![]() | ![]() |

Sommario del 17/09/2012
Il Papa saluta il Libano: resista con coraggio a ciò che può distruggere la sua pace
◊ Benedetto XVI ha concluso ieri sera a Beirut il suo viaggio apostolico in Libano. Nella cerimonia di congedo, all’aeroporto internazionale “Rafiq Hariri”, ha ringraziato tutto il popolo libanese, cristiani e musulmani, che lo hanno accolto con entusiasmo e affetto in questa visita indimenticabile. Quindi, ha incoraggiato il Libano a continuare ad essere uno spazio di pace per tutto il Medio Oriente. L’indirizzo di saluto al Papa è stato rivolto dal presidente libanese Michel Suleiman. Da Beirut, il servizio del nostro inviato, Alessandro Gisotti:
“Possa il Libano continuare ad essere uno spazio in cui gli uomini e le donne vivano in armonia e in pace gli uni con gli altri”: con queste parole, il Papa si è congedato dal Libano al termine di un viaggio memorabile all’insegna della testimonianza, della comunione e della pace.
Una cerimonia, all’aeroporto “Rafiq Hariri” di Beirut, nella quale Benedetto XVI ha ricevuto un ultimo caloroso saluto da parte dei libanesi, significativamente anche di alcuni capi religiosi musulmani. La cerimonia ha offerto l’occasione al Papa di riproporre il motto del suo viaggio, Salami O-tikum, “La pace sia con voi”:
“Je prie Dieu pour le Liban, afin qu’il vive…”
“Prego Dio per il Libano – ha detto – affinché viva in pace e resista con coraggio a tutto ciò che potrebbe distruggerla o minacciarla”. Auguro al Libano, ha aggiunto, “di continuare a permettere la pluralità delle tradizioni religiose e a non ascoltare la voce di coloro che vogliono impedirla”. Quindi, ha augurato al Libano di “rafforzare la comunione tra tutti i suoi abitanti, qualunque sia la loro comunità e la loro religione, rifiutando in modo risoluto tutto ciò che potrebbe condurre alla disunione, e scegliendo con determinazione la fraternità”. Quindi si è soffermato sul valore straordinario della visita in Libano:
“Le monde arabe et le monde entier…”
“Il mondo arabo e il mondo intero – ha affermato – avranno visto in questi tempi agitati, dei cristiani e dei musulmani riuniti per celebrare la pace”. Il Papa ha ringraziato tutti coloro che si sono impegnati per la riuscita del viaggio e in particolare le “comunità musulmane”. Un’accoglienza, ha detto, che mi ha “dato il desiderio di ritornare”. Il Papa ha voluto ringraziare tutto il popolo libanese, che – ha affermato – “forma un ricco e bel mosaico e che ha saputo manifestare al Successore di Pietro il proprio entusiasmo, con l’apporto multiforme e specifico di ogni comunità”. Ed ha ricordato i tanti momenti indimenticabili di questa visita, ufficiali e privati. Un soggiorno, ha confidato, “troppo breve”:
“Je rends grâce à Dieu pour ces occasions…”
“Rendo grazie a Dio –ha detto – per queste occasioni che ha permesso”, per gli incontri e “per la preghiera fatta da tutti e per tutti in Libano e in Medio Oriente, qualunque sia l’origine o la confessione religiosa di partenza”. Il Papa ha affidato le speranze di tutti i libanesi alla Vergine Maria, “venerata con devozione e tenerezza”, “modello sicuro per proseguire sulla via di una fraternità vissuta ed autentica”. Quindi, si è congedato con una benedizione colma di affetto e gratitudine:
“Que Dieu bénisse le Liban et tous les Libanais…”
“Dio benedica il Libano e tutti i libanesi”, ha detto”: “Non cessi di attirarli a sé per donare loro la vita eterna! Li colmi ella sua gioia, della sua pace e della sua luce! Dio benedica tutto il Medio Oriente”.
Benedetto XVI ai cristiani del Medio Oriente: uniti per portare la pace
◊ Prima di lasciare l’amato Paese dei Cedri, Benedetto XVI ha invocato l’unità per tutti i cristiani, perché il mondo creda nel messaggio di pace loro affidato. L’appello è risuonato tra le mura del monastero di Notre Dame de la Délivrance di Charfet, durante l’incontro ecumenico ospitato dal Patriarcato siro-cattolico, a Beirut. Il servizio di Roberta Gisotti.
“Con gioia” il Papa, in questo “luogo significativo”, si è intrattenuto con i patriarchi delle Chiese siro-cattolica, greco ortodossa e siro ortodossa di Antiochia insieme ai vescovi cattolici e ai rappresentanti delle Chiese e comunità protestanti, con il pensiero rivolto anche alle Chiese copta ortodossa d’Egitto e etiopica ortodossa, che hanno perso i loro patriarchi. Ciascuno di voi – ha detto - rappresenta “la varietà della Chiesa in Oriente”. Un indirizzo particolare ha rivolto alla Chiesa siriaca di Antiochia, che nella sua “gloriosa storia” ha scritto “fino ai giorni nostri, pagine eroiche per rimanere fedele alla sua fede fino al martirio”:
“Je l’encourage à être pou les peuples de la région, un signe…”
“Vi incoraggio ad essere per i popoli della regione segno della pace che viene da Dio e luce che fa vivere la loro speranza”. Un incoraggiamento esteso da Benedetto XVI “ a tutte le Chiese e comunità ecclesiali nella regione mediorientale, per rispondere all’appello del Signore ‘Perché tutti siano una cosa sola’.
“Dans ces temps instables et inclines à la violence que connaît votre…”
“In questi tempi instabili ed inclini alla violenza, che conosce la vostra regione, - ha aggiunto il Papa - è sempre più urgente che i discepoli di Cristo diano una testimonianza autentica della loro unità, affinché il mondo creda nel suo messaggio d’amore, di pace e di riconciliazione”.
Un messaggio “che acquista un valore inestimabile nell’attuale contesto del Medio Oriente”, ha osservato ancora il Santo Padre:
“Travaillons sans relâche pour que notre amour pour le Christ…”
“Lavoriamo senza sosta affinché il nostro amore per Cristo ci conduca poco a poco verso la piena comunione tra di noi”.
Poi l’affidamento a Maria:
“….afin que nous soyons délivrés…"
“….affinché siamo liberati da ogni male e da ogni violenza”, e perché la “regione del Medio Oriente conosca infine il tempo della riconciliazione e della pace”.
Quindi l’auspicio finale:
“Que la Parole de Jésus que j’ai souvent citée au cour de ce voyage...”
Che la Parola di Gesù: ‘Vi do la mia pace’, sovente citata in questo viaggio sia “il segno comune” da dare “ai popoli di questa amata regione che aspira con impazienza alla realizzazione di questo annuncio”.
La sosta del Papa presso il Monastero delle Carmelitane di Theotókos per l’Unità
◊ Benedetto XVI, lungo il tragitto dal Patriarcato siro-cattolico all’aeroporto, si è fermato per una breve visita al Monastero delle monache carmelitane di Theotókos per l’Unità. Il Papa è stato accolto dalla superiora, madre Teresa de Jesus, spagnola, ultranovantenne, una delle tre fondatrici del convento fondato 50 anni fa. Quindi ha sostato in preghiera nella cappella e ha ascoltato un breve canto delle religiose. Ha poi impartito la propria benedizione e ha donato un mosaico raffigurante una Madonna con Bambino. Infine, ha benedetto la prima pietra per il nuovo convento che sarà fondata a Cana in Libano.
Il Papa nei messaggi per i Paesi sorvolati: necessario dialogo costruttivo in Medio Oriente
◊ Nel suo viaggio di ritorno il Papa ha inviato dei messaggi augurali ai presidenti dei Paesi sorvolati, Libano, Cipro, Grecia e Italia, invocando le benedizioni di Dio su questi popoli. “Ho avuto la gioia – scrive Benedetto XVI - di incontrare i cattolici libanesi e del Medio Oriente, gli altri cristiani, i rappresentanti delle diverse comunità religiose, gli esponenti della società civile e istituzionale, esortando tutti alla riconciliazione e al dialogo costruttivo”. In un messaggio di risposta, il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano ha sottolineato che il viaggio del Papa in Libano "ha rappresentato un alto incoraggiamento per le popolazioni incontrate e per l'intera regione, dalla storia così travagliata, ispirando un rinnovato anelito al dialogo tra cristiani e musulmani e alla tutela della libertà religiosa in tutto il Medio Oriente”.
Il patriarca maronita Raï: il viaggio del Papa in Libano, evento storico e provvidenziale
◊ Commenti positivi in tutto il Medio Oriente a conclusione del viaggio del Papa in Libano. Il presidente libanese Michel Suleiman ha parlato di "visita storica" che ha portato "un messaggio di speranza a tutto il Medio Oriente". Ascoltiamo in proposito il patriarca maronita Béchara Boutros Raï:
R. - Io personalmente, insieme a tutti i libanesi, ringrazio il Signore per questo evento storico, ma anche provvidenziale. I libanesi, così come i cristiani del Medio Oriente, si sentivano come sull’orlo di un precipizio: cominciavano a perdere la loro speranza e cominciavano a dimenticare che hanno un ruolo da giocare. La visita del Papa, le parole che ha detto, l’Esortazione Apostolica, le celebrazioni, hanno fatto rinascere nei libanesi, musulmani e cristiani, il valore di questo Paese, quello della convivialità che è il messaggio che ci si aspetta dal Libano e la sua missione nel Medio Oriente, perché il Libano si distingue da tutti gli altri Paesi. Hanno capito questo suo valore. Tutti noi cristiani del Medio Oriente abbiamo sentito molti commenti su questo viaggio e ci siamo sentiti incoraggiati: hanno capito che i cristiani non sono una minoranza, ma sono la presenza della Chiesa, della Chiesa universale. Vogliamo quindi ringraziare il Signore, perché ci ha mandato questo evento storico e divino attraverso la persona del Papa, attraverso quanto ha fatto e detto. Tutte le cerimonie, tutti gli incontri sono stati fatti in favore di tutto il Libano, dei cristiani e dei musulmani. La cosa migliore che possiamo ricordare è quello che ha detto il Papa, congedandosi dai libanesi all’aeroporto: “Il vostro calore e il vostro cuore mi hanno dato il desiderio di ritornare”. Questo è un bel messaggio e una bella testimonianza del Pontefice.
◊ Una partecipazione commovente che dà speranza e incoraggia la Chiesa in Libano e in Medio Oriente: così mons. Joseph Mouawad, vescovo della Curia patriarcale maronita, commenta la massiccia presenza di fedeli negli incontri con Benedetto XVI durante il suo viaggio in terra libanese. Oltre 350 mila persone hanno partecipato con gioia e intensità alla Messa di ieri sul lungomare di Beirut. E più di 25mila giovani in festa si sono stretti con affetto attorno al Papa a Bkerké creando una piccola Gmg mediorientale. Ma ascoltiamo il commento di mons. Mouawad al microfono del nostro inviato Alessandro Gisotti:
R. - Come vescovo, con questa visita del Papa, ho sentito un legame più forte con la Chiesa, specialmente vedendo tutto questo amore dei fedeli per la loro Chiesa, per il Papa. Tutto questo mi spinge, come pastore di questa Chiesa, ad un maggiore impegno a livello pastorale per andare incontro a questo amore e mostrare così l’amore della Chiesa per questi fedeli, e attraverso questo amore riflettere l’amore di Cristo per ogni uomo.
D. - Il tema del viaggio è stato “La pace sia con voi” e il Papa ha dato veramente il segno di questo richiamo alla pace durante tutto il suo viaggio. Che effetto fa ad un vescovo, un vescovo del Libano, sentire queste parole di pace nella sua terra da parte del Successore di Pietro?
R. - Il Papa ha ripetuto sempre le parole di Cristo: “Vi do la mia pace”. E in questo Medio Oriente, noi di questa pace ne abbiamo bisogno, proprio perché questo Medio Oriente vive la sofferenza. Abbiamo pregato con il Papa per la pace e il Papa è venuto come uomo di pace per tutti. Il Papa stesso ha detto nel suo primo discorso, quando è arrivato all’aeroporto: “vengo come pellegrino di pace, come amico di Dio e amico degli uomini”. Concretamente ha tradotto questo negli incontri con tutti i gruppi, con i cristiani cattolici, con i cristiani delle altre confessioni e con i musulmani. E’ stato chiaro come il Papa abbia voluto diffondere questa pace, offrendo la sua amicizia a tutti. Anche al Palazzo presidenziale, nel suo discorso - che è stato veramente molto toccante, come d’altronde tutti i suoi discorsi - ha mostrato come per edificare la pace si debba, prima di tutto, rispettare la dignità di ogni uomo e da parte di ogni religione. Ogni uomo del Medio Oriente è stato invitato a collaborare e a partecipare alla costruzione dello Stato e della vita sociale e ciò che può ristabilire la pace in questo Medio Oriente è la riconciliazione tra i gruppi e tra le persone.
Mons. Tomasi sulla Siria: le Nazioni mettano da parte gli interessi egoistici e lavorino per la pace
◊ Le violenze in Siria mostrano l’inutilità della guerra come mezzo per risolvere le divergenze. E’ uno dei passaggi dell’intervento di mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, che ha tenuto oggi nel corso della 21.ma sessione del Consiglio dei diritti umani. Ricordando i risultati dell’inchiesta, illustrati sempre oggi dal presidente della commissione Pinheiro, l’arcivescovo ha parlato di circa 30mila vittime dall’inizio del conflitto siriano e di oltre un milione di sfollati. Il presule ha così invitato al rispetto dei diritti umani, “la strada che può portare ad una soluzione” e pre-requisito essenziale per i negoziati di pace. Mons. Tomasi ha evidenziato l’impegno della Santa Sede e le parole chiare del Papa che ha condannato “senza ambiguità” le violenze nel Paese. Poi l’esortazione alla comunità internazionale a mettere da parte “gli interessi egoistici, a sostenere il processo politico attraverso una partecipazione condivisa”. Da qui l’invito ai giornalisti a compiere fino in fondo il proprio lavoro, riferendo informazioni complete per dare un quadro chiaro all’opinione pubblica, spiegando in particolare la futilità della violenza. “I media – ha detto mons. Tomasi – possono aiutare a creare una cultura di pace”. Infine ricordando l’importanza della primavera araba in Medio Oriente, ha invitato a non soffocare le aspirazioni alla libertà perché “il popolo della Siria e del Medio Oriente merita sostegno e solidarietà nel momento del bisogno”. “La promozione dei diritti umani – ha concluso il presule - è una strategia efficace e indispensabile per la pace”.
Fuga di documenti vaticani riservati: il processo inizia il 29 settembre
◊ Il presidente del Tribunale della Città del Vaticano, il prof. Giuseppe Dalla Torre, ha emesso oggi il decreto che stabilisce per il 29 settembre prossimo, alle 9.30, la prima udienza del processo nei confronti degli imputati Paolo Gabriele e Claudio Sciarpelletti, rinviati a giudizio con sentenza del Giudice Istruttore del 13 agosto scorso, in seguito alle indagini sulla fuga di documenti riservati vaticani. Lo riferisce la Sala Stampa della Santa Sede. L’udienza avrà luogo nell’Aula delle udienze del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Il decreto è stato notificato agli interessati. Paolo Gabriele, già aiutante di camera di Benedetto XVI, è accusato di furto aggravato, mentre Claudio Sciarpelletti, tecnico informatico della Segreteria di Stato è accusato di favoreggiamento.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Benedetto XVI lascia il Libano invocando per il Medio Oriente soluzioni rispettose della dignità e dei diritti di ogni persona. All'interno i discorsi del Papa e i servizi dell'inviato.
In prima pagina, un editoriale del direttore sulla visita del Papa in Libano.
Nell'informazione internazionale, in rilievo le violenze antistatunitensi: resta altissima la tensione dopo gli attacchi al consolato di Bengasi.
La mappa per incontrare Dio: stralci dal libro “Intervista su Dio” in cui il cardinale vicario emerito di Roma, Camillo Ruini, risponde ad Andrea Galli.
Tre volte credo: Marcello Filotei sul Premio Francesco Siciliani, concorso per compositori di musica sacra.
Eredi di una storia straordinaria: Alberto Camplani sulla storia del cristianesimo copto.
Con tenacia per la pace: nel servizio religioso, il messaggio degli ordinari cattolici di Terra Santa per il capodanno ebraico.
L'Onu: in Siria crimini di guerra da lealisti e ribelli
◊ A Ginevra è stato presentato oggi un rapporto sulla Siria stilato da una commissione d’inchiesta Onu, guidata da Paulo Pinheir. Per le Nazioni Unite, sia i ribelli che i lealisti di Assad hanno commesso nel Paese crimini di guerra e pesanti violazioni dei diritti umani. Proprio i lealisti, secondo l’Onu, sono anche responsabili di crimini contro l’umanità. Il testo denuncia inoltre l’aumento delle violenze settarie in Siria dove si segnala pure la presenza di miliziani stranieri. Oggi sarebbero una ventina le vittime della violenza mentre si attendono novità dall’incontro in Egitto del “Gruppo di contatto” sulla Siria, al quale partecipano i ministri degli Esteri di Iran, Arabia Saudita, Egitto e Turchia. Presente anche l'inviato speciale di Onu e Lega Araba, Brahimi, che ha appena completato un giro di colloqui a Damasco con le autorità siriane ed i membri dell’opposizione. Benedetta Capelli ha chiesto un commento sul rapporto Onu ad Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università della Calabria:
R. – In Siria c’è, in effetti, una guerra civile e quindi le violazioni dei diritti umani sono, tutto sommato, all’ordine del giorno. Per di più, in alcuni casi, soprattutto le forze lealiste sembra si siano macchiate di episodi di particolare brutalità nei confronti della popolazione civile. Tutto questo, nell’indifferenza sostanziale un po’ di tutto il mondo che altrove – magari – è intervenuto con prontezza e in questo caso invece lascia agonizzare la Siria con la scusa che si tratta di affari interni a quello Stato. Kofi Annan, già mediatore Onu e Lega Araba, aveva detto una cosa che credo sia poi, tutto sommato, quella che emerge anche dal Rapporto e che indicherebbe l’unica via possibile, anche se difficilmente praticabile, per uscire dal conflitto: “Se non vogliamo che la situazione in Siria finisca solo perché una parte prevale sull’altra dal punto di vista militare, dovremmo provvedere ad una serie di interventi che vedano impegnate tutte le forze in campo”. Quindi non solo i ribelli, non solo gli interessi internazionali, ma anche le stesse forze lealiste, quelle che appoggiano l’establishment governativo. Tutti dovrebbero fare un passo indietro e forse, a quel punto, si potrebbero ricucire le cose …
D. – Nel rapporto delle Nazioni Unite si denuncia anche la presenza di elementi stranieri, tra cui militanti jihadisti. I pasdaran, le Guardie della Rivoluzione iraniana, avevano parlato di una presenza sul territorio siriano, sia pur non militare …
R. – Anche questa era una cosa ben nota. Ancora oggi, anche dopo il Rapporto, non possiamo valutarne l’esatta consistenza. Il controllo è difficile, è molto difficile. La situazione internazionale – come abbiamo detto – è complessa, la comunità internazionale non riesce a trovare un accordo forte e la stessa Turchia, Paese confinante che ha interessi nell’area, ha per ora un atteggiamento un po’ contraddittorio: talvolta, come abbiamo visto, si è un po’ inquietata per alcune azioni del governo siriano, però – almeno al momento – non intende fare interventi in proprio senza l’ombrello di qualche politico internazionale, delle Nazioni Unite o di altre organizzazioni come la Nato.
D. – E ci sono poi sempre le dichiarazioni dei pasdaran riguardanti invece un intervento militare nel caso in cui la Siria venga “invasa” da forze esterne: lei come legge queste parole?
R. – Più che altro, come una minaccia che voglia fare da deterrente a possibili interventi di forze straniere, di Stati … Non dimentichiamo che c’è un forte conflitto, in questo momento, per l’egemonia nell’area calda del Medio Oriente. Un conflitto più diplomatico che militare, in questo momento almeno, che vede protagonisti due Stati non arabi: la Turchia da una parte e l’Iran dall’altra. Le relazioni tra i due Paesi sono sempre state problematiche, anche se talvolta ci sono stati riavvicinamenti su alcune questioni … Però è chiaro che si tratta di due Paesi che aspirano ad un ruolo di potenza regionale, una cosa che gli arabi stessi non riescono più a pretendere: la Lega araba ha fallito completamente, le divisioni interne ai Paesi arabi sono sotto gli occhi di tutti … Quindi, diciamo che questi conflitti, dalle Primavere arabe in poi, stanno dimostrando in un certo senso l’uscita degli arabi dal ruolo di protagonisti nella loro stessa area di influenza, e invece i tentativi di ingresso, come potenze regionali che possano dettare il futuro di quell’area, da parte di Paesi che non sono arabi e che sono, in questo momento, in lotta. I pasdaran, secondo me – che hanno un chiaro riferimento, naturalmente, in Iran – con queste minacce vogliono semplicemente dire che ci sarebbero anche loro, nel caso in cui qualche altro Paese, come la Turchia – ad esempio – volesse intervenire in Siria.
Vola il prezzo di grano, mais e soia: a rischio fame milioni di nuovi poveri
◊ In Mozambico il prezzo del mais è cresciuto in un mese del 113 per cento, nel Sud Sudan del 220 per cento, mentre corrono anche le quotazioni di grano e soia, aumentate durante l'estate di oltre il 30%. Si calcolano 44 milioni di nuovi poveri per la corsa dei prezzi del cibo. Sono solo alcuni dati della Banca Mondiale che fotografano la drammatica volatilità dei mercati alimentari, che rischia di diventare una seria minaccia per la vita di milioni di persone. Tra le diverse cause, oltre alla siccità, c’è l’aumento della percentuale di mais utilizzata non per cibo ma per ricavare bioetanolo. Ma c’è anche un altro fattore: l’immissione di liquidità negli Stati Uniti per contrastare la crisi economica, voluta a più riprese dalla Banca centrale statunitense. Dei meccanismi economici che si innescano a partire dalle decisioni della Fed, Fausta Speranza ha parlato con l’economista Alberto Quadrio Curzio:
R. - Fino ad ora è servito per evitare che la crisi degenerasse con conseguenze distruttive. Perciò da un lato si è tamponata la crisi stessa e dall’altro negli Stati Uniti si è rideterminata una crescita dignitosa. La continuazione però di questa immissione di liquidità farà aumentare certamente i prezzi in dollari e potrà innescare grosse operazioni al rialzo sui prezzi delle materie prime, in particolare di quelle agroalimentari. L’effetto di tutto ciò è preoccupante perché le materie prime agroalimentari di base sono estremamente rilevanti per l’alimentazione anche nei Paesi emergenti e in via di sviluppo. Quindi: le conseguenze interne per gli Stati Uniti sono state sostanzialmente positive; le conseguenze esterne possono essere molto preoccupanti.
D. - Diciamo così: se crollano gli Stati Uniti crollano parecchi Paesi e dunque per alcuni l'immissione continua di dollari sul mercato potrebbe apparire addirittura benefica, però non poteva esserci una via diversa?
R. - E’ certamente vero quello che lei dice e credo sia il problema più delicato. Tuttavia credo che in qualche modo bisogna ripensare al sistema monetario internazionale, perché il fatto che sia legato quasi esclusivamente al dollaro - e dopo questa crisi ancora di più - può determinare effetti squilibrati della politica monetaria americana. In altre parole, gli americani si danno carico di una politica monetaria guardando ovviamente prima i loro interessi e successivamente a quelli del resto del mondo. Essendo la moneta un bene universale, nel senso che riguarda tutto il commercio mondiale, i prezzi di tutte le materie prime, io credo che prima o dopo bisognerà creare una maggiore cogestione della moneta con riferimento ad accordi internazionali che tengano conto degli interessi di tutti. Una forte svalutazione del dollaro può da un lato favorire gli Stati Uniti che esportano di più ed importano di meno ma dall’altro può danneggiare molti Paesi in via di sviluppo, sia perché esportano di meno sia perché i prezzi delle materie prime espressi in dollari crescono.
Ad un anno dal suo esordio torna a New York "Occupy Wall Street". Tutti uniti contro la crisi
◊ Ad un anno esatto dal suo esordio, il movimento “Occupy Wall Street” torna a New York oggi, con una grande manifestazione di protesta convocata davanti alla Borsa. Il seguito ideale di quello che fu un movimento d’opinione contro il mondo della finanza, responsabile, secondo gli “occupanti” di Zuccotti Park, della crisi che attanaglia il mondo. Ma oggi cosa è rimasto di quel movimento? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Nico Perrone, docente di Storia americana presso l’Università di Bari:
R. - Normalmente questi movimenti sono delle “ventate”, magari delle ventate di successo nel momento in cui si fanno, ma tendono poi ad esaurirsi rapidamente. Questo, invece, resiste.
D. - Quanto ha inciso sulla società americana e quanto potrebbe incidere oggi sulla campagna elettorale per le presidenziali, che si sta giocando proprio sul filo della crisi economica?
R. - Sul sistema americano, debbo dire francamente che ho l’impressione che abbia inciso poco. Sulla campagna elettorale, invece, potrebbe incidere di più, perché si tratta di frange che perlomeno uno dei due contendenti - Obama, in modo particolare e con tutta la prudenza politica - potrebbe avere l’interesse e la capacità di catturare.
D. - “Siamo il 99 per cento” è stato lo slogan scelto dai manifestanti proprio per sottolineare la spinta sociale dal basso contro il sistema della finanza. Oggi, secondo lei, sono ancora il 99 per cento o c’è il rischio che quella percentuale simbolica sia scesa?
R. - Quella percentuale simbolica era sparata un po’ troppo forte sin dall’inizio, ma diamola pure per buona. Certamente a distanza di tempo si è consolidato parecchio del messaggio, però non si può dire che si è consolidata anche la percentuale.
D. - Rispetto alla società americana, invece, il movimento “Occupy Wall Street”, ha rilanciato un po’ quello che è alla base e cioè la partecipazione popolare alla società: è riuscita a raggiungere almeno questo obiettivo?
R. - Secondo me sì. Questo è un dato molto positivo, sul quale - in tempi non rapidissimi - se sono bravi, potranno costruire qualche cosa. Questo credo, però, che sia un effetto che c’è stato e che in America, in qualche modo, si sente. Basta parlare un po’ con la gente e respirare l’aria per capire che è tutto un po’ diverso.
Una denuncia forte, insomma, quella proposta dalla società americana, stanca delle continue ondate speculative e del sistema finanziario. Ma da parte sua, il mondo della finanza ha imparato qualcosa da quella protesta o tutto è rimasto invariato? Salvatore Sabatino ha girato la domanda all’economista Angelo Baglioni, esperto di economia americana:
R. - Qualcosa si sta facendo, soprattutto a livello di regolamentazione: quindi più che le banche e i banchieri, sono i regolatori, i governi che stanno cercando di fare qualcosa. Tutto mi sembra che si muova piuttosto lentamente sia negli Stati Uniti che anche in Europa. Le proposte di regolamentazione non mancano, ma è molto lenta la fase di applicazione sia dei nuovi coefficienti di capitale, sia delle norme americane, come la Dodd-Frank Law. La risposta da questo punto di vista è piuttosto deludente.
D. - Rispetto all’economia americana, un movimento del genere cosa vuol dire?
R. - Vuol dire che, naturalmente, c’è una grossa insoddisfazione dell’opinione pubblica rispetto al mondo della finanza. Come sappiamo, effettivamente, il mondo della finanza - spesso peraltro condizionato anche dai politici - è stato all’origine della bolla dei mutui subprime e quindi a valle della crisi finanziaria. Credo che un fattore che irrita molto l’opinione pubblica sia anche quello della remunerazione dei manager, sulla quale non è stato fatto pressoché nulla! Assistiamo ancora a remunerazioni a livelli - oserei dire - scandalosi, anche quando le cose vanno male per una singola banca e purtroppo su questo non è stato fatto quasi niente.
D. - Quello fu un movimento ed è un movimento che parte dal basso, con delle richieste concrete da parte della popolazione e dei manifestanti. A distanza di un anno, secondo lei, ha ancora un senso protestare?
R. - Il problema delle proteste è che spesso hanno delle argomentazioni, come dire, un po’ superficiali: si agitano, senza far troppe distinzioni, contro tutto il mondo delle banche e della finanza, come se fosse possibile - in qualche maniera - sopprimere le banche o renderle tutte pubbliche o farle fallire. C’è un sentimento di vendetta cui ovviamente non bisogna dar retta e che non bisogna assecondare. Quello che bisognerebbe fare, naturalmente, è regolare meglio gli intermediari, far sì che non prendano troppi rischi fondamentalmente, limitare i rischi che si prendono e poi - come dicevo prima - limitare un po’ la possibilità per i manager di ottenere remunerazioni assolutamente molto e troppo fuori linea rispetto a quelle di un dipendente normale.
D. - Insomma far avvicinare il mondo della finanza al mondo reale, quello della gente comune…
R. - Sì, questo senz’altro e soprattutto limitare i rischi, in modo che si riduca la probabilità che si ripetano fenomeni come quelli che sono successi negli ultimi 3 o 4 anni, facendo, però, le cose seriamente, facendo le regole che devono essere fatte.
Sale la tensione tra Cina e Giappone per le isole contese
◊ Ancora tensione tra Cina e Giappone per le contese isole Diaoyu, Senkaku per i giapponesi. Ieri proteste a Pechino davanti l’ambasciata nipponica e in altre 85 città, mentre alcune sedi di Canon e Panasonic hanno chiuso i battenti dopo essere state danneggiate dalle violenze. Gli Stati Uniti premono per una soluzione pacifica, ma riaffermano gli obblighi del Trattato di Sicurezza, per il quale sono tenuti a difendere l’alleato se aggredito. In serata sulle coste delle isole è previsto l’arrivo di mille pescherecci cinesi. Una situazione che preoccupa come conferma Francesco Sisci, corrispondente da Pechino per il Sole 24 Ore, al microfono di Cecilia Seppia:
R. – In passato c’erano state manifestazioni antigiapponesi a cose avvenute e per cose che erano già state esaurite. Adesso, invece, la questione delle isole Senkaku, chiamate così da giapponesi, o Diaoyu dai cinesi, è in divenire. I giapponesi controllano queste isole e certamente non potranno lasciarle per le proteste dei dimostranti. Questo è un elemento di grande incertezza per il futuro di queste stesse manifestazioni. Altro elemento di grande incertezza è la violenza verbale di queste manifestazioni. I cinesi, o almeno alcuni cinesi, stanno gridando slogan particolarmente violenti, rispetto al passato: “schiacciate Tokyo”, “bombardate il Giappone”. Questi elementi di novità sono, secondo me, estremamente preoccupanti, perché non si sa bene cosa potrebbero portare nel futuro.
D. – Su questa vicenda anche l’intervento degli Stati Uniti, che spingono per una soluzione pacifica. Il segretario alla Difesa americana, Panetta, però, ha riaffermato gli obblighi del Trattato di sicurezza con Tokyo, in forza del quale gli Usa sono tenuti a difendere l’alleato, se aggredito. Questo cosa vuol dire?
R. – Non stiamo qui a vedere l’ultimo stadio di una guerra tra Cina e Giappone. Il problema di agire per gli Stati Uniti non esiste, secondo me, nel senso che non credo sia possibile o anche pensabile, veramente e realisticamente, che la Cina e il Giappone vengano alle mani. Siamo molto, molto lontani. E’ una questione molto più interna alla Cina stessa, ma che comunque preoccupa. Alcuni giovani cinesi stanno usando quest’occasione per attaccare il loro governo, perché è considerato troppo riformista, troppo filo straniero, e invece questi giovani sono, in termini nostri – che in realtà sarebbero inappropriati – parafascisti.
D. – Subito dopo l’annuncio della nazionalizzazione di queste isole da parte di Tokyo, sono cominciate le manovre dei militari della Cina sulle coste, e stasera dovrebbero arrivare oltre mille pescherecci cinesi. Quindi, lei dice che siamo lontani da una guerra, però, di fatto, la Cina sta mostrando il pugno duro...
R. – Ci sono delle dimostrazioni di forza da parte della Cina su queste isole, ma ripeto siamo ben lontani da un confronto militare con il Giappone.
D. – Anche il premier giapponese Noda ha detto che la questione sta avendo un fortissimo impatto sulla sicurezza pubblica, sta danneggiando anche i beni di proprietà giapponese. Tra l’altro, oggi, l’annuncio che due giganti dell’elettronica come Panasonic e Canon hanno sospeso l’attività in tre sedi cinesi, prese d’assalto nei giorni scorsi...
R. – E’ vero però, attenzione ai dettagli. Tante persone stanno protestando. E’ vero che ci sono proteste in 80 città, ma è anche vero che in ciascuna di queste proteste ci sono poche migliaia di persone. E’ vero che alcune attività di alcune agenzie giapponesi stanno chiudendo, ma quanti sono gli investimenti, quant’è grande la presenza dei giapponesi in Cina? E’ una cosa significativa e bisogna monitorarla e starci attenti, però non bisogna gonfiarla e farla uscire dalla realtà.
A Lamezia Terme, Scuola euro-mediterranea di dottrina sociale per giovani imprenditori
◊ Si è chiuso ieri a Verona il Festival della Dottrina sociale della Chiesa a cui ha preso parte tra gli altri anche l’Ucid, l’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti, che nel 2011 a Lamezia Terme ha promosso l’iniziativa di una “Scuola Euro-mediterranea di Dottrina sociale”. Creare impresa è l’obiettivo di questa scuola socio-economica indirizzata a giovani imprenditori o con attitudini in tal senso, italiani e stranieri. Il primo modulo del corso dovrebbe partire entro la fine di quest’anno. Debora Donnini ha intervistato la coordinatrice del progetto ed esponente delle relazioni internazionali dell’Ucid, Nelida Ancora:
R. – Il progetto è il frutto della visita che il Santo Padre, Benedetto XVI, ha compiuto alla diocesi di Lamezia Terme, nell’ottobre del 2011. Qui è stata presentata anche questa sperimentazione di nuovi modelli di sviluppo, che vuole essere una risposta a quanto indicato dalla Caritas in Veritate. La sperimentazione avviene in un territorio fragile. Le priorità del progetto sono quelle di promuovere una cultura imprenditoriale, che è una delle criticità più grandi del nostro Sud; portare nell’attualità, come risorsa, il nostro Sud; e anche elaborare una sperimentazione per rispondere alla sfida della globalizzazione.
D. – Questo corso, concretamente, quale tipo di strumenti darà ai giovani che vogliono fare gli imprenditori o che hanno dei progetti validi...
R. – In concreto, creare cultura imprenditoriale significa rispondere alla grande sfida che oggi ha tutto il Paese, quando noi sentiamo parlare di crescita. Quindi, come si può osservare nel piano “Coesione Sud”, lanciato dal ministro Barca, la sfida della coesione sociale diventa anche una sperimentazione per elaborare nuovi prodotti in grado di competere nel mercato. Oggi, infatti, abbandonata la cultura assistenziale - che è poi la grande fragilità che blocca il nostro Mezzogiorno - si pone la sfida per un rilancio produttivo.
D. – Cosa insegnerete a questi giovani nel corso?
R. - Seguendo le linee-guida che dà l’Unione Europea, vorremmo coniugare l’innovazione tecnologica con l’innovazione sociale, creando impresa: un’impresa che possa partire dai settori di nuovo welfare. E i settori indicati nel piano Mezzogiorno sono l’assistenza agli anziani, la cura dell’infanzia, la promozione della cultura e del turismo, ma con una grande attenzione all’innovazione tecnologica. In concreto, questa scuola vedrà dei moduli, dove ci sarà una parte accademica di natura economica ispirata alla Dottrina sociale della Chiesa, e il tutoraggio di imprenditori, che si rivolgeranno a giovani, selezionati sulla base di idee progettuali che loro dovranno presentare nel momento della richiesta di partecipazione al corso. Idee progettuali, dove i settori che noi indicheremo sono proprio quelli dove ci sono maggiori risorse finanziarie, destinate dai fondi europei o dalle priorità nazionali regionali.
D. – Questi progetti saranno finanziabili con risorse dell’Unione Europea?
R. – La sfida è questa: soprattutto l’ambizione di partecipare ai programmi innovazione-ricerca. Ci sono anche dei bandi.
D. – Nell’ambito dell’esperienza della scuola è nato un progetto: “Rel@zioni-reti e azioni con gli anziani”. In che cosa consiste?
R. – Spingere e promuovere la collaborazione tra le università e le imprese: questo è un punto fondamentale della struttura della nostra scuola e questo prodotto, il progetto “Relazioni”, si pone come obiettivo la valorizzazione e l’integrazione delle persone anziane. In questo caso iniziamo dal territorio lametino, ma il ricorso ad una struttura tecnologica può consentire la messa in rete di diverse realtà, soprattutto nel Sud, in modo da bilanciare quella nostra fragilità, spesso incapacità, di modelli dialoganti, che oggi sono fondamentali per poter avviare un processo autentico di sviluppo.
Siria: speranze di pace dei Patriarchi dopo la visita del Papa in Libano
◊ Soddisfazione e speranza dei Patriarchi cristiani di Damasco per un futuro di pace e riconciliazione in Siria: all’indomani della visita del Papa i leader cristiani damasceni, tutti presenti in Libano, rimarcano la “piena sintonia” con Benedetto XVI sull’urgenza di una “soluzione pacifica” della crisi siriana, attraverso il dialogo e la riconciliazione. Fra gli oltre 200 vescovi che hanno partecipato alla visita del Papa erano presenti il Patriarca greco-cattolico Gregorio III Laham; il Patriarca greco-ortodosso Ignatius IV Hazim; il Patriarca siro-cattolico Ignatius III Younan; il Patriarca siro-ortodosso Zakka I Iwas che, pur malato e bisognoso di cure di dialisi, ha fortemente voluto esserci. In una dichiarazione rilasciata all’agenzia Fides, i Patriarchi esprimono “grande consolazione per essere dalla stessa parte del Santo Padre sulla visione dell'esistenza insostituibile dei cristiani in Medio Oriente”. I leder notano che, a proposito della crisi siriana, il Papa, “come suprema autorità morale, ha offerto criteri etici senza interferire nel campo politico, ricordando alla comunità internazionale la responsabilità di salvare la vita della popolazione e in special modo delle minoranze”. I Patriarchi , in particolare, apprezzano il passaggio in cui il Santo Padre ha ricordato che “ogni cristiano deve farsi strumento di pace e riconciliazione in Medio Oriente”, dicendo “No all’estremismo, alla violenza, alle armi; Sì alla pace, al dialogo e alla riconciliazione”. “Siamo certi – concludono – che questo viaggio darà frutti e che sarà una spinta potente per trovare nuove strade di pace in Siria”. (R.P.)
Pakistan: musulmani e cristiani uniti nel condannare il film blasfemo
◊ Non si arrestano le proteste in tutto il mondo islamico per il film blasfemo sul profeta Maometto che ha già causato numerosi incidenti e la morte, la scorsa settimana, dell’ambasciatore americano Chritsopher Stevens e tre suoi collaboratori durante l’attentato di un gruppo armato al consolato Usa a Bengasi, Libia. La protesta è arrivata anche in Pakistan dove nei giorni scorsi in diverse città si sono susseguite manifestazioni durante le quali centinaia di persone hanno condannato la pellicola. Accanto alla maggioranza islamica pakistana, però, sono scesi in piazza anche i cristiani pakistani per condannare il film. La Commissione diocesana per il dialogo interreligioso di Faisalabad, sabato scorso, ha indetto una conferenza stampa alla quale hanno preso parte una cinquantina di importanti personalità, cristiane e musulmane durante la quale hanno condannato all’unisono la pellicola e bollato gli autori come “agenti di Satana”, chiedendo, inoltre, al governo di pretendere scuse ufficiali da parte dell’ambasciata Usa in Pakistan. È terribile “offendere la sensibilità dei musulmani per interessi oscuri e malvagi”, sottolinea padre Mendes, come riporta l’agenzia AsiaNews, ex segretario della Commissione nazionale di giustizia e pace. Il leader musulmano Muhammad Ibrahim invece chiede l’estradizione in Pakistan del pastore Jones e dell’autore del film, perché “siano processati dai tribunali della shariah”. (L.P.)
Pakistan: uccisi altri cristiani. Muro dei fedeli per proteggere il proprio quartiere
◊ Altri due cristiani uccisi in Pakistan, nella periferia di Karachi, da gruppi musulmani estremisti di etnia pashtun che terrorizzano la popolazione locale. Sono ormai quattro le vittime dovute a questi attacchi, già tre in appena due settimane, nel quartiere cristiano Essa Nagri, nel quale vivono circa 50mila cristiani in condizioni di estrema povertà e nella mancanza di servizi di base, preso ormai di mira da gruppi estremisti che agiscono indisturbati. I residenti, costretti a vivere in un vero e proprio ghetto, “per proteggersi hanno deciso di erigere un muro e chiudere un ingresso al quartiere, quello prospiciente il quartiere musulmano dove vivono i gruppi pashtun, da cui provengono gli attacchi”, racconta padre Victor John, parroco cattolico del quartiere. “Ora il quartiere è proprio un ghetto, con un’unica porta d’accesso – prosegue padre Victor, come riporta l'agenzia Fides, che poi invita i fedeli cristiani a “non vendicarsi, essere sempre pacifici, anche nelle legittime proteste. Chiediamo alla polizia – conclude il parroco - la tutela della povera popolazione di Essa Nagri, da mesi vittima di abusi”. (L.P.)
◊ Alcune chiese assaltate, moti episodi di violenza e una paura sempre più diffusa nella città di Zinder, seconda città del Paese nel Niger meridionale. È questo il quadro che emerge a seguito delle varie proteste iniziate nel Paese, così come in altri Paesi arabi, dovute della diffusione delle immagini del film anti-islamico su Maometto. Lo scorso venerdì circa un centinaio di giovani armati di bastoni hanno fatto irruzione nel cortile di una chiesa cattolica e costretto religiosi e fedeli a trovare riparo all’interno dell’edificio. Una parte della Chiesa è stata bruciata e una statua della Madonna distrutta. Di seguito, sono state attaccate quattro chiese protestanti e alcune abitazioni cristiane. Come riporta l’agenzia Misna, 50 giovani sono stati arrestai a seguito degli episodi, condannati anche dal Consiglio islamico del Niger che invita alla pace e alla tolleranza. (L.P.)
Egitto. dopo le manifestazioni anti-americane è tornata la calma
◊ “La situazione al Cairo si è ormai normalizzata. La calma è tornata attorno all’ambasciata degli Stati Uniti e a Piazza Tahir. Il traffico è tornato regolare e si lavora per riassestare le strade teatro degli incidenti” dice all’agenzia Fides padre Rafic Greiche, responsabile della comunicazione per la Chiesa cattolica egiziana. “La polizia ha effettuato diversi arresti di giovani, molti dei quali con un passato delinquenziale, accusati di aver partecipato ai disordini dei giorni scorsi. Sono in corso indagini per verificare se qualcuno abbia pagato questi giovani per assaltare l’ambasciata americana”. Il Primo Ministro Hisham Qandil ha annunciato che alcuni degli arrestati hanno confessato di essere stati pagati per partecipare agli scontri. “In effetti - chiosa padre Greiche - non è normale quello che è avvenuto. È comprensibile che vi siano manifestazioni di protesta per il noto film, ma mi chiedo come mai giovani musulmani si scontrano violentemente con la polizia del proprio Paese, formata in gran maggioranza da musulmani? È possibile quindi che vi sia qualcuno che soffi sul fuoco”. Padre Greiche si mostra infine fiducioso sul fatto che il governo voglia impedire ulteriori incidenti: “Il governo intende ristabilire l’ordine anche perché tra pochi giorni il Presidente Mursi si recherà a New York per partecipare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite”. (R.P.)
Una dichiarazione UE per tutelare la libertà religiosa
◊ “La libertà di pensiero, di coscienza e di religione è uno dei principi fondanti dell’Unione europea, che si impegna a combattere ogni tipo di discriminazione, intolleranza e violenza ad essa legata”. È quanto si legge in una dichiarazione scritta presentata al Parlamento europeo, e aperta alla sottoscrizione dei deputati fino al 13 settembre, in cui si chiede una condanna piena ed esplicita verso “qualsiasi persecuzione basata sulla religione”. La speranza è di ottenere la firma di almeno la metà dei 754 europarlamentari, numero necessario perché la proposta diventi posizione dell’Assemblea, fattore importante quest’ultimo per riaprire il dibattito all’interno delle istituzioni su questo delicato argomento. L’UE dovrebbe “promuovere azioni mirate a combattere violenze e persecuzioni perpetrate contro tutte le comunità religiose, guidando iniziative di consultazione con i Paesi terzi e promuovendo interventi coordinati con tutte le organizzazioni internazionali” si legge in una nota dei promotori dell’iniziativa. Qualora si raggiungesse il numero di firme necessario, sottolinea l'agenzia Sir, il testo verrebbe poi trasmesso dal presidente del Parlamento UE all’Alto rappresentante Ue per la politica estera, al Rappresentante speciale per i diritti umani, alla Commissione Ue e ai parlamenti degli Stati membri. (L.P.)
Congo: è emergenza profughi centrafricani che fuggono dalle violenze
◊ Sono circa 1700 i profughi arrivati nella Repubblica Democratica del Congo dalla vicina Repubblica Centrafricana per quella che è già diventata una vera e propria emergenza umanitaria. Queste persone sono fuggite dalla Repubblica Centrafricana a causa delle atrocità commesse da alcuni gruppi armati che da alcuni mesi hanno invaso i loro villaggi costringendoli a migrare verso il vicino Congo. Secondo la Federazione Internazionale della Croce Rossa, l’emergenza colpisce già 1727 persone prive di ogni fonte di assistenza e che hanno urgente bisogno di aiuti umanitari. Queste persone vivono in condizioni sanitarie e alimentari precarie, hanno scarso accesso al cibo e all’acqua potabile. Anche l’Ufficio delle Nazioni Unite, come riporta l’agenzia Fides, ha dichiarato che queste persone, il cui numero è cinque volte quello della popolazione locale, necessitano di tutto. (L.P.)
Per il 50° del Concilio mons. Celli ha presentato un "docu-film" inedito
◊ “Far percepire la ricchezza anche a chi non era presente o lo conosce troppo poco”. Questo, nelle parole del presidente mons. Claudio Maria Celli, il “docu-film” realizzato dal Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, in collaborazione con Micromegas Comunicazione, in occasione del 50° anniversario dall’apertura del Concilio Vaticano II e dell’inizio dell’Anno della fede. “In Filmoteca vaticana - ha spiegato oggi mons. Celli ai giornalisti - abbiamo circa 200 ore di filmati originali che hanno preceduto l’apertura del Concilio. Grazie ad un lavoro molto intenso e ricco, abbiamo fatto una forte e suggestiva selezione, realizzando così 12 ore di materiale filmato inedito”. Il prossimo 11 ottobre, 50° anniversario dall’apertura del Concilio, sarà trasmessa dalla Rai una sintesi di un’ora e cinquanta minuti (in due parti, la seconda ancora in data da definire), che oltre al ricco materiale della Filmoteca vaticana utilizzano anche materiali tratti dall’Archivio segreto vaticano. “La tentazione - ha aggiunto mons. Celli - poteva essere quella di fare un filmato puramente celebrativo, selezionando i momenti salienti del materiale della Filmoteca. Abbiamo voluto, invece, arricchire il filmato con 14 interviste, affidandole a cardinali, patriarchi e arcivescovi delle varie parti del mondo”. “L’intento - ha spiegato il presidente del dicastero pontificio - è quello di vedere come era stato recepito il Concilio Vaticano II anche in Africa, in America Latina, nelle Chiese orientali: sono stati gli stessi porporati ad indicare le chiavi di lettura dei documenti più importanti del Concilio, offrendo così uno spaccato culturale ecclesiale molto ricco”. Tra le immagini del docu-film, ha reso noto mons. Celli, c’è anche l’intervento dell'allora vescovo mons. Karol Wojtyla al Concilio, ed “è suggestivo ascoltare la sua voce quando interviene in latino durante una delle sessioni”. Alcune riprese, poi, riguardano i padri che firmano i documenti originali. Oltre che nella versione realizzata per la Rai, il “docu-film” - ha annunciato mons. Celli - verrà “confezionato” in base alle richieste delle Conferenze episcopali e delle Chiese locali, anche in versione dvd, con filmati più ampi o più corti a seconda delle esigenze. “Lo faremo conoscere anche ai padri sinodali”, ha assicurato il presidente del Pontificio Consiglio riferendosi al prossimo Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Il “docu-film” si apre con un’introduzione storico-teologica a cura della giornalista Vania De Luca, mentre il teologo Marco Vergottini fa’ da “guida” nei contenuti delle varie sessioni. Tra le interviste, anche quella al segretario particolare di Giovanni XXIII, mons. Loris Capovilla. (R.P.)
Messico: la Chiesa invita a combattere violenza e corruzione
◊ Il Messico ha celebrato ieri la sua festa nazionale, 202° anniversario dell’indipendenza, con molti eventi civili e religiosi. La Chiesa cattolica ha invitato tutti i messicani a vivere questo evento impegnandosi a debellare la corruzione e la violenza esistenti nel Paese. Nell’ambito delle diverse celebrazioni religiose, riportiamo ciò che ha detto nella sua omelia per questa festa, il rettore della Basilica di Nostra Signora di Guadalupe, mons. Enrique Glennie Graue: "Essere messicani non significa vestirsi di Charro o di Adelitas, cantare le belle canzoni del Messico con i mariachi, bere tequila o dire che il Messico è il massimo. Tutto questo fa parte di una bella festa, ma il Messico sarà grande solo quando noi messicani saremo grandi, vale a dire quando avremo superato il nostro complesso di inferiorità, e non ci esprimeremo con grida e insulti verso gli altri, quando potremo, come società, superare la violenza e la corruzione esistenti nel nostro Paese". La nota inviata all'agenzia Fides riporta che, in una Basilica di Guadalupe colma di fedeli, il rettore ha detto che i messicani avranno un Paese migliore quando smetteranno di vedere la corruzione come il modo per risolvere i problemi. Inoltre, alla fine dell'omelia, ha sottolineato: "il Messico sarà il massimo quando saremo più responsabili verso tutti i nostri doveri, quando veramente rispetteremo gli altri nei loro diritti, quando finiremo di pensare che la truffa e la corruzione sono il modo di sistemare le cose, quando tutti ci uniremo in piena solidarietà contro la corruzione". Il rettore ha anche chiesto di pregare la Vergine di Guadalupe perché Lei è stata presente in tutti i momenti importanti della storia del Messico, e per questo i cittadini devono cercare la sua guida nella costruzione di una nazione migliore. Purtroppo anche ieri, giorno della festa per l’anniversario dell’indipendenza, sono state diffuse notizie di violenza avvenuta nel Paese: altri 17 corpi di persone giustiziate sono stati ritrovati nella zona di confine fra Jalisco e Michoacan, e 2 deputati del Pri sono stati uccisi in meno di 48 ore.(R.P.)
Bolivia: la Chiesa chiede di includere l'identità religiosa nel censimento nazionale
◊ L'identità religiosa dei cittadini boliviani dovrebbe essere inclusa nel censimento nazionale della popolazione e delle abitazioni che il governo centrale ha in programma per il mese di novembre prossimo, ha dichiarato il vescovo della diocesi di Oruro, mons. Cristóbal Bialasik. La nota inviata all’agenzia Fides dal Centro informazioni della Conferenza episcopale boliviana riferisce inoltre che, sempre secondo il vescovo di Oruro, “è importante la domanda sulla religione che professa ogni cittadino boliviano, perché solo così si definirà la fede che ha il popolo, si tratta della fede delle persone, e non vedo nessun problema ad inserire una domanda su questo tema”. Mons. Bialasik ha sottolineato che ci dovrebbe essere almeno una domanda che si riferisce alla religione perché così i cittadini boliviani sono anche chiamati a riflettere. Per esempio, le domande potrebbero essere: “Io che fede ho? Posso esprimere tale fede pubblicamente o no? Che identità ho?”. “Queste sono le domande chiave che sfidano ogni persona e ogni individuo che deve prendere una decisione e metterla per scritto" ha detto il vescovo. Dalle informazioni raccolte da Fides sembra però che il governo, già alla fine di agosto, si sia espresso negativamente circa la eventualità di modificare il questionario. (R.P.)
Slovacchia: il cardinale Tomko al pellegrinaggio a Sastin
◊ Circa 40.000 fedeli provenienti da tutta la Slovacchia si sono riuniti il 15 settembre a Sastin in occasione del pellegrinaggio nazionale al santuario della Madonna dei Sette Dolori, patrona della nazione slovacca. La celebrazione eucaristica - riferisce l'agenzia Sir - è stata presieduta dal cardinale Jozef Tomko, prefetto emerito della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. “La nostra nazione ha la sua patrona e protettrice. La battaglia a difesa della moralità non è ancora finita e gli attuali tentativi di minarla, anche attraverso il sistema giuridico, incoraggiano i fedeli a rimanere all’erta”, ha detto il cardinale Tomko nell’omelia, riferendosi a problemi di corruzione, alcolismo, invidia e all’indebolimento dell’istituzione del matrimonio nel Paese. “Oggi non possiamo dare la colpa agli stranieri; questo è il prezzo da pagare per le nostre debolezze e i nostri mali”, ha continuato il cardinale, invitando i fedeli ad accogliere la Madre di Dio come Madre propria, perché “ci aiuta a preservare valori sani nella società”. Il cardinale Tomko, infine, ha respinto fermamente i tentativi dei politici di sopprimere la festa della Madonna dei Sette Dolori come festività nazionale, ricordando che questa festa è stata confermata dall’Accordo fondamentale tra la Santa Sede e la Repubblica slovacca. (R.P.)
Festival della Dottrina Sociale: mons. Toso rilancia una nuova evangelizzazione del sociale
◊ “I cattolici, in questo momento di crisi, sono chiamati ad attivarsi per una nuova evangelizzazione del sociale” ha detto ieri mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, a conclusione dei lavori del 2° Festival della Dottrina Sociale della Chiesa su: “La necessità di un pensiero diverso”, svoltosi a Verona dal 14 al 16 settembre, che ha visto la partecipazione di circa 6mila persone giunte da ogni parte d’Italia e il contributo - riferisce l'agenzia Sir - di 200 volontari. Vivere la fede. “In questa opera di evangelizzazione la dottrina sociale è elemento essenziale” ha proseguito mons. Toso, richiamando un passo della "Caritas in veritate" (n. 15), dove Papa Benedetto XVI ricorda che: “la dottrina sociale è annuncio e testimonianza di fede”; dunque essa “consente alla fede di non essere solo pronunciata, ma sperimentata nella società” in altre parole “rende adulta la fede, la porta a completezza”, ma per compiere questo cammino “servono soggetti attivi che operino nella società e nei territori, supportati da una nuova generazione di sacerdoti e formatori”. In questo anche “le scuole cattoliche, in quanto luoghi educativi” ha aggiunto il segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace “devono essere tra i protagonisti della nuova evangelizzazione del sociale” e accanto ad esse “occorre che i singoli credenti e comunità, mediante un movimento corale di conversione ridecidano o riconfermino di appartenere a Gesù con tutta la loro anima”. (R.P.)
Ad Auschwitz 2mila giovani europei "per un mondo senza violenza”
◊ Duemila giovani ad Auschwitz per dire no alla violenza nella terza edizione dell’incontro internazionale “Giovani europei per un mondo senza violenza”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio e previsto dal 20 al 23 settembre proprio ad Auschwitz. I giovani, provenienti da vari paesi europei, tra cui Italia, Polonia, Romania, Russia, Ucraina Ungheria, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca, potranno ascoltare gli interventi di alcuni testimoni dei crimini nazisti. Ci sarà anche una celebrazione presso il campo di stermino di Auschwitz-Birkenau, al termine della quale verrà proclamato in varie lingue l’appello per un mondo senza violenza. Ci saranno, inoltre, come evidenziato dall'agenzia Sir, molti altri momenti significativi, come l’incontro con l’arcivescovo di Cracovia, il cardinale Stanislaw Dziwisz, ma anche gruppi di studio, e una fiaccolata. (L.P.)
Germania: forum della Chiesa su carità e molteplicità della vita di oggi
◊ Trovare la forma più giusta di amore per il prossimo in una Chiesa che accetta positivamente la molteplicità della vita di oggi. È questo uno degli argomenti sul quale si è riflettuto durante il forum sul dialogo dal titolo “Credere nell’oggi”, promosso dalla Conferenza episcopale tedesca (Dbk) a Hannover, concluso sabato scorso. Al forum, al quale hanno preso parte 300 persone tra le quale 33 vescovi, i rappresentanti delle comunità e degli ordini religiosi, membri delle parrocchie, rappresentanti di associazioni, docenti e rappresentanti del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, “siamo riusciti a parlare di futuro e di come può essere praticata una diaconia convincente – ha affermato mons. Robert Zollitsch, presidente della Dbk – stiamo lavorando a una Chiesa che accetta le molteplicità della vita di oggi”. Mons. Zollitsch ha inoltre sottolineato, come riferisce l'agenzia Sir, l’impegno della Chiesa tedesca che sta affrontando un’ampia varietà di argomenti, tra cui “il tema dei separati risposati, il diritto del lavoro e soprattutto il ruolo della donna nella Chiesa”. (L.P.)
Taiwan: studenti in marcia contro la fame
◊ Una marcia per sensibilizzare la popolazione sulla grave situazione della fame nel mondo e raccogliere fondi da dividere per il Sudan e le persone più bisognose della costa sud orientale di Taiwan. Circa 3mila studenti di tredici scuole cattoliche, una parrocchia e tre scuole statali hanno partecipato all’iniziativa denominata “End Hunger, walk the world” tenutasi due giorni fa per le vie di Taipei. Gli studenti hanno aderito alla campagna proposta dal Programma Alimentare Mondiale (Wfp), che ogni anno, come sottolinea l’agenzia AsiaNews, coinvolge numerosissimi studenti in tutto il mondo per sensibilizzare sul problema delle persone che soffrono povertà e fame, e raccogliere fondi da destinare alle popolazioni più in difficoltà. Sarà la Caritas a occuparsi poi della gestione dei fondi destinati al Sudan, mentre per quanto riguarda i fondi destinati a Taiwan, a coordinare il tutto ci penseranno le suore di Santa Marta a Hualian e le suore francescane della Santa Croce di Taidung. È stato, inoltre, diffuso un documentario in difesa delle vittime di violenze domestiche dal titolo “Una vita tranquilla”, proiettato gratuitamente in varie sale cinematografiche. Anche questa iniziativa sembra aver riscosso un discreto successo. (L.P.)
E’ morto oggi il collega Antoine Layek, del Programma arabo della Radio Vaticana
◊ Si è spento questa mattina il nostro collega Antoine Layek, giornalista del Programma arabo della Radio Vaticana. Malato di tumore, nel gennaio scorso aveva compiuto 60 anni ed era diventato da poco tempo nonno. Aveva seguito numerosi viaggi apostolici, l’ultimo quello di Giovanni Paolo II nel 2001 in Siria. Uomo di grande disponibilità e umanità non ha mai perso il sorriso gentile e il suo humour anche nei momenti più difficili. I funerali si terranno domani pomeriggio alle 15.30 nella Basilica romana di San Lorenzo al Verano. Tutti noi della Radio Vaticana ci stringiamo con affetto attorno ai suoi familiari.
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 261