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Sommario del 15/04/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: troppi martiri nella Chiesa vittime di calunnia, un atto che viene da Satana
  • Dal Papa il Patriarcato di Gerusalemme. Mons.Twal: uniti a Francesco per la pace in Medio Oriente
  • Il Papa a colloquio col premier spagnolo Rajoy su crisi economica e importanza della famiglia
  • Altre udienze e nomine
  • Papa Francesco nella Basilica di San Paolo: l'incoerenza mina la credibilità della Chiesa
  • Incontro alla Dottrina della Fede con le religiose Usa: confermata la “Valutazione dottrinale”
  • "In ascolto dell'Asia": il saluto del card. Filoni al convegno all'Urbaniana
  • Il card. Vegliò ai cappellani dell’aviazione civile: portate il Vangelo in tutte le periferie
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Venezuela: Maduro nuovo presidente, ma l'oppositore Capriles contesta il risultato
  • Somalia: a Mogadiscio torna la paura dopo gli attacchi degli islamici di al Shabaab
  • Grecia verso il salvataggio. Troika: bene attuazione del piano, ok aiuti a maggio
  • Crisi del matrimonio, a Milano incontro promosso dall'Università Europea
  • Signis, Congresso mondiale in ottobre a Beirut. Mons. Celli: media per una cultura di pace
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Iraq: il Paese sconvolto da una serie di attentati
  • Baghdad. Il patriarca Sako: i martiri irakeni "esempio e testimonianza di fede cristiana"
  • Centrafrica: scontri tra civili e ribelli. Djotodia eletto presidente
  • Sudan: espulso il segretario della Conferenza episcopale
  • India: la preoccupazione dei vescovi per la corsa agli armamenti
  • Cile: “Famiglia, pubblica istruzione e lavoro ben retribuito”, la preoccupazione della Chiesa
  • Colombia: diocesi di Tumaco minacciata da un gruppo armato
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: troppi martiri nella Chiesa vittime di calunnia, un atto che viene da Satana

    ◊   “La calunnia distrugge l’opera di Dio nelle persone”. Lo ha affermato questa mattina Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta nella cappella della Casa “S. Marta”, alla presenza, fra gli altri, di personale dei Servizi telefonici vaticani e dell’Ufficio Internet vaticano. Il Pontefice ha invitato a pregare per i tanti martiri che anche oggi sono falsamente accusati, perseguitati e uccisi in odio alla fede. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Stefano, il primo martire della Chiesa, è una vittima della calunnia. E la calunnia è peggio di un peccato: la calunnia è un’espressione diretta di Satana. Non usa mezzi termini Papa Francesco per stigmatizzare uno dei più spregevoli comportamenti umani. La lettura degli Atti degli Apostoli presenta Stefano, uno dei diaconi nominati, dai Discepoli, che viene trascinato davanti al Sinedrio per via della sua testimonianza al Vangelo, accompagnata da segni straordinari. E davanti al Sinedrio – si legge nel testo – compaiono ad accusare Stefano dei “falsi testimoni”. Sul punto, Papa Francesco è netto: poiché – nota – “non andava bene la lotta pulita, la lotta tra uomini buoni”, i nemici di Stefano hanno imboccato “la strada della lotta sporca: la calunnia”:

    “Noi tutti siamo peccatori: tutti. Abbiamo peccati. Ma la calunnia è un’altra cosa. E’ un peccato, sicuro, ma è un’altra cosa. La calunnia vuole distruggere l’opera di Dio; la calunnia nasce da una cosa molto cattiva: nasce dall’odio. E chi fa l’odio è Satana. La calunnia distrugge l’opera di Dio nelle persone, nelle anime. La calunnia utilizza la menzogna per andare avanti. E non dubitiamo, eh?: dove c’è calunnia c’è Satana, proprio lui”.

    Dal comportamento degli accusatori, Papa Francesco sposta l’attenzione su quello dell’accusato. Stefano, osserva, non ricambia menzogna con menzogna, “non vuole andare per quella strada per salvarsi. Lui guarda il Signore e obbedisce alla legge”, rimanendo nella pace e nella verità di Cristo. Ed è quanto, ribadisce, “succede nella storia della Chiesa”, perché dal primo martire a oggi numerosissimi sono gli esempi di chi ha testimoniato il Vangelo con estremo coraggio:

    “Ma il tempo dei martiri non è finito: anche oggi possiamo dire, in verità, che la Chiesa ha più martiri che nel tempo dei primi secoli. La Chiesa ha tanti uomini e donne che sono calunniati, che sono perseguitati, che sono ammazzati in odio a Gesù, in odio alla fede: questo è ammazzato perché insegna catechismo, questo viene ammazzato perché porta la croce… Oggi, in tanti Paesi, li calunniano, li perseguono… sono fratelli e sorelle nostri che oggi soffrono, in questo tempo dei martiri”.

    La nostra, ha ripetuto Papa Francesco”, “è un’epoca con più martiri che non quella dei primi secoli”. E un’epoca di così “tante turbolenze spirituali” ha richiamato alla mente del Pontefice l’immagine di un’icona russa antica di secoli, quella della Madonna che copre con il suo manto il popolo di Dio:

    “Noi preghiamo la Madonna che ci protegga, e nei tempi di turbolenza spirituale il posto più sicuro è sotto il manto della Madonna. E’ la mamma che cura la Chiesa. E in questo tempo di martiri, è lei un po’ – non so se si dice così, in italiano – la protagonista, la protagonista della protezione: è la mamma. (…) Diciamole con fede: ‘Sotto la tua protezione, Madre, è la Chiesa. Cura la Chiesa’”.

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    Dal Papa il Patriarcato di Gerusalemme. Mons.Twal: uniti a Francesco per la pace in Medio Oriente

    ◊   La pace in Medio Oriente, la situazione dei cristiani nell’area, ma anche la crisi siriana. Sono alcuni dei temi affrontati nell’udienza di oggi di Papa Francesco con Sua Beatitudine mons. Fouad Twal, patriarca di Gerusalemme dei Latini, accompagnato dai vicari e dal nuovo arcivescovo di Tunisi, mons. Ilario Antoniazzi. Un incontro che ha lasciato in tutti, segni di speranza e di gioia. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    “Oggi dal Papa è arrivato tutto il Patriarcato di Gerusalemme, i suoi vescovi ed i suoi giovani sacerdoti, sia per salutare il Pontefice sia per parlargli delle nostre realtà”: così mons. Fouad Twal ai nostri microfoni, al termine dell’incontro privato con Papa Francesco:

    “Io ero solo a colloquio con lui. Un uomo umile, grande, che ha il dono dell’ascolto, che non pretende di conoscere tutto, che vuole sapere per meglio aiutare la situazione. Una bella, bella impressione di un fratello…”.

    Noi preghiamo per lui, lui prega per noi, ma al centro del nostro colloquio c’è stata la situazione in Medio Oriente. Ancora mons. Fouad Twal:

    “Ho parlato della situazione del Medio Oriente, ho parlato anche dei rifugiati siriani: ho detto che la situazione non è così bella come uno può ritenerla da fuori. Ho parlato della situazione del Patriarcato e abbiamo parlato del Seminario - che è gremito, grazie a Dio - e dei pellegrini che non ci fanno sentire soli: sono tutti benvenuti!”.

    E’ auspicabile e possibile anche una visita del Papa in Medio Oriente…

    “Tutto è pensabile, tutto è possibile: dipende dal tempo, dalla situazione… Speriamo che venga, sì”.

    La fiducia che il Signore aiuta e sostiene il suo popolo non ci abbandona, dice il patriarca Twal, che al Papa ha chiesto una preghiera speciale per la pace, come conferma ai nostri microfoni mons. William Shomali, vescovo ausiliare del Patriarcato latino di Gerusalemme:

    “Noi chiediamo la sua preghiera per la pace in Terra Santa e lo Spirito Santo sicuramente gli ispirerà cosa dire e cosa fare. Peres lo visiterà alla fine del mese: sono sicuro che egli sussurrerà una parola buona anche a Peres. Noi crediamo che lui sia docile allo Spirito Santo: sono questi gli uomini che fanno la differenza nella vita degli altri. Abbiamo un Papa che ci conosce, che è un buon modello di fede, di carità... Bisogna veramente essere ottimisti: non c’è posto per il pessimismo”.

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    Il Papa a colloquio col premier spagnolo Rajoy su crisi economica e importanza della famiglia

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto, stamani, in Vaticano il presidente del governo spagnolo Mariano Rajoy Brey. Il colloquio, informa una nota della Sala Stampa, ha permesso uno scambio di vedute sulla “non facile situazione economico-finanziaria mondiale che la Spagna sta affrontando, come altri Paesi europei, e che ha provocato una grave crisi occupazionale, coinvolgendo molte famiglie, particolarmente i giovani”. In tale contesto, prosegue la nota, “è stata espressa la vicinanza della Chiesa e si è rilevato il notevole lavoro che sta compiendo la Caritas ed altre Associazioni caritative ecclesiali a favore dei più bisognosi”. Inoltre, si è fatto “riferimento all’attuale assetto politico-istituzionale del Paese, ravvisando la necessità di un dialogo nella società e tra tutte le sue componenti, basato sul rispetto reciproco e tenendo presente valori, quali la giustizia e la solidarietà, nella ricerca del bene comune”.

    Nel colloquio, ci si è soffermati anche sulle “buone relazioni bilaterali tra la Santa Sede e la Spagna che, nello spirito degli Accordi del ’79, sono andate sempre più consolidandosi, come pure su questioni di attualità e di interesse per la Chiesa nel Paese”. In particolare, prosegue la nota, “si è parlato dell’istituzione del matrimonio e della famiglia e dell’importanza dell’educazione religiosa”. Non è mancato, infine, “un riferimento alla situazione internazionale, con particolare attenzione all’America Latina”.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto stamani i presuli della Conferenza Episcopale del Triveneto, in Visita “ad Limina Apostolorum”.

    Il Santo Padre ha accolto le dimissioni presentate, per sopraggiunti limiti d’età, da S.E. Mons. Giuseppe Nazzaro, O.F.M., Vescovo titolare di Forma e Vicario Apostolico di Aleppo dei Latini. Il Santo Padre ha nominato il Rev. P. Georges Abou Khazen, O.F.M. all’ufficio di Amministratore Apostolico del medesimo Vicariato sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis.

    Il Santo Padre Francesco ha nominato il Card. Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Suo Inviato Speciale alle celebrazioni del IV centenario dell’arrivo dell’icona della Beata Vergine Maria a Budslau (Bielorussia), previste per i giorni 5 e 6 luglio 2013 nel Santuario Nazionale che si trova nel territorio dell’Arcidiocesi di Minsk-Mohilev.

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    Papa Francesco nella Basilica di San Paolo: l'incoerenza mina la credibilità della Chiesa

    ◊   Il Signore “ci invia ad annunciarlo con gioia come il Risorto”. E’ un forte invito alla testimonianza con la parola e con la vita, che Papa Francesco rivolge nella Messa presieduta ieri pomeriggio in occasione della sua prima visita alla Basilica di San Paolo fuori le Mura. A concelebrare con lui anche Dom Edmund Power, padre Abate dell’Abbazia di San Paolo e il cardinale James Michael Harvey, arciprete della Basilica papale, che gli ha rivolto un indirizzo di saluto. Numerosi i presenti. All’inizio il Pontefice è sostato in preghiera al Sepolcro di San Paolo e ha incensato il Trophæun dell’Apostolo. Il servizio di Debora Donnini:

    San Paolo ha annunciato il Signore con la parola, lo ha testimoniato con il martirio e lo ha adorato con tutto il cuore. Partendo dalla figura dell’Apostolo delle Genti, di Pietro e degli altri Apostoli, l’omelia di Papa Francesco si dipana su tre verbi: “Annunciare, testimoniare, adorare”. Riferendosi alla prima lettura, il Papa ricorda come gli Apostoli annuncino con coraggio quello che hanno ricevuto. Non li ferma il comando di tacere, non li ferma l’"essere flagellati” o “il venire incarcerati”. “E noi?”, si chiede il Papa:

    “Sappiamo parlare di Cristo, di ciò che rappresenta per noi, in famiglia, con le persone che fanno parte della nostra vita quotidiana? La fede nasce dall’ascolto, e si rafforza nell’annuncio”.

    L’incontro con Cristo dà una direzione nuova e dunque gli Apostoli rendono testimonianza anche con la vita. Nel Vangelo proclamato Cristo ricorda a Pietro che quando sarà vecchio, un altro lo porterà dove lui non vuole:

    “E’ una parola rivolta anzitutto a noi Pastori: non si può pascere il gregge di Dio se non si accetta di essere portati dalla volontà di Dio anche dove non vorremmo, se non si è disposti a testimoniare Cristo con il dono di noi stessi, senza riserve, senza calcoli, a volte anche a prezzo della nostra vita. Ma questo vale per tutti: il Vangelo va annunciato e testimoniato”.

    Come in un “grande affresco” vi sono tanti colori e sfumature, così certamente anche la testimonianza della fede ha tante forme. “Nel grande disegno di Dio” – afferma il Pontefice – ogni dettaglio è importante, anche la tua, la mia piccola e umile testimonianza, anche quella nascosta di chi vive con semplicità la sua fede nella quotidianità dei rapporti di famiglia, di lavoro, di amicizia”. “Ci sono i santi di tutti i giorni”, “i santi nascosti”, “una sorta di classe media della santità, come diceva uno scrittore francese”, “di cui tutti possiamo fare parte”. Ma, rileva ancora, “in varie parti del mondo c’è anche chi soffre, come Pietro e gli Apostoli a causa del Vangelo; c’è chi dona la sua vita per rimanere fedele a Cristo con una testimonianza segnata dal prezzo del sangue”. “Ricordiamolo bene tutti”, dice Papa Francesco: “Non si può annunciare il Vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della vita. Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca e rendere gloria a Dio”:

    “Mi viene in mente adesso un consiglio che San Francesco di Assisi dava ai suoi fratelli: 'Predicate il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole'. Predicare con la vita, la testimonianza. L’incoerenza dei fedeli e dei Pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere mina la credibilità della Chiesa”.

    Ma annunciare e testimoniare sono possibili solo se “siamo vicini a Lui”. “Questo è un punto importante per noi”, dice il Papa: “Vivere un rapporto intenso con Gesù, un’intimità di dialogo e di vita”. “Vorrei che ci ponessimo tutti una domanda: Tu, io, adoriamo il Signore?”, chiede Papa Francesco ricordando cosa significhi adorare il Signore: “Fermarci a dialogare con Lui”, “credere, non semplicemente a parole, che Lui solo guida veramente la nostra vita”, “vuol dire – prosegue il Pontefice – che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, della nostra storia”. Fare questo, spiega, ha una come conseguenza nella nostra vita di spogliarci dei “tanti idoli piccoli e grandi” nei quali molte volte “riponiamo la nostra sicurezza” e che spesso teniamo ben nascosti come “l’ambizione, il carrierismo, il gusto del successo, il mettere al centro se stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita” e ancora “qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri”:

    “Questa sera vorrei che una domanda risuonasse nel cuore di ciascuno di noi e che vi rispondessimo con sincerità: ho pensato io a quale idolo nascosto ho nella mia vita, che mi impedisce di adorare il Signore? Adorare è spogliarci dei nostri idoli anche quelli più nascosti, e scegliere il Signore come centro, come via maestra della nostra vita”.

    Il Signore “ci ha fatto il grande dono di sceglierci come suoi discepoli” e ci invita – conclude il Papa – ad annunciarlo come il Risorto con la parola e la testimonianza della nostra vita spogliandoci degli idoli e adorando Lui solo.

    Al termine della Messa, il Papa si è recato nella Cappella del Crocifisso per venerare l’icona della Madonna Theotokos Hodigitria (XIII secolo), davanti alla quale il 22 aprile 1541 Sant’Ignazio di Loyola e i suoi primi compagni fecero la loro professione religiosa solenne, evento fondamentale per la nascente Compagnia di Gesù.

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    Incontro alla Dottrina della Fede con le religiose Usa: confermata la “Valutazione dottrinale”

    ◊   Si è svolto oggi in Vaticano l’incontro tra il prefetto e i superiori della Congregazione per la Dottrina della Fede con la presidenza della Conferenza delle Superiori religiose degli Stati Uniti d’America (Lcwr). Presente all’incontro anche l’arcivescovo di Seattle, mons. Peter Sartain, delegato della Santa Sede per la Valutazione dottrinale della Conferenza. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    In una nota dopo l’incontro, si sottolinea che il prefetto della Congregazione, mons. Gerhard Müller, ha incontrato per la prima volta la presidenza della Conferenza delle superiori religiose americane e ha quindi espresso la sua gratitudine per il grande contribuito dato dalle religiose alla Chiesa negli Stati Uniti, in particolare attraverso scuole, ospedali e istituzioni per i poveri. Il prefetto ha, quindi, evidenziato quanto affermato dal Concilio Vaticano II sull’importante missione delle religiose nel promuovere una visione di comunione ecclesiale fondata nella fede in Gesù Cristo e sugli insegnamenti della Chiesa, come fedelmente insegnato nel tempo sotto la guida del Magistero.

    L’arcivescovo Müller ha poi ribadito che una Conferenza delle Superiori religiose come la Lcwr deve collaborare con la Conferenza episcopale locale e con i singoli vescovi. Per questo motivo, prosegue il comunicato, tali Conferenze restano sotto la direzione della Santa Sede. L’arcivescovo Müller ha dunque informato la presidenza delle religiose Usa di aver recentemente parlato della Valutazione dottrinale, stilata sull’organismo, con Papa Francesco, il quale ha riconfermato le conclusioni della Valutazione e il programma di riforma per la Conferenza delle superiori maggiori Usa. E’ sincero desiderio della Santa Sede, conclude la nota, che questo incontro aiuti a promuovere una testimonianza integrale delle religiose, basata sul solido fondamento della fede e dell’amore cristiano così da preservare e rafforzarla per l’arricchimento della Chiesa e della società nelle generazioni a venire.

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    "In ascolto dell'Asia": il saluto del card. Filoni al convegno all'Urbaniana

    ◊   "In ascolto dell'Asia: le vie per la fede, società e religioni, fra tradizione e contemporaneità" è il tema del Convegno Internazionale iniziato questa mattina presso la Pontificia Università Urbaniana (Puu). Il saluto inaugurale è stato rivolto dal card. Fernando Filoni, Gran Cancelliere della Puu e Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Il Convegno, che si tiene da oggi al 17 aprile, trae ispirazione dall’indizione dell’ anno della Fede da parte di Benedetto XVI con lo scopo di “rendere Dio nuovamente presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso alla Fede” (discorso del 27 gennaio 2012). Dopo aver ricordato di aver passato quasi vent’anni dei suoi trentadue al servizio della Sede Apostolica nel continente asiatico: dal Vicino Oriente, al Sub-continente Indiano, all’Estremo Oriente, passando per Paesi a maggioranza islamica, indu-buddisti, confuciani e cristiani - il card. Filoni si è chiesto perché l’Asia risponde apparentemente poco, almeno in termini percentuali, al messaggio del Vangelo, mentre sul piano del servizio in campo educativo, del servizio ai poveri e della difesa dei diritti umani la Chiesa gode di altissima stima? "Non si tratta qui di dare spiegazioni - ha osservato - a tale questione si dedica con passione e competenza la ricerca storica, ma di “Mettersi in ascolto dell’Asia”, come propone il tema del nostro Convegno. Se è vero che il continente asiatico è stato raggiunto dall’Europa dapprima per vie terresti e poi marittime, il concetto di aprire o percorrere “vie”, come in passato, rimane ancora oggi fondamentale e valido. L’Asia va percorsa, va conosciuta, va apprezzata (anche per quel feeling che si crea in chi l’adotta come sua terra), va stimata (penso al suo alto grado di civiltà) e, infine, va amata, direi come un corpo che mi appartiene. Credo - ha affermato il porporato - che non dissimili fossero i sentimenti che intimamente animarono i primi missionari, come li cogliamo da tante loro corrispondenze giacenti nei nostri archivi, e i missionari di oggi, nonostante le immense difficoltà e a volte le non piccole persecuzioni patite. Come sono esistite la via della seta, la via delle spezie, la via della cultura, eccetera, esiste anche la via della fede". "Mi piace - ha concluso il card. Filoni - che il nostro Convegno, in qualche modo, ripercorra “le vie della fede” in Asia con uno sguardo su “Società e Religioni”, aspetti che si intersecano in uno straordinario connubio, così intimamente da non apparire chiaro l’inizio o il termine dell’una e delle altre. “Tradizione e contemporaneità” poi ci permettono di apprendere quel legame che arriva all’oggi e forse ci darà modo di rendere più adeguato il nostro servizio al Vangelo". (R.P.)

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    Il card. Vegliò ai cappellani dell’aviazione civile: portate il Vangelo in tutte le periferie

    ◊   “Anche negli aeroporti c’è più che mai bisogno di ascoltare e vivere secondo la Parola di Dio”. E' quanto ha affermato il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, intervenendo al Seminario europeo, in corso a Cracovia, dei cappellani cattolici dell’aviazione civile e dei membri delle cappellanie. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    “Gli aeroporti – ha detto il cardinale Antonio Maria Vegliò – sono luoghi di fretta e concitazione, che non agevolano l’occasione di una sosta con Dio”. “Un momento di pausa e di preghiera, invece, permette a ciascun essere umano di fermarsi a riflettere e a porsi delle domande sul senso della vita, sul significato del bene e del male, e sulle conseguenze del proprio agire”. “Tutti noi – ha aggiunto il porporato – dobbiamo annunciare la Parola di Dio con generosità e dolcezza, soprattutto negli aeroporti dove lo stress del lavoro e del viaggio incidono sullo stato d’animo delle persone”. “Tuttavia, per poter annunciare efficacemente la Parola, bisogna averla accolta, fatta propria e, per essere convincenti, occorre viverla concretamente”.

    “Essere aperti a Dio – ha osservato il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti – porta ad essere aperti agli altri, come i cappellani d’aeroporto che esercitano il loro ministero fra persone di origine, cultura, religione e sensibilità diverse”. Con alcuni “si entra facilmente in sintonia”. “Nell’ascoltare altri, invece, si deve far ricorso a tutto quel bagaglio di conoscenza, di pazienza e di virtù che la Parola di Dio offre a ogni cappellano”. “La Parola di Dio – ha spiegato il porporato – infatti dà quella capacità e quella sicurezza che permettono di offrire comprensione e tenerezza, la sensibilità tanto evocata da Papa Francesco”.

    Anche nell’esercizio del ministero negli aeroporti è illuminante il pensiero espresso lo scorso mese di marzo, prima del Conclave, dall’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio, alle Congregazioni generali: “La Chiesa – affermava – è chiamata a uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali”. “Quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria”. Dopo aver sottolineato che “l’annuncio della Parola crea comunione e realizza la gioia”, il cardinale Antonio Maria Vegliò ha infine esortato i cappellani cattolici dell’aviazione civile a essere “comunicatori gioiosi del Vangelo”, perché la Parola di Dio arrivi ai cuori delle persone e in tutte le periferie, non solo geografiche, ma anche esistenziali.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Coerenza tra parola e vita: a San Paolo fuori le Mura il Papa invita ad abbandonare gli idoli per adorare il Signore.

    Una nuova occasione: in prima pagina, un articolo del presidente del governo spagnolo, Mariano Rajoy, ricevuto in udienza da Papa Francesco.

    Somalia sotto attacco: nell'informazione internazionale, la crisi del Paese africano colpito da una serie di attacchi.

    L’amara vittoria di Nicolás Maduro: un articolo di Giuseppe Fiorentino sull'esito delle elezioni in Venezuela.

    In ascolto dell'Asia: gli interventi del cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli, e del Magnifico Rettore Alberto Trevisiol al convegno internazionale organizzato dalla Pontificia Università Urbaniana.

    Sopravvissuti ai creditori del console: Jacques Charles-Gaffiot sulla mostra a Parigi “Le Trésor du Saint-Sépulcre”.

    Testimonianza e modernità per il futuro del Cile: messaggio dei presuli al termine della plenaria.

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    Oggi in Primo Piano



    Venezuela: Maduro nuovo presidente, ma l'oppositore Capriles contesta il risultato

    ◊   Vittoria di misura in Venezuela per Nicolas Maduro, delfino di Chavez, che ha ottenuto il 50,66% dei voti nelle presidenziali di ieri mentre lo sfidante Henrique Capriles ha raccolto il 49,07% dei consensi. Una differenza minima che ha indotto lo stesso Capriles a chiedere il riconteggio delle schede mentre Maduro ha parlato di una vittoria “giusta, legale e costituzionale”. Le forze armate hanno assicurato che garantiranno l’esito del voto. In attesa dell’insediamento, il prossimo 19 aprile, al neo capo di Stato stanno giungendo gli auguri delle cancellerie internazionali. Tra i primi, il presidente russo, Vladimir Putin, a seguire Cina e Argentina. L'Unione Europea ha "preso atto", ma ha chiesto che il risultato possa essere accettato da tutti. Il riconteggio potrà tuttavia cambiare l'esito annunciato? Benedetta Capelli ha girato la domanda a Loris Zanatta, docente di Storia dell’America Latina all’università di Bologna:

    R. – Il problema del riconteggio chiesto da Capriles, che è perfettamente comprensibile, è dovuto al fatto che il governo del Venezuela, sotto Chavez, ha preso il controllo assoluto di tutti gli organi che noi chiamiamo di garanzia, tra cui il Consiglio nazionale elettorale. Insomma, l’organo che deve vegliare sulla correttezza delle elezioni è un organo di parte e quindi sarà molto difficile che il riconteggio dei voti possa essere trasparente.

    D. – E’ un Paese che esce diviso da questo voto?

    R. – Il Venezuela è un Paese drammaticamente spaccato dall’ascesa di Chavez in poi e naturalmente da questo voto esce altrettanto diviso. Certo, il risultato ha un vincitore e uno sconfitto e paradossalmente il vincitore è lo sconfitto: il vincitore, Nicolas Maduro, pare avere i numeri per esercitare la presidenza della Repubblica, ma in realtà ha subito una sonora sconfitta. Per un regime politico che vuole una rivoluzione, e che conquista a malapena il 50% dei voti, pur controllando tutte le risorse politiche del Paese, è decisamente un fallimento.

    D. – Colpisce, infatti, il risultato di Capriles che, rispetto alle scorse presidenziali, ha addirittura incrementato di cinque punti. E allora, come leggere questo dato?

    R. – Il dato sta in diverse questioni. La prima è più evidente e ci dice che i risultati della cosiddetta rivoluzione "chavista" non sono affatto risultati straordinari, tutt’altro. Vale a dire che il Venezuela rimane un Paese con condizioni economiche drammatiche, con difficoltà di rifornimento di beni di prima necessità, con un elevatissimo tasso di criminalità, inflazione alle stelle e potrei continuare. Quindi, sicuramente c’è uno scontento generale molto grande. Naturalmente, poi, Nicolas Maduro non è Hugo Chavez. Infine, Henrique Capriles è stato capace di sviluppare un discorso politico moderato che va verso la riconciliazione del Paese e infatti ha conquistato moltissimi voti anche di ex-chavisti ed è andato a conquistare voti nei ceti popolari che avevano sempre votato Chavez.

    D. – Ha cavalcato poi alcune politiche sociali che avevano però dato il loro frutto in Venezuela…

    R. – Sicuramente, hanno dato il loro frutto, anche se non il frutto proporzionato alla grande quantità di ricchezza che il Venezuela ha potuto governare in questi anni. Quella ricchezza, però, avrebbe potuto essere usata in maniera molto più razionale, molto più sostenibile nel tempo.

    D. – Ci sono molte sfide che il nuovo presidente dovrà affrontare, come l’inflazione molto alta. Eppure, è il Venezuela un Paese che ha dalla sua parte notevoli ricchezze petrolifere. E’ veramente un paradosso in questo senso…

    R. – In questo, il governo di Chavez ha fatto quello che avevano fatto i governi democratici venezuelani quando il petrolio era alle stelle, negli anni Settanta, e cioè si è trovato con un’enorme ricchezza tra le mani e ciò che ha fatto è stato spendere, spendere, spendere senza badare agli equilibri macro-economici, senza badare alla sostenibilità del suo modello. Penso, comunque, che al di là della grande crisi economica, Nicolas Maduro avrà un altro problema, e il problema sarà che lui diventa presidente ma è un presidente "azzoppato": un po’ perché su di lui c’è l’ombra della frode elettorale e un po’ perché all’interno dello stesso movimento chavista, soprattutto i militari che sono i più potenti nel chavismo, faranno sentire la loro potenza.

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    Somalia: a Mogadiscio torna la paura dopo gli attacchi degli islamici di al Shabaab

    ◊   Sale a 35 il numero delle vittime civili dell’attacco sferrato ieri al tribunale di Mogadiscio. A rivendicare l’operazione sono gli insorti islamisti di al Shabaab. Dahir Amin Jesow, parlamentare a capo di una commissione per la sicurezza, ha dichiarato che il bilancio delle vittime potrebbe crescere, visto il numero dei feriti gravi. Tra le vittime ci sarebbero tre operatori umanitari della Mezza Luna Rossa. A perdere la vita nel corso dello scontro con le forze dell’ordine anche i nove attentatori. Stamattina è stata portata avanti un’importante operazione nel corso della quale sono state fermate più di 400 persone per essere interrogate. A dichiararlo all’Afp è stato Mohamed Hassan, funzionario di polizia. Centinaia di militari e poliziotti sono stati dispiegati nella città, e nelle arterie importanti sono stati disposti degli sbarramenti, per fermare e perquisire i passeggeri dei veicoli in transito. Ieri mattina, un commando armato ha fatto irruzione nella sede del tribunale. I nove attentatori hanno assaltato il tribunale lanciando bombe e sparando una raffica di pallottole. Poi l’esplosione di due autobombe. La prima, parcheggiata all’esterno del palazzo di giustizia, è esplosa all’arrivo degli agenti di sicurezza; la seconda esplosione si è verificata poco dopo lungo la strada che porta all’aeroporto, al passaggio di un convoglio di operatori umanitari turchi, non lontano da un palazzo delle forze di sicurezza. Questo è il peggior attacco degli ultimi mesi nella capitale somala, dopo che l’Amisom, la coalizione di forze somale, keniote e caschi verdi dell’Unione Africana, era riuscita ad arrestare l’avanzata dei ribelli antigovernativi. “I giovani”, traduzione letterale di al Shabaab, si sono ritirati nei villaggi e nelle zone rurali, da dove sono partiti attacchi mirati e attentati nelle principali città. “Un gesto di disperazione dei terroristi - ha dichiarato il presidente Hassan Sheikh Mohamoud – La Somalia progredisce e continuerà a progredire verso la pace e la stabilità”. (A cura di Elisa Sartarelli)

    Gli episodi accadono pochi giorni dopo il riconoscimento del governo somalo da parte del Fondo Monetario Internazionale, per l’avvio di finanziamenti destinati a risollevare il Paese distrutto da oltre 20 anni di guerre civili. "E’ emblematico – ha detto il vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, che siano stati colpiti obiettivi simbolo". Su quanto accaduto, Giancarlo La Vella ha intervistato Enrico Casale, esperto di Africa della rivista dei Gesuiti “Popoli”:

    R. – Considero questo attentato una risposta all’eccessivo ottimismo, che circonda da qualche mese la Somalia. Le milizie al-Shabaab erano state date per sconfitte dopo la loro cacciata da Mogadiscio e la conquista da parte delle forze kenyane di Kisimayo. In realtà, questi al-Shabaab che sono milizie fondamentaliste legate ad Al Qaeda, non sono state sconfitte, ma si sono ritirate nelle zone rurali, dalle quali continuano ad organizzare attentati contro il governo di Mogadiscio.

    D. – Quali sono gli interessi che gli al-Shabaab hanno in questo momento in Somalia?

    R. – L’interesse principale è il contrastare l’influenza delle potenze occidentali - penso soprattutto a Inghilterra, Stati Uniti e Francia - nel Corno d’Africa. Questo viene portato avanti attraverso, non tanto una guerra campale, perché in uno scontro aperto verrebbero di sicuro annientati, ma attraverso questi sanguinosissimi attentati, che minano alla stabilità delle nuove istituzioni somale. Ci sono voci, poi, che parlano di interessi nel settore petrolifero. Probabilmente ci sono al largo delle coste somale grandi giacimenti collegati a quelli della penisola araba. Quindi potrebbe esserci un interesse economico abbastanza grande. A questo si aggiunge il fatto che la Somalia, comunque, controlla una delle rotte commerciali più importanti del mondo, quella che conduce dall’Europa, attraverso il canale di Suez, all’Asia.

    D. – E’ importante, a questo punto, che la comunità internazionale continui a dare credito al governo di Mogadiscio?

    R. – Credo che sia l’unica soluzione, altrimenti si ripiomberebbe nel caos che ha dominato la Somalia negli ultimi 20 anni. Queste istituzioni, anche se non possiamo definirle democratiche nel senso occidentale del termine, sono comunque istituzioni stabili, riconosciute da gran parte dei clan somali e quindi potrebbero garantire un futuro. La comunità internazionale non ha alternative che sostenerle economicamente e sostenerle militarmente, attraverso l’appoggio della missione dell’Unione Africana, dell’Etiopia e del Kenya.

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    Grecia verso il salvataggio. Troika: bene attuazione del piano, ok aiuti a maggio

    ◊   Si è conclusa positivamente la missione di revisione in Grecia da parte della troika Ue-Bce-Fmi, che parla di efficacia delle politiche economiche e di bilancio richieste per rispettare gli obiettivi del programma di assistenza finanziaria, per cui il mese prossimo dovrebbe arrivare il via libera alla prossima tranche di aiuti, pari a 2,8 miliardi di euro. Sul piano messo in campo per il salvataggio, Salvatore Sabatino ha intervistato Carlo Altomonte, docente di Economia Politica Europea presso l’Università Bocconi di Milano:

    R. – La ricetta è quella brutale scelta dai partner europei: imporre, attraverso una grave e profonda recessione, un taglio del salario reale. I prezzi, quindi, scendono e i salari scendono più velocemente dei prezzi. Per quanto riguarda i settori che vengono venduti all’estero, il fatto che i prezzi interni scendano, li rendono più competitivi. La discesa dei salari, grazie alla disoccupazione, fa scendere il salario reale e, dunque, rende il costo del lavoro più basso in Grecia. Dopo anni di questa cura, quindi, pian pianino la Grecia si riprenderà.

    D. – Infatti, nel documento della troika si parla di graduale ritorno alla crescita già nel 2014. Questa ricetta, però, ha creato non pochi problemi alla popolazione greca...

    R. – Questa è una ricetta ovviamente pesantissima da un punto di vista sociale, che fa schizzare verso l’alto disoccupazione, manda in povertà ampie fasce della popolazione stessa e, in qualche modo sicuramente, aumenta le disparità all’interno del Paese. Al momento, però, è anche l’unica ricetta che sentiamo arrivare da Bruxelles.

    D. – Atene, a questo punto, può dirsi salva?

    R. – Lo dico già da un po’ che mi pare che ormai la decisione politica di salvare la Grecia sia stata presa più di un anno fa. Il problema è stato di come "vendere" questa decisione politica ai cittadini tedeschi, onde evitare che questo avesse delle conseguenze negative per le prospettive di rielezione della cancelliera Merkel. Quando l'elezione avrà luogo, a quel punto la Grecia avrà un percorso più morbido davanti.

    D. – Il salvataggio della Grecia, come ha detto anche lei, passa attraverso questo piano “lacrime e sangue” e ora si aprono crisi anche in altri Paesi. Può essere applicato un piano del genere anche ad altre nazioni, che stanno vivendo lo stesso disagio?

    R. – Di fatto è il piano che è stato applicato in Portogallo ed il piano che è stato applicato in Irlanda, con la differenza che l’Irlanda ha un’economia molto flessibile, molto aperta ai conti con l’estero. Il settore pubblico irlandese ha volontariamente accettato senza un giorno di sciopero il 20% di taglio del salario, accettando dei salari che nel Paese non erano sostenibili. Molto più difficile e lungo è l’aggiustamento del Portogallo, anche se oggettivamente nessuno dei due Paesi era nella condizione di default grave in cui si trovava l’economia ellenica.

    D. – Era, secondo lei, l’unica strada percorribile questa?

    R. – No, assolutamente no, perché il punto che continuiamo a non capire è che non è solo un problema di distribuzione media dei prezzi e dei salari, ma è anche un problema di riallocazione dei salari e dei prezzi all’interno dei settori. Tagliando il salario medio e il livello dei prezzi medi, imponiamo un costo a tutte le imprese e a tutti i cittadini. Eppure, noi abbiamo degli spazi di margine dentro l’economia: avremmo potuto mischiare meglio il lavoro con le imprese, i migliori lavoratori con le migliori imprese, riallocando meglio l’incontro tra imprese e lavoratori, rendendo più flessibile il mercato del lavoro, guadagnando in produttività attraverso riforme dal lato dell’offerta e non attraverso la compressione della domanda, e consentendo poi il tempo necessario che queste riforme abbiano luogo, perché ovviamente l’impatto sul deficit non sarebbe immediato... Probabilmente per la Grecia fino ad un certo punto non si poteva fare, perché la situazione nel Paese era davvero disperata. Ho paura, però, che se passa la ricetta greca e si dice che quella è la ricetta vincente, allora andremo ad imporre dei costi sociali insostenibili per tutti i Paesi che entrano in crisi. Secondo me, dobbiamo ancora lavorare sul migliorare l’efficienza di questo tipo di ricette di riforma, per minimizzare evidentemente i costi a carico della popolazione.

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    Crisi del matrimonio, a Milano incontro promosso dall'Università Europea

    ◊   I giovani scelgono sempre più la convivenza piuttosto che il matrimonio. Una situazione che ogni anno viene riconfermata dai dati statistici e alla quale è dedicato l’incontro questa sera presso l’Ambrosianeum di Milano organizzato tra gli altri dall’Università Europea di Roma. Il servizio è di Paolo Ondarza:

    Matrimonio e coppie di fatto. Una riflessione sulla crisi delle nozze, sempre meno scelte dai giovani a vantaggio di altre forme di convivenza. Ma perché? Risponde padre Luca Gallizia, pro-rettore dell’Università Europea di Roma:

    R. – Penso che spesso la convivenza sia una scelta premeditata e spesso una non scelta, un timore ad assumere un impegno definitivo: è un elemento di minore impegno, di minore responsabilità. Ricordo una delle risposte di Benedetto XVI nell’ultimo Incontro mondiale delle famiglie a due giovani fidanzati che esprimevano al Pontefice la preoccupazione di assumere un impegno come il matrimonio, che ha una caratteristica di definitività e indissolubilità. Ricordo che il Pontefice diede una risposta molto profonda, come sempre, sul valore dell’amore, che non dev’essere fondato soltanto sul sentimento, ma su una scelta che abbracci anche la volontà. Credo che sia questo un elemento importante.

    D. – Quindi, paura di un impegno “per sempre”: forse, ai giovani sono mancati anche degli esempi, in questo senso?

    R. – Certo. Io credo che, soprattutto nella generazione che li ha preceduti, l’esperienza di tanti fallimenti abbia avuto un peso importante. C’è anche un aspetto relativo alla legislazione che in Italia, ma anche in altri Paesi, sembra tendere ad una equiparazione tra il matrimonio e le coppie di fatto.

    Su questi temi il dibattito politico e legislativo in Italia è tuttora in corso. Sentiamo l’opinione di Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani:

    R. – Che il matrimonio, sociologicamente, sia in crisi non c’è alcun dubbio. Però, è un grave errore pensare che la crisi del matrimonio sia bilanciata dall’aumento delle coppie di fatto e possa essere risolta attraverso una normativa che regoli le coppie di fatto. Infatti, le coppie di fatto si fondano sostanzialmente sull’assenza di ogni progettazione del futuro, e in generale anche sull’assenza di intenzioni procreative. Il matrimonio, invece, da che mondo è mondo è l’unico istituto che garantisce con forza, strutturalmente, l’ordine delle generazioni.

    D. – Un calo dei matrimoni ed un aumento delle coppie di fatto, a che cosa porta?

    R. – Porta sicuramente a un esito preoccupante. Soltanto la famiglia, strutturata legalmente a partire dal matrimonio, garantisce tre funzioni sociali formidabili che nessun ordinamento statale riuscirà mai a garantire, e cioè: la formazione primaria delle nuove generazioni, la tutela economica e sociale dei membri deboli delle famiglie – per esempio, la tutela dei giovani disoccupati fino a quando non trovano lavoro o la tutela dei portatori di handicap – e infine, la tutela degli anziani. Per cui, indebolire la famiglia e togliere tutela alla famiglia da parte dello Stato è il segno di una cecità difficilmente immaginabile.

    D. – Perché i giovani preferiscono convivere?

    R. – Guardi, i giovani scelgono le convivenze perché la famiglia non è adeguatamente tutelata, perché non riescono ad avere la sicurezza economica e un insieme di prospettive sociali che renda ai loro occhi il matrimonio meritevole di interesse. In una società in cui la legislazione a favore della famiglia è ridotta al minimo, non ci dobbiamo meravigliare se i giovani rifuggono dal costruire nuove famiglie. Ma tutto questo, naturalmente, ha dei prezzi sociali e i giovani, purtroppo per loro, saranno chiamati a pagare questi prezzi con il passare degli anni.

    D. – Per quanto riguarda la situazione in Italia, che cosa si può dire in merito al dibattito sulle unioni civili? Recente è l’appello del presidente della Corte costituzionale affinché le Camere si occupino di questo argomento…

    R. – La Corte costituzionale non dovrebbe mai rivolgere appelli alle Camere, perché in tal modo si viola la doverosa separazione dei poteri: i giudici facciano i giudici e non facciano le legg, il parlamento faccia le leggi e non faccia il giudice. Il presidente della Corte non ha detto, perché non poteva dirlo, che nella nostra Costituzione ci sia un esplicito riconoscimento alle coppie di fatto. Per cui, questo appello del presidente della Corte costituzionale corrisponde a ideologie e a visioni del mondo diffuse nella società di oggi, ma di per sé non corrisponde al dettato e ai principi della nostra Carta fondamentale.

    D. – E’ giusto dire: “I tempi cambiano: la Costituzione rispondeva alle esigenze dei tempi in cui è stata scritta”?

    R. – Non è un affermazione sbagliata, ma deve farla il parlamento, non i giudici della Corte.

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    Signis, Congresso mondiale in ottobre a Beirut. Mons. Celli: media per una cultura di pace

    ◊   Media, pace, giovani: al centro del prossimo Congresso mondiale del Signis - associazione cattolica per la comunicazione, in programma a Beirut, in Libano, dal 20 al 23 ottobre 2013. L’evento è stato presentato stamane alla stampa nella sala Marconi della nostra emittente. Tra gli ospiti presenti, l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, che offre il suo patrocinio, e Augustine Loorthusamy, direttore del Signis. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “I media per una cultura di pace: creando immagini insieme alla nuova generazione”: il tema del Congresso mondiale del Signis, che vedrà riuniti a Beirut delegati di 140 Paesi, professionisti di radio, tv, video, cinema, Internet e nuove tecnologie. Una grande opportunità per dibattere e creare una cultura di pace tra nazioni, popoli, religioni, utilizzando le straordinarie potenzialità dei media – specie dei nuovi media – non ancora bene sfruttate per questo nobile scopo. Mons. Claudio Maria Celli:

    D. – E’ significativo che un simile congresso lo si faccia in Libano, in una società martoriata, in gravi difficoltà, dove ci sono popolazioni che hanno sperimentato e sperimentano ancora la sofferenza di tante tensioni e anche di una guerra. Mi sembra importante che Signis, come Associazione mondiale della comunicazione, voglia avere il proprio congresso in Libano e con una tematica che tocca fortemente un aspetto della comunicazione che è l’immaginazione. Infatti, il tema è proprio come creare immagini che coinvolgano e creino una cultura di pace. Noi del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali guardiamo con grande interesse a un simile Congresso. Lo vediamo e lo apprezziamo proprio in questa contestualità multireligiosa e multiculturale che è il Libano. E’ importante questo dialogo tra le religioni, tra gli uomini e le donne appartenenti alle varie religioni: un dialogo che vuole essere promotore di pace, di collaborazione, di ascolto, di rispetto. Ecco perché noi ci auguriamo ancora una volta che un simile Congresso possa essere l’espressione di questo dialogo rispettoso della verità degli altri, perché solamente con un simile atteggiamento noi possiamo porre le basi di uno sviluppo sociale, umano e più ricco, più coinvolgente gli uomini e le donne di oggi.

    D. – Si vuole dunque rivendicare un ruolo più attivo dei media per costruire culture di pace? I media oggi sono soprattutto impegnati a raccontare le guerre, quindi bisogna sottolineare che è necessario anche immaginare la pace…

    R. – Io penso che oggi la nostra cultura, che è una cultura digitale, veda come sua espressione particolare le reti sociali. Benedetto XVI ha dedicato quest’anno un suo Messaggio proprio allo sviluppo e all’utilizzo delle reti sociali come momento di dialogo umano, ma anche come momento di una più profonda evangelizzazione. Io credo che per noi discepoli del Signore Gesù sia significativo e sia un sfida il far sì che proprio attraverso i nuovi media, le nuove tecnologie – che creano un ambiente dove milioni di uomini e donne oggi si trovano a vivere – si possano utilizzare queste opportunità per creare una società più rispettosa dell’uomo e, direi, non passivamente rispettosa, ma attivamente promotrice dello sviluppo integrale della persona e di tutti gli uomini.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Iraq: il Paese sconvolto da una serie di attentati

    ◊   Una scia di attentati, tra attacchi suicidi ed esplosioni, sconvolge l’Iraq alla vigilia delle prime elezioni da quando le truppe americane hanno lasciato il Paese. Sale così ad almeno 30 morti e quasi 200 feriti il bilancio delle vittime che sono state colpite in sette diverse citta' irachene, tra cui Baghdad. Lo riferiscono funzionari locali e fonti ospedaliere. A nord della capitale stamane una serie di attentati ha causato 6 morti e oltre 70 feriti. Nella sola città di Touz Khourmatou, a circa 175 Km a nord di Baghdad, sono esplose tre autobombe e due esplosioni a Nassirya hanno ferito 14 persone. Altre autobombe hanno colpito anche le località di Falluja e Kirkuk. Fonti della polizia fanno sapere che un attentato suicida si sarebbe verificato anche nei pressi dell'aeroporto internazionale del Paese. Nessun movimento estremista ha ancora rivendicato la responsabilità' delle operazioni. Negli attacchi di ieri, invece, tra le vittime delle autobombe che hanno colpito le città di Mosul e Falluja, provocando 10 morti, c’era anche un candidato alle elezioni del prossimo 20 aprile, il tredicesimo dall’inizio della campagna elettorale. Tra le vittime degli attentati di questi giorni, anche uomini della polizia e agenti di sicurezza. Ieri a Mosul ( 400 Km a nord ovest di Baghdad), un'autobomba ha ucciso cinque poliziotti mentre ispezionavano il corpo di un uomo abbandonato sulla strada. Nei giorni scorsi a Baquba (60 km a nord della capitale) un ordigno è esploso davanti alla moschea sunnita uccidendo 12 persone. La lunga scia si sangue che ha colpito il Paese nelle ultime settimane, avviene a pochi giorni dal decimo anniversario dell’invasione americana del Paese ed è l’ultimo episodio di una serie interminabile di violenze che segnano una nazione divisa tra arabi, curdi, e turcomanni e dove i cristiani sono spesso vittime di vendette incrociate e giochi di potere. Dal 2003 al dicembre 2011, data del ritiro completo delle truppe Usa, sono morti 4500 soldati statunitensi e 300 alleati. Tuttavia la vera carneficina riguarda la popolazione civile irachena, che registra quasi 200.000 vittime dall’inizio della guerra. In questo contesto, le elezioni amministrative rappresentano un test decisivo per il governo del premier sciita Nuri al Maliki, candidato alle consultazioni legislative dell'anno prossimo. In attesa di rivendicazioni esplicite di questi attentati, si ricorda che i gruppi fondamentalisti armati sunniti avevano annunciato di voler sferrare una serie di attacchi anti-governativi a ridosso delle elezioni locali. (R.P.)

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    Baghdad. Il patriarca Sako: i martiri irakeni "esempio e testimonianza di fede cristiana"

    ◊   I martiri nella tradizione cristiana d'Oriente hanno un ruolo di primo piano e "le loro reliquie" sono "tesori preziosi" che rafforzano la fede. Essi rappresentano anche una "eredità spirituale viva" che apre le porte "alla vita e al futuro". È quanto ha sottolineato il patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako, durante l'omelia della messa celebrata ieri nella cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad. Nello stesso giorno in cui Papa Francesco ha lanciato un appello a favore dei martiri perseguitati nel mondo, ai quali augura di sentire "il conforto di Gesù Risorto, il Patriarca ha voluto recarsi "di sua iniziativa" nel luogo simbolo della violenza estremista islamica in Iraq. Il 31 ottobre del 2010 l'edificio è stato attaccato da un commando legato ad al Qaida, che ha compiuto una vera e propria carneficina: oltre 50 morti, fra i quali due giovani sacerdoti, e decine di feriti. Per i moltissimi fedeli presenti alla messa di ieri, presieduta da mons. Sako assieme a un gruppo di sacerdoti è un gesto ecumenico carico di "speranza". Il patriarca ha iniziato l'omelia spiegando il senso del suo "pellegrinaggio" alla chiesa dei martiri: "Vengo come pellegrino alla vostra cattedrale - ha sottolineato Mar Louis Raphael I Sako - la cattedrale gloriosa dei martiri, all'inizio del mio servizio patriarcale a Baghdad". Di seguito ha voluto ringraziare "sua eccellenza Mar Yousif Abba", arcivescovo siro-cattolico della capitale irakena, che definisce "fratello ed amico di studi nel seminario di Mosul, per permettermi di fare questo cammino in tutte le sue dimensioni spirituali. Conosco alcuni martiri della strage - ha aggiunto Mar Sako - soprattutto i due giovani sacerdoti, Tahir e Waseem, che hanno dato un ottimo esempio di servizio e sacrificio" per la Chiesa. Mons. Sako ha quindi evidenziato il ruolo dei martiri nella tradizione orientale: "Nella tradizione delle chiese orientali - ha detto - i martiri hanno un ruolo illustre, nelle preghiere e nei santuari del nostro Paese". "Cantiamo, nella lode e nei vespri di ogni giorno, per il loro coraggio, visitiamo le loro reliquie per ricevere la benedizione, perché esse sono 'tesori preziosi', come canta il rito caldeo. I martiri rappresentano un'eredità spirituale viva che ci apre nuove porte alla vita e al futuro". Nell'omelia del patriarca, il richiamo a Tertulliano, teologo del terzo secolo d.C., che parlando dei martiri sottolinea che "il loro sangue è seme di una vita nuova". "Nonostante la violenza che non è fonte di gloria agli occhi di Dio e non rende onore all'uomo - afferma il patriarca - questi martiri rimangono al vertice dei valori religiosi, come emblemi di pace, amore, servizio e sacrificio. Sono per noi segno di speranza della vita eterna. Con loro entriamo nel Mistero Pasquale, cioè quello della risurrezione di Cristo. Come non separiamo la morte di Cristo dalla sua risurrezione, così non separiamo la morte dalla risurrezione del martire". Mar Louis Raphael I Sako ha concluso la sua omelia incoraggiando i fedeli a seguire i passi dei martiri nel cammino pasquale: "Questo non deve avvenire a livello personale, ma come comunità e Chiesa che cammina in un percorso pasquale. Il nostro popolo deve vincere la paura e riprendere la forza per camminare verso la pace e la prosperità. La nostra Chiesa, quella irachena in modo particolare, è marchiata con il segno pasquale. Non è degno che si chiuda in se stessa, nelle sue difficoltà, ma deve capire - ha concluso il Patriarca - che è invitata dalla sua coscienza a cambiare la realtà e le sofferenze alla luce della Pasqua, della vita e del rinnovamento, con un impegno totale". (R.P.)

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    Centrafrica: scontri tra civili e ribelli. Djotodia eletto presidente

    ◊   Almeno 18 persone hanno perso la vita e decine di altre sono rimaste ferite negli scontri che si sono verificati durante il fine settimana a Bangui: lo riferiscono fonti della Croce Rossa, aggiungendo che anche i saccheggi sono continuati per due giorni. Fonti della polizia hanno invece sottolineato che le violenze si sono manifestate mentre erano in corso operazioni di ricerca di armi e munizioni. “Ci sono soldati e uomini armati ovunque e diversi civili cercano di scappare altrove” dice all’agenzia Fides mons. Dieudonné Nzapalainga arcivescovo di Bangui. Nei combattimenti è stato colpito da un colpo di lanciarazzi anche una chiesa protestante. “Sto facendo il giro delle aree interessate dagli scontri - ha detto mons. Nzapalainga - per verificare di persona le condizioni degli abitanti. La situazione è veramente caotica”. Ad innescare gli scontri - riferisce l'agenzia Misna - sarebbe stata l’uccisione di una donna raggiunta da una pallottola vagante esplosa da elementi della coalizione Seleka nella 7a circoscrizione di Bangui, nota come il quartiere Boy-Rabe. In segno di protesta per la morte della residente e per il perdurare dell’insicurezza gli abitanti del quartiere sono scesi per le strade, scontrandosi con i ribelli. Il generale Moussa Dhaffane, portavoce del governo, ha invece riferito che le violenze sono cominciate dopo i pattugliamenti della Seleka nei quartieri vicini a François Bozizé, dove “giovani armati dall’ex presidente hanno aperto il fuoco”. Sulla vicenda è intervenuto anche l’attuale uomo forte del Paese Michel Djotodia. “E’ colpa di un gruppo di individui che continua a sostenere il vecchio potere, vogliono far precipitare il Centrafrica in una guerra civile ma la gente non vuole che ciò accada” ha detto l’ex capo ribelle. Dalla destituzione di Bozizé, lo scorso 24 marzo, la Croce Rossa ha confermato il ritrovamento di 119 copri senza vita per le strade di Bangui mentre i feriti sarebbero più di 450. Al di là delle violenze, il fine settimana è stato segnato da sviluppi politici e istituzionali significativi. Durante la prima sessione del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), costituito venerdì, Djotodia è stato eletto presidente della Repubblica, ottenendo così una legittimazione istituzionale; è il primo musulmano designato alla guida del Paese a maggioranza cristiana. L’ex Capo di Stato si era autoproclamato presidente lo scorso 24 marzo. Nei prossimi 18 mesi dovrà traghettare il Centrafrica verso elezioni generali e nel suo primo discorso dopo il voto si è impegnato a lavorare per “ristabilire la sicurezza sul territorio nazionale, restaurare l’unità, ritrovare la pace sociale e far ripartire l’economia”. Del Cnt fanno parte 105 membri scelti nei ranghi della ribellione, delle forze politiche e della società civile, chiamati a legiferare come un’Assemblea costituente. Alcuni osservatori hanno sottolineato che questi passaggi istituzionali richiesti dai Paesi dell’Africa centrale e in parte previsti dagli accordi di pace firmati lo scorso 11 gennaio a Libreville potrebbero contribuire a far uscire il Paese dall’isolamento diplomatico. Dopo il colpo di stato il Centrafrica è stato sospeso dall’Unione Africana, dalla Comunità economica dei paesi dell’Africa centrale e dall’Organizzazione internazionale dei paesi francofoni (Oif). Una trentina di organizzazioni della società civile e della diaspora centrafricana ha già criticato la composizione del Cnt ma soprattutto le modalità di scelta dei suoi membri, “in totale contraddizione con il principio di concertazione consensuale e democratica”, chiedendo l’apertura di “consultazioni inclusive mediate dalla comunità internazionale”. (R.P.)

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    Sudan: espulso il segretario della Conferenza episcopale

    ◊   Il segretario generale della Conferenza episcopale del Sudan, padre Santino Maurino, è arrivato venerdì a Juba dopo essere stato espulso dalle autorità di Khartoum: lo dice all'agenzia Misna lo stesso religioso, sottolineando di essere stato costretto a lasciare il Paese insieme con alcuni missionari. “Gli ufficiali dei Servizi di sicurezza – sottolinea il religioso – non mi hanno notificato alcuna accusa ma mi hanno detto che se non avessi lasciato il Paese entro tre giorni avrei rischiato di finire in prigione”. Padre Maurino è stato espulso insieme con due lasalliani, di nazionalità egiziana e francese. I religiosi erano stati fermati e interrogati in relazione all’attività di un centro della Chiesa cattolica dove si insegna l’arabo ai missionari stranieri. “Questo episodio – dice padre Maurino – conferma le difficoltà crescenti per i religiosi e i fedeli cristiani che vivono a Khartoum, come me per lo più originari del Sud Sudan”. La Conferenza episcopale del Sudan è rimasta un organismo unitario nonostante la divisione del paese nel 2011, sei anni dopo la fine della guerra civile. Nel Nord, a maggioranza musulmana, ci sono solo due diocesi sebbene il Paese sia esteso su un milione e 886.000 chilometri quadrati. Molto differente la situazione al Sud, con un territorio di 620.000 chilometri quadrati ma sette vescovi e milioni di fedeli di religione cristiana. (R.P.)

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    India: la preoccupazione dei vescovi per la corsa agli armamenti

    ◊   “L’India, il più grande importatore di armi al mondo, e uno dei 24 Paesi che si sono astenuti nel votare a favore del trattato Onu sulla limitazione del commercio delle armi ha particolare bisogno di apprendere le giuste lezioni su quello che l’enciclica Pacem in Terris dice sulla corsa agli armamenti” affermano i vescovi dell’India in un documento presentato dalla Commissione episcopale “Giustizia e Pace” in occasione del 50esimo anniversario dell’enciclica di Papa Giovanni XXIII. Secondo gli estratti riportati dall’agenzia Ucan News e ripresi dalla Fides, i vescovi indiani sono particolarmente preoccupati per l’impatto sociale ed economico provocato dalla corsa degli armamenti. “La corsa agli armamenti priva i Paesi meno sviluppati del progresso sociale ed economico e crea un clima di paura”. “Quindi la giustizia, la retta ragione, e il riconoscimento della dignità umana gridano insistentemente per una cessazione della corsa agli armamenti” afferma il documento. Secondo l’ultimo rapporto del Stockholm International Peace Research, l’India è per il terzo anno consecutivo il maggior importatore mondiale di armi, rappresentando il 12% delle importazioni militari mondiali. (R.P.)

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    Cile: “Famiglia, pubblica istruzione e lavoro ben retribuito”, la preoccupazione della Chiesa

    ◊   "Siamo preoccupati per il presente e il futuro del nostro Paese” affermano i vescovi del Cile nel comunicato pubblicato al termine della loro 105ma Assemblea Plenaria svoltasi la scorsa settimana. “Invitiamo tutti i credenti a pregare per la pace e la giustizia, la comprensione e la cooperazione tra i popoli e per i temi che attualmente sono la preoccupazione di tutti, soprattutto di noi pastori: il salario minimo, i conflitti sindacali, la pubblica istruzione, la famiglia e il rispetto per la vita". Nel documento - riferisce l'agenzia Fides - si esprime la gioia della comunità cattolica per il nuovo Papa Francesco e l'impegno a pregare per la sua missione. Vista la forte partecipazione di sacerdoti provenienti da diversi parti del Paese, i vescovi hanno infine espresso il desiderio di "camminare insieme ai sacerdoti nel lavoro d'evangelizzazione in questo tempo di missione". (R.P.)

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    Colombia: diocesi di Tumaco minacciata da un gruppo armato

    ◊   In un comunicato pubblicato dalla diocesi di Tumaco (Colombia), si denuncia che la Commissione per la Pastorale sociale della diocesi è stata dichiarata "obiettivo e nemico militare permanente " da un movimento che si fa chiamare il "Grupo Armado Los Rastrojos". Nel comunicato s’informa che sono stati minacciati anche altre 94 organizzazioni sociali che lavorano per i diritti delle persone. "Il nostro impegno come Chiesa cattolica, si ispira alla Parola di Dio e nel messaggio di Gesù Cristo, quindi, il nostro dovere è stato, è e sarà difendere la vita, contribuire a costruire la pace e denunciare tutte le forme di violazione dei diritti umani", dice la nota. Il comunicato chiede al gruppo armato di rispettare il lavoro delle organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani e al governo di vigilare e garantire la sicurezza della popolazione e delle organizzazioni minacciate. La nota è stata inviata all'agenzia Fides dalla Conferenza episcopale della Colombia proprio quando nel Paese continua la campagna a favore del dialogo per la Pace. Le minacce di morte hanno un significato concreto in un Paese dove solo nelle prime 5 settimane del 2013 ben tre sacerdoti sono stati assassinati. Le cifre sono davvero impressionanti. Sono sempre di più gli operatori pastorali uccisi in Colombia dal 1984 ad oggi. Per la precisione, 83 sacerdoti, cinque religiose, tre religiosi, tre seminaristi, un arcivescovo e un vescovo. E a questi dati si possono affiancare anche i 17 vescovi e 52 sacerdoti che hanno subito minacce di morte. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 105

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.