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Sommario del 10/09/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ai vescovi colombiani: promuovere la pace e proclamare la verità integrale sulla famiglia
  • Religioni a Sarajevo. Il Papa: credenti e non credenti alleati per la pace. Imam di Lahore: la soluzione è il dialogo
  • Il cardinale Sandri: la visita del Papa in Libano, profetica per la Chiesa e il Medio Oriente
  • Altre udienze
  • Incontro in Tanzania sulla pastorale della strada in Africa: intervista con il cardinale Vegliò
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: bombardamenti a Damasco e Aleppo. Ban Ki-moon: i criminali di guerra siano processati
  • Ondata di violenza in Iraq e Afghanistan alla vigilia degli attentati dell'11 settembre 2001
  • Somalia verso l'elezione di un nuovo capo dello Stato
  • Mali: uccisi 16 fondamentalisti. Si acuisce il conflitto tra governo e ribelli tuareg
  • Alcoa: scontri a Roma, feriti 4 agenti, operaio colpito da bomba carta
  • Ricomincia l’anno scolastico, mons. Parmeggiani: patto educativo contro il disorientamento
  • Ospedale Bambino Gesù: entra in piena funzione l'attività della nuova sede a Roma
  • Primo happening nazionale degli oratori italiani: sono 6.500 su tutto il territorio
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Kazakhstan: nuova cattedrale dedicata alla Madonna di Fatima nella terra dei gulag
  • Grandi Laghi: conclusa la Conferenza internazionale dei capi di Stato
  • Etiopia: avviati i colloqui di pace con i ribelli dell'Ogaden
  • Mosca: demolita dalle autorità una chiesa pentecostale. La condanna del Patriarcato
  • Venezuela: il cardinale Urosa chiede pace e rispetto dei diritti di tutti
  • Haiti: i Gesuiti chiedono l'impegno del governo per la ricostruzione del Paese
  • India: proteste contro la costruzione di un impianto nucleare
  • Hong Kong: vittoria dei democratici. Il governo cede sulla riforma scolastica
  • Taiwan: missione delle università cattoliche del sud-est asiatico ed Estremo Oriente
  • Tunisia: per il direttore delle Pom il Paese è "un laboratorio politico”
  • Un Cappuccino turco tra i nuovi dirigenti dell'Ordine
  • Sagra Musicale Umbra: il primo film italiano su S. Francesco, conservato dalla Filmoteca Vaticana
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ai vescovi colombiani: promuovere la pace e proclamare la verità integrale sulla famiglia

    ◊   Fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio: è l’espressione con cui il Papa rivolgendosi ai vescovi colombiani in visita ad Limina parla della situazione nel Paese dell’America Latina dove – aggiunge – nonostante segnali incoraggianti la violenza porta dolore e morte. Poi parole di forte incoraggiamento ai vescovi a difendere la famiglia, a contrastare la secolarizzazione e a aiutare i giovani a scoprire il senso vero della vita. Il servizio di Fausta Speranza:

    “A pesar de algunos signos esperanzadores, la violencia continúa…”
    “Nonostante alcuni segnali incoraggianti, la violenza continua a portare dolore, solitudine, morte e ingiustizia a tanti fratelli in Colombia”. Lo afferma il Papa esprimendo parole di apprezzamento per la missione pastorale che i vescovi portano avanti “spesso – dice - in luoghi pieni di difficoltà e pericoli”. Benedetto XVI incoraggia a “continuare a contribuire a proteggere la vita umana e a promuovere la cultura della pace”, a “seminare il Vangelo della riconciliazione”, che può trasformare l’odio in perdono e la rivalità in fratellanza.

    “Junto a esto, ustedes mismos han constatado también los efectos devastadores…”
    Accanto a tutto ciò, poi, il Papa a proposito della società colombiana mette l’accento su “gli effetti devastanti della secolarizzazione”. Benedetto XVI parla di “forte impatto sulle condizioni di vita”, di scala di valori sconvolta, di attentato alle fondamenta stesse della fede cattolica, al matrimonio, alla famiglia e alla morale cristiana. Benedetto XVI ribadisce la “priorità” per i vescovi: la “difesa instancabile dell'istituto familiare”. E dunque li incoraggia a continuare a proclamare "la verità integrale sulla famiglia, fondata sul matrimonio come Chiesa domestica e santuario della vita”. Il Papa sottolinea i frutti riconoscibili in “molte vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata”, nella “nascita di movimenti di apostolato, così come nella vitalità pastorale delle comunità parrocchiali”, ricordando che nei piani di impegno della Conferenza Episcopale della Colombia per i prossimi anni si legge proprio l’impegno a "promuovere i processi di nuova evangelizzazione”. Si sofferma sulla formazione di nuovi presbiteri e religiosi, raccomandando “tutta l'attenzione di cui hanno bisogno: spirituale, intellettuale e materiale, in modo che possano vivere il loro ministero fedelmente e fruttuosamente”. “Se necessario – dice il Papa – anche con una correzione chiara e caritatevole”. E, a questo proposito, incoraggia, sotto la guida del Magistero, “la revisione di contenuti e di metodi della formazione, perché possa rispondere alle sfide del momento presente e alle esigenze e alle richieste del popolo di Dio”.

    “Igualmente, es importante el fomento de una acertada pastoral juvenil…”
    Poi si sofferma su un altro punto definendolo “altrettanto importante” e cioè sulla pastorale giovanile. “Le nuove generazioni – esorta il Papa - devono percepire chiaramente che Cristo cerca e vuole offrire la sua amicizia”. I giovani – raccomanda il Papa - devono scoprire che Cristo ha dato la sua vita per l’uomo perché conosca la pienezza di vita. L’appello di Benedetto XVI è chiaro: non lasciare che i giovani siano trascinati nella mediocrità di alcune proposte di vita che lasciano solo "vuoto e tristezza". “Cristo – dice il Papa – vuole aiutare coloro che hanno il futuro davanti a sé a seguire le loro aspirazioni più nobili”.

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    Religioni a Sarajevo. Il Papa: credenti e non credenti alleati per la pace. Imam di Lahore: la soluzione è il dialogo

    ◊   All’inganno della cultura dello scontro risponda il valore del dialogo impostato sui binari saldi della verità, dalla quale sgorga la pace. E’ quanto si legge nel messaggio del Papa, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, inviato al cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo, dove ieri si è aperto l’incontro mondiale delle religioni organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. All’assemblea di apertura ha preso parte anche il presidente del Consiglio italiano Mario Monti. Da Sarajevo, Francesca Sabatinelli:

    “La strumentalizzazione della religione come motivo di violenza e il 'no' a Dio in nome di una visione del tutto secolarizzata dell’uomo” mettono a rischio la pace. Il Papa, come lo scorso anno ad Assisi, nel messaggio inviato ieri all’incontro di Sant’Egidio ha spiegato che gli “effetti del convergere di queste due forze negative si sono, fra l’altro, sperimentati in misura drammatica, anche nella città di Sarajevo”, dove la guerra venti anni fa ha portato “morte e distruzione”. Ha poi rilanciato il messaggio della necessità di un’alleanza tra credenti e laici alla ricerca della verità e della pace e ha rivolto il suo pensiero al Medio Oriente, alla Siria, e al suo imminente viaggio in Libano, augurando “riconciliazione e tranquillità” a quelle terre. Fino alla guerra, Sarajevo era sempre stata esempio della convivenza tra le diversità e questo ci si è augurato che torni ad essere, anche per essere da esempio per tutta l’Europa. Ieri il premier italiano Mario Monti aveva puntualizzato come proprio qui nei Balcani si gioca la capacità dell’uomo di vivere con il suo simile, anche se appare così diverso da lui. Sarajevo restituisce il dramma di cosa può accadere quando il vivere insieme non riesce possibile, ha quindi detto stamattina, dopo l’incontro con il premier bosniaco Vjekoslav Bevanda. Occorre essere sempre vigili sul fatto che mai la convivenza pacifica, armoniosa, costruttiva, è acquisita per sempre, ha detto Monti. Per prevenire quindi tensioni a seguito della crisi dell’Eurozona, ha parlato della necessità di una manutenzione politica continua per l’Unione Europea e per questo ha ripetuto quanto già detto a Cernobbio: la necessità di un incontro tra i capi di Stato e di governo, iniziativa appoggiata dal presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy, anch’egli presente qui a Sarajevo. L’Ue deve unire e non dividere, è stato quindi il messaggio di Monti. Il capo del governo italiano ha quindi sottolineato l’importanza di favorire l’integrazione della Bosnia ed Erzegovina nell’Unione Europea. L’Europa ne trarrebbe gran ricchezza, ha detto, per le sue peculiarità storiche, culturali, etniche e religiose.

    Presente a Sarajevo anche il grande imam della Moschea di Lahore, in Pakistan, Muhammad Abdul Khabir Azad. Francesca Sabatinelli gli ha chiesto un commento sull’incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio:

    R. – I do understand that it’s really...
    Capisco davvero il grande sforzo dell’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, che ha portato questa Conferenza a Sarajevo. Sarajevo ha visto, infatti, tanta crudeltà nel passato. C’è stato un tempo in cui le persone ascoltavano storie tragiche riguardanti questa città e ora le persone ricevono un nuovo messaggio da Sarajevo e questo messaggio sarà consegnato al mondo. Noi sappiamo che la Comunità di Sant’Egidio ha fatto un grande lavoro e, attraverso i suoi sforzi e le sue iniziative, tante persone acquisiscono nuova consapevolezza. Il suo messaggio è per tutta la gente ed è molto semplice: la soluzione di tutto non è la violenza, la soluzione è il dialogo e sedersi attorno ad un tavolo per cercare di capire le cose. Noi siamo riusciti a fare questo grazie all’opera del Consiglio interreligioso per la pace e l’armonia in Pakistan e stiamo lavorando per questa grande causa.

    D. – Cosa dire del caso Rimsha?

    R. – The case of Rimsha...
    Il caso di Rimsha … come voi sapete, la ragazza è stata rilasciata dalla Corte che ha messo sotto arresto un’altra persona, responsabile dell’intera vicenda. Al momento, la Corte sta svolgendo le indagini. Noi speriamo che ci siano presto dei risultati definitivi e che saremo in grado di vedere i fatti: chi è nel giusto e chi no. Noi speriamo che tutte le comunità religiose in Pakistan siano a sostegno delle persone innocenti e di ciò che è giusto. Questo è l’insegnamento della nostra religione, l’islam: aiutare le persone giuste.

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    Il cardinale Sandri: la visita del Papa in Libano, profetica per la Chiesa e il Medio Oriente

    ◊   Il mio viaggio apostolico in Libano “si colloca sotto il segno della pace”: è quanto affermato ieri da Benedetto XVI all’Angelus. Il Papa ha poi sottolineato che, in Medio Oriente, “non ci si può rassegnare alla violenza ed all’esasperazione delle tensioni”. Intanto, a Beirut fervono i preparativi per il 24.mo viaggio apostolico internazionale di Benedetto XVI, il quarto in Medio Oriente dopo quelli in Turchia nel 2006, Terra Santa nel 2009, e Cipro nel 2010. Il Papa arriverà nella capitale libanese il 14 settembre e, nella stessa giornata, firmerà l’Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in Medio Oriente”. Sulle aspettative per questo viaggio, Alessandro Gisotti ha intervistato il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il cardinale Leonardo Sandri:

    R. - Non posso non auspicare che questo viaggio rappresenti veramente un’ondata di amore e di pace attraverso la presenza del Papa, la presenza di Gesù nella persona del Papa. Il Santo Padre ha sempre parlato della pace, della collaborazione, della comunione della Chiesa in questa zona del Medio Oriente - in Libano in particolare - dove c’è il più gran numero di fedeli cattolici, i maroniti, affinché si possa veramente vivere la comunione, la fraternità e la testimonianza dell’amore di Dio; che questo viaggio sia poi una conseguenza di amore, di pace per i nostri fratelli cristiani, delle altre chiese, per tutti i Patriarchi e i fedeli ortodossi, i vescovi e anche per tutto il mondo musulmano che rappresenta la grande maggioranza degli abitanti di questa regione. Che si mantenga la speranza di un Libano e di un Medio Oriente rispettoso dei diritti di tutti, soprattutto della libertà religiosa e rispettoso di quella storia che ha segnato una collaborazione, un’amicizia tra tutti, senza differenze di religione, rispettando e ascoltando l’altro, e sapendo che soltanto nel rispetto e nella fratellanza, c’è un futuro per questi Paesi.

    D. - Il Sinodo per il Medio Oriente ha avuto come tema “Comunione e testimonianza”. In che modo questa visita del Papa potrà rafforzare la comunione e la testimonianza dei cristiani in tutta la regione?

    R. - Questa visita ha come scopo quello di consegnare l’Esortazione apostolica post sinodale del Sinodo per il Medio Oriente. È una visita che deve infiammare soprattutto il cuore dei fedeli cattolici; infiammarli proprio nella testimonianza di essere veramente discepoli di Cristo, e di annunciare il Vangelo con la parola e con la loro vita. Io spero che dopo l’Esortazione post sinodale, ma soprattutto dopo la presenza del Papa in Libano, entri nel cuore di tutti questo entusiasmo di saperci discepoli di Cristo, e di testimoniarlo nella comunione. Noi possiamo fare tante riunioni, scrivere tanti documenti, ma se da parte nostra manca non solo la conoscenza della verità, ma la testimonianza di questa verità di Cristo nella nostra vita, è inutile. Poi tutto rimane nelle parole. Noi auspichiamo che l’Esortazione post sinodale, più che un documento, sia proprio un modo di vita per tutti i nostri fratelli cattolici, e così possa contribuire all’ecumenismo con i nostri fratelli cristiani, e alla convivenza con i nostri fratelli musulmani.

    D. - Quanto la visita del Papa in Libano, potrà aiutare il dialogo ecumenico e il dialogo interreligioso in Medio Oriente?

    R. - Penso che darà una spinta molto grande per questo dialogo, perché tutti potranno vedere e toccare con mano che la presenza del Papa non è una presenza di potere, di forza, ma è una presenza di amore, di dialogo, di saper ascoltare e di saper stare insieme, e che mai e poi mai, sarà la presenza del Vangelo e del cristianesimo ragione per usare la violenza, l’odio o la separazione. Il Papa darà testimonianza di questa pace, di questo amore del Vangelo. Perciò io credo che questa visita è realmente una visita profetica per la Chiesa, e per il Medio Oriente.

    D. - Il viaggio del Papa potrà anche richiamare la Comunità internazionale a non rimanere sorda alle istanze, alle necessità dei cristiani del Medio Oriente?

    R. - Certamente servirà anche per questo. Soprattutto per far presente che le minoranze hanno diritto al rispetto anche nei Paesi dove sono la piccola parte in un mondo che vive un’altra religione. In questo senso, il richiamo alla libertà religiosa per tutti, al dovere di essere cittadini esemplari del proprio Paese - siano essi musulmani o cristiani - è un richiamo che i nostri fedeli cattolici vivranno con tutto il loro entusiasmo, e tutta la loro osservanza perché sono figli della Chiesa, figli del proprio Paese e sono al servizio della loro nazione. Amano la loro patria proprio perché sono cattolici e perché sono cristiani.

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    Altre udienze

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in udienza, nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, e l’ambasciatore di Serbia, Vladeta Jankovic, con la consorte, in visita di congedo.

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    Incontro in Tanzania sulla pastorale della strada in Africa: intervista con il cardinale Vegliò

    ◊   "Pastorale della strada: un cammino insieme" è il tema del primo Incontro di pastorale della strada per l’Africa e il Madagascar, che si terrà a Dar-es-Salaam, in Tanzania, da domani al 15 settembre. L’evento è organizzato dal Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti in collaborazione con la Commissione episcopale per i migranti e gli itineranti della Tanzania. Obiettivo principale di questo incontro è promuovere iniziative e programmi pastorali delle Chiese locali per il bene di coloro che vivono nella e della strada, e cioè: donne e ragazzi di strada, persone senza fissa dimora, addetti ai trasporti su strada e sicurezza stradale. Non vi sono dati ufficiali sulle donne e ragazze coinvolte nella prostituzione volontaria o forzata. Tale realtà sta acquistando, purtroppo, in alcune parti del mondo carattere di industria. Invece, un calcolo approssimativo dei bambini di strada nel mondo indica il loro numero intorno ai 150 milioni, il 40% dei quali è senza casa e il 60% lavora in strada per sostenere la famiglia. Più di un miliardo di persone del pianeta non ha un alloggio adeguato e circa 100 milioni non hanno alcun alloggio. Ogni giorno, circa 50 mila persone, in maggioranza donne e bambini, muoiono a causa di un riparo inadeguato, dell'acqua inquinata e della mancanza di igiene. Circa 70 milioni di donne e bambini vivono in ambienti così angusti che il fumo dei fuochi di cucina danneggia la loro salute. I lavori si apriranno con una lettera che il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone ha inviato a nome del Santo Padre, per esprimere la vicinanza del Pontefice. Ma come nasce questo incontro continentale? Risponde, al microfono di Fabio Colagrande, il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti:

    R. - La pastorale della strada guarda in modo particolare a quattro categorie di persone e cioè donne/ragazzi di strada, bambini/ragazzi di strada, persone senza fissa dimora, addetti ai trasporti su strada e, in generale, tutto ciò che riguarda la sicurezza stradale. Tutte queste persone rientrano nel grande fenomeno dell’itineranza di cui questo Pontificio Consiglio ha la competenza. Il Congresso in Tanzania è l’ultimo di una serie di incontri continentali già realizzati da questo Dicastero nel corso degli ultimi quattro anni, che si sono svolti rispettivamente in America Latina nel 2008, in Europa nel 2009, e in Asia e Oceania nel 2010. In questi incontri abbiamo riscontrato che esiste un grande interesse a livello internazionale per questo ambito della realtà umana. Sono profondamente grato al Cardinale Segretario di Stato per la lettera che ha inviato a nome del Santo Padre per questo Incontro e che verrà letta domani pomeriggio alla cerimonia di apertura.

    D. - Ci sono punti di contatto fra il meeting e l'Esortazione apostolica post-sinodale Africae munus di Benedetto XVI del novembre 2011?

    R. - Ci sono dei riferimenti nell'Esortazione apostolica Africae munus di Benedetto XVI sulla realtà delle donne, dei giovani e dei bambini in Africa e Madagascar. In particolare posso precisare che nei paragrafi compresi tra i numeri 42 e 68, sotto il tema “Vivere insieme”, il Santo Padre prende in considerazione la complessa realtà della famiglia africana, auspicando una maggiore attenzione per la dignità e la salvaguardia del nucleo familiare. L’Incontro rifletterà in tale contesto anche sulle varie circostanze sociali e politiche avverse, che possono portare sulla strada i componenti della famiglia per sopravvivere.

    D. - Il congresso si occuperà anche della cura pastorale delle donne e/o delle ragazze coinvolte nella prostituzione volontaria o forzata in Africa e Madagascar?

    R. - Sì, l’Incontro si occuperà della realtà delle donne che, anche nel continente africano, vendono il proprio corpo, sia volontariamente sia forzatamente, cadendo spesso vittime di nuove forme di schiavitù. Il Santo Padre, nell'esortazione Africae munus, fa appello al popolo africano affinché promuova ogni iniziativa a favore delle ragazze e delle donne che sono spesso meno favorite dei ragazzi e degli uomini. Come accenna il documento nei numeri dal 55 al 59, “troppo numerose sono ancora le pratiche che umiliano le donne e le avviliscono, in nome della tradizione ancestrale”. Perciò il Santo Padre, insieme ai Padri sinodali, invita “insistentemente i discepoli di Cristo a combattere ogni atto di violenza contro le donne, a denunciarlo e a condannarlo”.

    D. - Che tipo di collaborazione ci può essere a livello continentale e regionale, anche in ambito ecclesiale, per combattere queste mali sociali?

    R. - Vorrei sottolineare che, come il Santo Padre auspica nel documento Africae munus, è necessario che l'impegno in tale direzione sia duplice, cioè, da parte degli Stati e delle Chiese locali. Noto con grande soddisfazione che sono già in atto alcune forme di cooperazione, come per esempio quella tra il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) ) e il Simposio delle Conferenze Episcopali dell'Africa e del Madagascar (SECAM), finalizzata all’evangelizzazione e alla promozione umana.

    D. - Ci sono problematiche pastorali particolari che riguardano gli autotrasportatori e la sicurezza stradale nel continente africano?

    R. - Al Congresso ci sarà la presenza di un rappresentante dell’ITF (Federazione Internazionale dei Trasporti), che illustrerà i problemi e le esigenze degli addetti ai trasporti su strada, i quali affrontano lunghi spostamenti, malgrado i bassi salari, privi di assicurazione sul lavoro e la salute, esponendosi a molteplici difficoltà, come la lontananza dalla famiglia, le lunghe attese alle frontiere, la fatica e la corruzione. L’Arcivescovo di Johannesburg si soffermerà su questi argomenti nell’intento di offrire indicazioni e orientamenti pastorali alla luce dell’educazione e dell’evangelizzazione lungo la strada.

    D. - Può infine accennare brevemente ai partecipanti al congresso e al suo svolgimento?

    R. - I partecipanti registrati sono oltre 85, provenienti da 31 nazioni del continente. Fra di loro vi sono 15 Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose e laici, che sono delegati delle Commissioni Episcopali per i migranti e gli itineranti, di Caritas Internationalis, e di istituti religiosi coinvolti nella pastorale delle persone che vivono sulla e della strada.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All'Angelus Benedetto XVI parla del suo prossimo viaggio in Libano.

    Il dialogo tra credenti e non credenti antidoto alla violenza: il messaggio del Papa all’Incontro internazionale per la pace organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio a Sarajevo.

    In prima pagina, la crisi in Iraq: una decina di attentati causa 88 morti accertati.

    Nell'informazione internazionale, in rilievo la Siria: Hillary Clinton ammette divergenze con la Russia sul piano di pace di Kofi Annan.

    Per le magnifiche tre: Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, sui libri d'oro realizzati da Lorenzo de’ Medici come doni nuziali alle sue figlie, ora in mostra alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze.

    Alta moda a Venezia: Emilio Ranzato su verdetti e novità alla Mostra del Cinema.

    Aperto in Canada il Sinodo dei vescovi greco-cattolici: il messaggio dell’arcivescovo maggiore di Kiev-Halyč.

    Un impegno di fede più autentico: la lettera pastorale del cardinale arcivescovo di Lisbona.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: bombardamenti a Damasco e Aleppo. Ban Ki-moon: i criminali di guerra siano processati

    ◊   In Siria continuano, secondo fonti dell’opposizione, i bombardamenti da parte dell’esercito, in particolare ad Aleppo e a Damasco. In base ad un bilancio ancora provvisorio, le vittime oggi sono almeno 17, tra cui 4 donne e un bambino. Si moltiplicano intanto gli appelli per la fine delle violenze. Il servizio di Amedeo Lomonaco.

    Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, aprendo la 21.ma sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, ha chiesto che tutti i responsabili di crimini di guerra in Siria siano portati di fronte alla giustizia. Ban Ki-moon ha anche espresso grande preoccupazione per i “bombardamenti aerei su zone abitate da civili da parte delle forze governative”, per “l'aumento delle tensioni settarie” e per il “deteriorarsi della situazione umanitaria”. A questo si aggiunge secondo il segretario generale dell’Onu “l'apparente scelta di entrambe le parti di perseguire una soluzione attraverso la forza piuttosto che con il dialogo”. Il nuovo inviato speciale dell'Onu e della Lega Araba per la Siria, Lakhdar Brahimi, oggi al Cairo per incontrare il presidente egiziano Mohamed Morsi, ha definito la propria missione “estremamente difficile”. Ma non risparmierà ogni sforzo – ha aggiunto - per trovare una via di uscita alla crisi siriana. Brahimi ha annunciato che nei prossimi giorni si recherà a Damasco per una serie di colloqui con “membri della società civile”. Ha anche espresso la speranza di poter incontrare il presidente siriano Bashar al-Assad.

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    Ondata di violenza in Iraq e Afghanistan alla vigilia degli attentati dell'11 settembre 2001

    ◊   Recrudescenza delle violenze in Afghanistan e Iraq, alla vigilia degli attentati dell'11 settembre 2001. in Afghanistan oggi un attentato kamikaze a Kunduz, nel Nord, ha fatto oltre 30 morti, tra cui molti agenti di polizia. Sabato scorso l'attentato al quartier generale della Nato a Kabul, costato la vita a 6 persone, per la maggior parte bambini. E ieri un’ondata di attentati ha insanguinato l’Iraq, con circa 90 morti e oltre 400 feriti. Sulla situazione nel Paese nel Golfo, Salvatore Sabatino ha chiesto un’analisi ad Andrea Margelletti, direttore del Centro Studi Internazionali:

    R. – Il problema è che bisogna ricostruire un Paese e non soltanto pensare di mettere in sella l’uomo più forte. I problemi settari in Iraq sono endemici e finché non verrà risolto il problema di fornire ai sunniti uno sbocco economico, rispetto alle capacità di vendita di petrolio che hanno gli sciiti e i curdi, questo problema permarrà.

    D. – C’è una situazione di emergenza anche in Afghanistan, dove proseguono gli attentati dei talebani: anche questa è una situazione fortemente critica?

    R. – E’ una situazione difficilissima, ma è una situazione che necessita ancor di più attenzione. In particolare il nostro Paese è un partner di riferimento per gli afghani e l’eccellente lavoro che si sta facendo nell’area di Herat lo dimostra: hanno bisogno di sentire accanto a loro degli alleati coerenti e di lungo periodo.

    D. – E intanto si può dire che la Comunità internazionale, in questo momento, forse perché tutta l’attenzione è tutta concentrata sulla Siria, si sia un po’ distratta rispetto a queste due crisi…

    R. – Direi che in molte realtà, dove i problemi politici interni rappresentano il modello di politica estera, la Siria sta diventando una sorta di nuova Libia. L’Unione Europea è il vero grande mistero della politica internazionale: tutti parlano di Unione Europea, tutti parlano di voglia di Europa, poi al momento opportuno, al momento giusto di prendere delle decisioni, ciascuna nazione ancora adesso gioca la propria partita. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, è un anno elettorale e tutto quello che è illogico diventa logico. Bisognerà quindi aspettare il post-novembre per poter dare un giudizio sul futuro dei prossimi quattro anni dell’amministrazione americana in termini di politica internazionale.

    D. – Possiamo, però, dire che gli Stati Uniti sono stati in primo piano per quanto riguarda le crisi in Afghanistan e in Iraq: questo quanto potrebbe danneggiare Obama?

    R. – Credo che in questo momento più che la politica estera negli Stati Uniti ci sia la necessità di avere una amministrazione che abbia le idee chiare in tema di che cosa avviene a casa propria. L’amministrazione Obama aveva creato molte, moltissime aspettative e forse non è stata così brillante quanto i suoi elettori si auspicavano.

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    Somalia verso l'elezione di un nuovo capo dello Stato

    ◊   In Somalia è in corso tra imponenti misure di sicurezza la riunione del nuovo Parlamento che dovrà votare per l’elezione del presidente della Repubblica, la prima dopo 20 anni in cui i periodi di crisi si sono alternati alla presenza di autorità transitorie. I candidati alla massima carica sono 25, tra cui il capo dello Stato e il primo ministro ad interim. Davide Maggiore ha chiesto a Matteo Guglielmo, analista della rivista di geopolitica ‘Limes’, un giudizio su questa nuova tappa del processo di transizione del Paese:

    R. - Parlerei di momento di relativa stabilità, nel senso che adesso in molti guardano alle elezioni, ma è semplicemente una nuova nomina di istituzioni, che comunque non hanno -per ora- una comprovata effettività o legittimità sul territorio. Più che altro la novità sarà in quello che rappresenteranno questo governo e questo presidente; non più un governo transitorio, ma un governo -comunque- riconosciuto a tutti gli effetti, e quindi capace di comportarsi come tale.

    D. - Una delle grandi sfide, per le prossime autorità somale, sarà quella di riuscire a unire un Paese fortemente diviso tra fazioni e anche tra clan. C’è la possibilità che il nuovo presidente riesca a fare questo?

    R. - Dipenderà molto dalla sua capacità di agganciarsi al territorio, di uscire da quelle che sono le porte del parlamento e delle istituzioni arroccate a Mogadiscio, e cercare di allacciare delle relazioni con quelli che sono i gruppi, che in questo momento, tengono le varie regioni somale. Non si tratta di un processo nel breve termine, ma richiederà comunque, ulteriori mesi di assestamento. Tuttavia bisognerà anche valutare quali sono le disponibilità di altri Paesi regionali che, in questo momento, hanno delle forze armate in Somalia. Più queste forze armate avranno la disponibilità a rimanere sul territorio e quindi a garantire una sorta di protezione al governo, più le possibilità di riuscita di questa travagliata transizione saranno alte.

    D. - Molti analisti temono che la situazione possa rimanere in realtà quella corrente. Questo rischio, è veramente concreto?

    R. - La possibilità è molto alta. Questo rischio è molto concreto perché -di fatto- il processo della Road Map, cioè quel processo che ha garantito il temine della transizione -che dovrebbe concludersi con la nomina del nuovo presidente e del nuovo primo ministro- è stato guidato da quegli stessi attori, che per anni, hanno partecipato alla transizione. Quindi, è molto probabile che le nuove istituzioni siano anche gli stessi personaggi, gli stessi leader, che hanno guidato la Road Map.

    D. - D’altra parte abbiamo accennato alla questione fondamentale del controllo del territorio. Nelle ultime settimane, sono arrivate notizie di nuove offensive contro gli shabab. Quale sembra essere, in questo momento, lo scenario militare in Somalia?

    R. - Lo scenario militare è molto legato -ripeto- alla volontà politica dei Paesi della regione che hanno una missione militare in Somalia, di mantenere questa missione nel Paese. Il problema è che nel lungo periodo questo missioni -mi riferisco soprattutto alla missione keniana, ma anche a quella ugandese- che comunque sono nell’ambito dell’Amisom (missione dell’Unione Africana in Somalia), possono avere delle ricadute politiche interne abbastanza negative, perché comunque oggi, stare in Somalia per un contingente vuol dire anche perdere molti uomini.

    D. - Quale può essere l’impatto della questione somala sugli equilibri dell’area?

    R. - Credo che in questo momento la Somalia sia -in qualche modo- il fulcro di numerose aspettative ed interessi regionali. Tuttavia, non credo possa esserci in futuro un peggioramento eccessivo della situazione.

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    Mali: uccisi 16 fondamentalisti. Si acuisce il conflitto tra governo e ribelli tuareg

    ◊   Ancora tensioni in Mali. Ieri 16 appartenenti di una setta fondamentalista islamica sono stati uccisi dall'esercito di Bamako a nord-est della capitale. I militari hanno aperto il fuco dopo che il veicolo su cui i 16 viaggiavano non si è fermato ad un posto di controllo. Un episodio che rilancia il confronto armato tra il governo centrale e il nord, conquistato a gennaio, da gruppi tuareg fondamentalisti, proprio nel giorno della morte in Mali del leader di Al Qaeda nel Sahara. Quali le vie d’uscita a questa crisi? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Enrico Casale, africanista della rivista dei gesuiti “Popoli”:

    R. – Di uscite pacifiche temo che per il momento non ce ne siano. Il governo di Bamako ha richiesto la scorsa settimana l’intervento di una forza militare dell’Ecowas, la Comunità degli Stati dell’Africa occidentale, per lanciare un’offensiva verso il Nord e riprendere le regioni che sono state occupate a partire da gennaio. Quindi, temo che possa addirittura esserci una ripresa del conflitto.

    D. – Che cosa può aver scatenato una reazione così violenta da parte dell’esercito? Forse il timore di inserimenti fondamentalisti o di Al Qaeda all’interno dei gruppi musulmani nel Nord?

    R. – L’incidente è a mio parere un incidente di frontiera, nel quale i soldati dell’esercito maliano hanno sparato contro un convoglio che ritenevano potesse minacciarli. In realtà, però, non si sa bene se sia soltanto un convoglio isolato oppure forse un tentativo di invadere le regioni centrali da parte delle forze fondamentaliste, che attualmente governano le regioni del Nord del Mali.

    D. – Tra l’altro, è giunta la notizia della morte in un incidente del leader di Al Qaeda, noto con il nome “Emiro del Sahara”. Questo vuol dire che la rete terroristica ha messo gli occhi sul Mali e su altri Paesi, che sono in fase di forte destabilizzazione?

    R. – Certamente, ma la morte dell’emiro segnala non solo la presenza di Al Qaeda, ma anche, oltre al movimento di liberazione dell’Mnla, gruppo fondamentalmente laico che ha dato l’avvio all’offensiva contro Bamako, nel Nord del Mali, si stanno affermando sempre di più formazioni di carattere fondamentalista islamico, jihadista, con diverse componenti: tuareg, straniere e popolazioni di etnia africana.

    D. – Quali le ricadute di questa situazione sulla popolazione civile, che in questi casi, come al solito, paga sempre il prezzo più alto?

    R. – Non solo paga il prezzo più alto in termini di privazioni della propria libertà di movimento, della possibilità di vivere in modo sereno, ma anche di professare un Islam che al Nord del Mali è sempre stato molto tollerante, molto aperto verso le altre culture, forse perché quell’area era un’area di grande transito, di grandi commerci, in cui s’incontravano culture molto diverse. Segnalo anche che fino ad alcuni secoli fa esistevano fiorenti comunità ebraiche e cristiane. Quindi, è sempre stato un luogo d’incontro. Questa guerra porta, invece, allo scontro tra componenti diverse e fondamentaliste, che in parte arrivano anche dall’estero.

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    Alcoa: scontri a Roma, feriti 4 agenti, operaio colpito da bomba carta

    ◊   Alcune centinaia di lavoratori dell’Alcoa sono scesi questa mattina in piazza a Roma per protestare contro la chiusura dello stabilimento di Portovesme. Occasione del sit-in, che si è svolto davanti al Ministero dello Sviluppo Economico, l’incontro tra il governo, le istituzioni sarde e una folta delegazione sindacale per decidere le sorti dell’azienda. La manifestazione si è svolta in un clima di tensione con petardi e tafferugli tra manifestanti e forze dell’ordine. Quattro gli agenti feriti, mentre un operaio è stato colpito lievemente da una bomba carta. C’era per noi Michele Raviart:

    “Io sono un semplice operaio e ho due figli e una famiglia da mantenere… Mi stanno buttando in mezzo alla strada, a 47 anni! Mia figlia a 25 anni è in mezzo alla strada, perché nel Sulcis non c’è niente, non ci sono alternative. Non ce lo possiamo permettere noi e non se lo può permettere il territorio!”.

    “Stiamo cercando di portare avanti questa battaglia per salvaguardare il posto di lavoro, cui ci stiamo aggrappando disperatamente dal momento che non abbiamo nient’altro a cui aspirare. L’Alcoa ha già iniziato lo spegnimento degli impianti o meglio ci ha obbligato – in relazione all’accordo che è stato siglato il 27 di marzo – a collaborare allo spegnimento della nostra fabbrica. Noi siamo obbligati a cancellare il nostro posto di lavoro!”.

    Si dichiarano “pronti a tutto” gli operai dello stabilimento Alcoa di Portovesme, che insieme ad altri lavoratori del Sulcis, sono scesi questa mattina in piazza a Roma davanti al Ministero dello Sviluppo Economico per protestare contro la chiusura di uno degli stabilimenti di alluminio più importanti d’Italia. L’Alcoa produce il 12% del fabbisogno di alluminio di tutta l’Italia e fa parte di una filiera industriale strategica a livello nazionale, cruciale per il territorio del Sulcis, come ci spiega il sindaco di Carbonia Giuseppe Casti:

    “Le conseguenze di una chiusura sarebbero gravissime! E’ un territorio che, in questo momento, è assolutamente in difficoltà… Viene considerata una delle province più povere di Italia. Abbiamo assolutamente bisogno che il governo si occupi della vertenza e che la risolva in maniera definitiva! Alcoa vale 2.500 posti di lavoro e in un territorio come il nostro non è assolutamente possibile perdere questa opportunità”.

    Qualora l’Alcoa dovesse chiudere, non tutti i lavoratori avrebbero gli stessi diritti. Alcune centinaia non sono dipendenti diretti dell’azienda, ma sono stati spesso assunti tramite agenzie interinali. Mimmo Ravo, sindacalista della Cisl:

    “Dentro la mia fabbrica ci sono ormai anche un sacco di ragazzi di queste aziende interinali e loro non hanno alcun tipo di tutela. Per noi c’è un pizzico di sopravvivenza con gli ammortizzatori sociali: per loro? Loro sono morti! Sono diverse centinaia anche qui, perché l’Alcoa ultimamente non ha più assunto nessuno ma assumeva da queste aziende interinali per poterli poi cacciare via quando voleva”.

    La speranza dei manifestanti è che il governo riesca a chiudere in maniera positiva la vertenza, favorendo la vendita alla multinazionale svizzera Glencore, già presente in Sardegna con due fabbriche e giudicata credibile da istituzioni e lavoratori. Il punto chiave della trattativa sarà il costo dell’energia elettrica: la Glencore vorrebbe un prezzo calmierato come lo era per l’Alcoa. Una condizione che difficilmente sarebbe accettata dall’Unione Europea, che la giudicherebbe probabilmente un aiuto di Stato.

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    Ricomincia l’anno scolastico, mons. Parmeggiani: patto educativo contro il disorientamento

    ◊   In diverse regioni italiane ricomincia in questi giorni il nuovo anno scolastico. Nell'occasione, mons. Mauro Parmeggiani, vescovo di Tivoli, ha scritto una lettera, rivolta agli studenti e ai docenti della sua diocesi, nella quale sottolinea l’urgenza di un patto di solidarietà tra le varie agenzie educative. Davide Dionisi lo ha intervistato:

    R. – Perché un patto tra agenzie educative? Perché dobbiamo far sentire ai nostri ragazzi e ai nostri alunni un unico linguaggio in questo mondo così disorientante, dove ognuno si fa una cultura un po’ del “fai da te”, noi dobbiamo rimetterci insieme per cercare cosa è essenziale da vivere innanzitutto e poi da trasmettere. Anche all’interno delle famiglie non c’è più un linguaggio condiviso, un linguaggio comune: ognuno va a cercare dei linguaggi in quel mare magnum che ci propone il mondo della comunicazione e la cultura nella quale siamo immersi, che rischiano – anche se siamo apparentemente insieme e vicini – di far vivere ognuno in un mondo con dei valori personali e che si costruisce da solo.

    D. – Ma, com’è noto, la classe docente non gode della giusta considerazione, né da parte della società né tantomeno da parte delle istituzioni…

    R. – La classe degli educatori in genere non gode più di credibilità, perché è venuto meno un grande punto, quello dell’obbedienza e del rispetto dell’educatore, la credibilità dell’educatore e il rispetto dell’autorevolezza dell’educatore. Quando un educatore, facendo il proprio dovere, scrive una nota di demerito ad un suo alunno e si vede arrivare i genitori che incominciano a difendere, "con l’avvocato", il loro figlio, come fa a continuare ad esercitare la sua autorevolezza? Dobbiamo saper dire dei “sì” e dei “no” autorevoli, con l’autorevolezza che deriva da una testimonianza di vita, ma rispettando anche ai ruoli – ecco il patto educativo – perché tutti abbiamo un ruolo preciso nell’educare il singolo soggetto. Dobbiamo insieme anche poterlo educare. Si educa anche dicendo dei “no”, educando anche al sacrificio, dando le regole della vita.

    D. – La scuola deve aiutare tutti a vivere la convivenza democratica e civile tra persone diverse, la tolleranza e l’integrazione tra persone di diverse razze e religioni, la partecipazione attiva alla cittadinanza. Come è possibile?

    R. – E’ possibile educando al rispetto. Ho sempre in mente le scuole che ho visitato a Sarajevo tanti anni fa, scuole sostenute dalla Chiesa e della diocesi di Sarajevo: sono scuole interreligiose, dove cattolici, musulmani e ortodossi vivevano insieme e venivano educati a vivere insieme. Forse i ragazzi sono meno prevenuti degli adulti. Se si educa insieme alla convivenza, nel rispetto reciproco, e nell’impegno per la società sin da quando i ragazzi sono giovani, crescendo potranno anche integrarsi e crescere meglio tra di loro.

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    Ospedale Bambino Gesù: entra in piena funzione l'attività della nuova sede a Roma

    ◊   Entra oggi in piena funzione l’attività della nuova sede dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù a Roma. Si tratta della struttura che si trova in Via di San Paolo nei pressi dell’omonima Basilica. Il centro sarà dedicato a servizi ambulatoriali diurni. Eugenio Bonanata ne ha parlato con il dottor Massimiliano Raponi, direttore sanitario dell’Ospedale:

    R. – Questo ci permetterà di migliorare sempre più l’accoglienza dei nostri pazienti, in quanto al Gianicolo ormai avevamo – non le nascondo - difficoltà a gestire un numero di prestazioni che raggiunge un milione ogni anno. Quindi, da qui, la necessità di dedicare alle famiglie e ai bambini degli spazi adeguati, secondo quella che è la logica del nostro ospedale e i nostri principi etici.

    D. – Si tratta di seimila metri quadrati interamente dedicati alle attività diurne...

    R. – Si tratta giustamente di seimila metri quadri, dedicati all’attività di ambulatorio ed anche di day hospital, di media e bassa complessità, che ci permette di poter garantire, anche in termini di assistenza e di appropriatezza, la gestione migliore per i nostri pazienti. Nel nuovo polo di San Paolo abbiamo un centro prelievi finalmente dotato di consulte adeguate per l’assistenza dei nostri pazienti, abbiamo un’area dedicata alla chirurgia ambulatoriale e abbiamo tutte le specialistiche ambulatoriali: pediatriche e chirurgiche.

    D. – Peraltro è una struttura modernissima, da un punto di vista architettonico, quindi per quanto riguarda anche la tutela dell’ambiente è una struttura che rispetta queste caratteristiche...

    R. – Sì, è una struttura che rispetta fortemente i requisiti, ovviamente normativi, ma rispetta – oserei dire – i requisiti internazionali di accoglienza, con un’attenzione particolare al percorso del paziente dall’ingresso fino alle consulte, con un’attenzione, dunque, anche al personale qualificato di accoglienza, al personale di accettazione e delle casse piuttosto che, ovviamente, al personale infermieristico e medico. Questo l’abbiamo fatto in un lavoro di progettazione e di distribuzione degli spazi, in maniera appropriata e adeguata, a seconda delle esigenze dei pazienti.

    D. – Cosa diventerà il polo ambulatoriale di San Paolo nell’arco del prossimo anno?

    R. – Il polo ambulatoriale di San Paolo, per come è ormai organizzato il sistema sanitario, rappresenta una scelta obbligata. Parlare di appropriatezza significa riuscire a gestire sempre di più i pazienti in ospedale di giorno, in ambulatorio e in day hospital, ed evitare quindi i ricoveri ordinari, cioè la degenza. Questo ovviamente può essere fatto solo se ci sono degli spazi adeguati e questo è quello che ci richiede sia l’appropriatezza in termini medici che in termini di costi. Io parlo sempre di benefici-costi: benefici prima per il paziente e poi ovviamente per il relativo impatto economico. Quindi, un discorso che converge nella stessa direzione.

    D. – Diventerà anche un centro di ricerche, un fiore all’occhiello per l’Europa, sicuramente per la città di Roma...

    R. – Diventerà un fiore all’occhiello, fortemente, anche per la ricerca e soprattutto per la ricerca traslazionale, cioè per tutta quella ricerca che può essere trasferita dai laboratori all’assistenza. In questa direzione, abbiamo anche fatto la scelta di nuovi ambulatori che verranno attivati per lavorare proprio sulla ricerca traslazionale e quindi sul trasferimento dall’assistenza alla ricerca. Il nostro sarà il polo di ricerca più grande in Europa e quindi un’altra sfida importante per il nostro ospedale, proprio perché come istituto di ricerca e cura a carattere scientifico abbiamo nella nostra “mission” la necessità di lavorare e trasferire dalla ricerca all’assistenza le attività orientate ovviamente sempre ai nostri pazienti.

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    Primo happening nazionale degli oratori italiani: sono 6.500 su tutto il territorio

    ◊   Si è concluso ieri mattina, con la celebrazione eucaristica nella Cattedrale di Brescia, il primo happening nazionale degli oratori d’Italia. Un’occasione unica per tanti di loro nel quale incontrarsi, conoscersi, scambiarsi esperienze e riflettere sul proprio valore e sulle prospettive di crescita. Ad organizzare l’evento il Foi, Forum Oratori italiani. Ma come e perché si è arrivati a questo appuntamento che ha visto anche interventi di docenti di psicologia, pedagogia, scienze sociali, ma si è voluto chiamare H1O, nome che richiama la formula dell’acqua, per evocare l’essenziale e cioè Gesù, acqua viva? Adriana Masotti lo ha chiesto a don Marco Mori, presidente del Forum:

    R. – L’oratorio è un grande dono della nostra Chiesa italiana. Sono 6.500 su tutto il territorio nazionale e fanno tantissime cose. Hanno però un piccolo difetto: a volte non si parlano tanto tra di loro. Abbiamo voluto quindi istituire un happening in cui gli oratori si potessero incontrare, stimare reciprocamente, per pensare insieme, pregare insieme, fare festa, per maturare proprio questa consapevolezza di un cammino comunitario di tutta la Chiesa italiana.

    D. – Tra le tante cose che saranno emerse, vuol sottolinearne una?

    R. – Io penso che gli oratori abbiano espresso veramente la coscienza in questo momento di essere una grande risorsa per la nostra Chiesa e anche per il nostro Paese. E’ molto bello, in questa fase in cui i legami più comunitari o più educativi faticano, in alcune realtà. L’altra cosa che abbiamo curato, in modo particolare, è la riflessione su quali siano le prospettive vere su cui muoverci nel nostro futuro, per aiutare i ragazzi a vivere ancora di più l’oratorio. C’è la convinzione che l’oratorio non possa morire, ma è anche vero che oggi, se non interveniamo correttamente da un punto di vista ecclesiale ed educativo, c’è il rischio che si entri in una vera crisi degli oratori.

    D. – Eppure, a leggere i dati, sembra che gli oratori stiano conoscendo una nuova fioritura, con il coinvolgimento di un numero crescente di ragazzi. Come stanno le cose? E se è vero che crescono, dove crescono di più?

    R. – E’ vero che numericamente gli oratori oggi sono in crescita. L’attività degli oratori in Italia, ad esempio d’estate, coinvolge ormai un milione e mezzo di bambini e 200 mila animatori, però non bastano i numeri, perché un oratorio può essere pieno, ma se non riesce ad accogliere ogni ragazzo, in realtà è vuoto. La tradizione dei nostri oratori ci dice che accanto ai numeri vanno considerate le singole persone, i processi educativi, perché questo è fondamentale. Gli oratori sono un fenomeno ormai sparso su tutto il nostro territorio nazionale. Questo è interessante, perché fino a qualche anno fa accadeva solo nel Nord Italia. Ci sono tante regioni, soprattutto del Sud, che hanno voglia di investire sul tema dell’oratorio, e possono investire, ma hanno anche qualcosa da regalare alle tradizioni più antiche.

    D. – Quali sono le caratteristiche dell’oratorio di oggi, le differenze rispetto al passato?

    R. – Ci sono delle caratteristiche che rimangono immutate nella storia degli oratori. Io penso che fondamentalmente siano tre: la voglia di educare di una comunità, che si manifesta concretamente in un luogo concreto, in un investimento educativo, nell’attività che fa fare ai ragazzi; secondo, l’idea che noi facciamo crescere il mondo dei ragazzi, puntando su tutta la persona, aiutandola a crescere nella spiritualità e nella corporeità, nella socialità e nella dimensione interiore. Terzo, i ragazzi non sono dei soggetti passivi, in questa crescita, ma sono loro stessi protagonisti.

    D. – Sono cambiate forse anche le attività, non c’è solo il pallone...

    R. – Certo. La fantasia degli oratori in Italia è incredibile. Io ho trovato oratori che insegnano a costruire persino i circuiti elettrici, per dire che le attività che un oratorio può fare sono veramente tantissime. Infatti, non è l’attività in quanto tale, ad essere importante, ma è il come io la faccio vivere educativamente al ragazzo. Gli oratori tradizionalmente ospitano tante cose - dallo sport, al bar, ai gruppi informali, al teatro, al cinema – ma è anche chiaro che per la formula che hanno riescono ad integrare dentro alla loro proposta le novità che ci sono e che i ragazzi vivono: la virtualità, Facebook, Internet... Non è un rincorrere semplicemente la modernità, ma è la capacità dell’oratorio di usare gli stessi mezzi dei ragazzi, per essere in qualche modo incisivi educatori lì dentro.

    D. – Che cosa ci vuole perché possa funzionare bene un oratorio? Ho l’impressione che ci voglia anche molta formazione da parte di chi deve organizzarlo?

    R. – La comunità è il grembo in cui nasce un oratorio. La comunità vuol dire veramente le persone della comunità, gli adulti. Questo implica che ci debbano essere delle competenze, sicuramente, ma che ci debba essere il cuore di tante persone che buttano l’anima nell’oratorio. Questo fa crescere un oratorio. E penso che da questo punto di vista l’oratorio sia veramente un piccolo miracolo, ma anche il segno di una vitalità reale di una comunità.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Kazakhstan: nuova cattedrale dedicata alla Madonna di Fatima nella terra dei gulag

    ◊   La diocesi kazaka di Karaganda ha inaugurato ufficialmente la nuova cattedrale dedicata alla Madonna di Fatima, “Maria, Madre di tutti i Popoli”. Il rito solenne della consacrazione, celebrato ieri, è stato presieduto dal cardinale Angelo Sodano, Inviato speciale di Benedetto XVI. Insieme a mons. Janusz Kaleta, vescovo di Karaganda, hanno concelebrato altri vescovi del Kazakhstan. Come appreso dall’agenzia Fides, erano presenti oltre 1.500 fedeli, fra preti, religiosi e pellegrini kazaki e di altre 14 nazionalità, perfino della Corea, nonché leader cristiani ortodossi, musulmani e autorità civili locali. La chiesa, in stile gotico e rivestita in pietra del Caucaso, è stata costruita grazie alle offerte dei fedeli di tutto il modo, e grazie al contributo dei precedenti vescovi di Karaganda, mons. Pavel Lenga, e l’ausiliare mons. Athanasius Schneider. Il permesso edilizio è stato accordato dal governo kazako alla Chiesa locale nel 2003. In un colloquio con Fides, mons. Janusz Kaleta, vescovo di Karaganda, esprime “grande gioia per una vera cattedrale: una grande chiesa che sarà un luogo di preghiera e un segno visibile per attirare nuovi fedeli alla fede cristiana”. Notando che è stato “un evento grandioso, che ha coinvolto anche la comunità civile”, il vescovo ringrazia “tutti coloro che hanno contribuito a realizzare questo progetto”. “Tutti crediamo che questi siano i frutti dei martiri e della sofferenza che i fedeli cristiani hanno vissuto in passato in queste terre”, rimarca a Fides padre Piotr Pytlowany, rettore del Seminario della diocesi. “Affidiamo la comunità cattolica in Kazakhastan, e in tutti i paesi dell’ex Unione Sovietica, alla speciale protezione della Vergine di Fatima, che già ha operato miracoli: ad esempio ricordiamo il sostegno che abbiamo ricevuto dal governo locale per questo progetto”. Nell’era sovietica il Kazakhstan divenne luogo di deportazioni per eccellenza: fra i deportati nei “gulag” vi erano migliaia di cattolici di nazionalità polacca, ucraina, tedesca, ma anche di Lituania e Bielorussia. La città di Karaganda era centro di una ragnatela di campi chiamata “Karlag” (“Karaganda lager”), uno dei più vasti e orribili punti dell’universo concentrazionario sovietico, che imprigionava le vittime dell’oppressione religiosa e politica. Molti sacerdoti deportati favorirono il sorgere di una Chiesa clandestina: fra questi è noto padre Alexij Saritski, beatificato da Papa Giovanni Paolo II nel 2001. Oggi a Karaganda, città di due milioni e mezzo di abitanti, sorgono una grande moschea, una chiesa Ortodossa, ed una nuova cattedrale cattolica, per celebrare la fede e ricordare i martiri. (R.P.)

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    Grandi Laghi: conclusa la Conferenza internazionale dei capi di Stato

    ◊   È giunto a conclusione, a Kampala, Uganda, il vertice dei capi di Stato della Conferenza internazionale della Regione dei Grandi Laghi. Come riportato dall’agenzia Misna, il vertice si è concluso con un invito ai ministri della Difesa degli Stati interessati a “riunirsi molto rapidamente per rendere operativa la Forza internazionale neutrale da dispiegare entro tre mesi”. Questa Forza internazionale dovrà operare al confine tra Repubblica Democratica del Congo e Rwanda, territorio da anni destabilizzato da gruppi armati come il Movimento 23 marzo (M23). Molto scetticismo però accompagna la conclusione di questo vertice. I comunicati stampa diffusi, infatti, sono ritenuti molto generici e non chiariscono gli aspetti fondamentali relativi alla formazione di questa forza militare, tra cui il sistema di finanziamento e la sua composizione, quasi a testimonianza di un mancato vero accordo tra le parti. Il prossimo mese si dovrebbe tenere un nuovo incontro. La situazione nel frattempo rimane precaria. (L.P.)

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    Etiopia: avviati i colloqui di pace con i ribelli dell'Ogaden

    ◊   Il governo di Addis Abeba e il gruppo separatista del Fronte di liberazione nazionale dell’Ogaden (Onlf) hanno avviato negoziati di pace la scorsa settimana a Nairobi, con la mediazione del Kenya. In un comunicato diffuso nelle ultime ore, i ribelli in armi contro le autorità centrali dal 1984 hanno riferito che il presidente kenyano Mwaik Kibaki ha nominato il ministro degli Interni Yusuf Haji responsabile della mediazione. Dal canto suo, il portavoce dell’esecutivo di etiope Bereket Simon ha definito l’iniziativa “un passo avanti positivo” ma senza fornire ulteriori dettagli sull’argomento. Entrambe le parti coinvolte - riferisce l'agenzia Misna - rivendicano la volontà politica di porre fine al conflitto in atto nella regione meridionale del Paese a maggioranza somala in cui sono stimati circa otto milioni di abitanti. I colloqui si sono svolti nella capitale keniana il 6 e 7 settembre, dove è previsto anche il prossimo incontro per il quale, tuttavia, nessuna data è stata resa nota. Dal 2007, dopo che ribelli dell’Onlf attaccarono la sede di una compagnia petrolifera cinese uccidendo 76 persone tra cui nove cinesi, il governo etiope ha intensificato la sua presenza militare nella regione. Dalla zona sono state espulse Organizzazioni non governative e umanitarie e persino la Croce Rossa internazionale. Anche se ufficialmente i colloqui sono “frutto di mesi di negoziato”, come riferito dalle due parti, la recente morte dell’ex primo ministro Meles Zenawi – definita dall’Onlf “un’opportunità per un nuovo inizio” – potrebbe aver fornito una spinta decisiva all’iniziativa. (R.P.)

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    Mosca: demolita dalle autorità una chiesa pentecostale. La condanna del Patriarcato

    ◊   Nella notte del 6 settembre un gruppo di uomini, scortati dalla polizia ha abbattuto la chiesa pentecostale della Santa Trinità a Novokosino, nella periferia orientale di Mosca. “Sono stati portati via oggetti di valore e usati modi aggressivi, mentre i volontari sul posto non hanno permesso a nessuno di avvicinarsi durante la demolizione e hanno portato al commissariato locale la donna che faceva da guardia all’edificio nella notte” racconta Vasili Romanyuk, pastore della chiesa, che sottolinea anche che l’abbattimento sarebbe avvenuto senza avvisi formali. La chiesa della Santa Trinità era stata costruita 25 anni fa ed era una delle più antiche chiese pentecostali di Mosca, la più numerosa comunità protestante nel Paese, con 400mila fedeli circa. Tempo fa era stato rescisso il contratto d’affitto per la terra su cui sorgeva la parrocchia. La comunità stava cercando di regolarizzare la situazione ma continuava a incontrare numerosi ostacoli legali. Il 6 settembre si è giunti all’abbattimento della struttura. Il Patriarcato russo-ortodosso, come riporta l’agenzia AsiaNews, si è mosso in difesa della comunità. L’arciprete Vselvod Chaplin, il Capo del Dipartimento sinodale per i rapporti tra Stato e società, ha chiesto al vice sindaco della capitale di prendere una posizione sull’accaduto, invitandolo a tenere in considerazione che “il sentimento dei fedeli rispetto all’edificio, dove pregavano, merita adeguato rispetto e attenzione”. Ora sono forti i timori tra la popolazione che casi simili possano colpire altre confessioni. (L.P.)

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    Venezuela: il cardinale Urosa chiede pace e rispetto dei diritti di tutti

    ◊   “Sogno un Paese pieno di gioia e di amore per Dio, dove ci sentiamo tutti fratelli e abbiamo un atteggiamento positivo dinanzi alle difficoltà”: queste le parole del cardinale arcivescovo di Caracas, Jorge Urosa Savino, a meno di 30 giorni dalle elezioni presidenziali. Il cardinale ha lanciato un appello alla pace, sottolineando che è molto importante che la campagna elettorale si svolga in modo pacifico, nel rispetto dei diritti di tutti e di ciascuna delle parti, evitando in ogni modo la violenza. Nella nota inviata all’agenzia Fides, vengono riportati i sentimenti dell'arcivescovo di Caracas in occasione della festa della Madonna del Valle, celebrata sabato scorso, 8 settembre. Il cardinale ha ricordato che la Vergine Maria ha un posto importante nel cuore di tutti venezuelani, ed "è sempre pronta ad aiutarci". La festa della "Virgen del Valle" risale al 1530, quando la sacra immagine arrivò in Venezuela, ed é molto sentita in tutto il Paese. Le elezioni presidenziali in Venezuela sono programmate per il 7 ottobre. Il neo presidente sarà eletto per un periodo di 6 anni. Benché la lista dei candidati presenti 7 nomi, i favoriti sono solo due: Hugo Chávez Frías e Henrique Capriles. (R.P.)

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    Haiti: i Gesuiti chiedono l'impegno del governo per la ricostruzione del Paese

    ◊   Il Servizio dei Gesuiti per i migranti e i rifugiati della subregione Caraibi (Sjrm) ha chiesto al governo di Haiti e alla società haitiana di impegnarsi di più nella ricostruzione del Paese, e alla comunità internazionale di mantenere le promesse di aiuto ad Haiti, dove le condizioni di vita sono notevolmente peggiorate dopo il terremoto del 2010. I membri del Sjrm hanno manifestato queste richieste in un documento diffuso al termine di una riunione tenuta a Santiago de los Caballeros, nella Repubblica Dominicana, alla quale erano presenti delegati di Haiti, Repubblica Dominicana, Puerto Rico, Venezuela, Stati Uniti e Canada. Il documento, ripreso dall’agenzia Fides, mette in evidenza che la regione è caratterizzata da diversi flussi migratori forzati, come nel caso di Haiti, della Colombia e del CentroAmerica, oltre al flusso di dominicani verso Puerto Rico e di cubani verso l’Ecuador. “La situazione peggiore si verifica ad Haiti, dove la debolezza dello Stato e la mancanza degli aiuti internazionali dopo il terremoto hanno contribuito a raggiungere il limite, perciò facciamo appello al governo di Haiti e alla società haitiana di assumere un ruolo attivo e di impegnarsi di più nel processo di ricostruzione del Paese. Allo stesso tempo chiediamo alla comunità internazionale di mantenere le promesse di aiuto fatte ad Haiti". Il documento si conclude con una chiamata alla globalizzazione della solidarietà e a tutti gli organismi internazionali, in modo da cooperare per rafforzare politiche migratorie coordinate e con leggi oneste. Il Sjrm fa parte di una rete presente in 19 Paesi, coordinati in modo di accompagnare il flusso migratorio di persone particolarmente vulnerabili in tutto il continente. (R.P.)

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    India: proteste contro la costruzione di un impianto nucleare

    ◊   La protesta che sta avvenendo in India contro la costruzione dell’impianto nucleare di Kudankalam si sta tramutando in “una crisi umanitaria di grandi dimensioni. I più poveri tra i poveri sono colpiti da quanto sta accadendo”. Padre X.D. Selvaraj, che da oltre un anno si batte con la popolazione per fermare la costruzione dell’impianto, racconta la difficile situazione del luogo. “Da 392 giorni questa gente, tutti pescatori giornalieri, soffrono la fame e la miseria pur di continuare la loro protesta pacifica con la centrale di Kudankalam. È in gioco il diritto alla vita e alla sopravvivenza”. Il progetto dell’impianto nucleare russo di Kudankalam, come racconta l'agenzia AsiaNews, è stato avviato nel 1997 e da allora molte sono state le proteste contro la costruzione della centrale. “La gente chiede che i leaders ascoltino le loro richieste, ma né lo Stato, né il governo centrale è disposto a farlo. Il loro unico obiettivo è aprire quell’impianto nucleare”. Da quasi quattrocento giorni la popolazione, a maggioranza cattolica, ha iniziato a protestare con il rischio di pagarne un prezzo elevatissimo. I pescatori, infatti, pur di continuare a sostenere la manifestazione, non escono più in mare e la gente soffre la fame. (L.P.)

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    Hong Kong: vittoria dei democratici. Il governo cede sulla riforma scolastica

    ◊   Dopo aver ottenuto l'eliminazione delle classi di "educazione nazionale", la popolazione del Territorio ha votato la nuova legislatura e ha scelto un governo democratico. Anche se i risultati del voto non sono ancora ufficiali, le proiezioni danno ai partiti pro-democrazia almeno 40 dei 70 seggi in ballo, ovvero tutti quelli per i quali era possibile votare: gli altri sono decisi dalle corporazioni economiche e politiche. L'opposizione avrebbe ottenuto 18 seggi elettivi, mentre lo schieramento che sostiene il capo dell'esecutivo Leung Chun-ying si sarebbe assicurato i 17 rimanenti. Sono ancora in ballo i cinque "superseggi" eletti da una vasta fetta di popolazione e i 35 eletti dalla "functional costituences", le corporazioni professionali. In entrambi i settori l' opposizione sarebbe in leggero vantaggio, cosa che le dovrebbe permettere di raggiungere lo soglia dei 24 deputati con i quali mantiene il diritto di veto sulle principali decisioni politiche. In ogni caso i risultati e l'afflusso elettorale dimostrano la voglia di democrazia del Territorio, che aspetta da anni il suffragio universale che Pechino non vuole assolutamente concedere. A perdere terreno - riferisce l'agenzia AsiaNews - è il Partito democratico che, nonostante guidi l'opposizione da almeno 10 anni, ieri avrebbe ottenuto solamente 4 seggi. Il presidente Albert Ho ha ammesso la debacle e si è dimesso: "Credo che quello che abbiamo fatto nel 2010 sia utile al popolo di Hong Kong e abbia il sostegno generale. Ma i risultati parlano chiaro e io chiedo scusa a tutti". I democratici sono riusciti a ottenere un altro grande risultato: dopo l'enorme manifestazione dello scorso 8 settembre, in cui la popolazione guidata dal cardinale Joseph Zen ha chiesto al governo di rimuovere le classi di "educazione nazionale", l'esecutivo ha fatto marcia indietro e ha annunciato che queste saranno "opzionali". Lo ha annunciato lo stesso Leung Chun-ying: "Saranno gli istituti scolastici a decidere quando e come introdurre l'educazione morale e nazionale nell'ambito del corso di studi". Nonostante gli annunci, gli studenti che sono da diversi giorni in sciopero della fame restano mobilitati: "Le linee guida sono ancora là. I cittadini dovranno monitorare le scuole e l'esecutivo a lungo termine e questo sarà un compito molto noioso e duro. La popolazione di Hong Kong non può spendere ogni minuto della propria vita per difendere i propri figli da un sistema educativo politicamente parziale". (R.P.)

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    Taiwan: missione delle università cattoliche del sud-est asiatico ed Estremo Oriente

    ◊   Condurre le persone a conoscere Gesù. È l’obiettivo emerso alla 20.ma Conferenza annuale dell’Associazione delle Università cattoliche del sud-est asiatico e dell’Estremo Oriente, svoltasi nel Wenzao Ursuline College della diocesi di Kao Hsiung, a Taiwan. Il tema attorno al quale si è svolta la conferenza è stato “Contribution by Catholic Higher Education to Sustainable Development in Moder World: from Learning to Social Enterpreneurship”. Come riporta l’agenzia Fides, hanno preso parte all’incontro circa 150 tra studenti e insegnanti provenienti da 44 università cattoliche di 9 Paesi e regioni. A presiedere la celebrazione di apertura è stato mons. Peter Liu, arcivescovo della diocesi. Era presente anche mons. Paul Russell, incaricato degli affari della Santa Sede, che ha riportato il saluto della Santa Sede ai partecipanti, incoraggiandoli alla missione cristiana, “perché si assumano la missione di condurre le persone a conoscere Gesù”. (L.P.)

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    Tunisia: per il direttore delle Pom il Paese è "un laboratorio politico”

    ◊   “Siamo in un momento in cui è possibile un riequilibrio nel panorama politico tunisino. La Tunisia è un laboratorio politico interessantissimo. Il dibattito politico è molto vivace e interessante”. È quanto affermato da padre Jawad Alamat, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) della Tunisia. “Quello che sta avvenendo – prosegue padre Alamat – è uno scontro all’interno dell’islam, tra gli estremisti, come i salafiti, e chi ha una visione più equilibrata e più aperta. È quindi interessante assistere a questa discussione all’interno del mondo musulmano che si realizza poi nella vita politica, perché nell’islam non c’è separazione tra la religione e lo Stato. Il dibattito è tra chi vuole uno Stato ed una società aperti e moderni, come è stato finora in Tunisia, e chi invece vuole sottolineare la propria identità islamica”. “La comunità cristiana – osserva il sacerdote, come riporta l’agenzia Fides – continua a vivere tranquillamente, portando avanti le proprie attività. Insomma – conclude – la società tunisina è in movimento ed è normale che vi siano degli slittamenti in questa fase di democratizzazione. Comunque il popolo rimane vigile, e osserva con attenzione quel che fa o non fa il governo, e saprà votare di conseguenza alle prossime elezioni”. (L.P.)

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    Un Cappuccino turco tra i nuovi dirigenti dell'Ordine

    ◊   Per la prima volta nella lunga storia dell’Ordine Cappuccino, un religioso di nazionalità turca è stato chiamato a far parte della direzione generale dell’Istituto. Si tratta del 53.enne Padre Pio Murat, eletto Definitore generale nel Capitolo che si tiene in questi giorni a Roma (20 agosto-22settembre) con la partecipazione di 169 religiosi provenienti da ogni parte del mondo. Padre Pio, che ha un fratello vescovo, attualmente nunzio apostolico in Zambia, è nato a Izmir (Smirne) da genitori cattolici (levantini); è stato accolto nell’Ordine nel 1981 ed è stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1985. Attualmente era Superiore della Provincia di Parigi, alla quale appartiene. In un’intervista ha detto di aver scelto di entrare tra i Cappuccini dopo la lettura della vita di San Francesco a Istanbul. Nell’Ordine ha ricoperto vari incarichi, grazie alla Licenza e al master in Patrologia conseguito insieme al dottorato in spiritualità francescana. E’ stato Definitore e vicario provinciale; presidente della Conferenza dei Cappuccini dell’Europa centro-orientale; formatore dei giovani avviati alla vita religiosa; direttore della rivista Notre-Dame de la Trinité; promotore del dialogo interreligioso e predicatore di esercizi e ritiri spirituali per religiosi. (A cura di padre Egidio Picucci)

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    Sagra Musicale Umbra: il primo film italiano su S. Francesco, conservato dalla Filmoteca Vaticana

    ◊   Parlare di “film capolavoro” in un’epoca in cui per meritare tale appellativo bisogna dimostrare di essere all’avanguardia della tecnica cinematografica può forse far sorridere, pensando che l’opera in questione risale al 1911. Ma il “Poverello di Assisi” capolavoro lo è per davvero e questa sera, nell’ambito della 67.ma Sagra Musicale Umbra, verrà proposto a Perugia in una delle rare proiezioni, grazie alla collaborazione con la Filmoteca Vaticana. Siamo ai primordi della settima arte, quando il cinema ancora non parla e i fotogrammi scorrono con qualche sussulto di troppo. A Enrico Guazzoni, il regista, viene commissionato l’incarico di girare quello che passerà alla storia come il primo film su S. Francesco del cinema italiano. E il risultato è di altissimo livello, sia per la recitazione del protagonista, Emilio Ghione – che dopo giorni di fervorose letture francescane dà vita a un Francesco sobrio e intenso, presentandosi con il capo tonsurato per meglio aderire al personaggio – sia per la scenografia caratterizzata da grande cura e soprattutto un forte realismo, capace di affascinare anche noi spettatori smaliziati da oltre un secolo di grande schermo. “Il Poverello d’Assisi”, voluto dalla casa di produzione Cines in vista dell’Esposizione Internazionale di Torino del 1911, ottenne il secondo premio nella categoria artistica, guadagnando allora 4.000 lire. Il successo si deve in larga parte allo spirito di iniziativa di Guazzoni che invece di adeguarsi all’usanza dei cineasti di allora, che allestivano i set “in casa”, pretese e ottenne di girare le scene direttamente ad Assisi, conferendo all’opera una poesia e una naturalezza che gli artifici da studio di ripresa avrebbero probabilmente impedito. Ma c’è anche un altro a cui “Il Poverello di Assisi” è debitore per la bellezza delle sue immagini: Giotto e il suo ciclo di affreschi nella Basilica di Assisi, già a suo modo un meraviglioso “sceneggiato” sulla vita dell’“alter Christus” . (Da Perugia, Alessandro De Carolis)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 254

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