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Sommario del 06/09/2012
Il Patriarca Youssif Younan: la visita del Papa in Libano, occasione storica per il Medio Oriente
◊ Accogliere in massa Benedetto XVI in Libano: è quanto chiedono ai fedeli i vescovi maroniti, riuniti ieri a Bkerké per il loro incontro mensile. I presuli hanno inoltre espresso l’auspicio che la visita del Papa “possa assicurare un’autentica primavera per i cristiani e i popoli della regione”. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Fervono i preparativi in Libano per la visita del Papa, atteso a Beirut venerdì 14 settembre. I presuli maroniti, riuniti a Bkerké, hanno espresso la loro gioia per questo viaggio apostolico e hanno ringraziato quanti, dal presidente Michel Suleiman fino ai volontari, si stanno impegnando per la buona riuscita dell’evento. Plauso è stato inoltre espresso per l’atteggiamento dei musulmani “che hanno dato il benvenuto al Santo Padre”. I presuli hanno infine espresso l’auspicio che la visita di Benedetto XVI sia “la premessa della pacificazione del Libano e della regione e che possa rafforzare la presenza dei cristiani e dare impulso a un loro ruolo più dinamico”. Durante un incontro, nei giorni scorsi, con il Patriarca dei Maroniti Bechara Raï, nella città di Diman, alla presenza di altri otto ministri dell’esecutivo, il primo ministro Najib Mikati ha confermato che tutto il Paese aspetta con gioia la visita di Benedetto XVI, sottolineando che “è il benvenuto in Libano". Sul valore di questo viaggio per tutto il Medio Oriente, ascoltiamo il Patriarca dei Siri, Ignace Youssif III Younan, presente ieri all’udienza generale:
R. – The visit of the Holy Father…
La visita del Santo Padre, Benedetto XVI, sarà un’occasione storica per dire a tutte le persone del Medio Oriente - specialmente a quelli che vivono in Terra Santa, Israele e Palestina – come stare insieme, come guardare al futuro insieme, come rispettare reciprocamente ogni religione, gruppo etnico e razza in questa terra. Noi chiamiamo il Papa “messaggero di pace” e lui farà di tutto per aiutare quelli che vivono in Medio Oriente: per aiutarli a capire come lavorare per la pace, per il futuro.
E grande è l’attesa tra i giovani del Libano e del Medio Oriente che incontreranno il Papa nella serata del 15 settembre. Per l’occasione, “Aiuto alla Chiesa che Soffre” ha finanziato la stampa in arabo del sussidio al catechismo “YouCat”. Il testo, che migliaia di giovani hanno trovato nella “sacca del pellegrino” alla Gmg di Madrid sarà ora a disposizione anche dei ragazzi del Medio Oriente. Le prime 50mila copie saranno, dunque, distribuite durante la visita del Papa nel Paese dei Cedri.
Benedetto XVI incontra l'ambasciatore della Lituania presso la Santa Sede
◊ Il Papa ha ricevuto oggi a Castel Gandolfo la signora Irena Vaišvilaité, ambasciatore di Lituania, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali. Già consigliere capo del presidente lituano e vice-rettore dell'Università Europea delle Scienze Umanistiche, la signora Vaišvilaité ha collaborato presso la Radio Vaticana tra il 1991 e il 1998. Laureata in Storia dell'arte presso l'Università statale Lomonosov di Mosca, ha conseguito anche un dottorato in Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Oltre il lituano, parla inglese, russo, italiano, francese, ceco e polacco. Il collega del Programma lituano della nostra emittente Jonas Malinauskas ha chiesto alla signora Irena Vaišvilaité un commento sull’incontro con Benedetto XVI:
R. – L’incontro è stato molto emozionante perché l’ambiente di Castel Gandolfo è molto accogliente e molto familiare. Il Santo Padre mi ha ricevuto in modo davvero caloroso. Gli ho portato il saluto della presidente che si ricorda in modo speciale della sua visita due anni fa. Il Santo Padre ha ringraziato dei saluti, quindi, si è parlato anche dell’invito rivolto al Santo Padre di recarsi in Lituania. Si è parlato anche del Concilio di Costanza durante il quale fu annunciata la conversione della Samogizia, ultima regione europea ad essere cristianizzata. Il Santo Padre ha parlato del sorgere dei nazionalismi perché proprio in quel tempo in Europa centrale nascevano i primi nazionalismi e delle conseguenze preoccupanti dei nazionalismi anche nel nostro tempo. Si è parlato poi dei cambiamenti avvenuti nella società post-comunista anche riguardo le libertà civili e la libertà religiosa. Quello che preoccupa il Santo Padre è il restringersi della libertà di fede ad una semplice libertà di culto.
D. - Quali sono le principali sfide della Chiesa in Lituania oggi?
R. - Direi che la principale sfida della Chiesa è quella di parlare ad una società molto secolarizzata. Prima c’era una generazione di cattolici che erano formati a resistere alle pressioni dello Stato, che era molto ostile verso la religione e le pratiche religiose, e quindi era una Chiesa chiusa in se stessa. Invece adesso c’è la sfida di trasmettere il messaggio cristiano a una società che sul cristianesimo sa meno di quello che si potrebbe pensare.
D. - Come vive la Lituania questo momento di crisi in Europa?
R. - E’ una domanda che si poneva anche il Santo Padre: come la Lituania vede l’Europa… In Lituania - e si vedrà anche nella prossima stagione politica - le élites politiche e la società sono impegnate per l’Europa e sono pro-Europa, ma in un tempo di crisi c’è sempre il pericolo che ci si chiuda in se stessi, che ci si isoli pensando che rimanendo isolati ci si possa salvare più facilmente. Io penso che non sia giusto, ma in Lituania c’è questa tendenza. Speriamo che non prevalga.
D. - Lei ha lavorato presso la Radio Vaticana, che ricordo ha?
R. - E’ stato un lavoro molto interessante e molto impegnativo perché era il tempo in cui la Lituania aveva appena riconquistato l’indipendenza e le trasmissioni della Radio Vaticana cominciavano a essere diffuse anche attraverso la Radio nazionale. Per me la cosa più interessante è stato lavorare nell’ambito multinazionale di questa radio, nell’universalità della Chiesa, ma anche del mondo, rappresentata dalla Radio Vaticana.
◊ Il Papa ha ricevuto in successive udienze il cardinale Godfried Danneels, Arcivescovo emerito di Mechelen-Brussel (Belgio) e un gruppo di presuli della Conferenza Episcopale della Colombia, in Visita “ad Limina Apostolorum”.
Presentate le due auto della Renault al 100% elettriche offerte a Benedetto XVI
◊ Il Papa si potrà spostare su un’auto al 100% elettrica, in contesti come la residenza di Castel Gandolfo o nel Vaticano. Ieri, infatti, proprio nella residenza di Castel Gandolfo la Renault ha consegnato a Benedetto XVI un veicolo di colore bianco realizzato sul modello base della Kangoo Maxi Z.E., con alcune modifiche. Un esemplare gemello di colore blu è stato destinato alla Gendarmeria vaticana. A ricaricare le auto a Castel Gandolfo e in Vaticano, le infrastrutture di ricarica dell’Enel. Un messaggio, dunque, di grande attenzione all’ambiente, è stato messo in risalto nella conferenza stampa di presentazione del progetto, stamani, presso la nostra emittente. Vi hanno preso parte il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, il presidente della Renault Italia, Jacques Bousquet, e Livio Gallo, direttore della Divisione Infrastrutture e Reti Enel. Il servizio di Debora Donnini:
Al termine dell’Udienza generale, al suo rientro a Castel Gandolfo, ieri Benedetto XVI ha potuto ammirare l’auto bianca, con lo stemma pontificio sulle porte, offertagli dalla Renault. Tra gli altri era presente anche il presidente della Renault, Carlos Ghosn. Al 100% elettrica, si potrà utilizzare in specifici contesti come la residenza estiva di Castel Gandolfo e nella Città del Vaticano. E’ stata realizzata sulla base del Kangoo Maxi Z.E. trasformato rispetto al modello base in collaborazione con il carrozziere Gruau. L’auto è lunga 4,6 metri e larga 1,8; è dotata di un motore elettrico da 44kW e di una batteria con ioni al litio con un’autonomia di 170 Km. Il secondo esemplare gemello è di colore blu, con banda bianca e gialla lungo la fiancata ed è destinato alla Gendarmeria vaticana. I due modelli hanno 4 posti ciascuno, con i due sedili posteriori confortevoli, tetto apribile e vetri laterali posteriori amovibili per avere un’ampia superficie aperta e pedane elettriche a scomparsa per un accesso a bordo confortevole. L’attenzione alla tutela ambientale è un tema ricorrente nel magistero pontificio di Benedetto XVI, ha messo in rilievo, durante la conferenza stampa, padre Federico Lombardi:
“E’ abbastanza evidente per noi che seguiamo il Santo Padre e sappiamo come l’attenzione alle problematiche dell’ambiente, alla responsabilità di tutela ambientale, di inserimento amico dell’attività dell’uomo nel contesto del Creato, sia un tema ricorrente del magistero pontificio in generale e anche sempre più frequentemente di Benedetto XVI. Noi sappiamo bene come, per esempio, diversi paragrafi dell’enciclica Caritas in veritate - che è quella sui temi della responsabilità economica, sociale e anche ambientale - si riferiscono alla responsabilità nei confronti dell’ambiente. Sappiamo che diversi messaggi del Papa per la Giornata Mondiale della Pace del primo gennaio e anche, in particolare, quello del 2010, erano proprio dedicati esattamente alla responsabilità nel confronto della natura”.
Si tratta di auto con zero emissioni inquinanti e zero emissioni acustiche. Un progetto, dunque, molto attento all’ambiente, come sottolinea anche Jacques Bousquet:
“Renault è particolarmente lieto di avere realizzato questo progetto insieme con i suoi partner Enel e Gruau al servizio del Santo Padre e del Vaticano perché è un progetto simbolo di un impegno comune e difficile per il rispetto dell’ambiente e per lo sviluppo di soluzioni positive per l’ambiente di domani”.
Otto le stazioni di ricarica Enel per veicoli elettrici installate nella Città del Vaticano e a Castel Gandolfo. Una delle stazioni davanti all’aula Paolo VI sarà messa a disposizione anche di dipendenti e visitatori. Sentiamo Livio Gallo, direttore della Divisione Infrastrutture e Reti di Enel:
“Io penso che sia anche di buon auspicio che questo appuntamento avvenga a pochi giorni di distanza dalla Giornata mondiale del Creato, il primo settembre: ogni anno un appuntamento della Chiesa dedicato alla riflessione sul rapporto tra uomo e natura e all’approfondimento di tutte le tematiche complesse del rapporto con l’ambiente. Quindi anche il richiamo della responsabilità che noi come società, tutti noi come cittadini dobbiamo avere nell’affrontare i problemi sociali e le tematiche dello sviluppo sostenibile nel terzo millennio con tecnologie che siano rispettose di quanto ci è stato donato e che dobbiamo trasmettere alle future generazioni. Questo è il nostro impegno sulla leva tecnologica che noi abbiamo come 'core competence' nell’attività e nell’obiettivo che ci diamo nello sviluppo della mobilità elettrica”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, la crisi economica: Consiglio Bce, i mercati si attendono una svolta nella lotta alla crisi.
Nell'informazione internazionale, in rilievo la Siria: Pechino sostiene la transizione politica.
Lettere che svelano un volto: in cultura, Antonio Guido Filipazzi, Arcivescovo Nunzio apostolico in Indonesia, sull’epistolario del cardinale Celso Costantini.
Come si spiega tanta bellezza? Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, sulla selezione di capolavori del Gotico internazionale a Firenze in mostra agli Uffizi.
Per una lira (massonica): Giovanni Carli Ballola sulla prima esecuzione assoluta a Perugia per l’«Amphion» di Luigi Cherubini.
Se la vita si dispiega attorno a un tavolo: Luca Pellegrini sul film «O Gebo e a Sombra» del regista centoquattrenne Manoel de Oliveira.
Sette note tra angeli e demoni: la settantasettesima Sagra Musicale Umbra.
Un continente stanco e in crisi d’identità che deve ritrovare il senso dell’assoluto: Marco Bellizi intervista l'Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa, monsignor Aldo Giordano.
◊ Continuano ad infuriare le violenze in Siria: almeno otto perone hanno perso la vita oggi in scontri tra ribelli e militari governativi. Fonti locali parlano anche di oltre 20 esecuzioni sommarie da parte dell’esercito in varie città. Unanime la condanna della Comunità internazionale per l’uccisione ieri di 25 bambini in un bombardamento su Aleppo. A Damasco sono stati trovati i cadaveri di 23 civili, in gran parte bambini, donne e anziani. L'Unicef afferma che sono 1,3 milioni i bambini colpiti in vario modo dal conflitto. Intanto, un digiuno per la pace in Siria e per il buon esito dell’ormai prossimo viaggio del Papa in Libano è stato iniziato dal padre gesuita Paolo dall’Oglio, fondatore una trentina d’anni fa, del monastero di Mar Moussa in Siria, suo Paese d’adozione. Olivier Bonnel lo ha intervistato:
R. - Il digiuno è uno sforzo spirituale che va insieme alla preghiera, al desiderio. È un modo di provocare una concentrazione esistenziale verso un obiettivo, qualcosa che chiediamo al cielo, ma nella quale ci impegniamo anche sulla terra. Il digiuno che alcuni amici in tutto il mondo fanno, è perché il viaggio del Papa riesca, che il viaggio del Papa avvenga in pace, porti pace al Medio Oriente e soprattutto una parola di consolazione e di verità per la Siria. I siriani soffrono da morire, la guerra civile impazza, la rivoluzione stagna bloccata da questa guerra nella quale tanti partners - regionali ed internazionali - vengono a combattere per interposta persona, attraverso i fucili siriani. Il Papa dirà che questo deve interrompersi, che i siriani hanno diritto all’autodeterminazione democratica, alla giustizia, alla trasparenza, ad essere una società pluralista, interreligiosa, civile. Quindi, io spero davvero che il viaggio del Papa venga a curare le nostre piaghe.
D. - L’esperienza della pace è ancora possibile oggi in Siria secondo lei?
R. - I giovani combattono per la speranza, per una Siria migliore, purtroppo adesso sappiamo che questa Siria migliore dovrà impegnarsi anche a ricostruirsi, perché gran parte del Paese è distrutto, molte infrastrutture sono distrutte, la fiducia tra i cittadini è persa e quindi c’è molto, molto da fare. Molti cristiani stanno partendo e quelli che ritorneranno saranno attori in prima linea, con i loro concittadini musulmani, per creare la Siria che tutti desideriamo per i nostri figli e per le generazioni a venire.
D. - Ha parlato un po’ della responsabilità occidentale, a proposito della Siria. Qual è questa responsabilità?
R. - Se si pensa in Siria di punire l’Iran, è chiaro che poi l’Iran in Siria reagisce a protezione dei suoi interessi; se in Siria si pensa di far indietreggiare la Russia sul continente, è chiaro che questo poi provoca delle conseguenze. Se qualcuno - non voglio fare nomi - pensasse che è nel suo interesse geostrategico-regionale vedere i nemici uccidersi ed eliminarsi tra loro, è chiaro che non c’è speranza per la Siria. Io mi appello collettivamente: bisogna scegliere la solidarietà con i siriani, piuttosto che un interesse geostrategico, tattico, di corta durata e miope. Quindi, io spero che l’Italia inizi un nuovo, grande impegno diplomatico per una Siria neutrale - né occidentale, né post-sovietica - una Siria per tutti, una Siria alle sorgenti della civiltà mediterranea e dobbiamo tutti impegnarci. Tutta la Siria deve essere protetta dall’Unesco, non solo per i grandi monumenti ma anche perché è un “monumento immateriale” di civiltà.
D. - Quale potrebbe essere il ruolo dei cristiani siriani oggi?
R. - Tanti cristiani siriani oggi stanno cercando di alleviare le sofferenze del popolo siriano, ci sono tanti siriani che lavorano per i feriti, tanti siriani cristiani che lavorano per alleviare le sofferenze delle famiglie che hanno persone in carcere, persone uccise, rapite, sparite. Quindi, questo “buon samaritano” si metta all’opera e faccia quello che può, per non consegnare all’inferno la società siriana nel suo complesso.
Striscia di Gaza: 6 palestinesi uccisi in un raid israeliano
◊ La crisi siriana sta in qualche modo oscurando nello scenario internazionale il conflitto israelo-palestinese. Di ieri la notizia dell’uccisione di sei palestinesi in 24 ore nella Striscia di Gaza, da parte dell’Esercito israeliano. Ma a che punto siamo nella crisi ‘madre’ di tutto il Medio Oriente? Roberta Gisotti lo ha chiesto a Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente:
R. – Direi che il conflitto israelo-palestinese è in una situazione di totale stallo. E questo perché, fino alle elezioni negli Usa, Obama farà di tutto per evitare di occuparsene poiché questo potrebbe danneggiarlo anche presso l’elettorato ebraico americano. Anche dopo, però, non è detto che voglia occuparsene, perché è – diciamo – piuttosto ‘stufo’ di quello che ha ottenuto in questo primo mandato. Direi che tende a crearsi una situazione di status quo, in cui tutti dicono di voler cambiare le cose, ma in realtà nessuno vuole cambiarle!
D. – Una situazione di stallo totale come lei ha sottolineato, ma in qualche modo la guerra in Siria potrebbe aggravare la situazione?
R. – Dipende dai suoi esiti, diciamo così. Io dubito che ci siano immediate ripercussioni, perché non c’è un interesse siriano ad espandere il conflitto verso Israele ed Israele non interferisce nel conflitto interno siriano. Io credo che le ripercussioni del conflitto siriano si sentano soprattutto in Libano, dove c’è una ripresa del conflitto tra sunniti, sciiti del sud e del nord del Libano. Credo che a questo si alluda quando si parla di possibile espansione del conflitto siriano.
D. – A questo punto che cosa auspicare per un rilancio dei colloqui di pace fra israeliani e palestinesi?
R. – Un’iniziativa molto forte della comunità internazionale che, però,onestamente io non vedo all’orizzonte. Da soli i due protagonisti – israeliani e palestinesi - non ce la fanno: forse sarebbe necessario portare l’iniziativa ad un livello regionale panarabo, rilanciando quel piano arabo del ’93 che prevedeva il riconoscimento da parte di tutti gli Stati arabi di Israele e la creazione di uno Stato palestinese. Questo, tuttavia, è abbastanza complicato! Le dico ciò che penso, che è anche l’esito di una recente missione che ho fatto in Israele: la situazione è che, da un lato, lo stato di fatto che sta gestendo Hamas a Gaza tende a stabilizzarsi e graviterà sempre più nell’orbita egiziana, infatti Hamas è una costola della fratellanza musulmana egiziana. Di fatto al-Fatah e Hamas parlano di riconciliazione, ma nessuno dei due lo vuole veramente. In Cisgiordania la situazione di negoziato con Israele è un po’ bloccata, perché continua sul terreno questo lavoro di insediamenti e di allargamento degli insediamenti esistenti. Quindi si creerà una situazione di endemico stato unico di fatto tra Cisgiordania e Israele, con i palestinesi che vivranno, così come stanno vivendo, in un 70-75 per cento del territorio ed una presa sempre più forte da parte del governo israeliano sulle aree dove c’è il cuore degli insediamenti.
Sudafrica: firmato un accordo per la miniera di platino, ma continua la protesta
◊ In Sudafrica l’opinione pubblica discute ancora del massacro alla miniera di platino di Marikana, dove il 16 agosto scorso hanno perso la vita 34 lavoratori durante scontri con la polizia: nuove testimonianze apparse sulla stampa hanno lanciato accuse verso alcuni agenti. Intanto, la produzione nella miniera potrebbe riprendere già dai prossimi giorni, dopo che è stato firmato un primo accordo tra sindacati e proprietà. Il sindacato di minoranza che aveva iniziato lo sciopero ha però rifiutato di sottoscrivere il documento. Davide Maggiore ha chiesto un’analisi della situazione a Enrico Casale, esperto di Africa della rivista dei gesuiti “Popoli”:
R. – A mio parere la questione è destinata a durare, anche perché non riguarda unicamente le rivendicazioni dei minatori: alle rivendicazioni dei minatori si sono sovrapposte delle questioni di carattere politico, sindacale ed economico internazionale.
D. – Quindi ci saranno delle conseguenze di lunga durata?
R. – Non credo che si esaurirà molto presto, perché nella rivendicazione dei minatori si è manifestata una spaccatura del sindacato tra il vecchio sindacato, il Num, e il nuovo, che è l’Amcu, che non a caso non ha firmato l’accordo: ha sempre tenuto posizioni molto radicali in tutta la vertenza per riuscire a strappare iscritti al Num e di conseguenza tenderà a mantenere una posizione ancora molto dura. Bisognerà vedere ore se riuscirà a strappare un nuovo accordo oppure se salirà la tensione, nella miniera e fuori dalla miniera.
D. – Abbiamo parlato di questa spaccatura tra i sindacati e abbiamo detto che si sono innestate delle ragioni più profonde su questa spaccatura: possiamo spiegare quali sono?
R. – Dal punto di vista politico, la vertenza della miniera ha assunto un rilievo enorme perché Julius Malema - l’ex enfant prodige dell’African National Congress - coinvolto poi in un caso di corruzione e quindi espulso dall’Anc - ha cavalcato la protesta dei minatori dell’Amcu, spaventando i vertici dell’Anc che sono legati alle forze sindacali tradizionali. Quindi si è innestata anche una lotta politica su questa che è una rivendicazione – almeno inizialmente – meramente sindacale.
D. – Questo, però, non rischia di nuocere alla rivendicazione iniziale dei minatori, che richiede semplicemente un innalzamento del salario minimo?
R. – Certamente rischia di incidere sulla rivendicazione salariale dei minatori e di fatto di squalificare la lotta degli stessi minatori, che sono scesi in campo per ragioni assolutamente condivisibili: lavorano in condizioni difficilissime; in gallerie dove il caldo è torrido; le misure di sicurezza sono minime, perché la multinazionale che gestisce queste miniere non ha fatto grandi investimenti sulla sicurezza. Anche fuori dalla miniera i minatori vivono in condizioni pessime: vivono in baracche, in cui la diffusione dell’Aids è ampissima.
D. – Potrebbero esserci delle conseguenze, anche immediate, sull’African National Congress, che è il partito al potere, e sul presidente Zuma?
R. – Più che il partito, il governo - che è sostenuto all’African National Congress - ha utilizzato dei vecchi strumenti legislativi dei tempi dell’Apartheid e la polizia non si è fatta certamente scrupolo nello sparare ai minatori, sebbene loro dicano per legittima difesa. Quali saranno le conseguenze, bisognerà vederlo. Certamente Julius Malema sta cavalcando la protesta per riuscire a erodere quella parte più intransigente, che è la base nelle bidonville delle miniere dell’Anc, per riuscire a guadagnare consensi per sé e quindi rilanciarsi in politica. Questo sì potrebbe essere un pericolo per l’African National Congress!
Vicenda Alcoa. Mons. Miglio: speranze dall'interessamento della multinazionale svizzera
◊ Seconda notte a 70 metri d’altezza per i tre lavoratori dello stabilimento Alcoa di Portovesme, asserragliati sul silos della fabbrica di alluminio per protestare contro la possibile chiusura dello stabilimento. Uno di loro, cardiopatico, ha accusato un malore ed è stato invitato a scendere. Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, si è detto "vicino a questi lavoratori che rischiano di perdere il posto" anche se "sarebbe sbagliato dire che noi garantiremo i vostri posti di lavoro”. Intanto la multinazionale svizzera Glencore, già attiva in Sardegna, ha manifestato, in una lettera al governo, interesse per le sorti dell’azienda. Un segnale positivo, come ci spiega mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari, al microfono di Antonella Palermo.
R. - Era un segnale molto atteso: questo segnale è arrivato dopo giorni, dopo settimane di tensioni e difficoltà. Quindi, tutto lascia pensare che sia un segnale dato in maniera molto responsabile viste le tensioni, vista la posta in gioco, viste il numero di persone, di famiglie che sono legate a questa speranza. Voglio vedere in questo davvero un segno di speranza, un passo avanti - anche se arriva dopo tanta attesa, anche se non scioglie ancora tutta l’incertezza - ma penso davvero che possa essere un segnale interessante.
D. - Il giorno della verità potrebbe essere venerdì, quando Glencore, i tecnici del governo e forse anche la regione Sardegna dovrebbero incontrarsi al Ministero dello Sviluppo Economico, proprio per riesaminare i termini della questione Secondo lei ci sono le condizioni per un accordo?
R. - Mi pare che le condizioni ci dovrebbero essere, la regione Sardegna si è impegnata e si sta impegnando molto. Io voglio sperare che anche da parte del governo non manchino non solo la volontà di supportare lo sforzo della regione Sardegna, ma anche che venga tenuta presente la tradizione e la cultura industriale della zona di Portovesme. Anche questo è importante. Sono incertezze che si trascinano da tanto tempo e non si può tenere un’area, una regione, sospesa per così a lungo. Le condizioni, certo, ci sono se si tiene conto non soltanto del prezzo dell’energia, ma se si tiene conto anche di altri valori che sono in gioco, innanzitutto il lavoro e le famiglie. Come ci insegna Benedetto XVI nella Caritas in Veritate: “Non è pietismo andare incontro al diritto al lavoro e alla necessità delle famiglie di avere una sicurezza, ma è un valore economico anche questo”, c’è una tradizione anche industriale e culturale che, certamente, è un fattore importante. L’altro valore importante è il destino di un’area, di una zona come il Sulcis Iglesiente, per non dire della Sardegna: questo è uno dei casi emergenti in questo momento, ma anche qui la Sardegna ha bisogno anche di una presenza industriale, per un’economia che sia più solida. Allora, il prezzo dell’energia va visto e va rivisto in questo contesto di carattere più generale, per garantire un’economia solida di tutta la regione Sardegna. Questo sono convinto che vada a beneficio anche del Paese.
D. - Ma perché non si vuole investire davvero nel Sulcis, secondo lei?
R. - Questo rimane un po’ un mistero: bisogna considerare la tradizione industriale del Sulcis - stiamo parlando dell’Alcoa, ma c’è anche tutto il problema minerario - considerare anche la storia di questo territorio, dove ci sono infrastrutture da migliorare. Questa è però una zona dove, con un po’ più di attenzione e soprattutto riconsiderando il discorso dell’energia - pensando ad esempio alla Carbosulcis - le possibilità tecniche di utilizzare al meglio anche il carbone estratto, sono investimenti che possono avere un ritorno importante per l’economia della regione. Certo, questo implica costi e investimenti che le istituzioni, e non soltanto l’impresa, devono fare.
◊ Il vescovo di Parma, mons. Enrico Solmi, presidente della Commissione Cei per la Famiglia, chiede norme più severe contro il gioco d’azzardo. Ieri il Consiglio dei Ministri ha deciso di limitare la pubblicità dei giochi con vincite in denaro con particolare riguardo alla tutela dei minori e un limite di 200 metri all’installazione di nuovi videogiochi da luoghi di culto, scuole e strutture sanitarie. Ma sentiamo mons. Solmi intervistato da Alessandro Guarasci:
R. – In realtà è già un passo avanti l’ammissione del rischio e della pericolosità potenziale dei luoghi destinati al gioco d’azzardo. Io auspicherei provvedimenti decisi, in ordine proprio alla dissuasione da parte anche dell’autorità pubblica nei confronti dei minori, e un’opera di sostegno, variegata in tanti modi, alle persone che sono più deboli e più propense a scivolare in una ludopatia, che in Italia vede coinvolto un quindici per cento della popolazione.
D. – Si è intervenuto anche sulla pubblicità. C’è chi dice che quella sui giochi d’azzardo dovrebbe essere del tutto vietata. Lei è d’accordo?
R. – Io sono d’accordo con questa linea più dura. Una pubblicità, data specialmente dalle reti nazionali, in qualche modo sollecita e sostiene un’idea errata e come tale dovrebbe essere a mio parere eliminata drasticamente, come è avvenuto per il fumo, per le sigarette.
D. – Non è anomalo che lo Stato faccia lucro su questa attività e poi magari sia costretto ad intervenire per sostenere coloro che sono vittime di usura?
R. – E’ assolutamente anomalo. In qualche modo lo Stato ne ricava un beneficio, ma dall’altro ne ricava lui stesso un danno e un danno importante, oltre che sostenere un’attività che non è assolutamente compatibile con lo sviluppo della persona, della dignità della persona e del bene comune.
D. – Da quanto capisco, sarebbe augurabile che durante il cammino parlamentare questo decreto fosse rafforzato?
R. – Assolutamente. Io vado su questa linea: sarebbe auspicabile che ci fosse una normativa più pesante e certamente dei controlli forti e, anche in questo caso, chi verrà a contrapporsi a normative che saranno espresse dovrà essere punito in modo esemplare.
Paralimpiadi: Zanardi e non solo nel successo dell'Italia
◊ Giornata importante, ieri, per l'Italia alle Paralimpiadi di Londra. Medaglia d’oro per Alex Zanardi nella handbike; oro e record mondiale per Assunta Legnante nel lancio del peso e per la velocista Martina Caironi, nei 100 metri. E si avvicina il momento dello schermitore Andrea Macrì che sarà in pedana il giorno prima della chiusura dei Giochi. Torinese di 19 anni, scampò nel 2008 al crollo del soffitto della sua scuola, il liceo di Rivoli. In quella tragedia perse la vita il suo compagno Vito Scafidi e a lui – ha dichiarato – dedicherà un’eventuale medaglia. Benedetta Capelli lo ha intervistato:
R. – Partecipare alla cerimonia è stata una delle soddisfazioni più grandi della mia vita. È stata una cosa bellissima, però penso che tutto quello che deve venire sarà ancora più bello.
D. – C’è un po’ l’incoscienza del “debuttante” in te?
R. – Non lo so ancora, dopo la gara lo saprò dire.
D. – Qualche anno fa, forse, un’esperienza del genere nemmeno la sognavi. Amavi in passato lo sport o lo hai scoperto dopo l’incidente?
R. – L’ho scoperto dopo l’incidente, l’ho scoperto in ospedale quando ero ricoverato ed ho fatto una bella scoperta, perché comunque in pochi anni arrivare fin qui vuol dire che c’era già qualcosa dentro me che aspettava solo di venir fuori.
D. – Non sei stato subito uno schermitore, hai provato anche altri sport, vero?
R. – Il primo che ho provato è stata proprio la scherma, poi ho provato anche tantissimi altri sport, tra cui l’hockey - che d’inverno ancora pratico – però la scherma è stato il mio primo amore.
D. – Se dovesse arrivare una medaglia, a chi la dedicherai?
R. – Sicuramente a chi non c’è più.
D. – Quindi al tuo amico Vito…
R. – Esatto…
D. – Quel 22 novembre 2008 ha cambiato profondamente la tua vita. Oggi a distanza di qualche anno se ripensi a quel momento, qual è il primo pensiero?
R . – Sono tanti, sempre i soliti, non lo saprei dire. È collegato a tutto quello che faccio adesso, se ripenso ad allora ricollego tutto e penso a dove sono arrivato, nonostante quello che è successo. Penso dove posso ancora arrivare e a quante cose ancora posso fare e ho la fortuna di poter fare.
D. – Hai scoperto lo sport: c’è un’altra parte di te che hai scoperto dopo quel momento?
R. – No, nessuna parte in particolare. Sono tante le cose nuove: il piacere di viaggiare, il piacere di stare insieme alle persone - che è una cosa “normale” quando si viaggia tanto e sei costantemente in mezzo a tante persone di nazioni diverse – queste sono le novità più grandi, io sono sempre il solito Andrea.
D. – Sentendo tanti atleti paralimpici, un cosa emerge molto forte: parlano di questo “prima” e di questo “dopo” l’evento traumatico che hanno subito; una nuova vita. Anche per te è così?
R. – Penso che la vita sia formata da quelle persone importanti. Finché hai a fianco la famiglia, gli amici e le persone care, la vita è sempre quella. Cambia ma non è che ce n’è una nuova, si modifica ma penso che sia sempre la stessa.
D. – C’è qualcuno a cui vuoi dire grazie, perché sei arrivato a questo traguardo – Londra 2012?
R. – Sicuramente la mia famiglia. Mia madre, mio padre e mio fratello, perché mi sono stati tantissimo vicino e senza loro non sarei mai e poi mai riuscito ad arrivare fin qui e ad affrontare tutti i sacrifici che fin’ora ho affrontato.
Concerto a Modena a 5 anni dalla scomparsa di Luciano Pavarotti
◊ “Luciano’s Friends – The talent goes on”: si intitola così la serata musicale in programma questa sera al Teatro Comunale di Modena per ricordare il Maestro Luciano Pavarotti, a cinque anni dalla sua scomparsa. I grandi della musica lirica e pop – come Montserrat Caballé, Ennio Morricone e Zucchero – si esibiranno accanto alle giovani promesse dell’Opera, in memoria del famoso tenore italiano che, come ha scritto Benedetto XVI, “ha onorato il dono divino della musica”. Isabella Piro ha intervistato Nicoletta Mantovani, moglie di Pavarotti ed ideatrice della Fondazione a lui dedicata:
R. - Luciano ha sempre visto che l’Opera aveva bisogno di allargare i propri spazi, quindi dal teatro l’ha portata prima alle arene poi addirittura agli stadi, l’ha vista allargarsi anche a un pubblico più giovane attraverso la realizzazione del Pavarotti and Friends grazie a queste “contaminazioni” con la musica pop e l’ha sempre vista nei giovani. Luciano ha sempre appoggiato i giovani condividendo la propria esperienza con la propria tecnica vocale e stimolandoli sempre a studiare e ad applicarsi. Noi abbiamo cercato di portare avanti questa sua visione; ovviamente noi non possiamo insegnare canto, ma cerchiamo di dare un palcoscenico a questi ragazzi dove potersi esibire, confrontare, e dove poter essere notati da teatri o da grandi agenti che poi li possano aiutare a iniziare una carriera.
D. – Quest’anno ricorrono anche i vent’anni dal primo Pavarotti and Friends, il concerto di beneficienza voluto proprio dal Maestro. C’è un progetto benefico in particolare che ci vuole segnalare?
R. – I progetti legati al Pavarotti and Friends erano sempre legati ai bambini. Per Luciano, essere vicino all’infanzia era molto importante essendo stato lui stesso un bambino vittima della guerra all’epoca, quindi ha sempre cercato di guardare ai bambini di quelle zone. Ovviamente essendo in Emilia, per noi i bambini in emergenza sono i bambini vittime del terremoto. Quindi con il Centro sportivo italiano abbiamo pensato di organizzare una grande caccia al tesoro per quel giorno, con tutti i bambini dei centri estivi delle zone terremotate. Parteciperanno mille bambini, che potranno imparare a conoscere Modena. Abbiamo dato a ognuno di loro una macchina fotografica con cui documenteranno le varie parti di Modena e poi queste fotografie verranno raccolte in un album e alla fine il gruppo vincitore vincerà la possibilità di allestire una grande palestra per la loro scuola nelle zone terremotate.
D. – Qual era il rapporto del Maestro con la fede?
R. – Era un rapporto molto stretto perché Luciano era un grandissimo credente e fino all’ultimo ha trovato un grande conforto nella fede. Lui lo considerava il secondo dono che gli era stato fatto. Il primo era quello della voce: lui ogni giorno ringraziava il Signore per questo grande dono e ogni volta che lo condivideva con gli altri, lo faceva proprio nel nome del Signore, per lui era importantissima questa cosa. Ha saputo accettare anche la morte con la forza di chi crede. Quindi sapeva che aveva ricevuto tanto in vita e sperava di aver dato almeno una parte di quello che aveva ricevuto e riusciva a guardare alla morte con serenità.
D. - Sono trascorsi cinque anni dalla scomparsa del Maestro Pavarotti: qual è l’eredità che ci ha lasciato?
R. – Un’eredità artistica importantissima che è proprio questa: riuscire a guardare alla lirica guardando proprio al futuro, cercando di dare più spazio ai giovani, cosa che purtroppo spesso in Italia non si fa, e anche di cercare di portare la lirica un pochino di più a livello generale e quindi magari partendo proprio dalle scuole, dall’istruzione. Poi ci ha lasciato un’eredità umana importante che è quella dell’amore per la vita. Luciano amava la vita ed era pieno di gioia e credo che il suo sorriso sia rimasto impresso a tutti.
D. – Un suo ricordo personale del Maestro lo vuole condividere con noi?
R. – Di ricordi personali con Luciano ce ne sono tantissimi. Sicuramente gli anni passati insieme alla nostra bambina, la nascita della nostra bambina… Ce ne sono troppi… Però anch’io, come credo molte persone, se devo ricordare una cosa particolare, mi ricordo il suo sorriso, i suoi occhi.
Povertà e potere dei soldi: il film di Manoel de Oliveira "Gebo e l'ombra" al Festival di Venezia
◊ Manoel de Oliveira alla Mostra del Cinema di Venezia. Assente il regista, è stato presentato fuori concorso il suo ultimo film, “Gebo e l’ombra”, tratto dall’omonimo lavoro teatrale dello scrittore portoghese Raul Brandão, vissuto a cavallo del novecento. Povertà e denaro sono al centro di un intenso e delicato dramma familiare, che termina con un nobile sacrificio. Il servizio di Luca Pellegrini:
Dall’alto dei suoi centoquattro anni, che compirà il prossimo dicembre, il grande maestro del cinema portoghese Manoel de Oliveria decide di girare un film sulla povertà e il potere dei soldi, sull’uso che se ne è fatto e sulla facilità di perderli. Non pensa a un documentario sulle zone depresse del mondo e i catini di dolore che lì si trovano, non immagina epici affreschi o thriller ambientati nei soliti degradati sobborghi urbani, di cui il cinema si è impossessato a iosa. No, lui decide di parlare di povertà facendolo esclusivamente in una cameretta nella casa dell’anziano e saggio Gebo, da qualche parte in qualche tempo. Michael Lonsdale, che lo interpreta, non si alza mai dalla sua sedia, lui, specchio della fragilità umana e di una vecchiaia afflitta. Parla di un’ombra, quella del figlio, evocata dai ricordi. Cerca di placare le ansie e asciugare le lacrime della moglie Doroteia, che è Claudia Cardinale intensissima, e della nuora sconsolata, Sofia, la brava Leonor Silveira. Quando non parla di dignità e di tristezza, fa solo conti su un polveroso registro, assillato dai numeri. Oppure sorseggia un caffè con amici, poveri pure loro, che sono Jeanne Moreau e Luís Miguel Cintra, due attori di bravura eccezionale. E aspetta, aspetta che il figlio amatissimo torni. Lui appare come un fantasma in una notte scura, accompagnato da una risata fragorosa e beffarda. Si mostra prima al padre soltanto, poi alla famiglia. Sconquassa le loro abitudini e comincia a schernire chi, con affetto, lo aveva aspettato. Il duello, soltanto verbale, che si instaura, è quello che verte sul potere del denaro, necessario per lui, pericoloso per gli altri. Padre e figlio si fronteggiano dinanzi a una borsa che lo contiene. De Oliveira non ha bisogno di nulla, se non di attori, di poca luce e di poco spazio, e di una idea forte come questa, per raccontare tutta l’umanità e tutte le sue debolezze. Con i suoi sacrifici: ancora una volta quello del padre per proteggere il figlio, che non si è pentito e non si pentirà. (A cura di Luca Pellegrini)
Carlo Mocellin racconta la storia di sua moglie, la Serva di Dio Maria Cristina Cella
◊ E’ un sorriso che ti folgora quello della Serva di Dio, Maria Cristina Cella Mocellin, morta nel 1995, a soli 26 anni, in seguito ad un tumore, lasciando un marito e 3 figli. La sua storia è profondamente segnata dalla fede e anche dall’amore per suo marito e i suoi figli. Quando scopre di avere tumore, Maria Cristina deciderà di sottoporsi solo a cure che non danneggino il bimbo che aspetta. Da poco si è chiusa la fase diocesana del processo di beatificazione. Sulla vita della giovane donna, Alberto Zaniboni ha scritto il libro "Cara Cristina...", edito dalla San Paolo. Debora Donnini ha incontrato e intervistato il marito di Maria Cristina, Carlo Mocellin:
R. – Abbiamo vissuto un’esperienza splendida di fidanzamento e siamo arrivati al matrimonio. Desideravamo avere tanti figli, abbiamo iniziato subito con tre, nel giro di pochi anni, però alla terza gravidanza è arrivato questo tumore, che era già stato curato cinque anni prima. Lei che nel cuore era molto disponibile a Dio, l’ha affrontato con la fede, in maniera serena. Ero io in difficoltà ma questa difficoltà e questa fatica mi hanno permesso di aprire il cuore e fare una grande esperienza di fede, tanto che oggi posso ringraziare Dio per aver permesso tutto questo.
D. - Come ha fatto Maria Cristina a decidere di fare cure che non danneggiassero il bimbo che portava nel grembo, cosa l’ha spinta a fare questo?
R. – L’ha spinta il cuore di mamma, prima di tutto, che - credo - sia il cuore più vicino a Dio sulla terra, ma aggiunto a un cuore innamorato di Gesù, perché questa era l’esperienza fatta nella sua vita. Questo ha permesso un cocktail incredibile di gioia, di serenità, di pace, di fiducia, nell’amore di Dio.
D. – Quindi, possiamo dire, una scelta dettata da un rapporto profondo e coltivato negli anni con il Signore?
R. – Credo che l’esperienza di Cristina sia nata dal fatto di chiedersi che cosa fosse chiamata a vivere nella vita. E’ sempre stata una bella “testoncina” dura… Credo che lei abbia cercato la cosa più bella che poteva esistere al mondo. Nel fare esperienza di tante cose che la vita propone, le è stato proposto per fortuna anche nella propria comunità e nella famiglia - che questa esperienza viveva e toccava con mano tutti i giorni - di fare esperienza di Gesù concretamente, e così facendo lei ha capito che veramente valeva la pena di investire la propria vita per Lui. Il suo motto era “Dio solo”: non nel senso di Dio solo e niente altro, ma con Lui nel cuore la mia vita cambia e posso affrontare ogni situazione nel modo migliore, perché non sono sola, perché ho il massimo che c’è e il massimo che c’è è un amore semplice, vero, misericordioso, eterno, che è quello di Dio.
D. – Lei all’inizio non ha accettato facilmente la notizia della malattia di sua moglie, però poi questa non accettazione si è trasformata: come è avvenuto questo processo?
R. – Credo che sia stata, intanto, la sofferenza che ha unito me e Cristina in un modo splendido, ma siano state anche le preghiere e tutto quello che Cristina faceva grazie al rapporto che aveva con Dio. Io desideravo la guarigione, questo era il mio desiderio più grande e ho fatto in tutte le maniere: ho provato a pregare, ho provato a peregrinare da tutte le parti ma mano a mano che io pregavo, senza neanche accorgermi la pace mi arrivava nel cuore e credo che, anche se lei non me lo diceva, questo sia dovuto alle sue preghiere. Cristina aveva questo bel rapporto con Dio e credo ‘deviasse’ le preghiere che facevo per la sua guarigione, perché guarisse il vero malato che ero io. Mentre lei guardava con lo sguardo di un amore eterno, io avrei vissuto per un amore “bellino”, ma un amore di 100 anni.
D. – In qualche modo lei ha sentito che il suo cuore è cambiato di fronte alla storia?
R. - Io credo che soprattutto quando cominci a fare un po’ di esperienza di Dio, capisci che di Lui non puoi fare a meno, che è la cosa più importante della tua vita. Piano piano, poi, Dio non ti molla mai, è sempre al tuo fianco. Piano piano, ha cambiato il mio desiderio solo di vedere la guarigione, con un desiderio di poter certamente guardare a Lui in una maniera diversa.
D. - Oggi i suoi figli sono cresciuti. Sentite vicino Maria Cristina?
R. - Sì, è presente, c’è. Manca fisicamente ai miei figli ma se lei vede gli occhi dei miei figli, si nota subito la bellezza e la serenità che portano nel cuore, seppure con una buona sofferenza perché è la persona più importante che manca loro. Ma non gli manca il “di più”, anzi, il “di più” lo stanno ricevendo nel cuore. Sicuramente per quello che vedono anche di noi che viviamo con questa pace, con questa serenità del cuore e per la mamma che è sicuramente presente. Soffrono, anche loro sono chiamati a fare la strada della fatica, della sofferenza. Gesù ci ha indicato questo non perché si diverte a chiederci le cose difficili ma perché sa che in quella maniera può conquistare più cuori possibile. Questa strada è efficace e noi dobbiamo fidarci di Lui.
D. – Un ultimo messaggio su quello che sua moglie dice al mondo…
R. – Credo che Cristina possa dirci che è possibile, che è a portata di tutti…
I vescovi europei: crisi non solo economica ma innanzitutto antropologica, cresce esclusione sociale
◊ “Alla base dell’attuale situazione di crisi che il continente europeo sta attraversando, non vi sono solo le gravi problematiche inerenti ai sistemi economico-finanziari, ma innanzitutto la mancanza di una visione antropologica e sociale incentrata sulla solidarietà e la sussidiarietà”: è quanto affermano i vescovi europei responsabili delle questioni sociali, riunitisi a Nicosia, a Cipro, dal 3 al 5 settembre. “Le politiche sociali – si legge nel comunicato finale dell’incontro - non possono basarsi su meri criteri di redditività, che mettono a dura prova la coesione sociale del vecchio continente. Il futuro dell'Europa e l'esclusione sociale sono vere sfide per la Chiesa, impegnata ad annunciare il Vangelo di Gesù che porta al mondo la vera giustizia e la pace”. Infatti, secondo i vescovi europei “uno dei grandi problemi dell'Europa integrata è la crescente esclusione sociale, con una notevole mancanza di adeguate protezioni sociali”. E’ stata poi ribadita la convinzione che “l'Europa ha bisogno del cristianesimo e che i cristiani hanno una speciale responsabilità per il futuro dell'Europa, affinché l'educazione e l'istruzione valorizzino la ricchezza culturale europea, perché le arti e le scienze dialoghino con la fede religiosa senza integralismi da ambedue le parti e, infine, perché gli scambi culturali soprattutto tra i giovani europei abbiano progetti di ampio respiro”. Durante l'incontro sono stati presentati i rapporti dei diversi Paesi sull'attività della Chiesa nel campo del sociale. In questi rapporti sono emersi l'impegno e la bellezza della carità vissuta da tante comunità e persone cristiane. Sono questi segni di un amore profondo per tutte le persone, che mostrano come la Chiesa possa annunciare la speranza anche in un mondo in crisi.
I vescovi srilankesi: fermare le violazioni dei diritti umani nel Paese
◊ Prigionieri delle carceri srilankesi vittime di percosse e violenze, che spesso portano a ricoveri d'urgenza, quando non alla morte. Minacce e ritorsioni sui contadini che non forniscono quantità sufficiente di riso. Riforme mancate che rischiano di affossare il settore educativo del Paese. Sono solo alcuni degli abusi denunciati dai vescovi cattolici dello Sri Lanka. In un comunicato ufficiale, la Conferenza episcopale (Cbcsl) chiede al governo e agli organismi competenti di "trovare una soluzione politica" che risolva i problemi e assicuri il rispetto dei diritti umani di tutti i cittadini. Firmatari del comunicato – afferma l’Agenzia AsiaNews - sono il cardinale Malcolm Ranjith, presidente della Cbcsl, e mons. Norbert M. Andradi, segretario generale. "Abusi simili - affermano i vescovi - creano un senso di perdita nei valori umani e religiosi della società srilankese". Quanto avviene nelle prigioni nazionali infatti, è anzitutto una "violazione delle leggi internazionali, secondo le quali tutti i prigionieri devono essere trattati con dignità, garantendo la loro sicurezza". In più, sottolineano, "per la fede cristiana, tutti gli uomini sono fatti a immagine e somiglianza di Dio [Genesi 1:27]. Per questo, essi dovrebbero essere trattati con dignità e rispetto in ogni momento". Quanto sta accadendo nel Paese nel settore dell'educazione, è motivo di ulteriore preoccupazione per la Cbcsl. Da oltre due mesi infatti, i professori sono in sciopero per chiedere al governo maggiori diritti e libertà. Colombo però, ha risposto con la chiusura di tutte le facoltà (tranne quelle di medicina), inasprendo ancora di più il braccio di ferro. "Il governo - spiegano i vescovi - deve affrontare le questioni poste dai docenti senza rimandare ancora, perché a farne le spese sono i giovani dello Sri Lanka". Infine, la Cbcsl ha espresso "profonda preoccupazione" per quanto sta accadendo ad alcuni contadini della North Central Province: impiegati nelle risaie, quest'anno non sono riusciti a fornire la quantità richiesta di raccolto, anche a causa del ritardo delle piogge monsoniche, e hanno subito gravi intimidazioni. "Il governo - conclude il comunicato dei vescovi - deve lavorare per una soluzione politica. Dopo tutto quello che ha passato, questa nazione chiede una pace duratura".
Turchia: naufragio di un’imbarcazione, almeno 58 morti
◊ Si aggrava il bilancio delle vittime a seguito del naufragio di un’imbarcazione a largo delle coste della Turchia. Al momento si contano già 58 morti; altre 46 persone invece sarebbero state tratte in salvo. L’imbarcazione sarebbe affondata nel tentativo di raggiungere le coste europee. Il bilancio potrebbe aggravarsi ulteriormente con il passare delle ore.
Colombia: al via in ottobre il dialogo di pace tra governo e Farc
◊ Inizierà il mese prossimo a Oslo, in Norvegia, la trattativa di pace tra governo e Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). Agli incontri, che si terranno tra Cuba e Norvegia, la squadra incaricata al dialogo sarà guidata da Umberto della Calle, ex vice-presidente colombiano, e composta da personalità di spicco, come due ex generali dello Stato maggiore, l’ex direttore della polizia nazionale Oscar Naranjo, l’ex comandante delle Forze militari Jorge Enrique Mora Rangel e l’attuale commissario per la pace e consigliere presidenziale Sergio Jaramillo. In base ad un primo accordo raggiunto con i guerriglieri, come riporta l’agenzia Misna, ogni parte potrà nominare un totale di trenta rappresentanti di cui solo cinque avranno però diritto a sedere al tavolo durante il negoziato. Il capo delle Farc, Rodrigo Londono Echeverri, ha detto che il movimento proseguirà senza tregua "la lotta per la pace". (L.P.)
Bangladesh: 300 bambini cristiani costretti a convertirsi all'islam
◊ Sono circa 300 i bambini di etnia Tripura portati via dai loro villaggi, nel Bangladesh, e rinchiusi nelle scuole islamiche (madrasse) sparse per tutto il Paese. Come riporta l’agenzia AsiaNews, i bambini, per sfuggire alla povertà, vengono prelevati per essere portati in presunte “missioni di studio”. I genitori vengono costretti a versare molti soldi per pagare fantomatiche rette e i bambini, una volta allontanati, vengono venduti a scuole islamiche. Tra le molte tristi storie, ce n’è una a lieto fine, quella cioè di 11 bambini che, dopo essere rimasti sei mesi in una “madrassa”, sono riusciti a fuggire grazie all’aiuto di Hotline, organizzazione per i diritti civili e la difesa delle minoranze con sede a Dhaka, il cui direttore è una cattolica, Rosaline Costa. I Tripura sono una delle tante etnie tribali del Bangladesh, residenti soprattutto nella zona di Chittagong Hill Tracts. Da tempo nell’area è in corso una campagna contro le conversioni al cristianesimo, portata avanti dai musulmani più radicali, che accusano i missionari di fare proselitismo e conversioni forzate, per creare una regione a maggioranza cristiana da annettere all’India. (L.P.)
Slovacchia: preghiera e digiuno per ringraziare il Signore
◊ Ringraziare il Signore per il dono del sacerdozio e chiedere forza nella crisi e guarigione spirituale. Questo è l’obiettivo dell’iniziativa organizzata dalla Comunità dei sacerdoti, fondata nel maggio 2012 in risposta “alla crescente mancanza di rispetto nei confronti di Gesù Cristo nell’Eucaristia, agli attacchi contro gli insegnamenti della Chiesa cattolica e al lassismo nella fede cristiana”. L’iniziativa, come riporta il Sir, avrà inizio il 15 settembre, festività della Madonna dei Sette Dolori, e prevede un periodo di 40 giorni di preghiera e di digiuno al quale tutti i sacerdoti e i fedeli slovacchi sono invitati a prendere parte. La speranza, come sottolineano gli organizzatori, è che questa iniziativa dia nuovo impulso alle vocazioni al sacerdozio. (L.P.)
La sfida delle sette al centro dell'incontro dei Paesi lusofoni a Timor Est
◊ Si è aperto oggi a Dili, Timor Est, un incontro delle presidenze delle Conferenze episcopali di lingua ufficiale portoghese. Al centro dell'appuntamento, che si svolgerà fino al 10 settembre, “La sfida delle sètte nell’ambito della nuova evangelizzazione”. Timor Est ospita l'evento per la prima volta. I vescovi del Portogallo hanno sottolineato nell'occasione che "è dovere della Chiesa mettere in guardia i cristiani affinché non si affidino a mezze verità, distorte o incomplete”, come quelle presentate dalle sètte. “La crescita di questi fenomeni è un avvertimento per la Chiesa – rilevano – bisogna quindi fare attenzione perché i fedeli cattolici non si lascino trasportare da facili teorie, da movimento che esaltano i sentimenti e che, molte volte, finiscono per sfruttarli”. L’incontro dei vescovi lusofoni, giunto quest’anno alla decima edizione, si svolge ogni due anni, a turno, in una nazione di lingua portoghese, e costituisce un momento di scambio e di definizione delle azioni comuni delle varie Chiese di lingua portoghese. Vi partecipano i vescovi di Angola, Brasile, Capo Verde, Guinea Bissau, Macao, Mozambico, Portogallo, São Tomé e Príncipe, Timor Est. Il precedente appuntamento, dedicato al tema “La Chiesa e la lotta alla povertà: condivisione di esperienze”, si era svolto nel luglio 2010 a São Tomé.
Cina: quasi 300 nuovi battezzati nel 2012 nella parrocchia di Jiang Yin
◊ Nella parrocchia di Jiang Yin, nella diocesi di Nan Jing, Cina, nei primi otto mesi del 2012 sono state battezzate 294 persone, al termine di un lungo cammino di catechesi. La diocesi oggi conta oltre 100mila fedeli, una ventina di sacerdoti, una quarantina di suore, 11 chiese e 80 stazioni missionarie. La parrocchia di Jiang Yin è particolarmente impegnata nell’evangelizzazione e, come riporta l’Agenzia Fides, dal 2006 ha cominciato a organizzare un vero e proprio corso per i laici sull’evangelizzazione. Questo corso, oltre a sensibilizzare i fedeli sulla necessità di contribuire alla missione, intende anche formare i laici sui contenuti della fede e sul metodo più adeguato per rispondere alle esigenze missionarie. (L.P.)
Massacro di Yanomami in Venezuela. La Chiesa: “Arrivare alla verità”
◊ La notizia del massacro di 80 indigeni dell’etnia Yanomami nella foresta amazzonica vicino alla frontiera con il Brasile, diffusa dai media la settimana scorsa, ha provocato la reazione del governo venezuelano, che ha inviato sul posto il ministro dei Popoli indigeni. Questi ha poi dichiarato di non aver trovato nessuna prova del massacro. Il vicario apostolico di Puerto Ayacucho, mons. José Angel Divassón Cilveti, ha comunque evidenziato che “non basta sorvolare la zona, perché dall’alto non si riesce a vedere niente. Bisogna arrivare nello stesso luogo dove abita questa gente”. Il vescovo ha ribadito che "bisogna chiarire la situazione fino in fondo". Nella nota inviata all'Agenzia Fides si sottolinea che l'accesso alla lontana comunità degli Yanomami, che si trova nel comune dell’Alto Orinoco, è difficile e ci vuole molto tempo per arrivare. "La cosa più importante comunque è arrivare alla verità - ha detto il vicario apostolico -, per questo bisogna arrivare fino al cuore della comunità Yanomami. Ci sono anche altre comunità indigene che si trovano in pericolo per la presenza dei ‘garimpeiros’, che passano dal Brasile al Venezuela per l'attività mineraria, con tutte le conseguenze contro l'ambiente: contaminazione dell'acqua, violenza, malattie. Infatti molti Yanomami sono morti a causa della tubercolosi, contratta perché sono fragili" ha affermato il vescovo. La denuncia di questo massacro è stata presentata dagli organismi che difendono gli indigeni. Già nel 1993 una incursione di garimpeiros nella comunità Haximù, in territorio venezuelano, causò la morte violenta di 16 indigeni e venne sollevato un problema internazionale.
Unesco: l’istruzione alla base della pace
◊ “L’istruzione contribuisce alla pace perché fa avanzare i popoli sia a livello di libertà individuali sia di conoscenza del resto del mondo e, quindi, in un’ottica di prevenzione dei conflitti”. È quanto si legge in una nota dell’Unesco diffusa in occasione della premiazione dei Paesi che si sono distinti nella lotta all’analfabetismo, e più precisamente: Bhutan, Indonesia, Rwanda, Colombia, Niger e Marocco, Paese che ha fatto registrare i passi in avanti più evidenti in questo ambino, con un calo del 13% dell’analfabetismo nella popolazione negli ultimi 7 anni. Questa premiazione, come riportato dall’agenzia Misna, si inserisce nell’ambito delle iniziative per la Giornata internazionale dell’alfabetizzazione che si celebra il prossimo sabato. Il tema attorno al quale si sviluppa l’iniziativa è “Coltivare la pace” perché, come affermato da Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco, “l’istruzione porta con sé sostenibilità rispetto a tutti gli obiettivi di sviluppo perché essa è la base di qualunque tipo di apprendimento”. (L.P.)
Una giornata dedicata all'amore del Beato Wojtyla per il Creato
◊ Il Centro Papa Luciani di Santa Giustina Bellunese propone per sabato 8 settembre una giornata in ricordo del Beato Giovanni Paolo II nel 25.mo anniversario del suo primo soggiorno estivo sulle Dolomiti. Si inizierà con la testimonianza di mons. Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Unesco che si soffermerà sul rapporto tra Papa Wojtyla e l’ambiente, il suo legame con le montagne e la costante attenzione per la custodia del Creato. A seguire, un concerto con musiche di Vivaldi e Bach dell’orchestra “Dolomiti Ensemble Baroque”. Questa iniziativa, come osserva il Sir, è resa possibile grazie alla collaborazione e al sostegno della Fondazione Dolomiti Dolomiten Dolomitis Unesco-Rete della formazione e della ricerca, ma anche dalla Cassa di Risparmio del Veneto, dal Consorzio Bim Piave e della Provincia di Belluno-Regione Veneto-RetEventi. (L.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 250