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Sommario del 24/04/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: il cristiano non si chiuda in sé, ma sia sempre in azione per il bene del mondo
  • Appello del Papa per la Siria: soluzione politica alla crisi, i due vescovi rapiti tornino presto alle loro comunità
  • La gioia dei 100 mila fedeli in Piazza San Pietro: Papa Francesco, segno di speranza
  • Tweet del Papa: "Manteniamo viva la fede con la preghiera e con i Sacramenti"
  • Papa Francesco: la Chiesa è una storia d'amore, non un'organizzazione burocratica
  • Nel pomeriggio il Papa riceve in udienza il cardinale Tauran
  • Anno della Fede: presentati gli incontri dei cresimandi e delle Confraternite col Papa
  • Mons. Chullikatt: necessario nuovo modello economico che abbatta i privilegi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria. Convegno Focsiv: autodeterminazione del popolo e percorso federale
  • Francia, nozze gay. L'esperta di bioetica: bisogna andare alle radici del diritto
  • Italia: Napolitano affida l'incarico di governo ad Enrico Letta
  • Attentato di Boston: ancora tante ipotesi e interrogativi da sciogliere
  • Cina: 21 vittime in scontri armati nello Stato indipendentista dello Xinjiang
  • Perugia, al via la VII edizione del Festival internazionale del giornalismo
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Terra Santa: Trattato interreligioso per le relazioni fra cristiani e musulmani
  • Iraq: nella festa di San Giorgio la Chiesa celebra Papa Francesco e la missione
  • Libia: mons. Martinelli preoccupato per l’attentato a Tripoli. Il dolore per la morte di due suore
  • India: le famiglie dei pescatori uccisi pregano per i due marò
  • Filippine. I religiosi: governo insufficiente su ecologia, diritti umani, corruzione, riforma agraria
  • Myanmar: il governo libera 56 attivisti. La leader cattolica: non basta
  • Sud Sudan: nasce Comitato di riconciliazione. La Chiesa in prima linea
  • Nigeria: dubbi dei vescovi sull'amnistia per Boko Haram
  • Vietnam: la Corte suprema aggiorna il processo di appello degli attivisti cattolici
  • Vietnam: progetto del Bambin Gesù per duemila minori all'Ospedale pediatrico di Hanoi
  • India: prevista per il 2014 l’apertura della prima Università gesuita del Paese
  • Istat: record di disoccupazione giovanile, al Sud il tasso è raddoppiato in 35 anni
  • Italia: aperta a Pavia la 45.ma Settimana agostiniana
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: il cristiano non si chiuda in sé, ma sia sempre in azione per il bene del mondo

    ◊   Il cristiano non deve chiudersi in se stesso, ma deve usare il tempo e i talenti che Dio gli ha dato “per far crescere il bene nel mondo”. È la sintesi della catechesi che Papa Francesco ha rivolto alle oltre 100 mila persone che stamattina hanno riempito Piazza San Pietro per l’udienza generale. Ai giovani, in particolare, il Papa ha chiesto di scommettere su “ideali grandi” che “allargano il cuore”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Il cristiano non vive in modo assonnato la vita che Dio gli dona. Il cristiano è sveglio, è un uomo d’azione, di azione orientata al bene. Con il consueto vigore – e il contrappunto di molti applausi a sottolineare i passi più “sentiti” – Papa Francesco scuote le coscienze soffermandosi del “giudizio finale”. Punto di partenza è la frase del Credo, che parla di Gesù che verrà di nuovo “a giudicare i vivi e i morti”, ma il Pontefice dilata lo spazio di riflessione a ciò che una persona di fede è chiamata a fare prima di arrivare a quel traguardo, il cui verificarsi – sostiene peraltro – non è sempre così chiaro e saldo “nel cuore dei cristiani”. Per meglio spiegarsi, Papa Francesco utilizza tre parabole. La prima – quella delle vergini sagge e delle vergini stolte –mostra cosa significhi vigilare in attesa del ritorno di Cristo:

    “Quello che ci è chiesto è di essere preparati all’incontro - preparati ad un incontro, ad un bell’incontro, l’incontro con Gesù -, che significa saper vedere i segni della sua presenza, tenere viva la nostra fede, con la preghiera, con i Sacramenti, essere vigilanti per non addormentarci, per non dimenticarci di Dio. La vita dei cristiani addormentati è una vita triste, non è una vita felice. Il cristiano dev’essere felice, la gioia di Gesù. Non addormentarci!”

    La seconda parabola, quella dei talenti, aggiunge un tassello al ragionamento e cioè che l’attesa di Cristo non è mai, per chi crede, il tempo dell’inerzia:

    “Un cristiano che si chiude in se stesso, che nasconde tutto quello che il Signore gli ha dato è un cristiano… non è cristiano! E’ un cristiano che non ringrazia Dio per tutto quello che gli ha donato! Questo ci dice che l’attesa del ritorno del Signore è il tempo dell’azione - noi siamo nel tempo dell’azione -, il tempo in cui mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi, ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri, il tempo in cui cercare sempre di far crescere il bene nel mondo”.

    A questo punto, Papa Francesco fa calare il principio nelle pieghe dell’attualità. Fare il bene, dice, è fondamentale “in particolare oggi, in questo periodo di crisi”:

    “Oggi, è importante non chiudersi in se stessi, sotterrando il proprio talento, le proprie ricchezze spirituali, intellettuali, materiali, tutto quello che il Signore ci ha dato, ma aprirsi, essere solidali, essere attenti all’altro”.

    Alzando lo sguardo dai fogli alla Piazza, il Pontefice riserva come sempre ai giovani un pensiero speciale. Si parla di talenti e Papa Francesco chiede loro: “Avete pensato a come metterli a servizio degli altri?”:

    “Non sotterrate i talenti! Scommettete su ideali grandi, quegli ideali che allargano il cuore, quegli ideali di servizio che renderanno fecondi i vostri talenti. La vita non ci è data perché la conserviamo gelosamente per noi stessi, ma ci è data perché la doniamo. Cari giovani, abbiate un animo grande! Non abbiate paura di sognare cose grandi!”.

    La terza parabola, dedicata al giudizio finale, chiude il cerchio della catechesi. Papa Francesco rievoca la scena del Vangelo, la separazione tra chi ha voluto soccorrere un fratello affamato, straniero, malato, carcerato e chi non lo ha fatto. Qui, il Papa si interrompe e fa calare nel silenzio del Colonnato una domanda:

    “Penso a tanti stranieri che sono qui nella diocesi di Roma: cosa facciamo per loro?”.

    Quindi, riprende il filo del discorso e conclude ribadendo che la “fede è un dono”, ma anche che Dio richiede a questo dono “una risposta libera e concreta”, quella di “una vita buona, fatta di azioni animate dalla fede e dall’amore”:

    “Cari fratelli e sorelle, guardare al giudizio finale non ci faccia mai paura; ci spinga piuttosto a vivere meglio il presente. Dio ci offre con misericordia e pazienza questo tempo affinché impariamo ogni giorno a riconoscerlo nei poveri e nei piccoli, ci adoperiamo per il bene e siamo vigilanti nella preghiera e nell’amore”.

    Terminata la catechesi in italiano, Papa Francesco si rivolge alla folla in altre sette lingue. In Piazza San Pietro ci sono fedeli dal Vietnam all’Argentina e il Papa sembra volerli abbracciare tutti con quel lungo, infinito giro tra la gente che lo attornia. Neonati, ammalati, un coro di ragazzini, sposi, anziani: prima e dopo l'udienza, Papa Francesco stringe centinaia di mani, intrattenendosi per un’altra ora abbondante con la folla dopo la fine dell’udienza generale. E la sua solidarietà arriva, fra gli altri, ai lavoratori sardi della società “E.ON”, che rischiano il lavoro e che mercoledì scorso un ritardo aereo aveva impedito di essere dal Papa. “Auspico – ha detto loro il Pontefice – che la grave congiuntura occupazionale possa trovare una rapida ed equa soluzione, nel rispetto dei diritti di tutti, specialmente delle famiglie. La situazione in Sardegna e nell’intero Paese è particolarmente difficile. È importante che ci sia un incisivo impegno per aprire vie di speranza”.

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    Appello del Papa per la Siria: soluzione politica alla crisi, i due vescovi rapiti tornino presto alle loro comunità

    ◊   Al termine dell’Udienza generale, Papa Francesco ha lanciato un accorato appello per la Siria, ricordando i due arcivescovi ortodossi rapiti due giorni fa nei pressi di Aleppo, ed auspicando una soluzione politica alla crisi siriana. Ascoltiamo la voce del Papa nel servizio di Salvatore Sabatino:

    "Il rapimento dei metropoliti greco-ortodosso e siro-ortodosso di Aleppo sul cui rilascio ci sono notizie contrastanti, è un ulteriore segno della tragica situazione che sta attraversando la cara nazione siriana, dove la violenza e le armi continuano a seminare morte e sofferenza".

    E’ un appello vibrante, quello lanciato da Papa Francesco, che ricorda i due arcivescovi ortodossi Gregorios Ibrahim e Paul Yazigi, rapiti due giorni fa nei pressi di Aleppo; li ricorda nella preghiera affinché ritornino presto alle loro comunità. “Chiedo a Dio - aggiunge il Pontefice – di illuminare i cuori”:

    "Rinnovo il presente invito che ho rivolto nel giorno di Pasqua affinché cessi lo spargimento di sangue, si presti la necessaria assistenza umanitaria alla popolazione e si trovi quanto prima una soluzione politica alla crisi".

    Soluzione politica auspicata da tempo, ma mai praticata. Ora l’appello del Papa riaccende le speranze in Siria, dove è stato accolto con gioia e gratitudine. Lo conferma Mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo:

    R. - Trovo molto significativo il fatto che il Santo Padre dia attenzione particolare alla situazione in Siria, puntando soprattutto sulla soluzione politica. É una cosa molto positiva! Oggi, tanti ne parlano - anche a livello delle Nazioni Unite - e quando il Papa sottolinea questo aspetto è molto positivo. Per quanto riguarda il rapimento dei due vescovi il suo appello dà coraggio a noi come comunità cristiana presente qui.

    D. - A proposito di questo rapimento ci sono, come ha detto anche Papa Francesco, notizie contrastanti. Quali sono le ultime da Aleppo?

    R. - Fino a ieri ci dicevano che erano stati liberati e che sarebbero arrivati ad Aleppo. Abbiamo aspettato fino alle nove di sera. Questo è il problema: anche oggi si aspetta. La situazione è molto difficile. Sono le cose che ho sentito fino ad ora.

    D. - Lei dice che i sequestri sono una piaga in Siria e che lo scopo è fondamentalmente il denaro…

    R. - Sembra soprattutto una questione di denaro. Ma non abbiamo una dichiarazione ufficiale per poter dire qualcosa. Si sentono tante voci. Non osiamo dire tante cose se non sono certe.

    D. - In tutti i casi non bisogna mai perdere la speranza…

    R. - Sì, questo è il nostro atteggiamento! E speriamo che prima di domenica si arrivi ad una soluzione, alla liberazione dei due vescovi!

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    La gioia dei 100 mila fedeli in Piazza San Pietro: Papa Francesco, segno di speranza

    ◊   Oltre 100mila fedeli, giunti da tutto il mondo e da varie regioni italiane, in particolare dalla Campania e dal Veneto, hanno partecipato con grande gioia ed emozione all’udienza generale in Piazza San Pietro. Ascoltiamo alcune testimonianze nel servizio di Amedeo Lomonaco:

    Vedere il Pontefice è un’emozione che avvolge tutta Piazza San Pietro, dove si mescolano voci e speranze accompagnate dallo sguardo proteso verso Papa Francesco:

    R. - Una bellissima esperienza! Non vedevo l’ora di venire a vedere questo grandissimo Papa. Credo che le sue parole diano un grande segno di speranza.

    R. - La mia più grande emozione è stata quando il Papa ha ricevuto la lettera che gli ho scritto! Ho scritto della mia famiglia, ho aggiunto che vado a scuola di musica e suono la chitarra. Poi gli ho fatto delle domande e gli ho chiesto se mi poteva dare dei consigli su come prepararmi alla Prima Comunione!

    R. - È un Papa che riscalda il cuore di tutti!

    L’esortazione di Papa Francesco a tenere accese “le lampade della fede” è una luce che illumina il cuore, nonostante le ombre che offuscano il nostro tempo:

    R. - La nostra fede, la nostra lampada - anche se è piccola - può comunque illuminare gli altri e quindi è una testimonianza del nostro credo, delle nostre scelte, anche morali. Gesù ci ha insegnato che se i giovani smettono di sognare morirebbero, perché i sogni ci fanno sopravvivere, ci fanno vivere! Quindi noi sogniamo perché abbiamo la fiducia, la certezza che Gesù è sempre con noi! Ci ama!

    Particolarmente toccante è stato proprio l’invito del Papa, rivolto ai giovani, a “scommettere sui grandi ideali”, a “non aver paura di sognare cose grandi”:

    R. - In un mondo che invece li abitua ad essere omologati, a dare tutto per scontato, a non pensare, questa è una voce forte per i giovani! Pensate in grande e pensate in proprio! In altre parole, non affittate il cervello!

    R. - Non dobbiamo nascondere i nostri talenti, quello che vogliamo fare. Dobbiamo impegnarci sempre di più e non affliggerci mai!

    R. - Ogni ragazzo deve avere delle aspettative e Papa Francesco sta invitando noi ragazzi a non mollare, a credere nei nostri sogni fino in fondo, ad avere fiducia in noi, nelle nostre capacità e in un futuro migliore!

    R. - Secondo me queste parole ci danno più forza, perché oggi è difficile, ma credo che ce la faremo anche grazie a lui!

    Dopo l’udienza, il Papa ha rivolto uno speciale saluto agli operai della società sarda ‘E.On’ e ricordato che, a causa della grave congiuntura occupazionale, è sempre più difficile la situazione in Sardegna:

    R. - La Sardegna oggi sta vivendo veramente un momento molto triste perché non c’è lavoro. La povertà incombe su tutti. É una grande emozione il fatto che il Papa pensi a noi!

    R. - Comunque ci auguriamo e preghiamo che i politici, coloro che hanno il potere, si mettano una mano sulla coscienza affinché vengano incontro a tutte le difficoltà che ci sono in questo momento! Siamo in una crisi mai vista! Molte persone ultimamente sono arrivate al suicidio; sentiamo, di queste notizie, una ogni giorno! Per quello chiediamo che veramente si mettano una mano sulla coscienza!

    Grande infine l’emozione quando Papa Francesco, prima e dopo l’udienza, ha ripetutamente salutato dalla jeep pellegrini e fedeli giunti in Piazza San Pietro.

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    Tweet del Papa: "Manteniamo viva la fede con la preghiera e con i Sacramenti"

    ◊   Al termine dell’udienza generale è arrivato un nuovo tweet del Papa: “Manteniamo viva la nostra fede con la preghiera, con i Sacramenti; siamo vigili per non dimenticarci di Dio". Nel suo account Twitter in nove lingue, i follower stanno raggiungendo quota 6 milioni.

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    Papa Francesco: la Chiesa è una storia d'amore, non un'organizzazione burocratica

    ◊   La Chiesa non è un’organizzazione burocratica, è una storia di amore: è quanto ha detto il Papa durante la Messa presieduta stamani nella Cappellina della Casa Santa Marta. Presenti alcuni dipendenti dello Ior. Ha concelebrato il cardinale Javier Lozano Barragán, presidente emerito del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Le letture del giorno raccontano le vicende della prima comunità cristiana che cresce e moltiplica i suoi discepoli. Una cosa buona – osserva il Papa – ma che può spingere a fare “patti” per avere ancora “più soci in questa impresa”:

    “Invece, la strada che Gesù ha voluto per la sua Chiesa è un’altra: la strada delle difficoltà, la strada della Croce, la strada delle persecuzioni … E questo ci fa pensare: ma cosa è questa Chiesa? Questa nostra Chiesa, perché sembra che non sia un’impresa umana”.

    La Chiesa – sottolinea – è “un’altra cosa”: non sono i discepoli a fare la Chiesa, loro sono degli inviati, inviati da Gesù. E Cristo è inviato dal Padre:

    “E allora, si vede che la Chiesa incomincia là, nel cuore del Padre, che ha avuto questa idea … Non so se ha avuto un’idea, il Padre: il Padre ha avuto amore. E ha incominciato questa storia di amore, questa storia di amore tanto lunga nei tempi e che ancora non è finita. Noi, donne e uomini di Chiesa, siamo in mezzo ad una storia d’amore: ognuno di noi è un anello in questa catena d’amore. E se non capiamo questo, non capiamo nulla di cosa sia la Chiesa”.

    La tentazione è quella di far crescere la Chiesa senza percorrere la strada dell’amore:

    “Ma la Chiesa non cresce con la forza umana; poi, alcuni cristiani hanno sbagliato per ragioni storiche, hanno sbagliato la strada, hanno fatto eserciti, hanno fatto guerre di religione: quella è un’altra storia, che non è questa storia d’amore. Anche noi impariamo con i nostri sbagli come va la storia d’amore. Ma come cresce? Ma Gesù l’ha detto semplicemente: come il seme della senape, cresce come il lievito nella farina, senza rumore”.

    La Chiesa – ricorda il Papa - cresce “dal basso, lentamente”:

    “E quando la Chiesa vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici e diventa un po’ burocratica, la Chiesa perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una ong. E la Chiesa non è una ong. E’ una storia d’amore ... Ma ci sono quelli dello Ior … scusatemi, eh! .. tutto è necessario, gli uffici sono necessari … eh, va bè! Ma sono necessari fino ad un certo punto: come aiuto a questa storia d’amore. Ma quando l’organizzazione prende il primo posto, l’amore viene giù e la Chiesa, poveretta, diventa una ong. E questa non è la strada”.

    Un capo di Stato – ha rivelato – ha chiesto quanto sia grande l’esercito del Papa. La Chiesa – ha proseguito – non cresce “con i militari”, ma con la forza dello Spirito Santo. Perché la Chiesa – ha ripetuto – non è un’organizzazione:

    “No: è Madre. E’ Madre. Qui ci sono tante mamme, in questa Messa. Che sentite voi, se qualcuno dice: ‘Ma … lei è un’organizzatrice della sua casa’? ‘No: io sono la mamma!’. E la Chiesa è Madre. E noi siamo in mezzo ad una storia d’amore che va avanti con la forza dello Spirito Santo e noi, tutti insieme, siamo una famiglia nella Chiesa che è la nostra Madre”.

    Il Papa, infine, eleva la sua preghiera alla Madonna perché “ci dia la grazia della gioia, della gioia spirituale di camminare in questa storia d’amore”.

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    Nel pomeriggio il Papa riceve in udienza il cardinale Tauran

    ◊   Papa Francesco riceve nel pomeriggio in udienza il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.

    In Brasile, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Santo Ângelo, presentata per raggiunti limiti di età mons. José Clemente Weber. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Liro Vendelino Meurer, finora ausiliare di Passo Fundo. Mons. Liro Vendelino Meurer è nato il 13 luglio 1954 a Salvador do Sul, nell’arcidiocesi di Porto Alegre. Ha compiuto gli studi di filosofia presso la Facoltà di Filosofia Nossa Senhora da ImaculadaConceição a Viamão e quelli di teologia presso l’Istituto di Teologia della Pontificia Università Cattolica di Porto Alegre. Presso il Seminario di Viamão, ha ottenuto la Licenza in Filosofia nella Facoltà di Filosofia Nossa Senhora da Imaculada Conceiçãoe ha poi frequentato il Corso per Formatori del Seminario. Il 12 dicembre 1981 è stato ordinato sacerdote ed incardinato nel clero di Porto Alegre. In quest’arcidiocesi ha svolto le seguenti attività: Vicario parrocchiale della Parrocchia São João Batista (1980-1982); Vicario Parrocchiale della Parrocchia di Santo Antônio (1982-1983); Direttore Spirituale del Seminario Minore São José a Gravataí (1983-1990), Parroco della Parrocchia Nossa Senhora de Montserrat (1990-1991); Rettore del Seminario São João Maria Vianney a Bom Princípio (1991-1996); Parroco della Parrocchia São João Batista(1996-2007); Vicario Episcopale del Vicariato di Camaquã-Guaíba dell’arcidiocesi di Porto Alegre (2001-2008); Parroco della Parrocchia di São Geraldo a Porto Alegre (2007-2008). Il 14 gennaio 2009 è stato nominato Vescovo titolare di Tucca di Numidia ed Ausiliare dell’arcidiocesi di Passo Fundo. Il 22 marzo successivo ha ricevuto l’ordinazione episcopale.

    Sempre in Brasile, Papa Francesco ha nominato arcivescovo metropolita di Ribeirão Preto mons. Moacir Silva, trasferendolo dalla diocesi di São José dos Campos. Mons. Moacir Silva è nato il 16 luglio 1954 a São José dos Campos, nell’omonima diocesi, nello Stato di São Paulo. Ha compiuto gli studi preparatori presso il Seminario minore di Taubaté, quelli di filosofia presso il Seminario Bom Jesus di Aparecida e quelli di teologia presso l’Istituto Teologico Sagrado Coração de Jesus di Taubaté. Formato in Diritto Canonico, ha conseguito anche la licenza presso la Pontificia Facoltà di Teologia Nossa Senhora da Assunção, a São Paulo e la Laurea presso la Pontificia Università Lateranense, a Roma. Ordinato sacerdote il 6 dicembre 1986 e incardinato nella diocesi di São José dos Campos, ha ricoperto i seguenti incarichi: Coordinatore diocesano della Pastorale Giovanile (1983-1986); Coordinatore diocesano della Pastorale della Salute (1986); Vicario parrocchiale della Cattedrale diocesana (1986-1988); Parroco della parrocchia Coração de Jesus (1988-1993); membro del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori (1991-2003); Coordinatore diocesano della Pastorale della Famiglia (1993-1999); Amministratore parrocchiale della Cattedrale diocesana (1992-1993); Vicario generale della diocesi (1993-2003); Direttore della Scuola Diaconale (1992-2004); Giudice del Tribunale Interdiocesano di Aparecida (dal 1993); Parroco della Cattedrale diocesana São Dimas (1993-2004); Amministratore diocesano di São José dos Campos (2003-2004). Il 20 ottobre 2004 è stato nominato Vescovo di São José dos Campos e ha ricevuto l’ordinazione episcopale l’11 dicembre successivo. Dal 2008 è Membro della Commissione Episcopale Nazionale per i Tribunali Ecclesiastici di Seconda Istanza e dal 2011 svolge l’incarico di Vice Presidente della Conferenza Episcopale Regionale dello Stato di São Paulo.

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    Anno della Fede: presentati gli incontri dei cresimandi e delle Confraternite col Papa

    ◊   Due eventi che occuperanno quattro giornate: parliamo dei prossimi appuntamenti nell’ambito dell’Anno della Fede presentati in Sala Stampa vaticana da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Si tratta della Giornata dei Cresimandi e Cresimati, il 27 e il 28 aprile, e la Giornata delle Confraternite e della Pietà Popolare il 3 e il 5 maggio. Il servizio di Fausta Speranza:

    Confermati da Papa Francesco tutti gli eventi approvati da Benedetto XVI, che aveva pensato l’Anno dedicato alla Fede. Prossimo evento: per quanti sono stati cresimati o saranno cresimati nel 2013. Già si contano adesioni di 70 mila persone, ma il numero cresce. Papa Francesco conferirà il Sacramento a 44 fedeli dei vari continenti. Potrebbero essere 46, se due persone da Haiti riusciranno ad arrivare. Nella maggioranza si tratta di giovani, ma ci sono anche adulti, come una persona da Capo Verde di 55 anni. E poi un giovane con handicap o una persona proveniente da una zona terremotata: a testimoniare l’universalità della Chiesa:

    “Avremo giovani che provengono da zone dove i cristiani vivono situazioni difficili, dove le popolazioni sono ancora sotto la cappa della guerra o di altre calamità. In ogni caso, sono presenti giovani che mostrano il volto della Chiesa, laddove l’uomo vive e soffre”.

    Secondo evento, il 3 e il 5 maggio, dedicato alle Confraternite:

    “Daranno la loro testimonianza delle diverse tradizioni locali, frutto di una religiosità che si è espressa nel corso dei secoli con iniziative e opere d’arte che durano fino ai nostri giorni”.

    In più di 20 chiese di Roma, arriveranno da ogni parte. Sono già programmate 55 mila persone. Saranno in gruppi linguistici diversi per poi ritrovarsi alla Messa presieduta dal Papa, dove arriveranno in processione con abiti tradizionali e porteranno anche opere d’arte che saranno esposte, una anche nella Basilica durante la Messa. E poi mons. Fisichella ricorda due punti fermi per l’Anno della Fede:

    “Il giorno precedente ad ogni evento si propone ai partecipanti una breve processione simbolica che, dall’obelisco di Piazza San Pietro, si snoda verso la tomba di Pietro dove verrà fatta la professio fidei, la professione di fede. In questo percorso, si svilupperà una breve catechesi per richiamare il significato dei luoghi in cui ci si trova e il valore storico che possiedono per la fede”.

    E la disponibilità di tante Chiese per un impegno straordinario per le confessioni e per momenti particolari di catechesi. Sulle confessioni, mons. Fisichella dice:

    “Una delle proposizioni che abbiamo sostenuto molto, proposto e sostenuto, era proprio quella perché almeno in ogni diocesi ci fosse un luogo destinato e conosciuto in tutta la diocesi, destinato 24 ore su 24 alla celebrazione del Sacramento della confessione. Quindi, è ovvio che avendo voluto alcune di queste espressioni – che sono per noi punti di nuova evangelizzazione – desideriamo che siano anche più direttamente partecipate in questi eventi di Anno della Fede”.

    Il tutto nello spirito del pellegrinaggio, raccomanda mons. Fisichella, che ricorda come altri appuntamenti segneranno l’Anno della Fede e annuncia che si sta lavorando per organizzare un’ora di adorazione eucaristica il prossimo 2 giugno, in contemporanea in ogni diocesi del mondo.

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    Mons. Chullikatt: necessario nuovo modello economico che abbatta i privilegi

    ◊   La lotta alla povertà passa per un concreto progetto di inclusione sociale. L’osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, mons. Francis Chullikatt, ha ribadito di fronte al Gruppo di Lavoro per lo sviluppo sostenibile, riunito nel Palazzo di Vetro di New York, le indicazioni del magistero della Chiesa per garantire l’equilibrio sociale e la pace nel mondo. Il servizio di Stefano Leszczynski:

    L'esclusione sociale è causa e conseguenza del circolo vizioso della povertà. Solo un processo di inclusione dei poveri in tutti gli ambiti economici, sociali, politici e culturali può condurre all’obiettivo di sradicare la povertà dal mondo. Così mons. Francis Chullikatt invita la comunità internazionale a fare proprio l’appello di Paolo VI, che nella Populorum Progressio del 1967 auspicava la nascita di un modello economico capace di coinvolgere tutta l’umanità e non soltanto un’élite allo scopo di costruire un mondo in cui tutti sarebbero stati in grado di dare e ricevere, senza che qualcuno potesse progredire a spese di qualcun altro.

    Mons. Chullikatt ha rammentato la centralità dell’obiettivo dello sradicamento della povertà come un imperativo morale necessario al rafforzamento dello spirito di fraternità fra gli uomini e di costruzione della pace. Dunque, come già affermato anche da Benedetto XVI e da Papa Francesco nel loro magistero, le parole chiave per sconfiggere la povertà sono il rispetto della dignità di ogni individuo e la centralità dello sviluppo della persona umana. Un concreto processo di inclusione sociale in ambito economico, sociale, politico e culturale - ha spiegato l’arcivescovo Chullikatt – passa necessariamente attraverso l’abbattimento dei privilegi esclusivi che generano squilibri insostenibili tra il benessere di pochi e la povertà di molti. Il monopolio del patrimonio intellettuale, sistemi di commercio ingiusti, la cronica dipendenza economica e politica di alcuni Stati sono tra le cause più evidenti della povertà. La strada per conseguire l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile per l’umanità – ha affermato il presule – è solo quello dell’inclusione sociale che permetterà la creazione di un modello di condivisione della conoscenza e dell’esperienza che coinvolga anche coloro che quotidianamente si trovano a fronteggiare la realtà e le minacce della povertà.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Si fermino le violenze in Siria: l'appello di Papa Francesco all'udienza generale.

    Tra croce e risurrezione: la messa del Pontefice con i cardinali nel giorno del suo onomastico.

    Ondata di violenze in Iraq: nell'informazione internazionale, in rilievo il duplice attacco contro la comunità sunnita.

    Una scelta che divide: via libera definitivo dall’Assemblea nazionale francese alla legge sul matrimonio tra omosessuali.

    La situazione politica in Italia: un articolo di Marco Bellizi sull'incarico a Enrico Letta di formare il nuovo Governo.

    Il gesuita e la Resistenza: in cultura, Giovanni Preziosi sulla lotta di padre Carlo Messori Roncaglia contro il nazifascismo.

    Risolto il giallo delle teste di bronzo: Timothy Verdon sul restauro delle sculture incastonate nei tondi della Cantoria di Donatello a Firenze.

    Incapaci di un progetto comune: l’episcopato francese preoccupato per le norme sui “matrimoni omosessuali” e le adozioni.

    Il beneficio del matrimonio fra uomo e donna: nel servizio religioso, un intervento dei vescovi irlandesi in merito alle nozze tra persone dello stesso sesso.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria. Convegno Focsiv: autodeterminazione del popolo e percorso federale

    ◊   “Il dialogo e il riconoscimento dell’altro devono prevalere in Siria”. E’ la sfida lanciata dal convegno organizzato da Focsiv, volontari nel Mondo, che si è tenuto ieri pomeriggio a Roma dal titolo: “Siria due anni dopo: responsabilità ed esperienze a confronto”. C’era per noi Massimiliano Menichetti:

    Una strage quotidiana che passa sotto silenzio e che vede una comunità internazionale immobile di fronte a una catastrofe umanitaria drammatica. E’ la denuncia emersa dal Convegno sulla situazione in Siria, organizzato da Focsiv ieri a Roma. Il presidente della Federazione dei volontari nel mondo, Gianfranco Cattai, ha ribadito che “le speranze di pace si fondano sulla capacità di dialogo e che è necessario adoperarsi per creare stabilità nell’area”. Diverse le testimonianze di giornalisti che hanno descritto situazioni devastanti. Tra loro Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera:

    R. – Questa metodica repressione è gravissima. Sono circa 40 anni che seguo i conflitti in Medio Oriente e non ho mai visto cose del genere da parte del regime, delle brigate lealiste di Bashar Al Assad e della cosiddetta Shabiha, gruppi paramilitari di civili che più che altro sono alawiti. Siamo in presenza di una repressione di larga scala con interi villaggi distrutti, causa la presenza di pochissimi uomini armati. Poi, ci sono le torture nelle carceri… Una cosa che mi ha colpito, e che ho raccontato tante volte, è questo metodico attaccare da parte del regime i centri medici clandestini, gli ospedali sotterranei, dove viene - prima di tutto - ucciso il personale medico e paramedico. I giovani che vengono catturati spariscono: vengono uccisi, massacrati, torturati, non si sa…

    D. – In una situazione di questo tipo, le denuncia però un altro pericolo e cioè che se la situazione dovesse rovesciarsi del tutto, potrebbe esserci addirittura una strage di alawiti, cioè di coloro che di fatto sostengono Bashar Al Assad...

    R. – Non è per controbilanciare. Continuo a dire che all’inizio le rivolte erano di stampo pacifico, non violente, e il regime le ha represse in un modo sproporzionatamente violento da indurre la gente a prendere le armi, che all’inizio non c’erano. Ciò detto, siamo ormai di fronte a un conflitto incancrenito, con un intervento di forze straniere – dall’Iran all’Arabia Saudita, dal Qatar alla Turchia – in cui adesso, con il crescere delle avanzate delle brigate sunnite e ribelli, ci troviamo di fronte a un pericolo serio che io chiamo “un semi olocausto”, un massacro etnico su larga scala, una di pulizia etnica nelle zone alawite, se i ribelli dovessero rovesciare il Assad. Qui ci vuole una grandissima forza di interposizione internazionale.

    “E’ necessario consentire l’autodeterminazione del popolo siriano e intervenire per fermare la sproporzionata repressione del regime”, è stato più volte ribadito. Secondo i Comitati dei rivoltosi in scontri, in varie parti del Paese ogni giorno muoiono dalle 80 alle 100 persone, spesso sono civili.
    Franco Frattini, presidentedella Società Italiana per l'organizzazione Internazionale:

    R. – Si vive una tragedia con un milione di rifugiati nei Paesi vicini, persone che stanno soffrendo pene terribili, vittime di tortura e di stragi. Credo che la comunità internazionale, almeno su questo dovrebbe fare urgentemente molto di più e ragionare seriamente su corridoi umanitari e sulle aree di protezione, per evitare che queste stragi continuino.

    D. – La questione della composizione dell’opposizione siriana è quanto mai eterogenea. Qual è il volto di questa opposizione?

    R. – È un volto che si sta consolidando. Oggi, la presenza di un cristiano come capo ad interim dell’opposizione siriana dà un segnale di apertura positivo che coincide con quanto io stesso ho sentito da molti esponenti dell’opposizione. Vi è una componente certamente estrema, una componente addirittura qaedista che può approfittare di questa situazione drammatica. Bisogna non cadere né nella trappola del regime di Assad che dice “tutto è terrorismo”, ma neanche nella trappola di coloro che, offrendo magari aiuti in nome della giusta richiesta dei rivoluzionari di libertà e di diritti, in realtà mirano poi ad affermare uno Stato qaedista ispirato a principi che non sono democratici. Quindi, il sostegno va dato solo all’opposizione legittima e democratica.

    Secondo l’Onu, in “Siria si stano verificando violenze inaccettabili”. L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati denuncia che se non si porrà fine a questa situazione, entro la fine dell'anno 10 milioni di persone avranno bisogno di aiuti umanitari. Intanto, oltre un milione di persone sono fuggite dalla guerra civile, cercando rifugio nei campi profughi che confinano con la Siria. L'opinione di
    Domenico Chirico, direttore di “Un Ponte per…”, ong impegnata sul fronte dell’assistenza umanitaria in Giordania e Nord Iraq:

    R. – Va subito detto che c’è una fortissima solidarietà da parte delle comunità locali, quindi non necessariamente solo dalle ong internazionali. C’è un’enorme solidarietà ma, nel momento in cui i numeri diventano così ampi, il problema diventa molto grave e non è più la semplice comunità che riesce ad accogliere un’altra persona. Così esplodono i conflitti di integrazione e di convivenza. Quindi, alcuni Paesi – come la Turchia e la Giordania – hanno scelto di chiudere parte dei rifugiati nei campi, che sono campi dove ovviamente esplodono delle vulnerabilità, perché sono carceri a cielo aperto dove vivono più di 100 mila persone. In questi casi, i problemi possono essere enormi. In altri Paesi, si riesce ad avere una maggiore accoglienza nelle città. Però, ormai i numeri della crisi sono così ampi che è difficilissimo riuscire a parlare di una reale accoglienza.

    “Non serve accoglienza, ma uno sforzo ed un cammino che porti la Sira verso un modello federale”, ha ribadito il gesuita, padre Paolo Dall’Oglio, da trent'anni in Siria dove ha fondato la comunità monastica di Deir Mar Musa. Espulso dal regime nel 2011, oggi risiede nel Kurdistan Iracheno:

    R. – Il sano realismo, combinato con una coraggiosa speranza, va nel senso di decidersi, nella collettività globale, per la democrazia dei siriani, l’autodeterminazione, per la caduta del regime e per riuscire nello sforzo di combinare i nuovi elementi – quello curdo, la polarizzazione comunitaria della popolazione siriana – in una nuova armonia che non è più quella dell’unità imposta dall’unico partito di regime, ma che sia invece un’unità costruita dai cittadini siriani in vista di un progetto consensuale moderatamente federale. Questo permetterebbe di evitare, al momento della caduta del regime, la spirale delle vendette e il rischio di gravi derive di massacri.

    D. – Qual è la situazione dei cristiani in Siria?

    R. – Purtroppo, molti cristiani se ne sono andati perché nella situazione di guerra civile sunnita-sciita che si è creata, i cristiani si sono trovati intrappolati come in Iraq e se ne vanno. Se la situazione si inverte, i cristiani potranno essere lievito di riconciliazione.

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    Francia, nozze gay. L'esperta di bioetica: bisogna andare alle radici del diritto

    ◊   Non si placa la protesta in Francia contro l’approvazione, ieri, della legge promossa dai socialisti sulle nozze gay da parte dell’Assemblea nazionale. Nuovi raduni sono infatti previsti per il 5 e il 26 maggio prossimi a Parigi. I senatori dell'opposizione di centrodestra hanno intanto presentato ricorso al Consiglio costituzionale, il cui parere sarà noto entro un mese. I promotori dell’iniziativa sostengono che "la definizione di matrimonio, principio fondamentale riconosciuto dalla leggi della Repubblica, non può essere modificato attraverso una legge ordinaria". L’apertura della Francia ai matrimoni gay arriva dopo sette mesi di forti polemiche e di una lunga maratona parlamentare, che ha spaccato la classe politica e l’opinione pubblica. Ma ha fondamento l’obiezione degli oppositori alla legge? Adriana Masotti lo ha chiesto a Gabriella Gambino, ricercatrice in Filosofia del diritto all’Università Tor Vergata di Roma e docente di Bioetica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia:

    R. – Direi assolutamente di sì, nel senso che, effettivamente, nell’ambito degli ordinamenti giuridici, la legge ordinaria non può modificare la norma fondamentale dello Stato e questi cambiamenti oggi stanno scardinando i nostri ordinamenti sia dal punto di vista giuridico, sia dal punto di vista etimologico, dei termini, e antropologico.

    D. – Una misura di questo è anche una frase della ministra francese Taubira, che si è battuta con passione per il suo testo: “E' una legge, questa, generosa perché lotta contro la diseguaglianza e protegge migliaia di bambini”…

    D. – Il problema dei bambini è quello di garantire certamente una stabilità familiare, ma non solo. E' anche quello di dar loro punti di riferimento chiari per lo sviluppo anche di una loro identità, attraverso una bipolarità sessuale che antropologicamente fa parte della persona umana. Quando lo Stato in principio prevede che venga a mancare questa bipolarità sessuale, bisogna anche domandarsi se questo sia un autentico principio di uguaglianza nei confronti di questi bambini.

    D. – La legge che riconosce il matrimonio gay che cosa toglie alle coppie “tradizionali” fatte di un uomo e di una donna? E’ una domanda che ci si sente rivolgere da chi oggi festeggia…

    R. – Non è questo il punto. La legge di per sé non toglie mai nulla in questi termini, ma crea situazioni nuove che culturalmente influiscono fortemente sul nostro modo di pensare e di fare famiglia. Bisogna inoltre domandarsi, in realtà, se il diritto debba autenticamente prendere in considerazione queste nuove modalità che sono modalità private alle quali forse lo Stato, il diritto, non si giustifica si interessino in questi termini. Il diritto, infatti, non prende solo atto delle realtà di fatto, ma è tenuto a prendere in considerazione realtà che strutturalmente appartengono alla coesistenza come facenti parte dell’uomo.

    D. – Quindi, è un non guardare più, non riconoscere più la famiglia come quella cellula fondamentale che, mediante la procreazione, dà corpo allo Stato…

    R. – Esatto, anche perché viene da chiedersi se davvero queste siano situazioni universalizzabili, perché il diritto fa proprio questo. Nella tradizione giuridica, perché il matrimonio eterosessuale viene istituzionalizzato dallo Stato come fondamento della famiglia? Proprio perché pone la procreazione a fondamento della famiglia, che fondandosi sulla bipolarità sessuale, è il fondamento per la procreazione umana. Qui prendiamo atto invece di altre situazioni con le quali, attraverso l’adozione, vogliamo imitare il modello familiare ma "bypassando" questo modello, superandolo completamente, creando altre situazioni e volendo che lo Stato le istituzionalizzi e le universalizzi: che le renda cioè un bene per tutti nel senso che a quel punto vanno bene per tutti, diventano anche un modello culturale alternativo e assolutamente uguale all’altro nell’idea culturale che si diffonde.

    D. – I mass media italiani, nella grande maggioranza, si dichiarano apertamente a favore di questa legge, facendo sentire “arretrati” coloro che la pensano diversamente: che giudizio si può dare su questo?

    R. – Non è un problema di arretratezza, è un problema di saper andare autenticamente al fondamento del diritto e di ciò di cui il diritto si deve occupare. Secondo me, oggi bisogna avere il coraggio di andare alla ricerca di questi fondamenti autentici prima di fare norme sulla base di un’ondata che non ha molto di giuridico, ma più di politico. Ma la dimensione politica è una dimensione extra-giuridica, che non attiene al diritto e quest’oggi stesso purtroppo ce lo dimentichiamo.

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    Italia: Napolitano affida l'incarico di governo ad Enrico Letta

    ◊   Il presidente italiano, Giorgio Napolitano, ha convocato Enrico Letta al Quirinale alle ore 12.30 per conferirgli l’incarico per la formazione del nuovo governo. Letta ha accettato con riserva e ha messo in luce la necessità di rilanciare al crescita del Paese e avviare una serie di riforme istituzionali. Sostegno dai principali partiti, eccetto che dal Movimento Cinque Stelle. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    ''Cercherò di utilizzare il più breve tempo possibile''. Lo dice al Quirinale il presidente incaricato, Enrico Letta, che afferma di sperare di tornare rapidamente a sciogliere la riserva. Già domani, l’avvio delle consultazioni alla Camera. Letta afferma che il suo sarà un governo al servizio del Paese, perché l’Italia non si può permettere elezioni adesso, ma non sarà comunque un esecutivo a tutti i costi. Inoltre, dice il premier incaricato, “bisogna dare una risposta all'emergenza giovani, questa sarà una priorità”. Ma non solo:

    "Da questa vicenda possa uscire una politica italiana diversa, attraverso riforme costituzionali necessarie per ridurre il numero dei parlamentari, per cambiare il sistema di bicameralismo e paritario che abbiamo, e che è uno degli elementi cha ha bloccato il Paese a partire da questa stessa situazione. Una legge elettorale che è diversa tra Camera e Senato ha dato una maggioranza diversa tra Camera e Senato e ha finito per bloccare completamente la situazione".

    Il presidente Napolitano si dice sereno per aver dato l’incarico a Letta, un uomo esperto e giovane, visto che ha 47 anni. E Napolitano mette in luce che c’è una sola prospettiva possibile: “Una larga convergenza tra le forze politiche che possono assicurare la maggioranza''. Abbiamo sentito l’opinione di Claudio Gentili, direttore della rivista La Società della Fondazione Toniolo:

    R. – Sono convinto che Letta sia una personalità di altissimo profilo nazionale e internazionale, che mette insieme una impostazione innovativa nel campo dell’economia, nel campo delle riforme istituzionali, nel campo del miglioramento della macchina pubblica, nel campo dell’attenzione al lavoro, disoccupazione, precariato, e al tempo stesso una visione moderata della politica.

    D. – In questo momento, le esigenze sembrano due: riforme istituzionali, soprattutto per quanto riguarda la legge elettorale, e poi un contributo alla ripresa…

    R. – Decisamente. Le imprese stanno chiudendo. Dopo le elezioni, abbiamo avuto 50 giorni di grande confusione politica. Fortunatamente i mercati non ci hanno penalizzato, ma c’è bisogno di risposte forte sia sul versante di un nuova legge elettorale – per poter andare alle elezioni con una legge dignitosa – ma soprattutto sul versante di una politica industriale, di una politica economica, di una politica del lavoro, che da troppo tempo sono assenti.

    D. – E’ importante che sia stato scelto un esponente che tutto sommato ha una tradizione cattolico-democratica?

    R. – Io sono convinto di sì. Sono convinto che – così come il Papa Francesco ha commentato la rielezione di Napolitano augurandosi che la sua illuminata guida possa unificare il Paese e guidarlo saggiamente – i cattolici, cattolici democratici soprattutto, possano dare un contributo preziosissimo al rilancio dell’Italia. Lo possono dare a partire da una visione che si lega alla Dottrina sociale della Chiesa, ma anche a un’idea moderna della politica: una politica che deve smetterla di essere vittima di incapacità realizzativa, una politica che sappia decidere, perché la democrazia è fatta di decisioni, non è fatta soltanto di conflitti.

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    Attentato di Boston: ancora tante ipotesi e interrogativi da sciogliere

    ◊   Proseguono le indagini sull’attentato alla maratona di Boston. Mentre gli inquirenti cercano di ricostruire l’identità dei due sospetti terroristi, i fratelli ceceni Tamerlan – ucciso dagli agenti durante la cattura – e Dzhokar Tsarnaev – tutt’ora in ospedale – si aspetta l’esito della missione dei diplomatici Usa partiti da Mosca per incontrare in Daghestan i loro genitori. Delle ipotesi investigative fin qui emerse Roberta Gisotti ha parlato con Margherita Paolini, coordinatore scientifico della rivista di geopolitia “Limes.00:03:06:19

    D. – Una verità che appare complessa e solleva tanti interrogativi…

    R. – È importante sottolineare alcuni passaggi e dei fatti che non solo sono contraddittori, ma che poi hanno posto anche degli interrogativi, quasi delle certezze, che possono essere pericolosi, come puntare il dito sull’Iran. Il terrorismo è una piaga seria: bisogna indagare con coerenza, spiegare le motivazioni, le organizzazioni, affinché il cittadino possa dare un contributo fattivo e responsabile. Però, c’è una pista strana, quella ad esempio della cellula saudita, che non è uscita fuori ma se ne è avuto notizia attraverso i giornali. Un giovane saudita è stato ricoverato e aveva delle ferite un po’ strane alle mani, come se fosse stato un confezionatore di bombe. Il ragazzo appartiene a una famiglia bene, saudita. In questo caso, si è mosso addirittura il ministro degli Esteri saudita, che è andato a incontrare direttamente Obama. Questo ragazzo è stato preso e portato via in Arabia Saudita.

    D. – Quali altre piste sono percorse dagli inquirenti?

    R. – C’è la pista afghano-pakistana che è sempre la solita, perché alla fine tutto nasce da lì. C’è poi la pista cecena in cui si va ad indagare, la più debole, perché la “resistenza cecena” che è proprio qaedista, non ha mai toccato gli americani perché hanno aiutato la Cecenia fin dall’inizio. E infine, adesso c’è questa storia di puntare il dito sull’Iran, che mi sembra la più pericolosa, perché può mettere a rischio le trattative sul nucleare. Insomma, qui si è detto chiaramente che i pasdaran hanno messo in piedi una rete per fare attentati negli Stati Uniti.

    D. – Tra le domande, ci si interroga sul ruolo dei Servizi segreti. Abbiamo saputo che il fratello maggiore era noto ai Servizi antiterrorismo, che era stato interrogato nel 2011 e che gli stessi servizi segreti russi avevano segnalato i due fratelli...

    R. – Certo. Dopo la segnalazione russa, l’Fbi ha tenuto sotto sorveglianza questo ragazzo. Però, non è uscito niente di particolare.

    D. – Ma di particolare evidentemente qualcosa c’era, perché se c’era un arsenale nella casa, se avevano anche comprato una scatola di materiale pirotecnico… Ci si chiede, appunto,- a cosa servano tutti questi database di cui ci parlano, dove ci sarebbero anche una quantità enorme di nomi…

    R. – La faccenda degli ultimi acquisti non è detto che sia dato conoscerla, perché sono acquisti talmente generici. Bisogna poi tener conto del fatto che l’Fbi indaga su tantissime situazioni, sono state lasciate varie piste, altre sono portate avanti. Infine, l’Fbi ha portato avanti questa, ma le tracce sono impalpabili. Inoltre, c’è il discorso della cattura che è stato piuttosto “fantasioso”, c’è il ragazzo che non può parlare… Certamente, si possono trovare delle tracce andando a parlare con i parenti in Daghestan. In ogni caso, probabilmente gli avvisi che fornivano i russi andavano seguiti con maggiore attenzione, non c’è dubbio su questo.

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    Cina: 21 vittime in scontri armati nello Stato indipendentista dello Xinjiang

    ◊   Tornano le tensioni nello Xinjiang, provincia cinese autonoma nord-occidentale a maggioranza musulmana, dove si registrano forti istanze indipendentiste. Dominante l’etnia sunnita degli “uiguri”. 21 le vittime di violenti scontri armati, scoppiati in seguito alla perquisizione di numerose abitazioni da parte della polizia, che stava cercando un covo di terroristi. La questione dello Xinjiang rappresenta una vera e propria spina nel fianco del governo di Pechino, già impegnato nella disputa territoriale con il Giappone e sul fronte delle altre crisi internazionali. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Francesco Sisci, corrispondente da Pechino per il Sole 24 Ore:

    R. - La questione dello Xinjiang è estremamente spinosa, però si tratta di una questione estremamente limitata: gli uiguri sono meno dello 0,5% della popolazione cinese e quelli che si ribellano sono una minoranza ancora più esigua. Detto questo, naturalmente la questione è estremamente delicata, perché convivono una questione nazionale, una questione religiosa e una di confine, infatti lo Xinjiang è una zona che si proietta nell’Asia centrale - zona estremamente delicata per la Cina e per il mondo, al confine con l’Afghanistan e con il Pakistan – ed è una questione che non si risolve da molto, molto tempo.

    D. – Quali sono le richieste che vengono dallo Xinjiang?

    R. – La richiesta che viene dallo Xinjiang, come anche dal Tibet, è una richiesta di indipendenza. Quindi, è una richiesta difficilmente accettabile da Pechino, anche perché c’è un aspetto estremamente delicato, nel senso che una popolazione estremamente minoritaria occupa però un territorio estremamente vasto, strategico e cruciale, anche perché possiede grandi risorse energetiche.

    D. – Il fatto che la maggioranza della popolazione di questa regione sia musulmana crea un problema in più per Pechino, anche di fronte alle istanze islamiche che ci sono in altre parti del mondo?

    R. – Sì. In realtà è una contraddizione profonda per Pechino, perché, per esempio, sul Medio Oriente Pechino cerca di essere non filoisraeliana quanto lo è l’America, ma in realtà proprio questo irredentismo musulmano nello Xinjiang spinge i governanti di Pechino più verso l’occidente di quanto magari vorrebbero.

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    Perugia, al via la VII edizione del Festival internazionale del giornalismo

    ◊   Giunto alla settima edizione, si è aperto oggi l’"International Journalism Festival Perugia". Fino a domenica 28, il consueto appuntamento dedicato all’informazione offre tavole rotonde, incontri, workshop, interviste e svariati eventi, tutti gratuiti e aperti a chiunque. Numerosi gli ospiti italiani e non, tra loro giornalisti, direttori di testate, docenti universitari e studiosi. Tra gli interventi attesi, quelli di Emily Bell – per anni alla guida del settore digitale del The Guardian – Harper Reed, che racconterà il ruolo svolto in veste di "chief technology officer" della campagna presidenziale di rielezione di Barack Obama, poi, per la prima volta in Italia, Yoani Sanchez, la scrittrice cubana autrice di un importante blog "Generacion Y". Creatrice e direttrice del Festival è Arianna Ciccone, alla quale Francesca Sabatinelli ha chiesto cosa stia emergendo dal Festival:

    R. – Emerge la necessità assoluta, totale, profonda, di discutere, di impegnarsi a confrontarsi per cercare di capire dove sta andando il giornalismo, questo stato di crisi è evidente in tutti i Paesi, se parliamo di sistema di produzione giornalistica. Poi, le caratteristiche che assume in Italia sono ovviamente tipiche del Paese, però la crisi è una crisi che riguarda tutti perché – ripeto – è una crisi di sistema, è una crisi della "business news industry", come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.

    D. – Che cambiamento ha visto in questi sette anni per quanto riguarda la partecipazione del pubblico?

    R. – Quello che mi ha colpito moltissimo è il target dei giovani. Sono ragazzi molto preparati, parlano almeno due lingue, frequentano il mondo, è una nuova generazione. Questa è una generazione europea, non italiana. Ci vorrebbe un Paese degno di questa generazione e l’Italia non lo è. Attualmente non lo è.

    D. – Questo anche per ciò che riguarda il mestiere del giornalista, un mondo che in Italia dovrebbe aprirsi senz’altro di più ai giovani…

    R. – Anche quello, le aperture del mondo giornalistico, anche come occasioni formative verso i giovani, sono veramente molto limitate. Ci si limita all’offerta delle scuole di giornalismo, che tra l’altro sono costosissime, sono molto elitarie e fanno molta selezione. Quindi, sicuramente il momento formativo in Italia è molto debole.

    La piazza di Perugia offre un importante confronto tra giornalismo italiano e internazionale. Si tratta di un momento per valutare in modo costruttivo “vizi e virtù” della professione in Italia. Francesca Sabatinelli ha intervistato Gianpietro Mazzoleni, professore ordinario di Comunicazione politica all’Università di Milano:

    R. – A questo Festival parteciperanno anche molti colleghi da tutte le parti del mondo. Mi fa piacere vedere quanti giornalisti italiani partecipano: c’è uno scambio, un confronto… Vediamo modelli che vengono applicati altrove, che magari non sono mitici però sono migliori dei nostri.

    D. – Secondo lei, a che punto siamo con il giornalismo italiano? Spesso si parla di quanto ci si dimentichi di ciò che non è italiano, di ciò che non è politica... Di come lo sguardo sulla politica estera o sul sociale sia cieco…

    R. – Sono parzialmente d’accordo: si tratta di un giudizio che potrebbe essere applicato anche al giornalismo di altri Paesi. Il focus nazionale, diciamo anche un po’ etnocentrico, è abbastanza diffuso ovunque: qualsiasi cosa capiti nel proprio Paese, è ovviamente più interessante per i giornalisti raccontarla, commentarla, analizzarla per i propri lettori. Quello che capita fuori dai confini, invece, dev’essere proprio fonte di meraviglia, di stupore e anche di preoccupazione per poterne parlare. Quindi, diciamo che il giornalismo italiano è in buona compagnia…

    D. – Del giornalismo italiano, però, si è anche sottolineata molto spesso l’assenza di libertà e di indipendenza…

    R. – Anche qui, qual è l’esempio veramente modello? Perché, se andiamo in Inghilterra, non si può dimenticare il caso “News of the World”. Se andiamo negli Stati Uniti, anche là ci sono molti casi che non sono proprio un modello per il giornalismo del mondo. E’ vero anche che in questi Paesi c’è la capacità di riformare il giornalismo, anche di criticarlo, di analizzarlo… Ecco, questo in Italia manca e quindi c’è in Italia forse una maggiore autoreferenzialità, per non parlare di questo legame molto stretto con il potere politico. Per cui, se dovessimo misurare l’indipendenza del giornalismo italiano "versus" il giornalismo americano, probabilmente dovremmo metterlo ai piani bassi, per quanto riguarda appunto il grado di libertà. Quello che manca nel giornalismo italiano, forse, è una maggiore quantità, oltre che qualità, di giornalismo investigativo, che è segnale esso stesso di autonomia e indipendenza rispetto a qualsiasi potere. Il motivo per cui non ci sia più questo giornalismo investigativo, anche qui è presto detto: anche altrove succede la stessa cosa, perché oggi con i nuovi media il giornalismo – è stato detto – è più simile “all’agricoltura intensiva” che non “alla caccia e alla pesca”, dove appunto si va a cercare il dato, il fatto, si intervista il personaggio, si scava nelle storie e così via. Al massimo, si fa per storie di cronaca nera. Però, è un peccato che sia limitato solo a quello. Sarebbe interessante anche vedere un giornalismo coraggioso, che scava anche in altri campi della vita sociale, politica, culturale ed anche economica, italiana.

    D. – Quindi, in sostanza, lo stato di salute qual è?

    R. – Se vogliamo misurare la febbre, 38 e mezzo, 39: è una temperatura piuttosto alta, che segnala che c’è qualcosa che non va nel giornalismo italiano, che c’è qualcosa da riformare…

    D. – Questo è un messaggio in primis agli editori?

    R. – Agli editori ma anche, forse, agli stessi giornalisti, all’Ordine dei giornalisti, alla Federazione nazionale della stampa… Spesso, sono molto autoreferenziali, guardano soprattutto gli aspetti corporativi, cosa giusta da fare, però probabilmente dimenticano gli interessi più generali di un’informazione più equilibrata, più attenta, forse anche più vicina al cittadino di quanto sia adesso.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Terra Santa: Trattato interreligioso per le relazioni fra cristiani e musulmani

    ◊   Un Trattato di amicizia fra leader musulmani, cristiani e autorità civile di Gerusalemme per frenare e spegnere sul nascere le controversie fra comunità di fedi differenti ed evitare scontri interreligiosi. Il primo esempio di questo modello di diplomazia "locale" è nato a Betfage (Gerusalemme est) lo scorso lunedì scorso e ha coinvolto il Gran muftì di Gerusalemme, i rappresentanti del Patriarcato latino, la Custodia di Terra Santa e il governato arabo di Gerusalemme est e altre personalità morali e politiche. A spingere i leader a cercare un accordo sono stati gli scontri interreligiosi avvenuti in questi mesi, dopo la creazione di un abitato cristiano all'interno del quartiere musulmano di Gerusalemme est. Intervistato dall'agenzia AsiaNews, mons. Wiliam Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme fra i firmatari del trattato, spiega che il documento "segna una svolta nelle relazioni fra cristiani e musulmani ed è esportabile non solo in altre aree della Terra Santa, ma in tutto il Medio Oriente". "Un trattato di questo tipo - spiega - garantito dalle varie personalità religiose locali e nazionali, potrebbe essere molto utile in Egitto, dove le controversie fra famiglie si espandono fino a generare scontri sul piano non solo locale, ma anche nazionale, con gravi ripercussioni sul dialogo interreligioso". Oltre a mons. Shomali hanno sottoscritto il documento Mohammad Hussein, Gran Mufti di Gerusalemme, Adnan Husseini, governatore di Gerusalemme est e padre Ibrahim Faltas, economo della Custodia di Terra Santa. Essi rappresentano le 63 famiglie cristiane della suddivisione Betfage, costruita dalla Custodia di Terra Santa, e i delegati del quartiere musulmano. I leader religiosi e politici avranno il compito di garantire e attuare le clausole del trattato, che vanno dal rispetto reciproco fino alla conciliazione in caso di controversie su terreni e costruzione di nuove abitazioni. Alla cerimonia, avvenuta nei locali del "Club del Monte degli Ulivi", hanno partecipato oltre 100 persone. (R.P.)

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    Iraq: nella festa di San Giorgio la Chiesa celebra Papa Francesco e la missione

    ◊   Vescovi, sacerdoti, religiose, consacrati e decine di fedeli hanno gremito la parrocchia di San Giorgio, a Baghdad, per le celebrazioni in programma ieri e dedicate al patrono di Papa Francesco, del nunzio apostolico in Iraq e Giordania e del suo segretario. Una celebrazione che ha rilanciato il compito missionario della Chiesa e l'importanza delle vocazioni, anche e soprattutto in una terra dove la minoranza cristiana è vittima di persecuzioni. Alla Messa presieduta dal patriarca caldeo Louis Raphael I Sako, hanno preso parte il rappresentante pontificio mons. Giorgio Lingua, l'ausiliare caldeo di Baghdad mons. Shlemon Warduni, il vescovo dei latini mons. Jean Sleiman, assieme a mons. Emmanuel Dabbaghian, della Chiesa armena e mons. Marc Stenger, presidente di "Pax Christi" Francia. Prima dell'inizio delle celebrazioni mons. Stenger - in visita in questi giorni in Iraq per portare la solidarietà della popolazione francese - ha sottolineato l'importanza "del dialogo e della riconciliazione" nel Paese. Egli ha confermato la volontà dei membri di "Pax Christi" di cooperare per la concordia e per lo sviluppo dell'Iraq. Durante il discorso che ha seguito la lettura del Vangelo, mons. Sako ha insistito sull'importanza "delle vocazioni sacerdotali" e della presenza dei "consacrati, perché il futuro della Chiesa in Iraq" dipende (anche) da loro. Il Patriarca caldeo ha quindi invitato tutti i presenti a pregare per Papa Francesco e per il nunzio apostolico "che portano entrambi il nome di Giorgio" e per il patriarca Emmanuel Delly III che, nei giorni scorsi, "ha celebrato il cinquantesimo anniversario della sua ordinazione vescovile". La ricorrenza di San Giorgio, in cui si è festeggiato l'onomastico di Papa Francesco (Jorge Mario Bergoglio) e del nunzio apostolico, è diventata così occasione per rilanciare il compito missionario della Chiesa e l'importanza delle vocazioni. Nella sua omelia infatti, mons. Lingua ha ripreso le parole del Pontefice ai sacerdoti della diocesi di Roma, incoraggiati a "non dimenticare le sofferenze dei poveri e degli emarginati". Il prelato ha aggiunto: "Voi in Iraq avete una missione speciale, portare Cristo agli altri" attraverso le vocazioni e la dedizione completa della propria vita a Gesù. Nel contesto delle celebrazioni, la parrocchia ha organizzato una mostra con opere di artisti cristiani che parlano della realtà irakena e delle speranze della popolazione. In precedenza padre Ghadeer, carmelitano a Baghdad, ha approfondito il tema dell'identità cristiana in Medio Oriente e della sua crisi. Il sacerdote ha parlato delle sfide dei cristiani nella regione (scontri politici, migrazione e libertà religiosa), della testimonianza di Cristo attraverso la formazione del clero e il recupero degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, del seguire la strada indicata da Gesù ai discepoli attraverso il racconto di Giovanni sulla pesca miracolosa. (R.P.)

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    Libia: mons. Martinelli preoccupato per l’attentato a Tripoli. Il dolore per la morte di due suore

    ◊   “È stata una cosa terribile, l’esplosione è stata avvertita in un raggio di più di tre chilometri. Siamo tutti in allerta perché può capitare di tutto a tutti, anche se le autorità si danno da fare per ristabilire la sicurezza” dice all’agenzia Fides mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, dove ieri, un’autobomba ha colpito l’ambasciata francese. Due agenti di sicurezza sono rimasti feriti mentre la sede diplomatica ha riportato gravi danni. Mons. Martinelli è anche rattristato per la morte di due religiose in un incidente stradale. “Si tratta due suore delle Piccole Sorelle di Gesù di Charles de Foucauld, suor Janine-Olga e suor Therese-Suzanne di nazionalità rispettivamente italiana e francese hanno perso la vita in un incidente stradale fuori Tripoli, ieri sera” riferisce il vicario apostolico. Nell’incidente altre due religiose sono rimaste ferite. “Erano due suore che avevano donato totalmente la loro vita al loro servizio qui in Libia. È una grande perdita per noi. Sono veramente affranto ma continuiamo la nostra opera facendo affidamento sull’aiuto del Signore” conclude mons. Martinelli. (R.P.)

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    India: le famiglie dei pescatori uccisi pregano per i due marò

    ◊   "Le famiglie pregano per i due marò, per un loro veloce rilascio e perché venga fatta giustizia. Non li vogliono punire, perché non hanno nulla contro di loro". A parlare all'agenzia AsiaNews è padre Stephen Kulakkayathil, responsabile della pastorale per la diocesi di Quilon (Kerala), a cui apparteneva Jelastine, uno dei pescatori morti nell'incidente con l'Enrica Lexie il 15 febbraio 2012. Della sua uccisione e di quella di Ajesh Binki gli unici accusati sono Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Domani la Corte suprema dovrebbe stabilire se affidare le nuove indagini sul caso alla National Investigation Agency (Nia, agenzia federale specializzata in antiterrorismo) o al Central Bureau of Investigation (Cbi, polizia criminale). Il 16 aprile scorso l'Italia ha presentato una memoria, in cui contestava l'autorità della Nia, che tra i capi d'imputazione emessi contro i marò ne ha inseriti due che prevedono la pena capitale. Secondo il sacerdote "i marò non verranno condannati a morte, personalmente non credo ci sia questo pericolo, e spero che tutto si risolva in fretta". Sulla colpevolezza dei militari, padre Stephen afferma: "Non sappiamo perché abbiano sparato, ma non c'è dubbio che non volessero uccidere i pescatori. Non ci sono altre teorie se sia stato qualcun altro o no. Io prego per loro, la diocesi prega per loro, le famiglie degli uccisi pregano per loro. Hanno perso i loro cari, ma vanno avanti, sono felici e hanno fede nella magistratura indiana. L'India farà giustizia, ne sono certo, e non attraverso la pena di morte". (R.P.)

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    Filippine. I religiosi: governo insufficiente su ecologia, diritti umani, corruzione, riforma agraria

    ◊   Il governo di Benigno Aquino jr non ha dato risultati soddisfacenti alla popolazione su materie importanti come i diritti umani, la corruzione, lotta all’impunità, la riforma agraria, l’ecologia. Lo afferma, in un comunicato inviato all’agenzia Fides, l'Associazione dei Superiori Maggiori nelle Filippine, che riunisce i leader di tute le Congregazioni e gli Ordini religiosi, maschili e femminili, presenti nelle Filippine. Al terzo anno di mandato del governo, i leader religiosi cattolici notano che “nella nazione molto resta da fare”, e che le aspettative che la popolazione riponeva sul governo sono rimaste deluse. La pesante domanda che i religiosi pongono a Benigno Aquino jr è “Da che parte sta questo governo?”. “Siamo rattristati perché continuano corruzione e abuso di fondi pubblici da parte di alcuni deputati e senatori”, nota il testo. Inoltre “nessun ‘pesce grosso’ è stato condannato dal 2010”, per gravi casi di corruzione. Intanto questioni rilevanti “povertà opprimente, proteste dei contadini, traffico di esseri umani” restano senza riposta. Una delle critiche al governo è “la costante di violenza e impunità”, con omicidi quotidiani e “vittime di esecuzioni extragiudiziali che aumentano ogni giorno”. “Esistono ancora diritto e legalità in questo Paese?” si chiedono i religiosi, notando il degrado del rispetto dei diritti umani nelle Filippine e ricordando i tanti omicidi irrisolti, come quello di padre Fausto Tentorio. Un punto dolente è la “riforma agraria”, da decenni invocata e mai realizzata, nonostante un appello di oltre 80 vescovi, che si facevano portavoce delle istanze dei contadini. Definita “il più importante programma di giustizia sociale del governo”, la riforma implica la distribuzione delle terre. Sul patrimonio naturale della nazione, i religiosi notano che la devastazione di monti, mari e fiumi, l’estrazione mineraria indiscriminata, l’avvelenamento industriale, tracciano “un quadro dolente”. “Questo assalto alla creazione è anche un attacco alla nostra fede”, si afferma, dato che Dio ha affidato all’uomo la custodia del creato, chiedendo al governo di tutelare il patrimonio. (R.P.)

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    Myanmar: il governo libera 56 attivisti. La leader cattolica: non basta

    ◊   Il governo birmano ha ordinato la liberazione di almeno 56 prigionieri politici, in seguito alla decisione dell'Unione Europea di rimuovere tutte le sanzioni economiche, commerciali e individuali al Myanmar; resta confermato, invece, l'embargo alla vendita di armi. La conferma del rilascio dei detenuti - riferisce l'agenzia AsiaNews - arriva proprio da uno di essi: si tratta dell'attivista Zaw Moe, il quale spiega che la scelta di Naypyidaw è vincolata alla votazione di Bruxelles, che spalanca le porte della ex Birmania agli investitori europei. Secondo altri commentatori, invece, la liberazione è legata ai festeggiamenti per il nuovo anno birmano, che si è celebrato nei giorni scorsi in tutto il Paese. Al contempo l'esecutivo del presidente riformista Thein Sein, salito al potere nel marzo 2011 dopo decenni di dittatura militare, ha annunciato il proposito di favorire l'insegnamento scolastico delle lingue appartenenti alle minoranze etniche. Ora migliaia di alunni di istituti governativi potranno imparare il loro idioma nativo, come seconda lingua nel contesto dei normali curriculum scolastici. Finora le direttive del ministero consideravano l'inglese come seconda lingua nazionale. Attivisti per i diritti umani e organismi internazionali hanno accolto con favore il recente rilascio di prigionieri, che segue provvedimenti analoghi già presi in passato e per i quali Napypyidaw aveva creato una specifica commissione, chiamata a studiare ogni singolo caso. Tuttavia, come sottolinea Bo Kyi dell'Assistance Association for Political Prisoners (Aapp) "più di 200 altri prigionieri politici sono tuttora rinchiusi nelle carceri birmane". Essi vanno "rilasciati senza condizioni" e fra questi vi sono anche 40 ex ribelli Shan, incarcerati con l'accusa di traffico di droga. Fra le voci critiche vi è anche quella dell'attivista cattolica Khon Ja Labang, già membro del movimento Kachin Peace Network, impegnata nella pacificazione delle aree teatro di conflitti etnici, secondo cui "l'Unione europea non avrebbe dovuto rimuovere le sanzioni". L'attivista di etnia Kachin spiega ad AsiaNews che "è ancora oggi assai necessaria la pressione politica", visto che non vi sono posizioni unanimi nemmeno in tema di cittadinanza. "Aung San Suu Kyi - racconta - ha parlato di revisione della norma del 1982, ma il ministero dell'Immigrazione ha subito precisato che non vi è nulla di sbagliato nella legge". Per l'attivista è evidente che "non c'è un vero desiderio di cambiamento". Le violenze contro i musulmani, chiarisce l'attivista cattolica Khon Ja, non si limitano "ai Rohingya, ma colpiscono varie fazioni della minoranza islamica birmana". Per dar corso a una "soluzione politica" del problema, bisognerebbe prima di tutto "avviare approfondite indagini per capire chi c'è dietro queste violenze, arrestando tutti i monaci e le persone che soffiano sul fuoco per alimentare lo scontro etnico e confessionale. Una iniziativa che devono prendere proprio i Bamar - il principale e più diffuso gruppo etnico del Myanmar - in prima persona". (R.P.)

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    Sud Sudan: nasce Comitato di riconciliazione. La Chiesa in prima linea

    ◊   Due vescovi, un anglicano e un cattolico, guideranno un nuovo Comitato incaricato di promuovere un processo di riconciliazione nazionale in Sud Sudan. Le nomine sono state disposte dal presidente Salva Kiir, dopo la sospensione di un programma analogo avviato dal suo vice Riek Machar. Secondo il quotidiano Sudan Tribune, alla guida del comitato sono stati nominati l’arcivescovo anglicano Daniel Deng Bul e il vescovo emerito di Torit mons. Paride Taban. Un precedente organismo - riferisce l'agenzia Misna - era coordinato da un consigliere della presidenza, Tor Deng Mawien. L’anno scorso Bul era stato incaricato di guidare gli sforzi tesi alla riconciliazione a Jonglei, una regione del Sud Sudan dove dal 2011 scontri tra comunità per il controllo delle risorse naturali hanno provocato circa 2000 vittime. Convinto sostenitore dell’indipendenza del Sud Sudan da Khartoum, proclamata due anni fa, mons. Taban è fondatore e animatore del Villaggio della pace della Santa Trinità a Kuron: un’esperienza nata nel 2005 con l’obiettivo di promuovere la convivenza e l’arricchimento reciproco tra le diverse etnie del Paese. Fino a poche settimane fa le iniziative tese a favorire un processo di riconciliazione erano state coordinate da Machar. Il vice-presidente era stato poi privato dell’incarico con un provvedimento che, secondo alcuni osservatori, rivelerebbe l’esistenza di una lotta di potere all’interno del Movimento di liberazione popolare del Sudan (Splm) al governo a Juba. Secondo il Sudan Tribune, nel Paese più giovane del mondo l’esigenza di una riconciliazione nazionale è vissuta in modi differenti. A una visione essenzialmente spirituale, che prevede soprattutto iniziative di preghiera finalizzate al perdono, se ne contrappone un’altra incentrata sull’esigenza di affrontare le ingiustizie e i problemi sociali all’origine dei conflitti. Sul piano politico intanto, Sudan e Sud Sudan hanno concordato l’apertura di dieci valichi lungo la frontiera comune, una misura definita dai mediatori dell’Unione Africana “un passo importante nel processo di integrazione” tra due paesi a lungo ostaggio di una guerra civile. In una nota diffusa oggi dall’Unione Africana si sottolinea che l’intesa è stata raggiunta ad Addis Abeba al termine di un incontro di cinque giorni tra i delegati sudanesi e sud-sudanesi del Meccanismo congiunto politico e di sicurezza. Appena un anno fa i due Paesi erano apparsi sull’orlo di un nuovo conflitto armato dopo la guerra civile combattuta tra il 1983 e il 2005. L’intesa di Addis Abeba prevede l’apertura immediata di otto valichi di frontiera, uno dei quali lungo il corso del Nilo. Passare da una parte all’altra del confine sarà possibile anche in prossimità di Heglig, un’area petrolifera contesa, a oggi controllata da Khartoum, che era stata all’origine dei combattimenti e della crisi dell’aprile 2012. (R.P.)

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    Nigeria: dubbi dei vescovi sull'amnistia per Boko Haram

    ◊   “Le chiese nel nord della Nigeria, in particolare nella mia diocesi, registrano un impoverimento del numero di fedeli che partecipano alle funzioni religiose a cause della guerriglia di Boko Haram” afferma mons. Stephen Mamza, vescovo di Yola, nel nord della Nigeria al Catholic News Service of Nigeria che sottolinea come diversi cattolici si sono trasferiti altrove per paura delle violenze della setta islamista. L’agenzia promossa dalla Conferenze episcopale nigeriana riferisce le reazioni di alcuni vescovi alla possibile amnistia nei confronti di Boko Haram. Si tratta in particolare di alcuni presuli del sud-est del Paese, intervistati in occasione del Giubileo d’Oro della diocesi di Oyo. “Perché il governo federale concede l’amnistia a dei vandali che non hanno alcuna giustificazione per le loro nefaste azioni”? si chiede mons. Felix Alaba Job, arcivescovo di Ibadan, che aggiunge “fanno questo per soddisfare i loro proprio interessi egoistici e magari per destabilizzare il Paese”. Quest’ultima preoccupazione è accentuata dalle minacce del Mend (Movimento di Emancipazione del Delta del Niger, gruppo che agisce nel sud del Paese che aveva sospeso le azioni militari dopo la concessione di un’amnistia) di riprendere la guerriglia dopo la condanna inferta al suo leader, Henry Okah, da una corte sudafricana, e di volere compiere rappresaglie contro moschee e fedeli musulmani se Boko Haram non cesserà i suoi attacchi contro i cristiani. “Queste minacce sono una delusione e dimostrano il livello di degenerazione del Paese” ha detto mons. Felix Ajakaye, vescovo di Ekiti. (R.P.)

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    Vietnam: la Corte suprema aggiorna il processo di appello degli attivisti cattolici

    ◊   La Corte suprema vietnamita ha aggiornato - senza specificare la data - il processo di appello contro 14 giovani cristiani (cattolici e protestanti) di Vinh e Thanh Hoa, condannati nel gennaio scorso in primo grado a pene variabili con l'accusa di "terrorismo". Il provvedimento risale al 18 aprile scorso, quando il giudice ha firmato una lettera ufficiale in cui si annuncia la cancellazione dell'udienza prevista per oggi. Secondo alcuni - riporta l'agenzia Asianews - la decisione sarebbe legata alle recenti prese di posizione del governo statunitense e del Parlamento europeo, che hanno criticato in modo aperto il governo di Hanoi per violazioni ai diritti umani e alla libertà religiosa. Nel documento che annuncia lo slittamento dell'udienza, la Corte giustifica la cancellazione dell'udienza del 24 aprile con l'impossibilità per alcuni membri della giuria di partecipare. Essi sarebbero infatti stati trattenuti da altre parti, per "motivi di ordine familiare". Al contempo, i giudici non indicano una data futura in cui dovrebbe iniziare il processo di appello. Uno degli avvocati della difesa, che ha sollecitato il tribunale in tal senso, si è sentito rispondere che "ad oggi non vi sono date in calendario". Per i parenti degli imputati, queste mosse sono orchestrate dal governo che vuole "prolungare" il clima di incertezza che circonda il procedimento penale per "scoraggiare" eventuali oppositori, mentre in tutto il Paese si sono tenute raccolte firme per il rilascio. Anche vescovi, sacerdoti, semplici fedeli e monaci buddisti hanno organizzato momenti di preghiera a sostegno di un gruppo che diventa sempre più "icona" della lotta "non violenta" contro la corruzione. Gli attivisti sono finiti alla sbarra perché parte di un movimento detto Viet Tan, gruppo non violento che sostiene la democrazia e ha legami con gli Stati Uniti, che le autorità considerano "terrorista". Secondo testimoni del processo, gli imputati hanno spesso rivendicato che il loro impegno era solo un aiuto alla popolazione, diffondendo notizie e critiche sulla corruzione dei membri del partito e del governo e sul loro arricchirsi durante la crisi finanziaria. Nelle scorse settimane essi avrebbero subito abusi e maltrattamenti in prigione; le autorità carcerarie avrebbero inoltre negato medicine e altri generi di prima necessità, oltre che vietare la lettura di giornali, libri e materiale per la scrittura. Esperti di politica vietnamita aggiungono inoltre che le recenti prese di posizione dell'Unione Europea e del Dipartimento di Stato americano potrebbero aver esercitato un'influenza sulle scelte di Hanoi. Il 18 aprile scorso Bruxelles ha adottato una risoluzione in cui si sottolineano le numerose violazioni ai diritti umani e alla libertà religiosa in Vietnam. In modo analogo, sia Washington che l'organizzazione internazionale Human Rights Watch (Hrw), con sede a New York, hanno parlato di "peggioramento" nella repressione e nelle violazioni ai diritti fondamentali. (R.P.)

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    Vietnam: progetto del Bambin Gesù per duemila minori all'Ospedale pediatrico di Hanoi

    ◊   Il National Hospital for Pediatrics di Hanoi (Nhp) e l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma (Opbg) hanno appena inaugurato un nuovo progetto nato dalla necessità di assistenza particolare per i bambini affetti da malformazioni genito-urinarie e insufficienza renale e bisognosi quindi di trattamenti chirurgici specialistici. E’ quanto si legge in un comunicato ricevuto dall’agenzia Fides, nel quale si evidenziano gli obiettivi da raggiungere che prevedono, tra l’altro, assistenza specialistica, interventi chirurgici, dialisi e trattamento dell’insufficienza renale cronica evolutiva pediatrica per 2.000 pazienti di età compresa tra gli 0 e i 18 anni. Il Nhp è il più importante ospedale pediatrico del Vietnam, e guida lo sviluppo delle attività mediche a favore dei bambini in tutta la nazione. La cooperazione tra i due ospedali, attiva da oltre cinque anni, ha consentito di sviluppare e condividere esperienze tecniche e scientifiche in diversi campi medici, anche attraverso più di 20 missioni di specialisti del settore da Roma ad Hanoi, e la realizzazione di programmi di aggiornamento per lo staff medico locale. (R.P.)

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    India: prevista per il 2014 l’apertura della prima Università gesuita del Paese

    ◊   Aprirà i battenti l’anno prossimo la prima Università gesuita dell’India. L’ateneo, intitolato a San Francesco Saverio, sorgerà nello Stato di Odisha, dove la Compagnia di Gesù già gestisce con successo un istituto di gestione aziendale, lo Xavier Institute of Management di Bhubaneswar. L’Assemblea legislativa dello Stato indiano ha recentemente dato il via libera al progetto proposto quattro anni fa. “Il campus dovrebbe essere pronto a dicembre e sarà operativo entro il luglio 2014, quando speriamo di potere lanciare il primo corso di agraria”, ha dichiarato al quotidiano locale “Business Standard” padre Paul Fernandes, direttore dello “Xavier Institute of Mannagement” e tra i promotori dell’iniziativa. Il costo stimato della prima fase del progetto è di 400 milioni di rupie. Successivamente, finanziamenti permettendo, l’ateneo si estenderà aprendo nuove facoltà. L’idea, ha spiegato padre Fernades, è quella di “una università innovativa e di eccellenza” con facoltà scientifiche e umanistiche in base alle esigenze locali. Proprio per rispondere a queste esigenze il nuovo ateneo riserverà il 50% dei suoi posti a studenti dello Stato di Odisha. (L.Z.)

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    Istat: record di disoccupazione giovanile, al Sud il tasso è raddoppiato in 35 anni

    ◊   Amara la fotografia scattata dall’Istat soprattutto per i giovani. Nel 2012 si è toccato il record del tasso di disoccupazione tra i ragazzi di età compresa tra i 15-24 anni, attestandosi al 35,3%, il livello più alto dal 1977, anno di inizio rilevazioni Istat. L'aumento ha riguardato sia gli uomini che le donne: per i primi, il tasso è cresciuto dal 18,1% al 33,7%, per le seconde dal 25,9% al 37,5%. Quindi oggi i giovani disoccupati sono quasi quattro su dieci mentre 35 anni fa erano circa due su dieci. Dinamiche differenti si segnalano a livello territoriale, nel Sud il tasso ha registrato l'incremento maggiore passando dal 28,3% al 46,9%; al Nord il tasso è salito dal 17,5% all'attuale 26,6%, mentre nel Centro dal 22,4% al 34,7%. Sono dunque oltre 1,4 milioni di disoccupati in più nel 2012 rispetto al 1977. Il numero di disoccupati, infatti, è cresciuto da 1 milione 340 mila del '77 a 2 milioni 744 mila del 2012. Dato in crescita quello del numero medio annuo di occupati da 19 milioni 511 mila di 35 anni fa ora si è raggiunta quota 22 milioni 899 mila; a pesare sul dato la partecipazione femminile al mercato del lavoro che, rispetto al passato, è cresciuto di oltre 3milioni di unità. Complessivamente il tasso di disoccupazione è passato dal 6,4% del 1977 al 10,7% del 2012. Preoccupante la situazione nel Mezzogiorno che in 35 anni ha visto più che raddoppiato il numero di disoccupati: dall'8% del 1977 al 17,2% del 2012. (B.C.)

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    Italia: aperta a Pavia la 45.ma Settimana agostiniana

    ◊   Al via oggi a Pavia, in Italia, alla 45.ma Settimana Agostiniana, che dal 1969 si celebra in concomitanza con la festa liturgica del battesimo di Sant’Agostino (o festa della conversione), amministrato a Milano da Sant’Ambrogio nella notte di Pasqua del 387, tra il 24 e il 25 aprile. Ad ispirarla è stato Paolo VI, che nel 1968 esortò il vescovo di Pavia, mons. Antonio Angioni, a valorizzare, nella città, la presenza dell’urna contenente le spoglie del padre della Chiesa - nella Basilica di San Pietro in Cielo d’Oro - per accrescerne non solo la venerazione ma invitare tutti alla conoscenza e alla meditazione delle grandi opere del Santo. Stamattina, nel Salone Teresiano della biblioteca universitaria pavese si è tenuta la tradizionale Lectio Augustini (Lettura e commento delle opere agostiniane articolata in relazioni e comunicazioni poi raccolte in un volume di Atti), quest’anno sul “De Trinitate” di Agostino. Venerdì alle 21, nella Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, è in programma il concerto dell’Accademia Bizantina “Bach in Chordis”, suonate per violino, violoncello e cembalo di Johann Sebastian Bach, Georg Philipp Telemann e Johan Gottlieb Graun. Domenica alle 11.45 sarà eseguito il concerto d’organo “S. Agostino e Bach”, all’organo Maria Cecilia Farina, alle 18.30 è prevista la Messa della reposizione delle reliquie di S. Agostino presieduta da mons. Giovanni Scanavino. Nel mese di aprile l’urna che contiene le spoglie di Sant’Agostino, custodita nell’arca marmorea che ne narra la vita, vengono esposte all’altare alla venerazione dei fedeli. Fino al 13 agosto, infine, nel Salone Teresiano della Biblioteca Universitaria è aperta la mostra “Immagini, libri e carte – Iconografia pavese di Sant’Agostino e materiali della Biblioteca Universitaria”. (T.C.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 114

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.