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Sommario del 07/04/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Regina Caeli. Il Papa: non abbiate paura di essere e vivere da cristiani, portate Cristo nelle piazze
  • Tweet del Papa: mai perdere la fiducia nella paziente misericordia di Dio
  • Il Papa nel pomeriggio si insedia sulla Cattedra di Roma. Il card. Vallini: Francesco è nel cuore della città
  • Divina Misericordia. Mons. Bart: in questo giorno scorrono le grazie del Risorto
  • Il card. Amato proclama Beato padre Cristoforo di Santa Caterina, testimone della carità nella Spagna del 1600
  • Oggi in Primo Piano

  • Crisi Coree, segnali di distensione: Usa rinvia test missilistico
  • Rwanda, 19 anni fa il genocidio. Testimonianze di un Paese fa i conti con la memoria
  • In Turchia prove di pace fra Somalia e i separatisti del Somaliland
  • Bologna, finanziamenti a scuole paritarie. Zamagni: sono loro che finanziano lo Stato
  • "Mi fido di te": concluso l'incontro per i giovani della diocesi Orvieto-Todi
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. La minaccia di Assad: se cado, instabilità in tutto il Medio Oriente
  • Montenegro, presidenziali: favorito il capo di Stato uscente Vujanovic
  • Tra Congo e Rwanda un incontro per la pace nella regione dei Grandi Laghi
  • Tanzania. Appello del cardinale Pengo alle autorità per la pace tra le comunità
  • I vescovi tedeschi visitano la Chiesa algerina: colpiti dalla “piccola chiesa locale“
  • RD Congo. Concluso l’incontro tra comunicatori diocesani
  • Etiopia. Inaugurata la nuova chiesa nel villaggio di Nyienyang
  • Visita in Bosnia-Erzegovina del gruppo di lavoro dei vescovi per l’Islam
  • In Burkina Faso quinta Settimana sociale cattolica su diritti umani e sviluppo
  • Domani in Spagna si celebra la Giornata per la vita
  • Evento ecumenico su Martin Luther King, a 50 anni dalla “Lettera da Birmingham”
  • Nucleare iraniano: nessuna intesa dopo il nuovo round di negoziati
  • Turchia: segretario di Stato Usa Kerry inizia tour in Medio Oriente
  • Ucraina: graziato ex ministro Interni di Timoshenko. Ue soddisfatta
  • Il Papa e la Santa Sede



    Regina Caeli. Il Papa: non abbiate paura di essere e vivere da cristiani, portate Cristo nelle piazze

    ◊   La pace è frutto del perdono e beati sono coloro credono nell’amore di Dio testimoniato dai cristiani, che hanno il coraggio della fede. Sono queste le affermazioni che hanno caratterizzato questa mattina la prima recita del Regina Caeli di Papa Francesco. In una Piazza S. Pietro gremita da circa 100 mila persone, il Pontefice ha invitato tutti ad annunciare Cristo “nelle piazze”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La Domenica della misericordia, ma anche del coraggio. Papa Francesco parte dalla prima per terminare con il secondo: il coraggio per ogni cristiano di essere e vivere come tale in mezzo agli altri e farsi megafono del Vangelo. Il primo saluto del Pontefice alla straordinaria folla – almeno 100 mila persone – che da molto prima di mezzogiorno ha preso a stazionare sotto la sua finestra in Piazza San Pietro è lo stesso di Gesù nel Vangelo dell’ottava di Pasqua: “Pace a voi!”. Una pace che per i cristiani ha un senso preciso:

    “Non è un saluto, e nemmeno un semplice augurio: è un dono, anzi, il dono prezioso che Cristo offre ai suoi discepoli dopo essere passato attraverso la morte e gli inferi (...) Questa pace è il frutto della vittoria dell’amore di Dio sul male, è il frutto del perdono. Ed è proprio così: la vera pace, quella profonda, viene dal fare esperienza della misericordia di Dio”.

    Un applauso sale dal colonnato quando il Papa ricorda la festa della Divina Misericordia, che il Beato Giovanni Paolo II stabilì per la Chiesa nella prima domenica dopo Pasqua e alla cui vigilia si spense otto anni fa. Un giorno che il Vangelo ricorda come quello dell’atto di fede di Tommaso davanti all’apparizione di Gesù nel Cenacolo. Ma soprattutto – ha sottolineato il Papa – un giorno che porta a definire “beati” coloro che da duemila anni a oggi hanno creduto senza vedere:

    “Questa è una parola molto importante sulla fede, possiamo chiamarla la beatitudine della fede. ‘Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto’, questa è la beatitudine della fede. In ogni tempo e in ogni luogo sono beati coloro che, attraverso la Parola di Dio, proclamata nella Chiesa e testimoniata dai cristiani, credono che Gesù Cristo è l’amore di Dio incarnato, la Misericordia incarnata. E questo vale per ciascuno di noi!”.

    Papa Francesco scandisce questa convinzione e altrettanto fa poco dopo quando ricorda che la missione della Chiesa nel mondo è di annunciare il “Regno dell’amore” di Cristo e il perdono dei peccati, con l’aiuto dello Spirito “che scaccia la paura dal cuore degli Apostoli”:

    “Abbiamo anche noi più coraggio di testimoniare la fede nel Cristo Risorto! Non dobbiamo avere paura di essere cristiani e di vivere da cristiani! Noi dobbiamo avere questo coraggio, di andare e annunciare Cristo Risorto, perché Lui è la nostra pace, Lui ha fatto la pace col suo amore col suo perdono, col suo sangue, con la sua misericordia”.

    E un nuovo, energico sprone a portare Cristo fra la gente è dato dal Pontefice al momento dei saluti successivi alla recita del Regina Caeli, quando ricorda in particolare la “speciale missione” che le comunità neocatecumenali iniziano nelle piazze di Roma:

    “Invito tutti a portare la Buona Notizia, in ogni ambiente di vita, ‘con dolcezza e rispetto’. Andate nelle piazze e annunciate Gesù Cristo il nostro Salvatore”.

    A tutti, poi, Papa Francesco dà poi appuntamento a San Giovanni in Laterano, dove nel pomeriggio prenderà possesso della cattedra del Vescovo di Roma, con parole che rievocano quelle pronunciate appena dopo la sua elezione al Soglio petrino:

    “Preghiamo insieme la Vergine Maria, perché ci aiuti, Vescovo e Popolo, a camminare nella fede e nella carità, fiduciosi sempre nella misericordia del Signore, che Lui sempre ci aspetta, ci ama, ci ha perdonato con il suo sangue e ci perdona ogni volta che andiamo da Lui a chiedere il perdono. Abbiamo fiducia nella sua misericordia”.

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    Tweet del Papa: mai perdere la fiducia nella paziente misericordia di Dio

    ◊   Un nuovo tweet è stato lanciato oggi da Papa Francesco sul suo account @Pontifex. Nel breve messaggio in Papa scrive: “Che bello è lo sguardo di Gesù su di noi, quanta tenerezza! Non perdiamo mai la fiducia nella misericordia paziente di Dio!” Qualche giorno fa, l’account di Twitter del Papa aveva superato i 5 milioni di follower nelle nove lingue in cui è presente sul popolare social network.

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    Il Papa nel pomeriggio si insedia sulla Cattedra di Roma. Il card. Vallini: Francesco è nel cuore della città

    ◊   Con la solenne celebrazione eucaristica di oggi pomeriggio, nella Basilica di S. Giovanni in Laterano, Papa Francesco prende possesso della Cattedra di Roma. Il Pontefice è atteso per le 17, quando provvederà a scoprire, nel piazzale antistante il Vicariato, la targa toponomastica che muterà il nome del luogo in “Largo Beato Giovanni Paolo II”. Quindi, alle 17.30 inizierà la Messa di insediamento del Vescovo di Roma. Un titolo, quest'ultimo, con il quale il Papa ha tenuto subito a presentarsi alla città e al mondo. Fabio Colagrande ne ha domandato il motivo al cardinale vicario Agostino Vallini:

    R. – Il motivo è teologico, direi, perché il Papa è Papa in quanto è vescovo di Roma. Quindi, lui ha voluto sottolineare che la fonte del suo essere Papa per il mondo intero, sta proprio nel fatto che era stato appena eletto vescovo di Roma e, in quanto tale, Pontefice della Chiesa universale. E’ per questo che viene a prendere possesso della Cattedra che è qui, nella Chiesa cattedraledi San Giovanni in Laterano.

    D. – In questo senso, che significato assume questa solenne liturgia di insediamento?

    R. – Il significato della presa di possesso ufficiale della sua sede vescovile, che è appunto la Chiesa di Roma e in forza della quale è poi pastore della Chiesa universale. Nella pratica, si sa che il Papa poi si avvale di collaboratori nel governo di una grande diocesi come Roma, ma certo è anche altrettanto vero che nulla a Roma – per quanto riguarda linee pastorali, attività fondamentali della diocesi – viene fatto senza che il Papa ne sia informato e senza che il Papa le approvi.

    D. – Quali implicazioni pratiche potrà avere questa particolare insistenza di Francesco sul suo mandato episcopale, come vescovo di Roma?

    R. – Per quello che posso interpretare, dice la sua sensibilità nell’essere veramente il pastore di una Chiesa attraverso le forme concrete che lui stesso intende dare. Posso dirle che ha mostrato grande attenzione alla vita delle parrocchie: ne visiterà una nel mese di maggio e poi alla ripresa, dopo l’estate. Il Papa aprirà il Convegno diocesano nel mese di giugno, incontrerà tutti i sacerdoti di Roma nel mese di settembre, all’inizio dell’anno pastorale, e questo dice la sua premura di essere vicino a questa nostra Chiesa, di far sentire la sua guida. Peraltro, è noto che egli, come arcivescovo di Buenos Aires, fosse molto presente e quindi nelle forme compatibili con il ministero petrino noi certamente saremo felici di essere insieme con lui nella vita della diocesi.

    D. – In che modo, il popolo di Dio di Roma può accompagnare il suo vescovo in questo cammino appena intrapreso?

    R. – Roma vuole bene al Papa. Visitando delle parrocchie ho sentito da tutti, in queste prime settimane di Pontificato, il grande affetto, la grande sintonia che hanno per e con il Papa. Molti mi hanno chiesto di farlo venire nelle parrocchie. Ho chiesto: “Ma che cosa vi muove in questo sentimento?”. E alcuni mi hanno risposto: “Non lo sappiamo: ci è entrato nel cuore”. Il Santo Padre l’ha saputo e ha detto: “Non sono io, è il Signore che entra nel cuore servendosi anche di me”. Quindi, vede, c’è una perfetta sintonia tra il popolo che guarda il suo vescovo con grande ammirazione ed affetto e il vescovo che sente già di portare nel cuore il suo popolo.

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    Divina Misericordia. Mons. Bart: in questo giorno scorrono le grazie del Risorto

    ◊   La Chiesa celebra oggi, seconda Domenica di Pasqua, la Festa della Divina Misericordia, istituita 13 anni fa da Papa Wojtyla. Sull’importanza di questa festa, Federico Piana ha intervistato mons. Jozef Bart, rettore della chiesa romana di Santo Spirito in Sassia, dedicata dal Beato Wojtyla proprio al culto della Divina Misericordia:

    R. - La Festa della Misericordia proviene proprio dalla spiritualità di Santa Faustina Kowalska, alla quale proprio il Signore, durante i suoi incontri e le sue rivelazioni, ha chiesto che la prima domenica dopo la Pasqua fosse festeggiata come Festa di Misericordia, perché la Misericordia di Dio scaturisce dalla Passione, dalla Morte e dalla Resurrezione. Proprio pochi giorni fa, il nuovo Pontefice, Papa Francesco, durante la benedizione pasquale Urbi et Orbi ci ha dato la spiegazione perfetta di questa verità, dicendo che nella Pasqua ha vinto la misericordia di Dio.

    D. - In che modo nasce questa festa?

    R. - È stato proprio il Beato Giovanni Paolo II, il quale durante la canonizzazione di Santa Faustina Kowalska, la prima santa del grande Giubileo, il 30 aprile 2000, ha istituito e ha proclamato per tutta la Chiesa la domenica della Divina Misericordia, giorno in cui scorrono veramente le grazie da Cristo Risorto, dal suo più grande attributo quello della Misericordia.

    D. - Ci vuole raccontare in breve chi era Santa Faustina Kowalska?

    R. - Suor Faustina Kowalska ha vissuto 33 anni. È morta il 5 ottobre 1938, poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Apparteneva alla Congregazione della Beata Vergine Maria della Misericordia, la quale si occupava delle donne bisognose di aiuto, quindi impegnata in una grande opera di misericordia. Poi, durante la sua vita religiosa, Faustina Kowalska ha avuto quel dono particolare di parlare con il Signore, il quale - il 22 febbraio 1931, giorno in cui celebriamo liturgicamente la Festa della Cattedra di Pietro - le apparve e le chiese di dipingere l’immagine della sua misericordia. Suor Faustina Kowalska non porta una nuova spiritualità, ma dà un particolare vigore alla predicazione della Misericordia di Dio. Giovanni Paolo II disse: “La Chiesa verrebbe meno nella sua missione, se non predicasse la Misericordia di Dio e non introdusse questa Misericordia nella vita”. Suor Faustina introduce nuove forme del culto della Divina Misericordia: le immagini della Divina Misericordia, la coroncina della Divina Misericordia, l’ora della Misericordia, la Festa della Misericordia, e la diffusione di questo culto a tutto l’umanità.

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    Il card. Amato proclama Beato padre Cristoforo di Santa Caterina, testimone della carità nella Spagna del 1600

    ◊   Il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha presieduto stamane nella Cattedrale di Cordova, in Spagna, la Beatificazione di padre Cristoforo di Santa Caterina, fondatore della Congregazione ospedaliera di Gesù Nazareno. Si tratta del primo Beato del Pontificato di Papa Francesco. Sulla figura di padre Cristoforo, ascoltiamo il servizio di Sergio Centofanti:

    Padre Cristoforo nasce a Mérida, nel sudovest della Spagna, il 25 luglio 1638, da un’umile famiglia cristiana: sin da piccolo lavora nei campi per aiutare i genitori e gli altri 5 fratelli. A 10 anni sente già con forza il richiamo di Dio: si reca di nascosto in un convento di Francescani chiedendo di poter diventare monaco. I frati lo riportano a casa, dove la madre stava pregando disperata, dandolo per disperso. Inizia a lavorare nell’ospedale di Nostra Signora della Pietà, gestito dai Fatebenefratelli, distinguendosi per la cura delicata dei malati. Sacerdote a 24 anni, diventa cappellano di un battaglione di fanteria. E’ un’esperienza dura: confessa i soldati, assiste i feriti fino allo stremo. Più volte rischia di morire sotto le bombe. Gli orrori della Guerra dei 30 anni (1618-1648) lo spingono ad una vita solitaria nel deserto di Bañuelo, dove resta due anni.

    Nel silenzio della preghiera sente nel cuore il desiderio di cercare il volto di Cristo nei poveri, nei contadini, nelle donne umiliate, nei bambini abbandonati, nei malati: per loro, chiede l’elemosina percorrendo giorno e notte le strade di Cordova. Un’esperienza che lo porta a fondare una nuova Congregazione d’ispirazione francescana: quella dei fratelli e delle sorelle ospedalieri di Gesù Nazareno e dell’omonimo ospedale a Cordova, sulla cui porta d’ingresso padre Cristoforo fa scrivere: "La mia Provvidenza e la tua fede terranno in piedi questa casa". Vuole assomigliare a Gesù che ha preso su di sé le sofferenze degli altri. Nell’ospedale cura i malati gratuitamente, accogliendo con amore anche quanti sono colpiti dalla peste. Durante un’epidemia di colera, incurante del contagio continua a curare e a dare coraggio: muore colpito a sua volta dal morbo il 24 luglio 1690 stringendo in petto un crocifisso. Il giorno dopo, avrebbe compiuto 52 anni. Padre Cristoforo era noto per le sue poche parole. Ma in tanti di lui dicevano: “Io imparo molto di più vedendo padre Cristoforo mentre chiede l’elemosina per strada, che sentendo molte prediche”.

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    Oggi in Primo Piano



    Crisi Coree, segnali di distensione: Usa rinvia test missilistico

    ◊   Resta alta la tensione nella penisola Coreana, mentre si alternano nuove minacce e distensioni fra i Paesi coinvolti nella crisi diplomatica tra Seul e Pyongyang. La Corea del Sud prevede nuove provocazioni del governo del Nord, ma i Paesi occidentali decidono di non evacuare le proprie rappresentanze diplomatiche. Il servizio di Marco Guerra:

    “La Corea del Nord potrebbe effettuare provocazioni aggiuntive, tra cui il temuto lancio di missili, intorno a quel 10 aprile che è la scadenza indicata alle ambasciate straniere per evacuare, perché non in grado dopo quella data di garantire la sicurezza in caso di conflitto”. Lo ha detto il portavoce dell'Ufficio presidenziale sudcoreano, precisando tuttavia che al momento non ci sono “segnali specifici”. In realtà, anche secondo il ministro degli Esteri britannico, William Hague, la Corea del Nord non si prepara a un conflitto, dal momento che “non si registrano riposizionamenti di forze sul terreno” e ritiene pertanto che si debba mantenere la calma rispetto a quella che viene definita una “retorica paranoica”. Anche per questo motivo, Londra e altre ambasciate occidentali hanno deciso di non evacuare le sedi di Pyongyang.

    Un contributo alla distensione viene anche dagli Stati Uniti - che hanno rinviato il test di un missile balistico intercontinentale per non esasperare la situazione - e dalla Cina che ha lanciato un appello affinché nessun Paese getti l’Asia nel caos. Unica reazione di segno opposto si registra in Giappone dove, secondo la stampa locale, il governo si appresta ad autorizzare l’abbattimento di qualsiasi missile nordcoreano indirizzato verso il territorio nipponico.

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    Rwanda, 19 anni fa il genocidio. Testimonianze di un Paese fa i conti con la memoria

    ◊   Ricorre oggi il 19.mo anniversario l’inizio di uno dei più drammatici genocidi della storia recente: quello del 1994 in Rwanda contro i Tutsi, perpetrato dagli Hutu. Un milione di morti circa in soli tre mesi. Per punire i principali responsabili, politici e militari, nel novembre dello stesso anno fu creato, ad Arusha, in Tanzania, il Tribunale penale internazionale per il Rwanda. Il servizio è di Francesca Sabatinelli:

    Lo si ricorda come uno degli stermini più sanguinosi della storia recente: il genocidio in Rwanda, un milione di morti circa tra il 6 aprile e il 19 luglio del 1994. Le vittime furono soprattutto membri dell’etnia Tutsi, uccise dagli estremisti Interahamwe, della maggioranza Hutu. Anche tra questi ultimi però si contarono morti, puniti perché più moderati o perché imparentati con i Tutsi. Oggi, oltre allo sterminio, si ricorda e si condanna l’indifferenza della comunità internazionale e, prime fra tutti, delle Nazioni Unite che assistettero inermi alla barbara violenza che fu classificata come “scontro tribale”, ma che in realtà fu il prodotto dell’eredità post-coloniale. La persecuzione dei Tutsi in Rwanda si registrava sin dal 1959, ma prese la forma del genocidio nel 1994, appunto, dopo la morte del presidente hutu Habyarimana, al potere con un governo dittatoriale. Il 6 aprile, l’aereo sul quale viaggiava con il presidente del Burundi fu centrato da un missile. Ignota ancora oggi la mano dell’assassino: negli anni fu incriminata la moglie, ma allora questo omicidio servì per scatenare la furia contro i Tutsi. Il 7 aprile, a Kigali, la capitale, e nelle zone controllate dai governativi, iniziarono i massacri perpetrati per lo più a colpi di machete. George Gatera, di Butare, è un sopravvissuto, da dieci anni vive in Italia.

    R. – Io ero in Rwanda nel mese di aprile e ho vissuto tutto quello che è successo. Sono cresciuto in quella atmosfera per cui le persone erano classificate e divise secondo le etnie. Chi stava al potere era etichettato dall’altra parte come nemico del Paese. La parte dei Tutsi era considerata di seconda categoria… In Rwanda, c’erano gli Hutu che erano la maggioranza, l'80-85%, e i Tutsi che erano la minoranza, il 14%. La vita sociale era basata su queste cifre. Si viveva in questo modo e questo valeva per i posti a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, finché nel ’94 il governo ha deciso di eliminare socialmente la parte dei Tutsi nel Paese.

    D. – Che cosa le successe in quel periodo, come viveva?

    R. – C’era un odio tale contro i Tutsi che la mattina stessa del 7 aprile non si poteva circolare, non si poteva uscire di casa, non si poteva fare niente.. Ad esempio, dove io abitavo, c’erano tanti militari che entravano nelle case, prendevano le persone… Con l’andare del tempo è scoppiata una caccia alle persone, dal più anziano al più piccolo venivano uccisi, bruciavano tutto… La situazione era terribile. In quel periodo, quasi tutte le persone che conoscevo e con cui ho vissuto sono state uccise.

    D. – Si riesce a perdonare a superare tutto questo?

    R. – Chi ha perso i propri cari vive questo stato di dolore, di ricordi, ma questo non impedisce che la vita continui. E’ difficile provare odio per qualcuno che non conosci esattamente… Non è che io conosca personalmente chi ha ucciso i miei.

    D. – Lei vorrebbe rientrare ora nel suo Paese?

    R. – Ogni tanto ci vado. Trovo un Paese che sta ricostruendo, che ha voglia di riprendersi, di vivere, di superare tutto anche tutto quello che ha subito.

    Oggi, il Rwanda è un Paese che sta facendo i conti con la sua memoria. I rwandesi non si sono tirati indietro rispetto alle loro colpe, e questa assunzione di responsabilità ha fatto sì che si arrivasse ad una sorta di riconciliazione nazionale. "Bene-Rwanda" è una Associazione no profit con sede a Roma, fondata e diretta da rwandesi che risiedono e lavorano da anni in Italia, come la presidente Francoise Kankindi:

    R. – Il Rwanda ha dovuto fare i conti con se stesso per capire come rendere di nuovo il tessuto sociale un minimo vivibile. I massimi esperti avevano detto che ci sarebbero voluti 100 anni per giudicare tutti i colpevoli del genocidio e visto che bisognava continuare a vivere e ricostituire un tessuto sociale il Rwanda ha dovuto ricorrere ai tribunali tradizionali che si chiamano gacaca, che vuol dire "prato": sono tribunali che avvengono sul prato, il prato del villaggio, dove tutti partecipano spontaneamente e tutti confessano davanti ai vicini, quindi è difficile anche mentire. Dopodiché, viene anche istituita una pena sociale sostenibile per poi reintegrare i colpevoli nella vita di tutti i giorni. Il Rwanda ha dovuto ricorrere alla sua propria tradizione di una giustizia ricostituente, cioè che ricostruisce successivamente per poter riprendersi. A oggi, il Rwanda ha potuto ricostituirsi grazie a questi tribunali sociali locali che hanno documentato, collina per collina, comune per comune, villaggio per villaggio, quello che è successo. Oggi, abbiamo la memoria di tutto il genocidio del Rwanda documentato da questi tribunali "Gacaca". La macchina era stata organizzata in modo che tutti dovessero partecipare perché, se non partecipavi ti uccidevano. Si è partiti da questo per dare anche un perdono sociale a chi aveva dovuto comunque partecipare a quell’uccisione collettiva, malgrado se stesso.

    D. – Voi temete qualcosa di simile ancora oggi, nel Rwanda di oggi?

    R. – Nel Rwanda di oggi non lo temiamo più, perché dal ’94 il Rwanda ha acquisito una maturità intellettuale, una presa di coscienza della gravità di ciò che era successo. Il Rwanda si è dotato di leggi a livello costituzionale che puniscono severamente chi tenta di nuovo di dividere e di creare di nuovo le premesse per un genocidio. I Gacaca allestiti anche collettivamente nei villaggi hanno permesso a tutti di capire cosa vuol dire un genocidio. Nessuno aveva detto a molti degli hutu che avevano partecipato all’uccisione di massa che stavano commettendo un genocidio. La nostra radio diceva: andate a lavorare - questa era la parola che si usava - voi hutu siete bravi lavoratori, siete bravi agricoltori, sapete usare bene il machete, andate a sradicare l’erba cattiva, andate a sradicare gli "scarafaggi" - che eravamo noi tutsi - e questa volta non fate l’errore di lasciare i bambini e le donne. Questo insegnava la radio dei nostri governanti.

    D. – Cosa ne è oggi dei sopravvissuti e di quei ragazzi che allora hanno visto uccidere i loro familiari?

    R. – Hanno bisogno di aiuto, perché molti di loro hanno perso tutta la famiglia. Però, oggi c’è una Commissione nazionale di lotta contro il genocidio e subito dopo il genocidio c’è stato anche un fondo per permettere a questi ragazzi di studiare. Ma questo non basta. Il Rwanda è povero, non va lasciato a se stesso. I sopravvissuti sono soli, non hanno avuto una riparazione. Tutti noi rwandesi facciamo tutto il possibile per stare vicino nel nostro piccolo… Una minima riparazione è contemplabile? Questa è la domanda che ci facciamo tutti.

    D. – Per quello che vi consta, ci sono segnali in altri Paesi africani che vi fanno pensare che potrebbe esserci qualcosa di drammatico come ciò che accadde da voi nel ’94?

    R. - Sì, non c’è bisogno di andare lontano. Nel vicino Congo, i genocidari del ’94 si sono rifugiati e hanno formato anche forze militari che stanno destabilizzando il Paese, violentano le donne… Il Congo stesso si sta dimostrando incapace di fermarli. Purtroppo, ci si rifiuta di vedere gli stessi segnali premonitori. Alla vigilia del 20.mo anniversario, l’anno prossimo, noi vorremmo che il Rwanda avesse insegnato e ci avesse spronato tutti a rifiutare il fatto che un genocidio possa succedere ancora da qualche parte.

    Principale obiettivo di Bene-Rwanda è quello di conservare la memoria del genocidio, per questo si propone di fondare il Centro Memoria 1994 che possa raccogliere i documenti più importanti sulla tragedia dei Tutsi. In occasione di questo 19.mo anniversario, organizza per il domenica 14 aprile, presso il Teatro Piccolo Eliseo di Roma, una manifestazione pubblica per raccontare ciò che accadde in Rwanda e per riflettere sulle attuali emergenze nel continente africano.

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    In Turchia prove di pace fra Somalia e i separatisti del Somaliland

    ◊   Un dialogo per la riunificazione somala, ospitato dalla Turchia. Ad annunciare i colloqui, che potrebbero partire a metà di questo mese, sono state le autorità del Somaliland, regione che nel 1991 ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza da Mogadiscio e che la comunità internazionale non riconosce. Si tratta di un passo verso la pacificazione dell’area? Davide Maggiore lo ha chiesto ad Antonio Morone, ricercatore in Storia dell’Africa presso l’Università di Pavia:

    R. – E’ sicuramente un tema molto importante, per certi versi fondamentale, in una reale ridefinizione degli equilibri regionali. Però, da una prospettiva somala il Somaliland già da almeno l’inizio degli anni 200 è fuori dalla guerra in senso proprio, mentre il sud, l’ex Somalia italiana, ha continuato a essere invece coinvolta in un lacerante conflitto che tra l’altro si è progressivamente esteso. Il punto è che, da una prospettiva somala, sicuramente la questione ha molto meno importanza che non da quella degli attori regionali o internazionali coinvolti nel conflitto e nella sua eventuale soluzione.

    D. – E’ veramente plausibile pensare a una riunificazione, o rimangono fattori anche storici che la rendono meno probabile?

    R. - Già a un anno dall’indipendenza, nel ’61, il referendum sulla prima Costituzione somala indipendente aveva largamente dimostrato lo scontento del nord del Paese verso un processo di unificazione, che in effetti era più un processo di concentrazione e di accentramento di tutte le logiche politiche ed economiche del Paese a sud, su Mogadiscio. Dubito che si possa parlare di un ritorno a una unione in senso unitario della Somalia. Differente è, probabilmente, parlare di una possibilità federale, cioè di un legame veramente molto più limitato tra le varie parti della Somalia. Sicuramente, l’idea di riallacciare un discorso di pacificazione che possa includere anche il nord del Paese, sta più a cuore a Mogadiscio.

    D. - La Turchia in particolare si è offerta di ospitare i colloqui. Quale ruolo cerca di avere Ankara sul teatro somalo?

    R. - In un processo di pace ormai ventennale, che fino a poco tempo fa è stato monopolio dell’Occidente, la Turchia in effetti sta tentando di ritagliarsi un ruolo importante in Somalia. Prima di tutto da un punto di vista politico, ma ovviamente c’è anche un ritorno dal punto di vista economico. Proprio un po’ per smarcarsi dalle logiche del processo di pace e comunque dalle influenze adesso connesse, la Turchia ha più interesse a riferirsi al Somaliland che non a Mogadiscio.

    D. - Il Somaliland invece non sarà presente, a quanto attualmente sembra, al prossimo vertice sui problemi della regione che sarà organizzato dal governo britannico...

    R. – Questo la dice lunga sul fatto che gli attori internazionali hanno referenti locali probabilmente diversi e non necessariamente univoci. A Mogadiscio, l’ex Somalia italiana e Somalia del sud rimane un interlocutore privilegiato dell’Occidente, mentre altri attori, la stessa Turchia ma probabilmente anche l’Etiopia, hanno più interesse o più facilità a riferirsi invece al governo mai riconosciuto internazionalmente, ma di fatto assolutamente funzionante, del Somliland. Sta di fatto, però, che proprio la notizia che il Somaliland non parteciperebbe ai colloqui di Londra lascia intendere come, tutto sommato, la possibilità di vedere tutti gli attori politici somali seduti attorno a un tavolo rimanga una possibilità su cui si può avere forti riserve o forti dubbi.

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    Bologna, finanziamenti a scuole paritarie. Zamagni: sono loro che finanziano lo Stato

    ◊   Il 26 maggio prossimo, i bolognesi saranno chiamati a votare un referendum consultivo che chiede ai soli elettori del Comune se confermare o meno le "risorse finanziarie pubbliche che vengono erogate alle scuole d'infanzia paritarie a gestione privata". Da una parte, si confrontano i referendari del "Nuovo comitato articolo 33," schierati per la revoca di tutte le convenzioni, rafforzati da Sel e da singoli esponenti della base del Movimento 5 Stelle. Dall'altra, il "Comitato per il referendum", guidato dall'economista bolognese, Stefano Zamagni, appoggiato dal laicato cattolico con la Federazione locale delle Scuole materne, la Fism, e da Pd e Pdl. Il Movimento 5 Stelle non si è ancora pronunciato ufficialmente. Al microfono di Luca Collodi, lo stesso Zamagni spiega le ragioni del referendum

    R. – I referendari sono certo in buona fede, ma hanno impostato la loro campagna sulla non conoscenza dei fatti. Le scuole di cui si parla non sono le scuole private, ma si tratta di scuole paritarie ex-lege ’62 del 2000, la legge Berlinguer. Quindi, le scuole paritarie fanno parte del sistema pubblico integrato, il quale ha tre pilastri: le scuole statali, le scuole comunali e le scuole paritarie. La prima menzogna da sfatare è che si tratti di scuole private: le scuole private esistono, ma sono un’altra cosa, non sono queste oggetto del referendum. Seconda osservazione: coloro che hanno indetto il referendum fanno appello all’articolo 33 della Costituzione, laddove si dice che i soggetti privati sono liberi di istituire scuole senza oneri per lo Stato. Qui però non si tratta di istituire niente, perché queste scuole paritarie esistono già da decenni. Inoltre - la dicitura "senza oneri per lo Stato" sta a significare che lo Stato, o l’ente pubblico, non deve caricarsi di un peso. Ma qiamo di fronte al caso diametralmente opposto, perché il Comune di Bologna versa alle 27 scuole paritarie un milione di euro all’anno e riceve dalle stesse sei milioni, cioè dei servizi - stiamo parlando di scuole materne - che se venissero gestiti dal Comune costerebbero sei milioni. Allora, dov’è l’onere per lo Stato o in questo caso per il Comune? E’ vero il contrario: è vero che è la società civile organizzata a finanziare il comune. Ecco perché il Pd ha approvato 10 giorni fa una delibera in cui si dichiara contro le richieste dei referendari e nel Comitato che io presiedo ci sono ex componenti delle giunte precedenti, ad esempio il sindaco Vitali, che è quello che fece nascere a Bologna il sistema pubblico integrato, così come Bersani, allora governatore dell’Emilia Romagna, lo estese a tutta la regione: il sindaco Vitali, lo fece per primo, un anno prima della Regione, precisamente un anno prima del 1994 a Bologna.

    D. - Si tratta di un referendum che andrebbe a colpire una fascia di popolazione dove lo Stato in difficoltà… Spesso molte famiglie sono costrette a rivolgersi alle scuole paritarie proprio perché non ci sono posti nelle scuole pubbliche…

    R. – Il dato che può interessare gli ascoltatori è che le 27 scuole materne a Bologna ospitano 1.736 bambini i cui genitori o lavorano entrambi o avrebbero difficoltà a tenerli in casa. Se dunque il comune di Bologna quel milione che dà come contributo molto parziale alle materne lo usasse per finanziare propri posti nelle proprie materne, potrebbe a conti fatti - dato il costo medio - generare non più di 150 posti. Allora, proviamo a togliere 150 da 1.736: quello che succederebbe è che le liste di attesa si allungherebbero enormemente.

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    "Mi fido di te": concluso l'incontro per i giovani della diocesi Orvieto-Todi

    ◊   Due giorni per fare esperienza di Cristo. Li ha proposti ai giovani la diocesi di Orvieto-Todi, in Umbria, che da ieri sta proponendo momenti di riflessione e spazi di preghiera sul tema della fede. Nella tarda serata di ieri, si è svolta la "Notte bianca della fede", che è culminata con l’adorazione eucaristica nel Duomo di Orvieto. L’iniziativa, inserita nell’ambito del Giubileo Eucaristico Bolsena–Orvieto, che si protrarrà fino al prossimo anno, si chiama “Mi fido di te”. Ne parla, al microfono di Tiziana Campisi, il responsabile della pastorale giovanile in Umbria,
    don Marcello Cruciani:

    R. – “Mi fide di te” proprio perché questo incontro è stato pensato per l’Anno della Fede, che ha indetto Benedetto XVI. Con i vescovi dell’Umbria, si è pensato di radunare i giovani della regione proprio intorno alla figura di Cristo. La fiducia in Lui, mi fido di Te, mi affido a Te. Si svolge a Orvieto perché a Orvieto è in corso, fino al 2014, il Giubileo eucaristico straordinario indetto per i 750 anni del miracolo di Bolsena e della Bolla Transiturus de hoc mundo, che ha istituito la festa del Corpus Domini. I giovani hanno vissuto un’esperienza profondamente eucaristica con la veglia di preghiera in cattedrale alle ore 2, nella “Notte bianca della fede”, dove hanno fatto l’adorazione e si è conclusa tutta la giornata, la prima parte. Abbiamo scritto anche una lettera al Papa. Già l’incontro era improntato alla figura di Francesco, giovane di Assisi che ha dato la sua vita per Gesù e aveva un grande amore per i poveri, per l’Eucaristia. Allora, abbiamo scritto al Papa dicendogli: vogliamo essere discepoli, imitare San Francesco. E poi, lo aspettiamo nella Regione.

    D. – Qual è la realtà oggi giovanile dell’Umbria?

    R. – In questi ultimi anni, c’è stato un grande risveglio della pastorale giovanile pur essendoci tante problematiche, prima di tutto la tossicodipendenza. Il secondo problema sono i tanti ragazzi figli di genitori separati, che hanno ferite, rapporti difficili con i loro genitori. Io credo che siano le due emergenze attuali.

    D. – Papa Francesco il Giovedì Santo, alla Messa del Crisma, ha esortato i sacerdoti a uscire dalle parrocchie per andare incontro alla gente. Voi cosa vi proponete per andare incontro al popolo, per andare incontro ai giovani?

    R. – Noi ci proponiamo sempre di più di essere presenti alle periferie. Non abbiamo grandi periferie urbane, però abbiamo periferie psicologiche, umane. Ci sono tanti ragazzi che vivono ai margini. Dobbiamo essere sempre più aperti, dobbiamo essere presenti sempre più capillarmente. La Regione ha promosso molto gli oratori. Noi non avevamo una tradizione di oratori parrocchiali: è una tradizione che appartiene più al nord, i nostri piccoli paesi avevano la casa parrocchiale e la Chiesa. Invece, adesso, se le nostre parrocchie sono piccole e non riescono ad avere un oratorio possono però mettersi insieme, perché ormai quasi tutte le diocesi hanno fatto la scelta di far lavorare gruppi di parrocchie nelle cosiddette "unità pastorali" e lì è possibile aprire un oratorio. Si stanno diffondendo. Penso che l’oratorio sia un ponte tra la Chiesa e la casa, perché vi partecipano ragazzi non solo italiani ma anche immigrati. Abbiamo una grande percentuale di immigrati. La nostra Regione è soprattutto formata da persone molto anziane. L’immigrazione raggiunge l’8-9% della popolazione. Ci sono tanti ragazzi di famiglie immigrate che frequentano gli oratori, anche alcuni che non sono cattolici e neanche cristiani. L’oratorio diventa un ponte per la periferia.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. La minaccia di Assad: se cado, instabilità in tutto il Medio Oriente

    ◊   “Se i terroristi prenderanno il potere in Siria, ci sarà un effetto domino in tutto il Medio Oriente”. È il monito lanciato ieri sera dal presidente siriano il presidente Bashar al Assad, sempre più asserragliato nella capitale Damasco. Assad ha quindi ammesso che il Paese “è nel caos”. Dichiarazioni che arrivano a margine dell’ennesima giornata di violenze. Particolarmente drammatica la situazione ad Aleppo dove, secondo l’opposizione, almeno 15 persone, tra le quali 9 bambini, sono morte per i bombardamenti governativi sulle postazioni dei ribelli. (M.G.)

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    Montenegro, presidenziali: favorito il capo di Stato uscente Vujanovic

    ◊   Urne aperte in Montenegro per le elezioni presidenziali. I circa 511 mila elettori sono chiamati a scegliere tra il presidente uscente, Filip Vujanovic, favorito rispetto allo sfidante, Miodrag Lekic, rappresentante dell'opposizione. Vujanovic, candidato del Partito democratico dei socialisti (Dps) del premier Milo Djukanovic, ha fatto campagna elettorale promettendo stabilità politica e continuità di governo. Lekic, diplomatico di carriera, ha promesso una lotta senza quartiere a criminalità e corruzione. La persistente crisi economica e i ripetuti appelli della Ue a fare di più nella lotta a corruzione e criminalità fanno da sfondo al voto, che viene monitorato da osservatori dell'Osce e del Consiglio d'Europa. Non è previsto un eventuale turno di ballottaggio, essendo Vujanovic e Lekic i due unici candidati in lizza, e pertanto il vincitore si conoscerà in serata, dopo la chiusura delle urne alle 20. (M.G.)

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    Tra Congo e Rwanda un incontro per la pace nella regione dei Grandi Laghi

    ◊   Stabilire le azioni prioritarie da mettere in atto in vista della promozione della pace nella regione dei Grandi Laghi: con questo obiettivo si è svolto in questi giorni a Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo, un incontro organizzato dalla commissione diocesana Giustizia e Pace di Cyangugu, in Rwanda. L’evento, informa una nota della Conferenza episcopale locale, ha cercato di definire una strategia per “ridurre il clima di tensione tra le popolazioni al confine tra i due Paesi”. A presiedere la riunione sono stati l’arcivescovo di Bukavu, mons. François-Xavier Maroy, e il vescovo di Cyangugu, mons. Jean Damascène Bimenyimana. Numerosa è stata la partecipazione dei parroci delle regioni confinanti e dei responsabili dei servizi generali di entrambe le diocesi. A fare da "filo rosso" all’incontro, è stato un versetto della Lettera di San Paolo ai Romani: “Cerchiamo le cose che contribuiscono alla pace e alla mutua edificazione”. In particolare, nell’ambito dell’Anno della Fede indetto dal Papa, ora emerito, Benedetto XVI per commemorare i 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, “i partecipanti si sono impegnati ad accrescere e ampliare gli incontri tra sacerdoti, religiosi e laici, sia a livello interdiocesano che interparrocchiale, così come a instaurare gemellaggi tra le scuole, al fine di dissipare il clima di sospetto che si respira tra le popolazioni del Congo e del Rwanda”. Al termine della riunione, su invito di mons. Maroy, i presenti hanno visitato la cattedrale locale, intitolata a Nostra Signora della pace. (I.P.)

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    Tanzania. Appello del cardinale Pengo alle autorità per la pace tra le comunità

    ◊   Un appello alle autorità locali a non tacere di fronte alle aggressioni perpetrate da coloro che infondono l’odio tra le comunità, viene dall’arcivescovo di Dar-es-Salaam, cardinale Polycarp Pengo che si è rivolto in particolare ai capi religiosi presenti nel governo della Tanzania, dove è molto problematico assicurare una convivenza pacifica tra cristiani e musulmani. Negli ultimi tempi, infatti, si sono moltiplicati gli episodi di violenza ai danni della comunità cristiana, specialmente nell’isola di Zanzibar, in cui il 90% della popolazione è di fede islamica: nel febbraio scorso, ad esempio, una chiesa evangelica è stata data alle fiamme e un sacerdote cattolico è stato ucciso, ma già prima, a Natale, un altro prete era stato ferito. “Le forze dell’ordine avrebbero dovuto condurre inchieste appropriate per prevenire gli atti di violenza”, sono state le parole del porporato, riportate dall’Osservatore Romano. Secondo l’arcivescovo, infatti, la tensione continua ad alimentare la paura tra i fedeli. Gli fa eco il vescovo di Geita, mons. Damian Denis Dallu: “Vogliamo che nel Paese regnino la pace, l’unità, e l’amore che hanno sempre regnato tra i cittadini della Tanzania, indipendentemente dal credo religioso”, mentre il vescovo emerito anglicano John Ramadhani ha ricordato come troppo spesso la religione venga strumentalizzata per fini politici. Al funerale del sacerdote ucciso in febbraio, il presidente dei vescovi della Tanzania e vescovo di Iringa, mons. Tarcisius Ngalalekumtwa, aveva ricordato come i cristiani siano tenuti a perdonare anche le offese più gravi, mentre già nel 2012, in un lungo intervento ripreso anche dall’associazione Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), il vescovo di Same, mons. Rogath Fundimoya Kimaryo, aveva parlato del rischio di contagio in Tanzania da parte del fondamentalismo di matrice islamica attivo in Nigeria. (R.B.)

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    I vescovi tedeschi visitano la Chiesa algerina: colpiti dalla “piccola chiesa locale“

    ◊   Si è conclusa ieri la prima visita in Algeria di una delegazione di vescovi tedeschi, guidata da mons. Ludwig Schick, presidente della commissione episcopale per la Chiesa universale. Il presule, informa una nota, è rimasto “profondamente colpito dalla testimonianza della piccola Chiesa” algerina, che conta poche migliaia di cristiani. Nonostante ciò, è notevole l’impegno sul territorio portato avanti dalla Caritas, in particolare nei confronti delle donne, dei migranti provenienti dall’Africa occidentale e dei disabili. Centrale anche il dialogo interculturale che la Chiesa algerina cerca di promuovere, soprattutto con il mondo accademico. Nel corso della sua permanenza nel Paese africano, iniziata il 2 aprile scorso, la delegazione episcopale tedesca ha visitato alcuni luoghi storici importanti, come Annaba, dove si trova a Basilica dedicata a Sant’Agostino: un edificio imponente, costruito sulla collina che sovrasta le rovine di Ippona, sede vescovile di Sant’Agostino, che è stato consacrato nei primi del ’900. Il suo restauro è stato avviato nel 2011 ed è stato possibile grazie al contributo del Papa emerito Benedetto XVI e dei vescovi tedeschi. Infine, i rappresentanti della Chiesa tedesca si sono recati presso le tombe dei monaci assassinati nel 1996 a Thibirine: una visita che ha suscitato “profonda impressione” nei presenti, i quali auspicano che “la testimonianza di questi monaci fecondi una pacifica convivenza tra cristiani e musulmani in Algeria”. (I.P.)

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    RD Congo. Concluso l’incontro tra comunicatori diocesani

    ◊   Riconsiderare il modo in cui l’uomo si pone di fronte all’evangelizzazione mettendo l’accento sul ruolo che vi giocano i media: è l’invito che padre Jean-Marie Bomengola, segretario della Commissione episcopale delle Comunicazioni sociali della Conferenza episcopale nazionale del Congo ha rivolto ai responsabili diocesani della comunicazione e dei media riuniti al Centro Nganda di Kintambo, a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo. I partecipanti all’incontro che si è concluso ieri, riferisce il portale dei vescovi, hanno discusso di comunicazioni nelle diverse diocesi del Paese e del modo in cui organizzarle. Padre Félicien Mwanama, secondo segretario generale della Conferenza, ha rivolto il benvenuto a nome del presidente mons. Nicolas Djomo e ha ringraziato i responsabili diocesani delle comunicazioni e dei media per il loro lavoro, esortandoli a rendere fruttuoso l’incontro approfittando degli scambi e dei confronti per rispondere meglio alle esigenze della loro missione. (T.C.)

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    Etiopia. Inaugurata la nuova chiesa nel villaggio di Nyienyang

    ◊   “Dio è venuto a stare tra noi”: con queste semplici parole, i fedeli di Nyinenyang, in Etiopia, hanno espresso la loro gioia per la nuova chiesa, inaugurata giorni fa, nel pieno della Quaresima, dato che la comunità locale segue il calendario giuliano. Presenti alla cerimonia, informa l’agenzia salesiana Ans, il vicario apostolico di Gambella, il salesiano mons. Angelo Moreschi, molti sacerdoti e numerose suore che operano sul posto e che hanno animato la Messa solenne. Particolare lo svolgimento della cerimonia, come racconta don Filippo Perin, missionario italiano in Etiopia dal 2009: “All’inizio del rito, abbiamo girato per tre volte attorno alla chiesa, cantando ed esultando, mentre il vescovo benediva la struttura. Poi c’è stato il rito dell’apertura della porta, e infine l’ingresso di tutti i fedeli”. “All’interno - prosegue il sacerdote - il vescovo ha benedetto le pareti, unte con l’olio Santo, e ha fatto altrettanto con i circa 300 presenti, mentre altri 200 fedeli seguivano la Messa dall’esterno”. Nella sua omelia, mons. Moreschi ha ricordato cosa significa avere la casa di Dio all’interno del villaggio e la sua importanza per consolidare la comunità. Nel corso della celebrazione, inoltre, 16 adulti hanno ricevuto il Sacramento della Confermazione. Nel pomeriggio, la festa è proseguita con tornei di calcio e pallavolo. “Il giorno dopo – dice ancora don Perin – abbiamo ringraziato il Signore per la bellissima giornata che abbiamo vissuto e ci siamo promessi di portare avanti con tanto entusiasmo il nostro impegno nei gruppi della parrocchia, preparando l’imminente celebrazione della Pasqua”, che secondo il calendario giuliano quest’anno cadrà il 5 maggio. “Vorrei ringraziare i tantissimi benefattori che hanno contribuito e che contribuiscono alla missione di Nyinenyang – conclude il missionario – la nostra missione è portare Dio a questa gente, anche attraverso la realizzazione di pozzi d’acqua, l’accesso all’educazione, la distribuzione di cibo e le attività dell’oratorio”. (I.P.)

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    Visita in Bosnia-Erzegovina del gruppo di lavoro dei vescovi per l’Islam

    ◊   Il Gruppo di lavoro Islam della Conferenza dei vescovi svizzeri (Ces) si recherà in Bosnia-Erzegovina dal 7 al 13 aprile prossimi. Obiettivo del viaggio, informa una nota della Ces, è quello di “esplorare le difficoltà, le sfide e i passi avanti della coesistenza religiosa in un Paese politicamente e confessionalmente diviso così da ricavarne spunti per il dialogo cristiano-islamico e per la pastorale della Chiesa cattolica in Svizzera”. La delegazione sarà composta da sette persone guidate dal vescovo di Lugano, mons. Pier Giacomo Grampa. Poiché la maggior parte dei musulmani in Svizzera proviene dai Balcani, continua la nota, “il Gruppo di lavoro ritiene importante osservare sul posto quali siano le radici culturali e le relazioni tra cristiani e membri di altre religioni”. Sono quindi previsti numerosi incontri con rappresentanti locali delle comunità islamiche, cristiane ed ebraiche. Nel corso del viaggio, la delegazione visiterà successivamente le città di Sarajevo, Srebrenica, Mostar e Banja Luka. Al rientro in Svizzera, il Gruppo di lavoro Islam redigerà un comunicato sugli incontri effettuati. (I.P.)

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    In Burkina Faso quinta Settimana sociale cattolica su diritti umani e sviluppo

    ◊   Sarà dedicata al tema dei diritti dell’uomo e dello sviluppo la quinta Settimana sociale della Chiesa cattolica del Burkina Faso. Organizzata dalla commissione episcopale Giustizia e Pace, l’incontro si svolgerà a Ouagadougou da domani al 12 aprile prossimi. Circa 300 i partecipanti attesi provenienti dalle diverse diocesi del Burkina Faso, ma anche da altri Paesi dell’Africa settentrionale che per cinque giorni si confronteranno e faranno il punto sulla situazione dei diritti umani e dello sviluppo nel Paese africano e nel mondo, per presentare proposte alla luce degli insegnamenti sociali della Chiesa. Come nelle precedenti edizioni dedicate, tra l’altro, ai temi della giustizia sociale, della pace, della povertà e della corruzione, l’obiettivo dell’incontro è riflettere, ma anche far conoscere la visione sociale cristiana. “Una visione – ha evidenziato alla presentazione dei lavori il segretario nazionale di Giustizia e Pace, Emile Songré, citato dall’agenzia All Africa – che l’opinione pubblica spesso conosce male, o non conosce affatto. La settimana sarà quindi un’occasione per riaffermare un’idea di diritto umano e di sviluppo centrato sulla dignità della persona umana contro i modelli etici oggi dominanti nel mondo, che ispirano ad esempio progetti di legge come quello sul matrimonio per tutti in Francia”. “In questo contesto – ha aggiunto Songré – va letto anche il dovere della Chiesa di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità burkinabé sulla provenienza e la natura degli aiuti dall’estero, dietro ai quali si nasconde non di rado il tentativo di imporre modelli e stili di vita occidentali”. La Settimana, infine, prevede una serie di conferenze tematiche, tra cui: “I diritti dell’uomo dal 1948 ai nostri giorni”, “La politica dei diritti dell’uomo in Burkina Faso”, “La Dottrina sociale della Chiesa e i diritti dell’uomo” e “Convergenze e divergenze: la politica di genere in Burkina Faso”. ( L.Z.)

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    Domani in Spagna si celebra la Giornata per la vita

    ◊   “Umano sin dal principio”: s’intitola così il messaggio dei vescovi spagnoli diffuso in vista della Giornata per la vita, che ricorre domani, 8 aprile. “La vita umana è sacra – si legge nel documento – poiché sin dal principio comporta l’azione creatrice di Dio e rimane sempre in una relazione speciale con il Creatore”. Per questo, ribadisce la Conferenza episcopale iberica: “Ogni attacco contro la vita umana è anche un attacco contro la ragione e la giustizia, e costituisce una grave offesa a Dio”. Di qui, l’invito della Chiesa locale a riconoscere i diritti della persona dal momento del concepimento, con particolare attenzione per “il diritto inviolabile di ciascun essere umano alla vita”. “Tale diritto – spiegano i presuli di Madrid – non è una concessione dello Stato, ma un diritto antecedente allo Stato stesso, che tuttavia ha l’obbligo di tutelarlo in ogni momento”. Quindi, i vescovi ribadiscono il proprio dovere di “aiutare il discernimento riguardo alla giustizia e alla moralità delle legge”, anche perché “l’attuale legislazione spagnola sull’aborto è molto ingiusta, in quanto non riconosce né protegge adeguatamente la realtà della vita”. Infine, la Chiesa iberica ricorda il sostegno e l’aiuto offerto alle famiglie dai centri di orientamento familiare, insieme all’assistenza offerta alle donne in gravidanza a rischio di aborto e al supporto psicologico proposto per le neomamme. Tutte valide forme di aiuto che, concludono i presuli, necessitano di “sacerdoti formati, in grado di assistere adeguatamente” le madri più bisognose. (I.P.)

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    Evento ecumenico su Martin Luther King, a 50 anni dalla “Lettera da Birmingham”

    ◊   Era il 16 aprile del 1963 quando Martin Luther King scriveva la sua famosa “Lettera da Birmingham”: il pastore protestante si trovava in prigione per aver partecipato ad alcune dimostrazioni in favore dei diritti civili per gli afroamericani. Nella sua missiva, indirizzata ai “colleghi ministri della Chiesa”, Martin Luther King spiegava il significato, in senso cristiano, della non-violenza e della lotta per i diritti umani e l'integrazione razziale, ribadendo che “l'ingiustizia, da qualunque parte si trovi, è una minaccia per la giustizia da qualunque altra parte”. A cinquant’anni da quella lettera, il 14 e 15 aprile, a Birmigham si terrà un evento ecumenico con la partecipazione di leader cristiani di tutti gli Stati Uniti. Promosso dall’organizzazione “Christian Churches Togheter” (Cct), l’iniziativa vedrà l’adesione della Conferenza episcopale statunitense, rappresentata dal vicepresidente, mons. Joseph Kurtz, che in una nota afferma: “Oltre alle sfide indicate dalla lettera di Martin Luther King, vogliamo migliorare la giustizia razziale e rafforzare i legami l’uno con l’altro". L’evento commemorativo sarà ospitato dalla St. Paul United Methodist Church di Birmingham e avrà inizio il 14 aprile alle ore 18. A prendere la parola, tra i primi relatori, sarà lo stesso mons. Kurtz, a seguire una tavola rotonda. Il giorno seguente, alle 9, si terrà una processione nel Kelly Ingram Park, cui seguiranno le riflessioni di Dorothy Cotton, leader dei diritti civili, e di John Lewis, rappresentante del Congresso per lo Stato della Georgia, il quale parlerà del “Contesto storico e significato della Lettera da Birmingham”. L’evento si concluderà alle 15.30 con l’atto simbolico della firma di un documento del Cct, in risposta alla missiva di Martin Luther King. Da evidenziare, infine, che la celebrazione dei 50 anni di tale lettera giunge a pochi giorni dal 45.mo anniversario della morte di Martin Luther King, ucciso il 4 aprile 1968. Tre giorni dopo, all'Angelus, Papa Paolo VI ricordava tale omicidio come "l'uccisione di un inerme e cristiano profeta dell'integrazione razziale". (I.P.)

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    Nucleare iraniano: nessuna intesa dopo il nuovo round di negoziati

    ◊   Si è conclusa con un nulla di fatto la due giorni di negoziati sul programma nucleare iraniano svoltasi in Kazakhstan fra i rappresentanti di Teheran e le potenze mondiali del 5+1. A margine dei colloqui, le posizioni fra Iran e il gruppo composto da Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia più Germania restano “molto distanti nella sostanza”, ha dichiarato l'Alto rappresentante della Ue per la politica estera e coordinatrice del 5+1, Catherine Ashton. L’Iran, infatti, ha rifiutato la proposta avanzata alla vigilia del vertice circa la possibilità di alleggerire le sanzioni in cambio di una ''sospensione'' dell'arricchimento dell'uranio. Dura la reazione di Israele, che parla di fallimento dei colloqui ed esorta la comunità internazionale ad assumere una posizione “più energica” nei confronti di Teheran. (M.G.)

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    Turchia: segretario di Stato Usa Kerry inizia tour in Medio Oriente

    ◊   Il segretario di Stato americano, John Kerry, è arrivato questa notte in Turchia, dove ha preso inizio un tour diplomatico di 10 giorni che toccherà diversi Paesi del Medio Oriente. Kerry vuole spingere Ankara a una più ampia cooperazione con Israele. Nei colloqui con il premier Erdogan e il collega Davutoglu, Kerry chiederà anche alla Turchia di mantenere le proprie frontiere aperte ai siriani in fuga dal regime. Il capo della diplomazia Usa da stasera sarà in Israele e Cisgiorndania, dove incontrerà il presidente palestinese Abu Mazen. (M.G.)

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    Ucraina: graziato ex ministro Interni di Timoshenko. Ue soddisfatta

    ◊   Il presidente ucraino, Viktor Ianukovich, ha concesso la grazia all'ex ministro dell'Interno del governo Timoshenko, Iuri Lutsenko. Lo scorso 3 aprile, la Corte suprema ucraina aveva confermato la condanna nei suoi confronti a quattro anni di reclusione per falsificazione di atti e appropriazione indebita in un processo che molti osservatori ritengono politicamente manovrato. Il decreto di grazia riguarda altri cinque condannati, tra i quali, oltre a Lutsenko, c'è anche l'ex ministro dell'ambiente, Georgy Filipchuck. La decisione della presidenza ucraina risponde alle ripetute richieste da parte dei governi occidentali, e in particolare a quella degli inviati del parlamento europeo in Ucraina. Il commissario europeo per l'Allargamento, Stefan Fuele, ha accolto favorevolmente la notizia definendola “un primo passo, ma importante, per combattere la giustizia selettiva”. (M.G.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 97

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.