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Sommario del 12/04/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ai teologi: si interpreta la Bibbia non da soli ma nel solco della tradizione
  • Papa Francesco: il trionfalismo, tentazione dei cristiani. Serve la grazia della perseveranza
  • Il Papa in visita alla Segreteria di Stato: "Grazie di cuore per il vostro grande lavoro"
  • Il Papa riceve i vescovi della Toscana. Mons. Giusti: i suoi gesti dicono più delle parole
  • Cortile dei Gentili, nuovi appuntamenti. Il card. Ravasi: a maggio saremo in Messico
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Prima storica visita di Bashir nel Sud Sudan: segni di distensione tra Juba e Khartoum
  • G8: accordo per debellare il fenomeno dello stupro in zone di guerra
  • L'Oms lancia un piano globale di vaccinazioni per salvare milioni di bambini
  • Gallo: Consulta spesso ignorata. Sulle unioni gay il commento di Mirabelli
  • 100 giorni alla Gmg di Rio. Mons. Tempesta: Brasile pronto all'abbraccio col Papa
  • Il card. Scola sulla libertà religiosa: senza questo diritto crollano tutti gli altri
  • Prende il via l’Osservatorio Media Etica dell’Unione Stampa Cattolica Italiana
  • Il Festival del Cinema Europeo apre una "finestra" sulla realtà israeliana
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Terra Santa: la percentuale dei cristiani nei Territori palestinesi si è dimezzata negli ultimi 13 anni
  • G8: reazioni contro Nord Corea in caso di test nucleari o attacco missilistico
  • Missione umanitaria in Nord Corea nello spirito di misericordia di Papa Francesco
  • Il Consiglio Mondiale delle Chiese chiede la fine delle tensioni nella penisola coreana
  • Iran: terremoto a Bushehr, si scava fra le macerie in cerca dei superstiti
  • Somalia. Mons. Bertin appena rientrato da Mogadiscio: "Ho visto segni di speranza"
  • Parigi. Il patriarca maronita Rai: la Primavera araba deve diventare “Primavera dell’uomo”
  • Centrafrica. Msf: è caos per saccheggi e rapine ad equipe mediche
  • Allarme per migliaia di profughi maliani in Mauritania
  • Zimbabwe: i vescovi dell’Africa australe chiedono elezioni libere e trasparenti
  • Nuovi movimenti religiosi: per il card. Koch "un fenomeno serio"
  • India: nel Kashmir arrestati due cristiani per false accuse di conversioni forzate
  • Vietnam: condannato un funzionario per l’esproprio alla “famiglia coraggio"
  • Papua Nuova Guinea: i vescovi chiedono al premier di combattere la corruzione
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ai teologi: si interpreta la Bibbia non da soli ma nel solco della tradizione

    ◊   “L’interpretazione delle Sacre Scritture non può essere solo uno sforzo scientifico individuale ma deve essere sempre confrontata e autenticata dalla Tradizione vivente della Chiesa”. Questa “norma decisiva per il corretto rapporto tra esegesi e Magistero”, è stata al centro del discorso che Papa Francesco ha rivolto ai membri della Pontificia Commissione Biblica in chiusura della Plenaria che si è svolta sul tema: ”Ispirazione e verità della Bibbia”. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Cosa sono le Sacre Scritture, quale il valore della tradizione e quale il ruolo dell’esegeta. Papa Francesco parlando ai membri della Pontifica Commissione Biblica si sofferma su temi fondamentali, “non solo per il singolo credente”ma “per la Chiesa intera” la cui vita e missione sono fondate sulla Parola di Dio, “anima della teologia e insieme ispiratrice dell’esistenza cristiana” .

    Come sappiamo, le Sacre Scritture sono la testimonianza in forma scritta della Parola divina, il memoriale canonico che attesta l'evento della Rivelazione. La Parola di Dio, dunque, precede ed eccede la Bibbia

    Ed è per questo motivo, spiega il Papa, che per comprendere la Scrittura è necessaria la costante presenza dello Spirito Santo, e la guida del Magistero come accaduto nella grande Tradizione e come sancito dal Concilio Vaticano II:

    “Il Concilio Vaticano II lo ha ribadito con grande chiarezza nella Costituzione dogmatica Dei Verbum: «Tutto quanto concerne il modo di interpretare la Scrittura è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio»”.

    C’è dunque un’unità inscindibile, prosegue il Pontefice citando ancora la Costituzione Conciliare, tra Sacra Scrittura e Tradizione, strettamente congiunte e comunicanti perché scaturiscono dalla stessa sorgente e tendono allo stesso fine. L’una e l’altra “ devono essere accettate e venerate con pari pietà e riverenza”:

    “Infatti, la Sacra Scrittura è Parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l'ispirazione dello Spirito Santo; invece la sacra Tradizione trasmette integralmente la Parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli Apostoli, ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano. In questo modo la Chiesa attinge la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura”.

    Ne consegue il ruolo che deve avere l’esegeta dei testi biblici: insufficiente ogni “interpretazione soggettiva”, sottolinea Papa Francesco, o un’analisi che non includa, quel senso globale creato nei secoli dalla Tradizione dell’intero Popolo di Dio:

    “L'interpretazione delle Sacre Scritture non può essere soltanto uno sforzo scientifico individuale, ma dev’essere sempre confrontata, inserita e autenticata dalla tradizione vivente della Chiesa. Questa norma è decisiva per precisare il corretto e reciproco rapporto tra l'esegesi e il Magistero della Chiesa”.

    Congedandosi dall’Assemblea che incoraggia nel suo prezioso lavoro, il Papa la affida alla Vergine Maria modello di docilità e obbedienza alla Parola di Dio:

    "Vi insegni ad accogliere pienamente la ricchezza inesauribile della Sacra Scrittura non soltanto attraverso la ricerca intellettuale, ma nella preghiera e in tutta la vostra vita di credenti, soprattutto in quest’Anno della fede, affinché il vostro lavoro contribuisca a far risplendere la luce della Sacra Scrittura nel cuore dei fedeli”.

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    Papa Francesco: il trionfalismo, tentazione dei cristiani. Serve la grazia della perseveranza

    ◊   Alla sequela di Cristo si cammina con perseveranza e senza trionfalismi. Lo ha affermato questa mattina Papa Francesco, nella Messa celebrata alla “Casa S. Marta”, alla presenza del personale della Libreria Editrice Vaticana, guidato dal direttore don Giuseppe Costa, della Farmacia e della profumeria vaticane. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Quando Dio tocca il cuore di una persona, dona una grazia che vale una vita, non compie una “magia” della durata di un attimo. Nella sua omelia, Papa Francesco ritorna al clima di agitazione immediatamente successivo alla morte di Gesù, quando i comportamenti e la predicazione degli Apostoli finiscono nel mirino di farisei e dottori della legge. Il Papa riprende le parole di Gamaliele, citate negli Atti degli Apostoli, un fariseo che mette in guardia il Sinedrio dall’attentare alla vita dei Discepoli di Cristo, poiché – ricorda – in passato il clamore suscitato da profeti rivelatisi falsi si era presto dissolto assieme ai loro proseliti. Il suggerimento di Gamaliele è di attendere e vedere cosa avverrà dei seguaci del Nazareno. Questo, osserva Papa Francesco, “è un consiglio saggio anche per la nostra vita, perché il tempo è il messaggero di Dio: Dio ci salva nel tempo, non nel momento. Qualche volta fa i miracoli, ma nella vita comune ci salva nel tempo”, ci salva “nella storia”, nella “storia personale” di ciascuno. Quindi, con arguzia, il Papa soggiunge: il Signore non si comporta “come una fata con la bacchetta magica: no”. Al contrario, dona “la grazia e dice, come diceva a tutti quelli che Lui guariva: ‘Va, cammina’. Lo dice anche a noi: ‘Cammina nella tua vita, dai testimonianza di tutto quello che il Signore fa con noi”.

    A questo punto, Papa Francesco nota “una grande tentazione” che si annida nella vita cristiana, “quella del trionfalismo”. “E’ una tentazione – afferma – che anche gli Apostoli hanno avuto”. L’ha avuta Pietro quando assicura solennemente che non rinnegherà il suo Signore. O il popolo dopo aver assistito alla moltiplicazione dei pani. “Il trionfalismo – asserisce il Pontefice – non è del Signore. Il Signore è entrato sulla Terra umilmente: ha fatto la sua vita per 30 anni, è cresciuto come un bambino normale, ha avuto la prova del lavoro, anche la prova della Croce. Poi, alla fine, è risorto”. Dunque, prosegue, “il Signore insegna che nella vita non è tutto magico, che il trionfalismo non è cristiano”. La vita del cristiano è fatta di una normalità vissuta però con Cristo, ogni giorno: “Questa – esorta Papa Francesco – è la grazia che dobbiamo chiedere: quella della perseveranza. Perseverare nel cammino del Signore, fino alla fine, tutti i giorni”. “Che il Signore – conclude – ci salvi dalle fantasie trionfalistiche”. “Il trionfalismo non è cristiano, non è del Signore. Il cammino di tutti i giorni, nella presenza di Dio, quella è la strada del Signore”.

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    Il Papa in visita alla Segreteria di Stato: "Grazie di cuore per il vostro grande lavoro"

    ◊   Una sincera e cordiale gratitudine per il lavoro svolto dalla Segreteria di Stato. E’ quanto stamani il Papa ha espresso nella sua visita al personale delle due sezioni dell’ufficio vaticano, circa 300 persone. Ad accompagnarlo nell’incontro, durato 50 minuti, il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone che ha rivolto a Papa Francesco parole di riconoscenza. Il servizio di Benedetta Capelli:

    Sono le 10 quando Papa Francesco viene accolto dal personale della Segreteria di Stato: “La famiglia dei suoi più vicini collaboratori”, la definisce il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Si tratta di quasi 300 persone. Tra loro, sacerdoti, religiosi e religiose, laici e laiche impegnati nelle due sezioni della Segreteria: la sezione degli Affari generali e la sezione dei Rapporti con gli Stati. Il personale ha accolto il Papa nella Biblioteca della Segreteria di Stato e qui ha ascoltato il suo sincero e affettuoso “grazie”:

    “Ringrazio voi per l’accoglienza nella Segreteria di Stato. Perché sono io oggi qui? Per ringraziarvi, perché so che in questi giorni – domani è un mese – voi avete lavorato di più, anche tante ore di più, e quello non si paga, perché avete lavorato con il cuore e questo si paga soltanto con un ‘grazie tante’, ma di cuore, pure, eh? Perciò sono voluto venire a salutarvi e a ringraziarvi uno ad uno per tutto questo lavoro che avete fatto. Grazie tante, di cuore. Grazie tante.

    Un saluto breve ma intenso, scandito più volte da quel “grazie”, che è un segno di riconoscenza profonda per i suoi collaboratori, per il lavoro compiuto, per l’impegno impagabile di servizio svolto da ogni membro della Segreteria di Stato che è a pieno titolo la “Segreteria del Papa”. Un gesto che arriva proprio ad un mese – domani – dall’inizio del Pontificato, segnato da uno slancio nuovo nella vita della Chiesa. Lo sottolinea lo stesso cardinale Tarcisio Bertone nel suo indirizzo di saluto:

    “Siamo riconoscenti della sua visita, siamo entusiasti dello slancio che ha impresso al ministero petrino e speriamo che pervada, che animi anche noi a svolgere la nostra missione non solo con diligenza, ma soprattutto con amore, con dedizione per il bene della Chiesa. Chiediamo la sua benedizione e assicuriamo la nostra devozione, la nostra fedeltà e la nostra quotidiana preghiera.

    Dopo aver impartito la benedizione, Papa Francesco si è intrattenuto con i presenti salutandoli personalmente.

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    Il Papa riceve i vescovi della Toscana. Mons. Giusti: i suoi gesti dicono più delle parole

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto stamani in udienza, così come ieri, un secondo gruppo di presuli della Toscana. Tra loro, anche mons. Simone Giusti, vescovo di Livorno che, al microfono di Luca Collodi, racconta l’emozione dell’incontro con il Santo Padre:

    R. – Bellissimo! Il Papa è veramente un uomo che sa ascoltare e come un buon padre sa consigliare. Ha voluto sapere i problemi delle nostre diocesi, della mia diocesi, e poi, come un buon padre, si è messo a dare alcuni consigli e incoraggiamenti. E’ stato un incontro veramente molto bello!

    D. – Come viene percepito questo Papa dai fedeli di una diocesi periferica, ma importante, come Livorno?

    R. – Mi hanno detto che lo capiscono, lo capiscono soprattutto con i gesti che compie e con le parole semplici che dice, ma soprattutto con i gesti che compie, che parlano molto di più delle parole.

    D. – Come vescovi toscani che cosa avete detto al Papa?

    R. – Abbiamo detto che in Toscana la fede permane. Il popolo rimane cattolico e, pur in una forte secolarizzazione e di fronte a spinte laiciste, la fede regge.

    D. – Il Papa ha promesso anche di visitare la diocesi di Livorno...

    R. – Sembra proprio di sì. Siamo rimasti d’accordo che gli devo mandare una lettera ufficiale e incominceremo a fare i preparativi, soprattutto perché l’anno prossimo, nel 2014, ricorre il 450.mo della proclamazione della Beata Vergine di Montenero come patrona principale di Livorno.

    D. – Il Papa che cosa vi ha affidato come pastorale?

    R. – I giovani. Ha detto: “Non fategli rubare la speranza. Il giovane è la persona che è piena di speranza per antonomasia e gliela stanno rubando. Fate sì che non gli rubino la speranza e la gioia di vivere”.

    D. – Quale potrà essere il ruolo delle parrocchie nel Pontificato che si annuncia del vescovo di Roma?

    R. – Il ruolo delle parrocchie è fondamentale perché, come si diceva con il Santo Padre, è la scuola elementare, la scuola materna, la scuola media per i nostri cristiani. Occorrono poi anche luoghi di formazione specifica, la testimonianza dei vari ambienti. Ecco l’importanza dell’Azione Cattolica, dell’Agesci, di tutte le aggregazioni legali, che danno la formazione più specifica per la testimonianza in tanti ambienti diversi.

    D. – Il Papa conosce la Toscana?

    R. – Sì, ha confessato che la mamma aveva dei parenti a Montecatini, a Pescia. Una zia proveniva da quella zona.

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    Cortile dei Gentili, nuovi appuntamenti. Il card. Ravasi: a maggio saremo in Messico

    ◊   Una nuova tappa italiana, a Catanzaro il 20 aprile, e la prima tappa nel continente americano, in Messico dal 6 al 9 maggio. Il "Cortile dei Gentili", la struttura vaticana dedicata al dialogo con i non credenti, ispirata da Benedetto XVI e inaugurata due anni fa dal Pontificio Consiglio della Cultura, riprende il suo cammino sotto il nuovo Pontificato. Tra le novità, illustrate oggi alla stampa dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero, anche l’introduzione nel sito Internet di una piattaforma di discussione online che promuove il dialogo sul web, la stessa utilizzata dal presidente statunitense Obama. Il servizio di Fabio Colagrande:

    Papa Francesco, nel primo percorso del suo ministero pastorale, ha mostrato di voler aprire il più possibile l’orizzonte dell’incontro parlando un linguaggio incisivo, capace di raggiungere l’intera comunità degli uomini e delle donne. Un linguaggio efficace anche perché – ha spiegato il cardinale Gianfranco Ravasi – realizza una coincidenza tra il "comunicatore" – il Papa – e ciò che viene "comunicato". ‘E’ proprio in questa prospettiva – spiega ancora il porporato – che si sviluppa il nuovo corso del Cortile dei Gentili:

    "Noi vorremmo con il Cortile dei Gentili, che finora ha avuto risultati alti, picchi, quasi, sui sentieri d’altura – la riflessione filosofica, la riflessione teologica, la riflessione sociale – vorremmo farlo inoltrare lungo la valle, cioè lungo gli orizzonti più quotidiani e semplici dove abbiamo già alcune presenze, come quelle dei bambini, dei giovani: ora però vorremmo entrare proprio nella città”.

    Sabato 20 aprile, il Cortile sarà a dunque a Catanzaro per proseguire la pista, inaugurata a Palermo, della riflessione sulla legalità, tenendo conto dei rapporti tra mafia e religiosità. Uomini di legge come Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino dialogheranno su "Etica, religiosità, corresponsabilità", tenendo conto delle particolarità del fenomeno della ‘ndrangheta e dunque delle responsabilità educative di Chiesa e famiglia:

    “Lì, la criminalità organizzata ha un tessuto molto sottile ma anche al tempo stesso molto forte, molto teso, soprattutto nell’ambito familiare. E quindi, si parte – in teoria – da un valore che dovrebbe essere quello della comunità familiare, che però viene plasmata e finalizzata - qualche volta drammaticamente, anche - al crimine”.

    Dal 6 al 9 maggio, il Cortile compie il primo viaggio extra-europeo in un Paese emblematico per il dialogo tra fede e cultura come il Messico, per l’87% composto da cattolici ma caratterizzato ancora, per motivi storici, da una vigorosa impronta anticlericale. Particolarmente importante il dialogo del 9 maggio presso l’Università “Unam” della capitale, coordinato dal filosofo messicano, Guillermo Hurtado – già presente ad Assisi all’incontro con Benedetto XVI – che vedrà confrontarsi il cardinale Ravasi con alcuni intellettuali atei:

    “Neppure l’arcivescovo di Città del Messico è mai entrato nell’interno di questo mondo che è fortemente secolarizzato ma anche, al tempo stesso, estremamente incuriosito di affacciarsi al di là dell’orizzonte loro ma anche al di là – persino – dell’Oceano, arrivando nella grande matrice della Chiesa cattolica che è, appunto, la Santa Sede”.

    A due anni dalla partenza a Parigi, il Cortile continua il suo viaggio che lo porterà prossimamente in Nord America e in America Latina e nell’ottobre prossimo di nuovo ad Assisi. A confermarne i buoni frutti un aneddoto del dopo-Conclave raccontato dallo stesso cardinale Ravasi:

    “L’evento emblematico è stato quello di un non credente che ha fermato la macchina, mentre io camminavo sul Lungotevere, è sceso e mi ha detto: ‘Guardi, io la conosco, la seguo però non sono credente. Continuo a non credere in Dio, però incomincio ad avere – dopo il vostro Conclave – qualche sospetto sull’esistenza dello Spirito Santo …”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il lavoro con il cuore non ha prezzo: l’incontro del Papa con la Segreteria di Stato.

    Una storia di salvezza: il Santo Padre alla Pontificia Commissione Biblica.

    Un articolo di Francesco Accrocca dal titolo “Francesco e la conferma del signor Papa”: a un mese dall’elezione di Papa Bergoglio, primo Pontefice ad avere scelto di assumere il nome del santo patrono d’Italia.

    Un maestro di pastorale: intervista di Nicola Gori all’arcivescovo Aurelio Poli, che racconta Jorge Mario Bergoglio, suo predecessore alla guida dell’arcidiocesi di Buenos Aires.

    Il pessimismo non fa per me: il cardinale Walter Kasper sui suoi ottant’anni.

    Immersi nella bellezza: anticipazione dell’introduzione del prefetto Cesare Pasini al secondo volume della Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana (dedicato agli anni tra il 1535 e il 1590) e il capitolo di Alessandro Zuccari sul cantiere pittorico della biblioteca sistina.

    Prima di lui la Finlandia era solo una renna: Luca Pellegrini a colloquio con il registra Aki Kaurismaki omaggiato dal Festival del Cinema Europeo di Lecce.

    Oltre la crisi insieme ai giovani: nell’informazione religiosa, il cardinale segretario di Stato per la Giornata dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, la disponibilità della Corea del Sud a dialogare con la Corea del Nord, mentre continua l’opera di mediazione degli Stati Uniti.

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    Oggi in Primo Piano



    Prima storica visita di Bashir nel Sud Sudan: segni di distensione tra Juba e Khartoum

    ◊   Storica visita del presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir a Juba, capitale del Sud Sudan; la prima da quando i due Paesi si sono separati, nel luglio del 2011. Ad accoglierlo, al suo arrivo, il leader di Khartoum ha trovato l'omologo Salva Kiir, ex comandante ribelle e suo acerrimo nemico durante gli anni della guerra civile. Una circostanza, questa, impensabile solo un anno fa, quando ancora si combatteva lungo la frontiera comune, e nelle aree rivendicate da ambedue i governi. Sull’importanza di questa visita, Salvatore Sabatino ha intervistato Gianni Ballarini, della rivista dei comboniani “Nigrizia”:

    R. – L’importante è che i due presidenti si vedano, s’incontrino per la prima volta, dopo le tensioni dei mesi scorsi e, quindi, si rasserenino i rapporti. Questo anche grazie all’accordo stipulato ad Addis Abeba nel marzo scorso, che ha messo in moto nuove energie e nuove speranze.

    D. – Proprio questi accordi, che sono stati firmati ad Addis Abeba, hanno raggiunto risultati molto importanti, però molte delle questioni sono rimaste irrisolte. Quali?

    R. – Intanto, hanno risolto una questione importante, che è quella riguardante il petrolio. Dal gennaio 2012, infatti, il Sud Sudan aveva bloccato la fornitura del petrolio al Sudan e quindi sia il Sud Sudan che il Sudan soffrivano terribilmente questa situazione, queste condizioni. Adesso il petrolio, da una decina di giorni, è ritornato a fluire verso il Nord. Le questioni importanti restano quelle precedenti all’indipendenza del Sud Sudan: fondamentalmente la questione Abyei, che è il luogo con la massima produzione di petrolio e che viene contestato da parte del Sud, perché non vuole che sia considerato del Nord, e da parte del Nord appunto che vuole tenerlo. I confini di Abyei restano ancora totalmente irrisolti.

    D. – Il Darfur - altra questione molto rilevante – oggi come si inserisce in questo contesto di difficile normalizzazione?

    R. – Il 7 e 8 aprile c’è stato questo incontro a Doha, in Qatar, dove i donatori internazionali hanno finanziato con 3 miliardi e mezzo la situazione in Darfur. Il Darfur, in questo momento, sta riesplodendo; tra l’altro sono passati 10 anni nel febbraio scorso dall’inizio del conflitto. C’è stata recentemente da parte di Bashir una mano tesa nei confronti dei ribelli del Darfur, con l’annuncio della liberazione dei detenuti politici, fra cui anche alcuni darfuriani, dalle carceri di Khartoum. Questo è stato interpretato anche come un segnale di distensione. Certo è che i conflitti che si sono registrati, soprattutto nel Nord e Darfur, nelle ultime settimane, alimentano tensioni e fanno capire che la situazione non è ancora assolutamente risolta e che appunto Khartoum ha un altro nodo con la parte occidentale del suo Paese.

    D. – Tutta questa instabilità causa ovviamente grandissime difficoltà alla popolazione, che vive in un contesto davvero drammatico. Oggi come si può definire la situazione in Sudan e Sud Sudan?

    R. – Nel Sud Sudan la situazione è molto grave, nel senso che, a causa anche del mancato introito dei proventi petroliferi, che è la prima fonte di reddito, a parte gli aiuti internazionali, del Sud Sudan, la popolazione ha sofferto terribilmente. Il governo non aveva risorse per coprire i bisogni elementari. Per quanto riguarda il Nord, anche lui ha sofferto la mancanza dell’arrivo del petrolio, perché con l’operazione dal Sud i tre quarti dei proventi petroliferi sono andati appunto al Sud e non sono rimasti al Nord. C’è, inoltre, una situazione di "primavera sudanese" incipiente, nel senso che ci sono le prime manifestazioni di studenti che si lamentano per le condizioni, per la situazione che vivono, di mancanza di libertà e di economia assolutamente fragile. Certo, il regime mette a tacere tutto questo e quindi è anche difficile capire la reale situazione.

    D. – La visita di Bashir è considerata a questo punto una tappa cruciale in questo lento, ma progressivo percorso verso l’uscita dalla crisi. Che cosa possiamo immaginare per il prossimo futuro?

    R. – Innanzitutto speriamo che si allentino le tensioni al confine fra il Nord e il Sud. Ci sono due Stati del Nord – il Sud Kordofan e il Nilo Azzurro – che sono attraversati dalla guerriglia e da conflitti alimentati anche dal Sud con i movimenti ribelli all’interno, che si ritengono, in qualche modo, oppressi e defraudati di un pensiero che loro avevano, cioè quello di restare uniti al Sud. Quindi, le tensioni che si sono scaricate lungo i confini tra Nord e Sud sono il problema principale, sono la priorità. L’accordo di Addis Abeba con la smilitarizzazione dei confini va anche in questa direzione, quella del rasserenare i rapporti anche dal punto di vista militare. Certo è impensabile che si possano sanare tutte le tensioni o ricucire tutte le fratture che ci sono in questo momento fra i due Paesi. E’, però, un segnale importantissimo.

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    G8: accordo per debellare il fenomeno dello stupro in zone di guerra

    ◊   I ministri degli Esteri del G8 hanno siglato un testo in cui la violenza sessuale viene definita una ''grave violazione della Convenzione di Ginevra” al pari di altri crimini. Inoltre, è stato sbloccato un pacchetto di fondi, pari a 27,5 milioni di euro, da impiegare nella prevenzione del drammatico fenomeno che, – come ha ricordato la testimonial Onu, l'attrice Angelina Jolie – ha colpito “centinaia di migliaia di donne e bambini nei conflitti della nostra generazione”. Fausta Speranza ne ha parlato con Elena Sciso, docente di Diritto internazionale all’Università Luiss:

    R. – Non è un accordo internazionale: è una semplice dichiarazione, una dichiarazione resa dai ministri degli Esteri dei Paesi che partecipano al G8.

    D. – Dunque, non è vincolante?

    R. – No, per ora no. E’ semplicemente una dichiarazione dei ministri degli Esteri dei Paesi del G8. Diventerà vincolante se e quando verrà negoziato, firmato e ratificato questo protocollo alle Convenzioni di Ginevra del 1949, che espressamente criminalizzi come "crimine di guerra" lo stupro contro le donne nel corso di un conflitto armato. Però, è significativo questo passo. L’idea che lo stupro o qualunque altra grave violenza sessuale nei confronti delle donne – violenza sessuale anche in generale, o gravidanza forzata – nel corso di un conflitto armato, sia equiparabile a un crimine di guerra non è un concetto nuovo, perché figura negli Statuti dei Tribunali penali internazionali, sia quello per la ex-Jugoslavia sia quello per il Rwanda, e soprattutto figura nell’art. 8 dello Statuto della Corte penale internazionale. Però, tra i Paesi del G8 ce ne sono alcuni che non fanno parte dello Statuto della Corte penale internazionale, in particolar modo gli Stati Uniti e la Federazione Russa. E quindi, sotto questo profilo la dichiarazione può avere anche questo valore.

    D. – Sono stati stanziati anche dei fondi. Come fare prevenzione sugli scenari di guerra, che sappiamo essere drammatici sotto tutti gli aspetti, compresi quelli del controllo del territorio?

    R. – Questo dipende dalle misure che gli Stati vorranno adottare. Potranno ispirarsi anche a risoluzioni specifiche che sono state adottate dal Consiglio di Sicurezza e che concernono proprio la protezione delle donne contro abusi sessuali, contro stupri, contro violenze nel corso di conflitti armati. Non so se questi aiuti saranno veicolati attraverso le agenzie delle Nazioni Unite che si occupano di questo problema, o se saranno aiuti messi a disposizione dei singoli Stati per l’adozione di misure legislative o di altre iniziative volte a promuovere questa attività di prevenzione.

    D. – Possiamo citare qualche scenario di guerra che è stato più colpito da questo fenomeno?

    R. – Uno fra tutti: il conflitto bosniaco. Lo statuto della Corte penale internazionale probabilmente ha fatto tesoro anche dell’esperienza del conflitto bosniaco, perché nello statuto si definisce "crimine di guerra" e in altri casi "crimine contro l’umanità" anche la gravidanza forzata o la sterilizzazione volta ad impedire le nascite all’interno di un gruppo, che addirittura viene qualificata come "genocidio". Casi ce ne sono stati veramente molti nel mondo, direi troppi, purtroppo. Quello a noi più vicino nel tempo, e anche geograficamente, è sicuramente il conflitto in Bosnia ed Erzegovina, nella ex-Jugoslavia.

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    L'Oms lancia un piano globale di vaccinazioni per salvare milioni di bambini

    ◊   Oltre due milioni di bambini in Africa e Asia che muoiono ogni anno per polmonite e diarrea si possono salvare con un piano integrato di vaccinazioni e interventi sanitari. Lo afferma l’Oms, Organizzazione Mondiale della Sanità, che ieri ha lanciato un piano per sradicare queste malattie nei prossimi dieci anni. Il servizio di Silvana Bassetti:

    Nei Paesi poveri, diarrea e polmonite compiono una vera e propria strage silenziosa tra i bambini sotto i cinque anni. Stando agli ultimi dati dell'Unicef e dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ogni anno diarrea e polmonite uccidono infatti due milioni di bambini, la stragrande maggioranza dei quali nei Paesi dell'Africa sub sahariana e dell'Asia del Sud. Ma adesso, un nuovo piano d'azione integrato vuole porre fine a questa strage entro il 2025. Marilena Viviani, vice direttrice dei partenariati nei programmi dell’Unicef, spiega così la nuova strategia del piano d’azione mondiale:

    R. - Questo nuovo piano di azione globale è stato fatto in maniera integrata. Adesso, ci sarà un’attuazione più coordinata, più collaborativa fra tutti responsabili della salute dei bambini, non solo le organizzazioni internazionali, ma tra i Paesi stessi, le istituzioni, i distretti, gli ambulatori e le comunità. Ci saranno degli interventi che vanno al di là di quelli strettamente sanitari, ma guardiamo anche alla nutrizione. Per esempio: sostenere di più l’allattamento al seno, la buona alimentazione e la nutrizione per i bambini, l’acqua potabile, l’igiene e le medicine come la vitamina "A", oltre ovviamente alla vaccinazione.

    D. - Quali sono gli obbiettivi e le scadenze?

    R. - Entro il 2025 vogliamo ridurre del 75 per cento il tasso di incidenza della polmonite, della diarrea e l’eliminazione dei decessi provocati da queste. Questo piano vuole che il 90 per cento dei bambini abbiano accesso agli antibiotici e ai sali per la per la reidratazione orale. Vorremmo che almeno la metà di tutti i bambini del mondo possano essere allattati esclusivamente al seno e che tutti i bambini possano avere accesso ai servizi igienici, all’acqua potabile e che il tasso di vaccinazione contro il pneumococco e la diarrea arrivi al 90 per cento.

    D. - La lotta contro la diarrea e la polmonite è infine anche una questione di equità e giustizia. Perché?

    R. - Perché sappiamo che la maggior parte dei bambini che muoiono a causa di queste malattie si trova non solo nei Paesi più poveri, ma anche nelle zone più povere dei Paesi con redditi più alti. Sappiamo che la povertà è una delle cause di queste malattie per la mancanza di strutture sanitarie, acqua, igiene e per il livello di istruzione delle madri.

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    Gallo: Consulta spesso ignorata. Sulle unioni gay il commento di Mirabelli

    ◊   Una ''raccomandazione'' a modificare l’attuale "legge elettorale'' à arrivata oggi dal presidente della Corte costituzionale, Franco Gallo, nel corso della relazione 2012 della Consulta. Gallo ha anche chiesto che il parlamento regolamenti le coppie omoesessuali. Alessandro Guarasci:

    La legge elettorale è al centro delle attenzioni della Consulta. Per il presidente Gallo, il "Porcellum" è un sistema che per alcuni aspetti, come il premio di maggioranza, è sospettato di incostituzionalità''. Anche per questo, bisogna cambiare. E il presidente Gallo invita a fare presto, perché su questo, come su tanti altri fronti, da parte della Corte Costituzionale sono arrivati molti “inviti” a cui “è spesso accaduto che il parlamento non abbia dato seguito”. Poi, un invito a legiferare sulle unioni tra persone dello stesso sesso, seppur “nei modi e nei limiti più opportuni”. Su questo aspetto, sentiamo il commento del prof. Cesare Mirabelli, presidente della Consulta nel 2000:

    R. – La giurisprudenza della Corte costituzionale riconosce che il matrimonio ha una particolare protezione costituzionale, ed è quello che l’art. 29 della Costituzione prevede e tutela come fondamento della famiglia. L’ipotesi nella quale ci si muove è quella della tutela di una formazione sociale, cioè nell’ambito dell’art. 2 della Costituzione, e quindi di un riconoscimento giuridico di rapporti di solidarietà. I risvolti che questo ha sono rimessi all’apprezzamento del legislatore.

    D. – Alcune organizzazioni omosessuali però dicono che la Costituzione quando parla di matrimonio non parla di unione tra uomo e donna. Lei come risponde?

    R. – Non immaginava certo il costituente il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ma, al di là di questo, ripeto, la Corte costituzionale nella sua giurisprudenza ha salvaguardato la famiglia in questa visione dell’art. 29 della Costituzione, e ha dato spazio all’unione di fatto, non solamente omosessuale ma anche alle unioni tra uomo e donna in stabile convivenza, come elemento solidaristico – quella che un tempo si diceva la "amiglia di fatto" – invitando a disciplinare in maniera precisa diritti e doveri che nascono tra le persone.

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    100 giorni alla Gmg di Rio. Mons. Tempesta: Brasile pronto all'abbraccio col Papa

    ◊   Conto alla rovescia per la Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro sul tema: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”, in programma dal 23 al 28 luglio in Brasile. Mancano esattamente 100 giorni all’arrivo di Papa Francesco e nel Paese sudamericano vanno avanti i preparativi per rendere la Gmg una festa della fede. Proprio l’importante evento è al centro della 51.ma Assemblea Generale della Conferenza episcopale brasiliana, in corso ad Aparecida. Tra gli altri temi in discussione per i 360 vescovi presenti c’è la vita della parrocchia. Su questo argomento, la riflessione di mons. Orani João Tempesta, arcivescovo di Rio de Janiero. L'intervista è dell’inviato della redazione portoghese Silvonei Protz:

    R. – E’ un tema proprio della Chiesa brasiliana: vogliamo che la parrocchia, tutte le parrocchie esistenti, siano presenti in tutto il territorio parrocchiale. Per questo abbiamo bisogno di avere, in tutte le parrocchie, una rete di comunità sia a livello geografico ma anche legato alle persone che animano la Chiesa locale. Allo stesso tempo dobbiamo cercare di continuare l’evangelizzazione per noi e per gli altri. Nelle parrocchie devono esistere i discepoli e i missionari e questi sono chiamati a vivere sempre una vita cristiana nella loro casa, nella loro missione, nel loro lavoro e nella città dove si trova la parrocchia.

    D. – La Gmg, la Giornata Mondiale della Gioventù, che si svolgerà a Rio de Janeiro il prossimo luglio, è anche tema di questa assemblea dei vescovi. Lei presenterà ai nostri vescovi la situazione attuale e la prospettive di questi mesi, di questi giorni che mancano fino all’arrivo del Santo Padre...

    R. – Sì, mancano 100 giorni alla Gmg e all’arrivo del Santo Padre. Devo dire ai vescovi a che punto si trova attualmente la Gmg, come arriveranno a Rio de Janeiro quelli che si trovano all’estero ed anche i vescovi brasiliani, perché noi vogliamo accogliere tutti nella maniera migliore. E credo che Rio de Janeiro e il Brasile accoglieranno tutti i giovani del mondo con gioia e con piacere.

    D. – Che Rio de Janeiro troverà il Santo Padre?

    R. – Una città che ha una popolazione cristiana, cattolica molto attiva e una città, come tutte le grandi città, con i suoi problemi sociali e con i suoi problemi di violenza, ma sarà la Chiesa a dire che si può fare un mondo nuovo, una società nuova con Cristo nel cuore dei giovani.

    D. – Il Brasile ama Papa Francesco...

    R. – Sì, si sente questo in Brasile anche nei giovani brasiliani, che aspettano con gioia e molta speranza Papa Francesco e che cercano di accoglierlo nel loro cuore. Amano, infatti, il nuovo Papa e lo vogliono accogliere con la gioia dei giovani brasiliani.

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    Il card. Scola sulla libertà religiosa: senza questo diritto crollano tutti gli altri

    ◊   Una riflessione sul pluralismo della società, sulla libertà religiosa e sullo spazio di Dio nel mondo di oggi. E’ il filone dell’ultimo libro del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, dal titolo “Non dimentichiamoci di Dio. Libertà di fedi, di culture e politica”, edito da Rizzoli, che sarà presentato martedì prossimo alle 18.30 presso l’Auditorium di Milano. Il libro affianca le celebrazioni dei 1.700 anni dell’Editto di Milano sulla libertà religiosa, promulgato da Costantino nel 313, che culmineranno con la visita alla Chiesa ambrosiana del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il 15 e 16 maggio. Al microfono di Luca Collodi, il cardinale Angelo Scola presenta il suo saggio:

    R. - Lo scopo del libro è far vedere che questo tema – quello della libertà di religioni e di culture, all’interno del quale si trova anche la visione di chi dice di essere agnostico o ateo – presenta oggi una serie di nuovi problemi che debbono essere affrontati. Altrimenti, se viene meno una libertà religiosa di culture e la politica non la garantisce, essendo questa libertà lo scalino più alto della scale dei diritti dell’uomo, questa rischia di crollare.

    D. - Lo Stato moderno davanti alla proposta religiosa deve essere indifferente o neutrale?

    R. - Deve essere aconfessionale, cioè non deve assumere nessuna visione del mondo. L’aconfessionalità dello Stato non deve significare un distacco indifferente nei confronti delle visioni del mondo, ivi comprese le religioni, ma in una società plurale deve favorire un confronto serrato tra tutte le religioni e tutte le visioni del mondo. L’aconfessionalità mi sembra il termine più efficace riferito alla Stato, piuttosto dei termini "indifferenza" o "neutralità" perché dice che lo Stato non si assume una visione particolare, ma favorisce il confronto tra tutte, in vista dell’individuazione di quei temi comuni, materiali e spirituali, che permettono una vita buona associata.

    D. - Quando si parla di temi come la nascita, il matrimonio, l’educazione, la morte, le società democratico-liberali, quindi gli Stati, sembrano non tener conto della proposta religiosa…

    R. - Esattamente. Questo perché, secondo me, manca questa preoccupazione di favorire ciò che all’interno della società civile è in atto. Ad esempio, nella società civile italiana, vediamo come su questi temi ci siano appunto soggetti personali e sociali che hanno un pensiero diverso e che si confrontano. Pensiamo a quello che è successo in Francia in questi ultimi mesi, ad esempio sulla questione dei matrimoni gay. Allora, lo Stato prima di legiferare deve ascoltare la società civile e, per ascoltarla, deve favorire in tutti i modi la libertà di un confronto reciproco tra le varie visioni, che sia teso a un riconoscimento per trovare la strada giusta. Poi, sarà compito dello Stato, nel rispetto dei diritti fondamentali di tutti, legiferare secondo ciò che la maggioranza dei cittadini decide, lasciando poi a tutti ovviamente la libertà dell’obiezione di coscienza, qualora una legge vada contro la propria coscienza.

    D. - Guardando ai Paesi dell’Africa, dell’Asia e anche ai Paesi a maggioranza musulmana, che cosa significa parlare di libertà religiosa. Spesso, invece, si parla di persecuzione dei cristiani…

    R. - Certo. Ma questo è uno degli elementi che mi ha spinto a sviluppare questo libro e a intitolarlo con questa esortazione “Non dimentichiamoci di Dio!”, perché secondo me non possiamo non interrogarci sulla situazione che molti uomini di religioni, non solo cristiani, vivono tragicamente in tanti Paesi a maggioranza musulmana, o comunque in tanti Paesi che si proclamano a regime ateo. È compito dell’Occidente, che è ancora un luogo di libertà, approfondire tutte le nuove problematiche che si legano a questo tema. E affrontandoli, noi possiamo anche aiutare, ad esempio, i Paesi dell’islam ad accogliere il principio della libertà di conversione che non viene accolto. Io non propugno nessun ritorno al passato. Cerco solamente di porre sul tappeto dei problemi, antichi luoghi irrisolti, legati a questo tema della libertà religiosa che si trova in cima alla scala dei diritti. Se viene meno la realizzazione di un’effettiva libertà di religione e di cultura, e se la politica non asseconda questo, tutta la scala dei diritti rischia di crollare.

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    Prende il via l’Osservatorio Media Etica dell’Unione Stampa Cattolica Italiana

    ◊   L’Ucsi, Unione Stampa Cattolica Italiana ha lanciato l’Osservatorio di Media Etica, con il dibattito dedicato all’informazione politica che si è tenuto mercoledì scorso a Roma, presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana. All’incontro hanno preso parte il rettore dell’Università Suor Orsola di Napoli, D’Alessandro, il professore Mazzoleni dell’Università di studi di Milano, i direttori di "Il Mattino", "Rainews", "Avvenire" e padre Occhetta, scrittore di "Civiltà Cattolica". A seguire il dibattito c'era Fausta Speranza:

    Un working progress di riflessioni: così il presidente nazionale dell’Ucsi, Andrea Melodia, presenta l’Osservatorio Media Etica. Un percorso di riflessione che l’Ucsi pensava da tempo e che toccherà tematiche ogni volta diverse. La prima tocca il nervo sensibile del rapporto tra giornalismo e politica. Termini come autonomia, competenza sembrano mortificati da circoli viziosi di un’informazione che non soddisfa, tra spettacolarizzazione e assenza di domande vere agli interlocutori. Il problema vero - dice Monica Maggioni direttore di Rainews - non è la rivoluzione data da Internet, ma la perdita di credibilità di tanta parte della classe giornalistica". "Negli Usa – sottolinea – i giornalisti chiedono conto ai politici delle promesse fatte, restano vigilanti". Il direttore de "Il Mattino", Alessandro Barbano, parla di “troppa aria fritta” nei palinsesti di giornali e soprattutto tv e di vizio di “tatticismo”. Ai nostri microfoni lo spiega così:

    R. – Innanzitutto, il giornalismo è malato di ipertrofia perché c’è una domanda di informazione politica che è inferiore all’offerta di informazione politica. E’ chiaro che poi l’overdose di offerta politica contribuisce a tenere su la domanda. Però, i cittadini hanno bisogno anche di altro. E poi, certamente, è un giornalismo che intreccia il lessico della politica e gli interessi della politica, che finiscono per diventare gli interessi del giornalismo. Questa è una patologia che oggi non è più ascrivibile al condizionamento da parte dei poteri, ma è ascrivibile al fatto che i giornalisti politici frequentano e vivono lo stesso sistema e quindi declinano nelle stesse forme le domande - o quelle che credono essere le domande - dei cittadini. Si vede, per esempio, di fronte alle inconcludenze e al tatticismo di una crisi che va avanti da tanto tempo come il giornalismo faccia fatica a differenziarsi e a creare elementi di contraddizione, ma finisca per seguire appunto le singole tappe di questo inconcludente tatticismo che ha lasciato le aule del parlamento per trasferirsi nella "repubblica virtuale", nella repubblica mediatica.

    D. – La via, però, non può essere quella di far fuori i giornalisti, disprezzarli, non incontrarli e rifiutare di parlarci…

    R. – No. La via non è questa. Ma guardando a quello che dobbiamo fare noi giornalisti, per quello che ci riguarda, noi dovremmo cercare di porci più domande e di verificare quanto nel lessico e nella comunicazione politica tocchi gli interessi dei cittadini.

    Il direttore di "Avvenire", Marco Tarquinio, racconta l’impegno a distinguersi con notizie di profondo impatto sociale che non trovano molto spazio sui media perché non si prestano alla spettacolarizzazione ma che – sottolinea – invece la gente vorrebbe di più. Il gesuita padre Francesco Occhetta, che dell’Ucsi è assistente spirituale, raccomanda ai giornalisti di essere “contemplativi”:

    R. – Perché la velocità del tempo e delle azioni, quindi la sovrapposizione anche di tante informazioni, ha bisogno – per non farci confondere – di fermarci e di andare oltre, di vedere cosa c’è alla radice, in profondità. Lì c’è in gioco la democrazia. Lì possiamo capire quale modello d’uomo vogliamo servire, quale società vogliamo vivere, come vogliamo convivere. Altrimenti, sono frecce che ci arrivano e ci paralizzano. Questo è un lavoro che possiamo fare solo scegliendo.

    D. – Di fronte alla disaffezione palpabile nei confronti della politica, ma anche nei confronti di un certo giornalismo o dei giornalisti, che cosa fare da giornalisti responsabili?

    R. – Ci sono molti giornalisti responsabili. Io propongo di raccontare i territori, le politiche che escono da lì, di raccontare lo stato sociale e di promuoverlo, più che lo stato liberale che di per sé è in crisi con la democrazia rappresentativa, di cui ha sganciato le dimensioni. E di capire verso dove stiamo orientando l’uomo nel servizio al bene comune. Questo mi sembra sia ancora prioritario per noi. Molti giornalisti lo fanno. Ai giornalisti più potenti e prepotenti, invece, spesso questo non interessa.

    Fermarsi a riflettere per un’informazione davvero all’altezza delle urgenze politiche attuali. Con un interrogativo: come formare i giornalisti di domani? Lo chiediamo al rettore dell’Università Suor Orsola, che ha tra i suoi corsi la scuola di giornalismo, Lucio D’Alessandro:

    R. – I giornalisti di domani devono avere un arco molto ampio davanti a loro dell’idea di politica. Un arco in cui ricordare che nella politica c’è una varietà di domande alle quali bisogna rispondere, un arco che non riguardi solo le istituzioni – i cosiddetti "palazzi" – ma riguarda anche i molti luoghi e le molte piazze e anche i vicoli della vita di ciascuno. Un arco anche geografico ampio: in genere, i nostri giornalisti guardano un po’ troppo al cortile di casa nostra, mentre c’è un grande mondo che ci coinvolge e del quale siamo parte e del quale il cittadino non può non sentirsi fortemente parte. Un arco anche storico, di profondità storica: il giornalista dev’essere capace di mettere in prospettiva storica le cose di cui parla. E infine, un arco valoriale, quell’arco che ogni tanto fa scattare quel sistema di campanelli per cui qualcosa va o qualcosa non va, o comunque su qualcosa c’è allarme.

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    Il Festival del Cinema Europeo apre una "finestra" sulla realtà israeliana

    ◊   Si sta svolgendo a Lecce, fino a domenica prossima, la 14.ma edizione del Festival del Cinema Europeo: registi provenienti da molti paesi del continente offrono visioni che aiutano il pubblico a scoprire la terra in cui vivono, i valori che la animano, le difficoltà che la segnano. Una sezione è dedicata anche al “Cinema della realtà”, con una scelta di documentari sul tema dell’immigrazione, affiancata da “Cinema e Mediterraneo”, quest’anno dedicata a Israele. Il servizio di Luca Pellegrini:

    L’Europa, assieme all’Africa e al Medio Oriente, stringe le acque del Mediterraneo. La penisola italiana e, a maggior ragione, quella salentina in Puglia, hanno sempre guardato alle altre sponde, per ragioni diverse: commercio, cultura, religione. Per questa ragione, in un Festival dedicato al cinema del continente europeo come quello di Lecce – che ha messo in campo una splendida retrospettiva dedicata al regista finlandese Aki Kaurismäki e un concorso con opere provenienti da dieci Paesi europei – è stata aperta una finestra interessante sul cinema israeliano contemporaneo, che presenta lungometraggi e documentari: un segnale della vivacità, anche critica, che anima la comunità dei registi di Israele. Attraverso il loro lavoro la società israeliana si fa conoscere anche nella sua complessità e nelle tensioni che ancora in modo tragico feriscono quella terra. Abbiamo chiesto a Ofra Fahri, addetta culturale dell’ambasciata d’Israele presso l’Italia, che ha curato la scelta dei film in programma, quale immagine del suo Paese viene a conoscere il pubblico.

    R. - Sono state scelte delle pellicole rappresentative degli ultimi dieci anni, perché questi film non sono mai stati proiettati qui, capaci di rivisitare il rapporto della società israeliana nei confronti di argomenti importanti, come la religione, i conflitti politici, argomenti sociali, il mondo omosessuale e la capacità di integrazione, perché in Israele abbiamo tanti migranti di diverse popolazioni.

    D. - Secondo lei, il cinema israeliano riesce ad affrontare con serenità e lucidità la crisi politica e sociale che il Medio Oriente sta attraversando?

    R. - L’Israele non fa parte veramente della "primavera araba", noi abbiamo sempre i nostri conflitti. Se si dà uno sguardo alla filmografia israeliana in modo molto chiaro, ci si rende conto di una grande sensibilità: vengono affrontati diversi argomenti in questo momento di difficoltà nel Medio Oriente, sia nei documentari - certamente si tratta di un lavoro un po’ diverso – ma anche nei film. Gli artisti israeliani riescono ad entrare nelle situazioni più complesse, con un occhio diverso – molto critico anche verso il governo, devo dire la verità – accurato e sensibile. Sicuramente, siamo tutti noi, come anche il pubblico, a ricevere un grande regale e un bel vantaggio da tutto questo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Terra Santa: la percentuale dei cristiani nei Territori palestinesi si è dimezzata negli ultimi 13 anni

    ◊   La percentuale dei cristiani in seno alla popolazione dei Territori palestinesi si è dimezzata dal 2000 ad oggi, passando dal 2% all'1% nell'arco degli ultimi 13 anni. E a Gerusalemme, dove nel 1948 vivevano 27 mila cristiani, oggi i battezzati sono circa 5mila. Sono alcuni dei dati raccolti dalle ricerche del professore cristiano palestinese Hanna Issa, docente di Diritto internazionale e segretario generale de Comitato cristiano-islamico per la tutela di Gerusalemme e dei Luoghi Santi, che sulla base dei suoi studi ha spesso definito la diminuzione dei cristiani in Medio Oriente come “un disastro sociale”. In un testo di sintesi preparato da Issa – pervenuto all'agenzia Fides – si riferisce che attualmente i cristiani sparsi nei Territori palestinesi occupati da Israele nel 1967 sono 47mila, mentre sono 110mila quelli che vivono nelle regioni dove nel 1948 sorse il nuovo Stato ebraico. La diminuizione drastica dei valori percentuali della presenza cristiana nei Territori palestinesi è dovuta ai fenomeni d'emigrazione, ma soprattutto ai tassi di crescita demografica molto più bassi rispetto a quelli registrati nella componente maggioritaria musulmana della popolazione palestinese. In ogni caso – nota padre Manuel Musallam, per lungo tempo parroco a Gaza e ora responsabile per i rapporti con le comunità cristiane del Dipartimento relazioni esterne di Fatah – occorre affrontare in maniera seria i fattori politici, economici e sociali che favoriscono la fuga dei cristiani. Si emigra per cercare nuove prospettive di lavoro, di studio e per metter su famiglia: “Da Gaza e da altre aree vanno via per mancanza dei requisiti minimi in grado di garantire un'esistenza dignitosa. A Gerusalemme molti si sono convinti a vendere le loro case dalle ingenti cifre avute in offerta”, in grado di garantire il trasferimento di tutta la famiglia in qualche Paese occidentale e l'accesso a livelli di benessere più elevati. L'Autorità palestinese – nota padre Musallam – è chiamata a mettere in atto misure e sostegno della permanenza dei cristiani: tutela del diritto allo studio per gli studenti e accesso non penalizzato al mondo del lavoro e alla possibilità di avere un'abitazione per i nuovi nuclei familiari. “Lunedì 15 aprile” sottolinea il sacerdote giordano Rifat Bader, direttore del Catholic Center for Studies and Media, con sede ad Amman “Papa Francesco riceverà la delegazione ufficiale del Patriarcato latino di Gerusalemme, guidata dal patriarca Fouad Twal. Sarà un'occasione per riaffermare la comunione con il nuovo successore di Pietro e con la Chiesa universale. Di certo il Patriarca inviterà il Papa a venire in Terra Santa. Al Papa chiediamo preghiere per la Terra Santa e perchè anche i cristiani che ci vivono possano rimanere nei luoghi dove è vissuto Gesù. E alla diplomazia della Santa Sede chiediamo che continui sempre la sua opera a favore della pace e della giustizia. (R.P.)

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    G8: reazioni contro Nord Corea in caso di test nucleari o attacco missilistico

    ◊   Il G8 di Londra si è concluso con importanti prese di posizione nei confronti delle minacce nordcoreane di lanciare missili contro basi militari americane in Giappone e in Sud Corea e con l’appello agli oppositori del regime del Presidente Assad in Siria di coordinarsi tra loro e di appoggiarsi agli aiuti umanitari internazionali. Gli otto ministri degli esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Canada, Russia e Giappone hanno concordato su immediate reazioni nel caso di ulteriori test nucleari o di un attacco missilistico da parte di Pyongyang che isolerebbe politicamente ed economicamente il Paese. I leader del G8 hanno condannato anche il conflitto tra il regime di Damasco e i ribelli che, in due anni, ha causato 60 mila vittime e hanno auspicato una transizione pacifica verso un nuovo governo.

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    Missione umanitaria in Nord Corea nello spirito di misericordia di Papa Francesco

    ◊   In tempi di crisi e di alta tensione fra Corea del Nord e del Sud, c’è una porta aperta alla speranza: padre Gerard Hammond, il missionario cattolico di Maryknoll, che nella Caritas Corea è direttore dei programmi per la Nordcorea, ha preparato una missione umanitaria in Corea del Nord e confida che “avrà luogo nelle prossime settimane”. Padre Hammond, che ha all’attivo oltre 50 viaggi in Nord Corea negli ultimi 20 anni, spiega a Fides che “si tratta di un viaggio per consegnare cibo e medicine, soprattutto ai malati di tubercolosi, organizzato grazie all’assistenza della Ong cristiana americana Eugene Bell Foundation”. Le autorità del Nord, annuncia il missionario a Fides, “non hanno frapposto ostacoli e presto attendiamo il benestare ufficiale”. “E’ un ottimo segnale, anche se il nostro viaggio – precisa il sacerdote – non ha alcuno scopo o valore politico, ma è una esperienza di prossimità verso la popolazione denutrita e malata”. “La nostra opera è di carattere umanitario: incontriamo tante persone, funzionari governativi e gente comune, e cerchiamo di instaurare buone relazioni: nel contesto asiatico, il fatto stesso di ‘essere in relazione’ è un passo fondamentale. Tantopiù in un Paese che tende ad autoisolarsi”. Pur essendo un viaggio di natura “sociale”, “il nostro approccio – spiega padre Hammnd – ha un carattere profondamente spirituale: per me è come pellegrinaggio, un incamminarsi per incontrare il Cristo povero, sofferente, malnutrito, portando ciò che è più importante, come ci ricorda Papa Francesco: la misericordia e l’amore di Dio”. Il missionario, in questa fase di crisi bilaterale, ricorda una parola-chiave: riconciliazione: “In passato vi erano diverse iniziative in tal senso, come gli incontri tra famiglie divise fra Nord e Sud Corea. E’ tempo di rimetterle in campo”. Non fa mistero, il missionario di origini americane, di notare che “alcune esercitazioni militari congiunte fra Sud Coree e Stati Uniti possono essere state percepite come una provocazione dal nuovo leader Kim Jong-un”, che comunque “è un leader giovane che, in tal modo, ha bisogno di tratteggiare il suo profilo sulla scena interna e internazionale. Ma nessuno – nota – davvero nessuno ha interesse che scoppi una guerra, tantopiù una guerra nucleare”. Anche le grandi potenze come Cina e Usa – è certo il sacerdote – “faranno valere il loro peso strategico per disinnescare l’escalation”. “Ringraziamo Papa Francesco per le sue parole di pace e per le sue preghiere per la Corea”, aggiunge. “Viviamo qui, nella penisola coreana col suo stesso cuore e il suo stesso spirito di misericordia. Lo invitiamo a venire in futuro in Corea e sogniamo la sua presenza fra noi”, conclude padre Hammond. (R.P.)

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    Il Consiglio Mondiale delle Chiese chiede la fine delle tensioni nella penisola coreana

    ◊   Il segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc), reverendo Olav Fykse Tveit, in un messaggio ha chiesto di «porre fine alle crescenti tensioni nella penisola coreana e ha esortato le parti coinvolte ad attivarsi immediatamente al dialogo di pace, di riconciliazione e riunificazione». Per il Wcc, la situazione nella penisola coreana è di crescente preoccupazione non solo per l’impatto per i suoi membri della Corea del Sud, ma anche per la federazione cristiana in Corea del Nord, con la quale il Wcc ha sviluppato il dialogo e le relazioni a lungo termine. Dal 30 ottobre all’8 novembre prossimo il Wcc ha in programma la 10.ma Assemblea nella città sudcoreana di Busan. L'appuntamento si svolge una volta ogni sette anni e riunisce i cristiani di tutto il mondo in uno degli incontri ecclesiastici più diversificati. «Non abbiamo in programma di svolgere la nostra assemblea in altri luoghi se non a Busan — ha detto il reverendo Tveit — e il tema dell’assemblea è “Dio della vita, guidaci alla giustizia e alla pace”. La penisola coreana in questo momento ha bisogno di un messaggio di giustizia e di pace. Il fatto che l’assemblea si terrà in Corea del Sud — ha aggiunto il segretario del Wcc — è dal nostro punto di vista l’espressione della speranza della Chiesa in tutto il mondo e delle Chiese in Corea per il perseguimento della pace e della riconciliazione nel Paese. La pace nella penisola coreana è possibile senza ostilità». Già in una precedente dichiarazione circa la situazione nella penisola coreana, Tveit aveva sottolineato che vi era la necessità di un più forte impegno, di una soluzione diplomatica e di cooperazione tra le due Coree invece di atti ostili che minano il futuro dei due Paesi. Per Tveit è indispensabile un ritorno al dialogo. «Per il bene di tutta la regione asiatica, in particolare per quelli che vivono nella penisola coreana, il Wcc e le sue Chiese membro chiedono la fine delle costanti minacce e intimidazioni che, se non controllate, potrebbero tradursi in una catastrofica situazione che nessuno vuole. Chiediamo preghiere per tutte le Chiese della Corea del Sud e del Nord. Siamo vicini — ha concluso il segretario del Wcc — ai nostri fratelli e alle nostre sorelle delle Chiese membro della Corea del Sud, che nel corso degli ultimi 60 anni hanno lavorato insieme al Wcc per avvicinarsi alle Chiese in Corea del Nord con l’obiettivo di cercare la riunificazione e la riconciliazione. Invitiamo tutti i cristiani a pregare per la penisola e perché venga fatta la volontà di Dio riguardo alla giustizia e alla pace». (I.P.)

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    Iran: terremoto a Bushehr, si scava fra le macerie in cerca dei superstiti

    ◊   Nelle aree colpite dal terremoto di magnitudo 6.3 avvenuto lo scorso 9 aprile nella provincia meridionale di Bushehr si scava fra le macerie in cerca dei sopravvissuti. Mahmoud Mozafar, responsabile della mezzaluna rossa iraniana racconta che il sisma ha raso al suolo più di 90 villaggi. Fino ad ora 37 persone sono morte, mentre sono oltre 850 gli abitanti rimasti feriti e migliaia gli sfollati. I soccorritori - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno allestito oltre 2mila tende nelle aree più colpite. "Dopo la ricerca dei sopravvissuti - afferma Mozafar - la nostra priorità è raggiungere i villaggi rimasti isolati". Intanto, le autorità iraniane confermano che la centrale nucleare di Bushehr, situata a soli 96 km a nord-ovest dell'epicentro, non ha subito danni. Mercoledì, all'udienza generale, Papa Francesco ha invitato tutti i cattolici a pregare per le popolazioni colpite dal sisma: "Ho seguito la notizia del forte terremoto che ha colpito l'Iran meridionale e ha causato molti morti, feriti e ingenti danni. Prego per le vittime ed esprimo la mia vicinanza alle persone colpite da questa calamità. Preghiamo per tutti questi fratelli e sorelle dell'Iran". Le parole del pontefice sono state diffuse anche da diverse agenzie locali. Ieri, anche gli Stati Uniti hanno inviato messaggi di condoglianze al governo iraniano, sottolineando che "Washington è pronta ad aiutare l'Iran in questo momento di bisogno". La Repubblica islamica si trova su alcune delle principali faglie sismiche del continente asiatico e i terremoti, anche devastanti, sono molto frequenti. Nel 2003, circa 26.000 persone sono state uccise da un terremoto di magnitudo 6,6 che rase al suolo la storica città di Bam nel sud-est del Paese. Nell'agosto 2012 due forti scosse nel nord-ovest dell'Iran hanno ucciso più di 300 persone. A Bam è attiva da diversi anni l'unica missione della Caritas in Iran. (R.P.)

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    Somalia. Mons. Bertin appena rientrato da Mogadiscio: "Ho visto segni di speranza"

    ◊   “Ho trovato segni concreti di speranza anche se le nuove istituzioni statali non sono ancora in pieno controllo della situazione sul terreno” dice all’agenzia Fides mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio che è appena tornato da una visita nella capitale somala. “Sono tornato a Mogadiscio dopo 6 anni di assenza” dice il vescovo. “Ho visitato il centro storico, la zona di Medina e quella verso il quinto, sesto, il settimo chilometro, e la cosa che più mi ha colpito è l’assenza dei posti di controllo delle diverse milizie”. Ho quindi avuto l’impressione di una città non più divisa ma unificata. Un altro fatto che mi ha colpito è che non si sono sentite sparatorie, a parte un paio di colpi di fucile. Ho visto diversi imprenditori che stanno cercando di ricostruire ed edifici rimessi a nuovo. Sono tutti segni di speranza” sottolinea. “La mia visita aveva diversi scopi” continua mons. Bertin. “Da una parte verificare la situazione umanitaria. In questi anni Caritas Somalia è riuscita a mantenere le sue attività attraverso dei partner locali. Una di queste è relativa ai campi di accoglienza degli sfollati interni. Si tratta o di abitanti di Mogadiscio che hanno perso le loro case per gli eventi bellici, oppure, e sono la maggioranza dei casi, sono persone provenienti dall’interno per l’insicurezza oppure per la siccità”. “Nonostante il miglioramento delle condizioni climatiche è però difficile pensare ad un ritorno a breve degli sfollati delle zone rurali, perché queste sono ancora in mano agli Shabaab” afferma il vescovo. “Un altro scopo era quello di verificare lo stato della cattedrale che è occupata da un gruppo di sfollati. Le condizioni dell’edificio è penosa e vedremo cosa si potrà fare per recuperarla” dice mons. Bertin. “Infine abbiamo avuto incontri al Ministero degli Esteri e a quello degli Affari Sociali, per avviare un’intesa sull’avvio di una nostra presenza in un modo più diretto, inclusa la riapertura di un luogo di culto” afferma mons. Bertin. “Ho incontrato interlocutori aperti e disponibili ma il problema è che esiste un forte divario tra le istituzioni statali che stanno rinascendo e la situazione concreta. Se le istituzioni statali sono disponibili nei nostri confronti bisognerà poi vedere che cosa si potrà fare, perché anche gli stessi edifici pubblici sono occupati da persone che se ne sono impadronite con la forza o da sfollati”. Nonostante le difficoltà mons. Bertin non demorde e conclude: “Intendo tornare al più presto per incontrare o il Presidente, o il Primo Ministro oppure il Ministro degli Esteri per continuare questo discorso”. (R.P.)

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    Parigi. Il patriarca maronita Rai: la Primavera araba deve diventare “Primavera dell’uomo”

    ◊   Nel corso della sua visita ufficiale in Francia, il patriarca maronita card. Bechara Rai ha tenuto una conferenza partendo dal titolo "La presenza cristiana in un contesto teocratico". L'evento si è tenuto mercoledì scorso presso l'Istituto cattolico di Parigi, nel quadro di un simposio dedicato a "Cristo e Cesare, l'opinione delle Chiese" organizzato dall'Istituto superiore di studi ecumenici (Iseo), in seno allo stesso istituto cattolico guidato da padre Jacques-Noël Peres. Il testo della lezione - riferisce l'agenzia Asianews - è attuale e formativo per due diverse ragioni. Esso sottolinea l'ambiguità della "Primavera araba", così come è percepita dalle Chiese orientali e fornisce, in aggiunta, le informazioni sul contenuto dei colloqui che il Patriarca Rai ha potuto intrattenere con diversi funzionari francesi e il presidente François Hollande in primis. Tra i molti punti analizzati il Patriarca sottolinea che per riscattare, se non addirittura giustificare la violenza che ha caratterizzato la "Primavera araba", essa deve trasformarsi in una "Primavera dell'uomo", mettendo fine al dispotismo, alla repressione, alla dominazione, al soffocamento delle libertà e alla corruzione". Il card. Rai analizza in profondità il cambio che è avvenuto nel regime egiziano e mette in guardia contro il pericolo dell'estremizzazione dell'islam moderato, in mancanza di una influenza significativa del pensiero politico cristiano, custode dei diritti inviolabili dell'uomo. Infine il patriarca si è detto indignato per il fatto che "in Siria non si è più in grado di capire quali siano le ragioni della violenza e della guerra fra le due fazioni in lotta. Non vediamo altro che massacri, distruzioni e fuga di cittadini. Le nazioni di Oriente e Occidente - ha detto - non fanno altro che fomentare la guerra senza alcun appello alle parti in lotta a favore della pace, del dialogo e dei negoziati. In questi tempi di crisi e di ricerca della verità - conclude il Patriarca - la nostra speranza è quella di vedere che il Libano si faccia portatore del suo ruolo di messaggero di pace e convivenza". (R.P.)

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    Centrafrica. Msf: è caos per saccheggi e rapine ad equipe mediche

    ◊   “Gruppi armati fuori controllo stanno diffondendo il caos nella Repubblica Centrafricana, lasciando la popolazione civile senza la risposta umanitaria di cui ha urgente bisogno”. Lo denuncia Medici senza frontiere (Msf), raccontando di saccheggi e rapine nelle proprie strutture e minacce fin dall‘inizio del conflitto, il 24 marzo. L’organizzazione medico-umanitaria chiede al nuovo governo Séléka di “assumersi le proprie responsabilità e ristabilire il controllo sui gruppi armati”. Le équipe mediche di Msf sono state evacuate dalle città di Batangafo e Kabo a causa di rapine e della generale insicurezza, e tutte le attività ospedaliere e mediche sono state sospese. Più di 130mila persone non riceveranno aiuto umanitario nei prossimi giorni o settimane. Incidenti simili sono avvenuti a Boguila e Bossangoa. Nella capitale Bangui sono state rubate attrezzature, farmaci, contanti e veicoli, causando il blocco delle attività umanitarie e mediche. “Msf è estremamente preoccupata per il benessere e la salute della popolazione - afferma Sylvain Groulx, capo missione a Bangui -. Anche prima dei recenti avvenimenti, i tassi di mortalità erano già sopra la soglia di emergenza. L‘insicurezza sta portando alla stremo i già fragili meccanismi di sopravvivenza”. A Bangui si continua a fornire assistenza medica nel Communautaire Hôpital, con molti feriti, mancanza di acqua, di energia elettrica e di personale medico qualificato. (R.P.)

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    Allarme per migliaia di profughi maliani in Mauritania

    ◊   A causa delle elevate temperature che superano i 50 gradi e della mancanza di acqua, si stanno deteriorando le condizioni di vita dei 74.000 rifugiati maliani nel campo di Mbera, nella confinante Mauritania. A lanciare l’allarme - riferisce l'agenzia Misna - è l’organizzazione medico-sanitaria Medici Senza Frontiere (Msf) secondo cui “l’assistenza umanitaria è ormai insufficiente”. La diffusa insicurezza alimentare e la carenza di servizi essenziali stanno colpendo soprattutto i bambini: ogni giorno sono in tre a morire a Mbera, dove la maggior parte dei rifugiati sono membri dell’etnia tuareg e delle comunità arabe del nord del Mali fuggiti alle violenze cominciate nel gennaio 2012. Dopo la conquista dei capoluoghi settentrionali da parte dei gruppi armati tuareg ed islamici a partire da gennaio 2012, è incrementato il flusso di rifugiati verso la Mauritania ma anche verso i confinanti Niger e Burkina Faso, stimati in tutto a 170.000 persone. La fuga delle popolazioni tuareg ed arabe è, però, continuata anche dopo l’inizio dell’offensiva militare franco-maliana che più di due mesi fa ha consentito a Bamako di riprendere il controllo del vasto territorio desertico del nord. Un altro appello è giunto dallo stesso Mali dove ci sono almeno 270.00 sfollati interni. Il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) valuta come “molto inquietanti” le loro condizioni di vita ed “importanti” le loro necessità. Servono altri 33 milioni di euro per riuscire a rispondere ai bisogni umanitari delle popolazioni sfollate. Intanto sul terreno proseguono le operazioni militari delle truppe maliane, francesi ed africane nel capoluogo di Gao e nelle montagne degli Ifoghas, sospetti covi di jihadisti di Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi). Per la prima volta è arrivato a Timbuctù, la città sacra del nord, un battaglione del Burkina Faso, parte dei contingenti dispiegati da diversi paesi dell’Africa occidentale nell’ambito della Missione internazionale di sostegno al Mali (Misma). Dalla capitale, l’organizzazione Human Rights Watch ha denunciato la morte in carcere di due prigionieri tuareg a causa di “cattive condizioni di detenzione” successive alle torture subite. I due allevatori di bestiame sono stati arrestati il 15 febbraio a Léré, non lontano da Timbuctù; ad inizio marzo sono stati trasferiti al campo principale della gendarmeria di Bamako. Secondo i dati a disposizione del Cicr, dall’inizio dell’offensiva militare sono circa 300 i prigionieri di guerra catturati in Mali. Le autorità maliane hanno precisato che tra questi ci sono una quarantina di stranieri, di cui due nigeriani presunti membri di Boko Haram ma anche due algerini, un mauritano e un burkinabé. (R.P.)

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    Zimbabwe: i vescovi dell’Africa australe chiedono elezioni libere e trasparenti

    ◊   Assicurare elezioni trasparenti che si svolgano in un clima sereno al riparo dalla violenza. È questa la richiesta presentata da una delegazione dell’Imbisa (Inter-Regional Meeting of Bishops of Southern Africa) a Emílio Guebuza, Presidente del Mozambico e Presidente della Sadc (Southern Africa Development Community). Secondo un comunicato inviato all’agenzia Fides, la delegazione dell’Imbisa ha chiesto al Presidente della Sadc il suo aiuto perché “le elezioni di quest’anno nello Zimbabwe siano equilibrate. Abbiamo deciso di avanzare questa richiesta a lei e agli altri leader della Sadc per evitare lo sconvolgimento che abbiamo avuto nel 2008 quando una violenza senza precedenti venne scatenata sulla nazione nel secondo turno delle elezioni presidenziali di giugno”. Per evitare il ripetersi di questi eventi, l’Imbisa chiede che la Sadc si adoperi perché tutte le parti firmino il codice di condotta elettorale e gli osservatori internazionali siano dispiegati tre mesi prima delle elezioni e rimangano nel Paese un altro mese dopo il voto al fine di ridurre la possibilità di violenze. Dopo aver riferito che “si è instaurato un ottimo dialogo tra la delegazione Imbisa e il Presidente Guebuza” il comunicato conclude sottolineando la disponibilità dei vescovi dell’Africa Australe a lavorare insieme per salvaguardare la pace nella regione. (R.P.)

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    Nuovi movimenti religiosi: per il card. Koch "un fenomeno serio"

    ◊   Un fenomeno “non preso in considerazione a sufficienza”. Così il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, descrive all'agenzia Sir il fenomeno dei nuovi movimenti religiosi, pentecostali ed evangelicali, al centro di un convegno internazionale che si è concluso ieri a Roma, promosso dalla Conferenza episcopale tedesca. “Questo fenomeno - dice - mostra che è in atto un grande cambiamento nel paesaggio ecumenico e che si affacciano nel dialogo nuovi partner”. E sulla possibilità di avviare un dialogo con una “galassia” così complessa, il card. Koch risponde: “Noi possiamo avere un dialogo solo con coloro che esprimono il desiderio di averlo”, facendo notare come “alcuni gruppi pentecostali si definiscono anti-ecumenici e anti-cattolici”. La strada del dialogo in questi contesti viaggia, comunque sia, a livello nazionale e locale. “Occorre prendere in seria considerazione questo fenomeno. Credo che sia questa la sfida principale e pone una domanda: che cosa facciamo? È una grande domanda e una grande sfida per noi”. Quale orientamento pastorale suggeriscono questi movimenti? “In primo luogo un nuovo slancio missionario ma per essere missionari dobbiamo prima essere noi stessi convinti della nostra fede. E questa deve essere semplice, vera, buona e bella”. (R.P.)

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    India: nel Kashmir arrestati due cristiani per false accuse di conversioni forzate

    ◊   "L'intolleranza anticristiana in Jammu e Kashmir sta raggiungendo proporzioni allarmanti": è la denuncia di Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), dopo l'arresto di due cristiani a Srinagar, capitale dello Stato indiano, per false accuse di conversioni forzate. Il fermo è scattato il 10 aprile scorso, dopo che una folla di musulmani ha aggredito due uomini, cinque donne e due bambini, tutti di origine britannica. Gli stranieri vivono da circa quattro anni a Shivpora, un quartiere di Srinagar. Secondo i residenti locali uno di loro, James Thomas, è impegnato in attività di conversione. Così, due giorni fa un nutrito gruppo di persone ha aggredito i cristiani, lanciando pietre contro i veicoli e tentando di distruggere l'abitazione. L'intervento della polizia ha evitato la demolizione e il ferimento dei presenti, ma gli agenti hanno arrestato James e Alora Milli per chiarire le accuse contro di loro. Le forze dell'ordine hanno posto sotto sequestro l'edificio ed evacuato gli stranieri. L'imam locale ha raccontato alla polizia di aver più volte chiesto agli stranieri di non convertire musulmani, senza risultato. "Adesso - ha aggiunto - non potranno più accedere alla zona. E se tenteranno ancora di convertire qualcuno, glielo impediremo a ogni costo". "Le accuse false e infamanti dell'imam - sottolinea Sajan George - e l'accondiscendenza della polizia nell'arrestare i cristiani sono una grave minaccia alla libertà religiosa, un diritto garantito dalla Costituzione indiana". Il Jammu e Kashmir è l'unico Stato a maggioranza musulmana dell'India dove episodi di intolleranza religiosi avvengono di frequente. Lo scorso gennaio un gruppo di turisti stranieri ha rischiato il linciaggio dopo la pubblicazione di alcuni post su Facebook. Un caso esemplare risale al 2011, quando il rev. Chander Mani Khanna, pastore anglicano della All Saints Church, è stato arrestato per aver battezzato sette musulmani e poi incriminato da un tribunale islamico (che non ha alcuna autorità legale nello Stato, né in India, ndr) per proselitismo e conversioni forzate. (R.P.)

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    Vietnam: condannato un funzionario per l’esproprio alla “famiglia coraggio"

    ◊   Un tribunale vietnamita ha condannato a 30 mesi di prigione un funzionario governativo, per aver ordinato l'esproprio contro Peter Doan Van Vuon, leader della "famiglia coraggio", simbolo della lotta contro le confische forzate e per questo finito agli arresti. Al contempo - riferisce l'agenzia AsiaNews - i giudici hanno inflitto una pena (sospesa) ad altre quattro persone, per aver partecipato a vario titolo all'azione di forza imposta dalle autorità di Tien Lang - distretto di Hai Phong, città portuale nel nord-est del Vietnam - contro i Vuon. La sentenza emessa contro funzionari governativi, sebbene locali, e per di più per aver violato i diritti dei cittadini, è un fatto raro nel Paese. Tuttavia, la moglie del leader della "famiglia coraggio" si dice "insoddisfatta" dalla "mitezza" delle pene e annuncia ricorso. Peter Doan Van Vuon, 50enne ex soldato, è diventato un'icona nella lotta per i diritti della popolazione, fra cui quello alla proprietà, in Vietnam. Egli ha ricevuto anche il sostegno dei vescovi, che hanno promosso una campagna di sensibilizzazione sul suo caso. Nei giorni scorsi è stato condannato a cinque anni di carcere con l'accusa di tentato omicidio. Al momento dell'esproprio, egli ha aperto il fuoco contro gli agenti chiamati ad applicare l'ordine delle autorità, ferendo sette persone. A nulla è valsa, in tribunale, l'eccezione sollevata dagli avvocati della difesa di una reazione per legittima difesa. Il 10 aprile è arrivata anche la condanna di Nguyen Van Khanh, vice-presidente del distretto di Tien Lang, che dovrà scontare 30 mesi di prigione per distruzione di proprietà. Tuttavia, secondo alcuni egli è solo il capro espiatorio finito sul banco degli imputati, mentre i veri responsabili che hanno orchestrato l'operazione sarebbero altri, i quali sono riusciti a evitare pene detentive. Fra questi vi sarebbero Le Van Hien, ex presidente distrettuale, e Pham Dang Hoan, ex segretario del partito nel villaggio di Vinh Quang. Pur condannandoli ad alcuni mesi di galera, i giudici hanno concesso loro la sospensione della pena. Ed è proprio la moglie di Vuon, Nguyen Thi Thuong, a parlare di processo farsa e di condanne irrisorie e ingiuste nei confronti dei veri responsabili dell'assalto alle attività di famiglia. Al termine dell'udienza la donna ha assicurato che "faremo ricorso" in appello. Ad acuire il senso di frustrazione vi è anche l'atteggiamento tenuto in aula dai vertici dell'amministrazione alla sbarra, sicuri di un esito favorevole del dibattimento. Due degli imputati "ridevano", raccontano i testimoni, e dichiaravano senza timore di "aver corrotto le autorità preposte a giudicare la vicenda". (R.P.)

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    Papua Nuova Guinea: i vescovi chiedono al premier di combattere la corruzione

    ◊   La Chiesa e lo Stato sono chiamati a lavorare insieme per il bene comune: è questo l’approccio dei vescovi della Papua Nuova Guinea che ieri, nel corso della loro Assemblea plenaria in corso a Madang, hanno incontrato il Primo Ministro Peter O’Neill. Come riferito all'agenzia Fides dall’ufficio comunicazione dei vescovi, l’arcivescovo John Ribat, arcivescovo di Port Moresby e presidente della Conferenza episcopale, ha rivolto un discorso al Primo Ministro, segnalando le sfide più urgenti: lotta alla corruzione, abolizione della pena di morte, salvaguardia dell’ambiente, maggiore collaborazione fra la Chiesa e lo Stato in campi come istruzione e famiglia. Nel messaggio dei vescovi, inviato a Fides, si richiama in primis l'attenzione sul problema della corruzione, definita “sistematica ed endemica negli uffici governativi” e si elogia la creazione di una “Commissione Indipendente contro la corruzione”. I vescovi esprimono preoccupazione anche verso “problemi di infrastrutture e servizi in aree remote, e per i poveri e gli emarginati”, ricordando che tali popolazioni vivono “un certo senso di abbandono”. La Chiesa – prosegue il testo – condivide gli sforzi per la salvaguardia della legge e dell'ordine e per combattere ogni forma di violenza nella società, ma si appella “a una condotta etica dalle forze dell’ordine” e ribadisce il desiderio di “abolizione della pena di morte nel Paese”. Offrendo un contributo alle questioni sociali, la Chiesa, spiega il messaggio, è guidata “ da principi evangelici, in primo luogo la dignità fondamentale di ogni persona”. Da qui deriva il principio del “bene comune” e dello “sviluppo umano integrale”, cioè operare perchè “ogni persona realizzi il proprio potenziale, un valore che condividiamo con la Costituzione nazionale della Papua”. In quest’ottica i vescovi auspicano una maggiore collaborazione e un “partenariato fruttuoso” fra Chiesa e Stato, negli ambiti in cui è possibile: ad esempio sono utili “consultazioni su questioni importanti che riguardano le politiche di istruzione” o la famiglia. Si chiede inoltre di “ poter svolgere l’istruzione e i servizi sanitari in libertà senza dover sopportare, ad esempio, un approccio alla questione Aids in contrasto con i valori cristiani”. Il testo cita infine, i problemi “dell’impatto ambientale e sociale del disboscamento estensivo”, il via a progetti minerari o aree economiche speciali, come la Zona industriale del Pacifico che hanno avuto effetti negativi sull’ambiente marino. La Chiesa chiede che il criterio di tali progetti sia lo “sviluppo sostenibile”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 102

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.