Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 30/04/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: tutti devono pregare per la Chiesa. Una Chiesa "mondana" non porta il Vangelo
  • Il Papa riceve Shimon Peres: pace in Terra Santa e Siria. Papa Francesco invitato in Israele
  • Tweet del Papa: fiducia in Dio, con Lui facciamo grandi cose
  • Mons. Visco nominato nuovo vescovo di Capua. Mons. Pozzo e p. Granados consultori alla Dottrina della Fede
  • Il 2 maggio Benedetto XVI tornerà in Vaticano
  • 20.mo Catechismo: credere in Gesù apre le porte della vita eterna
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria, ancora sangue. Mosca e Washington studiano soluzione alla crisi
  • Siria, scomparso il giornalista Domenico Quirico, L'appello di Mario Calabresi
  • Governo Letta, fiducia dal Senato. Commenti di Giovagnoli, Vaciago, Pasquale
  • Le Settimane Sociali: dare più attenzione alle famiglie e al lavoro
  • Padre Chiera: i “meninos de rua” hanno fame di amore prima che di pane
  • Italia, povertà in crescita. "Actionaid": istituzioni rendano trasparenti i rapporti con i cittadini
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • La morte di mons. Jin Luxian, figura eminente della Chiesa cinese
  • Terra Santa. Mons. Shomali: no al muro di Cremisan
  • Bangladesh: due ditte straniere dell'abbigliamento risarciranno le famiglie delle vittime
  • Incontro a Londra dei vescovi europei sul dialogo con l'islam
  • Nigeria: sei vescovi della Provincia di Jos in visita di solidarietà a Maiduguri
  • Tunisia: a due anni dalla "Rivoluzione dei Gelsomini", si dà fuoco giovane disoccupato
  • Venezuela: al via il riconteggio dei voti ma per Capriles è una farsa
  • Cile: Lettera pastorale ai politici, in vista delle elezione
  • Sri Lanka. Scoppia il caso dei buddisti “talebani”: la Chiesa rilancia l’armonia religiosa
  • Vescovi sudcoreani: trasformiamo i rifugiati del Nord da emarginati a fratelli
  • Messico: quattro sacerdoti perdono la vita in tragico incidente
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: tutti devono pregare per la Chiesa. Una Chiesa "mondana" non porta il Vangelo

    ◊   “Quando la Chiesa diventa mondana” diventa una “Chiesa debole”. Così si è espresso in sintesi oggi Papa Francesco, durante la Messa presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta, alla presenza di alcuni dipendenti dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Il Papa ha indicato nella preghiera la via di custodia e affidamento al Signore per “gli anziani, gli ammalati, i bambini, i ragazzi”, per tutta la Chiesa. “Che il Signore ci faccia forti – ha rimarcato – per non perdere la fede, non perdere la speranza”. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    E’ l’affidamento della Chiesa al Signore che il Papa oggi ha sottolineato con forza, esortando tutti alla preghiera nello stretto legame con l’azione salvifica di Cristo:

    "Si può custodire la Chiesa, si può curare la Chiesa e noi dobbiamo farlo con il nostro lavoro, ma il più importante è quello che fa il Signore: è l’Unico che può guardare in faccia il maligno e vincerlo. Viene il ìprincipe del mondo', contro di me non può nulla: se vogliamo che il principe di questo mondo non prenda la Chiesa nelle sue mani, dobbiamo affidarla all’Unico che può vincere il principe di questo mondo. E qui la domanda: noi preghiamo per la Chiesa, ma per tutta la Chiesa? Per i nostri fratelli che non conosciamo, dappertutto nel mondo? E’ la Chiesa del Signore e noi nella nostra preghiera diciamo al Signore: Signore, guarda la tua Chiesa… E’ tua. La tua Chiesa sono i nostri fratelli. Questa è una preghiera che noi dobbiamo fare dal cuore, sempre di più".

    Poi, Papa Francesco ha rimarcato che “è facile pregare per chiedere una grazia al Signore”, “per ringraziare” o quando “abbiamo bisogno di qualcosa”. Ma fondamentale, ha spiegato, è pregare il Signore per tutti, per coloro che hanno “ricevuto lo stesso Battesimo” dicendo "Sono i tuoi, sono i nostri, custodiscili”:

    "Affidare la Chiesa al Signore è una preghiera che fa crescere la Chiesa. E’ anche un atto di fede. Noi non possiamo nulla, noi siamo poveri servitori – tutti – della Chiesa: ma è Lui che può portarla avanti e custodirla e farla crescere, farla santa, difenderla, difenderla dal principe di questo mondo e da quello che vuole che la Chiesa diventi, ovvero più e più mondana. Questo è il pericolo più grande! Quando la Chiesa diventa mondana, quando ha dentro di sé lo spirito del mondo, quando ha quella pace che non è quella del Signore – quella pace di quando Gesù dice 'Vi lascio la pace, vi do la mia pace', non come la dà il mondo – quando ha quella pace mondana, la Chiesa è una Chiesa debole, una Chiesa che sarà vinta e incapace di portare proprio il Vangelo, il messaggio della Croce, lo scandalo della Croce… Non può portarlo avanti se è mondana".

    Papa Francesco è tornato più volte sull’importanza della preghiera per affidare “la Chiesa al Signore”, via per la “pace che solo lui può dare”:

    "Affidare la Chiesa al Signore, affidare gli anziani, gli ammalati, i bambini, i ragazzi… 'Custodisci Signore la tua Chiesa': è tua! Con questo atteggiamento Lui ci darà, in mezzo alle tribolazioni, quella pace che soltanto Lui può dare. Questa pace che il mondo non può dare, quella pace che non si compra, quella pace che è un vero dono della presenza di Gesù in mezzo alla sua Chiesa. Affidare la Chiesa che è in tribolazione: ci sono grandi tribolazioni, la persecuzione… ci sono. Ma ci sono anche le piccole tribolazioni: le piccole tribolazioni della malattia o dei problemi di famiglia… Affidare tutto questo al Signore: custodisci la tua Chiesa nella tribolazione, perché non perda la fede, perché non perda la speranza".

    “Che il Signore ci faccia forti per non perdere la fede, non perdere la speranza”, ha detto il Papa, rimarcando che questa deve sempre essere la richiesta del cuore al “Signore”. “Fare questa preghiera di affidamento per la Chiesa – ha concluso ci farà bene e farà bene alla Chiesa. Darà grande pace a noi e grande pace alla Chiesa, non ci toglierà delle tribolazioni, ma ci farà forti nelle tribolazioni”.

    inizio pagina

    Il Papa riceve Shimon Peres: pace in Terra Santa e Siria. Papa Francesco invitato in Israele

    ◊   “Decisioni coraggiose e disponibilità da ambedue le parti” per portare il conflitto israelo-palestinese sulla strada della pace. E un invito rivolto al Papa a visitare la Terra Santa. Sono alcuni dei punti principali emersi durante l’incontro che questa mattina Papa Francesco ha avuto in Vaticano con il presidente dello Stato d’Israele, Shimon Peres, il quale si è successivamente intrattenuto con il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e con il segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti.

    Per ciò che riguarda la situazione sociopolitica del Medio Oriente, “dove – si legge nel comunicato ufficiale – perdurano non poche realtà conflittuali”, si “è auspicata una pronta ripresa dei negoziati tra Israeliani e Palestinesi” affinché, “con il sostegno della comunità internazionale, si possa raggiungere un accordo rispettoso delle legittime aspirazioni dei due Popoli e così contribuire risolutamente alla pace e alla stabilità della Regione”. Non è mancato, poi, un riferimento – prosegue la nota – all’importante questione della Città di Gerusalemme” e inoltre “si è manifestata particolare preoccupazione per il conflitto che affligge la Siria per il quale si è a si è auspicato una soluzione politica, che privilegi la logica della riconciliazione e del dialogo”.

    Infine, conclude il comunicato, “sono state affrontate anche alcune questioni riguardanti i rapporti tra lo Stato d’Israele e la Santa Sede e tra le Autorità statali e le comunità cattoliche locali. Sono stati apprezzati infine i notevoli progressi fatti dalla Commissione bilaterale di lavoro, impegnata nell’elaborazione di un Accordo su questioni di comune interesse, per il quale si auspica una pronta conclusione”. Il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, ha confermato l’invito rivolto dal presidente Peres a Papa Francesco perché possa al più presto venire in visita in Israele.

    inizio pagina

    Tweet del Papa: fiducia in Dio, con Lui facciamo grandi cose

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un nuovo tweet: “Abbiamo fiducia nell’azione di Dio! Con Lui possiamo fare cose grandi; ci farà sentire la gioia di essere suoi discepoli”. Ieri, l’account @Pontifex ha superato quota 6 milioni di follower.

    inizio pagina

    Mons. Visco nominato nuovo vescovo di Capua. Mons. Pozzo e p. Granados consultori alla Dottrina della Fede

    ◊   In Italia, Papa Francesco ha nominato arcivescovo di Capua mons. Salvatore Visco, promuovendolo dalla sede vescovile di Isernia-Venafro (Italia). Mons. Visco è nato a Napoli il 28 luglio 1948. Ha compiuto gli studi ginnasiali e liceali nel Seminario minore di Pozzuoli e quelli filosofici e teologici presso il Seminario Maggiore di Napoli come alunno della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione S. Tommaso (Capodimonte). È stato ordinato sacerdote il 14 aprile 1973. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti uffici e ministeri: Vicario Parrocchiale di Maria SS. Desolata in Bagnoli (1973-1984); Docente di Religione presso la scuola pubblica (1974-1994); Parroco della Chiesa di Mater Domini (1985-1993); Direttore dell’Ufficio Liturgico Diocesano (1985-1994); Delegato vescovile per il Diaconato permanente e Responsabile diocesano per i Ministeri (1985-1995); Vicario Generale della diocesi di Pozzuoli e Decano del Capitolo della Chiesa Cattedrale di Pozzuoli (1994-2007). Eletto alla sede vescovile di Isernia-Venafro il 5 aprile 2007, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 2 giugno successivo. Attualmente è Vice-Presidente della Conferenza Episcopale Abruzzese-Molisana.

    A Panama, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Santiago de Veraguas, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Óscar Mario Brown Jiménez. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Audilio Aguilar Aguilar, finora Vescovo di Colón – Kuna Yala.

    Papa Francesco ha nominato consultori della Congregazione per la Dottrina della Fede mons. Guido Pozzo, arcivescovo titolare di Bagnoregio, elemosiniere di Sua Santità, e padre José Granados, D.C.J.M., vicepreside del Pontificio Istituto "Giovanni Paolo II" per Studi su Matrimonio e Famiglia in Roma.

    inizio pagina

    Il 2 maggio Benedetto XVI tornerà in Vaticano

    ◊   Dopodomani, 2 maggio, il Papa emerito Benedetto XVI tornerà in Vaticano e prenderà dimora, come già annunciato, nel convento Mater Ecclesiae. Il rientro del Papa emerito avverrà in elicottero intorno alle 16.30-17, con partenza dal Palazzo apostolico di Castel Gandolfo, dove Benedetto XVI ha risieduto negli ultimi due mesi. A confermare la notizia ai media è stato il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi. Ai giornalisti che chiedevano notizie sulla salute di Benedetto XVI, padre Lombardi ha replicato: ''E' un uomo anziano, indebolito dall'età, ma non ha nessuna malattia''.

    inizio pagina

    20.mo Catechismo: credere in Gesù apre le porte della vita eterna

    ◊   La risposta all'eterna domanda della fede - cosa vuol dire credere in Gesù - è al centro di alcune delle pagine del Catechismo della Chiesa Cattolica. Pagine sulle quali si concentra la 24.ma puntata del ciclo di riflessioni del gesuita, padre Dariusz Kowalczyk, ideato a 20 anni dalla pubblicazione del Catechismo:

    I cristiani credono in Gesù Cristo. Ma cosa vuol dire la fede in Gesù? Si può dire che tutta la vita della Chiesa consiste nel rispondere in diversi modi a questa domanda. Quando Gesù domandò ai discepoli: “Voi chi dite che io sia?”, Apostolo Pietro rispose: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Sia la domanda, che la risposta si ripetono e vengono sviluppate attraverso i secoli.

    I Giudei cercavano di uccidere Gesù – come leggiamo in Giovanni – perché “non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio” (5,18). Infatti, quando p.es. Gesù disse: “Prima che Abramo fosse, Io sono” (Gv 8,58), gli ascoltatori non avevano dubbi che il Maestro di Nazareth si ritenesse uguale a Dio. Anche quando Gesù riteneva di poter rimettere i peccati, alcuni scribi pensavano: “Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo” (Mc 2,7).

    La testimonianza del Nuovo Testamento ci pone davanti alla scelta: o professiamo Gesù come Dio Salvatore oppure lo rifiutiamo. Ascoltando le parole di Gesù non possiamo negare la sua divinità e nello stesso tempo ritenere che lui fosse un grande uomo che diceva la verità.

    Il Catechismo ci indica i quattro nomi che il Nuovo Testamento riferisce al Maestro di Nazareth: Gesù, Cristo, Figlio di Dio, Signore. “Gesù significa” “Dio che salva”. “Cristo” significa “l’Unto”, cioè “il Messia” promesso nell’Antico Testamento. Il “Figlio di Dio” indica la relazione unica ed eterna di Gesù con Dio Padre. Il nome “Signore” invece indica la sovranità di Dio (cfr. CCC 452-455).

    Il cristiano professa Gesù Cristo come vero Dio e vero uomo, e crede che senza Gesù non vi sia la salvezza per gli uomini. Solo questo nome apre la vita eterna, anche per quelli che non sono cristiani.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, intervista all’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, sulla riforma di Papa Francesco.

    Nell’internazionale, intervista di Luca M. Possati al presidente israeliano Shimon Peres che auspica il dialogo in una regione formata da minoranze.

    In cultura, anticipate le relazioni dei teologi Thomas Söding e Hanna Barbara Gerl-Falkovitz in un convegno che si terrà il 2 maggio a Roma su Joseph Ratzinger ed Erik Peterson.

    L’omaggio del cardinale Marx al pontificato di Benedetto XVI in una serata che si è tenuta a Moanco di Baviera.

    Alla vigilia della festa di sant’Atanasio un articolo di Manuel Nin sul Collegio greco e la sua storia di accoglienza ed educazione lunga quasi cinque secoli.

    In religione, l’incontro a Juba tra il presidente sud sudanese e il segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese sul ruolo dei cristiani nel Paese.

    Nella pagina vaticana, l’omelia dell’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller sulla figura di san Pio V nel giorno della sua memoria liturgica.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Siria, ancora sangue. Mosca e Washington studiano soluzione alla crisi

    ◊   E' di almeno 10 morti e 60 feriti il bilancio ufficiale dell'attentato compiuto stamani nel centro di Damasco, a due passi dalla Città vecchia. Lo riferisce la tv di Stato citando il ministero degli Interni. Ieri 100 persone hanno perso la vita nei vari attacchi tra cui il fallito attentato al premier Wael al-Halqi. In questo scenario ancora nessuna notizia dei due vescovi metropoliti rapiti lunedì scorso ad Aleppo, e del giornalista italiano Domenico Quirico, inviato del quotidiano "La Stampa" nel Paese e scomparso da venti giorni. Sul versante dioplomatico, mentre la comunità internazionale si domanda se Assad stia usando armi chimiche contro i ribelli e la Francia invoca la verifica dell’Onu, Stati Uniti e Russia fanno sapere di voler lavorare per una soluzione della crisi. Fausta Speranza ha chiesto ad Alessandro Colombo, docente di Relazioni internazionali all’Università di Milano, quale margine ci possa essere di azione congiunta tra Mosca e Washington:

    R. – E’ molto difficile dirlo, perché è chiaro che gli obiettivi della Russia e degli Stati Uniti non sono convergenti. C’è un solo obiettivo comune – e credo che su questo Obama e Putin cercheranno di collaborare – che è la preoccupazione, condivisa dalla Russia e dagli Stati Uniti, da un lato per l’estensione dell’instabilità attorno alla Siria, dall’altro lato per il continuo rafforzamento della componente "jihadista" nell’insurrezione. Questo è l’elemento che preoccupa nella stessa misura gli uni e gli altri.

    D. – Sulle preoccupazioni tutti d’accordo, ma sul da fare penso che sia molto difficile avere una linea. Abbiamo visto la spaccatura che è emersa all’interno del consesso Onu...

    R. – Sul da fare non credo che ci siano grandi margini di accordo in questo momento, perché la posizione della Russia a suo modo è una posizione chiara. La Russia conta sulla perpetuazione dell’attuale regime politico in Siria, magari con una transizione interna. Questa potrebbe essere una soluzione. Il problema maggiore ce l’hanno gli Stati Uniti: sono gli Stati Uniti che in questo momento non hanno una politica chiara sulla Siria, perché da un lato vorrebbero l’abbattimento del regime di Assad, ma dall’altro lato non vogliono coloro che, con ogni probabilità, succederebbero ad Assad. Quindi, la posizione degli Stati Uniti in questo momento è una posizione di impasse totale, che si legge nel dibattito politico e anche nel dibattito intellettuale negli Stati Uniti sulla questione siriana. E’ molto difficile trovare una posizione comune, che non sia una sorta di "foglia di fico" su una sorta di transizione interna al regime. Ma in questo momento la transizione interna al regime è una soluzione che l’opposizione siriana non potrebbe neanche lontanamente immaginare come praticabile e meno che mai le sue componenti più radicali. Quindi, la situazione mi sembra, da un punto di vista diplomatico, pressoché disperata.

    D. – Abbiamo parlato della possibile intesa Cremlino-Washington. Vogliamo dire che su questa congiuntura pesa l’Iran?

    R. – Sì, naturalmente, l’Iran è l’altro elemento dell’equazione, è chiaro. La Federazione russa, tra l’altro, ha la posizione che ha sulla Siria anche per conservare buoni rapporti con l’Iran. Va detto – se si può aprire una parentesi – che il conflitto siriano è anche la prova definitiva di quello che in realtà si sapeva già, e cioè che non esiste un fronte comune dell’islam radicale. In Siria, si stanno combattendo da un lato jihadisti, più o meno legati ad Al Qaeda, con l’Iran e gli hezbollah dall’altra parte. Quindi, questa è una cosa che dovrebbe servire anche all’informazione – e perché no, al mondo politico – per proporre delle analisi un po’ meno rozze del rapporto tra Occidente e islam radicale.

    D. – La questione delle armi chimiche ovviamente è uno spettro che sta un po’ sullo sfondo di tutto, ma c’è la sensazione che potrebbero essere usate come grimaldello per uscire dallo stallo...

    R. – Gli Stati Uniti sono molto prudenti. In realtà, gli Stati Uniti continuano a frenare sull'ipotesi dell’uso di armi chimiche da parte delle truppe di Assad, facendo notare quello che in realtà è perfettamente ragionevole dal punto di vista militare e strategico, cioè che in una condizione come questa un uso anche confermato ma saltuario delle armi chimiche potrebbe non significare un ordine da parte del regime, ma un’iniziativa indipendente di qualche pezzo del personale. Ci si trova in una situazione nella quale è presumibile che la catena di comando sia totalmente saltata sia per i regolari che per gli irregolari. Quello che conta allora è come venga interpretato dai diversi attori questo uso saltuario, semmai avvenuto, di armi chimiche. Gli Stati Uniti, in questo momento, sono tra tutti i principali attori quelli che accentuano di più il carattere di prudenza e dicono: “Stiamo attenti, non precipitiamo, non arriviamo subito alle estreme conseguenze”, perché chiaramente sono il Paese che in questo momento è più preoccupato da un possibile coinvolgimento diretto in operazioni militari. Gli Stati Uniti non vogliono assumersi un altro compito paragonabile a quello che si sono assunti – con cattivi risultati, oltretutto – sia in Iraq sia in Afghanistan.

    inizio pagina

    Siria, scomparso il giornalista Domenico Quirico, L'appello di Mario Calabresi

    ◊   Da circa venti giorni non si hanno più notizie del giornalista Domenico Quirico, del quotidiano “La Stampa”, che si trovava in Siria per realizzare dei reportage dalla zona di Homs. A rendere noto il fatto è stato lo stesso direttore di “La Stampa”, Mario Calabresi, sul sito web della testata, in accordo con le autorità italiane. Le ultime notizie di Quirico risalgono a martedì 9 aprile. In un messaggio inviato al cellulare di un collega, spiegava di essere sulla strada per Homs. Si trovava da tre giorni in Siria, aveva avvertito sia la moglie che la redazione che non sarebbe stato raggiungibile sul cellulare. Le persone con cui si trovava gli avevano chiesto di non utilizzare neanche il telefono satellitare: farlo lo avrebbe esposto al rischio di rivelare la sua presenza. Dopo aver mantenuto un silenzio di alcuni giorni, “La Stampa” ha deciso di diffondere la notizia. A spiegare il perché di questa scelta informativa, nell’intervista di Davide Maggiore è Mario Calabresi, direttore del quotidiano:

    R. – Era stato deciso insieme alle autorità italiane e insieme alla famiglia di restare in silenzio per non intralciare una serie di ricerche che si stavano facendo. Domenico Quirico è andato in Siria, in un’area dove da tempo non andavano e non vanno giornalisti occidentali: nella zona di Homs, sulla strada tra Homs e Damasco. Noi sappiamo che è una zona molto pericolosa, molto difficile, in cui operano anche – oltre a gruppi jihadisti di natura varia – bande criminali, che possono fare sequestri e rapimenti. Domenico ci aveva avvisato che per un periodo di tempo sarebbe stato in silenzio. Quando sono iniziate le ricerche, noi non potevamo valutare se quel silenzio era ancora un silenzio – come dire – di lavoro, un silenzio operoso, senza problemi… Quindi è stato deciso di stare in silenzio per non accendere un riflettore, un faro su di lui, mettendolo in pericolo se stava invece cercando di tornare indietro.

    D. – Quirico era ad Homs, non era il suo primo viaggio in Siria: avevate avuto dei riscontri da lui durante questo viaggio? Vi aveva descritto qualcosa delle condizioni in cui si trovava ad operare? C’erano dei presentimenti che la situazione di sicurezza non fosse esattamente come le altre volte?

    R. – No, niente di questo tipo. Domenico Quirico è la quarta volta che andava in Siria nell’ultimo anno. Due volte era stato nell’area di Aleppo e questa era la seconda che entrava invece dal confine libanese. Aveva ben presente quale fosse la situazione. Le comunicazioni negli ultimi giorni in cui lo abbiamo sentito erano solo comunicazioni tecniche: “Sto bene, proseguo il viaggio”… Ma ci aveva spiegato da subito che da lì sarebbe stato impossibile scrivere e che avrebbe poi scritto i suoi reportage al ritorno. Quindi, noi oggi coltiviamo speranza e abbiamo fiducia nel lavoro che stanno facendo le autorità italiane, coordinate dall’Unità di crisi della Farnesina, e speriamo che portino al più presto ad un risultato per riuscire a trovare Domenico.

    D. – Concluderei chiedendole se c’è un appello che vuole fare, oltre che ai colleghi che si occuperanno di informare su questa vicenda, anche a qualche altra persona che eventualmente fosse all’ascolto attraverso la radio?

    R. – Naturalmente chiunque avesse notizie, le segnalasse. Però, anche una cosa importante: come abbiamo visto anche in situazioni precedenti di colleghi che sono scomparsi e che poi fortunatamente sono stati ritrovati, una cosa che fa grande danno sono i polveroni dell’invenzione di ipotesi e di piste non verificate, perché fanno perdere tempo a chi sta facendo le ricerche e spesso creano momenti di speranza che poi vengono delusi presto.

    E sulla vicenda che ha coinvolto Quirico Davide Maggiore ha raccolto anche il commento di Domenico Affinito, vicepresidente della sezione italiana di Reporter Senza Frontiere:

    R. – Reporter senza frontiere era a conoscenza della scomparsa di un giornalista italiano già da alcuni giorni, in quanto la notizia era stata riportata da un giornalista di un giornale belga alla sede locale belga. Ieri pomeriggio, prima che fosse diffusa la notizia abbiamo appreso il nome di Domenico Quirico direttamente da fonti del giornale. La scomparsa è un fatto che ancora non si riesce bene a valutare. Domenico Quirico è abituato, quando va in giro, a non avere molti contatti con la redazione ma anche con la famiglia stessa. Questo da quando fu rapito, nel 2011, durante la guerra in Libia.

    D. – Più in generale, il caso di Domenico Quirico riporta l’attenzione sulla figura dell’inviato di guerra che segue i conflitti direttamente sul campo, ma che spesso subisce le conseguenze di queste stesse operazioni belliche…

    R. – Con le ultime guerre, almeno negli ultimi 20 anni, stiamo assistendo a un meccanismo nuovo. Per i giornalisti è sempre più difficile recarsi sui fronti di guerra, in quanto il rischio di rapimenti e anche di uccisione è elevatissimo. Questo fa sì che le informazioni si abbiano attraverso canali nuovi, come i social network: informazioni che però difficilmente a quel punto sono verificabili. Quindi, è aumentata ancora di più l’esigenza che i giornalisti vadano in questi posti. Però, il giornalista viene visto come parte del conflitto, soprattutto se occidentale, soprattutto se nel conflitto sono coinvolti Paesi occidentali; viene visto come merce di scambio e come possibilità di ottenere soldi attraverso riscatti.

    D. – Nonostante questi pericoli, la scelta degli inviati di guerra è comunque quella di continuare a partire…

    R. – Non bisogna mai abbandonare la volontà di recarsi lì dove i fatti avvengono. Non c’è giornalismo se non c’è investigazione sulla realtà e contatto diretto con quella realtà. Per questo, i giornalisti hanno sempre voglia di andare in questi posti. Il giornalista che si occupa di esteri si occupa di questi fatti e quindi va a vedere cosa succede.

    D. – E’ anche per questo, oltre che per il valore inestimabile di una vita umana, che, anche nel caso della sparizione di un singolo, è giusto che si mobilitino le istituzioni statali…

    R. – Nel momento in cui lo Stato italiano si muove per tutelare un proprio giornalista, come potrebbe capitare per un diplomatico, per un cooperante, per un militare, lo Stato italiano non si sta muovendo per un singolo. Si sta muovendo per un bene superiore, perché nel caso del giornalista, del diplomatico, del militare, del cooperante si tratta sempre di persone che si occupano in qualche modo per l’intera comunità di fare un lavoro per tutta la comunità. Nel caso di un giornalista, perché è depositario di quel diritto che hanno tutti i cittadini italiani di essere informati. Il giornalista non è lì per nome proprio, è lì per conto di una comunità. Nel momento in cui succede qualcosa al giornalista, non c’è contraddizione nel fatto che si muova direttamente lo Stato italiano.

    inizio pagina

    Governo Letta, fiducia dal Senato. Commenti di Giovagnoli, Vaciago, Pasquale

    ◊   Politica Italiana. All’indomani della fiducia alla Camera, il governo Letta ha incassato anche quella del Senato. I voti favorevoli sono stati 233, i contrari 59 e gli astenuti 18. In mattinata, a palazzo Madama, si è svolto il dibattito e il discorso del premier, Enrico Letta. Il servizio di Eugenio Bonanata:

    Fisco, lavoro e riforme istituzionali. Il premier Letta ha ribadito il programma del suo governo richiamando il discorso fatto ieri alla Camera. “La situazione rimane di grandissima difficoltà ed emergenza”, ha detto, osservando che c’è un “carico di aspettative eccessive nei confronti di questo esecutivo”. Poi, la difesa delle larghe intese e l’esortazione ai partiti a restare uniti. Il primo terreno di confronto tra partiti è l’Imu. Per il Pdl è da abolire: in caso contrario “non ci stiamo”, ha chiarito l’ex premier Berlusconi. Il Pd ritiene invece che la tassa sia da rivedere. “Verrà sospesa la rata di giugno – ha precisato il neo ministro per gli Affari regionali, Delrio. L’obiettivo, ha aggiunto, è di alleggerirla, soprattutto per i meno abbienti. Una questione spinosa che si affianca a temi caldi come il lavoro giovanile, l’abbassamento della pressione fiscale e la revisione del Welfare. Altro capitolo delicato è quello dei rapporti con l’Europa. Oggi pomeriggio, Enrico Letta comincia il suo tour nel Vecchio continente: prima tappa Berlino, poi Parigi e Bruxelles. L’obiettivo è di illustrare il programma del suo esecutivo: riordino dei conti pubblici in prima linea. Ma non solo rigore: la richiesta ai partner è di appoggiare le politiche per la crescita.

    Dopo la scontata fiducia del Senato, per il neo governo presieduto da Enrico Letta si apre la fase operativa, in un contesto di emergenza per il Paese. Cecilia Seppia ha chiesto sul punto l'opinione del politilogo Agostino Giovagnoli:

    R. – La questione nazionale, in questo momento, è particolarmente urgente. Sotto questo profilo, c'è continuità rispetto al governo Monti, che si è autodefinito "governo di responsabilità nazionale". Certamente, il governo Monti ha sofferto per una distanza che i partiti hanno voluto prendere sin dall'inizio e certamente sbagliando.

    D. – Si può parlare di "governo di servizio"?

    R. – Questa è una bella definizione. Lui stesso ha voluto, in un certo senso, anche evidenziarla, dandosi un limite di tempo di 18 mesi. Non vorrei, però, che questa esperienza non esperisse fino in fondo quella che è la sua missione: quella cioè di chiudere la "Seconda Repubblica".

    D. – Un altro punto su cui riflettere è la legge elettorale: quella che c'è non va bene - ha detto Letta - che ha ipotizzato il ritorno al sistema precedente, con la reintroduzione anche delle preferenze...

    R. – E' una soluzione prudente, nel senso che Letta ha voluto in questo modo sottolineare che è talmente necessario il cambiamento della legge elettorale da far sì che anche una soluzione non risolutiva, ma comunque migliore dell'attuale, come appunto il ritorno al sistema precedente, sia preferibile. E' importante che il presidente del Consiglio abbia preso un impegno in questo senso, perché effettivamente il "mattarellum" è una grande vergogna e i risultati devastanti si sono visti con gli ultimi risultati delle elezioni politiche.

    Il ministro per le Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha annunciato che entro domenica prossima arriverà la nomina dei sottosegretari e che il primo provvedimento dell’esecutivo sarà il Documento di programmazione economica e finanziaria. Oltre alla questione Imu, tra gli impegni c’è anche la riduzione delle tasse sul lavoro. Sulle priorità economiche del neo esecutivo italiano, Alessandro Guarasci ha intervistato l’economista Giacomo Vaciago:

    R. – Da un lato, c'è da sostenere la domanda di consumo delle famiglie e la cosa più rapida per farlo è ridurre un po’ la pressione fiscale. Dall’altro, sostenere la crescita dell’economia aumentando la produttività dell’impiego delle risorse e per questo c’è da fare tagli, guadagnare in efficienza e così via. Letta può contare su un aspetto importante, che è un po’ più di benevolenza da parte di Bruxelles.

    D. – Le risorse per fare tutto quello che Letta ha proposto potranno arrivare da tagli alla spesa e da una seria lotta all’evasione fiscale?

    R. – Devono arrivare da tagli alla spesa inutile. Il patto con il contribuente è che la riduzione dell’evasione vada a beneficio dei contribuenti onesti e spero che prima o poi anche questo governo lo capisca.

    Sulla necessità di tagli alla spesa, ma anche di un generale recupero di credibilità da parte della classe politica, si sofferma Franco Pasquale, presidente dell’associazione "Reti in opera", espressione del laicato cattolico della Cei. L’intervista è di Luca Collodi:

    R. – Il lavoro della politica è la capacità di fare sintesi per creare proposte condivise percorribili, riuscire a fare una proposta, un racconto che ricoinvolga il nostro Paese. Quando dico che c’è bisogno “della politica”, intendo anche una di classe dirigente che è, sì, il politico, ma è anche l’imprenditore, la rappresentanza delle forze sociali… Occorre una nuova ottica da questo punto di vista, direi una generosità nuova: mettersi più in discussione per creare questa proposta che è alla portata di tutti, se noi rimettiamo al centro anche la dignità di ogni persona.

    D. – Quando un cittadino che ha perso il lavoro vede un politico che spende soldi per comprarsi cose superflue, li utilizza per spese personali – purtroppo è successo – che cosa deve pensare?

    R. – Ovviamente, questa mancanza di autorevolezza, di punti di riferimento crea sconcerto, rabbia, disagio, disorientamento che dopo può sfociare in situazioni estremamente drammatiche. Allora, occorre anche una testimonianza diretta, personale: diventa decisivo e determinante tutto il discorso che da tempo si sta facendo circa la forte sobrietà che viene richiesta a chi oggi ha responsabilità. È il primo esempio che dobbiamo mettere in campo, che ci è richiesto come Paese.

    inizio pagina

    Le Settimane Sociali: dare più attenzione alle famiglie e al lavoro

    ◊   Il presidente delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, mons. Arrigo Miglio, è fiducioso che il nuovo governo affronti la difficile condizione di tante famiglie e del lavoro. Mons. Miglio è intervenuto questa mattina alla presentazione del documento per la 47.ma Settimana che si terrà a Torino dal 12 al 15 settembre. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    La Settimana Sociale di Torino cade in un momento particolare: la crisi economica, che sta fiaccando tante famiglie. E la proiezione sociale della famiglia che non è fatto privato ma un punto di forza della società, ancora accovacciata nella crisi. D’altronde, l’Italia su questo fronte è molto indietro rispetto ad altri Paesi europei. Ora, col nuovo governo il presidente delle Settimane Sociali, mons. Arrigo Miglio, chiede un più di attenzione:

    "Siccome si è parlato molto di lavoro e anche di famiglia, la mia speranza è che questi due temi siano davvero la priorità e siano davvero un punto di incontro di bene comune: forze diverse lavorino più concordemente per un pilastro del bene comune del Paese come quello del lavoro, ma altrettanto lo è quello della famiglia".

    Per i vescovi e i laici impegnati nelle Settimane Sociali, serve riconoscere il carattere speciale dell’amore tra un uomo e donna. “Parlare di famiglia non è un riflesso omofobico”, mette in luce il segretario del Comitato organizzatore, Luca Diotallevi:

    "Il Paese deve decidere se vuole essere solo uno Stato o tornare ad essere una Repubblica e cioè una comunità fatta di tanti soggetti o di uno solo in crisi. Dei tanti soggetti di cui è fatta una Repubblica - come dice la nostra Costituzione - c'è anche la famiglia".

    Ma a Torino sarà dato spazio anche alle tante famiglie che, nonostante la crisi, ce la fanno. Le storie positive ci sono e meritano di essere raccontate.

    inizio pagina

    Padre Chiera: i “meninos de rua” hanno fame di amore prima che di pane

    ◊   Secondo la Banca Mondiale, oltre il 50% della popolazione mondiale che vive in condizioni di povertà è concentrata in Cina, India e Brasile. Nonostante i numeri che restano drammatici, dagli anni ‘80 sono riuscite a superare la povertà 600 milioni di persone. In Brasile, da 35 anni il sacerdote italiano Renato Chiera è impegnato con i “meninos de rua” con la sua “Casa do Menor”. Rafael Belincanta ha raggiunto telefonicamente padre Renato Chiera a Fortaleza, per raccontare la sua esperienza nella lotta contra la povertà:

    R. - Nella mia esperienza di padre di strada, e adesso delle cracolandie, ho visto e vedo dal mio punto di vista la realtà della povertà dei ragazzi. È un dramma, perché è una povertà materiale, ma anche una povertà di fame, di casa, di futuro, di scuola. Ma c’è una povertà estrema, drammatica che è quella del cuore. Vedo che la più grande tragedia non è essere poveri in senso economico – anche se questo è bruttissimo – ma è non essere amati, non essere figli. E questa è la tragedia della maggiore parte dei bambini e ragazzi del Brasile, e forse anche dell’umanità. I nostri figli, i nostri ragazzi, non si sentono più figli! Non sono figli amati. Sono persone che possono anche avere beni materiali, però questi beni non riempiono il cuore. Il cuore dei ragazzi, dei bambini, grida la presenza di qualcuno che li faccia sentire figli. Ascolto continuamente questo grido! È un grido di fame fisica, perché c’è ancora questo! Ci arrivano dei bambini che sono nelle condizioni nelle quali si trovavano qualche anno fa i bambini dell’Etiopia!

    D. - Ma oltre a questa figura emblematica di un bambino stremato dalla fame, la povertà assume altri volti, secondo lei?

    R. – Sì. C’è l’esclusione dalla scuola. Anche se possono andare a scuola, non imparano. C’è l’esclusione dall’avere un futuro, una professione, dall’avere una famiglia, un lavoro… Adesso, i più esclusi, in un mondo sempre più competitivo, sono ancora più esclusi. Poi vedo le cracolandie… sono dei cimiteri di vivi che aspettano di morire e si consolano con il crack. In questi luoghi c’è il grido della povertà estrema, radicale; una povertà di esclusione sociale, economica, il fatto di non sentirsi nessuno. Ma anche lì c’è la povertà del cuore. Il grido del cuore per essere amati. Ho scritto un libro sull’esperienza nella cracolandia a Rio. Il titolo è “Dall’inferno, un grido per amore”. Quindi, vorrei che noi non avessimo solamente una visione di povertà materiale. Il mondo è ancora molto ingiusto a questo livello, ma dovremmo vedere la povertà del cuore e quella di chi non è amato.

    inizio pagina

    Italia, povertà in crescita. "Actionaid": istituzioni rendano trasparenti i rapporti con i cittadini

    ◊   L’11% delle famiglie italiane, corrispondenti a otto milioni di persone è in condizione di povertà relativa, mentre il 5%, pari a quasi tre milioni di persone, è ormai povera invece in termini assoluti. Gli ultimi dati diffusi dall’Istat delineano un quadro brutale, impietoso dello scenario del malessere sociale italiano. E’ di questi temi che si è discusso nel corso della recente Conferenza organizzata a Roma da “Actionaid”, organizzazione umanitaria da sempre impegnata nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale, in collaborazione con l’Associazione della Stampa romana e col parlamento europeo. Gea Finelli ha chiesto a Marco De Ponte, segretario generale di Actionaid, qual sia la ricetta da loro proposta per fronteggiare questa situazione:

    R. – E’ una crisi che va inquadrata nell’ambito europeo e i dati dimostrano che esistono situazioni di sempre maggiore approfondimento, allargamento, delle situazioni di povertà. Le persone che entrano ed escono da situazioni di disagio sociale sono di più e stanno in queste situazioni per periodi più lunghi. La ricetta di Actionaid è molto semplice: noi riteniamo che non ci sia soluzione veramente profonda se non si garantisca una rinnovata "accountability" tra le istituzioni e i cittadini.

    D. – Voi usate questo termine sconosciuto a molti “accountability”: qual è il suo significato?

    R. – E’ un termine inglese, ormai usato internazionalmente, e letteralmente vuol dire la capacità di dare conto: cioè, implica il pianificare le cose da fare, pianificarle insieme, attraverso una partecipazione e poi dar conto dei risultati ottenuti e non ottenuti per eventualmente riprogrammare. E’ un concetto che comprende tutta quella che dovrebbe essere la dinamica tra istituzioni e cittadini, sia a livello micro, nel villaggio, sia a livello nazionale tra Paesi e anche istituzioni nazionali.

    D. – In pratica, le istituzioni devono diventare la "casa degli ultimi", citando le parole della presidente della Camera, Laura Boldrini?

    R. – E’ un auspicio, perché poi diventino la casa degli ultimi. Perché poi diventino la casa degli ultimi bisogna che gli ultimi abbiano voce, bisogna che siano ascoltati, che siano essi parte del processo decisionale e che possano esprimere le loro esigenze e che poi possano chiederne conto ai decisori politici.

    Ma quale ruolo possono svolgere i media nella campagna contro la povertà? Gea Finelli lo ha domadato a Paolo Butturini, segretario dell’Associazione stampa romana:

    R. – Innanzitutto, i media hanno un ruolo fondamentale in una società democratica, soprattutto in una società globalizzata come la nostra dove il flusso di informazioni è enorme. Proprio perché è enorme, è necessario che i media abbiano contezza del loro ruolo. Il ruolo che possono svolgere è quello di raccontare con chiarezza, con incisività e con sintesi la realtà e restituirla ai cittadini in modo tale che i cittadini si rendano conto di ciò che li circonda.

    D. – I media però spesso sono accusati di eccessivo allarmismo, un allarmismo che provoca uno stato maggiore di ansia nella società…

    R. – Sono accusati di allarmismo in relazione al fatto che spesso fanno del sensazionalismo rispetto all’informazione. Qui, infatti, si tratta di spiegazione dei dati, di approfondimento, di racconto anche delle vicende, non soltanto di notizia sensazionale che fa scalpore. Dire che ci sono sei milioni di poveri, quattro milioni di poveri in Italia fa scalpore. Spiegare quali sono i meccanismi attraverso i quali queste povertà si consolidano, si ampliano, e come si può, quali sono le ricette per combattere questi meccanismi, questo toglie il sensazionalismo e riporta l’informazione al suo ruolo fondamentale di accompagnamento democratico.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    La morte di mons. Jin Luxian, figura eminente della Chiesa cinese

    ◊   La Santa Sede ha reso noto che sabato 27 aprile, è deceduto in Cina mons. Aloysius Jin Luxian, vescovo coadiutore di Shanghai. Aveva 96 anni. Il presule era nato il 20 giugno 1916 nel distretto di Nanshi della città di Shanghai. Nel settembre 1926 iniziò a frequentare gli studi primari nel Collegio di Sant’Ignazio; poi, nel 1932, venne accolto nel seminario del Sacro Cuore di Gesù e successivamente nel seminario maggiore del Sacro Cuore di Maria. Attratto dalla spiritualità e dalla vita della Compagnia di Gesù, nel 1938 iniziò il noviziato e l’8 settembre 1940 emise i primi voti religiosi. Terminati gli studi di filosofia e di teologia a Xianxian (Hebei), il 19 maggio 1945 fu ordinato sacerdote nella cattedrale di Shanghai. Tra il 1947 e il 1948 completò la sua formazione religiosa a Parigi, quindi dal 1948 al 1950 frequentò la Pontificia Università Gregoriana a Roma, dove conseguì la laurea in Teologia. Durante le vacanze estive si recava in Germania, Francia e Inghilterra, per apprendere le varie lingue. Con l’avvento della Repubblica Popolare Cinese, nel 1950 fu richiamato in patria e, a seguito degli avvenimenti politici del tempo e dell’espulsione dei gesuiti stranieri, nel 1951 fu nominato rettore temporaneo del seminario regionale di Xuhui (Shanghai). Il rev. Jin Luxian fu arrestato la notte dell’8 settembre 1955 e sottoposto a lunghi interrogatori, che si conclusero con un processo nel 1960: egli fu condannato a 18 anni di prigione, più 9 di rieducazione. Dal 1963 al 1967 fu detenuto nella prigione di Qincheng (Pechino), dove, a motivo della sua notevole conoscenza delle lingue straniere, fu inserito in un gruppo di detenuti traduttori, che lavoravano a favore dello Stato. Nel 1967 fu trasferito nel Centro rieducativo di Fushun e nel 1973 in quello di Qincheng, dove rimase fino al 1975. Fu poi inviato in un campo di lavoro nello Henan e nuovamente imprigionato dal 1979 al 1982: venne rilasciato dopo 27 anni di detenzione. Nel 1982 gli fu concesso di riaprire il seminario a Sheshan. Nel 1985 il rev. Jin Luxian accettò di essere consacrato vescovo per la diocesi di Shanghai, ma senza approvazione pontificia. Approvazione che ottenne una quindicina d’anni dopo, divenendo vescovo coadiutore di Shanghai, dopo aver manifestato la sua fedeltà al Papa e aver chiesto perdono per la sua ordinazione illegittima. Il presule è stato una personalità chiave nella storia della Chiesa cattolica in Cina degli ultimi 50 anni. Fu un uomo di grande cultura. La sua preparazione, i suoi studi in Italia, la padronanza di diverse lingue europee e la sua umana simpatia gli permisero di tenere sempre contatti con varie personalità e di godere la stima e il rispetto di molti. Sotto la guida del vescovo Aloysius Jin Luxian, la diocesi di Shanghai ha avuto un grande sviluppo. L’impegno pastorale del presule è stato imponente, modernizzando sotto vari aspetti la diocesi e cercando di mantenerla sotto la guida dei Pastori, avvalendosi a tal fine anche della stima in cui lo tenevano le autorità civili. Ebbe particolare attenzione per la preparazione dei nuovi sacerdoti e delle religiose, avviando adeguate strutture di formazione, come il ben noto seminario maggiore, aperto nel 1985 a Sheshan (Shanghai), e rendendo, in pari tempo, un apprezzato servizio non soltanto alla sua diocesi, ma anche alla Cina. Uno degli ultimi atti del vescovo Jin fu la Lettera pastorale in occasione del capodanno cinese del Drago (23 gennaio 2012), dal titolo “Xu Guangqi: Un uomo per tutte le stagioni”. In essa il presule invitava i fedeli a seguire l’esempio di Paolo Xu Guangqi, il primo cattolico di alto rango dell’impero, amico di Padre Matteo Ricci, promuovendone la causa di beatificazione. La diocesi di Shanghai conta oggi circa 150.000 cattolici, un centinaio di sacerdoti, 6 decanati, 37 parrocchie e 140 chiese; nel suo territorio si trova il celebre Santuario mariano di Sheshan, meta di pellegrinaggi nazionali. Fra le opere sociali più importanti si possono ricordare la Casa per gli anziani, quella per i ritiri spirituali, la mensa per i poveri, e la Tipografia di Qibao. Nel 2012 è stato pubblicato il primo volume delle Sue Memorie “Apprendendo e ri-apprendendo 1916-1982” (“Learning and Re-learning 1916-1982”), in cui tratta degli avvenimenti più significativi della sua vita. Una vita nella quale egli ha cercato di mantenere vivo l’amore a Cristo e alla Chiesa, nella lealtà verso il proprio Paese e la sua cultura. (R.P.)

    inizio pagina

    Terra Santa. Mons. Shomali: no al muro di Cremisan

    ◊   Il Patriarcato Latino di Gerusalemme è "sorpreso" e "preoccupato" dal verdetto della Commissione Speciale d'appello israeliana che di recente ha approvato la costruzione del muro di separazione sulle terre della Valle di Cremisan. Tale decisione - riporta l'agenzia AsiaNews - creerà difficoltà alla popolazione all'educazione dei giovani. A Cremisan sorgono due conventi salesiani, uno maschile e uno femminile, scuole, formazione agricola ed aiuto agli abitanti del villaggio cristiano di Beit Jala all'interno dei Territori palestinesi. Con la costruzione del muro, il convento delle religiose si troverà sul lato palestinese, circondando su tre lati l'edificio e la scuola primaria annessa, lasciando in territorio israeliano la maggior parte delle terre che servono all'apprendimento di tecniche agricole. In più, la separazione del territorio, costringerà oltre 450 giovani palestinesi a frequentare un istituto dall'aspetto di una prigione e circondato da posti di blocco militari. Intervistato da AsiaNews, mons. Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme, sottolinea che le ragioni a favore della costruzione del muro sono deboli e imprecise. "La sicurezza di Israele - afferma il prelato - può essere garantita anche allontanando il muro o trovando soluzioni alternative". "Inoltre - aggiunge - per le autorità il percorso non si può modificare perché il muro è già stato completato". In attesa del verdetto, infatti, il governo israeliano aveva continuato la costruzione della recinzione lasciando vuoti gli 1,5 km che passano nella proprietà dei salesiani. Mons. Shomali sostiene che in questo modo Israele fa valere un nuovo diritto, violando le stesse leggi israeliane. "Per cambiare la decisione - dichiara il vescovo - il Patriarcato, la comunità salesiana di Cremisan e gli abitanti cristiani di Beit Jala hanno sempre utilizzato mezzi moderati e non violenti, compresa la preghiera. Lo Stato di Israele deve riconoscere tale comportamento pacifico". Approvata lo scorso 24 aprile, la soluzione rappresenta il punto d'arrivo di una battaglia legale in corso da sette anni. Per le autorità israeliane il tracciato alternativo rappresenta un compromesso ragionevole tra le esigenze di sicurezza di Israele e le istanze della libertà di religione e di educazione a cui avevano fatto appello i rappresentanti legali del convento. Lo scorso 26 aprile, la St. Yves Society, organizzazione cattolica per i diritti umani ed estensore di una causa legale anche a nome dell'Assemblea dei vescovi catolici di Terra Santa, ha diffuso un comunicato in cui ribadisce "l'ingiustizia del provvedimento". (R.P.)

    inizio pagina

    Bangladesh: due ditte straniere dell'abbigliamento risarciranno le famiglie delle vittime

    ◊   Due aziende occidentali risarciranno le famiglie delle 385 vittime del Rana Plaza, palazzo di otto piani crollato in Bangladesh. Si tratta di Primark, noto rivenditore di vestiti low-cost in Irlanda e Regno Unito, e di Loblaw, la più grande catena di supermercati del Canada, che nell'edificio collassato il 24 aprile scorso realizzava i prodotti per Joe Fresh, la propria linea di abbigliamento. Intanto, ieri la polizia ha arrestato Mohammed Sohel Rana, proprietario del palazzo, che è accusato di negligenza, abuso edilizio e minacce contro i lavoratori del Rana Plaza. Julija Hunter, portavoce della Loblaw, ha dichiarato oggi che l'azienda darà il proprio sostegno "nel miglior modo possibile", e che le famiglie "riceveranno aiuti adesso e in futuro". La Compagnia - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha annunciato di voler cambiare rotta, per evitare che incidenti come quello del Rana Plaza si ripetano. Sulla stessa lunghezza d'onda anche Primark, che con un comunicato stampa ha ammesso "piena consapevolezza della nostra responsabilità. Esortiamo gli altri rivenditori che si rifornivano dagli stabilimenti del Rana Plaza a offrire la propria assistenza". Nei prossimi 15 giorni Mohammed Sohel Rana sarà interrogato per chiarire la sua posizione circa il crollo dell'edificio. L'uomo, 30 anni, è un imprenditore rampante "cresciuto" nella sezione giovanile dell'Awami League (AL), il partito al governo. A 20 anni avvia una piccola attività di produzione d'olio su un pezzetto di terra appartenente al padre, anch'egli arrestato ieri. Grazie ai propri contatti con l'AL - che nella zona è molto potente - riesce a comprare il terreno a fianco: uno stagno prosciugato in fretta e furia, su cui ha fatto edificare il Rana Plaza. Il permesso di costruzione parlava di un edificio di cinque piani, a cui l'uomo ha aggiunto in modo illegale altri tre piani. (R.P.)

    inizio pagina

    Incontro a Londra dei vescovi europei sul dialogo con l'islam

    ◊   “Il dialogo concreto tra persone di diverse religioni è possibile e necessario”, lo afferma mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), alla vigilia del 3° Incontro dei vescovi e delegati per le relazioni con i musulmani in Europa che si apre domani a Londra. Vi prenderanno parte delegati di 20 Conferenze episcopali, accompagnati dal presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, il card. Jean-Louis Tauran e diversi esperti dell’Islam. All’incontro si cercherà di fare il punto sulla esperienza del continente europeo nel dialogo interreligioso, specie con i musulmani, che - si legge in un comunicato diffuso dal Ccee, “ha una lunga tradizione”. In particolare si guarderà “alle nuove generazioni che faticano a destreggiarsi tra tendenze relativistiche o sincretistiche, tra fondamentalismo o chiusure difensive. Che valore dare allora al dialogo interreligioso? e a che condizioni esso è possibile?”. La risposta sarà sicuramente all’insegna della speranza perché - spiega mons. Duarte - “il dialogo esistenziale che vicini di casa, colleghi di lavoro, compagni di classe hanno in tutta l’Europa, costituisce una reale rete di rapporti e spesso anche di amicizia. Le persone, infatti, non vivono da sole, ma nel contesto di famiglie, comunità e associazioni. L’incontro tra cristiani e musulmani in Europa è anche possibile a questo livello”. Ed aggiunge: “È infatti nel contesto di un rapporto sincero e reale che si trova la possibilità, e per noi cristiani il mandato divino, di testimoniare la propria fede”. Riguardo alle giovani generazioni, mons. Duarte dice: “Si sente, che spesso i giovani sono in ricerca della propria identità. Da qui, la sfida della Chiesa nell’aiutare i giovani cristiani a conoscere innanzitutto se stessi e le 'regole’ del vero dialogo. Infatti, il dialogo è un processo complesso, che richiede disponibilità all’ascolto, a conoscere profondamente la religione dell’altro ma anche una chiara identità religiosa. Solo in questo mondo il dialogo risulterà un esperienza arricchente per tutti e sarà anche un’occasione per vivere insieme e testimoniare la propria fede”. L’incontro, guidato per il Ccee dal card. Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux, si svolgerà presso la Fondazione reale di Santa Caterina. Sarà presente anche il presidente della Conferenza episcopale d’Inghilterra e del Galles, mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster. (R.P.)

    inizio pagina

    Nigeria: sei vescovi della Provincia di Jos in visita di solidarietà a Maiduguri

    ◊   “Sono in partenza per una visita di solidarietà alla popolazione di Maiduguri, fortemente provata dalle violenze della setta Boko Haram” dice all’agenzia Fides mons. Ignatius Ayau Kaigama arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, raggiunto al telefono mentre si trova all’aeroporto di Abuja in attesa di imbarcarsi per la capitale dello Stato di Borno, nel nord-est della Nigeria, dove da anni Boko Haram commette attentati, molti dei quali hanno preso di mira la Chiesa. “Siamo stati consigliati di prendere l’aereo per ragioni di sicurezza. Le strade non sono sicure per la presenza di bande armate nell’area” precisa l’arcivescovo. “Siamo sei vescovi della Provincia di Jos ed abbiamo deciso di svolgere il nostro incontro a Maiduguri come gesto di solidarietà con il vescovo del luogo - mons. Oliver Dashe Doeme - e con la popolazione locale” riferisce mons. Kaigama “Staremo due giorni a Maiduguri, insieme ai fedeli locali, pregando con loro e condividendo la loro situazione” conclude il presule. (R.P.)

    inizio pagina

    Tunisia: a due anni dalla "Rivoluzione dei Gelsomini", si dà fuoco giovane disoccupato

    ◊   Brahim Slimani, 23enne tunisino, si è cosparso di benzina e si è dato fuoco il 28 aprile di fronte al municipio di Sidi Bouzid. Nella stessa cittadina, culla della Primavera araba nel 2010, si era auto-immolato anche Mohamed Bouazizi. L'episodio aveva innescato le proteste che hanno portato alla caduta del presidente Ben Ali. Oggi, gli amici di Slimani dicono: "Era disoccupato e viveva in estrema povertà". "A due anni dall'inizio della 'Rivoluzione dei Gelsomini' siamo ancora in una situazione sociale ed economica molto difficile" dichiara padre Alamat, responsabile delle Pontificie Opere Missionarie della Chiesa cattolica tunisina. E aggiunge: "Non dobbiamo dimenticare il grido sociale da cui ha avuto origine la protesta". Dal 17 dicembre 2010, giorno in cui Mohamed Bouazizi si diede fuoco nella stessa piazza, gli episodi di auto-immolazione pubblica in Tunisia si sono intensificati. Lo scorso marzo - riferisce l'agenzia AsiaNews - il 27enne Adel Khadri, venditore ambulante di sigarette, si è tolto la vita in modo identico a Tunisi. Al momento, Brahim Slimani è invece ricoverato nell'ospedale di Sidi Bouzid con ustioni di terzo grado su tre quarti del corpo. "Siamo ancora in un clima di forte incertezza e instabilità politica - ha aggiunto padre Alamat - dobbiamo richiamare l'attenzione di tutti gli attori politici. Quello che è successo deve essere un messaggio forte per tutti, tanto per i cristiani quanto per i musulmani". Dopo l'entusiasmo iniziale seguito alla caduta di Ben Ali, il Paese si trova a rivivere la stessa delusione e disperazione. Il tasso di crescita, crollato tra il 2010 e il 2011 dal 4,5% allo 0,2%, ha registrato una leggera ripresa solo nell'arco dell'ultimo anno. La disoccupazione è al 18%, quella giovanile supera il 30% e un quinto della popolazione vive sotto la soglia di povertà. La vittoria del partito islamico Ennahda alle elezioni del 2011 e l'alleanza di potere con frange salafite e fazioni moderate hanno riacceso il problema islamista in un Paese che, seppur a maggioranza musulmana, è sempre stato tra i più laici del Nord Africa. La controversia tra forze laiche e islamiste ha raggiunto il proprio apice il 7 febbraio scorso, quando Cochry Belaid, leader del partito democratico d'opposizione, è stato assassinato di fronte alla propria abitazione. Nessun gruppo ha rivendicato l'omicidio, ma si presume che il mandante appartenga alle frange estremiste. Nell'arco degli ultimi mesi l'islam più radicale ha infatti tentato di imporsi su molti campi della vita pubblica. (R.P.)

    inizio pagina

    Venezuela: al via il riconteggio dei voti ma per Capriles è una farsa

    ◊   Il Consiglio nazionale elettorale (Cne) ha iniziato la procedura per verificare il 46% delle schede relative alle presidenziali del 14 aprile, ovvero la percentuale non rivista, come da prassi, lo stesso giorno del voto. Secondo la legge vigente in Venezuela, infatti, il 54% è stato sottoposto a verifica alla chiusura dei seggi e in base al responso all’indomani il chavista Nicolás Maduro è stato proclamato vincitore con un distacco sul rivale inferiore ai due punti percentuali. È stato il candidato uscito sconfitto, il conservatore Henrique Capriles, a sollecitare il controllo, rifiutandosi finora di ammettere la sconfitta, ma pretendendo la revisione dei registri di votazione; un’opzione che il Cne ha respinto poiché “non prevista dall’ordinamento giuridico”. In un clima di tensione - riferisce l'agenzia Misna - la procedura di verifica è cominciata con una riunione tecnica a cui l’opposizione non ha partecipato. Oggi è in programma la scelta del campione del 46% delle urne che saranno effettivamente controllate a partire dal 6 maggio: saranno aperte le casse, contate le schede, comparati i risultati del conteggio con il verbale del conteggio elettronico; in aggiunta si dovrà verificare anche se il numero degli elettori che hanno siglato i registri coinciderà con quello dei voti espressi, ma non saranno controllati i registri stessi – come chiedeva Capriles – contenenti firme e impronte di ogni avente diritto. Si stima che le operazioni dureranno almeno fino all’inizio di giugno. Capriles, che ha denunciato numerose irregolarità ai suoi danni senza finora, tuttavia, esibirne pubblicamente le prove, ha definito “una farsa” la verifica del Cne poiché “non dà accesso ai registri di votazione, l’unico strumento che personalizza il suffragio”. Il candidato dell’opposizione ha confermato l’intenzione di impugnare il risultato delle elezioni presso il Tribunale supremo di giustizia (Tsj). Le violenze seguite alla proclamazione di Maduro presidente eletto, il 15 aprile, hanno provocato almeno nove morti; vittime di cui il governo attribuisce la responsabilità ai sostenitori di Capriles. (R.P.)

    inizio pagina

    Cile: Lettera pastorale ai politici, in vista delle elezione

    ◊   I Paesi dell’America Latina sono tutti impegnati con riforme riguardanti i diritti civili e sociali per la propria popolazione. Il Cile si trova nel pieno della campagna per le primarie in vista delle presidenziali di novembre. Al riguardo mons. Fernando Chomali, arcivescovo di Concepción, ha inviato all’agenzia Fides una Lettera pastorale che lui stesso ha scritto e indirizzato ai politici cileni di Concepción e Arauco. “La dimensione educativa dell’attività politica” questo è il titolo della Lettera nella quale mons. Chomali esprime il valore del lavoro di quanti sono impegnati in politica e dell’importanza di fare politica in chiave educativa. “Il Cile ha vissuto grandi trasformazioni”, dice l’arcivescovo, “è arrivato il momento di fare proposte concrete e lavorare duro affinchè i programmi di governo e le promesse della campagna elettorale vengano messi in pratica”. L’arcivescovo ha anche evidenziato quelli che secondo lui sono i tre ambiti della vita sociale in cui le politiche pubbliche avranno effetti significativi sulla riduzione della povertà e lo sviluppo nella regione: famiglia, educazione, imprenditoria. Nel Paese del Cono Sud è molto forte la presenza della Chiesa cattolica, inoltre il Cile è uno dei pochi Paesi che ancora oggi proibisce in qualsiasi caso l’aborto. Mons. Chomali non ha risparmiato un riferimento molto forte alla difesa della vita umana in tutte le sue fasi evolutive. (R.P.)

    inizio pagina

    Sri Lanka. Scoppia il caso dei buddisti “talebani”: la Chiesa rilancia l’armonia religiosa

    ◊   Il gruppi di monaci buddisti integralisti, estremisti e violenti preoccupano seriamente la società civile e le minoranze religiose. E’ l’allarme inviato all’agenzia Fides da mons. Raymond Wickramasinghe, vescovo di Galle, nel sud dello Sri Lanka, che esprime i suoi timori per quanto accade nel Paese: è il fenomeno dei cosiddetti “buddisti talebani” – come sono stati definiti dalla stampa – che hanno avviato una ondata di violenza contro le minoranze religiose musulmane e cristiane. Il gruppo segnalato per atti di intolleranza è il “Bodu Bala Sena” (Bbs, “Forza di potere buddista”), ma non è l’unico movimento del genere. Il vescovo Wickramasinghe teme che – a pochi anni dalla fine della guerra civile – un nuova violenza intestina possa lacerare la società. Per questo ha deciso di rilanciare la promozione del dialogo e dell’armonia religiosa tramite la Commissione “Giustizia, pace e sviluppo umano”. La Chiesa ha il compiuto di “giocare un ruolo profetico”, rimarca, anche se quest’opera potrebbe essere malintesa. Il vescovo chiede il sostegno e la preghiera della comunità cristiana in tutto il mondo. Va ricordato che le grandi organizzazioni buddiste tradizionali, del tutto pacifiche, disapprovano l’approccio radicale e violento, che semina il virus dell’odio e dell’integralismo religioso nella società srilankese. Il fattore religioso buddista è componente essenziale dell’identità dei singalesi, che formano il 70% dell’intera popolazione di 20,8 milioni di abitanti. Le minoranze etniche tamil sono a maggioranza indù, mentre vi sono anche minoranze cristiane (8,8%) e musulmane (9,5%). Negli ultimi due mesi gli atti violenti si sono moltiplicati: due settimane fa militanti del “Bodu Bala Sena” hanno distrutto una fabbrica tessile di un musulmano, alla periferia di Colombo, mentre la polizia ha assistito e lasciato fare. Si diffondono, intanto, manifesti e disegni che ridicolizzano l’islam e le sue prescrizioni. Di recente due chiese sono state attaccate e altre due costrette a chiudere per le pressioni dei fanatici. Fra gli episodi riferiti a Fides, il 9 marzo a Batticaloa, membri del Bbs hanno incendiato una chiesa di notte. Monaci buddisti hanno accusato di “proselitismo” il Pastore della “Fellowship Church” nella città di Polonnaruwa, intimandogli di smettere il suo ministero. Il 17 marzo, una folla guidata da monaci buddisti ha fatto irruzione in una chiesa ad Agalawatte, fermando il culto. Simili minacce hanno subito un'assemblea della Chiesa pentecostale a Kottawa e una a Galle. Secondo informazioni pervenute a Fides, nel 2012 le comunità cristiane in Sri Lanka, di diverse confessioni, hanno registrato circa 50 casi di attacchi da parte di monaci buddisti. A dicembre mille persone in preda a un furore religioso, fra i quali numerosi monaci buddisti, hanno assalito e ferito il Pastore Pradeeep a Weeraketiya. A settembre 2012 il vescovo cattolico di Mannar, mons. Rayyappu Jospeh era stato lievemente ferito da un sassaiola, nell’attacco a una chiesa cattolica a Karusal, nel distretto di Mannar. A livello politico, il Presidente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapaksa, sta cavalcando tali rivendicazioni nazionalistiche e religiose, guadagnando consenso politico. Ma, notano fonti di Fides, “se il Bbs non sarà fermato potrà scatenare un guerra di religione”. Sulla scena politica esiste un partito politico fatto solo da monaci buddisti, il “Jathika Hela Urumaya” (“Fronte Nazionale della Libertà”), partner del governo di coalizione. Il partito ha già dato prova in passato di poter essere molto violento. Un militante del partito assassinò il primo ministro S. Bandaranaike nel 1958. (R.P.)

    inizio pagina

    Vescovi sudcoreani: trasformiamo i rifugiati del Nord da emarginati a fratelli

    ◊   I saeteomin "sono nostri fratelli nella fede e nella vita. Come fedeli e come Chiesa dobbiamo impegnarci, lavorare di più affinché questi esuli dal Nord si sentano accettati e possano vivere come viviamo tutti noi, con le stesse prospettive e speranze". È il senso del Messaggio firmato da mons. Simone Ok Hyun-jin, presidente della Commissione episcopale per la pastorale dei migranti e dei residenti stranieri, inviato alle diocesi coreane in occasione della Giornata per i migranti. Il Messaggio - riporta l'agenzia AsiaNews - si intitola "Migrazione, pellegrinaggio di fede e speranza", ed è indirizzato alla comunità di immigrati che vive in Corea del Sud. Nel testo mons. Ok sottolinea la necessità di cura pastorale per le nuove forme "multiculturali" di famiglia e invita i fedeli a far maturare un nuovo senso di accoglienza nei confronti dei saeteomin, i nordcoreani che scappano dal regime e cercano di ricostruirsi una vita al Sud. Questi esuli sono malvisti dalla media della popolazione sudcoreana, che li considera quasi sempre "spie del regime" e cerca di tenerli agli ultimi posti della scala sociale: "La Chiesa - scrive mons. Ok - e tutti i fedeli devono impegnarsi per fare in modo che questi nostri fratelli possano trovare una sistemazione dignitosa, allo stesso livello dei cittadini sudcoreani. Lavoriamo ancora più intensamente per questo scopo". D'altra parte, aggiunge il presule, l'accoglienza "è alla base della nostra religione. 'Ero uno straniero e mi avete accolto', dice Gesù, e allo stesso modo dobbiamo accogliere i migranti e fare in modo che i loro diritti fondamentali siano sempre rispettati. Dobbiamo impegnarci affinché queste persone vivano in Corea con orgoglio e tornino nelle loro patrie con lo stesso orgoglio, non limitandosi a stare qui per essere pagati". (R.P.)

    inizio pagina

    Messico: quattro sacerdoti perdono la vita in tragico incidente

    ◊   "Le strade della regione sono in pessime condizioni, e questo ha provocato una serie di incidenti mortali, come nel caso dei quattro sacerdoti morti venerdì scorso", è quanto ha detto alla stampa il vescovo della diocesi di Aguascalientes, mons. José María de la Torre Martín, che ha esortato le autorità ad assestare queste vie di comunicazione. Il vescovo - riferisce l'agenzia Fides - ha aggiungo che "ho scoperto di persona che alcune strade nello Stato di Jalisco sono in un pessimo stato, ma ugualmente succede nel nostro Stato, dove vi sono vie di comunicazione in condizioni terribili, e per questo gli automobilisti devono essere molto attenti per evitare incidenti". Riguardo la morte dei 4 sacerdoti della regione, mons. de la Torre Martín, si è detto profondamente rattristato di quanto accaduto e spera che gli altri sacerdoti che sono ancora ricoverati in ospedale riescano a guarire presto, "i sacerdoti morti erano giovani tra i 27 e 28 anni molto impegnati nella vita della Chiesa ed erano molto amati nelle loro parrocchie". La tragedia è accaduta venerdì scorso: un gruppo di 13 sacerdoti rientrava da un incontro sacerdotale, da Jalisco a Aguascalientes. All'altezza di Ojos de Zarco, il furgone che li trasportava ha bucato una gomma, a quanto sembra a causa delle pessime condizioni della strada, ed è andato a finire in un burrone profondo una ventina di metri. Il furgone si è capovolto diverse volte su se stesso causando la morte immediata di 3 sacerdoti, gli altri sono stati portati all'ospedale più vicino, ma ieri è morto padre Juan Carlos Pulido, il quarto del gruppo. Rimangono 4 preti in ospedale con ferite non gravi. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 120

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.