ultimi 3 anni”. Il documento - riferisce l'agenzia Sir - si configura come il primo tentativo di quantificare “la reale portata dello sconcertante declino in materia di istruzione in un Paese dove il tasso di frequenza alla scuola primaria era pari al 97% prima del conflitto iniziato nel 2011”. Più di mille giorni “di sangue in Siria sono la testimonianza che milioni di bambini hanno perso la loro istruzione, le scuole e gli insegnanti”; ora, “nella migliore delle ipotesi, i bambini ricevono un’istruzione discontinua. Nel peggiore dei casi, hanno abbandonato la scuola e sono costretti a lavorare per sostenere le loro famiglie”. Dai dati presentati si evidenzia che all’interno del Paese, “1 scuola su 5 non può essere utilizzata perché danneggiata, distrutta o è diventata un riparo per sfollati”. Fra l’altro “nei Paesi in cui sono ospitati i rifugiati siriani, tra i 500mila e 600mila bambini rifugiati siriani non vanno a scuola”. Il documento elenca alcuni “dei fattori che hanno contribuito a questo rapido svuotamento delle aule”. All’interno della Siria, “l’intensificarsi delle violenze, i grandi spostamenti della popolazione, le uccisioni, la fuga degli insegnanti, la distruzione e l’uso improprio delle scuole hanno reso l’apprendimento più difficile per i bambini. Molti genitori riferiscono di non avere altra scelta se non tenere i propri figli a casa piuttosto che rischiare di mandarli a scuola”. Il rapporto definisce inoltre alcune azioni critiche che, se intraprese subito, potrebbero invertire la situazione: proteggere le infrastrutture scolastiche; raddoppiare gli investimenti internazionali per l’istruzione nei Paesi di accoglienza; “ampliare modelli collaudati come l’apprendimento a casa, Centri di apprendimento non formale e spazi a misura di bambino che forniscono supporto psicosociale ai bambini”. (R.P.)

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    Sud Sudan, il presidente Kiir: sventato un golpe

    ◊   Il Presidente del Sud Sudan Salva Kiir ha annunciato oggi di aver sventato un golpe tentato da alcuni reparti militari, dopo che questa notte si erano verificati scontro nella capitale Juba. I combattimenti sono esplosi intorno alle 22 ora locale in una caserma della città e sono proseguiti per oltre un’ora, per poi riprendere alcune ore dopo. Il Presidente ha affermato che i golpisti sono in fuga inseguiti dai militari rimasti leali alla Presidenza. Dalle prime informazioni appare che a scontrarsi siano stati due reparti della guardia presidenziale. Il quotidiano Sudan Tribune riferisce che la sparatoria è esplosa quando un reparto formato in gran parte da Nuer si è allarmato per i movimenti giudicati sospetti di un altro reparto formato prevalentemente da Dinka. La tensione politica nel Sud Sudan si era accentuata dopo che a luglio il Presidente Salva Kiir (di etnia Dinka) aveva dimissionato il vice Presidente Riek Machar (un Nuer). Quest’ultimo aveva annunciato l’intenzione di candidarsi alle elezioni Presidenziali del 2015. (R.P.)

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    Centrafrica, appello di mons. Nzapalainga: i cristiani non cedano alla vendetta

    ◊   “Tanti cristiani dicono che vogliono vendicarsi. I cristiani devono essere abitati dallo spirito di Dio, non devono uccidere” ha affermato di fronte a 1.500 fedeli mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, nella omelia della Messa da lui celebrata ieri nella parrocchia di Saint-Charles Lwanga. Mons. Nzapalainga - riporta l'agenzia Fides - ha esortato i fedeli a seguire l’esempio di Nelson Mandela per superare le divisioni e ritrovare la pace. A seguito degli scontri tra milizie anti-balaka ed ex ribelli Seleka, che hanno provocato centinaia di morti nella Repubblica Centrafricana, cresce il timore che il Paese cada nella spirale dello scontro tra cristiani e musulmani. Mons. Nzapalainga si prodiga per evitarlo, recandosi da un capo all’altro della capitale, spesso in compagnia di un imam, distribuendo aiuti ai rifugiati. Uno dei luoghi visitati dall’arcivescovo è il convento di Notre Dame du Mont Carmel di Bangui, dove sono ospitate più di 2.000 persone. “Per la nostra gente è come se fosse arrivato il Papa in persona” riferisce all’agenzia Fides il superiore del convento, padre Federico Trinchero. “Il vescovo, venuto con un Imam, ha visitato il nostro campo e poi ha fatto un breve, ma forte discorso invitando tutti alla pace, alla riconciliazione e al perdono. Anche l’imam ha fatto un discorso analogo”. “Vogliamo, possiamo e dobbiamo vivere in pace insieme. Il nostro piccolo Carmelo vorrebbe essere nient’altro che questo: una scintilla di pace in un grande fuoco di violenza” conclude padre Federico. (R.P.)

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    Filippine: superata l'emergenza. Salito a 6.000 il bilancio delle vittime

    ◊   L’arcipelago si avvia a superare la fase delle stretta emergenza entro la fine dell’anno, tuttavia conta delle vittime, gestione dei cadaveri e degli sfollati rappresentano ancora seri ostacoli all’avvio della ricostruzione. Insieme ai costi, in prospettiva crescenti. Anche nell’emergenza e per questo, oggi la sottosegretario Onu per gli Affari umanitari ha lanciato un nuovo appello ai donatori. Valerie Amos ha chiarito che il costo del Piano di risposta strategica al super-tifone Yolanda (nome dato nelle Filippine a Haiyan) è salito di 2,5 volte rispetto alle sue stesse stime del 12 novembre, passando da 301 milioni di dollari a 791, di cui solo il 30% finanziato finora). Intanto - riferisce l'agenzia Misna - i dati più aggiornati diffusi dal Centro nazionale per la riduzione e gestione dei rischi nell’emergenza, indicano in 6.033 i corpi finora recuperati, con una media di una ventina al giorno. Deceduti che continuano ad aggiungersi al già lungo elenco, sovente sommario per quanto riguarda l’identità. L’impegno di recupero continuerà senza interruzione anche nel periodo natalizio. Il maggiore Rey Balido, ha ribadito sabato al quotidiano filippino Inquirer di non poter fare una valutazione sul numero delle vittime, ma solo che i ritrovamenti continuano e che si tratta in maggioranza di annegati, travolti dalle onde alte fino a un metro e mezzo alzate dal venti del super-tifone, impreviste dai meteorologi e dai servizi di prevenzione. Saltata la stima di 2.500 uccisi dalla furia del tifone fatta dal presidente benigno Aquino nei primi giorni dopo l’evento, si avvicina lentamente quella dei 10.000 stimati dal responsabile della polizia della provincia di Leyte, per questo sanzionato. 1.779 i dispersi ufficiali, a fronte di una stima di 8000 basata su fonti locali. Un totale di 101.646 persone sono ancora ospitate in 383 centri di evacuazione, oltre a 3,8 milioni di senzatetto a cui viene fornita una qualche forma di assistenza esterna su complessivi 16 milioni di abitanti delle aree centrali dell’arcipelago, in 44 provincie, colpiti dalla furia di Haiyan. Crescono anche i costi prevedibili della riabilitazione di una vasta area delle Filippine, che includeva aree agricole di vitale importanza. Sono 100.000 i pescatori rimasti senza possibilità di lavoro e quanto da loro prodotto prima e ora perduto rappresenta un duro colpo all’occupazione locale e all’economia del Paese. Gravi danni economici a cui vanno aggiunti i costi delle infrastrutture e quelli di quasi di un milione di abitazioni perdute. Sabato, da Tokyo dove si trovava per l’incontro di celebrazione dei 40 anni di rapporti tra Giappone e Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico), il presidente ha stimato in 3,8 miliardi di dollari l’impegno considerato necessario a riportare la situazione a un livello almeno di poco migliore di quella precedente il tifone. (R.P.)

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    India. A Mumbai dissacrato un antico crocifisso. Card. Gracias: una ferita per tutta la popolazione

    ◊   Un antico crocifisso è stato vandalizzato e dissacrato ieri a Vile Parle, un sobborgo di Mumbai. Per il momento, è ancora ignoto l'autore del gesto, che ha sconvolto la comunità cattolica locale. All'agenzia AsiaNews il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente della Conferenza episcopale indiana (Cbci), sottolinea che "questo grave atto di vandalismo al Corpo di Cristo ferisce ciascuno di noi, e colpisce anche la tolleranza, l'armonia e la pluralità che contraddistinguono la nostra amata città". Il crocifisso - riferisce AsiaNews - risale al 1880 e si trova lungo la strada principale del quartiere. Secondo la ricostruzione della polizia di Santa Cruz - a cui è stato denunciato il fatto - l'attacco è avvenuto nelle prime ore del mattino. Ad accorgersi del danno è stato un parrocchiano della chiesa di san Francesco Saverio a Vile Parle, che sorge a poca distanza dalla croce. La statua di Gesù è stata staccata dalla croce e smembrata. "Il modo in cui la statua di Gesù è stata dilaniata - sottolinea il card. Gracias - mi causa immensa angoscia: le mani sono state spezzate e gettate via; la testa ha una profonda crepa; solo un piccolo pezzo del corpo è rimasto attaccato alla croce". Il momento, aggiunge, "è particolarmente triste anche perché non si tratta di un incidente isolato: lo scorso settembre la chiesa di san Giuseppe a Juhu è stata profanata. La comunità cristiana è rispettosa della legge e chiediamo a Dio di perdonare questo gesto. Anche noi perdoniamo chi ha compiuto l'attacco, e preghiamo per la nostra città, affinché lo spirito di pace, armonia, convivenza e tolleranza reciproca prevalga su ciascuno di noi". "Il fedele che ha scoperto l'accaduto - racconta ad AsiaNews padre Theodore Fernandes, il parroco - mi ha informato subito. La nostra comunità è addolorata per la dissacrazione, perché questo crocifisso esiste da generazioni e persone di ogni fede vi hanno sempre portato offerte". A rendere il fatto ancora più triste, spiega il sacerdote, "è che ieri 37 bambini si preparavano a ricevere la Prima Comunione nella nostra chiesa". In segno di rispetto, nel tardo pomeriggio i parrocchiani hanno partecipato a una processione dalla chiesa alla croce, recitando il rosario e pregando. Inoltre, da oggi fino al prossimo 21 dicembre si potrà recitare il rosario della Divina Misericordia ai piedi della croce. Oggi il card. Gracias presiederà una messa di riparazione. (R.P.)

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    Haiti. Messaggio dei vescovi: "molte famiglie continuano a fuggire rischiando la vita”

    ◊   "Il dramma socio-politico di molti Paesi, compreso il nostro, è simile per molti aspetti a quello del paese di Gesù. Il tragico destino del nostro popolo è segnato da grandi situazioni di sofferenza e di conflitto che comportano un pesante impatto sulla vita di ogni haitiano e sull'insieme della nazione, rendendo sempre difficile la nostra convivenza come popolo": sono le parole dei vescovi di Haiti nel loro Messaggio per il Natale, pervenuto all’agenzia Fides. La Conferenza episcopale di Haiti sottolinea che “ancora oggi, continuiamo a creare situazioni di diffidenza e di esclusione che paralizzano il nostro presente, minacciamo il nostro futuro e concorrono ad alienare le nostre relazioni con Dio, con noi stessi, con il prossimo e con l'ambiente”. Quindi citano: “la infinita lotta fratricida per il potere; la mancanza di rispetto per gli altri, per le norme e le leggi; la critica negativa e distruttiva; il degrado morale e la perdita del buon costume; la cattiva gestione amministrativa e la corruzione; la polarizzazione politica, che causa la paralisi; la crescente intolleranza fino al disprezzo per gli altri; il divario sempre più grande tra ricchi e poveri”. Il messaggio prosegue ricordando che “il Bambino (di Natale) è stato vittima di minacce e di esclusione. Maria e Giuseppe sono fuggiti con Lui in Egitto. Come Lui, molte famiglie haitiane continuano a fuggire affrontando il mare, rischiando la vita, attraversando le frontiere soffrendo l'umiliazione, il rifiuto, l'esclusione e la negazione dei loro diritti fondamentali. Nel loro espatrio in cerca di una vita migliore trovano abusi, degrado, xenofobia e anche la morte.” Infine la Conferenza episcopale di Haiti invita alla speranza: "La festa dell’Emmanuele, che dona alle famiglie l'opportunità di incontrarsi, sia per noi haitiani, uomini e donne, figli e figlie della stessa terra, l'occasione di un incontro fraterno per uscire dalle nostre notti di paura, di diffidenza, di esclusione, di scontro!". (R.P.)

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    Messico: i vescovi di Veracruz chiedono la fine della violenza e invitano alla solidarietà con Tuxpan

    ◊   Le otto diocesi dello stato messicano di Veracruz hanno pubblicato un messaggio congiunto chiedendo la fine dell'insicurezza e della violenza. Nel testo, reso noto la terza domenica di Avvento, gli otto vescovi deplorano l'assassinio dei due sacerdoti della diocesi di Tuxpan, nonché gli atti di violenza perpetrati contro le comunità di Veracruz e contro i migranti che attraversano questo territorio per raggiungere gli Stati Uniti. Sottolineano inoltre che, nonostante gli sforzi, non si riesca a sradicare la criminalità organizzata. "Anche se la lotta contro la criminalità organizzata in Messico continua - è scritto nel documento pervenuto all’Agenzia Fides - in alcune zone del Paese permangono livelli molto preoccupanti di violenza, una crisi della legge, l'impunità e la corruzione che porta alla rottura del tessuto sociale. Le famiglie sono minacciate da rapimenti, estorsioni e dalla criminalità comune. In questo ambiente in cui viviamo, siamo solidali con la diocesi sorella di Tuxpan". Il documento ricorda la situazione dei migranti e dei poveri con queste parole: "Rivolgiamo la nostra attenzione ad un altro lato della nostra realtà: ci riferiamo al dolore e all'angoscia vissuta da molti dei nostri fratelli, specialmente migranti, contadini, giovani, famiglie, religiosi, suore e sacerdoti che sono più svantaggiati, che hanno subito dure prove derivanti dal peccato sociale che si manifesta con molteplici sfaccettature, come la violenza, l'ingiustizia, la corruzione, l'idolatria del denaro, il disprezzo per la vita e la disgregazione della famiglia". I vescovi sottolineano: "dietro a tutte queste manifestazioni c'è un denominatore comune: la lontananza, l'ignoranza o la dimenticanza del Dio che Gesù è venuto a rivelarci". Il documento si conclude augurando ai governanti di avere coraggio nel cercare sempre il bene comune, e con la benedizione impartita dai vescovi delle diocesi di Xalapa, Coatzacoalcos, Veracruz, San Andrés Tuxtla, Córdoba, Colima, Tuxpan, Papantla.

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    Thailandia: la crisi continua, non si attenua la tensione

    ◊   Nessun risultato risolutivo dai due incontri di sabato e domenica a Bangkok. Il primo convocato dalle forze armate a cui hanno partecipato i leader della protesta che da settimane coinvolge il paese, accademici e esponenti della comunità economica; il secondo organizzato ieri dal governo, con vari gruppi della società civile e della politica come forum per individuare possibili riforme dopo il voto anticipato del 2 Febbraio 2014. Un voto - riferisce l'agenzia Misna - che l’opposizione disconosce, proponendo in alternativa le dimissioni del governo guidato dalla signora Yingluck Shinawatra e un percorso istituzionale alternativo che porti entro un anno a una nuova costituzione, un nuovo parlamento e un nuovo governo in base a riforme profonde del sistema. L’attesa opinione dei vertici militari sulla crisi e su una possibile soluzione è stata abbastanza netta e per certi aspetti inattesa. Sebbene sfumata nei toni e nelle espressioni, è sembrata indicare un favore verso il governo provvisorio in carica il voto di febbraio e eventuali riforme successive. Alla fine di favorire, più che il dialogo, lo status quo che però consentirebbe la gestione del Paese – anche a seguito di una successiva, probabile, nuova vittoria elettorale – al Puea Thai, partito legato all’esperienza politica di Thaksin Shinawatra, ex premier in esilio, la cui uscita di scena è uno degli obiettivi dichiarati dei manifestanti. Manifestanti sempre presenti attorno al Monumento alla Democrazia, che oggi hanno minacciato una nuova azione di massa nelle piazze della capitale e altrove per chiarire il proprio disaccordo. Sostanzialmente, una situazione di stallo, ma che proprio per questo non solo sta creando enormi difficoltà all’economia, già in frenata per scelte governative e situazione globale, ma rischia di accendere focolai di rivolta se non di aperta rivoluzione, oltre che di creare occasioni insieme per atti violenti e per la repressione. All’affermazione dei responsabili della sicurezza nella crisi che 42 Paesi appoggerebbero il voto del 2 febbraio e il ruolo dell’esecutivo ad interim, gli anti-governativi, per voce di uno dei leader, hanno prospettato sabato anche l’occupazione dell’ambasciata Usa a Bangkok per protestare contro quelle che ritengono ingerenze straniere nella crisi nazionale. Esiste indubbiamente un problema di prospettiva esterna, non necessariamente coincidente con una realtà complessa come quella locale. Formalmente, infatti, il governo in carica, per il fatto di essere stato votato dalla maggioranza di quanti si sono recati alle urne (quasi 16 milioni, 48,41% dei votanti, a loro volta il 75% degli aventi diritto) e per il fatto di esprimere ideali più populisti e meno nazionalistici, ha le preferenze di molti governi e media. D’altra parte, accusa l’opposizione, il voto è stato almeno in parte manipolato e dalla vittoria nel luglio 2011, il governo ha agito in modo autocratico e anche dipendente dall’influenza dell’ex premier, in esilio per evitare di scontare due anni di carcere per abuso di potere, incentivando ampi sprechi di denaro pubblico, partigianeria e corruzione dilaganti. (R.P.)

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    Giappone. I vescovi: con la legge sul segreto di Stato, il governo tradisce la Costituzione

    ◊   La legge speciale sul segreto di Stato "rappresenta un attacco alla sovranità popolare, al rispetto dei diritti umani di base e al pacifismo, cardini della Costituzione giapponese. Ecco perché noi, vescovi nipponici, protestiamo contro la sua approvazione e chiediamo che non vengano mai più proposte leggi simili". È il senso del documento firmato dalla Commissione permanente della Conferenza episcopale nipponica, reso pubblico dopo l'approvazione del discusso decreto-legge. Secondo la norma, votata dopo forti insistenze da parte del Partito liberal-democratico al potere in Giappone, ogni argomento definito dal governo "sensibile" potrà essere coperto dal segreto di Stato. In questo modo saranno solo i funzionari del governo, e non il Parlamento, a gestire la materia in oggetto. Non ci sarà controllo da parte della Dieta e ogni inchiesta, giornalistica o civile, potrà essere interrotta per motivi "di ordine nazionale". La Chiesa giapponese - riporta l'agenzia AsiaNews - aveva già espresso la propria posizione contraria prima del voto, avvenuto lo scorso 6 dicembre. Dopo l'approvazione, i membri della Commissione permanente hanno voluto rincarare la dose: "Il testo rappresenta una minaccia per i tre principi su cui si fonda la nostra Costituzione: la sovranità popolare, i diritti umani di tutti e il pacifismo. Inoltre, un testo così sensibile è stato votato senza il necessario dibattimento e senza le necessarie giustificazioni. È passato per le pressioni del Partito liberal-democratico, e per questo non possiamo accettarlo". I presuli sottolineano come la subordinazione del Parlamento al governo sia "una contraddizione del sistema democratico giapponese. Inoltre, la definizione di 'questione sensibile' è troppo ambigua. Il sistema decisionale democratico si basa sulla condivisione delle informazioni, ma questo decreto blocca il diritto della Dieta di indagare sui fatti. Ma così si mina il diritto del popolo a essere sovrano". Per concludere, i vescovi sottolineano che "un decreto come questo, che presenta tanti problemi e ha causato tanta opposizione e tanta preoccupazione, doveva essere votato solo dopo aver ascoltato le opinioni di persone diverse, che andavano discusse volta per volta. Questo è il modo in cui la democrazia dovrebbe sempre funzionare. Quindi protestiamo con forza contro il modo di fare scelto dal governo, e chiediamo che non venga mai più adottato". (R.P.)

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    Taizé: 20mila giovani a Strasburgo per l'incontro europeo della speranza

    ◊   Tra meno di due settimane, 20mila giovani provenienti da tutta Europa e da altri continenti arriveranno a Strasburgo, la città nel cuore dell’Europa, sede del Parlamento europeo che dal 28 dicembre al 1 gennaio 2014 ospiterà l’incontro di Taizé, 36ª tappa del pellegrinaggio della speranza sulla terra. Tra questi, più di 2.500 giovani provengono dall’Ucraina e circa 1.500 sono i volontari che arriveranno qualche giorno prima per preparare l’evento. Taizé conferma la notizia secondo cui tutti i giovani saranno alloggiati in famiglia, cosa che da parecchi anni non succedeva. È un chiaro segnale - affermano a Taizé - dell’“enorme slancio di generosità” con il quale i giovani saranno accolti in tutta la regione dell’Alsazia e Ortenau. La manifestazione sarà presentata alla stampa giovedì prossimo e c’è molta attesa per il messaggio che Papa Francesco invierà ai giovani di Taizé. La lettera di papa Bergoglio si unirà al messaggio che, come ogni anno, i leader di tutte le Chiese cristiane, presenti in Europa, inviano a Taizé per l’incontro di fine anno. L’evento ha ottenuto il plauso del Consiglio delle Chiese cristiane in Francia. “Auguro - scrive l’arcivescovo cattolico di Strasburgo mons. Jean-Pierre Grallet - che questo incontro faccia di voi degli artigiani della riconciliazione, ponti di unità tra i popoli”. E il presidente dell’Unione delle Chiese protestanti Jean-Francois Collange aggiunge: “La nostra epoca ha bisogno di giovani che siano portatori di futuro e di speranza”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 350

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.