Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 10/04/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: Dio è un Papà che non si dimentica mai di noi. Appello per il sisma in Iran
  • Tweet del Papa: essere cristiani non si riduce a seguire dei comandi, ma è lasciare che Cristo ci trasformi
  • Papa Francesco: è l'amore di Dio che salva, non i soldi, il potere o la vanità
  • Si è spento il cardinale Lorenzo Antonetti: il cordoglio del Papa
  • Il punto sui rapporti tra Chiesa cattolica e Chiese evangeliche: intervista con il card. Koch
  • Il card. Filoni: l'Urbaniana prepari nuovi missionari per le periferie dell'umanità
  • Prevenzione riciclaggio denaro e trasparenza finanziaria, continua impegno Santa Sede: “Progress Report” a dicembre
  • 50.mo “Pacem in Terris”. Lo storico Giovagnoli: documento di grande forza e attualità
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Coree: tensione per possibile test missilistico. Washington e Seul in allerta
  • Usa: Senato al voto per la riforma che limita il possesso di armi
  • Onu, Obiettivi Millennio: mille giorni per centrarli in uno scenario globale mutato
  • Pena di morte, Rapporto Amnesty: allarme Cina e Iraq, prosegue trend abolizionista
  • Unicef. Benessere dei bambini negli Stati ricchi: Paesi Bassi primi, Usa in coda
  • Italia, politica. Baggio: scelta comune del capo dello Stato sarebbe segnale forte in Europa
  • A un mese dal rogo, concerto per la riapertura di un padiglione della Città della Scienza
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Vescovi coreani: il Nord minaccia il mondo per salvare la sua economia
  • Giappone: la Chiesa auspica relazioni pacifiche tra Nord Corea e Paesi limitrofi
  • Colombia: un milione in piazza per la pace. Campane in festa in tutto il Paese
  • Siria. Il vescovo caldeo Audo: Aleppo sta morendo di fame
  • Egitto: timori dei copti ortodossi dopo gli assalti contro la cattedrale di San Marco
  • Terra Santa: mons. Shomali fiducioso per la pace dopo la visita di John Kerry
  • Iraq: il nunzio ribadisce l'attaccamento dei cristiani alla loro terra
  • Vescovo del Darfur: concessi aiuti al Sudan ma resta alta la preoccupazione
  • Mali: profughi, scarsità di cibo e sminamento le nuove emergenze
  • Aparecida. Aperta la 51.ma Assemblea generale dei vescovi del Brasile
  • Burkina Faso: mons. Ouédraogo ospite di un convegno su tolleranza e pace religiosa
  • Vietnam: evangelizzazione e nuova Costituzione al centro dell’Assemblea dei vescovi
  • Bangladesh. La premier: no a una legge contro la blasfemia
  • Onu: allarmante proliferazione di armi libiche in Medio Oriente e Africa
  • India: diffamata la Chiesa su un giornale fondamentalista indù
  • Usa: l'aiuto dei vescovi per migranti, gioventù e ricostruzione di Haiti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: Dio è un Papà che non si dimentica mai di noi. Appello per il sisma in Iran

    ◊   Al mondo che non riesce più a sollevare gli occhi verso l’alto, i cristiani dimostrino con la loro vita che Dio è un Padre che li ama sempre. È il “cuore” della catechesi che questa mattina Papa Francesco ha tenuto in Piazza San Pietro per l’udienza generale, davanti a oltre 30 mila persone. Il Pontefice ha espresso la sua vicinanza alle popolazioni colpite dal terremoto nel Sud dell’Iran e al momento dei saluti ha utilizzato per la prima volta la lingua spagnola. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    È la tenerezza che Papa Francesco riversa sulla folla prima di offrirle qualsiasi insegnamento – i suoi sguardi sorridenti e panoramici, l’affetto che promana da ogni suo cenno o gesto, anche quello di aiutare un bimbo a rimettere in bocca il “ciuccio” che gli è caduto – a dare ancora una volta carne e ossa alle sue parole, a renderle autentiche. Papa Francesco si sofferma sulle fondamenta della fede cristiana – senza le quali, dice, “crolla tutta la casa” – e cioè sulla certezza che Gesù è morto ma poi è risorto ed è rinato a una vita nuova. Questa vita, afferma, è anche per noi, grazie al Battesimo, e aggiunge:

    “E’ proprio lo Spirito che abbiamo ricevuto nel Battesimo che ci insegna, ci spinge, a dire a Dio ‘Padre’, e meglio ‘Abbà’ è ‘Papà’, così è il nostro Dio, è un papà per noi. E Dio ci tratta da figli, ci comprende, ci perdona, ci abbraccia, ci ama anche quando sbagliamo”.

    Gli applausi ripetuti e ravvicinati sono il “termometro” della sete della gente, che non sembra mai sazia di ascoltare dalle labbra del Papa di un Dio che è amore e perdono, non un giudice ma un “papà” dal cuore larghissimo:

    “Noi possiamo vivere da figli! E questa è la nostra dignità. Comportarci come veri figli! Questo vuol dire che ogni giorno dobbiamo lasciare che Cristo ci trasformi e ci renda come Lui; vuol dire cercare di vivere da cristiani, cercare di seguirlo, anche se vediamo i nostri limiti e le nostre debolezze”.

    Del resto, soggiunge, il “nostro essere figli di Dio” è soggetto a rischi, perché “la tentazione di lasciare Dio da parte per mettere al centro noi stessi è sempre alle porte”. “Per questo – sottolinea con forza – dobbiamo avere il coraggio della fede, non lasciarci condurre dalla mentalità che ci dice: Dio non serve, non è importante per te”:

    “E’ proprio il contrario: solo comportandoci da figli di Dio, senza scoraggiarci per le nostre cadute, per i nostri peccati, sentendoci amati da Lui, la nostra vita sarà nuova, animata dalla serenità e dalla gioia. Dio è la nostra forza! Dio è la nostra speranza!”.

    E Dio è una “speranza che non delude”, prosegue un istante dopo, ripetendolo per tre volte:

    La speranza di noi cristiani è forte, sicura, solida in questa terra, dove Dio ci ha chiamati a camminare, ed è aperta all’eternità, perché fondata su Dio, che è sempre fedele. Non dobbiamo dimenticare quest’ultimo: Dio sempre è fedele, Dio sempre è fedele con noi (...) Essere cristiani non si riduce a seguire dei comandi, ma vuol dire essere in Cristo, pensare come Lui, agire come Lui, amare come Lui”.

    E questo comportamento, conclude, sarà un “segno visibile, chiaro, luminoso per tutti":

    “E’ un servizio prezioso che dobbiamo dare a questo nostro mondo, che spesso non riesce più a sollevare lo sguardo verso l’alto, non riesce più a sollevare lo sguardo verso Dio”.

    Papa Francesco conclude la catechesi levando un appello per il violento sisma di ieri in Iran, che ha fatto una quarantina di morti e 850 feriti:

    “Prego per le vittime ed esprimo la mia vicinanza alle popolazioni colpite da questa calamità. Preghiamo per tutti questi fratelli e sorelle dell’Iran”.

    L’udienza passa alla ancor breve storia del Pontificato per essere la prima nella quale Papa Francesco utilizza una lingua diversa dall’italiano, la sua lingua madre, lo spagnolo, i cui saluti raggiungono, tra i presenti, anche i dirigenti del Club Atlético S. Lorenzo, da sempre la squadra del “cuore” del nuovo Papa. E un ulteriore gesto di attenzione e solidarietà è per i lavoratori dell’Istituto Dermatologico dell’Immacolata, coinvolti dalla crisi in cui versa la struttura. “Auspico – dice loro Papa Francesco – che quanto prima si possa trovare una positiva soluzione in una situazione così difficile”.

    inizio pagina

    Tweet del Papa: essere cristiani non si riduce a seguire dei comandi, ma è lasciare che Cristo ci trasformi

    ◊   Due nuovi tweet di Papa Francesco, oggi, al termine dell’udienza generale: “Essere cristiani – si legge nel primo - non si riduce a seguire dei comandi, ma è lasciare che Cristo prenda possesso della nostra vita e la trasformi”. Nel secondo tweet, il Pontefice scrive che “Se noi ci comportiamo come figli di Dio, sentendoci amati da Lui, la nostra vita sarà nuova, piena di serenità e di gioia”. L'account Twitter del Papa in nove lingue conta circa 5 milioni e 300 mila follower.

    inizio pagina

    Papa Francesco: è l'amore di Dio che salva, non i soldi, il potere o la vanità

    ◊   “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in Lui non vada perduto ma abbia la vita eterna”: su questa affermazione di Gesù contenuta nel Vangelo proposto dalla liturgia del giorno, il Papa ha svolto la sua breve omelia durante la Messa presieduta nella Cappellina della Casa Santa Marta. Con lui hanno concelebrato il cardinale Angelo Sodano e il cardinale Angelo Comastri, alla presenza di alcuni dipendenti della Fabbrica di San Pietro e del ministro italiano dell’Interno Anna Maria Cancellieri accompagnata dai familiari. Il servizio di Sergio Centofanti:

    “Il Signore – ha detto il Papa - ci salva con il Suo amore: non ci salva con una lettera, con un decreto, ma ci ha salvato con il suo amore”. Un amore così grande che lo spinge ad inviare suo Figlio che “si è fatto uno di noi, ha camminato con noi … e questo ci salva”. Ma – si chiede il Papa – “cosa significa, questa salvezza? Che significa essere salvati?”. Significa – spiega - riavere dal Signore “la dignità che abbiamo perduto”, la dignità di essere figli di Dio. Significa riavere la speranza.

    Questa dignità cresce “fino all’incontro definitivo con Lui. Questa è la strada della salvezza, e questo è bello: lo fa l’amore soltanto. Siamo degni, siamo donne e uomini di speranza. Questo significa essere salvati dall’amore”. Ma il problema – ha sottolineato - è che a volte vogliamo salvarci da soli “e crediamo di farcela”, basando per esempio le nostre sicurezze sui soldi e pensiamo: “sono sicuro ho dei soldi, tutto … non c’è problema … Ho dignità: la dignità di una persona ricca”. Ma questo – ha affermato – “non basta. Pensiamo a quella parabola del Vangelo, di quell’uomo che aveva il granaio tutto pieno e disse: ‘Ne farò un altro per avere di più e poi dormirò tranquillo’. E il Signore gli dice: ‘Sciocco! Questa sera morirai’. Quella salvezza non va, è una salvezza provvisoria, è anche una salvezza apparente!”.

    Altre volte – ha proseguito – “pensiamo di salvarci con la vanità, con l’orgoglio, no?, crederci potenti … Anche quello non va. Mascheriamo la nostra povertà, i nostri peccati con la vanità, l’orgoglio … Anche quello finisce”. Ma “la vera salvezza” – ha ribadito - sta nella dignità che Dio ci ridona, nella speranza che Cristo ci ha dato nella Pasqua. “Facciamo oggi un atto di fede – è stato il suo invito – ‘Signore, io credo. Credo nel Tuo amore. Credo che il Tuo amore mi ha salvato. Credo che il Tuo amore mi ha dato quella dignità che non avevo. Credo che il Tuo amore mi dà la speranza”. E “soltanto l’amore di Dio” può dare la vera dignità e la vera speranza. “E’ bello credere nell’amore – ha concluso il Papa - questa è la verità. E’ la verità della nostra vita. Facciamo questa preghiera: 'Signore, credo nel Tuo amore. E apriamo il cuore perché questo amore venga, ci riempia e ci spinga ad amare gli altri'. Così sia”.

    inizio pagina

    Si è spento il cardinale Lorenzo Antonetti: il cordoglio del Papa

    ◊   Si è spento stamani a Novara il cardinale Lorenzo Antonetti, presidente emerito dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, già delegato pontificio per la Patriarcale Basilica di San Francesco d’Assisi. Aveva 90 anni. I funerali saranno celebrati venerdì prossimo presso la chiesa di Romagnano Sesia, in provincia di Novara, dove il porporato era nato il 31 luglio 1922.

    Il Papa, in un telegramma inviato al vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, e ai familiari, ha espresso il suo "vivo cordoglio" per la scomparsa del porporato "per tanti anni solerte collaboratore della Santa Sede": “ovunque – afferma il Pontefice - egli ha reso apprezzata testimonianza di fervoroso zelo sacerdotale e di fedeltà al Vangelo”.

    Il cardinale Antonetti aveva compiuto gli studi ecclesiastici presso i Seminari novaresi e presso l'Almo Collegio Capranica a Roma ed era stato ordinato sacerdote il 26 maggio 1945 a Novara. Dopo aver svolto il ministero sacerdotale in una cappellina della parrocchia di Gignese (Stresa), aveva continuato gli studi a Roma e conseguito la Licenza in teologia presso la Pontificia Università san Tommaso d'Aquino (Angelicum) e la Laurea in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana. Nel biennio 1949-1950 segue i corsi di formazione diplomatica alla Pontificia Accademia Ecclesiastica.

    Nel 1951 viene chiamato in Segreteria di Stato e inviato in qualità di addetto e poi segretario della Nunziatura Apostolica in Libano (fino al 1955). Dal 1956 al 1959 presta la propria opera presso la Rappresentanza Pontificia in Venezuela; dal 1959 al 1963 è richiamato in Segreteria di Stato nella Prima Sezione degli Affari Straordinari (oggi Sezione per i Rapporti con gli Stati). Dal 1963 al 1967 è consigliere presso la Nunziatura Apostolica in Francia diretta dal cardinale Paolo Bertoli; quindi, nel 1968, trasferito alla Delegazione Apostolica a Washington DC.

    Il 23 febbraio 1968 è nominato arcivescovo titolare di Roselle e riceve l'ordinazione episcopale nel Paese nativo il 12 maggio seguente. In pari tempo è nominato nunzio apostolico in Nicaragua e in Honduras (fino al 1973). Trasferito nelle stesse funzioni alla Nunziatura Apostolica a Kinshasa, nell'allora Zaire, vi rimane fino al 1977, quando rientra a Roma per ricoprire la carica di segretario dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA) al fianco, successivamente, dei cardinali Villot, Caprio, Casaroli e Agnelo Rossi. Durante il lungo periodo di undici anni all'APSA si occupa, tra l'altro, della liquidazione della Pontificia Opera di Assistenza (POA) e dell'ONARMO. È stato presidente del Fondo Assistenza Sanitaria (FAS), membro della Commissione disciplinare della Curia Romana, della Pontificia Amministrazione della Patriarcale Basilica di san Paolo e si occupa della diffusione del nuovo «Codex Iuris Canonici» nel 1983.

    Durante il suo soggiorno romano svolge il ministero sacerdotale festivo presso la parrocchia della Grande Madre di Dio a Ponte Milvio. Il 23 settembre 1988 è nominato nunzio apostolico in Francia, dove vi rimane fino al 24 giugno 1995, data della sua nomina a pro-presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), carica mantenuta fino al 5 novembre 1998, quando viene nominato delegato pontificio per la Patriarcale Basilica di S. Francesco in Assisi (fino al 21 febbraio 2006).

    Giovanni Paolo II lo aveva creato cardinale nel Concistoro del 21 febbraio 1998, del Titolo di Santa Agnese in Agone, Diaconia elevata pro hac vice a Titolo presbiterale (1° marzo 2008).

    Con la morte del cardinale Antonetti il Collegio cardinalizio risulta composto da 205 cardinali, di cui 113 elettori e 92 non elettori.

    inizio pagina

    Il punto sui rapporti tra Chiesa cattolica e Chiese evangeliche: intervista con il card. Koch

    ◊   Lunedì scorso Papa Francesco ha ricevuto in udienza il presidente della Chiesa evangelica in Germania, Nikolaus Schneider. Era presente anche il cardinale Kurt Koch, presidente del pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani. Mario Galgano gli ha chiesto quali siano state le sue impressioni:

    R. – Dieser Besuch war schon früher abgemacht und eigentlich eine Audienz …
    Questa visita era già prevista, ed era stata concordata un’udienza con Papa Benedetto. E’ stato molto bello che Papa Francesco sia stato disponibile subito a concedere questa udienza. E’ stato un incontro molto cordiale e amichevole: il presidente Schneider si è congratulato con il Papa per l’elezione e gli ha manifestato anche la sua gioia per la scelta del nome, perché San Francesco d’Assisi in realtà appartiene a tutte le Chiese cristiane; ha manifestato anche la sua partecipazione al dolore del Papa per le alluvioni che hanno colpito l’Argentina e la speranza per un buon futuro del dialogo ecumenico. Nella sua risposta, il Santo Padre è subito andato al nocciolo ed ha parlato della testimonianza comune nel martirio, ha espresso la sua convinzione per il fatto che se oggi siamo perseguitati non è perché siamo cattolici o protestanti, ma perché siamo cristiani e che questo ci unisce e pertanto rappresenta un fondamento profondo della ricerca ecumenica dell’unità. Ha quindi ripreso il concetto che era stato molto a cuore a Giovanni Paolo II, che è quello dell’ecumenismo dei martiri. Nella seconda parte del discorso il presidente Schneider ha parlato della commemorazione, nel 2017, della Riforma; ha detto che non si tratta della glorificazione di Lutero, ma che – secondo le intenzioni – dovrà essere un “anno di Cristo”; ha espresso la speranza che anche la Chiesa cattolica vi possa partecipare. Il Papa, con molta cordialità, facendo riferimento alla visita di Papa Benedetto al monastero agostiniano di Erfurt, ha ricordato che desidera continuare sulla strada indicata da Papa Benedetto in quell’occasione.

    D. – A che punto stanno i colloqui tra la Chiesa luterana e quella cattolica?

    R. – Unser Partner ist natürlich del Lutherische Weltbund, weil wir alle Partner auf …
    Il nostro partner, ovviamente, è la Federazione luterana mondiale: tutti i nostri partner sono a livello universale. In realtà, il nostro referente per la Chiesa evangelica in Germania è la Conferenza episcopale tedesca. Per quanto riguarda il livello universale, la Commissione internazionale per il dialogo teologico con la Federazione luterana mondiale ha elaborato un documento sulla commemorazione della Riforma del 2017 dal titolo “From conflict to communion”, con tre punti centrali: il primo, la gratitudine e la gioia per quello che si è verificato – in quanto ad avvicinamento – negli ultimi 50 anni; il secondo, il riconoscimento della colpa, riferito al male che nel corso della storia ci siamo fatti vicendevolmente; e il terzo riguarda la speranza di poter compiere nuovi passi nel futuro. Questo documento è pronto, ma noi aspettiamo la traduzione tedesca prima di pubblicarlo.

    D. – Tornando alla commemorazione della Riforma, nel 2017: c’è stato anche un invito al Papa a recarsi in Germania?

    R. – Der Ratsvorsitzende hat kurz darüber gesprochen: Ja, es wäre schon, wenn …
    Il presidente vi ha brevemente accennato: certo, sarebbe bello se venisse anche il Papa … E’ chiaro che il Papa non dia ancora una risposta perché la Germania è un Paese mentre la Federazione luterana è una entità mondiale …

    D. – Dalla Chiesa evangelica alle Chiese evangeliche, soprattutto alle Chiese pentecostali: la Conferenza episcopale tedesca terrà qui a Roma una conferenza alla quale era stato invitato anche lei. In che misura questo rappresenta una sfida per la Chiesa cattolica in Germania, o comunque nei Paesi di lingua tedesca, se paragonati – ad esempio – all’America Latina?

    R. – Die Initiative für diesen Kongress geht noch auf meinen Vorgänger, …
    Questa iniziativa rientra ancora nelle competenze del mio predecessore, il cardinale Kasper, quando era ancora vescovo di Rottenburg-Stuttgart e guidava la sezione “Chiesa universale”. Ora, la sezione “Chiesa universale” si occupa da tempo intensamente di questi problemi e quindi organizza questo congresso sul pentecostalismo; mi hanno chiesto di assumere il patrocinio di questa iniziativa e di tenere la relazione finale. Sono grato per questa iniziativa perché il pentecostalismo oggi è, da un puro punto di vista numerico, la seconda realtà dopo la Chiesa cattolica. E’ necessario quindi parlare di una “pentecostalizzazione” del cristianesimo: è una situazione completamente nuova, per l’ecumenismo. E per me è importante potere osservare attentamente come questo pentecostalismo si manifesta in America Latina, in Africa, in Asia e in Europa per poter poi riflettere sul modo in cui continuare e approfondire un dialogo ecumenico.

    D. – C’è forse qualche difficoltà, in considerazione del fatto che non c’è reale unità sul fronte delle Chiese pentecostali, intendo dire, nel senso che non c’è un vero e proprio referente …

    R. – Das ist die große Schwierigkeit, denn es gibt unzählig viele solche …
    Questa è la reale difficoltà: ci sono infatti tantissime comunità e raggruppamenti di questo tipo. E’ molto difficile stabilire come condurre questo dialogo. Penso che, dal punto di vista del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, possiamo comunque vagliare questa situazione soltanto in collaborazione con le Conferenze episcopali nazionali.

    D. – E dal punto di vista teologico e pastorale che domande porsi di fronte a questi gruppi pentecostali?

    R. – Die Grundfrage, die wir uns stellen müssen, ist natürlich: “Warum gehen …
    La domanda di fondo che dobbiamo porci è, ovviamente: “Perché tanti fedeli escono dalla nostra Chiesa e si uniscono a questi gruppi? Cosa li affascina?”. Questo implica anche un esame di coscienza da parte nostra, senza peraltro riprendere i metodi di evangelizzazione problematici attuati da questi gruppi … Credo che le questioni teologiche principali riguardino il ruolo e il significato dello Spirito Santo nella teologia, quindi l’esperienza di fede in vista della consapevolezza della fede. Queste sono sfide decisive. Accanto a questo, ci sono poi raggruppamenti fortemente sincretici, nei quali diventa difficile rilevare ancora il fondamento cristiano.

    inizio pagina

    Il card. Filoni: l'Urbaniana prepari nuovi missionari per le periferie dell'umanità

    ◊   La Pontificia Università Urbaniana “può trovare ispirazione e lo scopo del suo esistere” nella figura di Maria: questo il tema portante dell’omelia pronunciata stamani dal cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, in occasione della festa patronale dell’Ateneo, del quale il porporato è Gran Cancelliere. Per l’occasione, il cardinale Filoni ha celebrato una Santa Messa in cui ha ribadito: “Cristo esce ‘dal seno’ del Padre e, tramite Maria, va verso la periferia dell’umanità, incontrando i poveri, gli zoppi, i ciechi, i peccatori e a tutti annuncia il regno di Dio e il suo amore misericordioso”. Un “paradigma”, ha evidenziato il porporato, in linea con gli obiettivi dell’Istituto educativo che “da sempre intende preparare sacerdoti, religiosi, religiose e laici" per l'evangelizzazione nei "cosiddetti territori di missione”. “Come direbbe Papa Francesco – ha continuato il cardinale Filoni – Cristo esce dalla sua divinità e va verso la periferia, l’umanità, dove ignoranza, peccato, ritualismi ed altro hanno reso la fede sterile o del tutto ignorata”. Di qui, il nesso evidenziato dal porporato tra Maria, “maestra di teologia” e l’Università Urbaniana, in quanto entrambe generatrici, maestre ed educatrici “dell’uomo alla fede”. La missione dell’Ateneo, quindi, è quella di “gestare la fede e preparare nuovi missionari che l’annuncino nella piena fedeltà al Vangelo ed alla Chiesa”. Il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli non ha mancato, poi, di sottolineare l’articolata struttura dell’Ateneo, nato 366 anni fa e che oggi offre quattro facoltà, due Istituti superiori, due Centri studi, un dipartimento di lingue e una Biblioteca che “racchiude un ricchissimo patrimonio di ingegno umano e di valori culturali senza precedenti”. A tutto ciò, ha ribadito il porporato, va aggiunta “la struttura umana” dell’Università, composta da professori, alunni “provenienti da 120 Paesi”, personale di servizio e benefattori. Infine, il cardinale Filoni ha espresso l’auspicio che Papa Francesco si rechi in visita presso l’Ateneo, dopo l’invito presentatogli dallo stesso porporato nell’udienza del 4 aprile scorso. (I.P.)

    inizio pagina

    Prevenzione riciclaggio denaro e trasparenza finanziaria, continua impegno Santa Sede: “Progress Report” a dicembre

    ◊   La Santa Sede continua con impegno il suo dialogo con Moneyval, il Comitato del Consiglio d’Europa che valuta le misure nazionali per il contrasto del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo. Ieri il Comitato ha deciso con procedura ordinaria che il prossimo “Progress Report” della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano sia presentato nel dicembre di quest’anno. Inoltre, il Comitato ha anche accettato la proposta della Santa Sede stessa, che questo prossimo rapporto riguardi non solo le “Core Recommendations”, ma anche tutti gli ambiti coperti dalle “Key Recommendations”. Con tale iniziativa, la Santa Sede vuole fornire una panoramica più completa delle misure prese nell’ultimo anno per rafforzare ulteriormente il suo assetto istituzionale nel campo della prevenzione del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo.

    Come si ricorderà il Rapporto di valutazione della Santa Sede/Stato della Città del Vaticano è stato approvato da Moneyval nel luglio dello scorso anno. Secondo le normali procedure di Moneyval, ogni Paese è obbligato a presentare all’Assemblea Plenaria di Moneyval, nel corso dell’anno successivo, un “Progress Report” limitato soltanto alle “Core Recommendations”. In tale prospettiva, l’iniziativa della Santa Sede approvata ieri, estendendo il Rapporto anche alle “Key Recommandations”, conferma il suo impegno per un dialogo costruttivo con Moneyval per rafforzare ulteriormente il sistema di prevenzione del riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo.

    inizio pagina

    50.mo “Pacem in Terris”. Lo storico Giovagnoli: documento di grande forza e attualità

    ◊   Ricorre domani il 50.mo dell’Enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII. Un documento profetico, di grande forza, nel quale il Beato Roncalli, all’indomani della crisi di Cuba, esortava tutti gli uomini di buona volontà, e non solo i cristiani, a impegnarsi per la pace nel mondo. Sull’attualità di questo documento, la riflessione dello storico della Cattolica di Milano, Agostino Giovagnoli, intervistato da Alessandro Gisotti:

    R. - La forza della Pacem in Terris è anzitutto quella di portare a compimento un Magistero, quello dei Papi, che nel corso del ‘900, a partire da Benedetto XV in modo particolare, ha sempre più insistito sul tema della pace e quindi sul ruolo della Chiesa cattolica per il sostegno della pace nella famiglia umana. Inoltre, la Pacem in Terris ha portato questo tema ad una sua formulazione piena, nel senso di considerare la guerra come qualcosa di non più accettabile e sopportabile.

    D. – Un documento che nasce dopo la crisi di Cuba, forse il momento in cui il mondo più si è avvicinato ad una Terza guerra mondiale, ad una guerra nucleare. Sicuramente anche questo era molto presente nel pensiero, nel cuore di Papa Giovanni XXIII...

    R. – Sì, certamente. La genesi di questo documento è proprio nella crisi di Cuba dell’ottobre ’62 e direi anche nel ruolo che, in quell’occasione, Giovanni XXIII aveva potuto svolgere in modo singolare fra le due grandi parti in gioco: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Giovanni XXIII in questo modo ha voluto trasformare un’iniziativa specifica in qualcosa di più, cioè in un monito che la Santa Sede era in grado di dare, svolgendo un magistero morale, universale rivolto a tutti i popoli.

    D. – Il respiro universale di questo documento è presente fin dal frontespizio, perché la Pacem in Terris non si rivolge solo ai cattolici, ai cristiani, bensì a tutti gli uomini di buona volontà...

    R. – Questo è molto significativo. Da allora in poi, altri documenti hanno ripreso questo appello agli uomini di buona volontà, quindi credenti e non credenti. Direi che qui si sente anche l’evoluzione di quel "magistero giovanneo" tanto attento a distinguere tra le ideologie, i movimenti storici e anche tra l’errore e l’errante.

    D. – In molti vedono un richiamo di Papa Francesco al Beato Giovanni XXIII, sicuramente in questa dimensione della pace...

    R. – Il richiamo è evidente, il richiamo è forte - il tema della pace è presente già nei primi discorsi del nuovo Papa - e si salda per esempio a quell’invito a prendersi cura dell’altro con tenerezza. Direi che questo Papa che viene dal Sud del mondo, e che esprime quel processo di globalizzazione in cui siamo immersi, costituisca in qualche modo la continuazione di un’intuizione giovannea, che convocando il Concilio Vaticano II ha legato le sorti della Chiesa cattolica a quelle del mondo intero e quindi ha anche strettamente rivendicato l’impegno cristiano della Chiesa cattolica in particolare per la pace, non come qualcosa di accessorio, ma come qualcosa di fondamentale.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Un Dio per papà: all’udienza generale il Pontefice parla del significato della risurrezione nella vita dei cristiani.

    Telegramma del Papa per la morte del cardinale Lorenzo Antonetti, nunzio apostolico, presidente emerito dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica.

    Cinquantesimo anniversario dell’enciclica “Pacem in terris” (11 aprile 1963) che ebbe un’accoglienza senza eguali sulla stampa internazionale: in cultura, un articolo di Andrea Possieri, la “conferenza di quaresima” della storica Lucetta Scaraffia pubblicata da “La Croix” e l’editoriale scritto il giorno dopo la pubblicazione ufficiale dall’allora direttore dell’“Osservatore Romano” Raimondo Manzini.

    Il prete trasparenza di Cristo: riflessione del cardinale Raymond Leo Burke al sodalizio Amicizia sacerdotale “Summorum Pontificum”.

    Non solo le armi uccidono i bambini: in rilievo, nell’informazione internazionale, un rapporto di Save the Children dedicato alle violenze sessuali sui minori durante i conflitti.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Coree: tensione per possibile test missilistico. Washington e Seul in allerta

    ◊   Tensione sempre alta tra le due Coree. Seul e Washington hanno elevato di un grado il livello di allerta militare di fronte alle minacce di un lancio imminente di missili da parte di Pyongyang. Chiuso ai turisti un valico di frontiera tra la Cina e la Corea del Nord. La Casa Bianca parla di una retorica inutile, ma intanto tutto è pronto per l’evacuazione degli stranieri dal Sud. Si moltiplicano anche gli appelli alla calma, l’ultimo arriva dal Dalai Lama che ribadisce: “i missili non risolvono i conflitti”. Il servizio di Cecilia Seppia:

    Le immagini satellitari parlano chiaro: Pyongyang ha preparato i suoi missili Musudan e Scud, di una portata teorica fino 4 mila km, per un nuovo lancio che potrebbe addirittura avvenire in giornata. Secondo l’amministrazione Obama, inoltre, il test potrebbe essere eseguito da diversi siti e senza l’invio di un avvertimento standard agli aerei commerciali e alle navi. Seul e Washington così corrono ai ripari portando dal primo al secondo livello il grado di allerta militare perché – come si legge in un comunicato diffuso dall’agenzia Yonhap – ormai “si è di fronte ad una minaccia vitale” per la pace e la sicurezza della popolazione. Intanto, dopo l’invito rivolto dal governo nordcoreano agli stranieri affinché lascino la Corea del Sud di fronte a un rischio guerra, le autorità cinesi hanno chiuso il posto di frontiera di Dandong che sarà valicabile solo per fini commerciali. Anche il Giappone si prepara al peggio schierando missili Patriot a pochi passi da Tokyo. E il premier nipponico, Shinzo Abe, assicura: “Stiamo prendendo tutte le misure per proteggere la vita delle persone e garantire la loro sicurezza”. Domani, a Seul, previsto anche l’arrivo del segretario generale della Nato, Rasmussen, per una visita che però – precisano fonti di Bruxelles – era già in programma.

    Quanto è vasto e potente l’arsenale militare della Corea del Nord? Cecilia Seppia lo ha chiesto a Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto Affari Internazionali.

    R. - La Corea del Nord dovrebbe avere un certo numero di testate nucleari, probabilmente più basate sul plutonio che sull’uranio, quindi piuttosto pesanti e poco miniaturizzate. Si dice che potrebbero essere da tre ad una ventina. Molti dubitano che abbiano la capacità di inserire testate nucleari all’interno di questi missili, quindi le tesate nucleari potrebbero essere sparate in altra maniera o lanciate da aerei. I loro missili sono variazioni di vecchi missili russi o missili loro elaborati in proprio da modelli iniziali cinesi e sono di varia gittata ma piuttosto imprecisi. Il missile di cui si parla oggi, che dovrebbe essere forse sperimentato dalla Corea del Nord, ha una gittata media di circa 4 mila chilometri che significa che all’interno del suo raggio d’azione c’è il Giappone e al limite ci può essere l’isola di Guam. Molti dubitano che i missili coreani possano raggiungere gli Stati Uniti. Al massimo quelli a più lunga gittata, che però sinora non si sa come e quanto funzionino, potrebbero toccare il territorio dell’Alaska.

    D. - Parliamo invece dell’esercito regolare di Pyongyang e delle armi cosiddette “convenzionali”. Molti sostengono che non sia all’altezza, che sia quasi antiquato…

    R. – Diciamo che non è il massimo della modernità, però è piuttosto potente. Ha molti cannoni, ha molti carri armati, è un esercito ancora concepito secondo il vecchio modello sovietico. Ha il grande vantaggio, in caso di guerra, di avere il nemico assolutamente a portata di pistola, neanche di fucile, appunto la Corea del Sud e in particolare la capitale Seul. Quindi, potrebbe sicuramente infliggere grossi danni, anche se difficilmente potrebbe vincere una guerra. Ha una marina con una certa quantità di sottomarini e soprattutto una forte capacità di seminazione di mine.

    D. – C’è confusione in questi giorni anche da parte dei media delle agenzie giornalistiche sui termini “attacco” e “test” missilistico da parte della Corea del Nord. Entrambi creano allarmi però c’è una differenza, possiamo spiegarla?

    R. – Il test missilistico non è un attacco, è una sfida alla volontà espressa dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha imposto alla Corea di non fare altri test missilistici o nucleari. Bisogna anche vedere dove sia indirizzato questo test missilistico. Se dovesse sorvolare, per esempio, la Corea del Sud o il Giappone, questo potrebbe essere visto come una sorta di indiretta minaccia.

    D. – Washington e Seul hanno alzato l’allerta militare a livello 2, segno di una minaccia reale e vitale per la pace e la sicurezza. Oggi, inoltre scade il termine per l’evacuazione degli stranieri dalla Corea del Sud. Cosa ci dobbiamo aspettare?

    R. – Per il momento, credo siamo ancora a livello di una guerra di parole. Però, è abbastanza evidente che né gli americani, né i coreani del sud sembrano disponibili a fare a questo punto concessioni. Io credo che se la Corea del Nord, a questo stadio, si aspetta che qualcuno faccia concessioni, si fa illusioni. La risposta di cercare di proteggere le popolazioni civili, mettere batterie antimissili è semplicemente precauzionale, però è indicativa di una volontà di non farsi terrorizzare dalla Corea del Nord.

    inizio pagina

    Usa: Senato al voto per la riforma che limita il possesso di armi

    ◊   Controlli preventivi a cui sottoporre chi vuole comprare un’arma e un allargamento delle zone in cui è vietato essere armati. È quanto prevede la legge di riforma sul possesso delle armi, che domani passerà a un primo esame del Senato statunitense. Obama spera in un accordo "bipartisan", visto che non ha la maggioranza alla Camera dei rappresentanti. Un voto che avviene con il Paese sotto shock per le vittime dei giorni scorsi, una donna e un bambino, morti causate da armi lasciate incustodite. Marco Guerra ne ha parlato Marilisa Palumbo, americanista del Corriere della Sera:

    R. – Obama aveva spinto su una legislazione molto dura, sul controllo delle armi, soprattutto dopo la tragedia di dicembre della scuola elementare "Sandy Hook" di Newtown, dove avevano perso la vita venti bambini e sei adulti. In quel momento, sembrava ci fosse una spinta vera per un’azione sul controllo delle armi. Adesso, si arriva a questo voto con qualche difficoltà, perché fino a ieri i repubblicani hanno minacciato anche l’ostruzioniso. Poi, si sono spaccati e quindi si riuscirà quantomeno a portare in aula il disegno di legge, in un’aula dove sappiamo i democratici hanno la maggioranza. Purtroppo, però, anche loro sono divisi, perché alcuni democratici non sono disposti ad approvare delle misure troppo stringenti. Insomma, è comunque un primo passo importante, ma ci si arriva con meno slancio di quanto probabilmente ci si sarebbe aspettati .

    D. – Tuttavia, molti parlano di un passo storico, perché?

    R. – Lo è decisamente, perché comunque non si discute di controllo delle armi in Congresso dal 1994, quando l’amministrazione Clinton spinse e riuscì a far approvare il bando alle armi d’assalto, anche lì sull’onda dell’orrore per la tragedia di Columbine. Quel bando è scaduto nel 2004 e naturalmente l’amministrazione Bush non ha voluto rinnovarlo. Da lì, non si è mai discusso di reintrodurlo e adesso si prova a fare qualcosa. Ricordiamoci che la questione del controllo delle armi è uno dei temi più delicati e più controversi nella discussione pubblica americana, perché ci sono ragioni storiche e culturali: il mito della frontiera, il secondo emendamento, il diritto al possesso delle armi.

    D. – L’opinione pubblica condivide la stretta che si vuole dare al livello politico e dal Parlamento americano alle armi facili?

    R. – L’America degli ultimi anni sta cambiando davvero in tante cose e quindi c’è sicuramente una maggiore sensibilità, desiderio di controlli maggiori. Probabilmente, sulla limitazione vera al porto d’armi, sul diritto di possedere armi, c’è ancora un consenso piuttosto generalizzato. C’è però la consapevolezza della necessità di maggiori controlli. Naturalmente, poi, dobbiamo anche ricordare che c’è un’azione di lobby fortissima su questi temi. La National Rifle Association spende milioni di dollari ogni anno per sostenere le campagne elettorali di deputati e senatori che si esprimono contro il controllo delle armi.

    D. – Si stima che oltre sei milioni di armi vengano vendute negli Stati Uniti, senza alcun controllo sul passato degli acquirenti. Il mercato è così veramente deregolamentato? E’ fuori controllo?

    R. – Abbastanza. Si stima che, più o meno, ci siano 310 milioni di armi negli Stati Uniti. I controlli sono pochissimi. Persino le misure che si vorrebbero introdurre in questo disegno di legge non prevedono grandi controlli nelle vendite tra privati. Direi che sia davvero fuori controllo.

    inizio pagina

    Onu, Obiettivi Millennio: mille giorni per centrarli in uno scenario globale mutato

    ◊   Mancano mille giorni per raggiungere gli Obiettivi del Millennio, fissati dalle Nazioni Unite nel 2000 per liberare l’umanità dalla povertà estrema, garantire il diritto al cibo per tutti e migliorare la qualità della vita sull’intero pianeta. Ed è stato il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, a ricordare ai nostri microfoni questo importante scadenza, a margine dell’incontro ieri con Papa Francesco. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Gli Obiettivi sono otto: eliminare la povertà estrema e la fame, garantire l’istruzione elementare per tutti, eliminare le disparità uomo-donna, ridurre di due terzi la mortalità infantile e di tre quarti quella materna, fermare la diffusione di Hiv e malaria, dimezzare il numero di quanti non hanno accesso all’acqua potabile, sviluppare un sistema finanziario e commerciale davvero equo. Forse obiettivi troppo ambiziosi, alcuni perfino impossibili - si è detto - da raggiungere. Ma qual è il bilancio complessivo del cammino fin qui fatto? Lo chiediamo alla dott.ssa Mariam Ahmed, dirigente Fao, responsabile dei rapporti con le Nazioni Unite:

    R. – La crisi economica e finanziaria ha colpito duramente i Paesi donatori. Inoltre, ulteriori disagi verificatisi in seno ad alcuni Paesi del Sud del mondo – conflitti interni, crisi politiche ma anche problemi climatici come la siccità nel Corno d’Africa, inondazioni, calamità naturali – hanno reso ulteriormente difficile il raggiungimento degli Obiettivi. La settimana scorsa, i capi delle organizzazioni delle Nazioni Unite si sono incontrati a Madrid per prendere visione dello stato degli Obiettivi del Millennio in alcuni Paesi e identificare delle azioni concrete per accelerare il raggiungimento di alcuni di questi obiettivi, che comunque resta una responsabilità collettiva.

    D. – Quali, tra gli otto Obiettivi, si potranno raggiungere e quali certamente no?

    R. – La Fao lavora in particolar modo per il raggiungimento del primo Obiettivo del Millennio. Il traguardo di dimezzare la povertà estrema tra il 1990 e il 2015 – la data prevista – è stato raggiunto cinque anni prima della scadenza a livello globale. Purtroppo, però, abbiamo ancora 850 milioni di persone che soffrono la fame al mondo, cioè circa il 15% della popolazione totale. Il raggiungimento del primo Obiettivo è un pre-requisito fondamentale per raggiungere tutti gli altri. Infatti, se la gente è ben nutrita può studiare, lavorare e fare tutte le altre cose.

    D. – Ritiene che gli Stati si siano impegnati abbastanza fin qui, o abbiano firmato e dimenticato gli impegni presi in sede Onu?

    R. – Bisogna tener presente che la crisi economica e finanziaria, iniziata alla fine del 2008, ancora colpisce duramente i Paesi donatori e pertanto ha avuto un riscontro negativo sui livelli di assistenza e cooperazione allo sviluppo, che sono scesi in gran parte. C’è stato poi anche il legame con le priorità di sviluppo nazionali. Va detto che questi Obiettivi del Millennio sono stati formulati in un contesto globale che è molto cambiato dal 2000: prima, vi era un dialogo tra governi, vi era un contratto firmato da governi nella sede dell’Onu, adesso, tutto il contesto è stato rivisitato anche dalle Nazioni Unite. Noi adesso lo vediamo non come un contratto tra i Paesi dell’Onu, ma come un impegno assolutamente globale, una responsabilità collettiva in cui sono coinvolti tutti gli attori-partner dello sviluppo. Stiamo parlando di società civile, del settore privato, delle istituzioni di ricerca accademica, del cittadino stesso… Per questo, ormai, si è capito chiaramente che questi obiettivi non potranno mai essere raggiunti se rimarranno soltanto una responsabilità dei governi.

    inizio pagina

    Pena di morte, Rapporto Amnesty: allarme Cina e Iraq, prosegue trend abolizionista

    ◊   Nel 2012, sono state seguite condanne a morte in 21 Paesi del mondo, mentre dieci anni fa erano 28.682 in totale le esecuzioni, due in più rispetto al 2011. Sono di dati contenuti nell’annuale Rapporto di Amnesty International sulla pena di morte, pubblicato oggi. Cifre che evidenziano la tendenza globale all’abolizione della pena capitale. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    La consapevolezza è acquisita: la pena di morte è crudele e disumana, degradante per chi la commina. Inoltre è dimostrato: è assolutamente inefficace, non è un deterrente. Amnesty International, nel suo Rapporto 2012 sulle esecuzioni nel mondo, ci dice che: “Nonostante, alcuni deludenti passi indietro, la tendenza globale verso l’abolizione della pena capitale è proseguita”. Il freno agli entusiasmi lo hanno posto Paesi che hanno ripreso le esecuzioni, in Gambia dopo quasi 30 anni sono state uccise nove persone, e poi ancora Pakistan, Giappone, India, dove a novembre è stata eseguita la prima condanna a morte dal 2004. Resta però un dato: nel mondo solo un Paese su dieci ricorre alla pena di morte. Carlotta Sami, direttrice di Amnesty International Italia:

    "I numeri danno ragione a chi come Amnesty internazionale da più di 50 anni sta lavorando incessantemente contro la pena di morte nel mondo perché dimostrano che inesorabilmente la pena di morte è in caduta libera. Vediamo però che ci sono alcuni Paesi che presentano una recrudescenza. India e Giappone che non commettevano più esecuzioni hanno ripreso nel 2012. Poi, ci sono alcuni Paesi, come la Cina, che destano molta preoccupazione perché continuano a stendere un velo di segretezza assoluta sulle esecuzioni capitali e abbiamo contezza del fatto che in Cina ne siano state commesse migliaia. Altri Paesi, che per noi sono preoccupanti, sono quelli dell’area del Golfo dove c’è una fortissima repressione della libertà di espressione e dove vediamo, come in altri posti, che la pena di morte viene usata anche per motivi politici".

    Tre Paesi del Golfo, Iran, Iraq e Arabia Saudita, sono tra i primi della lista di coloro che hanno messo a morte. L’Iraq soprattutto desta molta preoccupazione per “un allarmante aumento”: 129 esecuzioni, il doppio rispetto al 2011. Mentre in Siria è ancora impossibile, a causa del conflitto, stabilire se vi siano state esecuzioni. Ad aprire l’elenco la Cina, con un numero di esecuzioni segreto ma che riguarda, denuncia Amnesty, più persone che il resto del mondo messo insieme. Tra i primi sei Paesi si trovano anche Stati Uniti – unico delle Americhe a compiere ancora esecuzioni, 43 nel 2012 – e Yemen, e nell’elenco figura anche un Paese della regione europea:

    "La Bielorussia continua ad essere l’unico Paese nella regione europea ad eseguire condanne a morte. Lo fa informa segreta, non ne dà pubblicità, ma nel 2012 abbiamo contezza che siano state eseguite almeno tre condanne a morte".

    Impiccagione, decapitazione, fucilazione e iniezione letale sono i metodi utilizzati per punire crimini che, spiega Amnesty, “hanno incluso anche reati non violenti, legati alla droga e di natura economica, ma anche l’apostasia, la blasfemia e l’adulterio, che non dovrebbero assolutamente essere considerati reati”. Ci sono però esempi positivi, come quello rappresentato dal Vietnam, che non ha eseguito alcuna condanna:

    "Ad esempio, la Lettonia, che forse non tutti sapevano che era un Paese che ancora prevede la pena di morte, è stato il 97.mo Paese al mondo ad abolirla per tutti i reati. Alcuni Stati degli Stati Uniti, in particolare il Connecticut, nel 2012 ha abolito la pena di morte".

    Altri importanti esempi virtuosi si trovano nell’Africa subsahariana. In Benin, che continua a fare passi avanti per abolire la pena di morte dalla sua legislazione così come in Sierra Leone, dove non ci sono più prigionieri nel braccio della morte:

    "Noi siamo molto fiduciosi e siamo sicuri che questo processo non si arresterà perché l’opinione pubblica a livello mondiale è contraria in gran parte alla pena di morte. Ormai, è opinione globale e risulta anche da numerosissimi studi che la pena di morte non ha alcun valore deterrente. Purtroppo, come si diceva, viene utilizzata per scopi politici. Quindi, per associazioni e organizzazioni come Amnesty International è molto importante continuare a fare pressione a livello internazionale e diplomatico, quindi attraverso le Nazioni Unite, e a livello nazionale perché i nostri governi facciano sentire sempre di più la loro voce".

    inizio pagina

    Unicef. Benessere dei bambini negli Stati ricchi: Paesi Bassi primi, Usa in coda

    ◊   Paesi Bassi al primo posto e Stati Uniti ultimi. E’ questo il responso della classifica sul benessere dei bambini nei Paesi ricchi, in base allo studio comparativo pubblicato dall’Unicef e presentato oggi a Roma alla presenza del presidente del Senato, Pietro Grasso. Preoccupa, in particolare, la situazione di Stati duramente segnati dalla crisi, tra cui Grecia, Italia, Portogallo e Spagna. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il Rapporto prende in esame 29 Paesi analizzando cinque ambiti della vita dei bambini: benessere materiale, salute e sicurezza, istruzione, comportamenti e rischi, condizioni abitative. Ai primi posti, nella classifica sul benessere dei bambini, ci sono Paesi Bassi, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia. Su questo dato si sofferma Luisa Natali, ricercatrice dell’Unicef:

    "Esistono Stati, come i Paesi Bassi e i Paesi nordici, che sistematicamente fanno meglio di altri Paesi nel proteggere i loro cittadini più vulnerabili, ovvero i bambini. Le tendenze di questa classifica mostrano che importante per i livelli di benessere infantile non è solo il pro-capite del Paese, ma le politiche che vengono adottate. Non esiste una forte correlazione fra il Pil pro-capite e il benessere generale dei bambini e degli adolescenti".

    Quattro Paesi dell’Europa meridionale – Grecia, Italia, Portogallo e Spagna – si attestano nella metà inferiore della graduatoria. L’Italia, in particolare, occupa la 22.ma posizione:

    “I bambini poveri in Italia non sono solo tanti. Viene stimato che nel 2010 fossero all’incirca un milione 800 mila. In Italia, i bambini poveri vivono in famiglie che hanno in media un reddito inferiore del 30% circa rispetto alla linea di povertà. E questo indica che è richiesto uno sforzo maggiore all’Italia rispetto agli altri Paesi, da parte del governo e delle istituzioni, per chiudere questo divario e per aiutare queste famiglie ad oltrepassare la linea di povertà ed uscire dall’esclusione sociale".

    Gli ultimi posti sono invece occupati da tre degli Stati più poveri inclusi nell’indagine, Lettonia, Lituania e Romania. Nell’ultima posizione, uno dei Paesi più ricchi. Ancora Luisa Natali:

    "Gli Stati Uniti non tendono a classificarsi in coda alla classifica solo per alcune delle dimensioni, ma tendono ad esserlo per quasi tutte le dimensioni analizzate".

    In tutto il mondo industrializzato, a partire dal 2000, si registra comunque un costante miglioramento, in diversi campi, del benessere dei bambini. Tra le tendenze positive, spiccano la riduzione della mortalità infantile e l’aumento del tasso di iscrizione scolastico.

    inizio pagina

    Italia, politica. Baggio: scelta comune del capo dello Stato sarebbe segnale forte in Europa

    ◊   In attesa dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica, in Italia la politica sembra in stallo mentre si aggrava la crisi economica a danno, in particolare, di famiglie e piccole e medie aziende. I disoccupati hanno ormai raggiunto la cifra di un milione di persone senza lavoro, i quali – secondo l’Ilo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro – sono 26 milioni in tutta Europa. Il parlamento sembra bloccato in un gioco di veti incrociati e tatticismi che ampliano le divergenze tra Paese reale, i cittadini, e il Paese legale, le istituzioni. Sulla situazione politica italiana, l'opinione del politologo cattolico, Antonio Maria Baggio, al microfono di Luca Collodi:

    R. – Di fronte al risultato elettorale che mostra tre forze tra di loro equivalenti – una delle quali però, il movimento di Grillo, non disposta a collaborare al governo – era evidente che le prime due, centrodestra e centrosinistra, assieme alla forza del professor Monti, dovessero continuare, non per cercare governissimi che non sono possibili perché ci sono disaccordi profondi, ma per creare un governo della durata di un anno un anno e mezzo, che prima di tutto cambi la legge elettorale, che faccia delle cose importanti in economia per dare alle famiglie la possibilità di spendere qualcosa in più di quello che hanno adesso, alle imprese di risollevarsi, e prendere alcuni degli elementi che i grillini portano avanti sulla pulizia della politica, sulla trasparenza, in modo da prendere sul serio quello che vogliono gli italiani. Tutto questo, in un anno un anno e mezzo, si può fare per tornare alle urne senza aver perso tempo.

    D. – È giusto, guardando al bene comune, assistere impotenti a una politica fatta di tatticismi e di veti incrociati?

    R. – Va sottolineato che c’è la crisi economica. Ci sono tante difficoltà. Ma il problema specifico dell’Italia è che la politica, che dovrebbe essere lo strumento per risolvere questi problemi, è diventato a sua volta un problema. Questo è il momento di alzare la voce, perché i partiti impongano a se stessi le riforme senza le quali il Paese cadrebbe veramente in una crisi terribile.

    D. – Il laicato cattolico in questa situazione di stallo cosa può fare? Conta ancora qualcosa?

    R. – Il laicato cattolico, intanto, è attivo ed è presente in tutte le situazioni sociali. La cosa in cui manca è il secondo gradino, il secondo passo, cioè portare questa competenza e questa presenza nel sociale a un livello di riflessione politica. Questo spesso avviene per richiamo della gerarchia ecclesiastica. Allora nascono le varie Todi. Allora, ecco che coloro che sono presenti a certi convegni organizzati dalla Chiesa poi li ritroviamo come ministri. Ma questo non è il procedimento normale; non è il linguaggio della politica. La politica deve parlare prima di tutto dal basso. Allora, il grande sforzo che il laicato cattolico in prima persona dovrebbe fare oggi è proprio quello di rappresentare la società, di ridare fiato al sociale partendo dal basso e con programmi chiari. In questi giorni, il presidente Napolitano ha fatto un richiamo al ’76, un periodo in cui si formò un governo di minoranza, monocolore democristiano, guidato da Andreotti, che aveva l’appoggio diretto e indiretto delle altre forze politiche. Alla base di tutto questo, non c’era un mero tatticismo, ma un pensiero politico che era espresso da Moro. Ciò di cui oggi si sente la mancanza è proprio la presenza di un pensiero politico laico, che abbia un’ispirazione cattolica, ma che abbia anche la capacità di parlare a tutti come faceva quello di Moro.

    D. – Il rilancio dell’Italia può ripartire dal nuovo presidente della Repubblica?

    R. – Sì. Ma spero veramente che non venga eletto un uomo di parte, perché sarebbe possibile per la sinistra farlo, se non ci fosse un accordo con le prime elezioni, quando si abbassa il quorum. Spero sia una persona sulla quale ci sia un grande concorso di volontà e di adesione, perché questo sarebbe il primo segnale nei confronti dei mercati, dell’Europa e di tutti, di una volontà da parte del Paese di uscire dalla situazione attuale. Non eleggiamo, non scegliamo il presidente in base ai tatticismi di partito. Questo sarebbe un disastro. Scegliamo il presidente pensando a uno statista che deve garantire all’Italia una stabilità politica per tutti e sette gli anni del suo mandato. Io spero che magari sia parli un po’ di più prima: perdiamo un giorno in più per parlarsi tra i partiti, ma che si faccia una scelta responsabile per il bene di tutti.

    inizio pagina

    A un mese dal rogo, concerto per la riapertura di un padiglione della Città della Scienza

    ◊   Riapre stasera a Napoli un’area espositiva dello "Science center" di Città della Scienza, a poco più di un mese dal rogo che ne distrusse 8.000 metri quadri su un totale di circa 70 mila. E’ un piccolo passo, ma altamente significativo cui ha contribuito la solidarietà del mondo scientifico e culturale anche europeo e il lavoro incessante di tutti i dipendenti che non ricevono lo stipendio da 10 mesi. Piena disponibilità anche dal parlamento europeo. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Città della Scienza un mese dopo: c’è l’area del rogo posta sotto sequestro con le indagini ancora in corso, ma c’è anche un popolo che alla distruzione ha reagito da subito rimboccandosi le maniche e che mostra i primi frutti della rinascita. Vittorio Silvestrini, presidente Città della Scienza:

    “Per noi, dare continuità alle attività è vitale. Restare con la struttura chiusa vuol dire veramente aprire le porte al degrado”.

    Da stasera, al via dunque quattro mostre - sulla fisica, la geofisica, la vulcanologia - con destinatari soprattutto i bambini. E poi, un percorso di scienze naturali per scoprire il mondo degli insetti e un programma di educazione alimentare. In tutto, circa 6.000 metri quadrati, frutto di una grande solidarietà. Ancora Silvestrini:

    “Un esempio: Carlo Rubbia ha messo in piedi un comitato di supporto, un’iniezione di competenze e di credibilità scientifica che ci aiuta”.

    A inaugurare i nuovi spazi, stasera alle 20, il concerto di sostegno alla ricostruzione del pianista napoletano, Michele Campanella. Fu lui, nel 1996, a suonare per la prima volta nei padiglioni dell’allora nascente struttura:

    “Mi ricordo molto bene che c’era un’atmosfera effervescente. Questa atmosfera è stata mortificata e ferita dall’incendio. Io spero che la mia musica porti una ricarica etica. Vogliamo citare le parole del nostro Papa: 'Mai cedere al pessimismo'. Vorrei con tutto il cuore essere messaggero di bellezza”.

    A seguire, si terrà l’inaugurazione delle aree espositive dello Science Center di Città della Scienza, che domani riapriranno al pubblico. Eventi, animazioni, incontri anche nel fine settimana per festeggiare questo importante segno di reazione all’atto criminale del 4 marzo.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Vescovi coreani: il Nord minaccia il mondo per salvare la sua economia

    ◊   La Corea del Nord "vuole ottenere assistenza finanziaria dall'estero senza cedere sull'orgoglio o sulla stima di sé. I vescovi cattolici sono molto tristi per questa tensione e per le minacce di Pyongyang, che rendono il mondo più ansioso e infelice". Lo dice all'agenzia AsiaNews mons. Pietro Kang U-il, vescovo di Cheju e presidente della Conferenza episcopale coreana. Mentre nella penisola monta la tensione e si moltiplicano i segnali di guerra, i vescovi "cercano in ogni modo una strada verso la pace. Anche se i sudcoreani sembrano calmi e tranquilli, la situazione attuale sta scuotendo la popolazione dall'interno. Noi possiamo anche essere abituati a queste minacce, ma non si può negare la possibilità di un improvviso scontro militare". La Corea del Nord - aggiunge - "potrebbe trovarsi in questa situazione in cui minaccia tutti perché non è più in grado di rivitalizzare la sua economia e salvarsi dal baratro. Ha bisogno di investimenti esteri ma ha bisogno anche di mantenere il rispetto di sé e la faccia, un concetto da noi molto sentito. Nei 60 anni dalla fine della guerra sono prevalse le culture di superiorità e autarchia dei dittatori del Nord. Ma questa ricetta ha demolito la loro economia". È per questo, conclude, che "mi appello di persona a tutta la popolazione coreana: pregate per la pace nella penisola. Ho composto una preghiera per chiedere a Dio compassione per un gruppo di stolti che con le proprie azioni sta causando fame, sofferenza, violenza e morte alla propria gente". (R.P.)

    inizio pagina

    Giappone: la Chiesa auspica relazioni pacifiche tra Nord Corea e Paesi limitrofi

    ◊   Pace è la parola chiave da perseguire con ogni mezzo, con azioni a livello locale e regionale, ma anche internazionale. Il sostegno espresso da Papa Francesco nel colloquio con il Segretario generale Onu Ban Ki-Moon è, dunque, importante in questa fase di alta tensione politica e militare in Estremo Oriente. La Chiesa giapponese “da sempre promuove pace e non violenza: come giapponesi e come cristiani, speriamo che si mantengono relazioni pacifiche fra la Nord Corea e i Paesi limitrofi, incluso il nostro”, spiega all’agenzia Fides padre Daisuke Narui, verbita, direttore di Caritas Giappone. Se i mass media internazionali sono impressionati dallo schieramento di batterie di missili Patriot nel centro di Tokyo, padre Narui spiega che “l’atmosfera nella società resta piuttosto tranquilla. La maggior parte dei cittadini giapponesi non pensa esista un minaccia seria. Infatti, da sempre, ciclicamente, quando c’è tensione o un cambio di regime in Nord Corea, sono arrivate simili minacce anche verso il nostro Paese. Il governo però mostra maggiore attenzione, giustamente, per proteggerci da qualsiasi evenienza”. Padre Narui aggiunge un dettaglio importante: “Vi sono molti nordcoreani che vivono in Giappone. Durante la Seconda guerra mondiale furono portati, a volte forzatamente, per lavoro. Oggi sono residenti in Giappone e sono parte della nazione. Un motivo in più per scongiurare qualsiasi conflitto. Preghiamo e speriamo in relazioni sempre pacifiche, anzi che possano migliorare”. (R.P.)

    inizio pagina

    Colombia: un milione in piazza per la pace. Campane in festa in tutto il Paese

    ◊   Una folla multiforme ha riempito ieri le strade di Bogotá e di altre città del Paese per esprimere il proprio sostegno allo storico processo di pace fra governo e Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) in corso a Cuba. Le campane di tutte le chiese colombiane hanno suonato contemporaneamente in segno solidarietà con le vittime della violenza. Ad assicurare l’adesione all’iniziativa promossa dal Governo è stato personalmente il presidente della Conferenza episcopale, card. Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotá, incontrando giorni fa il Capo dello Stato Juan Manuel Santos Calderón, il quale lo ha ringraziato per l’appoggio della Chiesa a un impegno “tanto nobile quanto necessario, quale è l’impegno per la pace”. Nel 65° anniversario dell’assassinio del leader liberale Jorge Eliécer Gaitán, il 9 aprile 1948, omicidio che diede inizio a un’ondata di violenza politica conosciuta come ‘El Bogotazo’ proseguita fino a oggi, 900.000 colombiani per lo più vestiti di bianco hanno preso parte ieri al corteo sfilato per la capitale; secondo le autorità municipali, altre 150.000 persone si sono unite ai manifestanti lungo il percorso. Assenti alla manifestazione - riferisce l'agenzia Misna - i settori ultraconservatori guidati dall’ex presidente Álvaro Uribe e i più ferrei oppositori di Juan Manuel Santos (tra cui il Polo Democrático che ha denunciato “obiettivi elettorali”). E’ stato il presidente Santos ad inaugurare la marcia presso il monumento degli Eroi caduti, camminando per un tratto della Avenida de El Dorado con sua moglie, María Clemencia Rodríguez, e alcuni rappresentanti del governo. “La pace è la vittoria di qualsiasi soldato, di qualsiasi polizia. Se ci riconciliamo avremo una patria migliore” ha detto Santos. Gli ha dato il cambio al Centro della Memoria storica il sindaco della capitale, l’ex guerrigliero Gustavo Petro, che ha portato il corteo in una Piazza di Bolívar già piena di cittadini. Petro ha esortato i presenti a mobilitarsi “per costruire una nuova nazione”: ad ascoltarlo c’erano anche migliaia di indigeni, afrocolombiani e ‘campesinos’ giunti da regioni lontane e turbolente come Arauca, il Cauca o il Chocó. La folla ha acclamato l’arrivo dell’ex senatrice dell’opposizione Piedad Córdoba, già mediatrice tra il governo e le Farc insieme al defunto presidente venezuelano Hugo Chávez. Anche da fuori della Colombia sono giunte voci a favore di una soluzione negoziata a un conflitto che ha provocato in mezzo secolo di storia quasi 4 milioni di sfollati e almeno 600.000 morti. (R.P.)

    inizio pagina

    Siria. Il vescovo caldeo Audo: Aleppo sta morendo di fame

    ◊   “Si va avanti alla giornata. Ho l'impressione che le persone sono sempre più spossate. Sono tutti divenuti poveri e ognuno è alla continua ricerca di qualcosa da mangiare per sè e per la propria famiglia. Per le strade di Aleppo si vedono le persone che girano senza posa con le buste in mano, cercando un po' di pane.” Così riferisce all'agenzia Fides il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo, presidente di Caritas Siria, delineando un'immagine eloquente della condizione quotidiana vissuta da una città che era tra le più fiorenti e dinamiche di tutto il Medio Oriente, e che ora appare irrimediabilmente sfigurata dalla guerra civile. L'ultima emergenza che coinvolge da vicino le Chiese in Aleppo è quella di centinaia di famiglie cristiane costrette a fuggire dal quartiere di Cheikh Maksoud, conquistato negli ultimi giorni dalle milizie anti-Assad. “Giovedì pomeriggio” riferisce mons. Audo “ci sarà una messa per i cristiani sfollati da Cheikh Maksoud, con i preti e i vescovi che riusciranno a venire. Dopo ci sarà una distribuzione di aiuti per i rifugiati organizzata da Caritas Siria”. Il vescovo caldeo descrive una situazione esplosiva, con gran parte delle strade divenute off limits: “Ieri” racconta a Fides mons. Audo “sono andato all'ospedale a trovare una persona, e per tornare a casa ho impiegato diverse ore, perchè molte strade erano chiuse al transito. Ho saputo che anche molti medici sono stati minacciati e costretti a fuggire. E rimane ignota la sorte dei due sacerdoti Michel Kayyal - armeno cattolico - e Maher Mahfouz - greco ortodosso - rapiti due mesi fa da un gruppo di persone armate sulla strada che da Aleppo conduce a Damasco”. “L'anarchia della guerra – confida a Fides il vescovo caldeo – fa percepire per contrasto in maniera ancora più forte la grandezza della dignità umana, proprio nel momento in cui essa appare così umiliata. In tutto questo molti cercano Dio e chiedono a Lui la pace del cuore, nella preghiera”. (R.P.)

    inizio pagina

    Egitto: timori dei copti ortodossi dopo gli assalti contro la cattedrale di San Marco

    ◊   Gli assalti compiuti dagli islamisti contro la cattedrale di S. Marco al Cairo suscitano forti timori all'interno della comunità copta ortodossa, che per la prima volta punta il dito contro il presidente Mohamed Morsi e il suo entourage. L'accusa contro il capo di Stato islamista giunge proprio dallo stesso Tawadros II, patriarca copto-ortodosso, che in una recente intervista alla tv privata OnTv afferma: "Vogliamo fatti, non solo parole. Il presidente Morsi ha promesso di fare qualsiasi cosa per proteggere la cattedrale, ma in realtà ciò non è mai avvenuto". Oggi - riporta l'agenzia AsiaNews - centinaia di giovani cristiani e musulmani hanno organizzato una manifestazione di protesta contro gli attacchi e per rilanciare il dialogo e l'unità fra le due componenti della società egiziana. Lo scorso 7 aprile, davanti alla cattedrale di S. Marco al Cairo, un gruppo di islamisti ha attaccato con pietre e molotov i funerali di quattro cristiani uccisi durante gli scontri settari avvenuti il 5 aprile nel quartiere di Khosous, nella periferia della capitale. Iniziato davanti agli occhi delle forze dell'ordine, l'assalto ha fatto due morti e oltre 80 feriti. Un edificio della chiesa ha preso fuoco. Secondo il patriarca, "il suo comportamento di Morsi rientra nella categoria della negligenza e della cattiva valutazione degli eventi. In duemila anni la nostra cattedrale non ha mai subito un attacco del genere". Tawadros II invita le autorità a prendere una posizione chiara perché "la situazione ha varcato i limiti della libertà di espressione e ha raggiunto un livello di caos insostenibile". Dopo l'assalto Morsi ha affermato che le violenze di questi giorni "sono un attacco contro me stesso", proponendo il rilancio del defunto Comitato per la giustizia e l'uguaglianza. Ma a tali illazioni Tawadros II sottolinea che "di comitati e gruppi ce ne sono già abbastanza, ma nessuno di essi ha lavorato davvero sul campo". Le immagini amatoriali girate da alcuni attivisti della Maspero Youth Union mostrano la violenza degli scontri del 7 aprile, con decine di estremisti che cantano slogan anti-cristiani, incitando all'odio verso la minoranza. Nei video si vedono anche poliziotti che lanciano gas lacrimogeni all'interno della cattedrale, intossicando anche le donne e gli anziani che si erano rifugiati nella chiesa. (R.P.)

    inizio pagina

    Terra Santa: mons. Shomali fiducioso per la pace dopo la visita di John Kerry

    ◊   “John Kerry conosce la necessità della pace in Terra Santa per l’equilibrio della regione. Non so quando, ma nutro la speranza che la pace arriverà. La preghiera dei cristiani e dei non cristiani tende a questo obiettivo”. La visita di tre giorni in Israele e Palestina del segretario di Stato Usa, John Kerry, viene letta così da monsignor William Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme e vicario patriarcale per la Palestina. La visita, che si è chiude ieri, è arrivata dopo nuove tensioni nei territori palestinesi seguite alla morte in un carcere israeliano di un detenuto palestinese. Tuttavia mons. Shomali allontana il rischio di una Terza Intifada che “distruggerebbe ogni possibilità di pace”. Tra le condizioni poste dai palestinesi per la ripresa dei negoziati c’è quella del congelamento degli insediamenti e delle colonie israeliane in Cisgiordania e Gerusalemme Est. Se Kerry riuscisse a ottenerlo, afferma il vicario, “sarebbe un incoraggiamento per la ripresa dei colloqui”. Un aiuto in tal senso potrebbe arrivare da una lettera firmata da 100 ebrei americani che invitano Netanyahu a impegnarsi per la pace lavorando a fianco del segretario di Stato Usa e facendo sacrifici territoriali anche dolorosi per la pace. La speranza è che anche i palestinesi facciano altrettanto. “Questa lettera - conclude mons. Shomali - avrà il suo peso e saprà aiutare Kerry nella sua missione”. (R.P.)

    inizio pagina

    Iraq: il nunzio ribadisce l'attaccamento dei cristiani alla loro terra

    ◊   “I cristiani in Iraq aspirano alla pace e sanno che l’Iraq è la loro patria, non ne hanno un’altra. Anche quando, per ben noti e tristi eventi, sono costretti a lasciare il Paese, rimangono attaccati a questa terra che portano sempre nel cuore”. Lo ha detto il nunzio apostolico in Iraq e Giordania, mons. Giorgio Lingua, nel corso di un ricevimento, tenutosi a Baghdad, in onore di Papa Francesco e nel quale si è svolta anche la presentazione del patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako al Corpo diplomatico accreditato nel Paese. “I cristiani - sono parole del nunzio riportate dal sito Baghdadhope ripreso dall'agenzia Sir - sognano di ristabilire con i fratelli musulmani rapporti di reciproca fiducia e stima per poter offrire così il loro modesto ma qualificato contributo alla ripresa economica, ma soprattutto morale, del Paese”. A riguardo mons. Lingua ha sottolineato “i buoni rapporti tra le autorità governative e la Chiesa in questo Paese”, ricordando come sia il primo ministro, Nouri al-Maliki, sia il presidente del Parlamento, Al-Nujafi, abbiano dichiarato, proprio durante l’ingresso del nuovo patriarca nella Capitale, che “i cristiani sono stati una componente costituiva e fondamentale nella costruzione dell’Iraq di ieri e lo devono essere anche in quello di oggi”. (R.P.)

    inizio pagina

    Vescovo del Darfur: concessi aiuti al Sudan ma resta alta la preoccupazione

    ◊   3 miliardi e 600 milioni di dollari. E’ questa la cifra stabilita ieri per gli aiuti al Sudan, nel corso dell’incontro di Doha nel Qatar. Una notizia positiva che tuttavia non basta a sedare la preoccupazione di mons. Michael Didi Mangoria, vescovo coadiutore di El Obeid, la diocesi che comprende la regione del Darfur. “Sarebbe una buona notizia se ci fosse la pace” dice all’agenzia Misna, ma il pensiero ora va soprattutto alle migliaia di civili messi in fuga dall’ennesima ondata di violenza. Continuano, infatti, ad arrivare cattive notizie dalle regioni più remote della sua diocesi, in particolare dallo Stato del Darfur meridionale. L’avanzata dei ribelli dell’Esercito di liberazione del Sudan, guidati da Minni Minnawi, ha costretto migliaia di persone a lasciare le loro case e a cercare rifugio presso due basi dei peacekeeper di Unamid, la missione congiunta dell’Onu e dell’Unione Africana dispiegata nel 2007. “Un carico di cibo e benzina destinato a Nyala non ha potuto essere consegnato perché le strade non sono sicure” sottolinea mons. Mangoria, in riferimento agli ultimi aiuti umanitari che avrebbero dovuto raggiungere il capoluogo del Darfur meridionale. E sembra che starebbe puntando verso Nyala l’offensiva dei ribelli. Nei giorni scorsi la fazione di Minnawi ha conquistato le località di Muhagiriya e Labado e ora sostiene di essere a pochi chilometri dal capoluogo. L’Esercito di liberazione del Sudan è uno dei gruppi che nel 2011 non ha sottoscritto gli accordi di pace di Doha, mediati dagli emiri del Qatar. All’intesa non ha aderito nemmeno il Movimento giustizia e uguaglianza (Jem), la formazione armata di maggior peso in Darfur. (G.F.)

    inizio pagina

    Mali: profughi, scarsità di cibo e sminamento le nuove emergenze

    ◊   “Le condizioni di sicurezza a Bamako e in gran parte del Paese sono migliorate, ma abbiamo ancora il problema dei profughi e dei rifugiati da far rientrare nei loro luoghi di origine” dice all’agenzia Fides don Edmond Dembele, segretario della Conferenza episcopale del Mali, dove la Francia ha avviato un primo parziale ritiro delle proprie truppe che hanno liberato il nord dai gruppi jihadisti. “Nelle stesse città che erano occupate dai gruppi ribelli la sicurezza è migliorata e la vita ricomincia poco a poco” dice il sacerdote. “Anche se alcuni sfollati stanno rientrando al nord, la maggior parte dei rifugiati all’estero e degli sfollati interni sono rimasti nelle strutture di accoglienza. Purtroppo gli aiuti non sono sufficienti a fare fronte alle necessità di tutte queste persone” prosegue don Dembele. “La Chiesa continua a sostenere come può gli sforzi umanitari. Il centro di accoglienza della diocesi di Bamako è ancora affollato, mentre durante la Quaresima è stata indetta una colletta nazionale tra i fedeli per raccogliere fondi per gli sfollati”. Don Dembele sottolinea inoltre due ulteriori problemi che complicano la situazione. “Il periodo da aprile a settembre è critico per i raccolti, soprattutto se le piogge non sono state abbondanti. Quest’anno ha piovuto fin troppo al punto che vi sono state inondazioni che hanno danneggiato le coltivazioni. Il Mali sta quindi attraversando una crisi alimentare e in diverse regioni la gente sta soffrendo” dice don Dembele. Nel nord inoltre la guerra e la fuga di parte della popolazione ha bloccato le attività agricole che sono ora colpite della presenza di mine e di altri ordigni inesplosi. “Il raccolto inizia verso maggio e senza un’adeguata azione di sminamento e di bonifica, rischia di essere compromesso” conclude don Dembele. (R.P.)

    inizio pagina

    Aparecida. Aperta la 51.ma Assemblea generale dei vescovi del Brasile

    ◊   “Comunità di comunità. La nuova parrocchia”: questo il tema centrale della 51.ma Assemblea generale dei vescovi del Brasile, che ha avuto inizio oggi presso il Santuario nazionale di Aparecida. La manifestazione, alla quale dovrebbero partecipare circa 300 vescovi, è stata aperta con la Messa nella Basilica di Aparecida, celebrata dal presidente della Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani e arcivescovo di Aparecida, il cardinale Raimond Damasceno Assis. La chiusura dei lavori è prevista per il giorno 19, presso il Centro Eventi "Padre Vitor Coelho". Il tema di fondo di questa plenaria dell’episcopato brasiliano sottolinea l’annuncio di Gesù che rivela che il Regno sarà formato da una comunità di discepoli. Secondo mons. José Luiz Majella Delgado, vescovo di Jataí (GO) la metodologia proposta dalla Commissione che ha elaborato il testo, che l’argomento si concluda soltanto nella assemblea del 2014. L’obiettivo è che il documento finale sia arricchito dalle esperienze di parrocchie, e delle comunità. Riuniti nel Santuario di Aparecida, i partecipanti all’assemblea dovrebbero formulare orientamenti per il rinnovamento pastorale e il rilancio del senso della comunità parrocchiale. Secondo il presidente della Cnbb e arcivescovo di Aparecida, il cardinale Raimond Damasceno Assis, la Chiesa è missionaria per sua natura e le parrocchie dovrebbero rilanciare questo spirito missionario. Il porporato ha detto che è “necessario andare alla ricerca di coloro che si sono allontanati, affinché riscoprano la bellezza, la gioia della fede in Gesù Cristo, l’importanza della vita comunitaria e dei Sacramenti”. I lavori della 51.ma assemblea inizieranno ogni giorno con la celebrazione della Messa alle ore 7.30 presso l’altare centrale della Basilica di Aparecida. I lavori si svolgeranno presso il Centro Eventi Padre Vitor Coelho e nei giorni 13 e 14 aprile i vescovi parteciparanno ad un ritiro spirituale. Ogni giorno una conferenza stampa, alle ore 15, con la partecipazione di tre vescovi. (A cura di Silvonei Protz)

    inizio pagina

    Burkina Faso: mons. Ouédraogo ospite di un convegno su tolleranza e pace religiosa

    ◊   All’origine dell’intolleranza religiosa e delle conseguenti violenze settarie tra cristiani e musulmani vi è un’ignoranza di fondo dei testi religiosi delle due religioni. E’ la comune convinzione emersa nei giorni scorsi da un convegno ospitato a Kaya, in Burkina Faso, sul tema della tolleranza religiosa e della pace. L’incontro, promosso dall’Associazione dei borsisti e dei beneficiari degli scambi culturali tra Burkina Faso e degli Stati Uniti, ha ruotato attorno a due temi centrali: “La tolleranza religiosa per i cattolici” e la “La radicalizzazione dell’Islam in Africa Occidentale”. A svolgerli – riporta il quotidiano locale “Le Pays” - due personalità religiose di spicco nel Paese: l’arcivescovo cattolico di Ouagadougou mons. Philippe Ouédraogo e l’imam Tiégo Tiemtoré, membro dell’Associazione degli alunni e studenti musulmani del Burkina Faso (Aeemb) e del Circolo di studi, ricerche e formazione islamica (Cerfi). L’obiettivo dell’incontro era confrontarsi su come promuovere il dialogo e la pace religiosa tra musulmani e cristiani nel Paese e prevenire quindi situazioni conflittuali come quelle verificatesi nel vicino Mali, dove, come è noto, i jihadisti hanno messo sotto scacco per diversi mesi il governo centrale di Bamako. Nel suo intervento sulla tolleranza religiosa per i cattolici, mons. Ouédraogo ha esortato le comunità religiose in Burkina Faso a unire i loro sforzi in questo senso per promuovere la pace sociale nel Paese. Quanto alla Chiesa cattolica, il presule ha ricordato che la pace, la fratellanza, la solidarietà, la giustizia e l’amore rappresentano la ragione stessa della missione della Chiesa, come testimoniano i riferimenti costanti alla pace contenuti nel Vangelo. Sulla stessa linea l’intervento dell’imam Tiemtoré che ha ricordato le numerose esortazioni del Corano al rispetto delle altre confessioni e di Gesù, venerato come un profeta dall’islam. In conclusione, i relatori hanno rilevato come, sia nel cristianesimo sia nell’islam esista una tradizione di tolleranza che va promossa e come proprio l’ignoranza dei testi biblici e coranici abbiano di fatto favorito il diffondersi dell’intolleranza religiosa. In Burkina Faso la comunità musulmana rappresenta circa la metà della popolazione, mentre i cristiani sono il 40%, di cui il 10% cattolici. Il cattolicesimo vi è giunto nel XIX secolo durante la dominazione francese e la prima chiesa fu costruita nel 1900 a Koupéla. (A cura di Lisa Zengarini)

    inizio pagina

    Vietnam: evangelizzazione e nuova Costituzione al centro dell’Assemblea dei vescovi

    ◊   Dai problemi della pastorale alla riforma - anche territoriale - delle diocesi, passando per le relazioni fra Chiesa e Stato con un accenno alla "lettera aperta" in cui i vescovi auspicano una riforma costituzione per la fine del partito unico. Sono molti i temi analizzati nel corso della prima assemblea annuale per il 2013 della Conferenza episcopale vietnamita, che si è svolta dal 1 al 5 aprile al santuario mariano di Bai Dau a Vung Tau, nella diocesi di Ba Ria nel sud del Paese. All'incontro hanno partecipato tutti i prelati vietnamiti, con la sola eccezione del vescovo di Da Nang assente per motivi di salute. Per la Santa Sede è intervenuto mons. Leopoldo Girelli, Rappresentante pontificio non-residente per il Vietnam, che ha commentato le ultime vicende in Vaticano e l'ascesa al soglio petrino di Papa Francesco. Sui temi più importanti che hanno contraddistinto la prima assemblea annuale dei vescovi, nei giorni scorsi è intervenuto il segretario generale mons. Cosme Hoang Van Dat, in una intervista pubblicata sul sito della Conferenza episcopale e rilanciato da Eglise d'Asie (EdA). Il prelato spiega che fra i temi più dibattuti vi sono "la nuova evangelizzazione" della Chiesa in Vietnam e la nascita di "un istituto di teologia". Tuttavia, i vescovi hanno anche affrontato il tema dei rapporti con le autorità di governo e, in particolare, della campagna di riforma della Costituzione lanciata da un gruppo di cittadini e attivisti, e rilanciata dai vescovi con convinzione. "Abbiamo potuto discutere - afferma mons. Van Dat - dell'atteggiamento dello Stato in risposta alla lettera della Conferenza episcopale, contenente proposte e commenti, a proposito della riforma". Il segretario generale dei vescovi spera che "il nostro dialogo con lo Stato, così come con le autorità ai vari livelli, si sviluppi in profondo e si riveli davvero efficace". Dall'incontro è emerso che la Chiesa vietnamita e, più in generale, tutta la Chiesa universale "stanno davvero vivendo il mistero della resurrezione: Cristo era con noi, ci accompagna e ci trasforma in testimoni". Anche il clima "sereno e fraterno" dell'incontro conferma l'unità fra i prelati, tanto nei momenti di lavoro - di "profonda spiritualità" - quanto nei momenti liberi come una sera in cui "si è organizzato un bagno in mare". Infine, il segretario generale dei vescovi vietnamiti conferma la "grande attenzione" con la quale sono seguiti gli eventi a Roma, dalla rinuncia di Benedetto XVI all'elezione di papa Francesco, al Sinodo dei vescovi, alla nuova evangelizzazione. E per quanto concerne la vita della Chiesa vietnamita, non è mancato il confronto su: attività caritative, la promozione dello studio all'estero per i futuri sacerdoti e i religiosi vietnamiti e un accenno alla diaspora composta da emigranti e rifugiati che hanno lasciato il Paese di origine. (R.P.)

    inizio pagina

    Bangladesh. La premier: no a una legge contro la blasfemia

    ◊   "Il Bangladesh non ha bisogno di leggi contro la blasfemia": Sheikh Hasina, primo ministro del Paese, risponde così alle richieste dei radicali islamici di creare leggi ad hoc per punire chi offende l'islam e il profeta Maometto. Il 6 aprile scorso infatti - riferisce l'agenzia AsiaNews - centinaia di sostenitori del partito islamico Jamaat-e-Islami hanno manifestato per chiedere la pena di morte per chi si macchia di blasfemia, oltre alla creazione di una legge simile a quelle esistenti in Pakistan. I fondamentalisti musulmani hanno dato al governo un ultimatum di tre settimane per approvare un decreto anti-blasfemia e punire in modo duro i cosiddetti "blogger atei", colpevoli di offendere Maometto e l'islam. In un'intervista alla Bbc, la premier e leader dell'Awami League ha sottolineato: "Questo Paese è una democrazia laica. Per questo, tutti hanno il diritto di praticare la propria religione in modo libero e sereno. Offendere le altre fedi non è giusto, e per questo esistono già delle leggi che puniscono chi ferisce i sentimenti religiosi di qualcun altro". La scorsa settimana la polizia ha arrestato tre blogger. Associazioni per i diritti umani e attivisti del movimento laico e democratico Shahbag (di cui gli arrestati fanno parte, ndr) hanno criticato il governo, accusandolo di aver ceduto alle pressioni dei musulmani radicali. Tuttavia, sempre alla Bbc Sheikh Hasina ha difeso la decisione della polizia di arrestare i tre blogger. Smentendo le accuse di pressioni, il primo ministro ha detto: "Chiunque ferisca i sentimenti religiosi di qualcun altro sarà punito secondo quanto previsto dalla legge". Dalla fine di febbraio sono più di 80 le persone morte nelle proteste dei sostenitori del Jamaat, che insieme al Bangladesh Nationalist Party (Bnp) continua a organizzare scioperi (hartal) contro i verdetti formulati dai tribunali di guerra. La maggior parte delle vittime è morta per mano della polizia. In Bangladesh l'islam è religione di Stato, praticata da oltre l'89% della popolazione. I cattolici sono appena lo 0,1%. La Costituzione non riconosce la shari'a e garantisce piena libertà di culto, anche se le conversioni a una religione diversa dall'islam sono spesso osteggiate. (R.P.)

    inizio pagina

    Onu: allarmante proliferazione di armi libiche in Medio Oriente e Africa

    ◊   A due anni dalla crisi che ha fatto crollare il regime di Gheddafi, la Libia è all’origine di un’“allarmante” proliferazione di armi destinate ad infoltire gli arsenali di gruppi estremisti e criminali nell’intera regione, a cominciare dalla Siria e dal Mali. E’ questa la principale conclusione di un rapporto stilato da un gruppo di esperti del Consiglio di sicurezza dell’Onu incaricato di monitorare l’embargo sulle armi imposto alla Libia durante la rivolta del 2011. “I trasferimenti illeciti di armi leggere e pesanti, inclusi sistemi di difesa aerea, munizioni e ordigni di vario genere, rappresentano una violazione aperta dell’embargo e sono destinati verso una dozzina di Paesi” sottolinea il documento pubblicato ieri e ripreso dall'agenzia Misna. Pertanto le armi libiche vengono utilizzate nei conflitti aperti in Medio Oriente e Africa da “forze non governative, inclusi gruppi terroristici” si legge nel rapporto ripreso dall'agenzia Misna, che evidenzia il caso della Siria, da due anni teatro di un braccio di ferro tra gruppi ribelli e forze del presidente Bashar al Assad. Carichi di armi in partenza da Misurata e Bengasi raggiungono la Siria attraverso la Turchia e il nord del Libano. “Un flusso significativo che fa pensare che le autorità locali possono essere al corrente su quanto accade, anche se non sarebbero direttamente coinvolte” precisano gli esperti Onu. L’altra rotta individuata porta le armi libiche verso l’Egitto, ancora instabile a due anni dalla caduta del regime di Hosni Mubarak, in particolare a beneficio dei gruppi armati operativi nel Sinai, regione desertica confinante con Israele, ma anche di quelli attivi nella Striscia di Gaza. Guardando in direzione del Sahel, armi provenienti dalla Libia transitano verso il sud della Tunisia, dell’Algeria e nel nord del Niger per poi raggiungere il Mali, in preda a un conflitto che da gennaio 2012 mette a confronto movimenti ribelli tuareg ed islamici al governo di Bamako. Ma secondo l’inchiesta Onu, queste armi e munizioni vengono anche utilizzate da reti criminali internazionali operative nel Sahel, nei traffici di droga e nel controllo delle strade. Il documento punta inoltre il dito sul Qatar e gli Emirati Arabi, due Paesi accusati di aver violato l’embargo sulle armi libiche, e di conseguenza di essere in parte responsabili della proliferazione regionale degli arsenali di Tripoli. Ma i traffici illeciti vengono anche spiegati dagli esperti come la conseguenza diretta di un “sistema di sicurezza interno carente, che non riesce a controllare il materiale militare in possesso delle varie milizie e dei civili, né i propri confini con i paesi vicini”. Pochi giorni fa lo stesso primo ministro libico Ali Zeidan ha dichiarato che la sicurezza nel Paese è “molto ridotta” e ha riconosciuto che il Paese vive “in un periodo di grande vulnerabilità”. Negli ultimi mesi milizie armate libiche in lotta tra di loro per il controllo del territorio, sostituendosi a forze di sicurezza carenti, si sono rese responsabili di attacchi e rapimenti ai danni di personalità politiche, istituzioni governative e diplomatiche. Il mese scorso con una risoluzione approvata all’unanimità, il Consiglio di sicurezza si è detto “preoccupato” per la proliferazione illecita di armi e materiale militare nella regione e ha rinnovato per un anno il mandato della locale missione Onu. Pur avendo concesso al governo libico alcune facilitazioni nell’acquisto di materiale militare non letale destinato alle proprie forze di sicurezza, i 15 Stati membri si sono detti “allarmati” per le numerose denunce di “torture, detenzioni arbitrarie ed esecuzioni extragiudiziarie” che giungono dalle prigioni libiche. (R.P.)

    inizio pagina

    India: diffamata la Chiesa su un giornale fondamentalista indù

    ◊   E’ apparso ieri sul giornale Charaiveti (che in hindi significa “Vai avanti”) edito dal partito “Bharatiya Janata Party” (BJP), partito fondamentalista indù, nella città di Bhopal, capitale dello Stato indiano di Madhya Pradesh, un servizio dal titolo “La vita delle monache nell'inferno della Chiesa”. L’autore, R. L. Francis, oltraggia l’operato della Chiesa e, in modo del tutto falso, descrive la vita delle suore, non lesinando offese, affermando che sarebbero quasi “schiave” e denigrando le loro opere. Come riferiscono fonti dell'agenzia Fides, l’articolo ha suscitato polemiche nella comunità di Bhopal e l’associazione ecumenica di laici cristiani “Isai Maha Sangh” ha sporto denuncia per diffamazione alla polizia. Secondo l’articolo le suore sarebbero vittime continue di abusi e maltrattamenti. La polizia ha assicurato che avvierà un’ indagine sulla spiacevole vicenda. Richard James, responsabile di “Isai Maha Sangh” in Madhya Pradesh, dichiara a Fides: “L’articolo è molto sgradevole e offensivo. Intende istigare la tensione intercomunitaria nello Stato. Le istituzioni devono fermare questo piano”. Sulle ragioni di questo attacco, James spiega a Fides: “Dietro questi attacchi vi sono le forze estremiste come il Rss che stanno creando forti problemi e tensioni alle minoranze cristiane e musulmane in Madhya Pradesh, soprattutto nelle aree rurali e nei villaggi. Sono attacchi ideologici e strumentali, che negano tutto il bene che la Chiesa compie nella società indiana, nel campo dell’istruzione e dell’assistenza a poveri ed emarginati. Sulle suore, poi, basta vedere il servizio delle Missionarie della Carità, le suore di Madre Teresa, ai lebbrosi e agli orfani, per comprendere la verità”. (G.F.)

    inizio pagina

    Usa: l'aiuto dei vescovi per migranti, gioventù e ricostruzione di Haiti

    ◊   Sono circa 100 i progetti pastorali avviati in 19 Paesi dell’America latina e dei Caraibi, finanziati dal sottocomitato per la Chiesa in America Latina della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. 3,1 milioni di dollari stanziati per rispondere ad alcune priorità urgenti come quelle relative alla pastorale del migrante, alle attività di supporto dei pellegrini che partecipano alla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio di Janeiro 2013 e a quelle per la ricostruzione di Haiti. Il vescovo ausiliare di Seattle e presidente della sottocommissione episcopale mons. Eusebio L. Elizondo ha detto all’agenzia Fides: "ci siamo impegnati a sostenere e fornire assistenza pastorale ai migranti, non solo nel nostro Paese ma in tutto il continente americano."Uno dei Paesi della regione che ha ottenuto fondi per queste attività è il Perù, dove i vescovi hanno "ricevuto una sovvenzione di 15mila dollari per rafforzare la Commissione per la Pastorale della Mobilità Umana, organizzazione ufficiale della Conferenza episcopale peruviana che cura la pastorale dei migranti". (G.F.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 100

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.