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Sommario del 18/09/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa alla Chiesa colombiana: evangelizzazione più efficace verso i popoli indigeni
  • Benedetto XVI nomina i padri per il prossimo Sinodo sulla nuova evangelizzazione
  • Il nuovo "advisor" per la trasparenza finanziaria, René Bruelhart: apprezzato l'impegno del Vaticano nel settore
  • Cortile dei gentili. Il cardinale Ravasi: la novità di Stoccolma, aver rotto in pubblico il silenzio su Dio
  • Il 30 settembre Musei Vaticani aperti e gratuiti per le Giornate Europee del Patrimonio
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nuove proteste per il film blasfemo. In Pakistan spari contro una cattedrale cristiana
  • Amnistia in Myanmar: già liberati 90 detenuti politici
  • Mali: deciso l’intervento di forze africane nel Nord occupato da integralisti
  • Salute e siti contaminati in Italia: studio dell'Iss parla di mortalità in continua crescita
  • Fiat. Mons. Nosiglia: famiglie e lavoro prima degli interessi degli azionisti
  • Italia: 775 mila studenti non sono italiani ma il 44% è nato nella penisola
  • Il cardinale Sgreccia: aprire un orizzonte di speranza per i malati
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Ancora uccisioni in Siria. Dato alle fiamme l'arcivescovado siro-cattolico di Homs
  • Il vescovo di Aleppo: “Dal Libano il conforto del Papa è arrivato fino a noi"
  • Iraq: ordigno esplode davanti al portone della cattedrale di Kirkuk
  • Pakistan: la Chiesa di Hyderabad è preoccupata a causa delle proteste
  • India. Il cardinale Gracias: ingiustificabile il film anti-Maometto, ma no alla violenza
  • Un altro attentato in Afghanistan: 12 morti e numerosi feriti
  • Sud Sudan: a Rumbek aggredito il direttore dell'emittente cattolica "Radio Good News"
  • Congo: delegazione di vescovi in visita nel Nord Kivu
  • Kenya: appello di pace della Chiesa per le violenze tra agricoltori e allevatori
  • Sudafrica: passo in avanti nella trattativa con i minatori di Marikana
  • Bolivia: i vescovi chiedono il rispetto dei diritti umani, libertà e giustizia
  • Il dramma di migliaia di minori honduregni non accompagnati che tentano di arrivare negli Usa
  • Colombia: per sopravvivere ad abusi e violenze molti bambini entrano in gruppi criminali
  • Ecuador: continua la Campagna contro il lavoro minorile a rischio
  • Cina: distrutta una parrocchia nell'Hu Bei nella totale indifferenza delle autorità
  • Terra Santa: auguri di pace degli Ordinari cattolici per il capodanno ebraico
  • Regno Unito: “Settimana della piccola via” sulle orme di Santa Teresa di Lisieux
  • Sarà lanciata in Italia la “Giornata della trasparenza” nelle pubbliche amministrazioni
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa alla Chiesa colombiana: evangelizzazione più efficace verso i popoli indigeni

    ◊   Benedetto XVI chiede una maggiore attenzione nei processi di evangelizzazione dei popoli indigeni in Colombia. La volontà del Papa è stata resa pubblica nella lettera “Lo status dei popoli indigeni in Colombia”, inviata ai sacerdoti e fedeli cattolici colombiani. Il Dipartimento di promozione e del dialogo dell’episcopato locale ha spiegato che la lettera invita a guardare ai popoli indigeni come “soggetti di evangelizzazione” che devono essere “accolti e accompagnati”. Infine, Benedetto XVI chiede che siano rivisti le metodologie e i criteri per l’approccio con i popoli indigeni. Così il Pontefice ribadisce la necessità di “sapere arrivare” con il Vangelo alla visione cosmologica e alle tradizioni dei popoli indigeni. Intanto, si è conclusa, ieri, la visita ad Limina di un gruppo di presuli colombiani, iniziata lo scorso primo settembre. Un evento che rilancia l’impegno della Chiesa della Colombia nel discepolato e per la riconciliazione del Paese, dopo anni di sanguinosa guerra civile. Stefano Leszczynski ne ha parlato con l’arcivescovo di Cali, mons. Dario de Jesus Monsalve Mejia:

    R. – Il Santo Padre ci ha spinti a svolgere il programma della Conferenza episcopale colombiana e quindi il punto forte è senz’altro la formazione delle piccole comunità, come quella che - ad Aparecida, in Brasile - il Papa ha chiamato “Comunità dei discepoli missionari”. Il discepolato quindi sarà la realtà più importante: quando c’è stato il primo incontro con Gesù, si entra nel processo della conversione e così poi si formeranno anche le comunità dei credenti cui farà seguito poi l’azione pastorale-missionaria. Mi pare che il progetto della Chiesa colombiana si appoggi soprattutto sulla famiglia, come ha detto il Papa. Famiglia, comunità e società dovrebbero sempre essere in primo piano per la Chiesa come l’obiettivo principale di tutti i piani pastorali.

    D. – Quali sono i vari problemi che la secolarizzazione pone in Colombia? Quali sono le sfide per la Chiesa colombiana?

    R. – L’impatto della secolarizzazione è una vita staccata dal senso di Dio o con un senso di Dio molto degradato. Un Dio che risponde alle necessità individuali. In Colombia, il risultato senz’altro più preoccupante di questo è il narcotraffico che ha alla base la società colombiana e la violenza, con un’implicita ed esplicita accettazione dell’omicidio, delle stragi.

    D. – Tra i tanti problemi che la Colombia deve affrontare, c’è anche un forte processo di riconciliazione, in seguito al conflitto con le Farc. Come si sta svolgendo questo tentativo di avviare un processo di riconciliazione nel Paese?

    R. – In questo momento, il governo – in modo meraviglioso – ha deciso di cambiare la strategia di guerra, di questa guerra senza fine, con una strategia di dialogo intorno a cinque punti. Il primo è la riforma rurale: la terra che deve essere distribuita in maniera più equa. Il secondo punto riguarda la trasformazione delle organizzazioni guerrigliere in movimento politico con compartecipazione nelle elezioni popolari. Il terzo riguarda la fine del conflitto armato per mezzo di una progressiva cessazione delle ostilità. Il quarto punto riguarda la fine del narcotraffico. E’, questo, un aspetto molto difficile, ma la guerriglia ha una grande responsabilità in questo, perché ha sfruttato il narcotraffico e per questo adesso si impegnerà, al fianco del governo e della società per porre fine al narcotraffico. Infine, il punto più difficile, più sensibile: le vittime. Cosa fare a riguardo delle vittime. I morti, le persone sparite, tante situazioni difficili. Ecco, questi cinque punti sono sul tavolo del dialogo.

    D. – Cosa riporta in patria da questa Visita ad limina l’episcopato colombiano?

    R. – C’è una parola del Santo Padre che ci ha molto toccato: “Seminate il Vangelo e raccoglierete riconciliazione”. Queste parole mi sembra che siano l’incoraggiamento più forte che il Papa potesse darci. Siamo molto contenti e torniamo a casa con una grande carica di entusiasmo a continuare il nostro ministero e a cercare la riconciliazione e la pace con tutti i colombiani.

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    Benedetto XVI nomina i padri per il prossimo Sinodo sulla nuova evangelizzazione

    ◊   Benedetto XVI ha nominato Padri sinodali della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che avrà luogo dal 7 al 28 ottobre 2012, sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”.

    Si tratta dei cardinali: Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio; Joachim Meisner, arcivescovo di Köln (Rep. Federale di Germania); Vinko Puljič, arcivescovo di Vrhbosna (Bosnia ed Erzegovina); Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar-es-Salaam (Tanzania), presidente del Symposium des Conférences Episcopales d’Afrique et de Madagascar (S.C.E.A.M.); Christoph Schönborn, O.P., arcivescovo di Wien (Austria); George Pell, arcivescovo di Sydney (Australia); Josip Bozanić, arcivescovo di Zagreb (Croazia); Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest (Ungheria), presidente del Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae (C.C.E.E.); Agostino Vallini, vicario Generale di Sua Santità per la diocesi di Roma; Lluís Martínez Sistach, arcivescovo di Barcellona (Spagna); André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi (Francia); Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay (India), segretario generale della Federation of Asian Bishops’ Conferences (F.A.B.C.).

    Di seguito, i nomi dei presuli nominati dal Pontefice per l’assise sinodale: Francesco Moraglia, patriarca di Venezia; John Olorunfemi Onayekan, arcivescovo di Abuja (Nigeria); Héctor Rubén Aguer, arcivescovo di La Plata (Argentina); Antonio Arregui Yarza, arcivescovo di Guayaquil (Ecuador), presidente della Conferencia Episcopal Ecuatoriana; John Atcherley Dew, arcivescovo di Wellington (Nuova Zelanda), presidente della Federation of Catholic Bishops’ Conferences of Oceania (F.C.B.C.O.); José Octavio Ruiz Arenas, arcivescovo emerito di Villavicencio, segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione; José Horacio Gómez, arcivescovo di Los Angeles (Stati Uniti d’America); Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Tlalnepantla (Messico), Presidente del Consejo Episcopal Latinoamericano (C.E.L.AM.); Bernard Longley, arcivescovo di Birmingham (Gran Bretagna); Ricardo Antonio Tobón Restrepo, arcivescovo di Medellín (Colombia); Luis Antonio G. Tagle, arcivescovo di Manila (Filippine); Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto (Italia); Javier Echevarría Rodríguez, vescovo tit. di Cilibia, prelato della Prelatura personale dell’Opus Dei; Dominique Rey, Vescovo di Fréjus-Toulon (Francia); Menghesteab Tesfamariam, M.C.C.J., Eparca di Asmara (Eritrea); Benedito Beni Dos Santos, vescovo di Lorena (Brasile); Santiago Jaime Silva Retamales, vescovo tit. di Bela, ausiliare di Valparaiso (Cile), segretario generale del Consejo Episcopal Latinoamericano (C.E.L.AM.); Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro (Italia); Alberto Francisco María Sanguinetti Montero, Vescovo di Canelones (Uruguay); Enrico Dal Covolo, S.D.B., vescovo tit. di Eraclea, rettore magnifico della Pontificia Università Lateranense in Roma; il Rev.do Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione; i Rev.di Padri: Renato Salvatore, M.I., superiore generale dei Chierici Regolari Ministri Degli Infermi (Camilliani); Heinrich Walter, superiore generale dei Padri di Schönstatt; Jose Panthaplamthottiyil, C.M.I., priore generale dei Carmelitani della B. V. Maria Immacolata.

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    Il nuovo "advisor" per la trasparenza finanziaria, René Bruelhart: apprezzato l'impegno del Vaticano nel settore

    ◊   Il mondo della finanza internazionale apprezza il lavoro della Santa Sede per la trasparenza e nella lotta al riciclaggio di denaro. È la sintesi delle convinzioni espresse dal nuovo advisor vaticano per le questioni finanziarie, l’avvocato svizzero René Bruelhart. Il collega della sezione tedesca della nostra emittente, Mario Galgano, lo ha intervistato domandandogli di illustrare anzitutto le sue mansioni in ambito vaticano:

    R. – Zeil und Zweck meiner Aufgabe ist, den Vatikan in seinen Bemühunge …
    E’ mio compito e finalità fornire al Vaticano consulenza e supporto nei suoi sforzi nella lotta al riciclaggio di denaro sporco, alla criminalità organizzata e al finanziamento del terrorismo. Per quanto riguarda la mia permanenza, posso dire che ho iniziato questo lavoro nemmeno due settimane fa e che quindi tutto dipenderà dall’evoluzione della situazione. Ho trovato strutture che, entro certi limiti, funzionano molto bene. Gli sforzi del Vaticano, in particolare negli ultimi due anni, sono stati intensi e gli impegni assunti grandi. Non a caso, se si considera il rapporto formulato dalla Commissione d’esame europea che a metà giugno ha valutato con attenzione la situazione vaticana, si deve riconoscere che il lavoro è in corso e che si continuerà su questa strada.

    D. – In cosa consiste la differenza nel lavoro svolto qui, in Vaticano, rispetto a quello compiuto in altri Paesi, a prescindere dal fatto che si sia in uno Stato molto piccolo? C’è realmente una differenza?

    R. – Ich denke es gibt verschiedene Unterschied …
    Credo che le differenze siano molteplici. In effetti, è uno Stato come altri anche se possono esserci differenze nelle strutture. Ma penso che la differenza sostanziale, nel caso del Vaticano, consista nel fatto che quando si lavora per un altro Paese, o per una piazza finanziaria, in definitiva si lavora anche per la sua reputazione. Nel nostro caso, sicuramente è importante la reputazione, ma quello che più conta è il “bene superiore”. Infatti, se si considerano la funzione e la posizione della Santa Sede a livello universale, la sua importanza e la questione della responsabilità morale che qui viene chiamata in causa, credo che il compito vada parecchio oltre.

    D. – Come viene percepito il Vaticano nel mondo finanziario internazionale?

    R. – Der Vatikan ist kein Finanzcenter: Ich glaube, das muss man hier mal…
    Il Vaticano non è un centro finanziario: credo sia necessario dirlo a chiare note, una volta per tutte. E questo anche se in parte i media lo raccontano in maniera diversa, assieme a tutte le “leggende” che vengono spacciate per vere: risponde un po’ alla natura dei media, appunto… Io preferisco parlare con i fatti, ed è un fatto che il Vaticano non è un centro finanziario. E’ però anche un fatto che qui in Vaticano si effettuino transazioni finanziarie, sia pure in un ambito abbastanza chiaro. Ed è un fatto anche che negli ultimi anni siano state create strutture per combattere possibili abusi. Ora si tratta di rafforzare queste strutture.

    D. – Riguardo alle norme: vi sono leggi alle quali è necessario adeguarsi? Forse anche questo non è molto noto…

    R. – Es gibt internationale Standards, die global angewendet werden, die klar…
    Esistono degli standard internazionali adottati a livello globale, che indicano chiaramente quali strutture è, o sarebbe, necessario avere, quali esigenze ci sono, come si svolge la collaborazione internazionale e quella nazionale tra le diverse autorità… In questo ambito, ci sono delle condizioni di base. Quello che è determinante è che queste non siano riprese semplicemente come atto formale, ma molto più che queste vengano riempite di vita. In altre parole: è importante trovare una applicazione che funzioni, soprattutto che funzioni a lungo termine. E questo sicuramente sarà uno degli aspetti del mio compito.

    D. – C’è un aspetto che vuole aggiungere?

    R. – Wie gesagt, ich beginne lieber zuerst zu arbeiten und würde mich dann…
    Come ho già detto, preferisco intanto iniziare a lavorare. Poi tra due, tre, magari anche quattro mesi, mi farebbe piacere tornare a parlare da questi studi.

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    Cortile dei gentili. Il cardinale Ravasi: la novità di Stoccolma, aver rotto in pubblico il silenzio su Dio

    ◊   Aver parlato di Dio in pubblico in una società per la quale la religione è questione strettamente privata è un successo. Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, traccia un bilancio positivo del suo recente incontro a Stoccolma nell’ambito del “Cortile dei gentili”. Le parole del porporato nell’intervista di Fabio Colagrande:

    R. - Mi trovavo non soltanto in un ambito che è completamente diverso dal punto di vista confessionale rispetto a quello cattolico, l’ambito luterano, ma soprattutto in un ambito fieramente laico, secolarizzato, dove esplicitamente il discorso religioso non fa parte del tessuto normale della comunicazione ed è riservato soltanto all’intimità delle persone e all’ambito strettamente ecclesiale. Ebbene, lì questo “timore e tremore” si è sciolto quasi subito per almeno due ragioni: da una parte, l’accoglienza che ho avuto anche da coloro che non erano credenti è stata particolarmente intensa; dall’altra parte, abbiamo avuto anche una presenza, una partecipazione particolarmente intensa da parte della stessa comunità luterana. L’impressione naturalmente ha confermato quello che io avevo acquisito, attraverso soprattutto la lettura della letteratura contemporanea svedese. In particolare, ho ritrovato ancora l’elemento dominante, che è l’elemento della secolarizzazione. Qui vorrei dire che - registrato anche da alcuni che mi intervistavano dei giornali, della televisione o anche dello stesso ambito luterano - l’elemento più sconcertante per loro e sorprendentemente riuscito era che ambiti pubblici e ambiti diversi tra di loro, secolarizzati in maniera esplicita, anzi totalmente laici come l’Accademia delle Scienze e anche un po’ l’ambiente dei giovani del Fryshuset, siano stati dominati da discorsi religiosi. I discorsi religiosi non si devono fare in pubblico perché sono politicamente e culturalmente scorretti: invece, in quel caso, i discorsi sono arrivati, detti esplicitamente e personalità di rilievo della cultura svedese hanno dichiarato la loro fede o il loro abbandono della fede o anche la loro negazione totale di qualsiasi dimensione, esponendosi in pubblico, davanti magari anche ai loro colleghi. Questa è stata la sorpresa anche da parte mia: come mi ha detto un interlocutore qualificato, non avrebbero mai immaginato che a rompere questo silenzio, attorno ai temi religiosi, sarebbe stato in Svezia proprio un cardinale cattolico.

    D. - Come sono andati i colloqui, gli incontri, i confronti?

    R. - Il confronto nell’Accademia delle Scienze è stato in assoluto il più sistematico, globale, accurato, qualificato, anche se su percorsi inattesi. Qui, bisogna dare atto sicuramente all’ambasciatrice di Svezia presso la Santa Sede, Ulla Gudmundson, la quale ha diretto - lei stessa - il dibattito e il dialogo con molta acutezza e anche con molto equilibrio. Ma soprattutto, direi, in questo caso è stata emozionante - per me mediterraneo - l’impressione di vedere che delle persone - sala intera stracolma - per tre ore e mezza, senza intervallo, ha assistito a questo dibattito nel silenzio più assoluto, lamentandosi poi alla fine per il tempo breve degli interventi del pubblico. E dall’altra parte, nel mondo invece dei giovani, lì allora le scintille ci sono state, perché abbiamo avuto, per esempio, la presenza di giovani da un lato, forse, fortemente testimoni della loro fede, e dall’altro lato abbiamo avuto dei giovani, ma anche il capo di questo movimento umanista secolare svedese, fieramente “ateistico” diciamo, il quale ha posto le sue questioni in una maniera anche un po’ aggressiva, in certi momenti. Questo è significativo anche di questo Paese, ma non lo è in maniera emblematica. Mi è stato detto che, per esempio, che gli umanisti secolari sono soltanto cinquemila in Svezia, su una popolazione di 10 milioni di abitanti. Quindi, ciò che era più significativo era, forse, il rompere la nebbia, il gelo dell’indifferenza, della non pubblicità della fede.

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    Il 30 settembre Musei Vaticani aperti e gratuiti per le Giornate Europee del Patrimonio

    ◊   Il 30 settembre prossimo, sarà possibile entrare gratuitamente nei Musei Vaticani per l’intera giornata. L’iniziativa coincide con la celebrazione delle "Giornate Europee del Patrimonio", la manifestazione promossa dal Consiglio d'Europa che gode attualmente l'adesione di 50 stati del continente e alla quale la Santa Sede aderisce anche quest'anno.

    Giunte alla 30.ma edizione, le Giornate europee del Patrimonio hanno per il 2012 come tema “Le immagini della fede nel patrimonio europeo. Alla loro elaborazione hanno collaborato la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e i Musei Vaticani.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In rilievo, nell'informazione internazionale, il divampare delle violenze contro gli Stati Uniti.

    La sorpresa dei gentili di Stoccolma: in cultura, Ulf Jonsson sugli svedesi sorpresi e ammirati dalle due giornate del Cortile nella capitale.

    Scintillanti empirei virtuali: Fabrizio Bisconti sulle decorazioni delle chiese romane costantiniane.

    Biblioteche, non specie protette: sugli irrinunciabili luoghi della formazione permanente, anticipazione dell'articolo di Edoardo Barbieri nel numero in uscita di "Vita e Pensiero".

    Un articolo di Marco Beck dal titolo "Viaggio in Grecia con l''Odissea nello ziano": otto visite per un guida anomala nei luoghi di Omero.

    Quella sfida decisiva: nell'informazione religiosa, il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, su movimenti ecclesiali e nuove comunità di fronte all'Anno della fede.

    La Parola non è incatenata: l'intervento del vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, all'incontro, a Sarnico, dei docenti di teologia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.

    Trascinatore nella fede: nell'informazione vaticana, sulla visita del Papa in Libano intervista di Mario Ponzi al cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali.

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    Oggi in Primo Piano



    Nuove proteste per il film blasfemo. In Pakistan spari contro una cattedrale cristiana

    ◊   Si estende la protesta antiamericana nel mondo islamico e arabo, a causa del film blasfemo su Maometto, prodotto negli Stati Uniti. Tra gli ultimi episodi: in Pakistan, le manifestazioni hanno assunto anche toni anticristiani. A Hyderabad, numerosi i cortei con slogan e atti di vilipendio nei confronti di simboli cristiani. Colpi d’arma da fuoco sono stati sparati contro il portone della Cattedrale. L’organizzazione Al Qaeda per il Maghreb, plaudendo all’omicidio dell’ambasciatore Stevens, ha esortato a uccidere tutti i rappresentanti diplomatici degli Stati Uniti nella regione. Intanto, in Libano il movimento sciita Hezbollah, attraverso le parole del suo leader Nasrallah, ha indetto una settimana di proteste antiamericane. Sul significato della decisione di Hezbollah, Giancarlo La Vella ha intervistato Antonio Ferrari, esperto di Medio Oriente, analista del Corriere della Sera:

    R. – Sicuramente, è una discesa in campo fragorosa, perché Nasrallah, il capo di Hezbollah, per motivi di sicurezza compare in pubblico molto raramente dal 2006 e poi perché ha lanciato un appello molto duro alla mobilitazione antiamericana. Un’altra considerazione è una considerazione interessante di carattere religioso. Nasrallah e tutto il movimento Hezbollah, in segno di rispetto per la visita di Benedetto XVI in Libano, salutato anche dallo stesso movimento sciita come messaggero di pace, ha atteso la partenza del Papa per poter lanciare la sua campagna. Quindi, non c’è naturalmente nessun tipo di conflitto con le altre componenti religiose. C’è invece un conflitto politico aperto contro questo film, che rischia anche di condizionare la campagna elettorale americana, creando non pochi problemi al presidente Obama, che punta alla rielezioni nelle consultazioni di novembre prossimo.

    D. – Potrebbe essere l’inizio di una protesta che, da antiamericana, si trasformi più in generale in antioccidentale, guardando anche agli sviluppi della situazione siriana?

    R. – Sì, perché Hezbollah è molto vicino alla Siria e potrebbe far sentire la sua forza anche in funzione totalmente antioccidentale. Questo nel caso in cui ci fosse un attacco contro la Siria. E’ evidente che lo sviluppo della situazione siriana, se dovesse portare a derive durissime e drammatiche, con interventi esterni, scatenerebbe sicuramente Hezbollah. Ma, prima di pensare a interventi esterni, bisogna sempre considerare che sulla Siria c’è sempre il veto a qualsiasi tipo di iniziativa militare da parte di Russia e Cina, proprio perché attraverso la Siria Mosca vuole dimostrare che è ancora bene presente nella regione. Dalla sua, invece, la Cina segue sui interessi particolari: vuole tenere aperti tutti i possibili canali per dotarsi di quelle risorse energetiche di cui ha sommamente bisogno.

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    Amnistia in Myanmar: già liberati 90 detenuti politici

    ◊   In Myanmar, circa 90 prigionieri politici hanno già beneficiato dell'amnistia proclamata ieri dalle autorità birmane: sono oltre 500 i detenuti che verranno liberati, tra i quali figurano monaci, studenti e membri delle minoranze etniche, ma anche numerosi dissidenti. E' l'ennesima amnistia proclamata nei 18 mesi del governo civile, un’ulteriore tappa nel percorso di riforme intrapreso dal presidente, Thein Sein, che ha incoraggiato l'Occidente ad allentare le sanzioni economiche contro il Paese. E proprio oggi, la leader dell’opposizione, Aung San Suu kyi è giunta negli Stati Uniti, per un viaggio che durerà due settimane e che prevede l’incontro con il segretario di Stato americano, Hillary Clinton e, probabilmente, con il presidente Obama. Sulla liberazione dei detenuti politici, Salvatore Sabatino ha intervistato Francesco Montessoro, docente di Storia dell’Asia presso l’Università Statale di Milano:

    R. - E’ certamente un passo verso la normalizzazione. E’ un passo che, peraltro, è coerente con ciò che è accaduto dopo il 2008 con la revisione della Carta Costituzionale e, soprattutto, con le elezioni del 2010, che pur essendo controllate dalla elite militare, che di fatto è alle spalle dell’attuale governo, hanno avuto il merito di modificare positivamente il quadro politico complessivo. Peraltro, che queste elezioni fossero solo un primo passo si è rivelato quest’anno, nel 2012, quando Aung San Suu Kyi è riuscita a vincere le elezioni suppletive. Da questo punto di vista, non vi è alcun dubbio: la Birmania sta mutando effettivamente sotto il profilo politico in una direzione che, pur non essendo ancora perfettamente democratica, è certamente una evoluzione assai positiva.

    D. - Un Paese, la Birmania, che assume un ruolo sempre più rilevante anche per gli equilibri dell’area. Ma qual è oggi il suo peso specifico?

    R. - Di fatto, è un Paese che ha assunto un alto valore simbolico, soprattutto per il ruolo e per il destino di Aung San Suu Kyi: è stato molto importante sotto il profilo politico. Dal punto di vista geo-strategico, pur avendo un suo ruolo specifico tra Cina e India, non possiamo ritenerlo un Paese decisivo.

    D. - Gli Stati Uniti, sulla scia delle riforme introdotte dal governo civile birmano, hanno sospeso parte delle sanzioni applicate negli anni Novanta. Questo quanto aiuta il Myanmar a guardare con maggiore serenità al proprio futuro?

    R. - Si tratta di un’iniziativa clamorosa per certi aspetti ed è una iniziativa - quella americana - che effettivamente prelude ad un pieno reintegro di questo Paese nell’arena internazionale. Credo che, da questo punto di vista, il Myanmar abbia ormai perduto il profilo di Paese ostile, chiuso, antidemocratico.

    D. - La settimana prossima, il presidente birmano, Thein Sein andrà negli Stati Uniti per partecipare all’Assemblea generale dell’Onu, dove parlerà il 24 settembre. Professore, un discorso molto, molto atteso…

    R. - Sì, proprio perché afferma questa tendenza: soltanto pochi anni fa sarebbe stata impensabile una proiezione internazionale di un qualsiasi esponente di spicco della leadership militare e politica birmana. Oggi, le cose effettivamente sono mutate. In qualche maniera, si può ritenere questo discorso l’avallo internazionale di un Paese che sta ritornando - anche se imperfettamente sotto il profilo della democrazia e questo deve essere chiaro - nell’agone internazionale.

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    Mali: deciso l’intervento di forze africane nel Nord occupato da integralisti

    ◊   I ministri degli Affari Esteri e della Difesa dell'Africa occidentale, riuniti ieri ad Abidjan in Costa d’Avorio hanno deciso l’invio e il dispiegamento di truppe in Mali per riconquistare il Nord, occupato da gennaio scorso da gruppi armati islamisti, responsabili di continue violenze nel Paese. L’ultimo in ordine di tempo è stata la distruzione del mausoleo di Sheik al Kebir, a 330 chilometri dalla città di Gao. E il Mali sarà tema di dibattito all'Assemblea generale dell'Onu a New York il 26 settembre. Della situazione nel Paese africano e del contesto regionale, Fausta Speranza ha parlato con la prof.ssa Anna Bono, docente di storia dei Paesi e delle istituzioni africane all’Università di Torino:

    R. - L’eventualità di un intervento militare esterno è subordinata al fatto che sia il governo di transizione attualmente in carica nel Paese, dopo il colpo di Stato, a richiederlo. Il governo in questione è molto incerto su questo punto di vista. Ci sono forze contrastanti. Da un lato, già da settimane, da mesi, anzi, si chiede un interevento esterno ma soprattutto da parte, essenzialmente, della comunità economica dell’Africa occidentale e non delle Nazioni Unite. Ma una parte di chi detiene il potere intenderebbe non tanto l’invio di una missione, cioè di militari – c’è da dire che 3.300 sono pronti a partire ormai da settimane -, quanto piuttosto un aiuto logistico ai militari maliani che si ritiene siano in grado di risolvere la situazione se dispongono di aiuti esterni.

    D. – Come guardare a questa presenza di forze integraliste nel più ampio contesto regionale?

    R. – C’è la diffusione in tutta quell’area dell’Africa di cellule estremiste, di gruppi fondamentalisti, che si è - si direbbe invano - cercato di contrastare, soprattutto impedendo che si collegassero tra di loro. In questo momento, a quanto pare, in Mali ci sono ben tre movimenti integralisti: Ansar Dine, Aqmi che sarebbe al Qaeda nel Maghreb islamico, il movimento di origine algerina, e Mujao che è l’acronimo di movimento per l’unità e jihad in Africa occidentale. Sono formati non soltanto di miliziani maliani ma hanno apporti esterni, che vanno da Boko Haram, che è il movimento integralista che semina morte in Nigeria, ad al Shabaab, che è il movimento integralista che in Somalia contrasta e minaccia il governo somalo. E poi dal Niger alla Nigeria e via dicendo. E’ una situazione estremamente preoccupante. Questa diffusione risente del fatto che molti di questi governi, pur essendo autoritari, hanno poi un controllo scarso, limitato, sul territorio, ma anche del fatto che esistono altre gravi questioni che non sono state affrontate negli anni, cioè per esempio la presenza di bande armate, di criminali comuni, e proprio in quell’area la presenza di gruppi armati che sono legati al traffico internazionale della droga, quello che porta dall’America Latina, attraverso l’Africa occidentale, la droga in Europa. Insomma, una situazione davvero complicata e sempre più preoccupante, allarmante. Prima di tutto per la popolazione locale, non dimentichiamo che nel solo Mali questa situazione, questa crisi, dalle molteplici sfaccettature, sembra abbia già provocato mezzo milione di sfollati e di profughi.

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    Salute e siti contaminati in Italia: studio dell'Iss parla di mortalità in continua crescita

    ◊   La mortalità generale nell’area di Taranto tra il 1995 e il 2002 è aumentata del 10% rispetto alle attese, mentre quella per tumore polmonare è superiore del 30%. Sono alcuni dei dati emersi dal Progetto "Sentieri", dell’Istituto superiore di sanità (Iss), reso noto a novembre, e presentato oggi a Roma, dai titolari dei Ministeri di Ambiente e Salute, Clini e Balduzzi. Vi si analizza il rischio mortalità per i cittadini residenti in 44 siti italiani contaminati, per i quali sono avviate o previste bonifiche. “Una guida per lo sviluppo futuro nel rispetto di ambiente e salute” così il ministro Clini. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    C’è una gran parte dell’Italia avvelenata dallo sviluppo industriale. Soprattutto al Sud, dove l’industrializzazione è stata più localizzata e dove ha ignorato la qualità dell’ambiente. Tra i 6 milioni di cittadini, in 298 comuni esaminati dal progetto “Sentieri”, in otto anni la mortalità è infatti risultata superiore rispetto alle medie regionali: 10 mila morti in più considerando tutte le cause, 3.508 solo per malattie riconducibili alla vicinanza da impianti vari, discariche o miniere. Il ministro dell’ambiente, Corrado Clini:

    “Sono dati che si ritrovano in tutte queste aree che hanno conosciuto 50-60 anni di industrializzazione, che non aveva in mente né i problemi della salute né quelli dell’ambiente. Perci,ò sono dati che ci possiamo attendere”.

    Più morbo di Parkinson nelle vicinanze di impianti legati al piombo, più tumori e malattie polmonari intorno a complessi petrolchimici e siderurgici, più malformazioni congenite e malattie renali laddove si lavorano metalli pesanti o idrocarburi. Il nesso di causalità è certo, dicono gli esperti, però solo per l’amianto per cui servono più misure preventive e più incentivi miranti alla riconversione degli impianti e già in atto, secondo il Ministero dell’ambiente. Proprio all’amianto sarà dedicato inoltre, in ottobre, un convegno a Venezia. Fatto positivo è che non si tratta di una strada senza ritorno, e lo studio "Sentieri" lo dimostra. Pietro Comba dell’Istituto superiore di sanità:

    “Noi abbiamo dati molto positivi, a cominciare da Biancavilla, in provincia di Catania, dove grazie al risanamento ambientale tempestivo si è bloccata la dispersione di fibre di fluoro-edenite, simile all’amianto, che aveva causato un aumento importante dei mesoteliomi pleurici”.

    Più sfumato, a un rapporto di forte sospetto, il nesso di causalità tra inquinamento - mortalità e malattie in altri siti industriali quali Porto Torres, Gela, le miniere del Sulcis, la chimica di Porto Marghera e gli stessi impianti industriali di Taranto. I nuovi dati sulla mortalità nel sito dell’Ilva saranno resi noti il 12 ottobre, frutto – ha spiegato il ministro della Salute, Renato Balduzzi – di monitoraggi biologici su allevamenti e itticultura:

    “Il Ministero della salute questo deve fare: deve dare dati affidabili, certi, validati, non alzare polemiche o creare allarmi”.

    A Taranto, comunque, la situazione resta critica, il solo fatto che se ne stiano occupando i periti non è un buon segnale. Ancora il ministro Clini:

    “Questo vuol dire che manca a livello nazionale una organizzazione che considera le analisi di dati della salute come parte integrante delle politiche di gestione del territorio. 'Sentieri', da questo punto di vista, è uno strumento molto importante. Io mi auguro che tra le iniziative in corso da parte delle autorità giudiziarie, quelle del Ministero dell’ambiente, e spero quelle dell’azienda, si cominci a costruire un percorso completo di risanamento”.

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    Fiat. Mons. Nosiglia: famiglie e lavoro prima degli interessi degli azionisti

    ◊   La Fiat, anche se in Europa sta accumulando perdite per oltre 700 milioni di euro, non vuole lasciare l’Italia. E’ quanto ha detto in un’intervista al quotidiano “La Repubblica” l’amministratore delegato dell’azienda torinese, Sergio Marchionne, aggiungendo di non aver parlato di esuberi e di non aver proposto chiusure di stabilimenti. Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha definito le dichiarazioni di Marchionne molto interessanti. Sulla vicenda Fiat e sulla crisi, si sofferma al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia:

    R. – La prima e più vasta priorità, per Torino come per l’Italia, è il lavoro: prima del valore per gli azionisti, prima della realizzazione di un qualche diverso modello di sviluppo, viene il diritto a mantenere se stessi e la propria famiglia. È qui che si gioca la capacità di uno Stato di garantire la dignità ai propri cittadini, in una prospettiva di bene comune. Vale per la Fiat, l’Ilva, l’Alcoa come per tutte le altre crisi grandi e piccole che non arrivano neanche ai grandi mass media ma – anche senza fare notizia – stanno impoverendo questo nostro Paese. Per quanto attiene poi alla Fiat in particolare, sono certo che lo speciale rapporto che il gruppo ha sempre avuto con Torino e che si è manifestato saldo anche nei momenti più complessi e difficili della sua storia, rappresenti un patrimonio di qualità che va oltre gli aspetti finanziari ed economici e investe altri valori altrettanto importanti sul piano umano, etico e comunitario: valori da non disperdere anche a fronte del nuovo e articolato assetto internazionale che l’azienda ha assunto nel mondo. Ma oggi a Torino non c’è solo la Fiat. La vocazione industriale del nostro territorio è la base solida sulla quale si possono costruire progetti e visioni future che aprono vie nuove a imprese, ricerca e innovazione, ambiti in cui esistono a Torino realtà di eccellenza tali da rendere possibile un rilancio anche produttivo e occupazionale.

    D. – Il sistema industriale italiano è in declino e il Paese è in crisi. Cosa occorre per un’autentica crescita?

    R. – La crisi sta mettendo a dura prova l’intero “sistema Paese” e impone pesanti prezzi sociali, soprattutto ai cittadini più deboli con complicanze anche etiche che non vanno sottovalutate. Si dice che non esistono ricette magiche per un rilancio dello sviluppo ed è vero. La crescita esige una nuova e definita politica industriale, ma non è solo questione economica, anzi l’economia stessa non può porsi al di sopra delle regole che tutelano quel bene che è la persona e quei beni comuni che stanno alla base di una società viva e sana. E ancora: al di sopra delle regole c’è la volontà politica, quella che sceglie il dialogo, il lavoro comune e non la contrapposizione. E’ necessario dare vita a un luogo dove sia possibile questo confronto franco e aperto tra le varie componenti politiche, con l’intendimento di ricercare insieme il bene comune per le nostre città e territori, che si traduca in un progetto concreto di sviluppo e di coesione sociale. Infine, al di sopra della politica ci deve essere la consapevolezza che la solidarietà non è solo un metodo necessario, ma una via obbligata se si vuole rinascere insieme e costruire il futuro a partire non dai nostri interessi ma dagli ultimi.

    D. – Sul futuro dei giovani gravano diverse incertezze. Quali sono oggi le priorità per rispondere alle loro legittime attese?

    R. – Occorre dimostrare in forme efficaci ai giovani che si crede nelle loro capacità e creatività, che il mondo degli adulti ha fiducia in loro non solo a parole ma con mirate scelte politiche, economiche e sociali. Questa è anche l’unica via per richiamarli alle loro responsabilità sul futuro, perché vivano da protagonisti e non assumano il disagio generazionale o la precarietà di vita e occupazionale come alibi al disimpegno. E’ anche importante lavorare a livello formativo per l’orientamento sia dei giovani che delle loro famiglie, sostenere concrete possibilità di avviarsi anche attraverso il credito agevolato sulla via di costruire impresa e non solo a farne parte come dipendente, ridare dignità e valore al lavoro manuale con oculate scelte politiche e culturali che favoriscano ad esempio l’imprenditoria associata dei giovani. Il problema dei giovani, tuttavia, va oltre il “trovare un lavoro”: hanno bisogno di contare su educatori forti nella testimonianza della loro vita coerente con i valori umani, spirituale e morali che dicono di insegnare loro. Occorre riannodare poi il dialogo tra le generazioni a cominciare dalla famiglia con il contributo determinante della scuola e delle comunità parrocchiali, associazioni e oratori. Dobbiamo lasciarci interpellare dalla loro estraneità al nostro mondo culturale, sociale e pastorale. E soprattutto andare a incontrarli nei loro luoghi dove si ritrovano fossero pure i ipermercati o posti di divertimento per proporre loro scelte alternative ricche di umanità e di spiritualità incarnata nel loro vissuto.

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    Italia: 775 mila studenti non sono italiani ma il 44% è nato nella penisola

    ◊   Aumentano di almeno 36 mila unità gli studenti in Italia: nel nuovo anno scolastico, appena iniziato, sono quasi otto milioni. In diverse zone d’Italia, si sono registrati problemi di organizzazione dell’organico o di fondi per la manutenzione delle strutture. Ci sono state manifestazioni di protesta in Sardegna, in Lombardia, nel centro Italia. A Bologna gli studenti sono scesi in strada con lo slogan: “Scuola, siamo alla frutta”. Problemi strutturali a parte, c’è la sfida dell’integrazione nelle nuove società che sono sempre più multietniche. Sono 755 mila gli studenti che hanno cittadinanza non italiana anche se, a ben guardare, oltre il 44% di loro è nato su territorio italiano. Di integrazione, in particolare del dibattito intorno a una ipotetica quota di percentuale di stranieri da fissare per ogni classe. Fausta Speranza ha parlato con il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Giorgio Rembado:

    R. – Se ne è parlato in molte occasioni e talvolta anche in Ministero, col precedente ministro. Debbo dire che io sono sempre stato contrario a definire astrattamente questi criteri: non esiste - a mio avviso - un rapporto ottimale e una soglia invalicabile fra il numero degli studenti stranieri e il numero degli studenti italiani. Però, certamente, se si tratta di integrazione, viene spontaneo pensare che ci vogliono un po’ degli uni e un po’ degli altri.

    D. – Ribadiamo che è sempre una risorsa il diverso e l’altro. La questione, semmai, è solo ed esclusivamente la difficoltà della lingua e quindi la difficoltà d’integrazione dovuta alla lingua…

    R. – I ragazzi stranieri lo sono quando riescono finalmente a comunicare reciprocamente: allora, da quel momento lì in poi lo diventano. C’è bisogno di professionalità matura e di professionalità qualificata. Per dare una risposta sul piano tecnico a questo problema, bisogna valutare le competenze tecnico-professionali che la singola scuola può mettere a disposizione o ha nel proprio - diciamo così - patrimonio istituzionale. Parlo di mediatori culturali, insegnanti di italiano per stranieri, o di tecnologie da mettere a disposizione. Tutto dipende, quindi, dall’organizzazione scolastica: se ci sono competenze adeguate, si può commisurare alle stesse il numero delle persone da inserire. Questo è quello che conta. Ovviamente, se queste competenze professionali ci sono nella scuola, si può fare l’inserimento, altrimenti non si dovrebbe fare.

    D. – Nella sua visione di insieme, come presidente dell’Associazione nazionale presidi, ci sono effettivamente queste risorse nelle scuole o ci sono serie problematiche?

    R. – Non è che si sono nelle scuole a prescindere: in alcune scuole ci sono sicuramente e sono anche adeguate e qualificate, perché spesso sono risorse che le scuole stesse hanno creato al loro interno: dal momento che hanno avuto il problema, lo hanno dovuto affrontare e nel corso degli anni si sono attrezzate per dare una risposta. In altre, invece non c’è per niente. Noi abbiamo una rigidità di organici, nel senso che il corpo docente viene mandato alle scuole anziché essere scelto da parte delle stesse scuole. Dunque, in qualche caso c’è e in qualche altro caso non c’è. E’ una cosa che per certi versi non vorrei dire del tutto casuale, ma insomma non preordinata.

    D. – Questo, però, mostra una scuola a "macchia di leopardo" in Italia, invece che di scuole tutte omogeneamente organizzate…

    R. – Io sono d’accordo con lei, ma bisogna vedere se vogliamo parlare di una scuola che esiste con i suoi problemi, oppure della scuola che vorremmo che ci fosse.

    D. – Nella sua esperienza, è vero che la gente, le classi, le famiglie hanno risposto sostanzialmente bene a questo ingresso sempre più consistente di stranieri, che fa parte di tutta l’evoluzione della società multiculturale, più di quanto forse gli stereotipi dei media raccontino?

    R. - Io credo proprio di sì e la vorrei mettere in questi termini: a una diffidenza aprioristica subentra poi, con il contatto con la realtà, non solo una accettazione ma anche una comprensione del fatto che il problema, se ben gestito - e ribadisco con le competenze professionali adeguate - può essere una modalità di arricchimento per tutti.

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    Il cardinale Sgreccia: aprire un orizzonte di speranza per i malati

    ◊   Il dolore e la sofferenza umana alla luce della ragione e della fede cristiana è il tema dell’incontro promosso dall Fondazione Ut Vitam Habeant, l’ente di diritto canonico che opera nell’ambito della pastorale della vita, svoltosi ieri a Roma. Davide Dionisi ne ha parlato con il Presidente della Fondazione e promotore dell’iniziativa, cardinale Elio Sgreccia:

    D. – Una delle sofferenze più gravi del malato è quella di sentirsi inutile perché i valori che oggi contano sono, purtroppo, quelli della produttività e della gratificazione economica. Per tale motivo viene considerato un peso, un rischio o addirittura un oggetto di paura. In che modo gratificare la figura del malato, considerarla come essere umano, non mortificarla?

    R. – Il malato va compreso come persona, soprattutto nella sua interiorità. Quando si trova in ospedale. Specialmente quando si trova in gravi condizioni e ha più o meno consapevolezza anche del rischio della morte, vicina o lontana che sia, ma comunque il pensiero della morte si affaccia sempre durante la malattia seria, in questo caso dentro è preoccupato e teso: ha bisogno di essere compreso, ha bisogno di dialogo. Questo perché il muro più difficile da abbattere è proprio la paura del dolore e della morte: bisogna dare speranza. Allora, per dare speranza occorrono premesse di ragione ma anche gli orizzonti della fede. Ed è per questo che stiamo svolgendo queste conferenze pubbliche: per dare stimoli al pubblico ed anche elementi fondativi di giudizio. Abbiamo parlato della Creazione, sia sotto l’aspetto scientifico sia sotto l’aspetto di fede; ora parliamo del tema del dolore che è densissimo di problematiche e di drammaticità. Questo, poi, non vale solo per il malato: vale anche per il cittadino che lavora e che si impegna. Se non c’è davanti un orizzonte di fiducia e di speranza, anche qualsiasi peso diventa carico di sfiducia, carico di passività.

    D. – Come rispondere al credente che soffre e che si scoraggia nel momento di dolore?

    R. – Pian piano, nel dialogo – se è possibile, naturalmente, stabilire un dialogo confidenziale – bisogna riuscire a far capire che il dolore è un momento di prova e di difficoltà che stimola qualche volta anche il senso della solitudine, però è un momento prezioso: ha delle ricchezze. Tra queste, c’è solo un esempio da dare: la crescita interiore, la speranza di tornare con un carattere più forte a vincere e a lavorare, ma c’è anche e soprattutto l’apertura che il dolore fa sull’eternità. E’ attraverso il dolore che Cristo ha redento il mondo, e noi continuiamo a collaborare a questa redenzione.

    D. – Davanti a chi soffre, l’atteggiamento più comune è quello del silenzio. Quale invece dovrebbe essere la risposta di un credente?

    R. – Alle volte, il silenzio è necessario quando il soggetto attraversa una fase di riflessione, di capacità di concentrazione e ha bisogno soltanto che gli si stringa la mano, che si crei un varco per la comunicazione. Ma quando, non appena è possibile, con sincerità, anche la semplice espressione “io prego per lei, sono vicino, deve avere coraggio e speranza”, queste parole possono introdurre discorsi sempre più fortificanti.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Ancora uccisioni in Siria. Dato alle fiamme l'arcivescovado siro-cattolico di Homs

    ◊   Non accennano a fermarsi le uccisioni e le violenze in Siria. Anche oggi si contano numerose vittime a seguito dei bombardamenti governativi sulle città di Aleppo e Homs durante i quali, in un primo bilancio ancora provvisorio, avrebbero perso la vita almeno 8 persone. E, sempre ad Aleppo, altre due persone sarebbero rimaste uccise nella notte a seguito di violenti scontri tra l’esercito siriano e i ribelli. Intanto l’inviato speciale dell’Onu e della Lega Araba Lakhdar Brahimi quest’oggi si è recato in visita alcuni dei campi profughi allestiti su territorio turco al confine con la Siria. Campi che, ormai, ospitano oltre 80mila persone. Brahimi avrebbe incontrato anche il governatore dell’Hatay, Mehmet Celalettin, dove sorge un campo profughi che ospita circa 11mila persone. “Abbiamo sentito che i siriani sono trattati bene in Turchia – ha dichiarato Brahimi, che ha poi aggiunto – Speriamo che la pace possa presto tornare nel loro Paese”. Intanto l’arcivescovado siro-cattolico di Homs, nel quartiere al-Hamidiyah, nel centro storico della città, è stato dato alle fiamme. L’arcivescovo siro-cattolico Georges Kassab, i preti e i fedeli della comunità hanno espresso all'agenzia Fides il loro sdegno per “un atto ingiustificato”. Nella notte del 13 settembre, riferiscono fonti di Fides, un gruppo di circa dieci militanti non identificati si è introdotto nella struttura, da mesi chiusa e abbandonata a causa dei combattimenti fra ribelli e forze lealiste. I militanti hanno versato numerose taniche di benzina e poi hanno appiccato il fuoco, che sembra “una rivalsa per motivi ignoti”. (L.P.)

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    Il vescovo di Aleppo: “Dal Libano il conforto del Papa è arrivato fino a noi"

    ◊   La visita del Papa in Libano e il conforto che ne deriva è giunto fino ad Aleppo, la città siriana da mesi al centro degli scontri tra esercito e ribelli. A raccontarlo, come riporta l'agenzia Fides, è mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria che, come gli altri vescovi cattolici siriani, non ha potuto recarsi in Libano e incontrare Benedetto XVI, per restare accanto ai fedeli in questo periodo così difficile. “Abbiamo inviato un messaggio a Sua Santità prima che iniziasse il suo viaggio in Medio Oriente. Ascoltando le sue parole e guardando i suoi gesti, mi è sembrato che Benedetto XVI, abbia letto la nostra lettera – afferma padre Audo - Con le parole e con i gesti, ci ha voluto dire che condividiamo lo stesso suo sguardo sulle sofferenze del nostro popolo”, ha continuato il vescovo, che ha sottolineato poi come il Pontefice abbia parlato con parole che “sgorgavano dal cuore della fede e per questo toccavano il cuore delle cose. Non parla come i media – conclude il vescovo riguardo al riferimento del Papa alla situazione siriana - non si accoda alle frasi fatte che tutti ripetono. Ma dice una parola personale di fede e di libertà”. (L.P.)

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    Iraq: ordigno esplode davanti al portone della cattedrale di Kirkuk

    ◊   Un ordigno è esploso davanti al portone della cattedrale caldea del Sacro Cuore di Kirkuk, diocesi retta da mons. Louis Sako, che proprio domenica scorsa ha ritirato dalle mani di Benedetto XVI l’esortazione apostolica “Ecclesia in Medio Oriente” atto finale del suo viaggio apostolico a Beirut. A darne notizia ieri è il sito Baghdadhope che riprende quanto riportato da Ankawa.com. L’ordigno era nascosto in una busta di plastica scura ed è esploso alle nove meno un quarto di domenica sera causando ingenti danni materiali ma nessun ferito. Secondo fonti della polizia assegnate alla protezione della cattedrale - riporta l'agenzia Sir - tre persone armate di armi con silenziatore hanno lasciato la busta davanti alla porta della cattedrale e sono poi sfuggite alla reazione armata delle forze di sicurezza. Non un errore quindi, ma un deliberato atto di violenza che giunge nel momento in cui lo stesso mons. Sako, commentando la visita del Papa in Libano, aveva affermato che: “Cristiani e musulmani devono lavorare insieme. Abbiamo lo stesso avvenire, lo stesso futuro. Loro sono il 95% e noi il 5%. Che cosa possiamo fare? Promuovere la cultura del dialogo, della pace: questa è la nostra missione come cristiani. Forse questo potrà aiutare a cambiare anche la loro mentalità, il loro modo di reagire con violenza”. (R.P.)

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    Pakistan: la Chiesa di Hyderabad è preoccupata a causa delle proteste

    ◊   “La situazione è tesa, e fra i cristiani vi è forte preoccupazione e paura”. Lo riferisce all’agenzia Fides padre Samson Shukardin, vicario generale della diocesi di Hyderabad, sud del Pakistan, dove da tre giorni sono in corso cortei di protesta contro edifici e istituzioni cristiani per la diffusione del film “L’innocenza dei musulmani”. “Oggi si prevede un altro corteo - annuncia padre Shukardin -. I radicali dicono che non si fermeranno finché il film non sarà bandito dal web e gli autori puniti”. Secondo quanto riportato dall’agenzia Fides, domenica scorsa oltre 8.000 musulmani radicali sono scesi in piazza con slogan anticristiani. Nel corso degli scontri una suora e un laico sono stati aggrediti, e una persona è rimasta ferita. “Eppure - spiega a Fides padre Shukardin - tutti i leader e fedeli delle minoranze religiose, incluso il vescovo di Hyderabad, mons. Max John Rodrigues, hanno partecipato a una manifestazione di solidarietà verso i musulmani, nel centro città, per condannare il film blasfemo”. Nella giornata di ieri, un corteo è avanzato verso l’ospedale cattolico Sant’Elisabetta, “ma un nutrito gruppo di giovani, cristiani e musulmani, ha impedito che questo avvenisse, difendendo l’ospedale”, riferisce James Francis, amministratore della struttura. “La situazione - aggiunge - è ora sotto controllo grazie alla responsabilità della polizia e delle istituzioni”. (R.P.)

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    India. Il cardinale Gracias: ingiustificabile il film anti-Maometto, ma no alla violenza

    ◊   Un atto "ingiustificabile" la diffusione del film blasfemo su Maometto, che però "non va combattuto con la violenza", ma "con il dialogo e la pace". Così il cardinale Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana (Cbci), commenta all'agenzia AsiaNews l'allargarsi della protesta in diversi Paesi islamici, in alcuni casi culminata anche con la morte e il ferimento di civili innocenti. Pochi giorni fa, anche l'India è stata teatro di manifestazioni da parte della comunità musulmana, che tuttavia sono rimaste pacifiche, anche grazie all'invito alla calma degli imam locali. L'ondata di violenze è iniziata dopo l'attentato dell'11 settembre scorso al consolato Usa di Bengasi (Libia). Parlando del film, il cardinale Gracias sottolinea: "I media sono liberi di agire, e noi dobbiamo rispettare questa libertà d'espressione. Ma ogni libertà deve essere usata con responsabilità. È sbagliato sfruttare un mezzo di comunicazione per prendere in giro o offendere qualcosa che per un altro è sacra. È imperativo esercitare sensibilità, attenzione e rispetto verso il prossimo, soprattutto quando si tratta del suo credo religioso. Ci sono dei limiti che non possono mai essere oltrepassati". Allo stesso tempo, aggiunge il porporato, "dobbiamo condannare ogni forma di fondamentalismo", perché "in passato abbiamo già sperimentato la devastazione che produce. La violenza in ogni sua forma è contro la società, è dolorosa e distruttiva". In questo contesto, spiega, "è urgente che tutti i leader spirituali richiamino alla pace, alla comprensione e alla calma". Il presidente della Cbci ricorda poi "l'impegno della Chiesa cattolica al dialogo interreligioso; al rispetto reciproco; allo sviluppo integrale dell'essere umano; alla ricerca di rapporti cordiali con le guide spirituali di altre fedi". Perché, sottolinea, "la mia speranza è che dialogo, armonia, tolleranza e rispetto reciproco diventino la norma per cristiani, musulmani, indù. Tutti noi vogliamo una società migliore; compiere il volere di Dio; servire il prossimo, la società e il Paese". (R.P.)

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    Un altro attentato in Afghanistan: 12 morti e numerosi feriti

    ◊   Un nuovo attentato kamikaze in Afghanistan, a Kabul. L’attentatore, una donna di 22 anni, si è fatta esplodere nei pressi dell’aeroporto uccidendo 12 persone, di cui 8 sudafricani e altri russi. Altre 11 persone sarebbero rimaste ferite. L’attentato, subito rivendicato dal gruppo di ribelli Hezb-e-Islami, si inserisce nel contesto delle tensioni nel mondo islamico causate dal film ritenuto blasfemo, come riporta il portavoce del gruppo stesso, Zubair Sedigg, che dichiara: “L’attentato è stato compiuto da Fatima, ragazza ventenne, per rappresaglia al film anti-islam”. (L.P.)

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    Sud Sudan: a Rumbek aggredito il direttore dell'emittente cattolica "Radio Good News"

    ◊   È stato aggredito e picchiato da un gruppo di giovani che gli hanno rubato la macchina dileguandosi, padre Don Bosco Ochieng, direttore di Radio Good News, emittente cattolica di Rumbek. Lo confermano all'agenzia Misna fonti missionarie locali secondo cui l’attacco è avvenuto nei giorni scorsi, di sera, al mercato della città, dove il religioso si era recato per comprare delle schede telefoniche. La polizia ha avviato un’indagine e assicurato che intende consegnare i responsabili alla giustizia. Ochieng, a cui i medici hanno raccomandato alcuni giorni di ricovero, ha raccontato di essere stato aggredito mentre riportava a casa dalla redazione alcuni collaboratori, aggiungendo di non riuscire a capire se “gli assalitori agivano di loro iniziativa o su indicazione di qualcuno”. Membro del clero della diocesi di Rumbek, Ochieng è di origine kenyana e ricopre, oltre a quello di direttore di Radio Good News anche il ruolo di parroco della chiesa del Sacro Cuore di Malual-bab, nella zona in cui si trovano gli uffici della radio. I governi dei Paesi limitrofi – riferiscono le fonti della Misna – soprattutto di Uganda e Kenya, stanno facendo pressione sul governo di Juba perché assicuri la sicurezza dei loro cittadini residenti nel Paese. A generare timori sarebbe soprattutto un crescente risentimento nei confronti degli stranieri provenienti dai Paesi vicini e da cui i giovani sud sudanesi si sentirebbero in vario modo discriminati. (R.P.)

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    Congo: delegazione di vescovi in visita nel Nord Kivu

    ◊   Manifestare la solidarietà della Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo (Cenco) ai fedeli del nord Kivu, vittime dei violenti scontri portati avanti dai ribelli del “Movimento del 23 marzo”: con questo obiettivo, sei vescovi della Cenco hanno iniziato, venerdì scorso, una visita pastorale del sud e nel nord del Kivu. L’iniziativa, che si concluderà il 21 settembre, è guidata da mons. Dominque Bulamatari, vescovo di Molegbe. Tra gli eventi svoltisi sino ad ora, c’è stato il pellegrinaggio mariano al Santuario di Lukananda, a 30 km da Bukavu. Oltre 20mila fedeli hanno preso parte all’incontro, il cui culmine è stata la celebrazione della Messa, presieduta da mons. François Xavier Maroy, arcivescovo di Bukavu: nella sua omelia, il presule ha invitato i fedeli a “proteggere il Paese contro ogni tentativo di balcanizzazione”. Dal suo canto, mons. Bulamatari ha riaffermato l’unità e l’indivisibilità della Repubblica Democratica del Congo, ribadendo: “Deve essere chiaro che l’integrità nazionale non è negoziabile”. Forte, inoltre, l’appello affinché le risorse naturali del Paese “appartengano al popolo congolese e siano innanzitutto al servizio del suo sviluppo e del suo benessere”. Numerosi anche gli incontri con le autorità civili e politiche che hanno ringraziato i vescovi per il loro impegno in favore della pace. La visita della delegazione della Cenco nel nord Kivu fa seguito ad altre iniziative della Chiesa locale per promuovere l’unità nazionale: basti ricordare la “Marcia della speranza” svoltasi il 1° agosto e la petizione, presentata all’Onu insieme alle altre confessioni religiose, per chiedere la repressione dei crimini commessi dal Rwanda nella nazione. (A cura di Isabella Piro)

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    Kenya: appello di pace della Chiesa per le violenze tra agricoltori e allevatori

    ◊   Sembra peggiorare sempre di più la tensione in Kenya dovuta allo scontro tra la popolazione Pokomo, agricoltori, e Orma, allevatori. Lungo le rive del fiume Tana è stata ritrovata una fossa comune che alimenta il timore che le vittime degli scontri, iniziati per il controllo dell’acqua e dei pascoli, siano ormai più di cento. Il ritrovamento di questa fossa comune significa di fatto che la situazione è peggiorata enormemente nell’ultimo periodo e rischia di sfuggire di mano alle istituzioni, nonostante il governo abbia inviato nella zona ingenti forze di polizia e costituito una commissione di inchiesta giudiziaria. Riguardo la difficile situazione e i continui episodi di violenza, sottolinea l’agenzia Fides, si è espressa anche la Conferenza episcopale del Kenya attraverso la pubblicazione di un documento intitolato “Un appello per la pace e l’armonia: non uccidere”. Nella condanna dei vescovi, firmata dall’arcivescovo di Nairobi, il cardinale John Njue, si invita “le comunità che vivono nella regione e in tutto il Paese a scegliere la pace e a vivere in armonia. Come keniani, ognuno deve astenersi da qualsiasi atto di violenza contro i propri fratelli e sorelle”. Il cardinale ha, inoltre, rimproverato la classe dirigente di alimentare le tensioni, invitandola a smettere di rilasciare dichiarazioni incendiarie che potrebbero ulteriormente aumentare la drammaticità della situazione. (L.P.)

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    Sudafrica: passo in avanti nella trattativa con i minatori di Marikana

    ◊   Sembra essere arrivato il momento della svolta nella difficile trattativa che coinvolge i lavoratori della miniera di Marikana, in Sud Africa, e la multinazionale Lonmin. Il braccio di ferro dovuto a questioni salariali è iniziato ormai da molte settimane e ha conosciuto momenti di grande tragicità, con l’uccisione di decine di persone tra gli scioperanti negli scontri con le Forze dell’ordine. Entrambe le parti, come riporta l’agenzia Fides, sembra abbiano compiuto un passo indietro, vedendo così avvicinarsi le richieste dei lavoratori, che non chiedono più 12500 rand mensile ma 11mila, con l’offerta della società concessionaria dei diritti di sfruttamento della miniera, arrivata ad offrire un’indennità una tantum di 1500 rand (140 euro) per chi accettasse l’offerta presentata negli ultimi incontri. Anche il governo sudafricano si è mobilitato di fronte al possibile sciopero generale dei minatori, sollecitando con insistenza le parti a trovare un accordo, sottolineando anche l’enorme danno economico che questa situazione sta provocando al Paese. Le miniere sono, infatti, vitali per l’economia nazionale: il Sud Africa è il principale produttore mondiale d’oro e detiene l’80% circa delle riserve planetarie di platino. (L.P.)

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    Bolivia: i vescovi chiedono il rispetto dei diritti umani, libertà e giustizia

    ◊   La Conferenza episcopale boliviana ha pubblicato la dichiarazione “Caridad y Veridad”, firmata da mons. Oscar Aparicio, Segretario generale della Conferenza episcopale, al termine della riunione del Consiglio episcopale permanente. Nella dichiarazione affrontano tre questioni molto importanti per la società boliviana: il censimento 2012, i diritti umani e la giustizia. Riguardo il primo tema, il censimento 2012, i vescovi hanno espresso molta preoccupazione. L’invito alla popolazione è di partecipare in modo corretto, per far si che il censimento rifletta in modo veritiero la realtà della società. Questo, dopo che si è diffusa la voce che molte persone avrebbero ricevuto regali per rispondere ai questionari in modo positivo. Il censimento “deve essere uno strumento che prenda in considerazione tutti gli aspetti della vita delle persone e della società, compresa l’identità religiosa e socioculturale – si legge nel documento - Quindi la dimensione spirituale e religiosa, parte fondamentale della realtà boliviana, non può essere trascurata”. Poi i vescovi, come evidenzia l’agenzia Fides, hanno denunciato la complessa situazione dei diritti umani, sottolineando come molti nel Paese stiano perdendo la libertà, in riferimento alla querela del governo fatta a tre mezzi di comunicazione. Anche la questione giustizia desta preoccupazione. “Molte persone imprigionate, esiliate, rifugiati politici, soffrono perché non vi è alcuna garanzia di un processo equo e per il ritardo della giustizia. È urgente – conclude il documento – che l’esercizio della giustizia sia libero da vincoli di natura economica, sociale e politica, per garantire processi equi e stabilire la verità dei fatti”. (L.P.)

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    Il dramma di migliaia di minori honduregni non accompagnati che tentano di arrivare negli Usa

    ◊   E' una scena che si ripete ogni giorno: una quantità indefinita di bambini honduregni non accompagnati, maschi e femmine, tenta di emigrare verso gli Stati Uniti, attraversando Guatemala e Messico. “E' una situazione che non è stata valutata nella giusta prospettiva, e nel frattempo in Honduras, al confine con il Guatemala, in particolare nella località di El Corinto, le scene sono struggenti” riporta il settimanale cattolico Fides dell’Honduras in un suo servizio su questo tema, inviato all’agenzia Fides. “Le cifre dell'Istituto Emigrazione del Messico, indicano che da gennaio ad agosto 2012 sono stati 2.424 i minori non accompagnati arrivati in questo Paese, che sono stati restituiti alle loro nazioni di origine, con un aumento del 51% rispetto allo stesso periodo del 2011. Dei bambini rimpatriati quest’anno, 1.012 provenivano dal Guatemala, 875 dall’Honduras e 496 da El Salvador". I minori arrivati in Messico con la speranza di raggiungere gli Stati Uniti per sfuggire alle bande o alla violenza nel loro Paese d'origine, provengono per la maggior parte da Guatemala, Honduras ed El Salvador, che fino ad ora sono le nazioni con il maggior numero di bambini “emigrati” nel 2012. Il settimanale Fides ha approfondito questa drammatica situazione, pubblicando testimonianze di genitori che vanno verso la frontiera per riprendersi il figlio che torna, di operatori pastorali che descrivono situazioni inimmaginabili, di volontari dell'Istituto Honduregno per l'Infanzia e la Famiglia che lavorano insieme alla Pastorale della Mobilità Umana della Chiesa cattolica dell’Honduras in questo ambito. Il direttore della Casa Alianza, Manuel Capellín, ha detto che almeno il 10% degli emigranti che cercano di raggiungere l'ambito "sogno americano" è costituito da bambini honduregni, ma quattro su dieci di loro vengono rimpatriati tutti i giorni dal Messico. "Questi bambini sono vittime potenziali di tutto ciò che ha a che fare con il traffico di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale e di adozioni senza controlli, senza contare gli altri crimini" ha sottolineato Capellín. (R.P.)

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    Colombia: per sopravvivere ad abusi e violenze molti bambini entrano in gruppi criminali

    ◊   Essere bambino in Colombia è una dura realtà. Nei primi 4 mesi del 2012 ne sono morti 342 per cause violente, il 60% dei quali nelle principali città del Paese, prima di tutte la città di Cali. Ogni giorno ne vengono uccisi 3, oltre un milione sono quelli che lavorano, altrettanto allarmante è il numero di quelli reclutati dai gruppi armati e di quelli che subiscono violenze e maltrattamenti in famiglia, come pure i minori che diventano delinquenti e autori di omicidi. Secondo un rapporto dell’Agencia de Periodismo Aliado de la Niñez, el Desarrollo Social y la Investigación (Pandi), ripreso dall'agenzia Fides, lo scorso anno sono stati assassinati 1.177 bambini, bambine e adolescenti. Per molti di loro e per i 19.617 che nel 2011 hanno subito maltrattamenti e aggressioni fisiche, i carnefici sono stati genitori e parenti più vicini. Le bambine tra i 10 e i 14 anni sono le principali vittime, circa 7.300. La stragrande maggioranza dei casi di violenze di questo tipo si registrano nelle città, perché nelle campagne, nonostante la violenze sui minori siano una costante, a causa delle difficoltà che le autorità incontrano per accedervi e per la paura, le denunce sono poche. Altra grave piaga che riguarda i piccoli è il reclutamento ad opera di gruppi criminali e bande armate. In uno studio realizzato dall’Icbf (Instituto Colombiano de Bienestar Familiar) nel corso di 4 anni, emerge che circa 18 mila piccoli con un’età media di 12 anni siano arruolati in guerriglie e bande criminali mafiose. Il 57% sono maschi, il 98% ha dichiarato di aver subito torture e di essere stato costretto ad assistere e a commettere atrocità. La miseria nelle aree rurali costringe inoltre molti piccoli a lavorare per aiutare le famiglie. Nonostante le campagne governative per limitare il fenomeno, lo scorso anno c’è stato un aumento del 39,5%, 1.466.000 minori lavoratori. Del totale segnalato, il 23% dei bambini tra 5 e 17 anni non frequenta la scuola perché lavora e oltre la metà del totale, il 57%, non riceve alcun compenso. In un quadro così desolante non risulta strano l’aumento del numero di piccoli delinquenti. (R.P.)

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    Ecuador: continua la Campagna contro il lavoro minorile a rischio

    ◊   Al ritmo della danza mapalé, del marimba (strumento musicale a percussione), dei canti amorfini e del folclore, è stato rilanciato il programma di eradicazione del lavoro minorile nei mercati della provincia del Guayas. Accompagnati da madri di famiglia e personale del Ministero per l’Inclusione Economica e Sociale (Mies), 250 studenti, molti dei quali riscattati dal lavoro minorile, stanno lanciando la campagna “No al lavoro minorile a rischio” percorrendo le strade della città di Guayaquil, reclamando i loro diritti e mostrando cartelli con su scritto “Un bambino che lavora è un bambino senza diritti, il mio compito è quello di imparare non quello di lavorare, ho diritto a studiare”. Tra musica, balli e giochi tradizionali, la direttrice provinciale del Mies-Infa, ha informato dell’esistenza di 5 organizzazioni di sostegno, 78 tecnici presenti su tutto il territorio provinciale, e 948 promotori per la tutela dei diritti dei minori. Dal 2007 l’organismo aveva iniziato a lavorare su una base del 17% di bambini, bambine e adolescenti lavoratori. Oggi nella provincia del Guayas sono riusciti a riscattare dalle strade e dalle discariche 647 minori, che sono stati inseriti nel sistema educativo, mentre le rispettive famiglie sono state integrate all’interno dell’economia popolare e solidale. Obiettivo del Governo Nazionale è sradicare il lavoro minorile nel paese entro il 2015. (R.P.)

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    Cina: distrutta una parrocchia nell'Hu Bei nella totale indifferenza delle autorità

    ◊   Gli oltre 800 fedeli della parrocchia di Cai Bang della città di Xian Tao, nella provincia di Hu Bei, hanno scoperto con grande dolore che la loro chiesa era stata distrutta, nel pomeriggio del 14 settembre. Non potevano credere ai loro occhi: la struttura principale della chiesa era stata incendiata, i resti dei due portoni, gravemente danneggiati, erano ammucchiati davanti alle macerie della chiesa, l’interno era devastato. I fedeli hanno subito presentato una denuncia alla polizia e all’autorità locale. Secondo quanto il parroco, don Zhang Wei, ha riferito a Faith dell’He Bei, “da loro abbiamo avuto una totale indifferenza”. Il parroco racconta: “Noi cattolici del villaggio di Cai Bang abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto con tutti, siamo cittadini onesti, osserviamo le leggi dello Stato, appoggiamo pienamente il progetto di sviluppo di ogni livello di governo. Ci sentiamo fratelli e sorelle di tutti, non abbiamo mai avuto problemi con nessuno. Più di un anno fa questa zona ha cominciato ad essere trasformata in zona industriale e ai contadini sono state assegnate nuove destinazioni da parte delle autorità. Noi abbiamo sempre offerto la massima collaborazione e disponibilità, essendo anche disposti a trasferire la chiesa altrove per venire incontro alla realizzazione della zona industriale. Purtroppo non c’è stato nessun progetto concreto per la nuova ubicazione della chiesa, perché alcuni funzionari locali e dipendenti dell’Ufficio della demolizione, per ottenere maggiori interessi economici personali, hanno continuato a modificare l’accordo per la chiesa. Oggi i contadini si sono già tutti trasferiti nelle nuove locazioni, è rimasta solo la chiesa, in mezzo al cantiere. Dopo Pasqua hanno cominciato a togliere la corrente elettrica e l’acqua”. Dopo la distruzione della chiesa, seguendo il racconto di don Zhang a Faith, “insieme ai fedeli cattolici, ho presentato le seguenti richieste all’Ufficio degli Affari Religiosi della città di Xian Tao, all’Ufficio di pubblica sicurezza di Xian Tao ed alle altre autorità locali interessate: 1. Le autorità interessate indaghino sui responsabili del rogo e restituiscano la dignità sacrale alla nostra chiesa; 2. Siamo indignati per l’indiferenza delle autorità locali, che ha ferito la dignità di noi cattolici, sacerdoti e fedeli, ignorando la nostra sofferenza; 3. Dopo aver risolto la vicenda, ci deve essere restituita la nostra chiesa, secondo la legge e osservando scrupolosamente il regolamento della politica religiosa e i documenti della Segreteria di Stato, perché oltre 800 fedeli del villaggio di Cai Bang possano avere una casa!”. La chiesa di Cai Bang occupa circa 333 mq ed è stata costruita nel maggio 1993 sulla macerie di una chiesa secolare, che fu distrutta nel 1954. E’ l’unico punto di incontro per circa 800 fedeli. (R.P.)

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    Terra Santa: auguri di pace degli Ordinari cattolici per il capodanno ebraico

    ◊   “Lavorare ogni giorno con più coraggio e tenacia per la giustizia e la pace, per il perdono e la riconciliazione”. È l’invito che gli Ordinari cattolici di Terra Santa hanno espresso nel messaggio di auguri in occasione del Capodanno ebraico che quest’anno ricorreva la notte tra il 16 e il 17 settembre. “A tutti i nostri fratelli e sorelle ebrei” auguriamo che “l’anno ebraico 5573 sia un nuovo anno benedetto” si legge nell’invito per questa ricorrenza che, come ogni anno, introduce dieci giorni penitenziali durante i quali si prende coscienza delle azioni compite durante l’anno per chiedere perdono al Signore e al termine dei quali si celebra poi lo Yom Kippur, la ricorrenza che rappresenta l’espiazione dei peccati. Gli Ordinari di erano riuniti in Assemblea plenaria, che tradizionalmente ha cadenza semestrale, presso la sede dei Padri di Betharram, a Betlemme. I capi delle Chiese di Terra Santa, come riporta l'Osservatore Romano, si erano riuniti a discutere di una serie di questioni, tra cui vari incontri internazionali che hanno visto la partecipazione degli ordinari cattolici di Terra Santa. Tra questi, in particolare, il Congresso mondiale della pastorale del turismo, l’Incontro mondiale delle famiglie a Milano e il Congresso eucaristico internazionale a Dublino. Di seguito, ci si è soffermati sul’Anno della Fede, il cui inizio è previsto all’11 ottobre. All’apertura dell’Assemblea, gli Ordinari cattolici avevano espresso le loro felicitazioni, attraverso un comunicato ufficiale, per la nomina a nunzio apostolico in Cipro e in Israele, e a delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina, dell’arcivescovo Giuseppe Lazzarotto, augurandosi “che il suo servizio sia benedizione per la nostra Chiesa”. (L.P.)

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    Regno Unito: “Settimana della piccola via” sulle orme di Santa Teresa di Lisieux

    ◊   “Per camminare, occorre essere umili, poveri di spirito e semplici”: è questa la “piccola via” di Santa Teresa di Lisieux, ovvero il modo per mettere in pratica il Vangelo nella vita di tutti i giorni. Questo insegnamento sarà al centro di una speciale Settimana di preghiera promossa dalla Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles e dedicata ai giovani delle scuole primarie e secondarie. L’iniziativa, che si svolgerà dal 6 al 12 ottobre, verrà coordinata dalla Commissione episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi, anche in vista dell’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI per commemorare il 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II e che avrà inizio l’11 ottobre. “Santa Teresa di Lisieux – spiega una nota – insegna che un buon metodo per crescere nella santità e per testimoniare l’amore di Dio è fare ogni giorno dei piccoli gesti per Lui e per gli altri”. Intensificando i legami tra le famiglie, le scuole e le parrocchie, la “Settimana della piccola via” vuole “incoraggiare ed invitare ciascuno ad avvicinarsi agli altri con l’amore di Gesù e attraverso la preghiera”. In particolare, gli studenti verranno invitati a riflettere sul significato delle virtù e su come praticarle nella vita quotidiana. (I.P.)

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    Sarà lanciata in Italia la “Giornata della trasparenza” nelle pubbliche amministrazioni

    ◊   Una “Giornata della trasparenza” per rilanciare in Italia un movimento su vasta scala per la libera informazione di ogni atto delle pubbliche amministrazioni. L’iniziativa sarà lanciata domani a Roma nell’ambito di un Convegno ospitato dalla Federazione nazionale della stampa (Fnsi) - in Corso Vittorio Emanuele II, 349 - per chiedere al Parlamento e al Governo di varare al più presto “leggi che – sottolineano i promotori - tutti i Paesi democratici già hanno: non costano nulla e sono la premessa per un concreto salto in avanti”. Sul modello del Freedom of Infomation Act,(Foia) – si legge nella nota di presentazione della Giornata - ogni atto delle pubbliche amministrazioni, dal governo, ai comuni, alle istituzioni tutte, deve essere conosciuto dalla comunità, perché appartiene alla comunità. “In questi giorni Obama, proprio in nome del Foia, - si legge ancora nella nota - ha dovuto perfino rendere nota la formula precisa della birra prodotta dalla Casa Bianca, che era un piccolo segreto”. A presiedere il Convegno, articolato in due sessioni, mattina e pomeriggio, saranno Giulio Anselmi presidente della Federazione italiana editori giornali (Fieg) e Fanco Siddi, segretario generale della Fnsi, mentre Roberto Natale presidente Fnsi presenterà i lavori, coordinati da Raffaele Fiengo dell’Università di Padova, arricchiti da un’ampia rosa di interventi di storici, giuristi, giornalisti, esperti di comunicazione, esponenti della pubblica amministrazione, con un sguardo d’insieme che travalicherà i confini italiani. Per aderire al movimento è possibile rivolgersi al sito internet . Gli interventi e le risultati della “Giornata della trasparenza” saranno pubblicati in un e-book a cura di Lsdi (Libertà di stampa diritto all’informazione), centro di documentazione e analisi dei problemi del giornalismo promosso nell’anbito della Fnsi. (A cura di Roberta Gisotti)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 262


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