Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 23/04/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa alla Messa per San Giorgio: senza la Chiesa non si può credere in Gesù
  • Memoria di San Giorgio: onomastico del Papa, auguri da tutto il mondo
  • Tweet del Papa: Maria ci aiuta a conoscere la voce di Gesù. Si avvicina quota 6 milioni di follower
  • Estensione giurisdizione vescovo Eparchia “Saint George in Canton dei Romeni”
  • Stefania Falasca: il linguaggio di Papa Francesco è quello del Vangelo, per questo arriva a tutti
  • Riforma della Curia. Il card. Pell sugli 8 cardinali: non siamo un Consiglio ma semplici consultori
  • La preghiera del Papa per la liberazione dei vescovi ortodossi rapiti in Siria
  • Siria, vescovi rapiti. Padre Kazen: andavano a liberare due sacerdoti
  • 20.mo del Catechismo: il peccato originale, "nucleo" del male nel progetto d'amore di Dio
  • Oggi in Primo Piano

  • Padre Pizzaballa: in Siria entrano armi e fanatici, in fuga i civili
  • Iraq: soldati sparano contro dimostranti e fanno strage a Kirkuk
  • Autobomba contro ambasciata francese a Tripoli. Hollande invia in Libia il ministro degli Esteri
  • Francia: previsto per oggi il via libera alla legge sulle nozze gay
  • Napolitano chiude oggi le consultazioni: il commento del prof. Baggio
  • "Di corsa" contro l'obesità infantile. Maratona a Roma organizzata dal Bambino Gesù
  • Giornata mondiale del Libro: Roberta Rizzo spiega l'importanza di leggere
  • Roma. L'uomo e il Creato al centro del terzo Festival internazionale della danza
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Colombia: appello dei vescovi al parlamento contro la legalizzazione delle nozze gay
  • Argentina: dall'Assemblea dei vescovi e superiori maroniti appello per la pace in Siria
  • Onu: i popoli indigeni dell'America Centrale esclusi dallo sviluppo
  • Egitto: incontro a Il Cairo tra Tawadros ed il rev.Tveit
  • Mali: prorogata la missione militare francese. Al nord rivalità tra tuareg e arabi
  • Mar Cinese meridionale e sviluppo economico al centro del summit dell'Asean
  • Singapore: Congresso dei superiori maggiori del Sudest asiatico sul tema della tratta
  • Gmg Rio: i vescovi brasiliani portano a spalla la croce e l'icona di Maria
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa alla Messa per San Giorgio: senza la Chiesa non si può credere in Gesù

    ◊   “Non si può credere in Gesù senza la Chiesa”, e se i cristiani non sono “pecore di Gesù”, la loro è una fede “all’acqua di rose”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta questa mattina nella Cappella Paolina in Vaticano. Nel giorno della memoria liturgica di San Giorgio, nel quale festeggia l’onomastico, il Pontefice ha concelebrato la Messa con i cardinali residenti a Roma, esortando ancora una volta a non “negoziare” con la mondanità. La cronaca della celebrazione nel servizio di Alessandro De Carolis:

    Voler vivere con Gesù ma senza la Chiesa è un’assurdità, aveva detto Paolo VI. “Non si può credere in Gesù senza la Chiesa”, gli fa eco Papa Francesco. È la Chiesa la madre dei cristiani, non c’è un luogo diverso dove potersi dire tali. Lo avevano compreso duemila anni fa ad Antiochia, dove per la prima volta i cristiani furono chiamati così. E lo ha voluto rimarcare Papa Francesco enucleando tre insegnamenti dalla lettura degli Atti degli Apostoli. In essa si parla dei cristiani che, sfuggiti alle persecuzioni a Gerusalemme, si sparpagliano tra Fenicia, Cipro e Antiochia annunciando dovunque il Vangelo. “La lettura di oggi – osserva Papa Francesco al primo punto dell’omelia pronunciata a braccio – mi fa pensare che proprio nel momento in cui scoppia quella persecuzione, scoppia la missionarietà della Chiesa”. Tuttavia, prosegue, quell’annuncio nato spontaneamente agita gli Apostoli, che quindi reagiscono:

    “Ma a Gerusalemme qualcuno, quando ha sentito questo, è diventato un po’ nervoso e hanno inviato Barnaba in ‘visita apostolica’; forse con un po’ di senso dell’umorismo possiamo dire che questo sia l’inizio teologico della Dottrina della Fede: questa visita apostolica di Barnaba. Lui ha visto, e ha visto che le cose andavano bene. E la Chiesa così è più Madre, Madre di più figli, di molti figli”.

    La Chiesa che, sola, genera alla fede è il secondo punto dell’omelia di Papa Francesco. La Chiesa, insiste, è “Madre che ci dà la fede, Madre che ci dà l’identità”. Ma “l’identità cristiana – chiarisce – non è una carta d’identità”:

    “L’identità cristiana è l’appartenenza alla Chiesa, perché tutti questi appartenevano alla Chiesa, alla Chiesa Madre. Perché, trovare Gesù fuori della Chiesa non è possibile (...) E quella Chiesa Madre che ci dà Gesù ci dà l’identità che non è soltanto un sigillo: è un’appartenenza. Identità significa appartenenza”.

    Il terzo cardine della riflessione del Papa riguarda la gioia che nasce nel cuore di chi evangelizza, la stessa sperimentata da Barnaba una volta constatato ad Antiochia che l’annuncio ispirato di quei cristiani sta facendo meraviglie. Un annuncio, ricorda Papa Francesco, che “incomincia con una persecuzione, con una tristezza grande, e finisce con la gioia”:

    “Se noi vogliamo andare un po’ sulla strada della mondanità, negoziando con il mondo (...), mai avremo la consolazione del Signore. E se noi cerchiamo soltanto la consolazione, sarà una consolazione superficiale, non quella del Signore: una consolazione umana. La Chiesa sempre va tra la Croce e la Resurrezione, tra le persecuzioni e le consolazioni del Signore. E questo è il cammino: chi va per questa strada non si sbaglia”.

    Al momento della conclusione, Papa Francesco torna con parole decise sull’identità della fede. “Non si può credere in Gesù senza la Chiesa”, asserisce, citando Gesù che nel Vangelo dice: “‘Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore!”:

    "Se non siamo ‘pecore di Gesù’, la fede non viene. E’ una fede all’acqua di rose, una fede senza sostanza (...) E chiediamo al Signore questa parresìa, questo fervore apostolico, che ci spinga ad andare avanti, come fratelli, tutti noi: avanti! Avanti, portando il nome di Gesù nel seno della Santa Madre Chiesa e, come diceva Sant’Ignazio, ‘gerarchica e cattolica’”.

    Le prime parole di Papa Francesco erano state un cordiale ringraziamento al saluto e agli auguri per San Giorgio rivoltigli all’inizio dal cardinale decano, Angelo Sodano. “Io – ha detto il Papa – mi sento bene accolto da voi”, “mi sento bene, con voi, e a me piace questo”. Dopo la Messa, a fine mattinata, anche la Banda Musicale della Guardia Svizzera ha voluto omaggiare il Papa offrendogli un concerto nel Cortile di San Damaso.

    inizio pagina

    Memoria di San Giorgio: onomastico del Papa, auguri da tutto il mondo

    ◊   In occasione della memoria di San Giorgio, giorno in cui il Pontefice festeggia il suo onomastico, tutta la Chiesa esprime il suo affetto per il Papa Jorge Mario Bergoglio. Tantissimi gli auguri che gli stanno giungendo in queste ore da tutto il mondo. San Giorgio è venerato come martire di Cristo: secondo la tradizione visse nel III secolo. Ripercorriamo la storia di questo santo nel servizio di Debora Donnini:

    La figura di san Giorgio è avvolta nel mistero. Poche le notizie che ci sono pervenute sulla sua vita, molte, invece, le vicende leggendarie che gli sono attribuite. Quello che è certo è che il culto di san Giorgio è molto diffuso sia in Oriente sia in Occidente, fin dal IV secolo. Tanto per fare qualche esempio: 21 comuni italiani portano il suo nome, è patrono dell’Inghilterra e diversi re scelsero di chiamarsi come lui. Le poche notizie che si hanno sono nella “Passio Georgii” che il “Decretum Gelasianum” del 496 classifica fra le opere apocrife. Si desume che san Giorgio sia nato in Cappadocia e sia stato educato dai genitori alla fede cristiana. Da adulto diventa tribuno dell’armata dell’imperatore di Persia Daciano ma secondo alcune recensioni si tratterebbe dell’armata di Diocleziano che nel 303 riprese a perseguitare i cristiani. Fu allora che Giorgio distribuisce i suoi beni ai poveri e, dopo aver strappato l’editto, confessa la sua fede, viene sottoposto a supplizi e buttato in carcere dove il Signore gli avrebbe predetto tre volte la morte e tre volte la risurrezione. Quindi gli agiografi raccontano una serie di episodi strabilianti. La leggenda del drago compare nel Medioevo quando viene elaborata la sua figura di cavaliere eroico. Si narra che nella città di Silene, in Libia, gli abitanti offrissero ogni giorno ad un drago che viveva in uno stagno, per placarlo, prima due pecore e poi una pecora e un giovane estratto a sorte. Un giorno fu estratta la figlia del re. Passando di lì Giorgio intervenne per salvarla trafiggendo il drago con la sua lancia. Quindi il re e la popolazione si convertirono alla fede cristiana. La storia influenzò profondamente l’arte figurativa posteriore simboleggiando, fra l’altro, la lotta contro il male. In opere letterarie successive come il “De situ terrae sanctae” di Teodoro Perigeta del 530 circa, si afferma che a Lydda in Palestina , oggi Lod presso Tel Aviv in Israele, vi era una basilica costantiniana sorta sulla tomba di san Giorgio e compagni. Nonostante, dunque, tutt’oggi gli studiosi cerchino di stabilire chi veramente fosse San Giorgio, la sua storia ispirò profondamente l’arte e la sua figura fu ed è tutt’oggi molto cara a tutto il mondo cristiano.

    inizio pagina

    Tweet del Papa: Maria ci aiuta a conoscere la voce di Gesù. Si avvicina quota 6 milioni di follower

    ◊   Nuovo tweet del Papa questa mattina: “Maria – scrive il Pontefice - è la donna del «Sì». Maria, aiutaci a conoscere sempre meglio la voce di Gesù e a seguirla”. Ieri sera aveva lanciato un altro tweet: “Ciascuno di noi ha nel cuore il desiderio dell’amore, della verità, della vita… e Gesù è tutto questo in pienezza!”. Nel suo account Twitter in nove lingue, i follower stanno raggiungendo quota 6 milioni: in lingua inglese solo oltre 2 milioni e 400 mila, mentre crescono sempre di più i follower dell'account in spagnolo (2 milioni e 46 mila).

    inizio pagina

    Estensione giurisdizione vescovo Eparchia “Saint George in Canton dei Romeni”

    ◊   Negli Usa, Papa Francesco ha esteso la giurisdizione di Mons. John Michael di Saint George in Canton dei Romeni, Ohio, sui fedeli greco-cattolici romeni presenti sull’intero territorio del Canada.

    inizio pagina

    Stefania Falasca: il linguaggio di Papa Francesco è quello del Vangelo, per questo arriva a tutti

    ◊   Fin dai primi momenti del suo Pontificato, Papa Francesco ha conquistato il cuore dei fedeli con il suo linguaggio semplice e diretto. Uno stile che desta l’attenzione anche dei non credenti e che trova particolare eco nelle omelie che, quotidianamente, il Papa tiene la mattina nella Messa alla Domus “Sanctae Marthae” in Vaticano. Per una riflessione sul linguaggio “comprensivo e comprensibile” di Jorge Mario Bergoglio, Alessandro Gisotti ha intervistato la giornalista Stefania Falasca, legata a Papa Francesco da una lunga amicizia:

    R. - Bisogna dire che le coordinate portanti dello stile di Papa Francesco si fondano proprio sul primato della parola, il primato della parola nel suo statuto comunicativo-relazionale, che vuol dire l’oralità: è il primato della colloquialità, dell’accessibilità e della chiarezza e anche della bellezza. Lui è un amante di Dostoevskij, per avere un riferimento letterario, e di Tolstoj, i quali definivano la semplicità e la bellezza “funzioni della verità”, quindi anche attraverso la scelta di parole che subito aprono e subito illuminano.

    D. - “Gesù - diceva lo scrittore argentino Borges - pensava per parole e usava frasi che facevano colpo”. Certo si potrebbe dire che proprio questo fa Papa Francesco: le sue parole colpiscono immediatamente e restano…

    R. - Sì, anche queste sono espressioni di un linguaggio che si può dire figurato... in due parole riesce a condensare efficacemente temi che hanno un ampio respiro, un’ampia trattazione e consentono quell’aspetto che dicevo prima: dare subito un effetto. E’ una sorta di espressionismo, anche molto tipico nella lingua spagnola, molto marcato: non sono dei "mezzucci di comunicazione". Si ridà la corporalità, la fisicità alle parole, perché tutti possano comprendere. Questo poi è anche - diciamo - un tratto tipico della comunicazione odierna, quella del web, quella del linguaggio post-moderno.

    D. - Su "Avvenire" hai scritto che il parlare di Papa Francesco è un sermo humilis...

    R. - Maestro per eccellenza del sermo humilis è stato Sant’Agostino. Vuol dire parlare a tutti, vuol dire l’universalità e, allo stesso tempo, la contemporaneità, l’immersione nel divenire del mondo, che è proprio il linguaggio evangelico. E’ il linguaggio delle Sacre Scritture, è la sapienza del porgere, quella cioè che i Padri della Chiesa consideravano arte: l’omelia, l’arte di conversare semplicemente con gli uomini. Diciamo che alla base di questo c’è una natura teologica, perché Sant’Agostino condensa proprio il significato del sermo humilis in due termini che sono “utile” e “adatto”: lui dice che essendo la verità cristiana “amorosa e soave salvezza”, deve essere posta suaviter, con delicatezza, e questo per rispetto sia alla natura stessa della Salvezza, della Verità, sia tanto più al rispetto delle possibilità di recezione dell’uditore. Quindi io credo che siano queste le ragioni di un linguaggio che abbraccia ed è comprensivo del mondo e degli uomini; comprensivo quindi e comprensibile perché sermo humilis è anche caritas, lieta novella nell’accezione agostiniana.

    D. - Non c’è una strategia di comunicazione nel parlare di Bergoglio: l’unica sua vera strategia è l’adesione al Vangelo…

    R. - Sì. C’è un retroterra sicuramente anche per la vastità della cultura di Bergoglio, ma quello che si esprime maggiormente è questa sua ansia di trasmettere la Parola di Dio. Io dico che il fascino di questo suo parlare che arriva a tutti, anche ai lontani e ai non credenti, è che non sono parole soltanto predicate, ma veramente vissute. “La vita è il paragone delle parole”: questo diceva Manzoni e ricordo che lui mi citò questa frase, che peraltro è nel capitolo dei Promessi Sposi da lui molto amato, quello della "Conversione dell’Innominato". La vita è il paragone delle parole. Dal suo modo di parlare si capisce quanto per lui è vero e vissuto quello che dice.

    inizio pagina

    Riforma della Curia. Il card. Pell sugli 8 cardinali: non siamo un Consiglio ma semplici consultori

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto, ieri, in udienza il cardinale arcivescovo di Sydney, George Pell, uno degli 8 porporati scelti dal Pontefice per consigliarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Curia Romana. Al microfono di Emer McCarthy, il cardinale Pell si sofferma sul ruolo degli 8 porporati:

    R. – Well, I can begin by telling you what we are not: we are not a cabinet. …
    Posso incominciare dicendole cosa non siamo: non siamo un “Consiglio”. Il Papa non risponde a noi. Non siamo un gruppo di persone che fanno politica, né siamo un comitato esecutivo. Siamo presenti come consultori del Santo Padre. E’ molto importante, comunque, preservare le prerogative del Successore di Pietro, che è il Papa e il Vescovo di Roma: è lui che decide; noi ci siamo per aiutare, laddove possiamo essere utili. Ma non siamo nulla più di questo.

    D. – Nella sua veste di rappresentante della Chiesa anglofona, nonché rappresentante della Chiesa in Oceania e anche in una visuale globale, quale considera essere la sfida maggiore? Dove pensa che dovrebbe essere la Chiesa, in questo XXI secolo?

    R. – I think the English speaking peoples …
    Credo che le popolazioni anglofone spesso siano capaci di grande spirito pratico, sanno organizzare e fare le cose. Nel mondo anglofono non abbiamo un grande misticismo. Lo spirito di San Francesco d’Assisi non è molto sentito in Paesi ex protestanti e secolarizzati come l’Australia o gli Stati Uniti. Quindi, di cosa parleremo? Parleremo di molte cose, ma la sfida centrale è la fede. Come presentare la fede ai giovani? Da qui nascono i miei “poveri” scritti sulla figura di Cristo, perché questa noi presentiamo. Al tempo di Nostro Signore, Egli compiva i miracoli per risvegliare l’interesse. E noi, cosa facciamo? Noi cosa possiamo offrire? Fondamentalmente, la Chiesa ha le nostre opere buone e il nostro impegno a dimostrare che quelle opere buone vengono dalla nostra fede in Cristo.

    inizio pagina

    La preghiera del Papa per la liberazione dei vescovi ortodossi rapiti in Siria

    ◊   “Il rapimento dei due Metropoliti di Aleppo, rispettivamente della Chiesa siro-ortodossa, Mar Gregorios Ibrahim, e di quella greco-ortodossa di Antiochia, Paul Yazigi, e l’uccisione del loro autista, mentre compivano una missione umanitaria, è una drammatica conferma della tragica situazione in cui vivono la popolazione della Siria e le sue comunità cristiane”: è quanto afferma in una dichiarazione il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. “Il Santo Padre Francesco – prosegue il portavoce vaticano - è stato informato di questo nuovo gravissimo fatto, che si aggiunge al crescere della violenza negli ultimi giorni e a un’emergenza umanitaria di proporzioni vastissime, segue gli eventi con partecipazione profonda e intensa preghiera per la salute e la liberazione dei due vescovi rapiti e perché, con l’impegno di tutti, il popolo siriano possa finalmente vedere risposte efficaci al dramma umanitario e sorgere all’orizzonte speranze reali di pace e di riconciliazione”.

    inizio pagina

    Siria, vescovi rapiti. Padre Kazen: andavano a liberare due sacerdoti

    ◊   I vescovi ortodossi rapiti in Siria stavano compiendo una missione: quella di liberare due loro sacerdoti, anch'essi rapiti oltre due mesi fa. E' quanto rivela da Aleppo il nuovo amministratore apostolico della città siriana, padre George Abou Kazen. Al microfono di Francesca Sabatinelli, il religioso esprime anche la preoccupazione per la sorte dei due vescovi, per i quali il capo ad interim dell’opposizione siriana, George Sabra, sarebbe a lavoro per ottenerne il rilascio:

    R. – Purtroppo, non abbiamo ancora delle informazioni esatte e neanche notizie da parte di coloro che hanno rapito questi vescovi. Non sappiamo nulla, più o meno sappiamo qual è la regione in cui si trovano, però esattamente dove siano e da chi o da quali gruppi siano stati rapiti non lo sappiamo. Alcuni dicono si tratti di ceceni, di un gruppo di jhiadisti ceceni. Ma quello che è certo è che l’autista del vescovo siro-ortodosso che era con loro è stato colpito a morte. Ci è stato dato il suo corpo e domani alle ore 11, ora locale, celebreremo i funerali.

    D. - L’autista era un cristiano?

    R. - Un cristiano latino di rito romano, cattolico. Era un nostro parrocchiano.

    D. - Voi avete ipotizzato qualcosa? Questi due vescovi sono stati un obiettivo casuale o volevano proprio loro?

    R. - Questi due vescovi erano andati a liberare due preti – rapiti due mesi e mezzo fa, il 15 febbraio – perché i loro rapitori avevano promesso che glieli avrebbero riconsegnati. Gli ostaggi erano un prete di rito armeno cattolico e un prete di rito bizantino greco-ortodosso. Sembra che ai due vescovi sia stato detto di andare a prenderli. Erano arrivati ad un accordo e quindi erano andati per prendere quei due sacerdoti.

    D. - Vuol dire che i due vescovi rapiti avevano dei contatti con un gruppo, con qualcuno che potrebbe essere l’autore del rapimento? Voi sapete con chi avevano trattato i due vescovi?

    R. - Quando si contratta, come ben noto, questo avviene tramite la Croce Rossa o la Mezzaluna Rossa. Poi, si arriva a un accordo, ma non si sa mai chi è l’autore: non è mai in prima fila, viene sempre per terzo.

    D. - Questi due vescovi che tipo di rapporti avevano con i cristiani, con i musulmani della zona?

    R. - Hanno avuto sempre buoni rapporti con tutti. Non c’era dunque alcun tipo di problema legato al buon vicinato, alla convivenza, anzi. Partecipavano sempre a gruppi di dialogo.

    D. - Ma a questo punto, secondo lei che cosa sarebbe opportuno fare? Come intervenire? Vi siete rivolti a qualcuno?

    R. - Noi non sappiamo ancora a chi rivolgerci. Come ho sempre detto a tutti, i grandi della Terra sanno come comportarsi quando si tratta di armare: potrebbero almeno intervenire per liberare la gente povera...

    D. - Quindi, cercare qualcuno che apra un dialogo con questi rapitori…

    R. - O chi li comanda…

    D. - Cosa potrebbero chiedere in cambio dei due vescovi?

    R. - Non sappiamo niente. Quello che ho sempre detto è che non bisogna incoraggiare la violenza dando le armi alla gente, ma battersi per una giusta riconciliazione, per un dialogo fra tutti. Noi sappiamo bene che tutti gli altri dipendono da gente che è di fuori, da potenze che non sono siriane. Quindi, questi li incoraggiano alla violenza e alla guerra. Che li incoraggiano per un dialogo piuttosto! È questo quello che noi vogliamo. Il dialogo, la riconciliazione: è questa la via giusta per la pace.

    inizio pagina

    20.mo del Catechismo: il peccato originale, "nucleo" del male nel progetto d'amore di Dio

    ◊   Il peccato è radice di ogni male per l'uomo e la sua storia. Padre Dariusz Kowalczyk lo afferma nella 23.ma puntata del ciclo dedicato alla riscoperta del Catechismo della Chiesa cattolica, a 20 anni dalla pubblicazione. In questa puntata, il religioso gesuita riflette sulle pagine del documento che affrontano il peccato originale, quando i progenitori dell'umanità tentarono di sostituirsi a Dio, il quale non ha però abbandonato l'uomo alla deriva originata da queol primo atto di superbia:

    Dopo il racconto sulla creazione con il suo ritornello “E Dio vide che era una cosa buona”, nel libro della Genesi troviamo la storia della caduta dei nostri progenitori, cioè quella del peccato originale. La storia che ci mostra il nucleo di ogni tentazione e di ogni peccato.

    Dio dà a disposizione dell’uomo tutti i frutti del paradiso con un solo divieto: quello di non mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male. “Non ne dovete mangiare – disse Dio ad Adamo – altrimenti morirete” (Gn 3,3). Questo albero “evoca simbolicamente il limite che l’uomo, in quanto creatura, deve liberamente riconoscere e con fiducia rispettare” (CCC 396). La tentazione è una falsa promessa che non esiste nessun limite, che l’uomo può diventare dio. “Non morirete affatto – disse il Satana – anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste […] diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male” (Gn 35).

    Il Catechismo ci insegna che Adamo e Eva hanno permesso di spegnere nei loro cuori la fiducia nel Creatore per occupare il suo posto. L’uomo ha abusato di quella libertà che Dio gli aveva donato (cfr. CCC 387, 397). Tutte le ideologie che hanno portato ai genocidi come nazismo, marxismo-leninismo o maoismo scaturiscono dalla stessa radice, cioè dalla pretesa di essere Dio e di decidere del bene e del male. Anche le moderne correnti di pensiero che vogliono cambiare il creato riformulando p.es. la natura del matrimonio e della famiglia, sono il frutto della tentazione diabolica di essere noi come Dio.

    Dio però non mente. Il peccato veramente porta la morte. L’uomo e la donna hanno paura di Dio e si accusano a vicenda. Adamo ed Eva non diventano dei. Al contrario, si sentono nudi. Noi sperimentiamo tale realtà del peccato nella nostra vita. Ma Dio non ci abbandona in quella situazione. La storia della creazione e della salvezza continua.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Padre Pizzaballa: in Siria entrano armi e fanatici, in fuga i civili

    ◊   Sulle motivazioni del rapimento in Siria dei due vescovi ortodossi, Giancarlo La Vella ha sentito il Custode francescano di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, che recentemente ha diffuso un forte appello per la soluzione della crisi siriana, che ha messo in ginocchio una vasta area mediorientale:

    R. - Credo che, in questo caso, la motivazione sia anzitutto economica: rapire due vescovi significa poi chiedere riscatti molto alti, perché purtroppo, insieme alla guerra, ci sono anche tante forme di mafie, di gruppi di malviventi che ne approfittano, come abbiamo già visto anche in Iraq. Non si possono escludere anche motivazioni religiose o di fanatismo, ma credo che la prima fra tutte sia quella economica.

    D. - Qual è l’auspicio della Custodia di Terra Santa per risolvere la situazione in terre lontane da Gerusalemme, ma sempre nel cuore di tutti i fedeli?

    R. - La nostra speranza è che la Comunità internazionale smetta di introdurre le armi e di sovvenzionare i ribelli e i governativi, perché questa è una delle cause principali… Speriamo, insomma, che il buon senso prevalga, anche se dubito che si arrivi a tanto.

    D. - Nel suo recente appello per la soluzione della crisi siriana, lei parla anche di gravissime conseguenze economiche causate dalla guerra civile: conseguenze che vanno anche ben al di là dei confini siriani…

    R. - Sì, la prima cosa è che sia all’interno della Siria come anche nei Paesi limitrofi ci sono milioni di profughi, milioni di persone che si sono spostate: quindi lontane dal luogo di lavoro, che ormai non c’è più, senza casa e senza i beni primari. Poi, insieme ai profughi, arrivano anche i ribelli, i fanatici… Si sta allargando a macchia d’olio questo fenomeno, che purtroppo abbiamo già visto in Iraq e che continua adesso in Siria e nel resto del Medio Oriente.

    D. - Un fenomeno che poi - è inutile dirlo - tiene lontano il turismo, che è una importante fonte di approvvigionamento economico…

    R. – Sì, assolutamente. Quando ci sono questi fatti, i turisti, ma anche i pellegrini scappano, stanno lontani. Questa situazione ha ricadute negative un po’ su tutto il commercio e tutte le attività legate al turismo stanno languendo.

    D. - Nonostante tutto il suo auspicio è che i cristiani rimangono nel proprio Paese...

    R. - Sembra assurdo, ma dobbiamo sperare contro ogni speranza, come è scritto nella Bibbia. E’ assolutamente importante per i cristiani non emigrare: siamo già una piccola comunità, molto fragile, ma è importante che, nonostante tutto, resti questa piccola comunità a tenere viva la fede in Gesù, in questa terra che lo ha visto nascere.

    inizio pagina

    Iraq: soldati sparano contro dimostranti e fanno strage a Kirkuk

    ◊   Iraq di nuovo in primo piano per le violenze scoppiate stamane in una piazza di Hawija, a ovest di Kirkuk, nel nord del Paese, dove le forze di sicurezza hanno attaccato un gruppo di manifestanti dell’opposizione sunnita, che accusa il primo ministro sciita, al Maliki, di attuare una politica discriminatoria. L’assalto era programmato per arrestare i responsabili dell’uccisione, due giorni fa, di alcuni soldati. Almeno 27 i morti e decine i feriti. Roberta Gisotti ha intervistato Margherita Paolini, coordinatrice scientifica della rivista di geopolitica "Limes":

    I manifestanti sunniti erano asserragliati nella cittadina da metà gennaio, in vista delle elezioni che sabato scorso hanno chiamato al voto oltre 13 milioni di iracheni per rinnovare 12 Consigli provinciali su 18, primo test elettorale dal ritiro degli Stati Uniti. E mentre si aspetta l’esito delle urne, proseguono le proteste in diverse località e non cala la tensione. Ben 14 i candidati uccisi dall’inizio dell’anno. Ma quali scenari si profilano dallo spoglio delle schede? Margherita Paolini:

    R. – Quello che io vedo è che, dal momento in cui sono partiti gli americani nel dicembre 2011, le cose sono andate abbastanza male. Noi abbiamo tre elementi di tensione che giocano sul presente e sul futuro a breve termine. Abbiamo la situazione curda, a nord, che ormai si è definita con un’autonomia che di fatto equivale ad un’indipendenza, che è soprattutto importante non solo sul piano amministrativo, ma per il fatto che amministra con massima autonomia le risorse petrolifere e gasifere. E le preoccupazioni delle popolazioni sunnite dell’area di Kirkuk hanno due motivi di fondo: uno, quello più generale, di sentirsi emarginati e tagliati fuori dai processi economici e produttivi legati soprattutto alle risorse petrolifere e gasifere. E l’altro è quello che temono che piano piano la zona di Kirkuk, che è quella in cui si trovano e quella più consistente già in sviluppo, finisca poi per essere “sifonata” da Kurdistan. Per cui, il malumore viene espresso dal proliferare di attentati anche contro luoghi sacri sciiti. C’è però poi anche il fatto che la stessa etnia sciita non è compatta, perché anche qui, a causa delle risorse petrolifere e gasifere, abbiamo il fenomeno della provincia di Bassora e di Muktad al-Sadr, il quale comunque coltiva anche "tentazioni" autonomiste e un ambito federativo. Quello che è interessante è vedere che Muktad al-Sadr – da elemento che sembrava un po’ sovversivo, legato all’Iran – si stia presentando come un elemento più moderato che però vuole far fuori al Maliki come un accentratore, mentre lui, Muktad al-Sadr, vorrebbe presentarsi come un possibile presidente federale. Su tutto questo quadro, che è già complicato, c’è la situazione di crescente minaccia invasiva di questo al Qaeda Iraq che sono poi quelli che fanno un certo tipo di attentati. Penso che in questo attacco a Kirkuk le truppe governative cercassero anche elementi qaedisti che fossero andati a rifugiarsi là, nella zona dove c’era tutto quel raduno, perché ci sono stati attentati in queste zone e anche a Baghdad. La tipologia di questi attentati riporta gli schemi operativi qaedisti.

    D. – Un test elettorale anche per tracciare o confermare un bilancio complesso degli effetti dell’intervento armato internazionale in questo Paese…

    R. – Io ho sempre una grande fiducia nelle capacità di recupero degli iracheni, che sono sempre stati un grande popolo: hanno anche dei leader locali bravi. Però, le ipoteche che pesano su questo Paese, che sono rimaste sono molto, molto pesanti. Non si sta facendo praticamente nulla per aiutarli: questo è il punto. Si prende, si va via e poi ci si occupa delle risorse gasifere e petrolifere: questo è tutto l’interesse che ha il mondo occidentale. Mi sembra – posso dirlo? – scandaloso.

    inizio pagina

    Autobomba contro ambasciata francese a Tripoli. Hollande invia in Libia il ministro degli Esteri

    ◊   Sono due i feriti nell’attentato di questa mattina contro l’ambasciata francese a Tripoli, in Libia, attaccata con un’autobomba. “E’ un atto terroristico”, ha subito sottolineato il ministro degli Esteri libico Mohammed Abdel Aziz "condannando con forza" l'attacco. Chiuse per precauzione la scuola e i licei francesi in città. Il presidente Hollande ha chiesto di fare chiarezza sull’accaduto e ha inviato immediatamente a Tripoli il ministro degli Esteri Fabius. Un episodio che evidenza lo stato di tensione che vive il Paese nordafricano, alla ricerca di una difficile stabilità dopo la caduta di Gheddafi. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Antonio Morone, ricercatore in Storia dell’Africa presso l’Università di Pavia:

    R. - Sicuramente fino ad oggi Tripoli era rimasta fuori dalla conflittualità, che si era concentrata su Bengasi col ben noto episodio dell’uccisione del rappresentante diplomatico americano, nel settembre del 2012. In effetti, l’attentato e la bomba a Tripoli riporta, in qualche modo, ad una situazione di più generale problematicità un Paese che, uscito dalla guerra civile, non ha ancora risolto una conflittualità che quella stessa guerra, in effetti, ha diffuso più che risolvere.
    D. - E’ un Paese ovviamente ancora molto frammentato al suo interno…

    R. - La lettura di una contrapposizione tra l’est - la Cirenaica - e l’ovest - la Tripolitania - del Paese rischia di essere riduttivo e inesatto. Ovvio, una delle prime principali linee di contrapposizione è questa. All’interno di queste due grandi macroregioni che per storia, politica e per certi versi cultura hanno alcune differenze e baricentri differenti, ci sono molte contrapposizioni e proprio la guerra ha contribuito ad alimentare un fazionalismo, che spesso ha a che fare con centri di potere politico-economico differenti.

    D. - C’è un altro problema, che è quello dei confini della Libia, che restano molto spesso senza controllo e vengono violati dai combattenti provenienti da altri Paesi limitrofi…

    R. - Certamente il problema della sicurezza in Libia fa diretto riferimento ai confini: spesso in Italia e in Europa si parla di confini libici solo quando si ha in mente il problema dei migranti clandestini o irregolari. In realtà la porosità dei confini libici e in Africa, in generale, è un problema che negli ultimi mesi ha riguardato la vendita e la circolazione d’intere parti di quello che era l’arsenale militare di Gheddafi al di fuori del Paese stesso, di fatto alimentando una conflittualità che dalla Libia si è estesa ad una intera regione: il Maghreb.

    D. - Dopo la caduta del regime di Gheddafi la Libia è finita un po’ nel dimenticatoio, eppure vive una forte instabilità. In tutto questo c’è una grossa responsabilità, secondo lei, della Comunità internazionale?

    R. - Il caso della Libia ha almeno una specificità rispetto al comportamento e - diciamo - alla presenza europea o più un generale dell’Occidente se si fa un parallelo con altri casi, come possono essere l’Iraq o l’Afghanistan. In Libia, finito l’intervento militare internazionale - in effetti occidentale - non è seguita una presenza sul campo dei referenti occidentali. Tuttavia l’attentato di oggi a Tripoli evidenzia come anche se uno dei Paesi maggiormente impegnati come la Francia è stato meno presente, rischia comunque di essere un obiettivo, un target. Probabilmente più per quello che sta facendo in altre regioni africane, in particolare il Mali, che non per quello che ha fatto o non ha fatto in Libia.

    inizio pagina

    Francia: previsto per oggi il via libera alla legge sulle nozze gay

    ◊   La polizia parigina prepara uno schieramento di sicurezza straordinario intorno alla sede dell'Assemblea nazionale francese, dove nel tardo pomeriggio ci sarà il voto definitivo sulla legge per l'introduzione di matrimonio e adozione per le coppie omosessuali. Governo e prefettura temono disordini e, in particolare, possibili dissidi tra manifestanti di posizioni opposte. Il provvedimento ha suscitato forti proteste in alcune fasce della società francese, il cui tono in alcuni casi si è progressivamente inasprito. Una manifestazione è stata organizzata anche a Roma, oggi pomeriggio a Piazza Farnese, mentre in Francia migliaia di persone hanno dato vita all’iniziativa pacifica “Manifestazione per tutti'. La collega della nostra redazione francese, Manuella Affejee, ha intervistato uno dei portavoce, Tugdual Derville:

    R. - C’est vrai que nous sommes dans l’acceptacion…
    E’ vero che siamo nella fase dell’accettazione del processo legislativo e che effettivamente la legge sarà votata. Nonostante questo, noi portiamo ancora avanti in modo deciso la nostra resistenza nei confronti di questa legge. Credo che in questo momento sia importante scendere in strada per protesta. Ritengo che effettivamente il modo di protestare sia un po’ vario. C’è, ad esempio, il sorprendente emergere del “Mouvement des Veilleurs”, movimento di osservatori che è entrato in una sorta di grande silenzio, un silenzio intellettuale, nutrito dalle letture che sono la nostra eredità e che ci servono per il futuro. Credo che tutto possa tradursi concretamente e che, accanto alla resistenza, emergeranno nuove proposte. Per il futuro, ritengo bisognerà contare anche sulla presenza di questo movimento a prescindere dai risultati elettorali, per chiedere ai nostri eletti di fare della difesa dell’uomo - di tutti gli uomini - la priorità della politica futura. È dunque possibile che ci saranno delle candidature simboliche per manifestare il nostro impegno contro questo progetto di legge, là dove sarà necessario farlo per essere presi in considerazione.

    Della spaccatura che si registra in Francia a proposito del progetto di legge sulle nozze gay, Fabio Colagrande ha parlato con Pietro Boffi, responsabile del Centro documentazione del Centro Internazionale Studi Famiglia, Cisf:

    R. - Il Paese è spaccato e i titoli dei giornali lo ribadiscono ampiamente: il Paese è spaccato. Le indagini hanno fatto vedere che c’era circa poco più della metà dei cittadini francesi favorevoli a questa legge - per quanto riguarda il rapporto tra coppie omosessuali - e poco meno della metà contrari. E i numeri erano molto più a favore dei contrari per quanto riguarda il problema delle adozioni, che è un problema rilevantissimo. Probabilmente, era il caso di ragionare e incontrarsi con argomenti e riflessioni più pacate, che durassero più a lungo. Invece, effettivamente, si è andati verso un’accelerazione e un irrigidimento. Mi dispiace molto, perché mi sembra che coloro che si sono opposti pubblicamente a questo progetto l’abbiano fatto, specie all’inizio, con toni sereni, pacati, con argomentazioni provenienti da vari fronti, da varie situazioni. Ricordo ad esempio quanto ne hanno parlato i vescovi e quanto ne ha parlato anche il Gran Rabbino di Francia, Bernheim, con un intervento magistrale. Il non aver preso in considerazione praticamente nulla di questi ragionamenti sicuramente è un fatto molto grave.

    D. – Come spiegherebbe in poche parole a chi ci ascolta, perché questo progetto di legge francese, come i progetti di legge analoghi, indebolisce la famiglia?

    R. – Perché ne viola l’essenza. Purtroppo, si è persa l’abitudine di andare alla radice dei problemi, con riflessioni sufficientemente profonde. Il tema del matrimonio, e la conseguente famiglia che ne nasce, nasce dall’esigenza di regolare il rapporto in una coppia eterosessuale che fa nascere bambini. Non regolamenta gli affetti, gli amori, i colpi di testa: non è quello che interessa il diritto. Questa struttura fondamentale della nostra società non può essere messa in un angolo, o ritenuta superficiale, o lasciata alla mera volontà dei singoli di volta in volta, perché è una struttura fondamentale che regolamenta l’ordinamento nel quale viviamo. Viviamo da millenni anche con forme molto diverse: cambiano le fattispecie giuridiche, ma rimane questo fatto che l’origine del tema famiglia è legato alla procreazione che è un dato di fatto, a sua volta legato alla nostra anatomia. Ora, rimettere in discussione l’anatomia, per motivi ideologici, e ritenere che non esiste più nei processi culturali è veramente una cosa risibile. Mi meraviglia di come sia possibile che persone intelligenti, di cultura, riescano a mettere da parte, far sparire, una cosa che è una realtà ontologica chiara dell’essere umano e di come da sempre l’umanità si sia prodotta. Questa è la posta in gioco, quindi è una cosa estremamente rilevante. Più che parlare di attacco alla famiglia, direi che è importante ricordare che la famiglia ha sempre cambiato le sue forme esterne e cambiato i rapporti all’interno, ma si è sempre basata su questo elemento universale: l’incrocio fra i sessi e le generazioni. Questo è importante non per noi come cattolici, ma è importante per tutti, per l’intera società. Questo non è per fare un discorso contro chi manifesta tendenze sessuali di tipo diverso, non è quello il punto, tanto è vero che quando si parla di matrimoni omosessuali si parla della coppia. Da cosa nasce l’idea della coppia, perché due, perché la coppia? È la coppia eterosessuale l’archetipo che ha dato origine a questo tipo di situazione. Questa è la posta in gioco. Sono riflessioni che sarebbero da fare, non si possono accantonare con un’alzata di spalle o dicendo che i tempi sono cambiati, le mentalità sono cambiate. Sono ragionamenti grossi, importanti. Ecco perché bisogna comunque reagire al fatto che non si pensa più, non si riflette più sulla portata di questi “esperimenti sociali”.

    inizio pagina

    Napolitano chiude oggi le consultazioni: il commento del prof. Baggio

    ◊   In Italia, il presidente Giorgio Napolitano chiuderà oggi le consultazioni per la formazione del nuovo governo: forse l’incarico ci sarà già stasera. Il Paese attende ora una svolta politica dopo il fortissimo richiamo lanciato dal capo di Stato ai partiti durante il suo discorso ieri pomeriggio in occasione dl giuramento davanti alle Camere riunite. Ascoltiamo in proposito il prof. Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia politica presso l’Università Sophìa di Loppiano, al microfono di Fabio Colagrande:

    R. - Io credo che passerà alla storia questo richiamo del presidente alla realtà, perché di questo, in effetti, si è trattato! Ha detto: “Dobbiamo partire dalla realtà delle cose”. La realtà delle cose è che tutti i partiti hanno chiesto il voto e nessuno ne ha ottenuti abbastanza per governare. La necessità di intese per fare il governo si doveva constatare, ravvisare fin dall’inizio ma – sostanzialmente – dice ai partiti: “Vi siete dimenticati di come si fa politica: la politica si fa mettendosi insieme, con contrasti ma anche con chiarimenti e con alleanze. E invece, negli ultimi 20 anni c’è stata una tale contrapposizione, un tale odio in politica che vi siete dimenticati come si fa politica”. Ha anche ricordato ai parlamentari che non sono i “servi” di un partito, non sono gli “scrivani” di una volontà popolare dettata da internet, ma sono depositari della volontà popolare.

    D. – Perché siamo arrivati a questa degenerazione? Perché i parlamentari preferiscono fare gli interessi delle proprie fazioni, piuttosto che quelli del Paese, secondo lei?

    R. – Sono cooptati e non sono eletti, quindi in realtà non hanno più un rapporto vitale con il “sovrano”, che è l’insieme dei cittadini, ma devono rispondere a quel “padrone”, a quel partito padronale che ormai li sceglie. Si sono istaurati in sostanza rapporti privati in sostituzione dei rapporti pubblici: questa è una degenerazione grave e ha portato con sé dei disastri. Il presidente Napolitano, nell’elenco delle cose urgenti da fare, ha detto: “C’è stata una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità”. Quali sono le conseguenze? E ha fatto l’elenco; e la parte positiva di questo elenco sono le cose che invece vanno fatte a partire da subito. È interessante che il primo punto posto dal presidente è la riforma delle istituzioni, significativamente messa insieme ad un rinnovamento della politica e ad una riforma dei partiti stessi. Quindi, è un nucleo di cose collegate tra loro che deve cambiare: la legge elettorale, per consentire di governare stabilmente; i partiti nella forma e nello stile di politica, nella facilità di partecipazione, e la politica nel suo insieme. Il fenomeno dirompente che abbiamo vissuto, quello dell’emergere del Movimento 5 Stelle, regge perché ha degli obiettivi che sono obiettivi di cittadinanza, che tutti dobbiamo condividere e quindi vanno applicati: quelli che parlano di trasparenza della politica, di misura delle spese … In questa maniera, anche il movimento di Grillo vedrebbe realizzate alcune richieste “di rottura”, e potrebbe strutturarsi con una forma più costruttiva su altri punti.

    D. – Il presidente ha anche detto che non è possibile nessuna auto-indulgenza rispetto ai forti richiami che lui ha lanciato e molti hanno sottolineato in maniera critica i frequenti applausi che hanno spezzettato il suo discorso. Erano un pochino stonati?

    R. – Parlava appunto di indulgenza quando è stato applaudito: è stato interrotto continuamente da applausi. Anch’io sono stato tra coloro che si sono sentiti infastiditi, perché mi è sembrato di vedere una dimensione patologica: una massa di persone che si è dimostrata incapace di scegliere un presidente della Repubblica, per questi legami perversi con i partiti; quindi, gente che aveva dimostrato la propria impotenza, d’improvviso - identificandosi con un presidente che è il “buono”, che è il presidente che porta l’onore - cerca di riscattarsi in qualche modo. Questo è un effetto ricorrente in politica: nei decenni passati, nei momenti più critici, la Democrazia Cristiana si affidava a uomini come Moro, come Zaccagnini che – per la loro onestà e capacità politica – coprivano un po’ tutto il partito. Questi effetti di copertura – che sono opera generalmente di mediocri e di pavidi – il presidente li ha stigmatizzati, dicendo: “Gente così non può fare il bene del Paese”.

    inizio pagina

    "Di corsa" contro l'obesità infantile. Maratona a Roma organizzata dal Bambino Gesù

    ◊   In Italia un bambino su 3 è sovrappeso o obeso. Per questo l’Associazione Bambino Gesù insieme a Roma Capitale e Coni organizza nel parco di Villa Pamphili a Roma il prossimo 12 maggio la maratona Charity Run-Race for Children (www.charityrun-opbg.it). Cinque Km all’insegna dello sport e dell’educazione alla salute per un appuntamento rivolto a piccoli e grandi. Secondo recenti dati l’obesità infantile in Italia sta assumendo i contorni di una vera epidemia. Lo conferma al microfono di Paolo Ondarza il presidente dell’Associazione Bambino Gesù, Luca Benigni:

    R. – E’ un problema serio e purtroppo è un problema poco conosciuto. E’ una disfunzione e le conseguenze sono enormi. Al di là dell’aspetto estetico, ci sono problemi notevoli per la spina dorsale, per la schiena, di postura che poi, nel tempo, possono diventare problemi molto, molto seri.

    D. – Charity Run–Race for Children: una maratona, un invito all’attività fisica per contrastare il problema dell’obestità …

    R. – Charity Run–Race for Children è una corsa di cinque chilometri, competitiva e non competitiva, che si svolgerà su un percorso campestre a Villa Pamphilj. Ma non è solo una corsa competitiva: è diventato un evento. C’è anche un “Kid’s Village” con la possibilità per tutti i bambini di fare atletica, giochi, diverse tipologie di sport, dal rugby al basket, all’arrampicata e alla ginnastica artistica. Quindi, un momento per stare insieme e “combattere di corsa”, come è il nostro slogan, il problema dell’obesità infantile.

    D. – L’obesità infantile di cui non si parlava fino ai decenni passati, oggi in Italia rappresenta un grave problema …

    R. – Siamo rimasti stupiti dai dati dell’obesità infantile in Italia. L’Italia che è il Paese della buona cucina, della “cucina mediterranea” famosa in tutto il mondo … Eravamo quindi convinti che il problema dell’obesità infantile non ci fosse. Invece, i dati sono allarmanti, e questo dipende dall’alimentazione, ma soprattutto dal poco movimento. Quindi occorre rendere lo sport un punto di riferimento per i bambini sia dal punto di vista dell’aggregazione sociale, ma soprattutto per prevenire l’obesità.

    D. – Come mai l’Italia, Paese noto per la “dieta mediterranea”, è divenuto adesso un luogo in cui sono sempre di più i bambini obesi? Tra le ragioni c’è anche il troppo tempo passato davanti alla televisione?

    R. – Esatto: di fronte alla tv, ai giochi elettronici … diciamo che è un problema un po’ di tutte le famiglie. Per riuscire a distogliere l’attenzione dalla televisione e dai giochi elettronici, il modo più facile e sicuramente anche più istruttivo è quello di far avvicinare i ragazzi allo sport.

    D. – Una manifestazione come quella che voi organizzate è mirata a coinvolgere anche i genitori che sono i responsabili di questo problema …

    R. – Corretto: i genitori che sono responsabili … Avvicinare i genitori significa in qualche modo anche loro la strada giusta per evitare un domani il problema dell’obesità.

    inizio pagina

    Giornata mondiale del Libro: Roberta Rizzo spiega l'importanza di leggere

    ◊   Oggi è la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore, evento patrocinato dall’Unesco per promuovere la lettura. La prima edizione si è tenuta nel 1996 e da allora ogni 23 aprile numerose manifestazioni si tengono a livello mondiale per rendere omaggio ai libri. Al microfono di Elisa Sartarelli, spiega l’importanza del leggere, la giornalista Roberta Rizzo, in arte Moony Witcher, autrice di numerosi romanzi per ragazzi:

    R. - Indubbiamente è molto importante. Leggere è vivere, è vivere tante avventure, conoscere, capire e divertirsi, soprattutto per i bambini e non solo per gli adulti, perché i bambini hanno bisogno di immaginare, di vivere e di capire in quale mondo vivono attraverso delle avventure che gli scrittori rendono vive nei loro libri.

    D. - Lei è una scrittrice di libri per bambini che hanno avuto molto successo a livello italiano e internazionale. E’ dai bambini, quindi, che dovremmo partire per promuovere la lettura, anche se proprio nei più piccoli sembra diminuire questo interesse per i libri…

    R. - Dai bambini bisogna partire sempre per tutto: per tutto ciò che riguarda la nostra società, il mondo che viviamo. La lettura per il bambino è fondamentale. Il libro è uno strumento normalmente cartaceo, ma non può diventare solo un momento di gioco, anche se il libro può essere un gioco. La lettura non deve essere imposta, ma deve essere una gratificazione e questo è un discorso pedagogico e educativo che nelle scuole deve passare. Ma non è soltanto la scuola, è la famiglia, perché se il bambino ha dei genitori che leggono, dei nonni che leggono, evidentemente apprezzerà anche lui la lettura. E poi c’è il mondo, il mondo esterno: bisognerebbe frequentare di più le librerie, le biblioteche. Quando i genitori, le mamme, i papà o i nonni portano i figli in libreria, è bene che li lascino scegliere.

    D. - Possiamo quindi avvicinare i bambini alla lettura, magari attraverso gli e-book oppure attraverso le presentazioni: qual è il metodo migliore per far capire ai bambini quanto è importante leggere?

    R. - Gli e-book sicuramente sono uno strumento agevole. Se parliamo di testi per bambini e se parliamo di bambini dai 6 ai 10 anni, l’e-book è problematico, nel senso che le immagini non hanno quell’impatto così importante rispetto a un testo cartaceo. Se parliamo, invece, di ragazzi dagli 11 anni fino ai 13-14 anni, quindi preadolescenti, l’e-book è sicuramente uno strumento a loro confacente. Per quanto riguarda le presentazioni, io sono un po’ scettica: ne ho fatte tante nella mia vita di scrittrice e devo dire che dopo un po’ - se non si ha un impatto emotivo ed empatico - è noioso: per i ragazzini soprattutto non è interessante molto la presentazione, se non prende lati che per loro siano importanti, siano fondamentali per la loro crescita. Ritengo, invece, che vi siano strumenti diversi e luoghi diversi dove promuovere i libri e sono, per esempio, le manifestazioni tipo i festival, ma non centrano spesso gli obiettivi sulla creatività e l’immaginario. Io sto organizzando, per il 2014, un grande festival dedicato, appunto, ai bambini: lo sto organizzando in una città del nord, che è Vigevano, e sarà un festival nazionale, dedicato a tutti i bambini, sulla creatività.

    inizio pagina

    Roma. L'uomo e il Creato al centro del terzo Festival internazionale della danza

    ◊   Una profonda indagine del corpo umano e dello stretto rapporto dell’uomo con il Creato sono il filo conduttore della terza edizione del Festival internazionale della danza al via domani a Roma. Rivolto ad un pubblico di tutte le età, vedrà l’alternarsi, in due mesi, di cinque spettacoli sul palcoscenico del teatro olimpico e negli spazi all’aperto dei Giardini della Filarmonica romana. Protagonisti i diversi volti della danza contemporanea e del teatro visivo dei nostri giorni. L’edizione è dedicata a Vittoria Ottolenghi, preziosa voce critica della danza scomparsa di recente, che alla Capitale ha lasciato un fondo di oltre 600 tra volumi e documenti visivi. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    "Aterballetto", "Mummenschanz", "Collettivo 320chili" e la coreografa e danzatrice Alessandra Cristiani: sono i quattro volti della danza. Dal teatro visivo all’acrobatica, al Nouveau Cirque, protagonisti del Festival che aggiunge agli spettacoli anche un picnic all’aperto nei giardini della Filarmonica, il 25 aprile, e workshop dedicato al corpo in movimento. Nel segno di Igor Stravinskij la serata inaugurale, con tre coreografie di Mauro Bigonzetti per la compagnia emiliana "Aterballetto", a 100 anni dalla prima della “Saga della Primavera” - inizio secolo a Parigi - un capolavoro del quale Sandro Cappelletto, direttore artistico del Festival, spiegherà al pubblico la genesi:

    "È il rito della Primavera. Ad un certo punto Stravinskij dice: 'L’energia per quest’opera mi è venuta dalla terra'”.

    Ai gesti puliti, alle coreografie essenziali dell’"Aterballetto", segue il ritorno atteso dei leggendari "Mummenschanz", teatro visivo tra i più celebri al mondo. I musicisti del silenzio che irrompono sulla scena senza musica, indossando quello che la nostra società scarta:

    "Loro ci dimostrano che anche l’oggetto più semplice, più povero, può rivivere grazie alla creatività dell’uomo".

    Due le prime assolute: "Misticanza" del "Collettivo 320chili", giovani italiani che sul palco intrecciano diverse tecniche:

    "Danza, l’aspetto teatrale e l’aspetto del circo, del gioco e l’aspetto dell’acrobazia".

    Magica l’altra prima assoluta, il 24 giugno, è "Eros Aria" interpretato da Alessandra Cristiani. Eros come amore per la natura, in dialogo con il corpo umano. Torna dunque il rapporto con il Creato, che oggi nella danza è più importante che le tematiche sociali.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Colombia: appello dei vescovi al parlamento contro la legalizzazione delle nozze gay

    ◊   In Colombia riprende al Senato la discussione del progetto di legge 47 che vuole introdurre nel Paese i matrimoni omosessuali. La proposta è stata presentata l’anno scorso, dopo una sentenza della Corte Costituzionale del 2011 che invitava il Congresso a legiferare sulla materia entro due anni, ossia entro il 20 giugno prossimo, altrimenti le coppie dello stesso sesso potranno ricorrere a un notaio per legalizzare la loro unione, stabilendo un vincolo analogo a un matrimonio eterosessuale. Contro la legalizzazione sono intervenuti nuovamente in questi giorni i vescovi colombiani che hanno inviato una lettera ai membri del Congresso per chiedere di fermare l’iter legislativo. I suoi contenuti sono stati anticipati da una conferenza stampa in cui il segretario della Conferenza episcopale mons. José Daniel Falla Robles, vescovo ausiliare di Cali, ha puntualizzato che la Chiesa non ha nulla contro le persone omosessuali o contro il riconoscimento e l’esercizio dei loro diritti, ma che non si può dimenticare che “il matrimonio e la famiglia svolgono un ruolo chiave”. La contrarietà della Chiesa ai matrimoni omosessuali, ha inoltre chiarito il presule citato dall’Osservatore Romano, non si basa su atteggiamenti intolleranti o discriminatori, ma su argomenti di natura molto diversa che riguardano “il riconoscimento e il rispetto che tutti dobbiamo alla persona umana e ai suoi valori fondamentali” tra i quali, appunto, la famiglia “nucleo della società riconosciuto dalla Costituzione”. La lettera ricorda che “il matrimonio, in tutte le culture, epoche e religioni, è un’istituzione formata dal legame stabile di esseri biologicamente distinti e complementari” e “orientata alla procreazione e all’educazione di figli e al sostegno reciproco tra i coniugi. Ponendo in tal modo le basi della famiglia - spiega la missiva - il matrimonio contribuisce al bene comune della società”. Pertanto, concludono i vescovi colombiani, dare alle unioni tra persone dello stesso sesso un riconoscimento legale “implicitamente sovverte l’ordine stabilito dalla natura umana e il nostro quadro giuridico e costituzionale”. Alla voce dei vescovi cattolici si sono unite anche quelle di rappresentanti di altre comunità cristiane. (A cura di Lisa Zengarini)

    inizio pagina

    Argentina: dall'Assemblea dei vescovi e superiori maroniti appello per la pace in Siria

    ◊   Con un forte richiamo ai politici libanesi, un pressante appello per la pace in Siria e la proposta di convocare un congresso mondiale maronita si è conclusa nei giorni scorsi a San Miguel di Tucuman, in Argentina, la terza Assemblea generale dei vescovi e dei superiori religiosi maroniti delle due Americhe e di Francia. Al centro dell’incontro - al quale è intervenuto il patriarca card. Béchara Boutros Raï - l'impasse sulla legge elettorale che sta paralizzando la vita politica in Libano; la crisi sociale ed economica nel Paese; le conseguenze nella regione della guerra in Siria e i rapporti tra la Chiesa maronita libanese e quelle della diaspora. Nel comunicato finale - ripreso dal quotidiano libanese “L’Orient le Jour” - i leader religiosi maroniti “constatano con dolore le difficoltà dell’esercizio della democrazia e del funzionamento delle istituzioni nel Paese, causate - affermano – da divisioni politiche e confessionali” e dalle varie appartenenze alle aree di influenza dei centri del potere regionali e internazionali. Tutto questo, denuncia il comunicato, “a scapito della felicità del popolo del Libano, del futuro dei suoi giovani, del suo posto nella regione e del suo ruolo come agente di progresso, di modernità, stabilità e pace". A nome di tutti i maroniti nel mondo, i leader religiosi della diaspora libanese richiamano quindi tutte le parti politiche ai loro doveri verso la Nazione: quello di promulgare al più presto una nuova legge elettorale “giusta e in grado di garantire l'unità nazionale e la convivenza” e quello di formare un nuovo governo “capace di affrontare le attuali sfide”. Riferendosi alla situazione socio-economica in Libano, la nota denuncia poi “la crisi sociale e il declino del tenore di vita della società libanese; il diffondersi della corruzione nel settore pubblico; l'aumento del debito estero; il calo dell'occupazione; l'aumento della criminalità; i rapimenti e l'uso delle armi”. Sul fronte esterno, si lamentano invece le gravi ripercussioni della guerra in Siria , in particolare l'afflusso massiccio di rifugiati siriani in Libano che non è in grado di accoglierli tutti. Di qui in conclusione il pressante appello ai leader politici libanesi a non anteporre “i loro interessi particolari all’interesse generale” e ai protagonisti della guerra siriana e alla comunità internazionale a trovare subito una soluzione pacifica al conflitto per consentire ai rifugiati di fare rientro nelle loro case. Durante i lavori ampio spazio è stato dato anche ai rapporti tra la Chiesa maronita libanese e le diocesi della diaspora. I partecipanti hanno espresso la volontà di rafforzare tali legami, sottolineando, a questo scopo, l’importanza di visite pastorali regolari dei vescovi libanesi nei vari Paesi della diaspora; di rafforzare il lavoro di apostolico soprattutto nelle Chiese maronite in America Latina e quindi di una formazione adeguata per il clero incaricato di questa missione. Essi hanno altresì chiesto di accelerare la traduzione dei testi liturgici della tradizione maronita nelle lingue parlate nei Paesi di immigrazione, come anche di quella del Catechismo della Chiesa maronita messa a punto negli Stati Uniti. Infine, dalla riunione è emersa la proposta di convocare un congresso maronita mondiale la cui preparazione sarebbe affidata alla Sede Patriarcale in Libano in coordinamento con le istituzioni maronite nel mondo. La prossima Assemblea assemblea generale dei vescovi e dei superiori religiosi maroniti delle due Americhe e di Francia è prevista a Città del Messico nel 2015. (L.Z.)

    inizio pagina

    Onu: i popoli indigeni dell'America Centrale esclusi dallo sviluppo

    ◊   Rappresentano complessivamente, oggi, il 15% della popolazione dell’America Centrale – ma in alcuni casi, come in Guatemala, sono il 40% – terra di cui custodiscono le origini. Ma i popoli indigeni della regione continuano ad essere esclusi dai processi di sviluppo e calpestati nei loro diritti fondamentali: è quanto constata un rapporto elaborato dall’Alto Commissariato dell’Onu per i driitti umani con l’aiuto di dirigenti nativi a cui è stato chiesto di formulare le raccomandazioni. Secondo il documento, che contiene dati su Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica e Panamá, in Centro America abitano circa 6 milioni di indigeni, divisi in 52 popoli principali; in Guatemala, dove sono circa 4 milioni e mezzo, hanno subito, tra l’altro, l’espropriazione delle terre in epoca coloniale, la brutalità del conflitto armato (1960-1996) e ora sono depredati dalle aziende che sfruttano le risorse naturali e promuovono mega progetti energetici. Uno scenario - riporta l'agenzia Misna - in cui predominano “conflitti sociali, incertezza, intimidazioni e attacchi ai dirigenti che reclamano i loro diritti e una risposta statale diretta all’autorizzazione delle espulsioni, molte delle quali realizzate in forma violenta”, si legge nello studio. Nel caso del Salvador, addirittura, “lo Stato non riconosce costituzionalmente l’esistenza dei popoli indigeni e, dunque, tanto meno riconosce i loro diritti collettivi come popolo”; anche in Nicaragua non sono riconosciuti dallo Stato, sebbene diverse comunità possiedano titoli di proprietà sulle terre in cui risiedono. In Honduras gli è negata la partecipazione alla vita politica e i loro territori sono spesso ceduti dallo Stato a privati senza alcuna consultazione; abusi che si ripetono in tutta la regione, anche in Costa Rica, dove il progetto di legge sull’autonomia dei popoli indigeni giace da 18 anni al Congresso. (R.P.)

    inizio pagina

    Egitto: incontro a Il Cairo tra Tawadros ed il rev.Tveit

    ◊   Incontro al Cairo tra Olav Fykse Tveit, segretario generale del Wcc, il Consiglio mondiale delle Chiese, con Tawadros II, patriarca della Chiesa copto-ortodossa. Nel corso del colloquio, secondo quanto riferito dal Wcc, il capo della Chiesa copta ha espresso speranza per il futuro del Paese e ribadito l’impegno a lavorare per la coesistenza pacifica tra tutte le comunità religiose del Paese. I copti cristiani - riporta l'agenzia Sir - rappresentano l’11% della popolazione egiziana che conta 80 milioni di persone ed a questo riguardo Tawadros II ha individuato nella collaborazione con i musulmani uno degli strumenti per fronteggiare l’emigrazione cristiana. Dal canto suo Olav Fykse Tveit ha rinnovato la sua preghiera “per la giustizia e la pace in Egitto. La dignità ed il welfare per i suoi cittadini, nell’Egitto del post-rivoluzione, è una speranza condivisa di tutta la Chiesa”. Dal segretario generale del Wcc è giunta anche la fiducia in Tawadros per il prosieguo del dialogo tra cristiani e musulmani per la ricerca della pace, della giustizia e della democrazia. Temi importanti e per questo scelti dal Wcc come slogan della sua prossima assemblea che si terrà a Busan in Corea, dal 30 ottobre all’8 novembre 2013. Dal 21 al 25 maggio, invece, a Beirut (Libano) il Wcc celebrerà un incontro sulla presenza cristiana in Medio Oriente. (R.P.)

    inizio pagina

    Mali: prorogata la missione militare francese. Al nord rivalità tra tuareg e arabi

    ◊   Con un voto unanime le due Camere del parlamento francese hanno approvato la prorogato dell’operazione militare Serval, avviata da Parigi in Mali lo scorso 11 gennaio. Come previsto dalla costituzione, superata la durata di quattro mesi ogni intervento militare all’estero deciso dal governo, deve ottenere l’autorizzazione dell’Assemblea nazionale e del senato. I 4.000 soldati dispiegati saranno ritirati dal Paese del Sahel in modo progressivo e a fine anno dovrebbero rimanere in mille per una durata indeterminata. Deputati e senatori hanno però ribadito l’urgenza che Bamako “provveda al consolidamento del processo di riconciliazione nazionale tramite un dialogo con il nord che ancora non è cominciato” così come alla “ricostruzione di uno Stato di diritto e di una classe dirigente”. In più occasioni Parigi e gli alleati del governo di transizione maliano hanno chiesto il rispetto della scadenza elettorale, con presidenziali in agenda per il mese di luglio. Entro quella data dovrebbero essere dispiegati migliaia di peacekeepers dell’Onu che prenderanno il testimone della Missione internazionale di sostegno al Mali (Misma), a comando africano. Mentre il parlamento francese si è pronunciato sul futuro dell’operazione Serval, che in poche settimane ha liberato le regioni settentrionali dell’ex colonia rimaste per un anno sotto il controllo di gruppi armati tuareg ed islamici, dal terreno sono giunte notizie contrastanti. A Ber, località a nord di Timbuctù presumibilmente passata nel fine settimana sotto il dominio del Movimento degli arabi dell’Azawad (Maa), la situazione rimane confusa anche perché le rivalità storiche tra comunità arabe e tuareg si sono riaccese. L’Maa ha denunciato saccheggi commessi a danni degli arabi da parte del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) mentre i tuareg dell’Mnla puntano il dito contro gli arabi, presunti responsabili del rapimento di Al Moustafa ag Mohamed, il figlio del marabutto di Ber. I rapitori hanno già chiesto un riscatto di 80 milioni di franchi Cfa. La comunità araba auspica un rapido dispiegamento dell’esercito maliano nei pressi di Timbuctù: uno scenario che i tuareg invece temono. A Kidal la situazione è altrettanto incerta dopo che tra 200 e 300 combattenti del Movimento islamico dell’Azawad (Mia), fazione dissidente del gruppo jihadista di Ansar Al Din, si sono raggruppati in un accampamento nei pressi del capoluogo nord-orientale. I tuareg, in posizione dominante a Kidal, sostengono che decine di giovani del Mia hanno “volontariamente raggiunto i ranghi dell’Mnla per garantire la sicurezza della città”. Per i capi del Mia si tratta invece di un “lavoro comune attuato con un comando militare congiunto” in vista di una prossima riunione politica e della prospettiva di colloqui con Bamako. A Gao è invece cominciato il dispiegamento delle forze di polizia maliane, di ritorno in città per la prima volta dall’avvenuta liberazione a fine gennaio del terzo capoluogo settentrionale. (R.P.)

    inizio pagina

    Mar Cinese meridionale e sviluppo economico al centro del summit dell'Asean

    ◊   Sicurezza e legami economico-commerciali saranno al centro della discussione del prossimo summit Asean, il 22mo nella storia dell'associazione che riunisce 10 Paesi del sud-est asiatico (Myanmar, Indonesia, Cambogia, Brunei, Filippine, Thailandia, Laos, Cambogia, Singapore e Malaysia). Il vertice - riporta l'agenzia AsiaNews - si aprirà domani nel sultanato del Brunei e dovrà fornire una linea comune sulle dispute territoriali nel mar Cinese meridionale, che hanno fatto fallire il precedente incontro a Phnom Penh. Le pressioni esercitate da Pechino sulla Cambogia, nazione ospitante, hanno infatti impedito di definire un criterio per la regolamentazione delle tensioni nell'area. I leader dei Paesi Asean invocano un "impegno continuo" con Pechino, per dirimere le tensioni accumulate negli ultimi anni e che rischiano di tradursi in un conflitto vero e proprio. In comunicato diffuso alla vigilia del summit, il presidente dell'assemblea sottolinea il proposito di "riaffermare l'impegno per una soluzione pacifica delle dispute, senza dover far ricorso a minacce o all'uso della forza". Il Brunei, Paese presidente di turno, auspica di poter raggiungere un "codice di condotta" vincolante a livello legale, che possa risolvere entro la fine dell'anno tutti i problemi relativi ai confini. Del resto anche l'incontro dei ministri degli Esteri Asean, tenuto due settimane fa in preparazione del summit, ha dedicato gran parte del tempo alle tensioni territoriali che vedono opposte Cina, Filippine, Vietnam e che coinvolgono anche Taiwan, Indonesia e Malaysia. I leader Asean non nascondono la loro preoccupazione anche per le tensioni nella penisola coreana, al centro di una crisi diplomatica e nucleare fra Seoul e Pyongyang. Essi invitano le parti a "dar prova di moderazione e rispettare appieno i loro doveri". In tema di economia, i partecipanti al vertice discuteranno di incentivi al commercio e investimenti per lo sviluppo. Continuano intanto i lavori per la creazione di un blocco comune - sullo stile dell'Unione europea - fra tutte le nazioni Asian da conseguire entro il 2015. (R.P.)

    inizio pagina

    Singapore: Congresso dei superiori maggiori del Sudest asiatico sul tema della tratta

    ◊   I religiosi del Sud-Est asiatico vogliono focalizzare più energie e attenzione sulla lotta al traffico di essere umani. L’impegno è scaturito dal 15° Congresso dei Superiori Maggiori della regione (Seams) che ha visto riuniti a Singapore 33 delegati in rappresentanza di 24 congregazioni religiose. L’incontro si tiene ogni tre anni per promuovere una più stretta collaborazione tra i religiosi nell’apostolato sociale. Al centro del Congresso di Singapore è stata appunto la tratta delle persone, un fenomeno criminale in netta crescita in tutto il mondo e in particolare nel continente asiatico. Secondo le organizzazioni per i diritti umani essa coinvolgerebbe almeno 27 milioni di persone in tutto il mondo, in particolare donne e bambini, mentre l’ultimo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) parla di circa 20,9 milioni di vittime della schiavitù. Una parte significativa di questi nuovi schiavi, 11,7 milioni di persone, viene proprio dalla regione dell’Asia e del Pacifico. Ed è stato questo dato – come ha spiegato padre Colin Tan, Superiore della regione Malesia-Singapore della Compagnia di Gesù, che ha guidato i lavori – a convincere i religiosi della regione a dedicare il Congresso a questo tema che è motivo di crescente preoccupazione per la Chiesa. Dall’incontro – spiega il comunicato finale ripreso dall’agenzia Ucan - è emersa la forte convinzione dei partecipanti che per combattere queste moderne forme di schiavitù non bastano iniziative isolate, ma occorre urgentemente un’azione coordinata tra le congregazioni religiose del continente. (L.Z.)

    inizio pagina

    Gmg Rio: i vescovi brasiliani portano a spalla la croce e l'icona di Maria

    ◊   Si è parlato anche di Giornata Mondiale della Gioventù nel corso della 51ª Assemblea generale della Cnbb, la Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb), che si è chiusa ad Aparecida, nello Stato di san Paolo. Per l’occasione - riferisce l'agenzia Sir - i presuli hanno accolto e portato a spalla i simboli della Gmg, la Croce dei giovani e l’icona di Maria, che stanno attraversando in pellegrinaggio lo Stato di san Paolo, prima di giungere a Rio de Janeiro sede della Gmg (23-28 luglio). Nel corso della conferenza stampa, che ha fatto seguito all’Assemblea, il presidente della Cnbb nonché arcivescovo di Aparecida, il card. Raymundo Damasceno, ha fatto il punto sul calendario papale della Gmg affermando che notizie certe si avranno alla fine di aprile al termine di una visita in Brasile da parte degli organizzatori dei viaggi papali. La plenaria dei vescovi ha di fatto chiuso i festeggiamenti voluti dal Comitato organizzatore locale (Col) della Gmg per celebrare i 100 giorni dall’inizio della Giornata. Questi si erano aperti con una Messa il 12 aprile nella cattedrale di Rio, ed erano proseguiti nei giorni seguenti, con feste, processioni, incontri, meeting sportivi nella spiaggia di Copacabana, con presenze di oltre 5000 persone. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 113

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.