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Sommario del 14/09/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa in Libano: vengo in Medio Oriente come pellegrino di pace, amico di Dio e degli uomini
  • Benedetto XVI a colloquio con i giornalisti: il fondamentalismo è una falsificazione della religione
  • Il nunzio in Libano: il Papa porta la speranza a tutto il Medio Oriente
  • Il vicario apostolico di Beirut: il Medio Oriente ha bisogno di pace e di libertà
  • Il rettore del Santuario di Harissa: la Vergine Maria, simbolo dell'unità tra cristiani e musulmani
  • Telegramma del Papa a Napolitano: l'Italia affronti con fiducia le sfide dei nostri giorni
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Divampa la protesta anti-Usa nel mondo islamico. Violenze in Sudan e Yemen, un morto in Libano
  • Mons. Gino Battaglia: il relativismo non è un antidoto per il fondamentalismo
  • Il Giappone decide un’uscita graduale dal nucleare in 30 anni
  • Nuova epidemia di Ebola in Congo
  • Dal Festival della Dottrina sociale della Chiesa l'invito a più solidarietà
  • Accordo tra Bambino Gesù e Iila per la formazione di medici pediatri in America Latina
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: vescovi di Aleppo costretti a non incontare il Papa, lanciano un appello di pace
  • Appello dei Patriarchi siriani ai cristiani a non lasciare il Paese
  • Il dramma di oltre 5mila lavoratori migranti filippini nell'inferno siriano
  • Il cardinale Dolan: "Rispettare tutte le religioni"
  • Africa: sono oltre 3 milioni i migranti. I vescovi chiedono di sostenerli
  • Africa: il continente flagellato da alluvioni, carestia ed epidemie
  • Somalia: mons. Bertin vede segni di speranza sul nuovo corso del Paese
  • Kenya: ancora morti a Tana River. La Chiesa invoca l’intervento del governo
  • Nigeria: i vescovi denunciano i continui atti di violenza
  • Hong Kong: i Gesuiti fondano una propria Università
  • Panama: corso per vescovi e sacerdoti centroamericani sulla “Conversione pastorale”
  • Bolivia: incontri Caritas per la tutela della dignità umana
  • Sinodo ucraino: al centro dei lavori pastorale giovani e migranti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa in Libano: vengo in Medio Oriente come pellegrino di pace, amico di Dio e degli uomini

    ◊   Il Papa è arrivato oggi nel primo pomeriggio a Beirut per il suo 24.mo viaggio apostolico internazionale. Una visita che già dal primo discorso, nella cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale “Rafiq Hariri”, si caratterizza per la dimensione della pace, di cui il Medio Oriente ha urgente bisogno. Benedetto XVI, che stasera firmerà l’Esortazione apostolica “Ecclesia in Medio Oriente”, ha sottolineato che il modello libanese di convivenza deve radicarsi nella presenza di Dio nella vita di ognuno. A sottolineare la coralità dell’accoglienza al Papa, all’aeroporto erano presenti oltre al presidente Michel Suleiman, tutte le più alte autorità dello Stato e ancora i Patriarchi, i vescovi del Libano come anche personalità ortodosse, musulmane e della cultura. Sull’inizio del viaggio del Papa in Libano, ascoltiamo in diretta da Beirut, il nostro inviato Alessandro Gisotti:

    In Medio Oriente come pellegrino di pace. Benedetto XVI ha iniziato il suo viaggio in Libano all’insegna dell’amicizia per i libanesi e per tutti i popoli della regione, senza alcuna distinzione di credo. Una visita lungamente attesa dai libanesi e fortemente voluta dal Papa.

    Quindici anni dopo la visita di Giovanni Paolo II, è dunque risuonato all’aeroporto di Beirut l’inno vaticano, accompagnato da quello libanese. Così come in tutte le vie principali di Beirut sventolano bandiere vaticane assieme a quelle libanesi. A riassumere i sentimenti di gioia di tutto il popolo del Libano, è stato il presidente Michel Suleiman nel suo indirizzo di saluto.

    Il presidente ha ricordato la visita di Giovanni Paolo II e i legami tra Libano e Santa Sede. Voi, ha poi detto, portate la pace di Dio in cui credono tutti i popoli di questa regione. Ed ha messo l’accento sul modello di convivenza che il Libano rappresenta per tutto il Medio Oriente. Grande affetto per il Papa è stato espresso fin dai primi momenti di questa visita:

    Molti i fedeli, soprattutto giovani, che già all’aeroporto hanno voluto dare il loro caloroso benvenuto al Papa, sventolando bandiere e cantando la loro felicità per questo evento. Nel suo discorso, il Papa ha ricordato che la motivazione principale del viaggio è la firma dell’Esortazione post-sinodale “Ecclesia in Medio Oriente”. Quindi, ringraziando quanti si sono impegnati per la riuscita della visita, ha ricordato i legami stretti tra Libano e Santa Sede, sottolineati anche visivamente dalla presenza della statua di San Marone presso la Basilica di San Pietro. “E’ bello – ha detto il Papa – vedere che dal santuario petrino, San Marone intercede continuamente” per il Libano e il Medio Oriente. “Non dimentico – ha poi detto – gli eventi tristi e dolorosi che hanno afflitto” il Libano per lunghi anni. Ha così indicato nel modello di convivenza del Paese dei Cedri un esempio per tutta la regione. Ed ha ringraziato quanti si impegnano a “ricercare vie di unità e di concordia” specie tra le comunità religiose:

    “L’heureuse convivilité toute libanaise…”
    “La felice convivenza tutta libanese – ha detto – deve dimostrare a tutto il Medio Oriente e al resto del mondo che all’interno di una nazione possono esistere la collaborazione tra le varie Chiese, tutte parti dell’unica Chiesa cattolica, in uno spirito di comunione fraterna con gli altri”. E ancora può esistere “la convivenza e il dialogo rispettoso tra i cristiani e i loro fratelli di altre religioni”. Quindi, ha constatato che questo equilibrio “è estremamente delicato”. Esso, ha aggiunto, “rischia di rompersi” quando è sottoposto “a pressioni che sono troppo spesso di parte, interessate, contrarie ed estranee all’armonia e alla dolcezza libanesi:

    “C’est là qu’il faut faire preuve de réelle moderation…”
    “E’ qui – ha avvertito – che bisogna dar prova di reale moderazione e grande saggezza”. La ragione, ha proseguito, “deve prevalere sulla passione unilaterale per favorire il bene comune di tutti”. Il Papa ha evidenziato con forza che la vera pace è radicata nella presenza di Dio. Il modo di “vivere insieme”, la convivenza che il Libano vuole testimoniare, ha affermato, sarà profonda “solo se si basa su uno sguardo accogliente e un atteggiamento di benevolenza verso l’altro, se è radicata in Dio che vuole che tutti gli uomini siano fratelli”:

    “Le fameux équilibre libanais qui veut continuer…”
    “Il famoso equilibrio libanese che vuole continuare ad essere una realtà – ha constatato – può prolungarsi grazie alla buona volontà e all’impegno di tutti i libanesi”. Allora, ha soggiunto, sarà davvero un “modello per gli abitanti di tutta la regione e per il mondo intero”. E tuttavia, ha ribadito, “non si tratta di un’opera solamente umana, ma di un dono di Dio che occorre domandare con insistenza, preservare a tutti i costi e consolidare con determinazione”.

    “Je viens au Liban comme un pélerine de paix…”
    “Vengo in Libano – ha detto il Papa – come pellegrino di pace, come amico di Dio e come amico degli uomini”. Ed ha assicurato che sono nelle sue preghiere i dolori dei tanti che soffrono nella regione del Medio Oriente. Anche per loro, ha affermato, “vengo come pellegrino di pace”:

    “Salami-O Tikum. Je vous donne ma paix…”
    “Vi do la mia pace, dice Cristo”, ha affermato in arabo il Papa. E al di là del Libano, ha aggiunto, “vengo idealmente anche in tutti i Paesi del Medio Oriente come pellegrino di pace, come amico di Dio e come amico di tutti gli abitanti di tutti i Paesi della regione, qualunque sia la loro appartenenza e il loro credo”.

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    Benedetto XVI a colloquio con i giornalisti: il fondamentalismo è una falsificazione della religione

    ◊   In volo verso il Libano per il suo 24.mo viaggio apostolico internazionale, il Papa si è intrattenuto con i giornalisti al seguito, per la consueta conferenza stampa. Una conversazione che ha spaziato su temi di forti, dal dialogo con l’Islam, alla primavera araba, ai timori per la situazione dei cristiani in Siria e nell’area mediorientale, al sostegno che a loro può venire dalle Chiese e dai cattolici dell’Occidente. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    ''Nessuno mi ha mai consigliato di rinunciare a questo viaggio e io non ho mai contemplato questa ipotesi, perché so che quando la situazione si fa più complicata è ancora più necessario offrire un segno di fraternità, di incoraggiamento e di solidarietà”. Così, Benedetto XVI ha riassunto - rispondendo alle domande dei giornalisti in francese e in italiano - i sentimenti con cui affronta questo viaggio apostolico in Libano - il cui obiettivo, ha aggiunto, in un Paese che già rappresenta un messaggio di incontro interreligioso, è, dunque “invitare al dialogo, alla pace contro la violenza, procedere insieme per trovare la soluzione dei problemi”.

    Rispondendo ad una domanda sull’imperativo del dialogo con l’Islam, oggi in un momento di crescita degli estremismi, il Papa non ha mancato di sottolineare che “il fondamentalismo è sempre una falsificazione della religione” che, invece, invita a diffondere la pace di Dio. Dunque, “l’impegno della Chiesa e delle religioni”, ha osservato, “è quello di compiere una purificazione da queste tentazioni, illuminare le coscienze e fare in modo che ognuno abbia un’immagine chiara di Dio”. Quindi l’invito forte al rispetto reciproco in quanto ciascuno è “immagine di Dio”.

    Altrettanto incisivo da parte del Papa il richiamo alla tolleranza, senza la quale, ha detto, non c’è vera libertà. A proposito della primavera araba e del rischio sopravvivenza dei cristiani, minoranza in quelle aree, Benedetto XVI ha voluto sottolineare infatti che un desiderio di maggiore democrazia, libertà, cooperazione, è di per sé positivo, è un “progresso”, ma può crescere solo nella condivisione, nel vivere insieme con determinate regole. Dobbiamo fare tutto il possibile, sono state le sue parole, perché “il concetto di libertà, il desiderio di libertà vada nella giusta direzione e non dimentichi la tolleranza, la riconciliazione, elementi fondamentali della libertà stessa”.

    Riguardo poi alla situazione in Siria, il Papa ha sottolineato che occorre promuovere tutti i gesti possibili, anche materiali, per favorire la fine della guerra e della violenza. E’ “grande” il pericolo che i cristiani si allontanino da queste terre, ha osservato il Papa, anche se, ha aggiunto, fuggono anche musulmani. “Aiuto essenziale sarebbe dunque la fine delle violenze”. Ruolo della Chiesa è, lo ha ripetuto più volte il Papa, la diffusione del messaggio della pace, l’impegno a chiarire che la violenza non risolve i problemi, e importante in questo senso è anche il compito dei giornalisti. Quindi l’appello: “invece di importare le armi, che è un peccato grave, dovremmo importare le idee, la pace, la creatività, accettare gli altri nelle diversità, rendere visibile il rispetto reciproco delle religioni, il rispetto dell’uomo come creatura di Dio, l’amore del prossimo come elemento fondamentale per tutte le religioni”.

    Sollecitato da una domanda sui passi concreti dell’Occidente a sostegno dei fratelli mediorientali, il Papa ha affermato che tutti devono contribuire. ”Occorre” ha specificato “influire sull’opinione pubblica”,“invitare i politici a impegnarsi realmente, con tutte le forze e con tutte le possibilità per la pace”. “Gesti visibili di solidarietà, giorni di preghiera pubblica, possono avere effetti reali”. In un certo senso, “il nostro, ha concluso il Pontefice, “ è un lavoro di ammonizione, di educazione, di purificazione molto necessario.

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    Il nunzio in Libano: il Papa porta la speranza a tutto il Medio Oriente

    ◊   Sul viaggio del Papa, il nostro inviato Alessandro Gisotti ha intervistato il nunzio apostolico in Libano, mons. Gabriele Caccia:

    R. - Fin dal giorno di Pasqua, quando in tutte le chiese e in tutto il Paese è risuonato l’annuncio della visita del Papa, c’è stato un grande entusiasmo. Era quasi commovente arrivare in questi giorni a Beirut -voi lo avete fatto- e vedere quante bandiere del Vaticano, del Libano, quante gigantografie del Papa, sono presenti in tutte le strade, negli angoli, sulle case … C’è stata una preghiera intensa da parte della Chiesa, una novena. In questi giorni, si sono radunate in diverse zone del Libano diverse centinaia di migliaia di persone per pregare per la riuscita di questa visita. L’altra sera, un grande incontro nella città di Beirut, quattro processioni: due provenienti dai quartieri musulmani, due provenienti dai quartieri cristiani, per ritrovarsi insieme attorno alla figura di Maria, venerata certamente dai cristiani specialmente del Libano, - il Libano è pieno di questi santuari - ma rispettata anche dai musulmani. È una particolarità del Libano che ha voluto decretare il 25 marzo come festa nazionale, per permettere sia ai cristiani che ai musulmani, di avere qualcosa in comune per essere insieme proprio attorno alla Vergine. Dunque, c’è un grande entusiasmo; un entusiasmo che si vede, si sente, ed è bello pensare che il Santo Padre ha scelto proprio come espressione, slogan di questa sua visita “Pax vobis”, “salaam alaykum” come amano dire qui in tutta la regione, “La pace sia con te”, è diventato anche un saluto quotidiano. Ma più che questo, è il saluto del Signore risorto, e la gioia della presenza del Signore in mezzo a noi, che riconforta non solo i cristiani nella loro fede, ma anche i libanesi che la via della pace è la via possibile, è la via che porta a dei risultati e alla gioia.

    D. - Lei ha visto passo dopo passo la preparazione di questo viaggio apostolico in Libano. Cosa l’ha colpita di più in questi mesi?

    R. - Innanzi tutto devo dire che c’è stata una grandissima disponibilità, sia da parte del governo, sia da parte delle Chiese. Abbiamo avuto delle testimonianze importanti da parte di tutta la componente musulmana: sunniti, sciiti, drusi, alawiti. Si è visto come il Santo Padre sia percepito come un uomo di tutti. Questa è la cosa più bella e più significativa; ed è bello pensare che il messaggio cristiano ispira gioia, porta speranza per tutta la popolazione, ed è quindi un messaggio che va un po’ controcorrente. Spesso si parla si scontro di civiltà, di divisione. No, è possibile vivere insieme e non è solo un’utopia, un desiderio; già avviene. Per esempio qui, in questo piccolo Paese, che però ha un’enorme potenzialità per tutta la regione.

    D. - Da ultimo, la visita del Papa è in Libano, ma è per tutto il Medio Oriente. L’Esortazione Apostolica è per tutta la regione. Quali potranno essere i frutti più importanti, anche i più duraturi, per l’intera regione del Medio Oriente?

    R. - Penso che è importante sapere e ricordare, che i cristiani in Medio Oriente non sono arrivati con i missionari a seguito di imperi coloniali. I cristiani sono qui da quando è nato il cristianesimo. Fanno parte della società orientale, hanno costruito, insieme agli altri, il volto di questa società. Dunque penso sia bene ricordare il ruolo che i cristiani hanno sempre giocato in queste regioni, e che ancora sono chiamati a svolgere nel futuro. Penso che il Medio Oriente ha iniziato un cammino di cui ancora non sappiamo l’esito, ma certamente ci sono molte speranze, molte attese, per avere delle società in cui i valori della dignità della persona, della libertà, della non discriminazione, siano valori comuni per tutti. Penso che l’Esortazione aiuterà a camminare insieme in questa direzione.

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    Il vicario apostolico di Beirut: il Medio Oriente ha bisogno di pace e di libertà

    ◊   La situazione in Medio Oriente oggi è davvero difficile. Ma la Chiesa non perde la speranza e il viaggio del Papa la rafforza. E’ quanto afferma il vicario apostolico di Beirut dei Latini, mons. Paul Dahdah, al microfono di Alessandro Gisotti:

    R. – Noi speriamo, non dobbiamo mai perdere la speranza. La visita del Papa e l’Esortazione apostolica che sarà firmata non rappresentano certo la bacchetta magica che riesce a trasformare il nero in bianco. E’ una parola, è una voce – come quella di San Giovanni Battista – che grida nel deserto: chi ha orecchie ascolti per vedere poi insieme cosa possiamo mettere in pratica. Il Papa non è né un capo politico, né un capo di Stato superpotente e molto armato per imporre la pace: la pace non si impone, la pace si offre come una grazia. Tocca a noi essere in grado di poter ricevere questa grazia e farla fruttificare attraverso il dialogo, l’apertura, la riconciliazione.

    D. – Nella sua storica visita Giovanni Paolo II disse che il Libano è più di un Paese, è un messaggio. Oggi che messaggio si aspetta il Libano da Benedetto XVI?

    R. – Il Papa Giovanni Paolo II ha detto che il Libano è un messaggio, ma non è un messaggio e basta: la sua Costituzione, la sua identità è fatta di un equilibrio di confessioni cristiane e non cristiane e rappresenta quindi un messaggio al mondo che oggi parla di un conflitto di culture. Lei è al corrente di quel celebre libro scritto da un americano dal titolo “Le choc des civilitations”: tanti oggi dicono che sia impossibile che tante religioni vivono insieme, che tante confessioni convivano insieme. Certo, ci sono degli choc, ci sono dei conflitti – questo senz’altro – ma il dialogo è sempre possibile e si può vivere insieme, basta che ognuno rispetti l’altro. Tutti noi sappiamo che la nostra libertà finisce dove comincia la libertà degli altri: noi non possiamo avere tutto in nome della maggioranza e questo sia a livello di popoli, sia a livello di religione o di confessione. Il messaggio di questa visita del Papa e la sua Esortazione apostolica confermano le parole di Giovanni Paolo II: se quell’Esortazione è stata un messaggio per il mondo e il Libano, il Medio Oriente dovrebbe ora essere un messaggio anche per l’Occidente, sia per il vecchio continente che per il nuovo, sia anche per l’Africa dove ci sono tanti conflitti, così come in Asia. Deve far capire a tutti che possiamo vivere insieme in pace, con rispetto e con dignità.

    D. – La visita del Papa può aiutare a rafforzare la libertà religiosa e il dialogo fra cristiani e musulmani in Libano, ma in realtà in tutta la regione?

    R. – Certo è che il Papa, in tutti i suoi appelli e in tutti i suoi discorsi, fa appello alla libertà: una libertà equilibrata, basata sul rispetto e sulla dignità, dovrebbe essere accettata da tutti. Se non c’è libertà, non possiamo vivere insieme! Non possiamo lasciare che la minoranza sia vittima della maggioranza e che la maggioranza pretenda di avere tutti i diritti, dando soltanto quello che ritiene opportuno dare alla minoranza. Adesso si parlerà certo di libertà e prima ancora della necessità dei diritti fondamentali dell’uomo e tra questi diritti c’è la libertà. Forse non tutti i gruppi lo accetteranno, ma molti invece sì, perché il bisogno profondo di questo Medio Oriente è la pace e la pace senza una libertà condivisa non possiamo averla e non la troveremo mai!

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    Il rettore del Santuario di Harissa: la Vergine Maria, simbolo dell'unità tra cristiani e musulmani

    ◊   Oggi pomeriggio, dunque, il Papa firmerà l’Esortazione apostolica post-sinodale per il Medio Oriente nella Basilica greco-melkita di St. Paul sulla collina di Harissa. Un luogo, questo, particolarmente simbolico dove sorge il Santuario di Nostra Signora del Libano, il più importante santuario mariano del Medio Oriente. Il nostro inviato Alessandro Gisotti ha intervistato il rettore del Santuario, padre Khalil Alwan:

    R. – E’ un santuario nazionale e internazionale, perché i libanesi che venerano la Vergine Maria – sia cristiani che musulmani – hanno portato la nostra Signora del Libano ovunque sono andati all’estero. Abbiamo, infatti, all’estero 35 chiese con il nome di Nostra Signora del Libano. Il Santuario fu fondato nel 1908, in occasione dell’apparizione della Vergine Maria a Bernadette di Lourdes. Hanno scelto questa collina, al centro del Libano.

    D. – Harissa è un luogo caro, non solo ai cristiani, ma anche ai musulmani del Libano...

    R. – Sì, due anni fa è stato dichiarato festa nazionale il giorno dell’Annunciazione alla Vergine. Tutto il Paese, dunque, festeggia il 25 marzo. Questa figura santa della Vergine Maria è un simbolo dell’unità dei cristiani e dei musulmani. Il Santuario si trova accanto alla Nunziatura apostolica, dove il Santo Padre alloggerà.

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    Telegramma del Papa a Napolitano: l'Italia affronti con fiducia le sfide dei nostri giorni

    ◊   “Il popolo italiano possa affrontare con serenità e fiducia le sfide dei nostri giorni”: è l’augurio del Papa nel consueto telegramma inviato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione dei viaggi internazionali. Benedetto XVI rivolge al capo di Stato il suo “deferente saluto”, che – scrive - accompagna “con preghiera intensa e pensiero benedicente” nel lasciare il suolo italiano per recarsi in Libano “pellegrino di pace e di unità per consegnare alle comunità cattoliche del Medio Oriente l’Esortazione apostolica post-sinodale, che aiuterà i cristiani di quella regione ad essere testimoni di comunione e di speranza”.

    Il presidente Napolitano, ricambiando in un messaggio il saluto del Papa, sottolinea che il viaggio in Libano è atteso “non solo dalla comunità cristiana, ma da tutta la società civile libanese e alla quale guarda con grande speranza l'intero Medio Oriente. Essa infatti – scrive il capo di Stato - contribuirà a rafforzare la volontà del popolo libanese di procedere sulla via della libertà religiosa e della pacifica convivenza e recherà un importante messaggio di pace e speranza per tutta la regione, quanto mai necessario in un periodo drammatico come l'attuale”.

    Telegrammi di saluti sono stati inviati dal Papa anche al presidente greco Karolos Papoulias e al presidente cipriota Demetris Christofias.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale del direttore sulla visita di Benedetto XVI in Libano.

    Stati Uniti nel mirino: in rilievo, nell'informazione internazionale, l'allerta crescente nelle sedi diplomatiche dopo le violenze in Egitto, Libia e Yemen.

    Luca Possati sul verdetto tedesco e il futuro della moneta unica (dopo la sentenza della Corte di Karlsruhe).

    In cultura, il cardinale Angelo Scola, Nello Vian e Inos Biffi ricordano - a 150 anni dalla nascita - il servo di Dio Giulio Salvadori.

    Le meraviglie di Paolino: Fabrizio Bisconti sulla ricerca, ancora in corso, dei resti della basilica paleocristiana di Tiro.

    Città dell'alleanza: Alfredo Valvo sull'incerta origine del nome della capitale libanese.

    Un articolo di Nicoletta Pietravalle dal titolo "Quando nacque il seggiolino nel carrello della spesa": dedicata al mondo dell'infanzia la mostra "Century of the Child" al Moma di New York.

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    Oggi in Primo Piano



    Divampa la protesta anti-Usa nel mondo islamico. Violenze in Sudan e Yemen, un morto in Libano

    ◊   Dilaga la violenza nel mondo arabo e islamico nel giorno che i musulmani dedicano alla preghiera, il venerdì: le proteste fanno seguito ai trailer di un film su Maometto prodotto negli Stati Uniti e considerato blasfemo. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    Un ristorante della catena americana Kentucky Fried Chicken (Kfc), a Tripoli del Libano, nel nord del Paese dei Cedri, è stato incendiato, un uomo è morto, vari i feriti. Alcune centinaia di persone si sono avvicinate scandendo slogan contro il film su Maometto che ha scatenato l'ondata di violenze. Drammatiche le immagini che arrivano dal Sudan dove nella capitale Khartoum sono state assaltate le rappresentanze diplomatiche di Gran Bretagna e Germania, qui è stata issata una bandiera islamica ed è stato appiccato il fuoco. In Yemen la polizia ha disperso una folla che si stava dirigendo contro l’ambasciata Usa a Sanaa, dopo l’assalto di ieri, costato la vita a quattro persone. In India sono state bruciate bandiere americane e il governo ha chiesto a Google di oscurare 11 siti su cui sono visibili le immagini del trailer del film "The innocence of muslims". A sollecitare la misura sarebbero state le autorità dello Stato himalayano dello Jammu e Kashmir, a maggioranza musulmana, dove sono attivi gruppi integralisti. Google, che controlla YouTube, avrebbe già accolto la richiesta come ha già fatto per Afghanistan e Pakistan, Egitto e Libia. Sul fronte delle indagini in Libia quattro persone sono state arrestate perché ritenute coinvolte nell’assassinio, martedì, dell’ambasciatore americano Chris Stevens e di altri 3 funzionari; chiuso e poi riaperto, per ragioni di sicurezza, l’aeroporto di Bengasi. Le autorità locali hanno anche dichiarato fuorilegge la Brigata Ansar al-Sharia ritenuta responsabile della strage nella sede diplomatica Usa. Condanna nuovamente le violenze, insieme a tutta la Comunità internazionale, il presidente egiziano Morsi che in visita in Italia, incontrando l’omologo Napolitano, citando il Corano ha detto: “chi uccide un uomo, uccide il mondo intero”. I Fratelli Musulmani egiziani, pur affermando il diritto a protestare contro il film giudicato blasfemo, hanno preso le distanze dagli scontri e precisato di "non ritenere responsabili” delle offese “il governo americano o il suo popolo”. In questo scenario continuano a far rotta verso le coste libiche le due navi da guerra degli Stati Uniti.

    Per un commento sulle tensioni che stanno coinvolgendo la diplomazia del mondo intero abbiamo intervistato padre Paolo Dall’Oglio, gesuita, esperto del mondo arabo:

    R. - Non posso che esprimere dolore per le vittime, è una tragedia. Questi estremismi costituiscono anche una sfida al pensiero musulmano, al pensiero politico, al futuro. Soffriamo tutti di queste febbri, di queste piaghe terroristiche, e bisogna lavorare per curarle in profondità.

    D. - Come uscire da questa spirale di violenza che infiamma dalla Libia allo Yemen?

    R. – C’è una cura che è quella militare, la sicurezza, l’intelligence e questo serve per eliminare i guai immediati. Ma ormai deve essere chiaro a tutti che siamo di fronte a vasti fenomeni culturali. Innanzitutto il mondo musulmano è toccato in se stesso: la propria autocoscienza, la propria auto-programmazione, il proprio lavoro di educazione, ma poi la logica di solidarietà tra credenti, la logica di fraternità in Abramo, ci coinvolge tutti.

    D. - Questo vuol dire che comunque serve maggiore impegno nel dialogo?

    R. - E’ sciocco chiunque pensi che solo le soluzioni militari o repressive possano risolvere. Ricordo che nel 2001 dissi: senza dialogo approfondito, senza crescita nella relazione - perché l’inimicizia si alimenta di ignoranza, di rifiuto istintivo, di mancanza di comunicazione profonda -senza tutto questo, senza dialogo, ci saranno uno, cento, mille Bin Laden. Oggi i Bin Laden sono molte migliaia e quindi probabilmente abbiamo imboccato una strada sbagliata. Accanto alla repressione ci vuole “qualche altra cosa” e questo “qualche altra cosa” non si riesce a realizzarlo.

    D. - Ma in concreto in questo momento di fronte agli attacchi terroristici e agli assalti alle ambasciate come ci si deve porre?

    R. – Attivare tutte le capacità di ammortizzazione di questi eventi vergognosi, attraverso la capacità tra cristiani, musulmani, ebrei, gente di buona volontà, di amici della verità. Tutti devo intervenire immediatamente ed estinguere questi focolai prima che siano utilizzati da politici malintenzionati e provochino altri incendi terribili.

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    Mons. Gino Battaglia: il relativismo non è un antidoto per il fondamentalismo

    ◊   La questione del film anti-islam e delle violenze scaturite è questione complessa da affrontare sotto diversi profili, da quello culturale a quello di ordine pubblico. In ogni caso, il dibattito sulle religioni e sulla libertà religiosa si fa sempre più importante nel mondo. Di questo dibattito e della necessità di buone leggi sulla libertà religiosa Fausta Speranza ha parlato con mons. Gino Battaglia, direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale italiana:

    R. – Innanzitutto ricordiamo che uno dei fondamentali diritti della persona umana è quello della libertà religiosa, che è il banco di prova di ogni governo che voglia dirsi rispettoso dei diritti, appunto. Questo diritto si fonda sulla dignità della persona umana. Anche la dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae diceva, appunto, che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli o di qualsiasi potere umano, cosicché in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito di agire in conformità con la sua coscienza. Chiarito questo, va detto che una legge che regoli il campo della libertà religiosa ha un significato non solo per la società o per le società come le conosciamo oggi, ma anche per quelle future, sempre più pluraliste. Può, infatti, contribuire a stemperare tensioni, a prevenire conflitti che oggi possiamo solo immaginare. Già facciamo questo nostro discorso in un contesto sociale, culturale e religioso cambiato: molti Paesi occidentali – come il nostro, per esempio – si sono trasformati in luoghi di incontro e di coabitazione fra genti diverse. Ma c’è da considerare che già era una realtà per molti Paesi del resto del mondo. Occorre allora che ovunque, e soprattutto dove c’è intolleranza, sia garantita questa libertà nei termini in cui dicevo prima. E questo non è scontato come quasi quotidianamente purtroppo vediamo. Ma non è scontato neanche in Occidente! Le differenze sono sempre esistite, ma ciò che è nuova è forse la prossimità delle differenze, la loro convivenza cioè obbligata. Si tratta allora di trasformare una vicinanza casuale - frutto delle dinamiche storiche, sociali, per esempio dell’immigrazione - in una vera coabitazione. In Italia, ad esempio, una legge in materia di libertà di religione colmerebbe una lacuna legislativa: la legislazione attuale risale al 1929 e quindi in tutt’altra epoca. Non c’è altro strumento per regolare i rapporti fra lo Stato e una comunità religiosa che l’intesa. Il futuro che si deve costruire deve rendere possibile la convivenza tra le diverse fedi.

    D. – Altrimenti c’è una banalizzazione delle tematiche?

    R. – Certamente.

    D. – Mons. Battaglia, è indubbio che libertà religiosa e religioni stiano finendo sempre più sotto i riflettori di analisti e difensori dei diritti umani. Ma ci possono essere delle modalità non precisamente corrette di impostare l’analisi? Parlare soltanto di tolleranza, per esempio, può essere molto riduttivo, così come parlare di questione meramente personale ….

    R. – La legge sulla libertà religiosa in un Paese europeo, per esempio, non può essere uno strumento per la laicizzazione della società. Non è il relativismo - e con relativismo intendiamo il concetto che tutti le fedi si equivalgono – che può essere base del dialogo e della coabitazione e non può nemmeno essere il criterio ispiratore di una eventuale legislazione. Faccio l’esempio dell’Italia ma credo che valga anche oltre i nostri confini: più cresce il pluralismo, più si pone l’esigenza del dialogo e proprio per questo dobbiamo essere più radicati nelle diverse identità, altrimenti i rischi – opposti e simmetrici – sono fondamentalismo e relativismo. Il relativismo, infatti, non è un antidoto contro le pretese di assolutezza, cioè contro il fondamentalismo. Se l’affermazione della verità non può mai pregiudicare la libertà, è vero anche che la libertà non può abrogare la verità: la libertà è sempre libertà per qualcosa, per una verità appunto. Dico queste cose per evidenziare che le comunità religiose hanno caratteristiche proprie, hanno un profilo specifico del quale va tenuto conto: per le implicazioni storiche, culturali e anche spirituali. Queste comunità non sono mere realtà associative, come talvolta c’è la tentazione di fare progettando un’eventuale legislazione in materia di pluralismo religioso. Una legge sulla libertà religiosa, allora, non può semplicemente livellare, magari al minimo, queste diverse comunità. Esse sono, al contrario, con le loro identità fra gli artefici della coabitazione di domani.

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    Il Giappone decide un’uscita graduale dal nucleare in 30 anni

    ◊   “Il Giappone attuerà tutte le misure possibili per eliminare la produzione nucleare entro i prossimi 30 anni”. E’ quanto annunciato oggi dal premier nipponico Yoshihiko Noda, dopo la riunione di governo che ha approvato il nuovo piano energetico nazionale messo a punto a seguito del disastro di Fukushima del marzo 2011. Poche ore prima il presidente francese, Hollande, ha annunciato la chiusura della centrale nucleare di Fessenheim, la più vecchia di Francia. Per un commento sulla fattibilità del piano giapponese e sul futuro dell’impiego dell’atomo Marco Guerra ha sentito Valerio Rossi Albertini, fisico del Cnr:

    R. - Un conto è spegnere i reattori, cioè far sì che non producano più energia e che la loro parte calda, la loro parte attiva, si spenga progressivamente; altro conto è dismettere, cioè recuperare il territorio in maniera tale che non rimanga più traccia della centrale. Noi abbiamo l’esempio dell’Italia con il referendum abrogativo della fine degli anni ottanta, quando abbiamo iniziato il processo di smantellamento, che però è ancora allo stadio iniziale. Chiudere le centrali è possibile, ma riuscire a smantellarle in maniera sicura è un’altra questione che forse comporterà tempi più lunghi.

    D. - Mai, come in questo caso, si pone il problema irrisolto dello stoccaggio delle scorie. Pare che il Giappone non intenda processarle ma seppellirle, dal momento che intende abbandonare il nucleare…

    R. - Il Giappone, lo abbiamo visto proprio l’anno scorso a Fukushima, è una terra molto instabile dal profilo geologico, in cui si possono scatenare dei terremoti devastanti. E quindi è chiaro che nessun sito che sia predisposto per lo stoccaggio, potrà essere considerato perfettamente sicuro. Allora, sarebbe opportuno, pensare ad un sistema per rendere inattive le scorie che sia più efficace della semplice sepoltura.

    D. - Per affrancarsi dall’atomo, Tokyo guarda al geotermico, biomasse, eolico ed energia delle maree oceaniche. Con queste fonti combinate il ministro dell’Ambiente ha stimato di aumentare di 6 volte volte la capacità di generazione elettrica rinnovabile. È plausibile una stima del genere, o si ricorrerà ai soliti combustibili fossili come gas e petrolio?

    R. - Il Giappone ha delle risorse economiche, soprattutto quando deciderà di non investire più nel nucleare, che verrebbero rese disponibili a questo scopo. Il Giappone poi si trova su una zona calda; è vicino ad una faglia oceanica laddove la produzione di calore geotermico è molto intenso, quindi potrebbero puntare in maniera massiccia su questa forma di produzione di energia. Il problema è esclusivamente di carattere politico, non è di carattere tecnico: ci sono tutti gli strumenti adesso per sopperire alle necessità di produzione energetica. Il Giappone può farlo, e sarebbe quanto mai opportuno avere un Paese distante dall’Europa, che così come sta facendo la Germania, la Svizzera e tanti altri Paesi, inizi a pensare seriamente a basare la propria produzione energetica su fonti rinnovabili. Per quanto riguarda i combustibili fossili, anche quelli sono ad esaurimento, quindi non potranno mai essere la risposta alla nostra fame di energia.

    D. - Da una parte Germania, Svizzera, Belgio e Giappone hanno avviato piani per la completa dismissione delle centrali. Dall’altra si stima che in tutto il mondo sono in costruzione decine di nuovi reattori. Quale futuro si prospetta per il nucleare?

    R. - Non c’è un piano unitario. E quindi i Paesi che sono più evoluti stanno concludendo o hanno concluso questa fase transitoria, che era la produzione di energia sotto forma nucleare, tenderanno progressivamente a ridurre e a concludere la loro esperienza nucleare. Altri Paesi invece, meno sviluppati e che hanno grande fame di energia, come ad esempio l’India e la Cina, stanno puntando sul nucleare proprio per sopperire alle necessità che si stanno presentando per sostenere il loro sviluppo tumultuoso. In pratica quello che avverrà nel prossimo futuro, sarà uno sbilanciamento. Ma alla stessa stregua dei combustibili fossili, anche le riserve di uranio, che è l’equivalente del combustibile nucleare, è in quantità limitata. Le stime sono di una quarantina d’anni ancora di disponibilità, e quindi tutti quanti i Paesi, anche quelli che adesso stanno puntando sul nucleare, avranno la necessità di ripensare la loro politica e di orientarsi verso metodi di produzione di energia più sostenibili, cioè le rinnovabili.

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    Nuova epidemia di Ebola in Congo

    ◊   L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) lancia l’allarme per una nuova epidemia del virus Ebola nella Repubblica Democratica del Congo. La febbre emorragica avrebbe già causato nelle ultime due settimane oltre 30 vittime. Il servizio di Giulio Albanese:

    Al momento il micidiale virus ha colpito le città di Isiro e Viadana ma, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, potrebbe estendersi ad altri centri urbani. Per ora ufficialmente sono stati registrati 31 decessi ma il numero a questo punto pare destinato a salire. E’ d’altronde difficile monitorare efficacemente territori dove la mancanza di presidi sanitari efficienti e di infrastrutture di trasporto, unitamente alla diffusa insicurezza per ragioni belliche, rendono spesso gli interventi tardivi. Inoltre la creazione di un cordone di sicurezza in zone rurali è resa ardua dalla morfologia di località isolate, dove la mobilità umana è difficilmente tracciabile.

    Sulla dimensione di questa emergenza nell’ambito di una situazione sociale fortemente degradata, Giancarlo La Vella ha intervistato padre Eliseo Tacchella, responsabile dei missionari comboniani in Congo:

    R. – La diffusione della malattia è stata pesante, grave, perché si è manifestata in un luogo dove non vi è tanta possibilità di cure. Dalle ultime notizie che ho sono però riusciti a bloccare il contagio, anche perché non è la prima volta che Ebola si manifesta in Congo. L’importante è che siano riusciti ad isolare il virus.

    D. – Da che cosa è causata una malattia così particolare?

    R. – Si dice che sia dovuta a mancanza di igiene e che viene facilmente trasmessa da una persona all’altra, ma non si prende se non si tocca il malato e quindi sarebbe abbastanza facile evitare il contagio.

    D. – La situazione sociale della Repubblica Democratica del Congo - vuoi a causa di queste emergenze di tipo sanitario, vuoi anche per le emergenze ambientali e belliche - è sempre di una certa gravità…

    R. – La situazione sociale è da anni critica: gli stipendi sono bassi, la gente ha pochissima possibilità di far fronte alle malattie, anche a malattie semplici, come la malaria o la dissenteria. Soltanto se il malanno è veramente grave la gente si rivolge all’ospedale, si rivolge ad un dottore, altrimenti cerca di curarsi da sola, così come può. Questo è la causa anche di tante morti.

    D. – Il vostro ruolo, il ruolo dei missionari?

    R. – Noi comboniani abbiamo un ospedale non lontano dalla regione in cui si è manifestato – sembra – un caso di ebola, che è stato isolato e curato. Il nostro lavoro nel campo sanitario è proprio quello di sensibilizzare la gente a queste epidemie, dando loro la possibilità di potersi curare.

    D. – Un intervento più mirato da parte della comunità internazionale consentirebbe di arginare meglio queste emergenze?

    R. – Sì. E’ chiaro che se queste cose capitassero in altri Paesi sarebbero subito risolte, ma qui per vari motivi, forse la distanza dai centri di cura, forse perché riguarda un continente spesso dimenticato come l’Africa o forse perché si tratta di zone che non interessano, tutto assume una gravità inconsueta. Ma abbiamo visto, però, che c’è stato un intervento abbastanza tempestivo.

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    Dal Festival della Dottrina sociale della Chiesa l'invito a più solidarietà

    ◊   Da oggi a domenica, a Verona, si svolge il Festival della Dottrina Sociale della Chiesa. Tra i temi al centro del dibattito, la situazione economica e sociale alla luce della crisi che sta vivendo in particolare l’Europa. Alessandro Guarasci ha intervistato Claudio Gentili, direttore della rivista La Società della Fondazione Toniolo, tra i soggetti che organizzano il Festival:

    R. – Diciamo che dall’anno scorso a questo anno addirittura anche i Paesi emergenti che crescevano a ritmi vertiginosi hanno cominciato a rallentare. La disoccupazione in Italia ha superato quella dell’eurozona, la solidarietà si è attenuata, l’individualismo è cresciuto. Quindi lo scenario che il secondo Festival della dottrina sociale si trova di fronte è uno scenario profondamente modificato, cambiato, ma che proprio per questo esige un pensiero diverso, un modo nuovo di collegare valori, economia e finanza.

    D. – Come collegare questi valori?

    R. - La finanza non può essere abrogata ma la finanza può essere regolamentata. Una volta si discuteva molto di riforma dell’Onu. Oggi mi pare che nel dibattito mondiale ci sia una seria riflessione sull’esigenza di riformare la finanza per evitare danni alle famiglie, alle imprese, alle persone, ai poveri… Un punto di riferimento per questa riforma della finanza è proprio il documento che è stato emesso dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace che pone un problema tecnico di grande urgenza e lo pone definendo una necessità economica: è l’economia reale che ha bisogno dei valori per non essere uccisa dalla finanza.

    D. – A livello europeo, anche secondo voi serve maggiore integrazione?

    R. – Maggiore capacità di ridurre gli egoismi nazionali. Una volta era la Francia che si opponeva, avendo la bomba atomica, al sistema di difesa europea, per un egoismo nazionale. Oggi avendo il marco/euro forte è la Germania che si oppone, per egoismo nazionale. Le ultime decisioni della corte tedesca dimostrano che quando - come ha fatto il nostro premier Monti ed altri premier europei - c’è una forte, intensa sottolineatura dell’esigenza che ci si salva tutti insieme, anche questi egoismi nazionali, che sono legittimi e comprensibili, possono essere arginati.

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    Accordo tra Bambino Gesù e Iila per la formazione di medici pediatri in America Latina

    ◊   E’ stato firmato ieri a Roma un accordo di cooperazione fra l’Ospedale Bambino Gesù e l’Iila, l’istituto italo-latino americano. Testimoni dell’intesa, che porterà alla formazione e alla specializzazione in pediatria e nella lotta all’Aids pediatrico di medici provenienti dall’America Latina, il segretario della Santa Sede per i rapporti con gli Stati, mons. Dominique Mamberti, e il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi. Il servizio di Michele Raviart:

    Saranno dieci i Paesi dell’America Latina e caraibica che per primi potranno usufruire del programma di cooperazione tra il Bambino Gesù e l’Iila. Dieci moduli formativi semestrali che porteranno negli ospedali fino a 30 medici specializzati, in un accordo che punta a tutelare quella che è la risorsa più preziosa in medicina e in particolare in pediatria: il capitale umano. Giuseppe Profiti, presidente dell’Ospedale Bambin Gesù:

    “I medici o il personale infermieristico proveniente dalle diverse realtà vengono inseriti in questi programmi formativi, della durata di alcuni mesi, presso l’ospedale e poi calati all’interno del Paese, accompagnate da équipes specializzate del Bambino Gesù. Le aree di interesse sono in modo particolare le grandi patologie a diffusione ampia, con risvolti sociali anche di un determinato peso, come per esempio l’Aids o altre patologie tipiche, malattie dell’apparato respiratorio o altre patologie di questo genere”.

    Una cooperazione che nasce nel 2005 e che vede il Bambin Gesù già impegnato a formare medici in El Salvador, Perù e Cile e che ha nell’ospedale Saint-Damien ad Haiti, uno dei suoi fiori all’occhiello. Dal terremoto del 2010 sono nati in quell’ospedale 4mila bambini e sono operative due sale operatorie per la maternità. Giulio Terzi, ministro degli Esteri italiano:

    “L’ospedale Bambino Gesù è straordinariamente organizzato a livello mondiale per questa realtà. Dall’America Latina verranno sicuramente richieste di assistenza. Quindi credo che questo apra una porta molto considerevole per ulteriori attività a favore della gente più bisognosa e a favore soprattutto dell’infanzia”.

    Durante la firma dell’accordo, il segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, mons. Dominique Mamberti, ha ricordato l’importanza di salvaguardare l’uomo nella sua totalità fisica e spirituale e che un medico “non deve essere solamente un tecnico, ma deve essere riconoscere dignità ai sofferenti”:

    “E’ molto importante mantenere e sviluppare cooperazione nell’ambito sanitario per tutelare e promuovere il diritto alla salute e alla salute integrale della persona. Tutti i Paesi dell’America Latina potranno approfittare anche dell’expertise che l’ospedale pediatrico Bambino Gesù ha sviluppato in questo campo”.

    L’accordo, ha concluso mons. Mamberti, è “un segno tangibile della Chiesa verso un progetto che mette al centro il “bene dei bambini ammalati”, perché i bambini sono il “futuro e la speranza dell’umanità”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: vescovi di Aleppo costretti a non incontare il Papa, lanciano un appello di pace

    ◊   Aleppo è da più di due mesi al centro degli scontri armati tra i ribelli e l’esercito siriano. Il Consiglio dei sei vescovi cattolici della seconda metropoli della Siria ha dovuto rinunciare a malincuore a recarsi all’incontro con il Papa in Libano per rimanere al fianco dei propri fedeli. Ma dalla città devastata dal conflitto hanno lanciato un appello a Benedetto XVI, chiedendo al Papa di richiamare la comunità internazionale all’urgenza di trovare una soluzione pacifica e porre fine a un conflitto “che sta distruggendo il Paese e seminando dovunque miseria e desolazione”. Nel loro appello, inviato all’agenzia Fides, i vescovi di Aleppo (greco-cattolico, siro-cattolico, armeno-cattolico, maronita, caldeo e latino) pregano ardentemente Benedetto XVI di sottoporre ai capi delle nazioni e agli organismi internazionali due richieste: “Esigere che cessino definitivamente i combattimenti sul suolo della Siria”, per poi “incoraggiare e appoggiare le parti in conflitto affinché giungano a un dialogo serio e efficace in vista di una riconciliazione nazionale”. I vescovi di Aleppo descrivono la condizione vissuta dal popolo siriano in termini angosciati: “Il Paese si distrugge, il numero delle vittime si moltiplica, e quello dei feriti aumenta di giorno in giorno. Molte abitazioni sono distrutte, e i poveri vedono le proprie risorse diminuire progressivamente. Tutto ciò fa precipitare le famiglie in uno stato di disperazione e spinge molte di esse a emigrare”. L’ appello si conclude con il ringraziamento a Benedetto XVI “per tutte le iniziative che Voi prendete al servizio della pace”, e con l’augurio “che la Vostra voce arrivi alle orecchie dei popoli e raggiunga quelli che hanno il potere di decidere”. (R.P.)

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    Appello dei Patriarchi siriani ai cristiani a non lasciare il Paese

    ◊   “Con tutto il cuore chiediamo ai fedeli cristiani della Siria di non abbandonare il nostro amato Paese, nonostante la violenza, le sofferenze, lo sfollamento”: è quanto chiedono i Patriarchi delle Chiese cristiane in Siria, da questa mattina in Libano per “stringersi attorno a Benedetto XVI, pellegrino di pace in Medio Oriente”. In un messaggio reso noto tramite l’agenzia Fides, i leader cristiani, dando il benvenuto a Benedetto XVI, rimarcano il tema più caro alle Chiese locali: la presenza delle comunità cristiane in Medio Oriente. A condividere il messaggio sono quattro leader con sede a Damasco: il Patriarca greco-cattolico Gregorio III Laham; il Patriarca greco-ortodosso Ignatius IV Hazim; il Patriarca siro-cattolico Ignatius III Younan; il Patriarca siro-ortodosso Zakka I Iwas. In particolare oggi in Siria c’è il pericolo di un esodo dei fedeli, molti dei quali sono già fortemente colpiti dalla povertà, sono stati costretti a lasciare le loro case per gli scontri armati, e vivono da sfollati interni o nei Paesi limitrofi. In queste tragiche ore, i Patriarchi chiedono ai fedeli: “Abbiate pazienza, non fuggite”, invitando a “sopportare il dolore”, per amore di Cristo. I leader cristiani in Siria deplorano l’atteggiamento di alcune Cancellerie occidentali che, esplicitamente o in modo implicito, stanno offrendo ai fedeli siriani l’opportunità di emigrare, notando che questo “costituisce una tentazione”, ma che non è la soluzione per i cristiani in Siria. Il rischio, notano, è una “libanizzazione del conflitto siriano” (oltre il 50% dei cristiani fuggì dal Libano, al tempo della guerra) o lo scenario iracheno (negli ultimi anni le comunità cristiane locali, sotto la pressione del terrorismo, sono notevolmente diminuite). I Patriarchi sostengono con forza il recente appello del Santo Padre al dialogo e alla riconciliazione in Siria, definite dal Papa “prioritarie per tutte le parti implicate” e auspicano che il viaggio di Benedetto XVI possa lasciare “una profonda traccia di pace”. Come riferito a Fides, simbolo potente della solidarietà e dell’amore verso il Papa è, in particolare, la presenza del Patriarca siro-ortodosso Zakka I Iwas che, nonostante la malattia e le cure di dialisi di cui necessita, ha voluto comunque essere presente accanto a Benedetto XVI. (R.P.)

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    Il dramma di oltre 5mila lavoratori migranti filippini nell'inferno siriano

    ◊   Un gruppo di 263 donne migranti filippine sono riuscite a fuggire dalla Siria, dove lavoravano da alcuni anni come domestiche e badanti. Molte di loro hanno visto i datori di lavoro morire davanti ai loro occhi. Il gruppo è arrivato lo scorso 11 settembre all'aeroporto di Manila, dopo diverse settimane di trattativa fra Ambasciata filippina, International Organization for Migration (Iom) e governo siriano. Secondo stime dell'Iom vi sono almeno 5mila migranti filippini, soprattutto donne, ancora in Siria. Di questi - riferisce l'agenzia AsiaNews - solo 1000 hanno fatto richiesta di rimpatrio immediato, gli altri hanno scelto di restare. Ruth Pana, giovane domestica di 29 anni, lavorava come baby-sitter per una famiglia benestante di Damasco. I figli più grandi dei datori di lavoro erano attivisti dell'opposizione e sono stati uccisi in una recente manifestazione contro il regime. Nelle scorse settimane l'esercito ha attaccato la loro abitazione per stanare alcuni ribelli che si erano appostati nel cortile di casa. Per sfuggire al fuoco incrociato di miliziani e militari Pana e la famiglia siriana si sono rifugiate in uno scantinato dei vicini. "Quando l'esercito si è allontanato - racconta - il terreno era pieno di cadaveri, c'erano corpi ovunque". Secondo Albert del Rosario, ministro degli Affari esteri filippino, nei prossimi giorni verranno rimpatri altri 600 lavoratori che hanno preso contatti con l'ambasciata e gli operatori dell'Iom. Dal marzo 2011, sono oltre 2mila i lavoratori filippini residenti in Siria che hanno scelto di tornare in patria. (R.P.)

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    Il cardinale Dolan: "Rispettare tutte le religioni"

    ◊   "Gli eventi in Libia e in Egitto indicano cosa c’è in gioco. Occorre avere rispetto per le altre tradizioni religiose, e allo stesso tempo proclamare in maniera inequivocabile che la violenza in nome della religione è sbagliata". E’ la dichiarazione del cardinale Timothy Michael Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, a proposito dell’attentato dell’11 settembre a Bengasi, in Libia, che ha portato alla morte di quattro persone, tra cui l’ambasciatore Usa. Il cardinale Dolan prega, in particolare, “per la comunità diplomatica e il loro lavoro delicato per la pace nel mondo”. Intervenendo ad un simposio internazionale sul tema della libertà religiosa, il cardinale Dolan ha ricordato poi che "l’assenza di libertà religiosa porta a terribili sofferenze umane e che, allo stato attuale, i cristiani sono il gruppo religioso che soffre per il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede". Il cardinale ha concluso esortando gli Stati Uniti e la comunità internazionale a una “chiamata all’azione”, evidenziando che "la prima delle libertà, che troppo spesso diamo per scontata nel nostro Paese, anche se siamo vigili in sua difesa, è sotto violento attacco in altre nazioni con terribili conseguenze umane". Sempre ieri, anche il Patriarcato latino di Gerusalemme ha condannato in una nota “con la massima fermezza”, ed espresso “profondo dolore”, l’attacco all’ambasciata Usa a Bengasi. L’attacco, avvenuto l’11 settembre, si legge nel testo, “ricorda l’orrore del terrorismo”. Causa della violenza la diffusione, negli Stati Uniti, del film “L’innocenza dei musulmani” che deride il profeta Maometto e “presenta i musulmani come immorali e violenti”. “Non possiamo, come cristiani e ferventi sostenitori del dialogo interreligioso - afferma il Patriarcato - accettare una simile insensata provocazione che va contro il rispetto per le diverse religioni e che getta nel fango la fede e la dignità dei musulmani”. (R.P.)

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    Africa: sono oltre 3 milioni i migranti. I vescovi chiedono di sostenerli

    ◊   Sono 16 milioni i migranti in tutto il mondo e, un quinto di questi sono africani. Un numero che, secondo le ultime stime, sembra destinato a crescere: entro il 2025, infatti, un africano su dieci potrebbe lavorare fuori al Paese d’origine. Per far fronte a questa situazione, così tragica, su iniziativa del Simposio delle Conferenze episcopali d’Africa e Madagascar (Sceam/Secam), è stato istituito un gruppo di lavoro ad Accara, la capitale del Ghana, il cui obiettivo è proteggere i diritti dei migranti sul piano nazionale, regionale e continentale. La questione è davvero molto complessa; da un lato la categoria dei migranti, che comprende sfollati interni, gli apolidi, i richiedenti asilo, gli studenti, i bambini, le vittime del traffico di esseri umani e i semplici lavoratori immigrati, ha un ruolo chiave nell’economia dei Paesi. Molte sono, infatti, le rimesse inviate dall’estero che contribuiscono alle entrate, incidendo profondamente sull’economia interna. D’altro canto queste persone costituiscono “un fattore che contribuisce alla destabilizzazione e alla distruzione delle famiglie del continente”, come affermato da mons. Simon Ntamwana, arcivescovo di Gitega, Burundi. A tal proposito, come riporta l’agenzia Misna, è stato istituito il gruppo di lavoro presieduto da padre Mesmin Prosper Massengo, segretario generale delle Conferenze episcopali dell’Africa centrale, al quale prendono parte anche esponenti delle Conferenze episcopali regionali e organizzazioni umanitarie cattoliche, tra le quali Caritas Africa. Il Secam nasce nel 1970, dopo il Concilio Vaticano II, dalla volontà dei vescovi africani di parlare con un’unica voce, a seguito della prima visita di un Pontefice nel continente africano, quella di Paolo VI nel 1969. (L.P.)

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    Africa: il continente flagellato da alluvioni, carestia ed epidemie

    ◊   Piogge torrenziali e alluvioni stanno colpendo in queste settimane diverse nazioni dell’Africa centro-occidentale e del Sahel, dal Senegal alla Mauritania, dal Benin all’Uganda, fino al Ciad dove le Nazioni Unite hanno certificato 13 morti e quasi mezzo milione di persone colpite, oltre 73mila abitazioni distrutte, e circa 255mila ettari di terreni agricoli inondati. Le aree danneggiate - riferisce l'agenzia Fides - includono 5 distretti della capitale del Ciad, N’Djamena, come pure le regioni di Dar-Sila, Salamat, Moyen-Chari, Tandjilé, Eastern Mayo-Kebbi e Western Mayo-Kebbi, dove 81 mila ettari di raccolto sono andati allagati. Ad aggravare la situazione dei raccolti contribuiscono le locuste nelle parti del Ciad di nordest e dell’est che, distruggendo i raccolti, alimentano la grave crisi alimentare che già colpisce 3.6 milioni di persone. Alle vittime e agli sfollati si devono sommare gli ingenti danni a pastorizia e agricoltura, le poche, se non uniche, attività di sostentamento in questa parte del mondo. Nel nord dell’Uganda circa 15 mila persone sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni andate distrutte insieme a raccolti, strade e ponti. I distretti maggiormente colpiti sono quelli di Acholi, Agago, Kitgum, Lamwo e Pader. Ad Agago sono state colpite 3.492 famiglie, allagati circa 13 mila ettari di raccolti e distrutte circa 2 mila latrine. Alcune zone del Paese sono state completamente spazzate via e si teme la diffusione di epidemie e carestia. In Kenya la situazione non è migliore. Case e scuole continuano ad essere sommerse nella provincia della Rift Valley, le latrine sono straripate contaminando le sorgenti di acqua. Le pessime condizioni delle strade ostacolano la distribuzione di farmaci, coperte, tende, zanzariere. In alcuni dispensari sono andate distrutte attrezzature mediche e medicinali. Negli ultimi due mesi le alluvioni hanno provocato più di 200 morti e centinaia di migliaia di senzatetto anche in Nigeria e Niger. Nella sola Nigeria, secondo i dati della Croce rossa locale, da luglio si sono registrati 137 morti e gli sfollati sono più di 36 mila anche se, secondo fonti dello stato federale di Adamawa, in questa sola regione i senzatetto sono almeno 120 mila. Il governo del Niger ha invece affermato che da luglio le alluvioni hanno ucciso 68 persone e causato oltre mezzo milione di senzatetto. In alcuni centri è emergenza colera con quasi 4 mila casi censiti e oltre 80 morti. In Senegal l’arcidiocesi di Dakar ha organizzato un concerto di solidarietà per una raccolta fondi destinata alla popolazione colpita. (R.P.)

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    Somalia: mons. Bertin vede segni di speranza sul nuovo corso del Paese

    ◊   Una nuova speranza per la Somalia, il Paese più martoriato del Corno d’Afrca. Dopo l’approvazione della nuova Costituzione, promulgata il 1° agosto e l’accordo raggiunto tra tutti i capi dei clan nell’elezione di un nuovo unico Presidente, quella attuale viene definita “la soluzione più logica” e “una nuova speranza” da mons. Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio. È dal 1992, dalla caduta di Siad Barre, che nel Paese regnano l’anarchia e le violenze, un ventennio che ha profondamente minato il Paese ma che sembra ormai destinato a finire con l’avvio di questo nuovo corso democratico. La situazione, però, come sottolinea l'agenzia Sir, rimane ancora molto complessa. Bisogna, infatti, rilanciare ogni attività, a cominciare dall’agricoltura, la cura del bestiame e l’educazione alla conservazione dell’acqua. (L.P.)

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    Kenya: ancora morti a Tana River. La Chiesa invoca l’intervento del governo

    ◊   Non si ferma l’ondata di uccisioni in Kenya dovuta alle forti tensioni tra le comunità Pokomo e Orma. Sono ormai 111 le vittime e 600mila gli sfollati. Solo il 10 settembre hanno perso la vita durante gli scontri altre 38 persone, di cui nove poliziotti. Le due comunità sono in conflitto da lungo tempo. “I primi, i Pokomo, sono agricoltori, e accusano gli altri, gli Orma, di invadere i campi coltivati per far pascolare il bestiame”. Descrive così la situazione mons. Paul Darmanin, vescovo di Garissa, secondo cui, però, “nelle ultime settimane la rivalità tra i due fronti sembra essere stata esasperata strumentalmente”; sospetto alimentato anche da molti media locali che puntano il dito sul presunto ruolo di alcuni esponenti politici. Anche la Chiesa locale, come riferisce l’agenzia Fides, si è subito mobilitata e, attraverso un comunicato congiunto del Consiglio nazionale delle Chiese del Kenya e dell’Alleanza Evangelica del Kenya, sottolinea lo sgomento per “la morte di più di cento keniani nel distretto del Tana River” e la forte preoccupazione dovuta al fatto che “il governo non sia in grado, oppure non sia determinato, a ripristinare la sicurezza”. I leaders cristiani chiedono anche che il governo intervenga sulle cause all’origine della questione, come il delimitare con chiarezza i confini dei territori e garantire l’accesso all’acqua per gli allevatori. Dopo queste pressioni il governo ha stabilito la creazione di una commissione di inchiesta - riferisce l'agenzia Misna - che indaghi e persegua i responsabili delle violenze nel distretto di Tana River. La commissione composta da magistrati avrà 30 giorni di tempo per investigare cause e circostanze degli assalti contro almeno quattro villaggi della zona, in cui sono stati uccisi anche donne e bambini. (L.P.)

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    Nigeria: i vescovi denunciano i continui atti di violenza

    ◊   Non si arrestano gli episodi di violenza in Nigeria che costringono i nigeriani a vivere nella paura e nella tensione. Questa la situazione in cui vive la popolazione nigeriana, descritta dai vescovi del Paese al termine della seconda Assemblea plenaria dell’episcopato. La questione della sicurezza all’interno del Paese diventa sempre più problematica, e non si intravedono miglioramenti all’orizzonte, a dispetto degli annunciati sforzi da parte delle autorità. “Nel nord del Paese continuano gli attentati dinamitardi e le uccisioni senza senso di nigeriani innocenti, mentre nel sud proseguono rapimenti, assassini e rapine a mano armata” denunciano i vescovi. La situazione, come sottolinea l'agenzia Fides, è resa ancora più preoccupante dai continui attacchi del gruppo islamista Boko Haram contro diverse chiese cristiane nel nord del Paese. La denuncia dei vescovi, però, oltre a segnalare il fallimento dello Stato nel garantire la sicurezza della popolazione, rivolge la sua attenzione su un altro aspetto. “La nostra risposta paziente ai continui attacchi – affermano – non è sintomo di viltà, ma dell’amore universale di Cristo, così come di maturità religiosa e di genuino patriottismo”, ma si evidenzia anche il rischio che, di fronte al ripetersi di attacchi “i cristiani potrebbero legittimare l’autodifesa”. (L.P.)

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    Hong Kong: i Gesuiti fondano una propria Università

    ◊   I Gesuiti di Hong Kong hanno presentato ufficialmente la richiesta all’Amministrazione speciale di Hong Kong per la fondazione di una propria Università, ed alle autorità locali per il terreno da destinare all’Università. Secondo quanto riferisce Kong Ko Bao (il bollettino diocesano in versione cinese ripreso dall'agenzia Fides), i Gesuiti vantano una secolare esperienza in campo educativo, molto apprezzata anche in Cina, in particolare a Hong Kong, dove hanno due scuole superiori. In Cina il loro impegno educativo, parallelo alla missione dell’evangelizzazione, risale all’epoca del grande missionario padre Matteo Ricci (1552-1610). Nella storia recente, i Gesuiti hanno fondato a Shang Hai l’Istituto dello Studio cinese nel 1870 e l’Università Aurora (Aurora University) nel 1903; a Tian Jin, nel 1922, l’Istituto per il Commercio e l’Industria. Con l’arrivo dei primi gesuiti irlandesi a Hong Kong, nel 1926, è stato fondato il Ricci Hall (un alloggio maschile all’interno dell’Università di Hong Kong) e due “Wah Yan College”. Proprio gli ex alunni del Wah Yan hanno lanciato la prima proposta per la fondazione di una Università gesuita ad Hong Kong, apprezzando l’ottima educazione ricevuta dai padri gesuiti. Da un paio di anni quindi, si sta elaborando il progetto attraverso una Commissione apposita. Padre Ron Anton, che ha lavorato a lungo a Pechino contribuendo alla fondazione del Beijing Center for Chinese Stidies ha detto: “il lavoro per la fondazione dell’Università è in corso ed è molto intenso. Abbiamo già firmato un contratto di collaborazione con 21 Università di Asia, America e Europa, e sono in corso le trattative con altre 4 e 5”. Alla Fiera internazionale del libro di Hong Kong, tenutasi ad agosto, i Gesuiti hanno presentato “I testi dell’educazione della Compagnia di Gesù” e “L’Educazione dei Gesuiti” come parte integrante del lavoro preparatorio alla fondazione della nuova Università. (R.P.)

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    Panama: corso per vescovi e sacerdoti centroamericani sulla “Conversione pastorale”

    ◊   Si è concluso ieri nell'arcidiocesi di Panama dopo tre giorni di lavoti, il Corso di formazione permanente per vescovi e sacerdoti dell'America Centrale e dei Caraibi, organizzato dal Consiglio Episcopale Latinoamericano (Celam). Uno degli argomenti principali trattati in questa edizione - riferisce l'agtenzia Fides - è stato la "Conversione pastorale", tema presentato da mons. Mario Moronta, vescovo della diocesi di San Cristobal in Venezuela. Durante il suo intervento, mons. Moronta ha presentato gli "Elementi biblici della conversione pastorale", ed ha sottolineato che questo argomento "è diventato importante e viene considerato seriamente dalla Chiesa in America Latina". Dopo la presentazione c'è stato l'intervento dei partecipanti e i lavori di gruppo. Il corso è stato coordinato da padre Felipe de Leon, dell'arcidiocesi di Pula e direttore esecutivo del Dipartimento missione e spiritualità, con il sostegno di padre José Gregorio Melo, della diocesi di San Cristobal, anche lui impegnato nel Celam. (R.P.)

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    Bolivia: incontri Caritas per la tutela della dignità umana

    ◊   Tutelare la dignità umana perché il fondamento della carità di Dio è la persona, creata a Sua immagine e somiglianza. Con questo obiettivo si è avviato un programma diviso in tre incontri organizzato dalla Caritas Latinoamericana e dei Caraibi. L’iniziativa, come riporta l’agenzia Fides, è stata presentata attraverso una nota diffusa dalla Conferenza episcopale della Bolivia nella quale Juan Carlos Velasquez, segretario esecutivo della Caritas boliviana, ricorda il fondamentale ruolo della Chiesa nella tutela dei diritti umani. “La Chiesa non può ignorare il campo dei diritti umani, perché è legato al riconoscimento della centralità della dignità umana” conclude la nota. Il primo incontro, introduttivo, si svolge dal 10 al 16 settembre a La Paz, Bolivia, presso la sede della Pastorale Caritas boliviana, il secondo si è svolto ieri, nel quale si è discussa l’agenda istituzionale della zona bolivariana, e il terzo, da oggi al 16 settembre, che prevede una riunione che coinvolgerà esperti e responsabili nel campo della promozione dei diritti umani. (L.P.)

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    Sinodo ucraino: al centro dei lavori pastorale giovani e migranti

    ◊   Creare una piattaforma per unire i giovani e dare loro la possibilità di scambio delle proprie esperienze riguardanti la vita spirituale. I vescovi ucraini, durante il Sinodo della Chiesa greco-cattolica in corso in Canada dal 9 settembre, hanno prestato particolare attenzione alla pastorale dei giovani, esprimendo il loro appoggio alla creazione di una piattaforma che possa favorire la comunione tra i giovani. Ma si sono anche soffermati sulla preoccupante situazione delle continue migrazioni di massa dall’Ucraina, problema che riguarda un sempre crescente numero di persone. A tal proposito, come riporta l’agenzia Sir, sono state prese numerose decisioni per sostenere i migranti all’estero, soprattutto per garantire loro la possibilità di mantenere la propria identità nazionale e religiosa. (L.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 258

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