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Sommario del 29/04/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: vergognarsi dei propri peccati è virtù dell'umile che prepara al perdono di Dio
  • In udienza dal Papa il card. Grocholewski, mons. Eterovic e i nunzi ordinati sabato scorso
  • Tweet del Papa: "Che bello se ognuno di noi potesse dire: oggi ho compiuto un gesto di amore verso gli altri”
  • L'impegno della Chiesa di Roma per gli immigrati: intervento di mons. Feroci dopo l'appello del Papa
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: illeso premier dopo attentato. Parigi: l'Onu accerti uso di armi chimiche
  • Crollo in Bangladesh, interrotte ricerche di sopravvissuti. Guerrera: responsabilità delle multinazionali
  • Letta: a giugno niente Imu, l'Italia deve ripartire. Mons. Pelvi: ritrovare serenità. Miano: superare sfiducia
  • Islanda: netta vittoria del centrodestra, un voto contro l’austerity e l’Ue
  • Rapporto “Osservasalute 2012”: aumentano le disuguaglianze nell'accesso ai servizi
  • 40 anni fa la morte di Maritain, maestro nell'arte di pensare, vivere e pregare
  • Festa di Santa Caterina da Siena, l'"illetterata" che indicò ai Papi la strada di Dio
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: le Chiese in preghiera per i due vescovi rapiti
  • Cina. Il parroco di Yaan: ai sopravvissuti al terremoto manca tutto
  • Russia-Giappone: dopo dieci anni un premier nipponico visita Mosca
  • Belgio: solidarietà dei vescovi europei a mons. Leonard vittima delle "Femen"
  • Coree: per la Chiesa “la cooperazione Nord-Sud non è del tutto interrotta"
  • Malaria: nel mondo registrati oltre 200 milioni di casi
  • Mali: la situazione migliora ma rimane il dramma di sfollati e rifugiati
  • Haiti: Campagna di vaccinazioni contro le malattie infantili letali
  • Bolivia: il card. Terrazas risponde al presidente Morales sui furti nelle chiese
  • Guatemala: i vescovi condannano la violenza nel Paese
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: vergognarsi dei propri peccati è virtù dell'umile che prepara al perdono di Dio

    ◊   Vergognarsi dei propri peccati è la virtù dell’umile che prepara ad accogliere il perdono di Dio: lo ha detto Papa Francesco, stamani, durante la Messa presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta, alla presenza di alcuni dipendenti dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e di alcune religiose. Hanno concelebrato il cardinale Domenico Calcagno, presidente dell’Apsa, e l’arcivescovo Francesco Gioia, presidente della Peregrinatio ad Petri Sedem. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Commentando la prima Lettera di San Giovanni, in cui si dice che “Dio è luce e in Lui non c’è tenebra alcuna”, Papa Francesco ha sottolineato che “tutti noi abbiamo delle oscurità nella nostra vita”, momenti “dove tutto, anche nella propria coscienza, è buio”, ma questo – ha precisato - non significa camminare nelle tenebre:

    “Andare nelle tenebre significa essere soddisfatto di se stesso; essere convinto di non aver necessità di salvezza. Quelle sono le tenebre! Quando uno va avanti su questa strada proprio delle tenebre, non è facile tornare indietro. Perciò Giovanni continua, perché forse questo modo di pensare lo ha fatto riflettere: ‘Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi’. Guardate ai vostri peccati, ai nostri peccati: tutti siamo peccatori, tutti… Questo è il punto di partenza. Ma se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele, è giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. E ci presenta – vero? - quel Signore tanto buono, tanto fedele, tanto giusto che ci perdona”.

    “Quando il Signore ci perdona fa giustizia” – prosegue il Papa – innanzitutto a se stesso, “perché Lui è venuto per salvare e perdonarci”, accogliendoci con la tenerezza di un padre verso i figli: “il Signore è tenero verso quelli che lo temono, verso quelli che vanno da Lui” e con tenerezza “ci capisce sempre”, vuole donarci “quella pace che soltanto Lui dà”. “Questo – ha affermato - è quello che succede nel Sacramento della Riconciliazione” anche se “tante volte pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria” per pulire la sporcizia sui nostri vestiti:

    “Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria: è un incontro con Gesù, ma con questo Gesù che ci aspetta, ma ci aspetta come siamo. ‘Ma Signore, senti sono così…’, ma ci fa vergogna dire la verità: ‘Ho fatto questo, ho pensato questo’. Ma la vergogna è una vera virtù cristiana e anche umana…la capacità di vergognarsi: io non so se in italiano si dice così, ma nella nostra terra a quelli che non possono vergognarsi gli dicono ‘sin vergüenza’, senza vergogna: questo è ‘un senza vergogna’, perché non ha la capacità di vergognarsi e vergognarsi è una virtù dell’umile, di quell’uomo e di quella donna che è umile”.

    Occorre avere fiducia – prosegue il Papa – perché quando pecchiamo abbiamo un difensore presso il Padre: “Gesù Cristo, il giusto”. E Lui “ci sostiene davanti al Padre” e ci difende di fronte alle nostre debolezze. Ma è necessario mettersi di fronte al Signore “con la nostra verità di peccatori”, “con fiducia, anche con gioia, senza truccarci… Non dobbiamo mai truccarci davanti a Dio!”. E la vergogna è una virtù: “benedetta vergogna”. “Questa è la virtù che Gesù chiede a noi: l’umiltà e la mitezza”:

    “Umiltà e mitezza sono come la cornice di una vita cristiana. Un cristiano va sempre così, nell’umiltà e nella mitezza. E Gesù ci aspetta per perdonarci. Possiamo fargli una domanda: allora andare a confessarsi non è andare a una seduta di tortura? No! E’ andare a lodare Dio, perché io peccatore sono stato salvato da Lui. E Lui mi aspetta per bastonarmi? No, con tenerezza per perdonarmi. E se domani faccio lo stesso? Vai un’altra volta, e vai e vai e vai…. Lui sempre ci aspetta. Questa tenerezza del Signore, questa umiltà, questa mitezza…”.

    Questa fiducia “ci dà respiro”. “Il Signore – conclude il Papa - ci dia questa grazia, questo coraggio di andare sempre da Lui con la verità, perché la verità è luce e non con la tenebra delle mezze verità o delle bugie davanti a Dio. Che ci dia questa grazia! E così sia”.

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    In udienza dal Papa il card. Grocholewski, mons. Eterovic e i nunzi ordinati sabato scorso

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Zenon Grocholeswki, prefetto della Congregazione per l'Educazione cattolica, l’arcivescovo Nikola Eterovic, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, nonché i tre nunzi apostolici ordinati sabato scorso, accompagnati dai familiari: gli arcivescovi Ettore Balestrero, nunzio apostolico in Colombia, Michael W. Banach, nunzio apostolico in Papua Nuova Guinea, e Brian Udaigwe, nunzio apostolico in Benin.

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    Tweet del Papa: "Che bello se ognuno di noi potesse dire: oggi ho compiuto un gesto di amore verso gli altri”

    ◊   Stamani il Papa ha lanciato un nuovo tweet: “Che bello – scrive - se ognuno di noi alla sera potesse dire: oggi ho compiuto un gesto di amore verso gli altri”. L'account Twitter in nove lingue di Papa Francesco ha superato oggi i 6 milioni di follower.

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    L'impegno della Chiesa di Roma per gli immigrati: intervento di mons. Feroci dopo l'appello del Papa

    ◊   "Penso a tanti stranieri che sono qui nella diocesi di Roma: cosa facciamo per loro?". E' durante l'udienza generale di mercoledì scorso che Papa Francesco ha voluto porre l'accento sulla carità e l'accoglienza verso i più poveri facendo riferimento al brano evangelico sul giudizio finale. "Quando ha - aggiunto il Papa - noi saremo giudicati da Dio sulla carità, su come lo avremo amato nei nostri fratelli, specialmente i più deboli". Ma in che modo e con che intensità la diocesi di Roma sta rispondendo alle esigenze degli immigrati? Federico Piana lo ha chiesto a mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas romana:

    R. – Io credo che il Santo Padre abbia fatto bene e faccia benissimo a ricordarcelo sempre, perché l’accoglienza allo straniero è un dato fondamentale per la nostra fede; ce l’ha detto il Signore, capitolo 25 di Matteo. Anche noi, come Chiesa di Roma, da tanti anni, da 30 anni, abbiamo un discorso di accoglienza. Basta pensare al centro di ascolto stranieri della Caritas che in questi 30 anni ha accolto, assistito, orientato, più di 250 mila stranieri. Questi sono i dati che emergono dai nostri schedari. Penso anche al poliambulatorio che noi abbiamo a via Marsala, dove veramente tantissime persone sono passate per essere accolte. Lei pensi che abbiamo editato un vocabolario cinese proprio perché una delle barriere che si trovano con gli stranieri è quella linguistica. Anche le difficoltà culturali sono tantissime e la fruibilità delle prestazioni negli ambienti pubblici è difficilissima. Abbiamo messo in piedi mediatori culturali per superare questo.

    D. – Diciamo che ci sono anche i volontari che aiutano…

    R. - La Caritas, fondamentalmente, è un discorso di volontariato. Se non ci fossero i volontari, la Caritas dovrebbe chiudere, perché non si potrebbe fare niente. La Caritas non è la risposta a tutti i bisogni e le necessità perché sono tantissime. Ma la Caritas, come diceva Paolo VI - io lo ricordo a me stesso e agli altri - deve avere una funzione fondamentalmente educativa, pedagogica, quindi essere uno stimolo anche alle autorità pubbliche perché si aprano e operino…

    D. – … su questo, l’appello era sicuramente rivolto anche alle autorità cittadine: stanno facendo tutto oppure potrebbero fare di più?

    R. – Tutto no, qualcosa sì. Ma secondo me molto poco, si dovrebbe fare di più, sentendo e capendo che la presenza di tanti immigrati - sono quasi cinque milioni oggi in Italia - è una ricchezza e non è un peso. Sono una ricchezza per questa nostra società e quindi il discorso deve essere di integrazione.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il coraggio di andare controcorrente: nella messa di domenica Papa Francesco cresima quarantaquattro fedeli e invita i giovani a scommettere sulle cose grandi.

    Darfur senza pace: nell'informazione internazionale, i combattimenti nel Paese a dieci anni dall'inizio del conflitto.

    Il Governo della responsabilità: il nuovo Esecutivo italiano guidato da Enrico Letta alle Camere per ottenere la fiducia.

    La navicella con i due otri: Paolo Vian sul catalogo storico delle Edizioni di Storia e Letteratura.

    Il cammino verso l’umanità: Fiorenzo Facchini sul Workshop internazionale alla Pontificia Accademia delle Scienze.

    Non dimentichiamo i pilastri della casa comune: la relazione del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi, al convegno “Europa verso dove?”.

    Per la Siria giustizia e verità: nel servizio religioso, l'appello del Patriarca greco-ortodosso d’Antiochia Youhanna X.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: illeso premier dopo attentato. Parigi: l'Onu accerti uso di armi chimiche

    ◊   Attentato oggi a Damasco, in Siria, contro il convoglio del premier, rimasto illeso, che però ha causato la morte di sei persone. Intanto, la comunità internazionale continua a essere divisa sulla presenza e l’utilizzo di armi chimiche nel Paese ed un possibile intervento. Continuano poi a mancare notizie sulla sorte di Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e di Boulos al-Yazigi, i vescovi siro-ortodosso e greco-ortododosso di Aleppo, sequestrati lunedì scorso. Massimiliano Menichetti:

    E' di almeno 6 morti e 15 feriti il bilancio provvisorio dell'attentato avvenuto stamani nel quartiere di al-Mezzeh, nella parte ovest del centro moderno di Damasco. Obiettivo il premier siriano, Wael al-Halqi, rimasto illeso. Un’autobomba è esplosa al passaggio del convoglio governativo. Il premier ha parlato di “terrorismo disperato”. Intanto, non si arrestano gli scontri tra lealisti e oppositori in varie parti del Paese. E mentre si discute della capacità o meno di Assad di sviluppare armi chimiche su larga scala, e il loro attuale utilizzo, i militari in Gran Bretagna respingono l’ipotesi d’intervento sul terreno. Pressioni, in senso opposto, invece dai repubblicani sul presidente statunitense, Barck Obama. In Francia, il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, ha detto che il suo Paese non ha la certezza dell'uso di tali armi di distruzione di massa, ma ha invitato l'Onu a indagare sulla questione perché - ha precisato - se fosse confermato l'impiego, "cambierebbero molte cose" nel conflitto.

    Sull'attentato al premier Wael al-Halqi e la situazione in Siria, Massimiliano Menichetti ha intervistato il direttore di Rivista Italiana Difesa, Pietro Batacchi:

    R. – Già in passato le forze ribelli erano riuscite a colpire il cuore del potere all’interno di Damasco: uno per tutti, il quartier generale dei servizi d’intelligence dell’Aeronautica, che sono il nerbo dei servizi d’intelligence del regime. Non mi pare, quindi, che l’attentato al primo ministro siriano sia un indicatore di un cerchio che si stringe intorno al regime.

    D. – Un’escalation di violenza comunque crescente...

    R. – L’escalation va ricondotta a una situazione sul terreno, che è molto grave oggettivamente, in cui gli scontri tra le forze ribelli - sia quelle islamiste che quelle “laiche” del Free Sirian Army e le forze lealiste - vanno avanti perché nessuno dei due contendenti, almeno finora, sembra avere la forza per superare l’altro.

    D. – La questione delle armi chimiche: si continua a discutere sull’utilizzo da parte di Assad. La Francia chiede l’intervento dell’Onu per accertarlo. Qual è la situazione, secondo lei?

    R. – La Siria storicamente, tradizionalmente, ha un arsenale chimico molto sviluppato. Per la Siria, il possesso di armi chimiche era sempre stato visto da un punto di vista della dottrina militare come una sorta di deterrente a basso costo nei confronti di Israele. E’ possibile che in qualche misura, in qualche contesto, vi abbia fatto, come si dice, un ricorso limitato. Ovviamente, se tutto questo dovesse essere accertato, sarebbe il superamento della cosiddetta "linea rossa", che nella comunità internazionale è il punto di non ritorno per attivare una qualunque forma d’intervento – posto che, comunque, il primo passo deve essere quello dell’accertamento dell’utilizzo e quindi dell’invio di insigni osservatori Onu in Siria. Dopo di che, bisognerà capire come intervenire: l’implementazione della no-fly zone, l’eventuale messa in sicurezza dei siti di armi chimiche. Pensare poi a un eventuale intervento di terra sul modello presente dell’Iraq, mi pare francamente fuori della realtà. Con le disponibilità e con le volontà che animano oggi le potenze occidentali, se s’interviene, l’intervento sarà assolutamente circoscritto e limitato.

    D. – Chi sta sostenendo chi in questo conflitto? Da una parte i rivoltosi chiedono il sostegno della comunità internazionale, che anche su questo punto è divisa; dall’altra, hezbollah starebbe sostenendo il regime...

    R. – Da una parte l’Iran che supporta la Siria, che ha nella Siria il principale alleato nella regione, e che non si può permettere di perdere in questo senso un amico come Assad nella regione e che, per intervenire, utilizza lo strumento di hezbollah. Dall’altra, abbiamo gli Stati del Golfo, in primis Arabia Saudita e Qatar, che appoggiano le fazioni dei ribelli, soprattutto, ahinoi, le fazioni radicali islamiche, per combattere il regime di Assad, che non dimentichiamoci è amico appunto dell’Iran, il quale Iran è il principale nemico dei Paesi arabi sunniti nel Golfo.

    D. – Che ruolo gioca l’Iraq in questo scenario?

    R. – l’Iraq si sta avvitando su una spirale di settarismo molto, molto pericolosa. L’Iraq viene utilizzata dall’Iran per aiutare il regime di Bashar al Assad. Il territorio iracheno viene utilizzato anche dalle milizie qaediste che combattono in Siria, che hanno forti legami con le milizie qaediste, che ancora operano in Iraq, soprattutto nella parte occidentale del Paese. L’Iraq, quindi, diventa una sorta di retrovia logistica, anche se molto importante, del conflitto siriano.

    D. – Quindi gioca un ruolo doppio: da una parte viene utilizzato dall’Iran per sostenere il regime; dall’altro, è praticamente terreno di rientro per quanto riguarda le milizie anti Assad...

    R. – Assolutamente sì e questo è l’indicatore più rilevante della debolezza e dell’instabilità che, tuttora, regna in Iraq.

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    Crollo in Bangladesh, interrotte ricerche di sopravvissuti. Guerrera: responsabilità delle multinazionali

    ◊   In Bangladesh, sono state interrotte le ricerche di eventuali sopravvissuti tra le macerie del Rana Plaza, il palazzo di otto piani crollato alla periferia di Dacca mercoledì scorso. Fino ad oggi, il bilancio è di oltre 380 morti, ma è destinato a salire ora che i soccorritori inizieranno ad utilizzare le gru. L’edificio ospitava anche diverse fabbriche di tessuti, operative a vantaggio di multinazionali che impiegano nel Paese manodopera a basso costo, spesso scaricando il problema della sicurezza degli operai sulle autorità locali. Finora, cinque persone sono state arrestate. Ascoltiamo in proposito il presidente di Unicef-Italia, Giacomo Guerrera, al microfono di Emanuela Campanile:

    R. – Qui, si tratta di realizzare uno sfruttamento continuo e sistematico di queste popolazioni, cercando di utilizzare il lavoro di queste persone, sottopagato o sicuramente pagato in maniera non corrispondente a quello che è il risultato finale, ricevendone il massimo guadagno. Chi fa un’operazione di questo genere non deve aspettarsi da altri un intervento. Devono essere loro per primi a garantire ambienti di lavoro idonei per la produzione di quei prodotti, che poi loro utilizzano e per i quali ricavano grandi margini di guadagno. Francamente, noi abbiamo già preso iniziative nei confronti di aziende che utilizzavano questi lavoratori. Abbiamo messo all’indice queste aziende e continuiamo a farlo, perché tutto ciò è scandaloso. Si deve sapere che questa situazione è sorretta dai grandi guadagni, che alcune aziende realizzano tramite la vendita nei nostri Paesi di questi prodotti.

    D. – Cosa si può fare fare a questo punto?

    R. – Come Unicef, sicuramente, sento di dover ringraziare per la partecipazione e per l’aiuto degli italiani. Noi abbiamo raccolto circa 2 milioni e 300 mila euro, che abbiamo destinato alla realizzazione di siti di accoglienza per i bambini, spazi a misura di bambino, per riuscire a far frequentare la scuola a molti di loro che sono coinvolti soprattutto in queste lavorazioni, cercando però di migliorare l’ambiente di vita. L’abbiamo fatto e lo continuiamo a fare. Certamente noi, come Unicef, rappresentiamo una delle tante organizzazioni – non posso dimenticare la Caritas, ma anche altre organizzazioni – che operano in questo Paese con grandi risultati. L’unica cosa che posso dire è che noi abbiamo bisogno di sempre maggiori aiuti e per farlo basta andare sul nostro sito (www.unicef.it), per verificare anche cosa abbiamo realizzato, ma soprattutto come l’Unicef opera. Noi operiamo coinvolgendo le comunità locali. La comunità locale è la protagonista dei nostri interventi. Tramite loro, infatti, riusciamo a intercettare le realtà in cui c’è maggiore sfruttamento, maggiore bisogno e maggiore povertà.

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    Letta: a giugno niente Imu, l'Italia deve ripartire. Mons. Pelvi: ritrovare serenità. Miano: superare sfiducia

    ◊   Il premier incaricato Enrico Letta alla Camera per il discorso prima della fiducia, ha affermato che col solo risanamento l’Italia muore e annuncia che a giugno non si pagherà più l’Imu. E questo perché “il Paese può farcela, ma deve ripartire”. Un altro fronte su cui intervenie è la produzione, dice Letta, “riducendo il costo del lavoro, quello stabile, quello sui giovani e sui neo assunti”. Ed ancora il welfare: "Andranno migliorati gli ammortizzatori sociali - ha precisato estendendoli a chi ne e' privo a partire dai precari e si potranno studiare forme di reddito minimo per famiglie bisognose con figli". Poi un sincero grazie al presidente Napolitano perché “ci ha voluto dare un’ultima opportunità di essere degni del nostro ruolo, di servire il Paese attraverso il rigore, un esempio di competenza attraverso una delle stagioni più dolorose”. Letta ha anche annunciato un nuovo piano scolastico nazionale.

    Al centro dell’attenzione della politica c’è naturalmente ancora il drammatico episodio degli spari davanti a Palazzo Chigi. Resta ricoverato in prognosi riservata uno dei carabinieri feriti ieri, Giuseppe Giangrande, ma i medici si dicono “moderatamente ottimisti”. Il servizio di Davide Maggiore:

    Piazza Montecitorio sarà "blindata" per il voto di fiducia: la zona di sicurezza è stata estesa e la presenza delle forze dell’ordine rafforzata. Intanto, la Procura di Roma deposita oggi la richiesta di convalida del fermo per Luigi Preiti, responsabile degli spari davanti a Palazzo Chigi: tentato omicidio e porto illegale d’arma da fuoco i reati contestati. Nessuna richiesta, invece, di una perizia psichiatrica. L’episodio di ieri resta anche al centro dell’attenzione delle istituzioni. “L’odio e la facilità di giudizio” sono “contagiosi”, ha detto il presidente del Senato, Pietro Grasso, invitando la politica a “evitare di contribuire ad aumentare lo stato di tensione” e a “mantenere il controllo sul linguaggio”. Un appello raccolto dalle forze politiche. Anche da vari deputati del Movimento Cinque Stelle è arrivato un invito ad “abbassare i toni”, dopo che altri esponenti di questa formazione avevano utilizzato espressioni aggressive verso governo e partiti. Stabili intanto le condizioni di Giuseppe Giangrande, il più grave dei feriti di ieri. Il paziente, spiega un bollettino del Policlinico Umberto I di Roma, è “sedato e intubato”.

    Sui fatti di Roma, Luca Collodi ha chiesto un commento a mons. Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l’Italia, oggi in visita ai due feriti mentre domani celebrerà il funerale di Tiziano della Ratta, carabiniere morto negli scorsi giorni in un conflitto a fuoco a Maddaloni:

    R. – Dobbiamo tutti avere una dimensione di profonda serenità, perché le cose dei nostri giorni sono in una rapida trasformazione. Per cui nessuno può indulgere, direi, a un’etica puramente individualistica: abbiamo tutti la nostra responsabilità nel creare una mentalità di giustizia, di amore, che promuova e aiuti le istituzioni, pubbliche e private. Avverto profondamente il desiderio di una grande mobilitazione interiore, perché ci sia riconoscenza, sostegno delle realtà istituzionali. Le prescrizioni sociali non sono contro la persona e la sua dignità e nessuno credo oggi possa trascurare le norme essenziali della vita sociale. C’è una debolezza al riguardo. Gli strumenti oggi a disposizione del genere umano, perché ci sia concordia, non mancano. Ma questo individualismo, questa soggettività che a volte è più egoismo ed esclusione dell’altro, non fa del bene a una convivenza umana serena e a una crescita della famiglia umana.

    D. – Questo clima, eccellenza, ha ricadute anche su chi è in prima linea nel servizio al bene comune, nel mantenere la convivenza, e mi riferisco ai Carabinieri che spesso sono vittime di questi episodi d’insoddisfazione: mi riferisco al carabiniere ferito a Palazzo Chigi, ma non possiamo dimenticare nemmeno il carabiniere morto in un conflitto a fuoco, qualche giorno fa, in provincia di Caserta….

    R. – Direi che questa dimensione individualistica di servire la realtà civile oggi trova nei Carabinieri una formula esemplare di superamento. L’etica dell’Arma dei Carabinieri è un’etica della partecipazione, della corresponsabilità: è un’etica del bene comune. Quando io guardo il carabiniere oggi, io vedo colui che rende un servizio agli altri: è accanto agli altri, quasi, come debitore. Non solo uno che dona se stesso, ma c’è un di più, un supplemento di animo che rende il carabiniere un debitore, perché l’altro possa vivere nella serenità. Mi piace definire i nostri Carabinieri come immersi in una consanguineità universale. Il posto del carabiniere è dove l’umanità è lacerata sia a causa della illegalità, sia a causa anche di questo disagio per le difficoltà della vita odierna. Mi colpisce che sia a Maddaloni, sia a Palazzo Chigi, l’uno o l’altro dei carabinieri sono stati pronti ad offrirsi: a Palazzo Chigi, a offrirsi per la sicurezza delle istituzioni, a Maddaloni per salvare la vita ad una famiglia di gioiellieri. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo: il carabiniere aiuta e quindi esalta la dignità della persona. E allora ecco che i Carabinieri con la loro vita neutralizzano quelle forze che impediscono una convivenza serena e anche uno sviluppo normale della comunità umana del nostro territorio e del nostro Paese.

    Sulle responsabilità della politica nell’attuale contesto di crisi, Luca Collodi ha intervistato Franco Miano, presidente dell’Azione Cattolica italiana:

    R. – Prima di tutto, penso che la politica debba, oggi, prendere atto dell’assoluta necessità di invertire una tendenza: cercare al massimo di superare quel senso di sfiducia che attraversa oggi la vita dei cittadini. E’ un senso di sfiducia motivato da situazioni economiche difficili, da situazioni lavorative che in certi casi diventano sempre più precarie. Bisogna assolutamente porre attenzione il più possibile a questa realtà, pericolosa e problematica, come i fatti stanno dimostrando.

    D. – La politica ha capito, il momento difficile della società italiana?

    R. – La politica non lo ha capito del tutto. Abbiamo visto, infatti, situazioni che hanno continuato ad essere problematiche. Lo stesso esito dell’elezione del presidente della Repubblica, i tempi lunghi che sono stati necessari, la situazione complicata anche dal punto di vista della formazione del governo, testimoniano una politica ancora in difficoltà, che non riesce a mettersi in sintonia con il disagio reale che attraversa il Paese.

    D. – E’ anche vero che la politica, tutta la politica, usa un linguaggio che da questo punto di vista non aiuta a calmare gli animi…

    R. - Quello che lei dice è assolutamente vero. Anzi in molti casi al legittimo confronto sulle idee e sulle posizioni prevale un linguaggio fatto di scomuniche reciproche, un linguaggio che ha anche tratti forti, se non in qualche caso tratti violenti, comunque tratti che non aiutano un clima che invece si deve rasserenare per favorire il contributo di tutti alla soluzione dei problemi reali.

    D. – A livello politico qualche disagio all’interno dei partiti è stato espresso anche per il governo Letta. Possiamo riconoscere che anche nel ricorso al compromesso ci sia l’arte della politica?

    R. – L’elemento auspicabile nella vita politica è che si abbiano chiare maggioranze e chiare forme di opposizione. Tuttavia, proprio come lei diceva, la politica è anche legata alle situazioni concrete della vita. Se chiare maggioranze non vi sono, è necessario, allora, che per il bene del Paese in un qualche modo la politica sappia creare comunque le condizioni del governo del Paese.

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    Islanda: netta vittoria del centrodestra, un voto contro l’austerity e l’Ue

    ◊   In Islanda, è netta la vittoria dell'opposizione di centrodestra alle elezioni legislative tenutesi sabato scorso. Ai conservatori del Partito dell'Indipendenza va il 26,7% dei consensi, cioè 19 seggi in parlamento. L’Alleanza dei socialdemocratici e il Movimento di Sinistra-Verde, saliti al potere nel 2009, dimezzano i parlamentari. Il voto si oppone all’accelerazione nel processo di adesione all’Ue e soprattutto punisce le misure di austerità che, dopo il balzo del debito estero a 50 miliardi, hanno permesso all'isola di uscire dalla recessione, con un pil in salita e una disoccupazione in calo. Un’analisi nel voto nell’intervista di Fausta Speranza con Giandonato Caggiano, direttore del Dipartimento sull’Ue dell’Università Tor Vergata:

    R. - L’Islanda sta pagando il suo debito: ha semplicemente diversificato la restituzione di crediti cittadini olandesi e inglesi, ma ha proceduto a questo pagamento. Questa banca si chiamava “Ice-save” ed era una banca che nel momento di crisi avrebbe comportato una bancarotta per tutto il Paese. Questa restituzione avviene e continua: è stato restituito quasi il 90%.

    D. - Quindi, questo è un voto prettamente politico secondo lei: è un voto davvero contro l’avanzamento in Europa?

    R. - L’Islanda ha nazionalizzato le banche, facendo assumere in prima persona ai contribuenti la responsabilità del vecchio sistema bancario, che era privatizzato, in primis sotto forma di spending review, in particolare per quello che riguarda il welfare, molto forte in quel Paese. Tagliare la spesa sociale non fa mai piacere a nessuno. E’ un costo che stanno pagando tutti gli Stati e certamente questa è una delle molle che ha portato al cambiamento dei partiti di governo, in atto a livello globale.

    D. - Troppo spesso, forse ragioniamo in termini di Europa del nord assolutamente efficiente e soprattutto rigorosa sui conti, a fronte di un’Europa mediterranea che invece spende e spande ed è “pasticciona”. Invece, la situazione è un po’ più complessa: anche il Nord Europa sta passando e ha passato - come nel caso dell’Islanda - fasi particolari di economia…

    R. - La crisi è globale, tocca tutti: il Regno Unito sta riducendo drasticamente il welfare, la protezione sociale, l’assistenza sociale. La crisi riguarda anche la Germania. C’è un momento in cui l’economia si ferma e chi non ha avuto una recessione di certo non cresce. Questo aspetto dell’Islanda sottolinea piuttosto il fastidio che hanno i cittadini quando sono chiamati a pagare i debiti dei privati che hanno fatto le loro speculazioni, o hanno qualcosa di simile ai “derivati”, o comunque degli errori finanziari. Alla fine, per via dell’indispensabile nazionalizzazione - come è successo un po’ anche a Cipro - quando una banca privata di fondamentale importanza per il Paese va in fallimento, è chiaro che deve intervenire lo Stato, e lo Stato vuol dire i contribuenti. I cittadini che contribuiscono con limitazioni al welfare, con restrizioni alle prospettive di evoluzione dei salari, non sono felici e la fanno pagare ai partiti che hanno determinato questa nazionalizzazione e il processo di spending review. È evidente che non reagiscono bene. Non differenzierei più di tanto il Nord Europa dal Sud Europa. Credo ci sia un grosso problema nella necessità di caricare sulle spalle dello Stato - quindi dei contribuenti - alcuni aspetti del sistema finanziario che ha fallito senza capire quello che stava arrivando in termini di crisi generale, quindi con speculazioni.

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    Rapporto “Osservasalute 2012”: aumentano le disuguaglianze nell'accesso ai servizi

    ◊   Aumenta l’aspettativa di vita degli italiani nonostante la crisi economica, ma crescono anche le diseguaglianze nell'accesso ai servizi. E’ quanto emerge dal “Rapporto Osservasalute 2012” presentato questa mattina a Roma nella sede dell’Università Cattolica. L’indagine presenta una dettagliata analisi sullo stato di salute degli italiani e sulla qualità dell’assistenza sanitaria a livello regionale. Su questo studio, frutto del lavoro di ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano, ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco, il prof. Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle regioni italiane:

    R. – Nonostante la crisi finanziaria, nonostante il peggioramento degli stili di vita e anche una crescente difficoltà di accesso ai servizi, l’aspettativa di vita degli italiani continua a crescere. Ma ci sono molte ombre legate ad un aumento delle disuguaglianze fra Nord e Sud, disuguaglianze tra ricchi e poveri e anche una crescente difficoltà, soprattutto da parte di questi ultimi, di accedere ai servizi.

    D. – Tra i vari trend si segnala in particolare che gli italiani si fanno sempre più aiutare dagli anti-depressivi e continua ad aumentare il rischio suicidi...

    R. – Quello dell’aumento dei farmaci anti-depressivi è un fenomeno che ultimamente sta crescendo in maniera veramente impressionante. I motivi possono essere due: una minore paura di ricorrere ai farmaci e allo psichiatra, ma anche, probabilmente, un uso improprio di questi farmaci per aiutare a gestire situazioni di difficoltà e d’incertezza. I suicidi sono ancora un numero basso, perché gli italiani, come il resto degli europei del Sud, fortunatamente ricorrono poco a questo gesto estremo. Quello che però sta aumentando è il dato relativo ai suicidi per motivi economici. Sono soprattutto dei maschi, rispetto ai suicidi in generale, che riguardano maggiormente le femmine.

    D. – Poi gli italiani sono sempre più sedentari, quindi hanno un rapporto non sempre positivo con la bilancia...

    D. – Questo è l’elemento di preoccupazione per il futuro, perché significa che mangiano male: abbandonando sempre di più – e paradossalmente di più al Sud – la dieta mediterranea, a base di pesce, verdura, frutta e olio d’oliva… E poi fanno poca attività fisica, per cui noi abbiamo una situazione in cui ormai, di fatto, un italiano su due è sovrappeso e un italiano su nove è obeso.

    D. – Abbiamo parlato di differenze tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri e anche differenze che poi si riverberano nelle Regioni. Come appianare queste divergenze su tutto il territorio italiano?

    R. – Questo è un vero problema, una vera sfida, che il nuovo governo dovrà affrontare, perché, di fatto, sulla sanità questa eterogeneità dipende dal fatto che ormai sono le Regioni ad avere la responsabilità dei servizi sanitari. Questo determina un’eterogeneità che non c’è in nessun altro Paese. Le tensioni che ci sono tra il governo che vuole risparmiare, e le regioni che invece vogliono aumentare la spesa sanitaria portano ad aumentare, piuttosto che a diminuire, questa conflittualità.

    D. – Questo determina dei problemi proprio nella gestione della salute...

    R. – Sì, perché di fatto, noi, come media nazionale, spendiamo praticamente il 30 per cento in meno rispetto alla Francia e alla Germania, anche in virtù dei tagli che abbiamo fatto in passato e che faremo nel futuro. A questi livelli, oggettivamente, un sistema sanitario moderno non è gestibile, per cui si ricorre sempre di più ai ticket e ai co-pagamenti dei cittadini, i quali però gravati dalla crisi finanziaria e da una tassazione troppo forte non possono alla fine pagarsi non solo le prestazioni, ma neanche i ticket. Noi, quindi, dobbiamo uscire da questa contrapposizione e dobbiamo pensare che la sanità, la scuola, l’università, la ricerca sono voci su cui non si può tagliare. Si deve razionalizzare la spesa sanitaria, si devono in qualche modo evitare gli sprechi, che ci sono, ma non si può tagliare oltre quanto abbiamo fatto fino ad oggi, pena un deficit strutturale del Paese. In termini di salute, questo significa vivere meno e vivere peggio.

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    40 anni fa la morte di Maritain, maestro nell'arte di pensare, vivere e pregare

    ◊   E’ considerato uno dei massimi esponenti del tomismo nel XX secolo, molto apprezzato da Paolo VI e autore dell’opera “Umanesimo integrale”. A 40 anni, dalla morte del filosofo francese Jacques Maritain, viene ricordata l’attualità del suo pensiero. Nato il 18 novembre 1882 e morto il 28 aprile del 1973, a segnare la sua vita la profonda relazione con la moglie Raissa con la quale si converte al cattolicesimo nel 1906. Maritain si appassiona a San Tommaso e alla fine della sua vita entrerà nella comunità religiosa dei Piccoli Fratelli di Gesù. Debora Donnini ha intervistato Giovanni Grandi, presidente del Centro studi Jacques Maritain:

    R. – O tutto ruota attorno a se stessi, con una serie di problemi a cascata, di ordine relazione e sociale, oppure la vita riesce a ruotare attorno a un altro fuoco, che in senso teologico potremmo dire senz’altro la relazione con Dio, ma in senso più ampio è la relazione con l’altro. Maritain guardava una modalità di vita aperta al dono di sé: è la grande alternativa all’autoreferenzialità. Quindi, questo è il suo umanesimo fondamentalmente: un umanesimo delle relazioni.

    D. – Lui parte dal tomismo: partendo da questa concezione che si basa sull’esistenza della Verità –e quindi, in un certo senso, questo è già un contrasto forte al relativismo – come passa ad applicare questo alle relazioni umane?

    R. – Maritain sostiene che non c’è tolleranza tra sistemi filosofici, cioè tra prospettive e visioni d’insieme, ma il rapporto vero è quello che si realizza tra le persone. Quindi, persone che hanno visioni teoriche diverse e anche appartenenze culturali diverse, non devono tanto cercare di creare una sintesi tra le loro visioni, ma piuttosto cercare quella che lui chiamava la “human fellowship” – una cordiale amicizia – nel confrontarsi, nel dialogare, nel portare delle ragioni. In altre parole, lavorando tutti per la verità, ma puntando a creare buone reazioni fra le persone.

    D. – Invece, per quanto riguarda, per esempio, le relazioni affettive che è un tema oggi molto attuale, quale era il suo pensiero in questo senso?

    R. – Maritain ha scritto anche a proposito delle relazioni affettive, ma soprattutto ha vissuto un rapporto molto bello, sponsale con Raissa: Raissa leggeva tutte le opere di Maritain prima che fossero pubblicate. Scriveva “Imprimatur” proprio sulla prima pagina se le andavano bene e se non andavano bene chiedeva a Jacques di rivederle. Dovremmo ricordare una coppia, cioè due persone che nella loro reazione di sposi, hanno elaborato un pensiero, vivendo una bella vita affettiva, particolare anche per la loro vocazione, ma riuscendo a tradurre questa complementarietà tra l’uomo e la donna in un pensiero e poi anche in forme pratiche dell’accoglienza nella casa di Meudon, dove vivevano, e quindi nelle grandi amicizie che hanno saputo coltivare insieme.

    D. – Per Maritain, amare è anche saper soffrire insieme…

    R. – Questo lo dice anche dal punto di vista biografico, perché Raissa è stata spesso malata, poi ha superato alcune malattie ed è morta molto, molto prima di Jacques. Saper soffrire insieme per Jacques significava saper affrontare quello che nella vita di ogni giorno accade, riuscendo però a riportarlo anche all’interno della vita di preghiera e della vita di relazione.

    D. – Nel suo pensiero Maritain, parlando dell’umanesimo integrale, vuole contrapporsi e trovare una via diversa rispetto all’individualismo, quindi al liberalismo da una parte e dall’altra rispetto al marxismo, ma anche rispetto a ciò che viene prima storicamente e alla modernità…

    R. – Questa centralità del soggetto forse è stata la cifra che Maritain ha cercato di studiare e di ripensare, senza cadere nell’altro opposto: senza cadere cioè nell’opposto che lui ha contestato a tutti i totalitarismi, ma poi in particolare anche al marxismo, che è quello di dissolvere la particolarità della persona, le sue esigenze, la sua irripetibilità all’interno di una dimensione del noi, in cui non ci sono più le differenze. Ha cercato di cogliere, invece, cosa ci rende tutti uguali, pur nella irripetibilità delle storie di ciascuno. All’indomani della morte, Paolo VI ha ricordato Maritain con una frase molto bella: lo ha definito “maestro nell’arte di pensare, di vivere e di pregare”. Maritain è stato un uomo di pensiero e insieme anche un uomo di preghiera. Proprio questi due aspetti hanno fatto sì che diventasse un maestro nella vita: non c’è vita autentica se non è impastata di preghiera e di pensiero insieme. Questo credo sia un messaggio molto, molto interessante che Maritain, da laico, ha lasciato anche nel tempo del dopo-Concilio. Sicuramente, l’ermeneutica che - potremmo dire - ha sviluppato Maritain, anche nel Concilio, anche ne “Le paysan de la Garonne” - testo molto discusso - molto vicino a quella che ci ha suggerito, in tempi più recenti, Benedetto XVI: un’ermeneutica della continuità.

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    Festa di Santa Caterina da Siena, l'"illetterata" che indicò ai Papi la strada di Dio

    ◊   Come ogni 29 aprile, la Chiesa celebra la Festa di Caterina da Siena, Compatrona d’Europa e d’Italia. La sua storia è esemplare di come il dono della sapienza di Dio possa compiere prodigi anche senza il talento del sapere umano, al punto che Paolo VI volle insignire la Santa senese del titolo di "Dottore della Chiesa”. Il servizio Alessandro De Carolis:

    Anche solo osservare il modo in cui si prega può rovesciare una convinzione ferrea nel suo opposto. È quel che accade al papà di Caterina da Siena, Japoco Benincasa. Quella figlia carina, in età da marito, di mariti non vuole saperne e a soli 12 anni si è quasi barricata in casa pur di non recedere da quello che davvero gli fa battere il cuore: donarsi a Dio. I tentativi di convincerla non hanno sortito effetti, ma poi, un giorno, quel padre – forse innervosito da tanta testardaggine – sorprende la figlia in preghiera nella sua stanza e ciò che vede, quel modo della figlia di raccogliersi, di vedere con gli occhi dell’anima lo Sposo che veramente ama, lo convince. La determinazione della ragazza ha avuto la meglio e per lei si spalancano le porte del convento, a 16 anni è tra le Mantellate di San Domenico.

    Questa “vittoria” è rivelatrice di ciò che Caterina Benincasa – semianalfabeta che detterà per i Papi lettere di inaudita sapienza cristiana – sarà capace di fare di lì a un decennio. Intanto, la sua è una missione che fin da subito si “sporca” le mani con i reietti della società medievale, lebbrosi o malati di una delle troppe pestilenze che tormentano l’epoca, tutti curati da Caterina con affetto e coraggio. Poi, giacché come sempre accade ogni esempio attira imitatori, una “Bella brigata” si coagula attorno per aiutare e sostenere quella giovane che legge e scrivere a malapena, ma sembra che Dio stesso parli e scriva attraverso di lei. A toccare con mano questo prodigio di dottrina e discernimento sono via via poveri o nobili o politici bellicosi – dissuasi dalle armi con un imperativo “Io voglio!” scandito in nome di Dio. I consigli spirituali di Caterina sono acuti e appropriati per ciascuno e arrivano a “dettare” il giusto comportamento anche al Papa, con un’autorevolezza straordinaria: quando l’assenza del Pontefice da Roma si fa insostenibile – Gregorio XI in quel momento era ad Avignone – la ragazza "insipiente" divenuta religiosa in odore di santità indirizza al “dolce Cristo in terra” espressioni di fuoco – “Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo” sono le sue parole – quindi parte per la Francia per portarlo con sé a Roma.

    Ma non c’è solo luce nella trama della vita di Caterina. Il filo dell’ordito è fatto di tribolazioni di ogni tipo – anche una verifica da parte del suo Ordine risolta in modo positivo – ma niente fiacca la fibra interiore della senese, anche se il corpo si spegne a soli 33 anni, poco prima di mezzogiorno della domenica dopo l’Ascensione, il 29 aprile 1380. A Roma, dove si trova, Caterina chiude gli occhi sussurrando le identiche parole di Gesù sulla croce: “Padre, nelle tue mani raccomando l’anima e lo spirito mio”. Per la sua eccezionale, per l’epoca, apertura “europea”, Giovanni Paolo II proclama Caterina da Siena “Compatrona d’Europa” nel 1999. Ricordandola in una udienza generale del 2010, Benedetto XVI affermò in proposito: “Il Vecchio Continente non dimentichi mai le radici cristiane che sono alla base del suo cammino e continui ad attingere dal Vangelo i valori fondamentali che assicurano la giustizia e la concordia”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: le Chiese in preghiera per i due vescovi rapiti

    ◊   I due vescovi ortodossi rapiti ad Aleppo sono ancora nelle mani dei sequestratori. Lo conferma ad AsiaNews mons. Jean Clement Jeanbart, vescovo greco-melchita di Aleppo. Il prelato sottolinea "che le Chiese, cattolica e ortodossa, stanno facendo il possibile per cercare una mediazione con i sequestratori, ma al momento nessuno comprende le ragioni di questo gesto e chi si celi dietro a questi criminali". Mons. Yohanna Ibrahim, vescovo della diocesi siro-ortodosso di Aleppo e mons. Boulos Yaziji, arcivescovo della diocesi greco-ortodossa della città, sono stati sequestrati lo scorso 22 aprile a Kafr Dael, 10 km da Aleppo, sul confine turco. Il loro autista, un diacono siro-ortodosso, è stato ucciso. Anche il patriarca greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, Giovanni X, ha lanciato un accorato appello per la liberazione dei due vescovi. “Colgo l’opportunità per fare un appello alla comunità internazionale - ha detto il patriarca - per stimolarla a fare ciò che può per liberare i rapiti la cui assenza è causa di dolore; affrettarsi a porre fine a questa tragedia è oltremodo essenziale per evitare tutti i rischi che potrebbero risultare dalle probabili conseguenze”. Il sequestro è avvenuto in un tempo particolare per le Chiese ortodosse che ieri hanno celebrato la “Domenica delle Palme”, festività che le conduce alla Settimana Santa e alla celebrazione della Pasqua, domenica 5 maggio. Ieri sera i capi delle Chiese cristiane presenti a Damasco hanno convocato una veglia di preghiera, nella chiesa greco-ortodossa della Santa Croce, nel quartiere di Kassa'a, per invocare la liberazione dei due ecclesiastici rapiti. Anche a Aleppo, la sera di sabato 27 aprile, una veglia di preghiera si è svolta nella cattedrale greco- ortodossa: “La Chiesa era piena. Si è trattato di una supplica semplice e vissuta con grande dignità. Ora per tutti è il tempo dell'attesa” dichiara alla Fides il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo, che ha partecipato al momento di preghiera insieme a Jean- Clément Jeanbart, arcivescovo metropolita di Aleppo dei greco-melchiti e a una quindicina di sacerdoti cattolici. “C'è tristezza diffusa” riferisce mons. Audo, “nessuno ha voglia di creare situazioni di festa. Per tutti i cristiani, il rapimento di due vescovi e quello dei due sacerdoti sequestrati a febbraio rappresentano un fatto enorme, che interroga tutti”. Anche i cristiani di Kamishly, nella Mesopotamia siriana, sabato mattina, dopo la messa celebrata nella chiesa dei siro-ortodossi dedicata a Maria, hanno dato vita a una manifestazione pubblica a cui hanno partecipato ecclesiastici e fedeli di tutte le Chiese e comunità cristiane della città, per chiedere il rilascio dei vescovi rapiti. (R.P.)

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    Cina. Il parroco di Yaan: ai sopravvissuti al terremoto manca tutto

    ◊   La situazione a Yaan "non è per niente buona. Non abbiamo tende e abbiamo riserve limitate di acqua pulita e di cibo. Abbiamo montato dei ricoveri provvisori fatti di plastica e bambù per passare la notte, ma non bastano e non proteggono molto". A parlare è padre Chen Yong, della parrocchia di Santa Maria vicino a Yaan (diocesi di Leshan), che in un'intervista telefonica racconta come vivono i sopravvissuti al sisma che lo scorso 20 aprile ha sconvolto la provincia cinese del Sichuan. Nella zona di Yaan, prosegue padre Chen, "vivono circa 10mila cattolici. Di questi, 6mila hanno subito dei danni a causa del terremoto: le loro case sono collassate o sono pericolanti, quindi non hanno un posto dove stare. Al momento non ci sono vittime fra i fedeli, ieri siamo riusciti a recuperare dalle macerie un cattolico ferito in maniera grave: si trova ricoverato presso l'Ospedale del Popolo di Lushan". Il numero delle vittime ufficiali del sisma rimane per ora a quota 196, con quasi 14mila feriti. Ma i soccorritori non sono ancora riusciti a raggiungere alcune zone, e le macerie che hanno sepolto tutto, fanno temere che ci siano altre vittime ancora non identificate. Il danno peggiore, riprende padre Chen, "è al cuore dei bambini. Alcuni hanno riportato delle lievi ferite, ma sono tutti molto scossi. Nei loro disegni ora si vedono nubi scure nel cielo e una pioggia fortissima, con una piccola persona che regge un piccolo ombrello nella tempesta. Anche se sono cupi, questi disegni mostrano che i bambini sono ancora pieni di speranza". Nella zona di Yaan operano solo 3 sacerdoti, ma ogni contea ha la sua cappella: ogni prete è responsabile di diverse contee. Il padre Chen segue Baoxing e Hanyuan, e quest'ultima da sola conta 2 cappelle e 3 luoghi preposti alle attività religiose. A Baoxing c'è una cappella, così come a Lushan. "Tutti questi edifici - dice il sacerdote - sono stati danneggiati dal sisma, non si possono più celebrare riti religiosi. Le mura sono pericolanti e devono essere riparate, mentre la struttura della chiesa di Baoxing è stata distrutta del tutto. Anche a Lushan si contano danni ingenti: la chiesa è crollata, un'altra è quasi del tutto inagibile. Alcune case di sacerdoti e i loro uffici sono collassati". Il padre Chen sottolinea però il grande aiuto fornito dai cattolici cinesi attraverso il web: "I vescovi e i sacerdoti che hanno potuto si sono recati a Taiping, nel Liaoning, dove vivono diversi cattolici. Arrivati lì hanno visto che i fedeli avevano organizzato gruppi di raccolta fondi e materiali per loro: c'è stata grande commozione, anche perché quando perdi tutto, il minimo aiuto ti tocca nel profondo". Oltre ai normali problemi relativi alla ricostruzione, fra cui la difficoltà nel raggiungere alcune zone colpite dal sisma e lo smaltimento delle macerie, va registrata anche la diffidenza della popolazione cinese nei confronti dei soccorritori "ufficiali". I media di Stato sottolineano infatti come siano quasi dimezzate le donazioni inviate alla Società cinese della Croce rossa, l'organizzazione governativa che segue le attività di primo soccorso. Colpita da numerosi scandali - nati dalla mancanza di trasparenza nella gestione dei conti - la Croce rossa ha perso il 50% delle donazioni inviate dai cittadini, che hanno preferito le altre 115 piccole Ong a gestione privata. (R.P.)

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    Russia-Giappone: dopo dieci anni un premier nipponico visita Mosca

    ◊   Dopo dieci anni di gelo diplomatico, il governo giapponese e quello russo si preparano per far ripartire i rapporti economici, energetici e diplomatici. Il premier nipponico Shinzo Abe è arrivato questa mattina a Mosca ed "è pronto" ad annunciare insieme al presidente russo Vladimir Putin il rilancio dei colloqui sulla sovranità delle Kurili meridionali, gruppetto di isole al centro di una disputa diplomatica nata alla fine della II Guerra mondiale. Quella in Russia è la prima tappa di una missione lunga una settimana che porterà il conservatore Abe in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Turchia. Al centro del viaggio - riporta l'agenzia Asianews - vi sono i rapporti energetici con questi Paesi e la possibilità di usare l'oleodotto russo - il South Stream - per portare petrolio e gas naturale più vicino alle coste giapponesi. Dal disastro di Fukushima, Tokyo ha chiuso le sue centrali nucleari e si trova con un disavanzo di fonti energetiche che mette a rischio la crescita economica. Il primo punto dei dialoghi fra Abe e Putin riguarda la sovranità delle quattro isole delle Kurili meridionali (Shikotan, Kunashiri, Etorofu e Habomai, anche note in Giappone come "Territori del Nord"): si tratta di un arcipelago nei pressi di Hokkaido che venne occupato dall'Urss alla fine del 1945. A causa di questo stallo Mosca e Tokyo non hanno mai firmato un vero trattato di pace. Prima di partire dall'aeroporto di Tokyo, il premier Abe ha detto di "voler mostrare la volontà politica di riavviare il negoziato". Ma, come nota il famoso quotidiano giapponese Asahi Shimbun, "gli oltre 100 manager della Corporate Japan che lo accompagnano sono un segnale importante per rafforzare i legami economici fra le aziende nipponiche e quelle russe, pronte a sviluppare progetti nell'energia e in altri settori". In quest'ottica rientra anche lo scambio che Abe proporrà ai Paesi mediorientali: infrastrutture in cambio di energia. Al momento Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sono il primo e il secondo principale fornitore di petrolio del Giappone. (R.P.)

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    Belgio: solidarietà dei vescovi europei a mons. Leonard vittima delle "Femen"

    ◊   Solidarietà dei vescovi europei all’arcivescovo di Malines-Bruxelles, monsignor André-Joseph Léonard: martedì scorso l’arcivescovo belga è stato vittima di un atto di provocazione da parte di quattro attiviste di Femen che hanno fatto irruzione al grido di “Stop Homophobia” mentre era impegnato in una conferenza dedicata al tema della libertà di espressione all’Università pubblica di Bruxelles. In un comunicato ripreso dall'agenzia Sir, la presidenza del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee) ha voluto esprimere all’arcivescovo la sua “sincera vicinanza e solidarietà” e condannare “queste forme aggressive d’intolleranza religiosa”. Allo stesso tempo il Ccee ribadisce la posizione della Conferenza episcopale del Belgio secondo la quale “una discussione democratica sulle questioni della società non è possibile se non è permesso a tutti di esporre le proprie idee con mutuo rispetto e nella libertà di espressione”. In un comunicato i vescovi belgi avevano espresso solidarietà a mons. Léonard affermando anche che le provocazioni delle Femen sono prive “totalmente di credibilità e senso civico e in totale contraddizione con il tema del dibattito e con lo stile con cui la Chiesa cattolica si pone in dialogo in un contesto pluralista”. (R.P.)

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    Coree: per la Chiesa “la cooperazione Nord-Sud non è del tutto interrotta"

    ◊   La Corea del Sud ha iniziato a far rientrare in patria lavoratori e operai impegnati nel complesso industriale di Kaesong, una zona di produzione economica al confine fra le Coree, frutto della cooperazione fra i governi di Nord e Sud Corea. Secondo gli osservatori è un segnale negativo, che potrebbe portare alla chiusura definitiva del complesso di Kaesong, ultimo punto di contatto tra le due Coree. La produzione nella zona industriale congiunta, fondata nel 2004 e situata 10 chilometri all'interno del territorio nordocoreano, è sospesa dall'inizio di aprile e la Nord Corea ha già ritirato i suoi lavoratori. Fr. Matthias Hur Young-yup, direttore per le Comunicazioni sociali nell’arcidiocesi di Seul, commenta all’agenzia Fides: “Noi speriamo che Kaesong resti sempre una finestra di dialogo aperta, anche se potrebbe esserci una temporanea chiusura. Va detto che la cooperazione con il Nord va avanti in forme meno ufficiali e quasi nascoste all’opinione pubblica. Basti pensare che, in questo clima di tensione, il governo di Pyongyang ha autorizzato un viaggio umanitario di padre Gerard Hammond, esponente della Caritas Korea. Le vie di dialogo non sono chiuse, la speranza resta viva. E, se guardo la cittadinanza sudcoreana, non vedo particolari allarmi o paure. Come popolo della Sud Corea e come Chiesa ribadiamo un profondo desiderio di pace”. La tensione nella penisola coreana è cresciuta in seguito alle minacce di una guerra nucleare, pronunciate da Pyongyang, e ha portato a una serie di sforzi diplomatici che cercano di risolvere la crisi. Le due Coree restano tecnicamente in guerra dopo la guerra di Corea (1950-1953) conclusasi con un armistizio, piuttosto che con un trattato di pace. (R.P.)

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    Malaria: nel mondo registrati oltre 200 milioni di casi

    ◊   Nel 2010, in tutto il mondo, sono stati registrati circa 219 milioni di casi di malaria con la morte di 655 mila persone. Secondo le ultime stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Africa, dove si registrano il 90% dei decessi per questa malattia, è il continente più colpito. Nonostante dal 2000 ad oggi sia risultata una riduzione di oltre il 25% delle morti in tutto il mondo, circa la metà della popolazione vive in zone a rischio e, secondo la Ong internazionale Plan, su 200 milioni di casi muoiono ancora oggi 660 mila persone ogni anno, la maggior parte bambini con meno di 5 anni di età in Africa. E’ quanto emerso nel corso della recente celebrazione della Giornata Mondiale contro la Malaria. Si tratta - riporta l'agenzia Fides - di una infezione prevenibile e curabile e con la distribuzione di zanzariere trattate tra la popolazione dell’Africa occidentale 3 milioni di minori potrebbero essere salvati nei prossimi anni. In Camerun, ad esempio, dove 3 bambini su 10 rischiano di morire di malaria, la malattia costituisce uno dei problemi sanitari principali con il 30% della popolazione infantile positiva ai test di diagnosi rapida. (R.P.)

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    Mali: la situazione migliora ma rimane il dramma di sfollati e rifugiati

    ◊   “La Commissione per il Dialogo e la Riconciliazione ha già iniziato il suo lavoro, le condizioni di sicurezza sono migliorate e l’amministrazione civile sta riprendendo le sue funzioni nelle città del nord liberate dalla presenza dei gruppi armati”. Sono questi i segnali di speranza riferiti all’agenzia Fides da don Edmond Dembele, segretario generale della Conferenza episcopale del Mali. Le truppe francesi insieme a quelle maliane e dei Paesi dell’Africa occidentale hanno ormai preso il controllo di gran parte del nord del Mali. I diversi gruppi jihadisti che le occupavano si sono dispersi nelle zone desertiche del Mali o si sono dirette all’estero. Secondo la stampa internazionale vi sarebbero appartenenti a questi gruppi, provenienti dal Mali, dietro gli ultimi attentati avvenuti in Libia, in particolare quello che ha colpito l’ambasciata francese di Tripoli. “Qui in Mali si pensa in effetti che questi attentati siano la prova che i gruppi jihadisti fuggiti dal nostro Paese si siano rifugiati in Libia” dice don Dembele. “Ma la nostra preoccupazione principale al momento è la ricostruzione del Mali” aggiunge il sacerdote. “Uno dei problemi urgenti è quello dei rifugiati e degli sfollati. L’aiuto per gli sfollati interni diminuisce di giorno in giorno e le sofferenze di queste persone aumentano. La situazione rimane molto preoccupante perché sta per iniziare la stagione delle piogge e con esse aumenta il rischio di epidemie e di malattie come la malaria” conclude don Dembele. (R.P.)

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    Haiti: Campagna di vaccinazioni contro le malattie infantili letali

    ◊   A distanza di un anno dal lancio di una campagna di vaccinazioni contro diverse malattie infantili, comprese morbillo e polio, Haiti è pronta per un progetto simile anche contro tetano e rotavirus, che causa diarrea acuta e la morte ogni anno di 2.200 bambini con meno di 5 anni di età. Oltre la metà di tutti i casi di tetano neonatale nel mondo sono contratti in Haiti, dove si registra il tasso di mortalità infantile più elevato, con 57 ogni 1.000 nati vivi, e quello di vaccinazioni più basso delle Americhe. L’obiettivo delle autorità locali e delle Ong internazionali - riferisce l'agenzia Fides - è salvare la vita di più di 250 mila bambini con meno di 5 anni di età dal rotavirus, oltre a tutelare 1 milione e 200 mila donne di età compresa tra 15 e 49 anni, contro il tetano e la sua forma neonatale. Lo scorso anno, grazie ad una iniziativa sanitaria, è stato possibile fare il vaccino pentavalente a 200 mila bambini contro 5 malattie comprese difterite, tetano e tosse convulsa. Il vaccino contro il rotavirus sarà per prevenire la diarrea letale e disidratante causata dal virus altamente contagioso e resistente agli antibiotici dei neonati tra i sei e dieci settimane di vita. La diarrea è tra le cause principali di morte tra i minori di 5 anni in Haiti. (R.P.)

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    Bolivia: il card. Terrazas risponde al presidente Morales sui furti nelle chiese

    ◊   In modo chiaro e diretto il cardinale boliviano Julio Terrazas, ha confermato l'idoneità, la lealtà e la dedizione dei suoi confratelli vescovi, nel servizio alla Chiesa della Bolivia e ha denunciato coloro che spandono bugie per denigrare l'avversario. Il card. Terrazas ha così respinto le dichiarazioni fatte pochi giorni fa dal Presidente Morales che accusa alcuni vescovi dei furti di preziosi ex voto in alcune chiese e santuari. Il card. Terrazas, infatti, ha detto molto chiaramente: che “il servizio pastorale di un vescovo non è portare in tasca le chiavi per aprire i templi, ma essere vicino alla gente e non per addormentarla, ma per farla stare sveglia in modo che nessuno riesca a togliere loro la libertà”. Nei diversi comunicati della Conferenza episcopale boliviana (Ceb) e nell'omelia di ieri del card. Terrazas, si chiede alle autorità di continuare seriamente le investigazioni e di non condannare nessuno senza prove. "Non è qualificando di complici o alzando la voce contro i vescovi che si risolvono le cose", ha detto il cardinale, con chiara allusione al Presidente Morales. Come riferito all'agenzia Fides da fonti locali, la comunità cattolica è rimasta scossa dal furto dei gioielli della Madonna in più di un tempio, e proprio per questo che i parroci continuano a chiedere l’aiuto dei fedeli per proteggere le loro chiese dai vandali e dalle azioni dei malviventi. (R.P.)

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    Guatemala: i vescovi condannano la violenza nel Paese

    ◊   In un messaggio inviato alla agenzia Fides, i vescovi del Guatemala hanno voluto celebrare i 15 anni dell'omicidio di mons. Juan Gerardi (il 26 aprile) con un invito alla riflessione sulla sua testimonianza ancora viva nella comunità: il suo impegno al servizio ai poveri e la difesa della pace. Il documento ricorda quanto pubblicato negli "Accordi di Pace" alla fine della guerra: "Impegnarsi con il popolo del Guatemala fino a sradicare le cause che hanno prodotto il conflitto e i mali provocati da una guerra fratricida lunga 36 anni". "In questi anni, si legge nel testo, abbiamo visto una politica tappabuchi e non una soluzione della povertà o dell'esclusione sociale o dell'emigrazione forzata. Si verifica ancora la mancanza di rispetto della dignità umana, una pericolosa polarizzazione nella vita sociale e gravi conflitti nel campo minerario". Il documento conclude con una condanna della violenza e l’appello alla costruzione della vera pace in Guatemala, con le parole e l'esempio del vescovo Gerardi: "Guatemala nunca más (Guatemala mai più), perché non si devono ripetere quelle dolorose esperienze del passato”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 119

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.