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Sommario del 15/09/2012
Il Papa ai leader politici e religiosi del Libano: non c’è pace senza libertà religiosa
◊ Seconda giornata di Benedetto XVI in Libano. Stamani il Papa si è recato al Palazzo presidenziale a Baabda, accompagnato dall’entusiasmo di migliaia di fedeli che si sono assiepati lungo le strade per salutare il passaggio della papamobile. A Baabda, il Pontefice ha incontrato in colloqui privati il presidente Michel Suleiman, le altre autorità dello Stato e i leader musulmani del Paese ai quali ha consegnato l’Esortazione apostolica “Ecclesia in Medio Oriente”. Quindi, ha pronunciato un appassionato discorso sui fondamenti della pace. Prima del suo intervento, il Papa e il presidente hanno piantato nel giardino presidenziale un piccolo cedro, simbolo del Libano. Sull’importante discorso pronunciato stamani dal Papa ci riferisce il nostro inviato a Beirut, Alessandro Gisotti:
La libertà religiosa è indispensabile alla pace: è uno dei passaggi forti dell’appassionato discorso che il Papa ha rivolto ai leader politici e ai capi religiosi libanesi. Un discorso incentrato sulle fondamenta della pace e della convivenza tra i popoli. Il Papa ha preso spunto per la sua riflessione dal modello libanese:
“Au Liban, la Chrétienté et l’Islam habitent le même espace…”
“In Libano – ha detto - la Cristianità e l’Islam abitano lo stesso spazio da secoli. Non è raro vedere nella stessa famiglia entrambe le religioni”. Se in una stessa famiglia questo è possibile, è stato il suo interrogativo, “perché non dovrebbe esserlo a livello dell’intera società?”. Ed ha aggiunto che “la specificità del Medio Oriente consiste nella mescolanza secolare di componenti diverse”. Certo, ha riconosciuto, “esse si sono anche combattute!”. D’altro canto, “una società plurale esiste soltanto per effetto del rispetto reciproco, del desiderio di conoscere l’altro e del dialogo continuo”. Questo dialogo tra gli uomini, ha soggiunto, “è possibile solamente nella consapevolezza che esistono valori comuni a tutte le grandi culture, perché sono radicate nella natura della persona umana”. Ha così evidenziato la centralità della libertà religiosa per la costruzione della pace:
“N’oublions pas que la liberté religiuese…”
“Non dimentichiamo – ha affermato - che la libertà religiosa è il diritto fondamentale da cui molti altri dipendono”. Ed ha aggiunto: “Professare e vivere liberamente la propria religione senza mettere in pericolo la propria libertà deve essere possibile a chiunque”. La perdita o l’indebolimento di questa libertà, ha rimarcato “priva la persona del sacro diritto ad una vita integra sul piano spirituale”. Dunque, ha osservato che “la sedicente tolleranza non elimina le discriminazioni, talvolta invece le rafforza”. D’altro canto, ha aggiunto, “senza l’apertura al trascendente”, “l’uomo diventa incapace di agire secondo giustizia e di impegnarsi per la pace”
“La liberté religieuse a un dimension sociale…”
“La libertà religiosa – ha detto con forza - ha una dimensione sociale e politica indispensabile alla pace”. Essa, ha soggiunto, promuove una coesistenza ed una vita armoniose attraverso l’impegno comune “al servizio della verità che non si impone con la violenza”. Ha così esortato tutti i libanesi ad essere un esempio, a testimoniare con coraggio che Dio vuole la pace. Il Papa ha quindi allargato lo sguardo a tutto il Medio Oriente, una regione – ha detto - scelta da Dio per la nascita di grandi religioni e che tuttavia vive oggi “nella tormenta”:
“Dieu l’a choisie, me semble-t-il…”
“Dio l’ha scelta – ha affermato – affinché sia esemplare, affinché testimoni di fronte al mondo la possibilità che l’uomo ha di vivere concretamente il suo desiderio di pace e di riconciliazione”. Un’aspirazione “inscritta da sempre nel piano di Dio”. Ha così sottolineato che la pace presuppone una società unita che tuttavia non vuol dire uniformità. Quindi, ha detto che “al fine di assicurare il dinamismo necessario per costruire e consolidare la pace, occorre instancabilmente tornare ai fondamenti dell’essere umano”, mettendo l’accento sul ruolo dell’educazione, della famiglia e della promozione di una cultura della vita:
“Si nous voulons la paix, défendons la vie…”
“Se vogliamo la pace – ha detto – difendiamo la vita”. Ed ha ribadito che “questa logica squalifica non solo la guerra e gli atti terroristici, ma anche ogni attentato alla vita dell’essere umano, creatura voluta da Dio”. Senza la difesa della dignità dell’uomo, ha avvertito, “non è possibile costruire l’autentica pace”. Ha così ricordato gli attentati alla vita che sono la povertà, il terrorismo, la disoccupazione, lo sfruttamento, la logica economica che vuole far prevalere l'avere sull'essere. Ed ha messo in guardia da quelle ideologie che “mettendo in causa” il valore inalienabile di ogni persona e della famiglia “minano le basi della società”:
“Aujourd’hui, les différences culturelles…”
“Oggi – ha detto – le differenze culturali, sociali, religiose, devono approdare a vivere un nuovo tipo di fraternità, dove appunto ciò che unisce è il senso comune della grandezza di ogni persona”. Qui, ha soggiunto, “si trova la via della pace”, qui “è l’orientamento che deve presiedere alle scelte politiche ed economiche, ad ogni livello e su scala planetaria”. Per aprire “alle generazioni di domani un futuro di pace, ha proseguito, il primo compito è dunque quello di educare alla pace, per costruire una cultura di pace”. Bisogna, ha detto, rimettere la persona al centro. Ed ha levato un pressante appello agli uomini di Stato e ai responsabili religiosi:
“Il faut évidemment bannir la violence…”
“Occorre evidentemente bandire la violenza verbale o fisica. Essa – ha detto – è sempre un oltraggio alla dignità umana, sia dell’autore sia della vittima”. “Pensieri di pace, parole di pace e gesti di pace – ha soggiunto – creano un’atmosfera di rispetto, di onestà e di cordialità” per “avanzare insieme verso la riconciliazione”. Del resto, ha sottolineato che il male non è mai “una forza anonima”. Cerca “un alleato, l’uomo”, ha “bisogno di lui per diffondersi”. E allora diventa fondamentale uno sguardo nuovo, una conversione esigente. “Si tratta - ha spiegato – di dire no alla vendetta, di riconoscere i propri torti”, perché solo il perdono “pone le fondamenta durevoli della riconciliazione e della pace di tutti. Il dialogo, ha concluso, “è possibile solamente nella consapevolezza che esistono valori comuni a tutte le grandi culture perché sono radicate nella natura della persona umana”.
L'incontro del Papa con i capi delle comunità musulmane: il commento di padre Lombardi
◊ Durante il briefing di fine mattinata con i giornalisti, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha parlato in particolare dell’incontro del Papa oggi con i capi delle comunità musulmane nel Salone degli ambasciatori del Palazzo presidenziale di Baabda: un momento - ha detto - particolarmente importante di dialogo e di incontro tra le religioni in questo viaggio. E’ stata molto apprezzata – ha precisato - la presenza dei leader musulmani ieri all’aeroporto e alla firma dell’Esortazione apostolica. Il Papa ha consegnato una copia con firma autografa del documento ad ognuna delle personalità che ha incontrato. Durante l’incontro odierno il Muftì sunnita ha ringraziato per la condanna degli insulti e dei gesti irrispettosi verso simboli, personalità e credenze religiose altrui; si è poi detto d’accordo con la proposta del Patriarca maronita Raï di parlare non più solo di convivialità, ma anche di comunione tra le diverse comunità religiose, per andare oltre la semplice coesistenza in vista di una comprensione reciproca più profonda. Su questo incontro e sul clima generale del viaggio ecco quanto ha detto padre Federico Lombardi, al microfono di Alessandro Gisotti:
R. – Questo incontro è inserito in un contesto, in cui il Papa ha avuto incontri con tutte le autorità principali dello Stato libanese, e questo va notato. Certamente, però, il momento specificatamente interreligioso di questo viaggio è stato l’incontro con i quattro capi delle quattro principali comunità musulmane: sunniti, sciiti, drusi e alawiti. E’ stato un incontro di una ventina di minuti, estremamente cordiale, in cui io sono stato toccato dal fatto che il Muftì dei sunniti abbia detto al Santo Padre che i musulmani stessi desiderano che i cristiani rimangano in Medio Oriente, perché si sentirebbero più impoveriti se i cristiani non ci fossero più. Capiscono che la ricchezza multiculturale e multireligiosa di quest’area sia garantita proprio dalla convivenza e quindi anche dalla presenza dei cristiani. Ho trovato quest’affermazione molto incoraggiante e, quindi, volevo metterla in rilievo.
D. – Abbiamo visto un entusiasmo coinvolgente della gente di Beirut, che ha accompagnato la papamobile verso il Palazzo presidenziale ...
R. – Certamente, ogni popolo si sente sfidato a manifestare la sua gratitudine, il suo amore per il Santo Padre, perché si rende conto che il Santo Padre è voluto venire per questa gente, è voluto venire anche – come in questo caso - con fatica e con coraggio. Quindi, l’hanno manifestato con i loro modi, con le loro danze, con i loro tamburi. E’ stato un momento molto toccante. Il Papa sa apprezzare anche questi particolari, profondamente. Come apprezza le musiche e i balli dei bavaresi, così altrettanto, e anche più in questa occasione, quelli dei libanesi, che gliel’hanno fatto con tutto il cuore.
Il Papa incontra la comunità armena del Libano, "duramente provata lungo i secoli"
◊ Benedetto XVI, a pranzo nel Patriarcato armeno cattolico di Bzommar, ha rivolto parole di gratitudine al patriarca Nerses Bedros, rievocando la figura del fondatore di questa Chiesa, il monaco Hagop, soprannominato Méghabarde - il pescatore – “esempio di preghiera, di distacco dai beni materiali e di fedeltà a Cristo”. Hagop 500 anni fa – ha ricordato il Papa - promosse “la pubblicazione del Libro del Venerdì stabilendo un ponte tra l’Oriente e l’Occidente cristiani”. “Alla sua scuola, – ha sottolineato il Santo Padre – noi possiamo apprendere il significato della missione, il coraggio della verità ed il valore della fraternità”. Benedetto XVI ha quindi impartito una speciale benedizione alla comunità armena “duramente provata lungo i secoli”, invocando il Signore “d’inviare alla sua messe operai numerosi e santi che siano capaci di cambiare il volto della nostra società, di guarire i cuori feriti e di ridare coraggio, forza e speranza ai disperati”.
Alessandro Gisotti ha chiesto al patriarca Nerses Bedros quali frutti si aspetti da questa visita del Papa:
R. - Ci si aspetta che dia un nuovo slancio alla coesistenza tre le diverse fazioni religiose e politiche del popolo libanese e alla pace nei Paesi del Medio Oriente dopo la sanguinosa e non ancora terminata Primavera araba. Si spera che il dialogo interreligioso, sia più intenso per una maggiore comprensione tra i seguaci delle diverse credenze. Si parla molto della necessità dell’instaurazione della pace nella regione mediorientale e del consolidamento della presenza cristiana che va diminuendo anche a causa dell’immigrazione, per la mancanza di sicurezza, e per un avvenire non chiaro. In questo ambiente i cristiani sono chiamati ad essere messaggeri di pace, di fraternità tra i loro compatrioti.
D. - Quali sono oggi le principali sfide per i cristiani del Libano e come potrà aiutarli questa visita del Papa? Quale contributo potrà dare?
R. - Tra le sfide più importanti si deve citare prima di tutto la mancanza di una visione chiara del momento e dell’avvenire. Non è neppure facile trovare oggi un lavoro sufficiente per una vita modesta. Perciò la corruzione e la criminalità si vanno diffondendo ogni giorno di più. E la presenza degli sfollati siriani rende più acuti questi fatti. La democrazia, invocata dalle voci dei politici antagonisti, mostra che il suo senso e la sua applicazione è solo uno slogan e non ancora una realtà. Le necessità esistenziali primarie diventano ogni giorno più costose. Molti benestanti hanno una doppia nazionalità e viaggiano senza problemi, ma la gente semplice è messa da parte; le associazioni di beneficienza trovano difficile provvedere al bisogno di cibo che in tanti hanno, ma soprattutto alle cure per i bisognosi che aumentano continuamente. Le richieste agli organismi internazionali per gli aiuti non cessano di aumentare. La migrazione dei cristiani è un disastro, non solo perché si lascia il Paese dei padri, ma soprattutto per la testimonianza cristiana che sta venendo meno. Si parla di un milione di immigrati tra il 1975 e il 1991, durante la guerra civile in Libano, di cui la maggior parte erano cristiani. Si spera che la visita del Papa metta più fiducia nel cuore di tutti, ma soprattutto, che muova il cuore e la mente di quelli che tengono le chiavi della vita politica ed economica del Paese. Si può dire che la visita del Papa è accolta da tutti con gioia, al di fuori di qualche estremista islamico.
“Chiese in Medio Oriente non temete”: così il Papa alla firma dell’Esortazione apostolica
◊ Nel giorno delle Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, l’atto principe di questo viaggio del Papa in Libano: la firma, ieri pomeriggio nella Basilica greco-melkita di St. Paul ad Harissa, dell’Esortazione “Ecclesia in Medio Oriente”, testo conclusivo del Sinodo dei Vescovi per quella regione, svoltosi in Vaticano nel 2010. Nel discorso - rivolto al presidente del Libano, ai vescovi e tutti i membri del Sinodo per il Medio Oriente, ai rappresentanti delle altre religioni, del mondo della cultura e della società civile - Benedetto XVI ha evocato “la follia della Croce”. Il servizio di Roberta Gisotti.
Cerimonia emozionante, sigillata dall’abbraccio del Papa con i Patriarchi del Medio Oriente. Questo documento “permette – ha sottolineato Benedetto XVI – di ripensare il presente per considerare il futuro con lo stesso sguardo di Cristo”, “in un contesto difficile e talvolta doloroso, un contesto che potrebbe far nascere la tentazione di ignorare o dimenticare la Croce gloriosa”.
“C’est justement maintenant qu’il faut célébrer la victoire de l’amour...
“E’ proprio adesso – ha invocato il Santo Padre - che bisogna celebrare la vittoria dell’amore sull’odio, del perdono sulla vendetta, del servizio sul dominio, dell’umiltà sull’orgoglio, dell’unità sulla divisione”. Questo chiede l’Esortazione. Da qui l’invito pressante ai cristiani in quella tormentata regione del mondo:
“…je vous invite tous à ne pas avoir peur, à demeurer….”
“…vi invito tutti non avere paura, a rimanere nella verità e a coltivare la purezza della fede. Questo è il linguaggio della Croce gloriosa! Questa è la follia della Croce: quella di saper convertire – ha spiegato Benedetto XVI - le nostre sofferenze in grido d’amore verso Dio e di misericordia verso il prossimo”.
I padri Sinodali hanno riflettuto “sulle gioie e le pene, i timori e le speranze” dei cristiani che vivono in questi luoghi”, ha ricordato il Papa.
“Toute l’Église a pu ainsi entendre le cri anxieux et percevoir….. ”
“Tutta la Chiesa ha potuto così ascoltare il grido ansioso e percepire lo sguardo disperato di tanti uomini e donne che si trovano in situazioni umane e materiali ardue, che vivono forti tensioni nella paura e nell’inquietudine, e che vogliono seguire Cristo, - Colui che dà senso alla loro esistenza – ma che ne sono spesso impediti”.
Allo stesso tempo - ha aggiunto - “la Chiesa ha potuto ammirare quanto vi è di bello e di nobile in queste Chiese su queste terre":
“Comment ne pas rendre grâce à Dieu à tout moment pour vous tous...”
“Come non rendere grazie a Dio in ogni momento per tutti voi, cari cristiani del Medio Oriente! Come non lodarlo per il vostro coraggio nella fede?”.
Questa Esortazione – ha chiarito il Papa - vuole aiutare ciascun cristiano “ad un esame di coscienza personale e comunitario”, vuole aprire “all’autentico dialogo interreligioso basato sulla fede in Dio Uno e Creatore” e vuole contribuire “ad un ecumenismo pieno di fervore umano, spirituale e caritativo, nella verità e nell’amore evangelici”.
“Ce document veut contribuer à dépouiller la foi de ce… ”
“Questo documento - ha detto - vuole contribuire a spogliare la fede da ciò che la imbruttisce, da tutto ciò che può offuscare lo splendore della luce di Cristo".
Infine l’incoraggiamento del Papa:
“Églises au Moyen-Orient, soyez sans crainte…”
“Chiese in Medio Oriente, non temete, perché il Signore è veramente con voi fino alla fine del mondo! Non temete, perché la Chiesa universale vi accompagna con la sua vicinanza umana e spirituale!”
Sintesi dell'Esortazione apostolica “Ecclesia in Medio Oriente”: siate audaci testimoni di Cristo
◊ L'Esortazione apostolica Post-sinodale “Ecclesia in Medio Oriente” di Benedetto XVI raccoglie quanto emerso dal Sinodo speciale per il Medio Oriente, svoltosi in Vaticano nell'ottobre 2010 e dedicato al tema della comunione e testimonianza. L'Esortazione è stata pubblicata in italiano, francese, inglese, spagnolo, portoghese, tedesco, polacco ed arabo. Una sintesi in ebraico è disponibile sul sito in lingua ebraica della Radio Vaticana. Sui contenuti del documento pontificio, ascoltiamo il servizio di Isabella Piro:
Un appello accorato e vibrante a tutto il Medio Oriente perché viva in pace, non dimentichi le proprie radici e guardi al futuro con speranza e dinamismo: le pagine dell’Esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente racchiudono tutto questo ed esprimono l’attenzione pastorale che Benedetto XVI ha per la regione, soprattutto in un momento di impressionante attualità.
Suddivisa in tre parti, più un’introduzione ed una conclusione, il documento guarda anzitutto al contesto mediorientale, un mosaico che richiede uno sforzo notevole per rafforzare la testimonianza cristiana: essenziale, quindi, sia l’unità ecumenica - intesa non come confusione, ma come riconoscimento e rispetto reciproco tra le Chiese di antica tradizione e le comunità ecclesiali più recenti – sia il dialogo interreligioso con ebrei e musulmani che, come i cristiani, credono in un unico Dio. Condannando, poi, qualsiasi atto di intolleranza, discriminazione, emarginazione o persecuzione giustificato in nome della religione, l’Esortazione ricorda che la presenza dei cristiani in Medio Oriente non è casuale, ma storica e che essi hanno contribuito alla formazione della cultura locale.
I cattolici, in particolare, hanno il diritto ed il dovere di partecipare alla vita civile della regione e non devono essere considerati cittadini di serie B. Di qui, il richiamo forte che il Papa lancia alla tutela della libertà religiosa – somma di tutte le libertà, sacra e inalienabile – che include la possibilità di scegliere il proprio Credo e di manifestarlo pubblicamente, senza rischiare la vita.
Poi, Benedetto XVI si sofferma su due nuove realtà: la laicità e il fondamentalismo. In forma estrema, la laicità diventa secolarismo e pretende di negare ai cittadini l’espressione pubblica della religione, lasciando allo Stato il monopolio assoluto nel settore. Vissuta in modo sano, invece, la laicità implica distinzione e collaborazione tra politica e religione, nel rispetto reciproco. Quanto al fondamentalismo religioso, esso cresce anche a causa del clima attuale di incertezza socio-politica ed alla scarsa comprensione della religione, mirando alla presa di potere sulla coscienza delle persone. Per questo, il Papa chiede a tutti i responsabili religiosi del Medio Oriente di sradicare questo fenomeno, minaccia mortale per tutti i credenti.
L’Esortazione affronta, quindi, la cruciale questione dell’esodo dei cristiani dai Paesi della regione: disperati, vittime di conflitti, umiliati, sono costretti ad emigrare, nonostante abbiano costruito le loro patrie nel corso dei secoli. Ma il Papa mette in guardia: un Medio Oriente senza o con pochi cristiani non è più Medio Oriente. Di qui, l’invito ai politici affinché non trasformino la regione in una realtà monocroma ed un appello ai Pastori perché aiutino i fedeli in diaspora.
Più ‘tecnico’ nella sua seconda parte, il testo si rivolge ad alcune delle principali categorie che costituiscono la Chiesa cattolica: patriarchi, vescovi, sacerdoti, seminaristi, consacrati. A tutti loro viene ricordata l’importanza dell’unità con il Vescovo di Roma, dell’annuncio coraggioso del Vangelo, della gestione corretta dei beni ecclesiali, della testimonianza di una vita irreprensibile, del riferimento alla Parola di Dio. Il Papa richiama poi il valore sia del celibato, dono di Dio alla Chiesa, sia del ministero dei preti sposati, antica tradizione orientale. Anche i laici, membri della Chiesa grazie al battesimo, sono invitati ad essere audaci nella causa di Cristo, promuovendo la libertà religiosa ed il rispetto della dignità della persona.
Un paragrafo a parte è poi dedicato alla famiglia: per essa, Benedetto XVI chiede sostegno nei problemi e nelle difficoltà e ricorda che si tratta di un’istituzione divina, fondata sul sacramento indissolubile del matrimonio tra uomo e donna. “L’amore coniugale è il progetto paziente di tutta una vita”, scrive il Pontefice: di fronte ai modelli contrari al Vangelo veicolati da una certa cultura contemporanea, allora, la famiglia ritorni alla sua identità più profonda, per essere davvero Chiesa domestica, maestra di preghiera, vivaio di vocazioni, scuola di valori etici, cellula fondante della società. Ed al suo interno, la donna sia alla pari dell’uomo e non sia discriminata, perché tali atti offendono Dio stesso.
Il pensiero di Benedetto XVI va poi ai giovani: esortati a non aver paura o vergogna di essere cristiani e a coltivare l’amicizia con Gesù, vengono anche invitati a guardare alla modernità con saggezza, senza farsi sedurre dal materialismo o dall’uso indiscriminato di certi social network che distruggono le vere relazioni umane. Inoltre, il Papa chiede a genitori, educatori e istituzioni la tutela dei diritti dei minori sin dal concepimento.
La terza parte dell’Esortazione la si potrebbe definire ‘dottrinale’: il Papa raccomanda infatti una vera pastorale biblica per dissipare pregiudizi o idee errate, e sottolinea l’importanza della liturgia il cui rinnovamento – dove necessario – deve essere fondato sulla Parola di Dio. Essenziale poi il richiamo al battesimo, che permette la comunione e la solidarietà, e ai sacramenti del perdono e della riconciliazione, per promuovere iniziative di pace anche in mezzo alle persecuzioni.
Il documento, poi, ricorda che l’evangelizzazione è una missione essenziale della Chiesa e che quindi anche i cattolici del Medio Oriente devono rinnovare il loro spirito missionario, sfida quanto mai urgente in un contesto multiculturale e pluri-religioso. Un forte stimolo, in questo senso, potrà derivare dall’Anno della fede. E ancora: il Papa si sofferma sulla carità e ricorda che, sull’esempio di Cristo, la Chiesa deve farsi vicina ai più deboli, agli emarginati, ai sofferenti, ai poveri. Un ringraziamento particolare viene poi rivolto a tutti coloro che operano in modo straordinario nei centri educativi, nelle scuole, nelle università cattoliche poiché dimostrano che c’è, in Medio Oriente, la possibilità di vivere nel rispetto e nella collaborazione, attraverso l’educazione alla tolleranza.
L’Esortazione presenta, inoltre, alcune proposte concrete, come una traduzione comune del Padre Nostro nelle lingue locali della regione; l’indizione di un Anno Biblico, seguito da una Settimana annuale della Bibbia; lo sviluppo delle nuove forme di comunicazione, essenziali per l’evangelizzazione; un accordo ecumenico sul riconoscimento del battesimo tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese con cui è in dialogo teologico. Infine, il Papa chiede libero acceso, senza restrizioni, per i fedeli che si recano in pellegrinaggio ai Luoghi Santi.
Nelle ultime pagine del testo, Benedetto XVI torna ad invocare la pace legata alla giustizia, e non solo come assenza di guerra. Politici e religiosi devono fare il possibile per eliminare le cause delle sofferenze di tutti coloro che vivono in Medio Oriente, mentre i cristiani devono dare testimonianza di Cristo uniti e con coraggio. Perché si tratta di una testimonianza non facile, ma esaltante.
Padre Samir: la presenza del Papa, segno forte del suo sostegno a tutti i popoli del Medio Oriente
◊ Padre Federico Lombardi ha sottolineato, parlando con i giornalisti, come il grande messaggio di questo viaggio sia di per sé già la sola presenza del Papa in Libano nonostante le tensioni in Medio Oriente. Una riflessione che trova d’accordo padre Samir Khalil Samir, docente dell’Università Saint Joseph di Beirut, intervistato da Alessandro Gisotti:
R. – E’ un segno forte del sostegno che il Santo Padre dà non solo ai cristiani, ma a tutta la regione mediorientale, perché questo segno dice: malgrado i rischi e tante persone che dicevano: “Ma è prudente per il Santo Padre venire?”, è un segno forte che invece dice: “Io sto con voi, condivido le vostre difficoltà per quanto posso”.
D. – Ecco: questo è proprio un segno forte. Il Papa è per tutta la regione, per tutti i popoli del Medio Oriente: cristiani, musulmani …
R. – Assolutamente! E’ il Papa dei cattolici, d’accordo. Ma è Padre di tutti quanti! E si vede dai suoi appelli continui, regolari riguardo al Medio Oriente quando invoca la pace. La Chiesa è interessata al mondo, ad ogni persona,ad ogni cittadino del mondo, soprattutto a quelli che sono in difficoltà.
D. – Su quali temi è più facile raggiungere una concreta collaborazione tra cristiani e musulmani in Medio Oriente, anche guardando a questa nuova fase che viene chiamata “Primavera araba”?
R. – Prima di tutto, la dimensione sociale. Anche lì, infatti, la Chiesa – le Chiese! – del Medio Oriente giocano un ruolo importante riguardo ai poveri, agli immigrati, ai prigionieri. Questo è un aspetto. L’altro aspetto è quello culturale, soprattutto educativo. Circa il 50 per cento della popolazione del Libano, compresi i musulmani - soltanto per fare un esempio - frequentano le scuole cattoliche, almeno per i primi sei anni di scuola. E questo perché vogliono avere una base solida, intellettuale, ma anche morale ed etica, che queste scuole assicurano. Sono poi numerosissime le università cristiane, che vedono anche una forte partecipazione musulmana. I cristiani rappresentano il ponte tra il mondo musulmano, perché abbiamo la stessa cultura araba, la stessa storia comune, e il mondo occidentale, perché - grazie alla fede - abbiamo una cultura - ad esempio - relativa ai diritti umani fondamentali, che deriva proprio dal pensiero cristiano, anche se in questa regione è poco sviluppato.
D. - Quindi l’emergenza educativa, così a cuore a Benedetto XVI, è fondamentale anche nel Medio Oriente?
R. - Assolutamente sì. Spesso le nostre scuole, le nostre università hanno formato l’élite musulmana della politica, della diplomazia: sono stati nostri alunni e questo significa un impatto sulla società civile più forte di quanto rappresentano numericamente i cristiani.
I giovani del Medio Oriente: aspettiamo dal Papa una parola di speranza vera
◊ Questa sera il Papa incontra i giovani nel piazzale antistante il Patriarcato maronita di Bkerké. Su questo momento particolarmente atteso della visita papale, il nostro inviato a Beirut Alessandro Gisotti ha intervistato padre Toufic Bou Hadir, coordinatore dell’incontro dei giovani libanesi con il Papa:
R. – All the youth are waiting...
Tutti i giovani stanno aspettando di incontrare il messaggero di Pace, Benedetto XVI. Lui porta con sé la gioia della speranza, del Signore Gesù. E noi abbiamo bisogno di questo, specialmente di un segno di speranza e di pace, nella nostra regione ferita dalla violenza. Possiamo andare ovunque nel mondo, ma qui noi abbiamo un messaggio da vivere assieme alle altre religioni. E’ un’esperienza personale, quella che i nostri giovani stanno vivendo qui. Ecco perché siamo davvero molto felici per questa visita benedetta.
D. – I giovani vogliono un incoraggiamento dal Papa per restare in Libano, in Medio Oriente, per dare una testimonianza della loro fede...
R. – Yes, for sure and that’s why...
Sì, certo! Ecco perché noi ci siamo preparati con grande entusiasmo. Quello che il Medio Oriente sta vivendo viene chiamata la “primavera araba”, ma questa primavera è circondata dal sangue, dal terrore, dalle bombe. Noi invece abbiamo bisogno della primavera del cuore, della primavera della Bibbia, della primavera della vera pace. Giovanni Paolo II ha detto, 15 anni fa, quando è venuto in Libano: “Il cambiamento che volete nella vostra terra, deve essere prima di tutto un cambiamento nei vostri cuori”. Ecco perché vogliamo così tanto testimoniare che il Libano è più di un Paese: è un messaggio.
Ma quali sono le principali sfide che interessano in particolare i giovani cristiani di questa regione? Alessandro Gisotti lo ha chiesto a padre Jules Boutros, della Chiesa siro-cattolica:
R. - La prima sfida è: perché rimanere in Medio Oriente, in questi Paesi che soffrono, che hanno sete di pace, di tranquillità, di stabilità? Che hanno tanto bisogno di un futuro sereno, di un futuro in cui i giovani possono costruire una famiglia, avere una casa, mandare i propri figli a scuola, all’università, avere un buon servizio sanitario? La sfida è vivere la fede cristiana senza paura.
D. - Lei in queste settimane, in questi mesi, ha incontrato tanti giovani e ha parlato con loro. Cosa si aspettano i giovani del Libano dal Papa?
R. - I giovani del Libano aspettano l’insegnamento del Papa; il suo insegnamento così profondo da cui possono trarre consigli per vivere come giovani cristiani in questo Paese. Si aspettano che Sua Santità porti con sé una speranza vera, che come capo della nostra Chiesa possa essere accanto a loro per affrontare le loro sfide. Aspettano anche la sua preghiera e la sua azione per la pace in questo Paese e in Medio Oriente.
Infine, Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di Joseph Sawaya, delegato del Movimento dei Focolari nel comitato per l’incontro dei giovani con il Papa:
R. – Aspettiamo che questa visita ci dia per prima cosa la pace, perché noi in questa regione soffriamo tanto le tensioni attorno a noi. Pure in Libano ci sono tensioni fra la gente. La seconda cosa che aspettiamo è una Chiesa moderna, perché Gesù è moderno anche adesso e chiediamo che la Chiesa ci dia una mano a testimoniarlo di più.
D. – Il Movimento dei Focolari ha proprio nel suo spirito, nella sua missione, il dialogo interreligioso. Quanto è importante questo tra i giovani del Libano?
R. – E’ una cosa molto importante, perché dopo la guerra, noi come giovani, vogliamo avere questo dialogo con gli altri, con altri giovani, specialmente musulmani, per costruire un Libano di pace, dove ci sia un messaggio di pace per tutto il mondo.
D. – Il Medio Oriente, purtroppo, non ha ancora avuto una Gmg, però, a Beirut sarà come una piccola Giornata mondiale della gioventù...
R. – Certo, la visita del Papa sarà un’opportunità per tutti i giovani libanesi, per tutti i giovani del Medio Oriente, stando qui con noi, per costruire la pace, perché questo è il nostro scopo: noi vogliamo che qui ci sia la pace.
◊ Il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare della diocesi di Gniezno (Polonia), presentata da mons. Bogdan Wojtuś, per raggiunti limiti di età.
Il Papa ha nominato membri della Congregazione delle Cause dei Santi il cardinale Ennio Antonelli, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e mons. Gianfranco Girotti, vescovo titolare di Meta, reggente emerito della Penitenzieria Apostolica.
◊ In prima pagina, un editoriale del direttore sulla visita del Papa in Libano. All’interno, i discorsi di Benedetto XVI, le sintesi degli indirizzi d’omaggio e la cronaca dell’inviato Mario Ponzi.
Il mondo sospeso di Rasha: nell’informazione internazionale, un articolo, da Beirut, di Maria Laura Conte sui profughi siriani in Libano.
L’ottimismo del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, sul futuro dell’euro.
Dilaga la protesta dei minatori sudafricani.
Film su Maometto. Al Qaeda incita alla violenza, dilaga la protesta islamica
◊ Non si placano le contestazioni seguite al film, ritenuto blasfemo, su Maometto. L’Onu condanna le violenze, mentre il ramo yemenita di Al Qaeda ha esortato i musulmani, che vivono in Occidente, a colpire obiettivi chiave. Forze statunitensi stanno convergendo su Yemen e Libia, mentre i talebani Afghani hanno rivendicato l'attacco alla base militare di Camp Bastion, dove è di stanza il principe Harry e dove sono morti due marines. I terroristi hanno messo in relazione l’attentato con la diffusione della pellicola ritenuta offensiva per l’Islam. Massimiliano Menichetti:
Al Qaeda cavalca le violenze che si sono innescate per il film ritenuto offensivo per l’Islam e dallo Yemen esorta a colpire ogni obiettivo sensibile ed uccidere, come già avvenuto in Libia. Rafforzano, il messaggio di morte, i talebani Afghani che hanno rivendicato l'attacco alla base militare di Camp Bastion, nella provincia meridionale di Helmand. Qui sono morti due marines ed è di stanza il principe Harry, ritenuto obiettivo primario per i terroristi. In queste ore centinaia di militari egiziani hanno usato il pugno duro contro i manifestanti che questa mattina hanno occupato piazza Tahrir, al Cairo. Nelle ultime 24 ore oltre 18 Paesi, sono stati coinvolti dalla furia degli integralisti islamici. Dal Marocco all’Australia, passando per Libia, Egitto, Pakistan, Iran, Yemen, India, Indonesia si sono registrate manifestazioni, bandiere bruciate, cortei. Misure di massima sicurezza sono state prese dal governo di Khartoum, in Sudan, dove ieri sono state assaltate le ambasciate di Gran Bretagna, Usa e data alle fiamme quella Tedesca. L’Onu ha condannato le violenze che definisce ingiustificabili e chiesto ai governi di assicurare “massima protezione” alle sedi diplomatiche. Promette rigore la Tunisia, teatro ieri di un ennesimo assalto all’ambasciata Usa; serrati i controlli in Libano dopo gli scontri, a Tripoli e gli assalti a ristoranti legati a catene americane e ad una scuola. Nove le vittime complessive confermate in questa orrenda giornata di violenza. “Porteremo i killer di Bengasi dinanzi alla giustizia; gli Stati Uniti non si ritireranno mai dal mondo” è la ferma intenzione espressa dal presidente Usa Obama che, ieri, ha accolto le salme dei quattro americani uccisi a Bengasi l’11 settembre scorso ed ufficializzato al Congresso lo spostamento di forze di sicurezza in Libia e Yemen.
Sulla situazione Emanuela Campanile ha raccolto il commento di Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all'Università Cattolica di Milano:
R. – Dire che il film sia solo un pretesto significa sminuire il senso di offesa che i fedeli musulmani hanno nei confronti di chiunque attacchi la loro religione e le basi fondanti della loro religione. Detto questo, è evidente che c’è un’agenda politica che è preparata da anni – nel caso di al Qaeda – e da mesi nel caso dei salafiti, e questo film, questo incidente rientra perfettamente nei loro piani.
D. – Quindi, possiamo dire che non è la società civile che si sta scatenando per protesta?
R. – Teniamo presente che il concetto di società civile in certi Paesi è molto diverso dal nostro, tanto è vero che la maggior parte delle proteste sono avvenute in Paesi con una forte presenza tribale come nello Yemen, in Libia, in Afghanistan oppure in Paesi dove ci sono forti tensioni politiche. Allora il film serve, è un pretesto per portare avanti le proprie agende politiche. Lo si vede, ad esempio, benissimo in Egitto. Lì, al di là dello sdegno che accomuna tutta la popolazione musulmana e non solo, sono stati i salafiti i più aggressivi ed i più violenti. Perché? Perché i salafiti vogliono premere sul presidente Morsi, che è un presidente islamista, dei Fratelli musulmani; ma i salafiti li vogliono condizionare e vogliono rubare loro un po’ la scena.
D. – Che cosa possiamo prospettare, ovviamente in riferimento al futuro più prossimo?
R. – La Primavera araba sembrava dover portare una ventata di cambiamento e l’ha portata; ma non mi sembra stia portando né una grande democrazia reale né una grande stabilità. Quello che sembra stia a venire - oltre alle guerre civili e sanguinose come in Sira, come gli scontri passati in Bahrein, in Yemen e in Libia - è un sistema di “democrazie illiberali”, dove una maggioranza – in questo caso i partiti islamisti – prende il potere e vuole condizionare sempre più tutta la società, anche le minoranze non musulmane. Lo si vede bene in Tunisia dove un partito islamico, Hennada, che doveva essere un partito molto moderato, pragmatico in realtà in pochi mesi, cambiando la Costituzione in modo estremamente peggiorativo per le donne, per le minoranze, ha dato segnali effettivamente preoccupanti.
D. – Quindi, sarà più difficile anche trovare punti di contatti nel dialogo?
R. – Non c’è alternativa al fatto del dialogo, di parlarsi e di tenere aperti dei ponti. Quello che rimane è la difficoltà, anche perché non solo ci sono differenze valoriali ma, soprattutto con il mondo sunnita, non ci sono autorità religiose, gerarchiche ed è quindi molto difficile instaurare un dialogo che sia accettato da tutti. E soprattutto io credo che dalla parte del mondo islamico ci sia davvero bisogno di una forte discussione interna, di rinnovamento per avere un atteggiamento meno dogmatico, meno letterale nella interpretazione della propria legge religiosa. Per avere un vero dialogo occorrerebbe, da parte dei musulmani, una maggiore flessibilità al loro interno, per tollerare letture meno rigidamente uniformi.
Sud Sudan: emergenza per il rimpatrio forzato di migliaia di persone
◊ Emergenza umanitaria in Sud Sudan, il più giovane Paese africano nato, dopo anni di guerra civile, con l’indipendenza dal Nord raggiunta a luglio 2011. In seguito alla secessione, migliaia di persone residenti al Nord ma originarie del Sud sono costrette a rimpatriare. Affrontano viaggi lunghi e pericolosi e gravi difficoltà, come spiega, nell’intervista di Luca Pasquali, Ylenia Danini di “SOS Villaggi dei Bambini”, una Onlus che ha allestito due campi di assistenza nella regione:
R. – La Sos villaggi dei bambini è un’organizzazione internazionale che si impegna da più 60 anni nell’accoglienza di bambini privi di cure familiari e sviluppa programmi di rafforzamento famigliare per famiglie in difficoltà. Sos villaggi Opera in 133 Paesi del mondo, quindi l’Italia compresa, e aiuta di due milioni di persone.
D. – Qual è l’attuale situazione nel Sud Sudan?
R. – In seguito alla secessione e alla dichiarazione di indipendenza del 2011, il governo del nord di Karthoum ha obbligato le persone che risiedevano al nord ma originarie del Sud al rimpatrio forzato. E’ una situazione in cui persone che non hanno mai visto il sud ma tantomeno ci hanno vissuto sono pronte a lasciare tutto, perdono tutto, il lavoro, la casa, tutto quello che avevano costruito negli anni, per spostarsi al sud. Il Sud Sudan peraltro è uno Stato molto povero, privo di quelle risorse necessarie per accogliere le centinaia di migliaia di cui si parla di persone forzate al rimpatrio. Questo comporta ovviamente che queste persone, oltre a non conoscere il territorio, non sanno dove recarsi e quindi vengono accolte in questi centri di transito. I centri di transito sono quelli di Malakal e Juba nei quali Sos villaggi dei bambini ha avviato alcuni centri temporanei di supporto all’infanzia in cui ci sono sia attività di tipo ludico e educativo sia supporto psicologico per i bambini. Come si può immaginare oltre a giornate estenuanti, spesso questi bambini hanno vissuto anche veri e propri combattimenti, hanno rischiato la morte nel trasferimento dal nord al sud.
D. – Quali prospettive possono avere nell’immediato futuro queste persone?
R. – E’ molto difficile da dirsi. Non avendo idea di che cosa fare, di dove andare, sono costretti a rimanere per mesi nei centri di transito e magari a vedere alcuni familiari spostarsi per andare a cercare un modo per sopravvivere nel sud. Quello che stiamo cercando di fare oltre ad avviare questi centri Sos e a supportare l’infanzia è valutare l’accoglienza temporanea di alcuni di questi bambini e allo stesso tempo avviare le procedure di ricongiungimento famigliare nel momento in cui sono o bambini non accompagnati o bambini orfani per i quali cerchiamo di capire se ci sono ancora parenti alla lontana o parenti di amici che possano prendersi cura di loro.
D. – Quali sono le principali difficoltà a cui dover fare fronte attualmente e di che cosa c’è più bisogno?
R. – Le difficoltà sono enormi, come accennavo prima. Si pensa che si perde tutto e si perde tutto anche ciò che si è costruito. Tra l’altro, da uno Stato che si conosce ci si trasferisce in uno Stato la cui origine è pressoché sconosciuta e in realtà ci sono molte differenze a partire dalla lingua. L’arabo è simile, ma parlano principalmente inglese nel sud. Anche per quanto riguarda il cibo, al momento, per esempio, nei centri di transito c’è disposizione solo di cibo base che è un cereale bollito mentre invece i bambini erano abituati al nord a mangiare frutta, latte, e quindi hanno fame. Tra l’altro questa tipologia di cibo base rischia anche di causare la diarrea, soprattutto nei più piccoli. A questo si sommano le violenze, gli scontri che continuano soprattutto nel viaggio tra il nord e il sud e le migliaia e migliaia di persone che sono ancora da rimpatriare.
D. – In Sudan la religione dominante è l’islam, nel Sud Sudan invece c’è una forte componente cristiana, quanto influisce la questione religiosa su questa situazione?
R. – Per quanto riguarda il nostro lavoro preferiamo che la questione religiosa non incida nelle nostre attività nel senso che noi in tutto il mondo ci siamo sempre mossi, abbiamo sempre sostenuto la popolazione indipendentemente dal credo religioso. Sicuramente, purtroppo, all’origine di questi scontri c’è anche una dinamica di questo tipo.
D. – Qual è l’attenzione della comunità internazionale e come la si può ulteriormente sensibilizzare?
R. - Noi stiamo provando a fare la nostra parte, quello che possiamo dire è di recarsi sul nostro sito che è www.sositalia.it e aiutarci a sostenere la popolazione. Noi continueremo a sostenerla tramite le attività di accoglienza per bambini a livello temporaneo e con il sostegno alle famiglie. Quello che chiediamo è di sostenerci anche attraverso le adozioni a distanza. Abbiamo due villaggi Sos in cui accogliamo più di 200 bambini, quindi potete darci una mano, ve ne saremo eternamente grati.
D. – La vostra Onlus opera in oltre 130 Paesi nel mondo. Data la vostra esperienza sul campo quali sono i principali luoghi oggi in cui c’è maggiore bisogno di aiuto?
R. – Purtroppo sono tanti, non sono solo in Africa. E’ chiaro che la nostra presenza in questi 133 Paesi si suddivide nelle aree che hanno più bisogno ma non solo. Sicuramente la concentrazione è di più in Asia e in Africa, ma anche in America Latina. Purtroppo, è molto difficile dire le aree in cui c’è più bisogno.
Fiat: cresce la paura tra gli operai. Il vescovo di Melfi: governo e azienda facciano di più
◊ Il caso Fiat. Dopo il botta-risposta tra l’amministratore delegato dell’azienda Marchionne e l’imprenditore Della Valle, che accusa i vertici del Lingotto di “scelte inadeguate e di parte”, aumenta la paura nelle quattro fabbriche di Mirafiori, Pomigliano, Cassino e Melfi, dove la produzione è ferma e centinaia di lavoratori sono già in cassa integrazione. Una situazione che preoccupa e che deve essere trattata con trasparenza, come sottolinea il vescovo di Melfi, mons. Francesco Todisco, al microfono di Cecilia Seppia:
R. - In passato non soltanto a titolo personale ma a nome della Conferenza episcopale della Basilicata abbiamo chiesto un incontro con le maestranze della Fiat, in particolare con la dirigenza, proprio per avere un minimo di risposta per quanto riguarda il futuro dell’azienda. Se pensiamo che soltanto alla Fiat, cioè a questo stabilimento ad alta tecnologia di Melfi, lavorano 5.500 persone e se aggiungiamo poi quelli dell’indotto arriviamo a oltre 10.000 lavoratori, ci rendiamo conto della gravità della situazione. E in questo momento, posso assicurare che già qualche azienda dell’indotto ha chiuso per mancanza di richieste da parte della Fiat. Questo è preoccupante.
D. - Tra i rappresentanti dei vari partiti c’è chi sostiene che la Fiat ha già ricevuto molto dagli interventi della politica, però forse c’è bisogno che il governo faccia qualcosa di più, che il governo agisca anche per tutelare quelli che sono marchi nazionali…
R. - I segnali che il governo tecnico sta dando sembrano segnali positivi ma non bastano. E’ necessario anche che ci siano da parte degli imprenditori segnali positivi ed è chiaro che dalla Fiat noi ci aspettiamo qualcosa di molto più concreto. Io sono venuto a sapere, ma i giornali già lo hanno detto in questi giorni, di questo nuovo modello che non è stato lanciato sul mercato proprio a causa della crisi economica. Personalmente io penso che chi ha investito tanti soldi in un progetto del genere non si tiri indietro, però resta sempre il punto interrogativo: cosa sarà domani? Penso anche che il governo che, finora ha cercato di risanare questo debito pubblico, possa veramente dare la spinta iniziale, quindi invogliare gli imprenditori a investire nel nostro Paese. Infine penso che sia necessaria la trasparenza tra l’azienda e i lavoratori.
D. - Diciamo anche che da nord a sud la crisi sta piegando, sta mettendo in ginocchio, non soltanto il settore delle auto ma tutto il mondo industriale. Pensiamo all’Ilva di Taranto o all’Alcoa a Carbosulcis… Quello che si prospetta è uno scenario drammatico e sempre di più il lavoro diventa una vera e propria emergenza?
R. - Senz’altro. Io credo che il governo qui gioca un ruolo importante. Io non credo che all’Ilva di Taranto il problema dell’inquinamento sia sorto negli ultimi anni; è un problema vecchio, la gente lo sapeva. Perché il governo non è intervenuto prima? O chi doveva intervenire? Chi è preposto alla salute dei lavoratori che lavorano all’Ilva o lavorano nelle acciaierie di altri posti? Oppure come quelli che stanno in miniera che veramente mettono a repentaglio la propria salute.
D. - Qual è il messaggio che la Chiesa vuole dare in questo momento di crisi per i lavoratori, per le loro famiglie…
R. - E’ importante che il nostro modo di vivere il lavoro sia orientato a produrre per il bene della comunità. Io mi auguro soltanto che riusciamo tutti quanti noi a uscire fuori da questo tunnel che comincia ad essere abbastanza lungo e che si possa veramente ridare speranza e fiducia ai lavoratori, alle famiglie, ma soprattutto al nostro Paese.
Convegno delle Acli a Orvieto sulla presenza dei cattolici in politica
◊ No all’astensionismo ma i partiti devono fare proposte concrete per far uscire il Paese dalla crisi. Lo chiedono le Acli che oggi a Orvieto hanno chiuso il loro convegno di studi sul tema "Cattolici per il bene comune. Dall'irrilevanza al protagonismo". Il leader dell’Udc, Pierferdinando Casini, dice no ad alleanze solo per vincere le elezioni, ma per il segretario del Pd Perluigi Bersani è urgente una vasta alleanza contro i populismi. Sia Casini sia Bersani sono d’accordo sulla proposta di Olivero di dare la cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia. Il servizio da Orvieto di Alessandro Guarasci:
Le tendenze demagogiche non hanno nulla di affascinante. Per questo, per Olivero, è il momento delle scelte, partendo da una legge elettorale che dia la possibilità ai cittadini di scegliere chi va in Parlamento e che palesi le alleanze prima del voto. E poi per Olivero, chi è impegnato in politica deve impegnarsi su proposte concrete. Ad esempio: un piano straordinario per l’occupazione giovanile, uno strumento di contrasto alla povertà, un fisco a fattore di famiglia, la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. Dunque bisogna abbandonare ogni tatticismo. Il leader dell’Udc, Pierferdinando Casini, dice che le alleanze si fanno su progetti concreti, quindi no ad accordi preelettorali che si sfasciano pochi mesi dopo il voto, ma sì alle preferenze. Casini poi sembra meno pessimista di Olivero e afferma che il ‘grillismo’ sta conoscendo un momento di crisi. Attacco poi di Casini a Marchionne, amministratore delegato della Fiat, “perché – afferma il leader dell’Udc – ancora non ha prodotto un nuovo modello di auto”. Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, aggiunge che la prossima legislatura deve saldare il rapporto tra politica e società e afferma di pensare ad un’alleanza di forze progressiste e moderate per battere i populismi. Bersani poi rinnova l’invito a tutti i partiti a fare proposte concrete per la legge elettorale. Il Pd punta a un sistema con collegi uninominali e a una maggiore parità di genere. Da Padova, il segretario del Pdl, Angelino Alfano, si dice disposto a una legge elettorale fatta col più ampio consenso possibile.
“La Matita di Dio attraverso l’arte”: a Roma mostra dedicata a Madre Teresa
◊ “La Matita di Dio attraverso l’arte”: è questo il titolo scelto per la mostra dedicata a madre Teresa di Calcutta a 15 anni dalla scomparsa, che viene inaugurata oggi presso la Libreria internazionale Paolo VI a Roma. Alla tavola rotonda di apertura, nel pomeriggio, parteciperanno padre Sebastian Vazhakala, superiore generale dei Missionari della Carità Contemplativa, il direttore della Libreria Editrice Vaticana (Lev) don Giuseppe Costa, l’europarlamentare Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita. Con loro anche il critico d’arte Giorgio Palumbo e Claudia Mula, autrice del progetto. Si tratta di opere di 12 artisti kosovari che rimarranno esposte fino al 21 settembre. Fausta Speranza ha intervistato il regista Gjon Kolndrekaj:
R. – Madre Teresa era molto essenziale nelle cose, però amava la comunicazione positiva, per far riavvicinare il più possibile la gente alla realtà quotidiana, cioè la povertà. Madre Teresa era essenziale nella sua interiorità, nel senso che non amava la promozione della propria persona ma amava promuovere tutto il bene della persona attraverso la comunicazione in generale. Era, infatti, una grande comunicatrice. L’ho visto avendo avuto modo di incontrarla varie volte. L’ho conosciuta nel ’77 e le sono stato vicino fino al 1989, quando l’ho riportata per la prima volta in Albania. Lei, decisamente, amava tutto ciò che era comunicazione per il bene dell’uomo, per il bene dell’umanità.
D. – Si tratta di opere di artisti kosovari: c’è qualcosa di particolare, un filo che torna nei quadri in mostra?
R. – Dodici giovani artisti, che naturalmente le hanno dedicato ognuno un quadro. Fa molto piacere ricordare che sono di origine kosovara e sono di religione musulmana. Fa piacere pensando a livello interreligioso a quanto sia importante il dialogo oggi nel mondo. L’idea della mostra con loro mi è piaciuta subito. E parlando con don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana, ho trovato subito appoggio. Lui ha accettato subito. Abbiamo visto come si siano ispirati al tema di Madre Teresa e come ognuno le abbia dedicato un quadro, con una propria visione. E, a dire la verità, guardandoli, i quadri hanno un valore artistico veramente alto. Fa piacere che sia un lavoro fatto dai giovani e dedicato ad una figura universalmente riconosciuta.
D. – Ci sono già in programma altre esposizioni, oltre a questa di Roma?
R. – Sì, gli artisti kosovari andranno poi in varie parti della Comunità Europea e naturalmente concluderanno in Kosovo. L’inizio, però, l’hanno avuto qui, dalla Libreria Editrice Vaticana.
Sagra musicale umbra: premiato il compositore vicentino Giovanni Bonato
◊ La musica sacra è stata protagonista ieri sera a Perugia, nell’ambito della 67.ma Sagra musicale umbra. Alla presenza del vescovo Carlos Alberto Azevedo, inviato del cardinale Gianfranco Ravasi, si è svolta nella Basilica di S. Pietro del capoluogo perugino la prima edizione del Concorso “F. Siciliani”, che prevedeva la messa in musica del testo dell’antico “Credo Apostolico”. A sfidarsi i lavori di tre autori, selezionati da una prestigiosa giuria internazionale tra altre 210 partiture giunte da cinque continenti. Esecutore di eccezione St. Jacob’s Chamber Choir di Stoccolma, diretto da Gary Graden. Al termine, il voto della giuria e del pubblico – quest’ultimo raccolto in tempo reale in Basilica con un innovativo sistema di tablet – ha premiato il compositore vicentino Giovanni Bonato. Alessandro De Carolis lo ha intervistato:
R. - E’ stata una bella sorpresa, una grande gioia e ovviamente una certa emozione, perché, grazie a Dio, di premi ne ho vinto già qualcuno, ma l’ultimo è sempre il più bello!
D. - 210 partiture arrivate da molte parti del mondo, da tutti e cinque i continenti. Come interpreta questo successo incredibile?
R. - Non mi stupisce, perché la voglia di cimentarsi con il sacro non solo la sento personalmente molto viva, ma la riscontro anche in molti altri amici e colleghi e non soltanto italiani. Il fatto che sia un testo così importante, così significativo non può che essere uno stimolo in più per potersi cimentare in una sfida del genere, che è una sfida con se stessi innanzitutto, su un campo che per certi aspetti, può essere anche abbastanza minato: scrivere qualcosa di accessibile a un’assemblea, ma nel contempo fare un lavoro che abbia una sua dignità artistica non è certo semplice.
D. - Che esperienza artistica ha fatto nel mettere in musica il Simbolo degli Apostoli?
R. - Un’esperienza faticosa per certi aspetti, quantomeno all’inizio, perché bisognava un po’ prendere le misure. Lì mi sono fatto forte dell’esperienza maturata in questi anni, in cui ho scritto molta musica per coro e ho avuto la possibilità anche di sperimentare a fondo certe soluzioni: per esempio la spazializzazione è diventata ormai per me una cosa insostituibile. L’ascolto che propone, come tecnica, è un ascolto dinamico, un ascolto cha affascina e le geometrie che si creano nell’ambiente in cui si produce questa musica sono sempre estremamente variabili ed affascinanti.
D. - C’è stata un’esperienza spirituale che ha sostenuto quella artistica?
R. - Non più di altre, perché quando scrivo un pezzo di musica penso sempre comunque al sacro: per me la musica non è scindibile dal sacro. Ho dovuto chiaramente leggermi a fondo e vedermi molte immagini sonore che il testo suggerisce. Questo l’ho fatto con una certa meticolosità e ho cercato in molte maniere, tecnicamente, di avvicinarmi il più possibile alla mia idea di rincorrere questi fantasmi sonori che mi frullano per la testa con una certa costanza. D’altro canto l’idea di questo concorso non mi poteva richiedere una cosa che fosse estremamente o solamente legata alla sperimentazione. Quindi, anche lì, ho dovuto prendere le misure e poi buttarmi a capofitto.
D. - Il cardinale Ravasi, che ha patrocinato questo primo concorso di composizione di musica sacra, ha auspicato che la musica sacra viva una nuova primavera. Come legge questo auspicio?
R. - Non posso che leggerlo positivamente. Spero da tempo che la Chiesa ritorni ad essere quella ispiratrice d’arte che è stata nel passato. Basterebbe solo vedere come l’arte si è sviluppata intorno alla Chiesa per dire: “sì, io credo”.
Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
◊ In questa 24.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Pietro, dopo aver riconosciuto che Gesù è il Cristo lo rimprovera quando parla della sua morte. Il Signore allora gli dice:
«Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente emerito di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
A ridosso di due festività molto significative arriva questo Vangelo. Abbiamo celebrato la festa dell’Esaltazione della Croce e proprio in questo sabato lo sguardo si posa sull’Addolorata, avvolta nel manto nero del suo dolore. Ora il Vangelo della domenica ci presenta questa doppia scena di Pietro: in un attimo passa dalla esclamazione gioiosa rivolta a Gesù: “Tu sei il Cristo!”, al rimprovero durissimo che Gesù gli fa: “Va’, dietro a me, Satana!” Si rimane sconcertati, e lo sarà rimasto ancor più Pietro, anche se Marco non ci rivela altri particolari. In fondo Pietro pensava come molti di noi pensano: Gesù è il Messia, il Redentore, il Santo, la rivelazione di Dio Padre. E quindi non è proprio il caso di pensarlo umiliato, malconcio, peggio, morto massacrato. Eppure la sua gloria è proprio nell’essere un crocifisso amore, è una gloria vissuta con altra logica, quella del servizio. La morte di croce non è un incidente fuori programma, non è un fantasma da togliere via: è il sigillo della sua vera identità, la prova certa della sua totale dedizione al nostro bene. È anche la strada dei veri discepoli, che seguono il Maestro, e portano così ogni giorno la fatica del mondo a lasciarsi rinnovare.
La crisi siriana è una minaccia per il mondo. L’inviato Onu Brahimi incontra il presidente Assad
◊ “Il conflitto si sta aggravando e rappresenta una minaccia per il popolo siriano, per la regione nel suo complesso e per il mondo. Penso che il presidente Assad conosca meglio di me le dimensioni della crisi e la sua gravità”. Con queste parole l’inviato speciale dell’Onu e della Lega Araba Lakhdar Brahimi descrive l’incontro di questa mattina con il presidente siriano Assad, il primo da quando ha assunto il ruolo di inviato di pace dell’Onu al posto di Kofi Annan. “È terribilmente importante e urgente affrontare la questione nel modo dovuto” continua Brahimi, annunciando che metterà a punto un piano d’azione solamente dopo aver incontrato tutte le parti, compresi i Paesi che hanno interesse o influenza nella questione siriana. Da parte sua il presidente Assad ha ribadito di essere pronto a cooperare con “ogni sforzo per risolvere la crisi, a patto che sia neutrale e indipendente”, esortando i siriani al dialogo. Intanto la situazione si aggrava e, dopo circa 18 mesi, non accennano a fermarsi gli scontri e le uccisioni. Proprio questa mattina fonti locali raccontano di nuovi bombardamenti da parte delle forze governative in molte località, compresi alcuni sobborghi di Damasco, e l’Osservatorio siriano dei diritti umani riferisce che ieri hanno perso la vita altre 160 persone. Sulla questione siriana quest’oggi si è espresso anche il ministro degli Esteri Giulio Terzi intervenendo al World e-Parliament 2012. “L’uso indiscriminato della forza contro i propri cittadini è uno dei crimini più barbari al quale assistiamo da tempo – ha affermato il ministro, sottolineando poi che “la transizione dovrà essere guidata interamente dal popolo siriano, per assicurare rappresentatività ad ogni forza sociale, comprese le minoranze religiose”. (L.P.)
Oggi Giornata Internazionale della Democrazia. Il messaggio di Ban Ki-moon
◊ “Le democrazie non nascono in un giorno o attraverso una o due azioni. Al contrario, esse richiedono un lavoro incessante. Tuttavia, una volta avviate, esse segnano un punto di non ritorno”. Con queste parole il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-moon, introduce l'odierna Giornata Mondiale della Democrazia, che si celebra ogni anno il 15 settembre. Il tema di quest’anno è “educare alla democrazia”, aspetto fondamentale perché i cittadini comprendano a pieno i propri diritti e le proprie responsabilità, perché possano arrivare al rispetto dei diritti umani, ad avere voce in capitolo nelle scelte che riguardano il proprio futuro, ma anche, giustizia e un equo accesso al potere politico, tutto ciò al quale i popoli aspirano. E per raggiungere questo, sottolinea il Segretario Generale, “occorre promuovere il pluralismo e tutelare i diritti e le opportunità delle minoranze e dei più vulnerabili”, imparando a vedere la diversità “come un punto di forza”. Per questo il dialogo inclusivo è cruciale. Un occhio di riguardo poi va rivolto alle donne che sono state al centro dei tanti movimenti fondamentali nei processi democratici e che, quindi, “devono essere al centro degli sforzi volti a costruire le future democrazie”. Altro aspetto centrale per lo sviluppo di un vero corso democratico è rappresentato dalla capacità di intervenire soprattutto a livello locale, sviluppando cioè la cooperazione tra gli esperti, formando una vera e propria cultura della partecipazione civica. “Nel celebrare questa Giornata Internazionale della Democrazia – si legge in conclusione del messaggio di Ban Ki-moon – invito a utilizzare tutta la nostra creatività per far progredire questa missione, rendere l’educazione alla democrazia accessibile a tutti e, in particolare, a quelle società in transizione che più ne hanno bisogno”. (L.P.)
Niger: torna la calma a Zinder dopo l'assalto alla chiesa cattolica
◊ Sono tutti salvi i religiosi e i fedeli che si trovavano nella chiesa cattolica di Zinder assaltata ieri da un gruppo di uomini armati: lo dicono all'agenzia Misna fonti dell’arcidiocesi di Niamey, sottolineando che l’episodio si inserisce nel quadro dei disordini scoppiati dopo la diffusione su internet di un film anti-islamico offensivo nei confronti del profeta Maometto. “Grazie all’intervento della polizia – dicono alla Misna – il pericolo è rientrato e la situazione sembra tornata alla calma”. Secondo le fonti, durante l’assalto religiosi e fedeli si erano rifugiati nella canonica della chiesa. Gli uomini armati avrebbero fatto irruzione nell’edificio e in una scuola cattolica adiacente mentre a Zinder si stava svolgendo un corteo di protesta contro il film. A differenza di quanto avvenuto in tante altre capitale africane, Niamey ieri è rimasta tranquilla. Ma alcune organizzazioni islamiche, aggiungono le fonti della Misna, hanno programmato una manifestazione per oggi. Seconda città del Niger e capoluogo del dipartimento di Mirriah, Zinder è situata circa 650 chilometri a est di Niamey e circa 170 a nord della città nigeriana di Kano.
Indonesia: per il video blasfemo i musulmani moderati richiamano tutti alla calma
◊ Il Nahdlatul Ulama (Nu), la più grande organizzazione islamica moderata del Paese, risponde alle manifestazioni di protesta contro il film blasfemo su Maometto e chiede a tutti i musulmani indonesiani di mantenere la calma. "Non possiamo nascondere le nostre critiche - ha affermato Said Agil Siradj, presidente dell'Nu - opponendoci con forza a qualsiasi messaggio, parole o immagini video contro i nostri profeti, Mosè, Isacco, Gesù e Maometto. È moralmente sbagliato diffondere questi sentimenti di odio contro i musulmani che spingono l'islam a rispondere con altrattanto odio. Davanti a una folla di giovani musulmani a Ciberon (Java Occidentale), il leader dell'Nu ha però invitato tutti a scegliere un modo diverso di esprimere il loro dissenso per queste offese: "Non c'è bisogno di scagliarsi contro le sedi diplomatiche degli altri Paesi e commettere atti vandalismo. La protesta può essere fatta in modo pacifico e attraverso altri canali adeguati". Intanto - riferisce l'agenzia AsiaNews - da diversi giorni a Jakarta le autorità hanno aumentato le misure di sicurezza intorno alle ambasciate straniere e non farsi trovare impreparati a possibili attacchi di estremisti islamici. Nonostante varie manifestazioni in tutto il Paese, la situazione appare calma. Ieri la Hibuth Tahrir, gruppo musulmano radicale ha organizzato una protesta pacifica nel centro di Jakarta dirigendosi in corteo verso l'ambasciata degli Stati Uniti. Per evitare emulazioni e impedire ai leader radicali di fomentare l'odio, il governo ha bloccato l'accesso a Youtube e messo sotto stretta sorveglianza i social network. (R.P.)
Malta: incontro della Commissione europea Giustizia e Pace sulla Primavera araba
◊ L’importanza della giustizia, un bisogno che nemmeno anni di oppressione sono riusciti a cancellare. “La primavera araba un anno dopo” è il tema attorno al quale si sviluppa l’incontro promosso dalla Commissione Giustizia e Pace Europea che si tiene a Malta, isola al centro del Mediterraneo e che da sempre svolge un ruolo chiave nelle migrazioni delle popolazioni avvenute nel corso dei secoli. “Come San Paolo trovò qui rifugio dalla tempesta così hanno fatto migliaia di persone durante la crisi in Libia” ha ricordato Roderick Agius, presidente di Giustizia e Pace malta, che ha poi sottolineato come l’isola sia “storicamente un crocevia di culture e religioni diverse ed oggi più che mai ricopre un ruolo centrale nel dialogo con i Paesi che sorgono sulle sponde del Mediterraneo, soprattutto alla luce dei cambiamenti politici in corso”. Durante l’incontro si è cercato di analizzare le cause politiche ed economiche della primavera araba che ha colto il mondo alla sprovvista, “anche se i semi di tali moti – sottolinea Arnold Cassole, politico maltese – erano stati seminati già da decenni”. Alla base della primavera araba, certamente si trovano gli atteggiamenti dei leaders di Tunisia, Egitto e Libia che, con le loro politiche che hanno privato le popolazioni della possibilità di svilupparsi e di vedere riconosciuti i propri diritti. Ma ci si è interrogati anche sul perché questi leaders siano potuti rimanere così a lungo al potere, puntando così il dito, come riporta l'agenzia Sir, sugli accordi economici che questi avevano con i Paesi dell’ovest. Ora, l’avvio di una fase nuova con l’Unione Europea in prima fila affinché in questa nuova realtà attecchisca il modello di democrazia occidentale, attraverso soprattutto l’incoraggiamento del dialogo e della cooperazione, favorendo così anche il rispetto della libertà e dei diritti umani. (L.P.)
Repubblica Dominicana: il cardinale López Rodríguez denuncia violenza contro le donne
◊ Il cardinale Nicolas de Jesus Lopez Rodriguez, arcivescovo di Santo Domingo, ha denunciato pubblicamente l'alto numero di casi di violenza contro le donne, e ha anche avvertito che "questo è un sintomo che c'è qualcosa di profondamente sbagliato nella società dominicana." "Gli uomini perdono il controllo e agiscono in modo perverso contro le loro compagne. Basta! Bisogna fermare tutto questo", ha detto ai giornalisti il cardinale nell'ambito della presentazione del progetto "Alas y Gaviotas" (Ali e Gabbiani), che mira a prevenire la violenza domestica e aiutare le donne vittime degli abusi. "Nessuno è padrone della vita degli altri, e gli uomini non possono uccidere le donne come se niente fosse... e chi lo fa, deve pagare dinanzi la giustizia", ha sottolineato il cardinale durante la presentazione dell'evento, alla quale ha partecipato anche la prima donna della nazione, Candida Motilla Medina. In una nota inviata all’agenzia Fides, il cardinale Lopez Rodriguez ha espresso la disponibilità a sostenere l'iniziativa, volta ad accogliere le coppie che vivono in situazioni di violenza e accompagnarle in una terapia personale e di coppia. Il programma prevede anche una campagna di sensibilizzazione nelle scuole. (R.P.)
Direttore della Fao incontra il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli
◊ Il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, ha incontrato il Patriarca Bartolomeo I della Chiesa Ortodossa Cristiana per rafforzare il legame delle principali religioni al mondo nella lotta contro la fame. Bartolomeo I ha detto aver ricevuto prontamente l’invito di Graziano da Silva di svolgere un ruolo ancora più importante nella lotta contro la fame per raggiungere la sfida del programma “Fame Zero” lanciato da Ban Ki-moon durante la conferenza Rio +20. Il Patriarca ha promesso di presentare la questione ai fedeli ortodossi e anche ha detto che gli piacerebbe discutere il tema con Benedetto XVI. (I.P.)
Papua Nuova Guinea: l'Anno della fede, una sfida per i giovani
◊ L’Anno della fede è “l'occasione per rinnovare e ravvivare la nostra fede cattolica, e questo può essere più facile per voi giovani della Papua Nuova Guinea seguendo i passi del Beato Peter To Rot, modello di fede dei nostri tempi”: con queste parole il nunzio apostolico in Papua Nuova Guinea e Isole Salomone, l’arcivescovo Santo Gangemi, si è rivolto ai giovani dell’arcidiocesi di Rabaul, incontrandoli nei giorni scorsi in una visita ai centri giovanili delle diverse parrocchie e realtà laicali. Ricordando che “l’Anno della fede è dietro l'angolo, dato che sarà aperto da Papa Benedetto XVI l’11 ottobre prossimo”, il nunzio - riporta l'agenzia Fides - ha esortato i leader delle comunità giovanili, a “essere responsabili nelle diverse realtà ecclesiali, promuovendo una partecipazione attiva” alla vita pastorale. I giovani sono stati impegnati in uno speciale programma di formazione, organizzato dalla Commissione per la Gioventù, in seno alla Conferenza episcopale di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone. I giovani della Papua hanno scelto due Patroni speciali: il Beato Peter To Rot e Santa Maria Goretti. Attualmente sotto la guida di padre Shanti Puthussery, responsabile della Commissione episcopale per la Gioventù, i giovani delle 22 diocesi della Papua e delle Salomone, stanno seguendo un percorso di preparazione per la “Giornata Mondiale delle Gioventù” che si terrà a Rio de Janeiro (Brasile) nel 2013. (R.P.)
I vescovi d’Inghilterra e Galles: pausa di preghiera ogni primo venerdì del mese
◊ Fermarsi ogni primo venerdì del mese alle 15, per riflettere sui tanti impegni quotidiani ma, soprattutto, per pregare e ringraziare Dio in pubblico, meditando sul sacrificio fatto da Gesù sulla croce per amore di ciascuno. È la particolare iniziativa proposta dai vescovi d’Inghilterra e Galles in vista dell’Anno della Fede che inizierà il prossima 15 ottobre. Un piccolo ma importante impegno, come sottolineano i presuli, in accordo con le possibilità e le occupazioni di ognuno. Un aspetto centrale di questa iniziativa - riporta L'Osservatore Romano - è la creatività su cui basare la propria preghiera, tutta da inventare, perché “le parole esatte che vengono usate – afferma mons. Kieran Thomas Conry, vescovo di Arundel and Brighton e responsabile del dipartimento per l’evangelizzazione e la catechesi della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles – non sono così importanti quanto il fatto di essere con Gesù in quel momento. Così non soltanto approfondite il vostro rapporto con lui, ma in silenzio e con fiducia testimoniate la vostra fede a chi vi circonda”. Questa è solo l’ultima di una lunga lista di iniziative proposte dalla Chiesa d’oltremanica in occasione dell’Anno della Fede il cui scopo – conclude mons. Conry - è quello di invitare i cattolici a riscoprire e a essere più sicuri della fede del proprio battesimo”. (L.P.)
A Noto il III Convegno internazionale di bioetica
◊ L’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, il miracolo della nascita e l’importanza di accogliere la vita. Questo è stato il tema al centro delle riflessioni nel III Convegno internazionale di bioetica di Noto (Siracusa). Sono stati molti gli spunti di riflessione emersi in questo Convegno, introdotto da mons. Antonio Staglianò, vescovo della diocesi di Noto. “Senza il rapporto con l’infinito e la trascendenza – sottolinea mons. Staglianò – la nostra natura umana si avvia alla degenerazione e all’impoverimento. L’’origine remota del venire al mondo va ricercata nella relazione d’amore eterna fra padre e Figlio: la generazione”. Tra le numerose questioni emerse, particolare attenzione è stata data allo stupore per la vita e l’importanza di dire si, perché “il figlio che viene alla luce – ha sottolineato Salvatore Maurizio Sessa, docente di Teologia Biblica presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma – è una promessa che si compie, una parola di benedizione”. Altri temi affrontati, come riportato dal Sir, sono stati anche il rispetto dell’embrione del quale dobbiamo rispettarne profondamente la dignità, l’accurata informazione che si deve ai genitori riguardante le diagnosi prenatali e la prevenzione di eventuali patologie congenite, attraverso regole di comportamento semplici, per favorire una gravidanza serena e un figlio in salute. (L.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 259