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Sommario del 02/09/2012
◊ Mettere in pratica ogni giorno la legge del Vangelo libera il cristiano dal pericolo della “falsa religiosità”. È il senso delle parole pronunciate questa mattina da Benedetto XVI prima della preghiera dell’Angelus, presieduta nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. Al momento dei saluti in francese, il Papa ha espresso la propria "gioia" di "visitare presto" il Libano. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Mettersi a posto la coscienza concedendo a Dio qualche parola di superficiale devozione, per riporre in realtà la propria fiducia in quegli interessi personali che sono le vere “divinità” di tanti, anche cristiani. È questa una tentazione umana antica quanto il rapporto tra Dio e l’uomo. Benedetto XVI la ha ribadito rileggendo all’Angelus qualche passo della liturgia odierna, dedicata al tema della Legge di Dio. Essa, ha detto, coincide con la Parola stessa di Dio, che libera l’uomo dai suoi egoismi e lo introduce “nella ‘terra’ della vera libertà e della vita”:
“Per questo nella Bibbia la Legge non è vista come un peso, una limitazione opprimente, ma come il dono più prezioso del Signore, la testimonianza del suo amore paterno, della sua volontà di stare vicino al suo popolo, di essere il suo Alleato e scrivere con esso una storia d’amore”.
Nessun problema, se il cuore dell’uomo avesse questa sintonia con Dio. Ma così spesso non è e il Papa prende ad esempio ciò che accade al popolo ebraico dell’Antico Testamento quando esce dal lungo esilio nel deserto, pur accompagnato dalla legge divina che Mosè con forza esorta a mettere in pratica:
“Ecco il problema: quando il popolo si stabilisce nella terra, ed è depositario della Legge, è tentato di riporre la sua sicurezza e la sua gioia in qualcosa che non è più la Parola del Signore: nei beni, nel potere, in altre ‘divinità’ che in realtà sono vane, sono idoli”.
Certo, ha osservato subito dopo il Papa, non è che Dio venga cancellato. La sua Legge “rimane, ma non è più la cosa più importante, la regola di vita”. È quanto Cristo stigmatizzerà nel Vangelo dei farisei, per i quali la Legge divina è diventata altro:
“Diventa piuttosto un rivestimento, una copertura, mentre la vita segue altre strade, altre regole, interessi spesso egoistici individuali e di gruppo. E così la religione smarrisce il suo senso autentico che è vivere in ascolto di Dio per fare la sua volontà - che è la verità del nostro essere (...) - e si riduce a pratica di usanze secondarie, che soddisfano piuttosto il bisogno umano di sentirsi a posto con Dio. È questo un grave rischio di ogni religione, che Gesù ha riscontrato nel suo tempo, ma che si può verificare, purtroppo, anche nella cristianità”.
Dopo la recita dell’Angelus, Benedetto XVI si è rivolto in cinque lingue alla folla radunata nel cortile del Palazzo apostolico, e in francese ha indirizzato uno speciale saluto ai libanesi presenti, assicurando loro "le sue preghiere" e la sua "gioia di visitare presto il loro bel Paese". Tra i saluti particolari del Papa, anche quello alle coppie di sposi che festeggiano i 25 anni di matrimonio.
Messa del Papa per i suoi ex allievi: non abbiamo la verità, apparteniamo alla Verità
◊ Si è conclusa con una Messa celebrata questa mattina dal Papa nel Centro Mariapoli di Castel Gandolfo il tradizionale seminario estivo degli ex-allievi di Benedetto XVI, il cosiddetto Ratzinger Schülerkreis, incentrato quest’anno sul tema “Risultati e domande ecumenici nel dialogo con il luteranesimo e l’anglicanesimo”. Il Papa nell’omelia ha commentato le letture della liturgia domenicale. Ce ne parla Sergio Centofanti.
Il Papa ha svolto la sua catechesi a partire dalla lettura del Deuteronomio, dove si legge che Israele, unico tra tutti i popoli, riceve da Dio la Legge, legge che dà la vera saggezza. Si tratta di un dono di cui gioire – sottolinea Benedetto XVI - non un frutto della propria genialità che possa generare trionfalismo. Così la Chiesa, un Israele diventato universale, può solo gioire del dono di Cristo, che è il nucleo essenziale della Legge, Legge fatta carne, Amore di Dio per noi. Abbiamo ricevuto la saggezza che è verità, sappiamo vivere e morire, perché Cristo è la vita e la verità. Non c’è spazio per nessun trionfalismo, ma solo per la gioia e la gratitudine per il regalo ricevuto, che non abbiamo fatto noi.
Benedetto XVI ha quindi rilevato che con il passare del tempo usanze umane si sono aggiunte al dono di Dio, nascondendo la saggezza donata da Dio. Queste aggiunte possono condurre la Chiesa al cosiddetto trionfalismo, a lodare se stessa. Così in questa fase vediamo solo ciò che è fatto da noi, non troviamo più la gioia della fede. Così non osiamo più dire che Dio ci ha insegnato la verità e ci ha insegnato cosa è l’uomo.
Ma oggi – spiega il Papa - i concetti di verità e intolleranza sono quasi fusi tra di loro; così dire di avere la verità diventa sinonimo di intolleranza. E noi cristiani non osiamo più credere o parlare di verità. In effetti è vero, osserva: nessuno può dire “Possiedo la verità”, perché siamo noi che apparteniamo alla verità che è qualcosa di vivo! Non la possediamo, è piuttosto lei che ci acciuffa; e rimaniamo in lei solo se ci lasciamo guidare e spingere da lei. Credo – afferma - che dobbiamo imparare di nuovo, questo “non avere la verità”. Nessuno può dire “Ho dei figli”, perché non sono un nostro avere, sono un regalo, e sono un dono di Dio ed un compito. Così non possiamo neanche dire “Ho la verità”, ma la verità, che è Cristo stesso, è venuta verso di noi e nell’Eucaristia è venuta addirittura dentro di noi per pulirci dalle nostre miserie, dal nostro egoismo che fa sembrare il cristianesimo solo un sistema di usanze. E così dobbiamo imparare di nuovo a farci condurre dalla verità. E allora attraverso di noi la verità potrà di nuovo brillare per la salvezza del mondo.
Un inciso il Papa lo ha dedicato alla Lettera di San Giacomo, laddove invita a essere di quelli che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori. Questa – ha sottolineato - è un’esortazione a non accentuare la dimensione intellettuale della fede e della teologia. Spesso – ha proseguito - temo proprio questo, quando leggo tante cose intelligenti in questi tempi: che la teologia diventi un gioco dell`intelletto che non compenetra la nostra vita e che quindi non ci introduce alla verità. Dunque – conclude – è un invito proprio a noi teologi: non solo ascoltare ma lasciarsi forgiare dalla verità e lasciarsi guidare da lei.
◊ Prima del termine dell'incontro, la collega della redazione tedesca, Gudrun Sailer, ha avvicinato il religioso salvatoriano, padre Stephan Horn, presidente dell'Associazione degli ex allievi di Benedetto XVI, e gli ha chiesto un bilancio sull'edizione 2012 del "Ratzinger Schülerkreis":
R. – Noi tutti abbiamo l’impressione che questo incontro sia stato uno dei migliori. Avevamo già meditato il tema, dentro di noi, prima dell’incontro con il Santo Padre, e abbiamo parlato delle nostre esperienze specialmente nell’incontro con i luterani in Germania. Abbiamo l’impressione, dunque, che si siano fatti dei progressi e che si sia sviluppata una maggiore amicizia. Non si tratta certo di grandi nuovi sviluppi, ma in molti sensi di una grande vicinanza. Questa è pure l’idea che il Santo Padre ha sottolineato: il dialogo, anche il dialogo della vita, è un vero progresso ecumenico. Non è utile pensare solo a una definitiva unità, ma a compiere i passi che possiamo fare. E questo dialogo è davvero molto necessario e utile.
D. – Sono state avanzate, anche da parte degli ex alunni, delle idee concrete per la ricorrenza della riforma fra cinque anni, nel 2017. Quali sono queste idee?
R. – E’ stata sviluppata l’idea di un “mea culpa” di ambedue le parti. Il Santo Padre ha sempre avuto l’idea che fosse necessario la purificazione della memoria. E’ un tema che ha sviluppato da tempo. Naturalmente, i fatti storici non possono essere cancellati, però la differenza sta nel come si vedono queste cose: cancellare il veleno di questi conflitti è un vero risanamento. Questo aiuta molto per una maggiore vicinanza nel futuro. Forse, però, non è utile organizzare solo un grande evento: compiere queste cose nella vita quotidiana dei cristiani sembra essere di grande aiuto.
D. – Il Santo Padre, all’inizio di ogni incontro con i suoi ex alunni, ha l’abitudine di fare un riassunto deell'anno trascorso attraverso gli argomenti che gli stanno particolarmente a cuore. Ogni anno parla molto, e molto volentieri, dei viaggi che ha compiuto in quell’anno, ma non solo. Che cosa ha colpito specialmente il Santo Padre in quest’anno?
R. – Quest’anno, è stato colpito specialmente dalla gioia della fede trovata nel Benin, come anche in Messico, mentre a Cuba, forse, la società non può mostrare così liberamente i sentimenti del proprio cuore. Questa gioia della fede procura sempre grande gioia al Santo Padre. Anche l’incontro con le famiglie a Milano gli ha procurato grande gioia.
D. – E’ il 36.mo incontro di questo circolo di ex alunni di Joseph Ratzinger. Vi uniscono decenni di conoscenza reciproca: siete maturati insieme, anche a livello accademico, si può dire, e vi unisce un’amicizia profonda. Il Santo Padre ha menzionato anche davanti a voi - gli ex alunni, gli amici - gli avvenimenti tristi legati a Vatileaks?
R. – Lui ha parlato anche di queste cose con grande serenità interna e rimane saldo nel suo ministero: non è fragile, ma lavora normalmente.
Milano. Migliaia in fila per l'estremo omaggio al cardinale Martini. Domani le esequie
◊ Una folla ininterrotta di migliaia di persone prosegue da ieri, nel Duomo di Milano, la sua silenziosa processione per portare l’estremo saluto al cardinale Carlo Maria Martini, spentosi due giorni fa all’età di 85 anni. Alle esequie, fissate per domani alle 16, parteciperà a nome di Benedetto XVI il cardinale Angelo Comastri. La cronaca da Milano, di Fabio Brenna:
L’eredità del cardinale Martini è un popolo grande che, silenziosamente, è sfilato davanti a lui ininterrottamente, da quando ieri, poco dopo mezzogiorno, ha fatto ritorno nella cattedrale di quella Chiesa milanese, che ha guidato per 22 anni e sette mesi, dal 1980 al 2002. Al ritmo di 6 mila persone l’ora, in tanti hanno voluto rendergli omaggio, non lasciandolo solo nemmeno nel corso della notte, animata da una veglia di preghiera.
Nel pomeriggio si recheranno a rendergli omaggio il suo immediato successore sulla cattedra di Ambrogio, il cardinale Dionigi Tettamanzi, mentre alle 17.00 è atteso il presidente del Consiglio, Mario Monti, che sarà presente ai funerali fissati per domani alle ore 16.00. Si attende una grande partecipazione alle esequie, che saranno presiedute dall’attuale arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola. Presente, in rappresentanza del Papa, il cardinale Angelo Comastri e, fra gli altri, il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco. Il cardinale Martini sarà poi tumulato in forma privata all’interno del Duomo, davanti alla croce di San Carlo Borromeo.
Carlo Maria Martini: il ricordo del biblista padre Doan e del filosofo Giulio Giorello
◊ Per 40 anni ha seguito i suoi insegnamenti e il suo esempio. Il gesuita Joseph Doan Cong Nguyen è il direttore del Pontificio Istituto Biblico a Gerusalemme ed è stato allievo del cardinale Carlo Maria Martini a Roma. Ecco un suo ricordo del porporato scomparso, nell’intervista di Francesca Sabatinelli:
R. – Il cardinale Martini era un grande biblista, ma anche un grande maestro spirituale, che ci riporta al periodo dei Padri della Chiesa. Per lui la teologia, la vita spirituale sono tutte fondate sulla Parola di Dio: non c’è confine tra Bibbia e teologia, tra Bibbia e spiritualità, tutto va insieme. Penso che questo sia il contributo più importante del cardinale per tutta la Chiesa. Per me, posso dire da studente che non è stato soltanto il mio professore, ma anche il mio maestro spirituale, e mi ha ispiranto questa maniera di avvicinarsi, di nutrirsi della Parola di Dio. In tutte le circostanze nella mia vita, questa è stata veramente la cosa che mi ha aiutato. Da 40 anni, questo è fondamentale nella mia vita. Lui per me è un padre, un professore e un maestro spirituale.
D. – Tutti conoscono il grande amore e il forte legame che Carlo Maria Martini aveva con Gerusalemme, che lasciò nel 2008 anche a causa della sua malattia. Ci può raccontare questo profondo rapporto con la Città Santa?
R. – Per lui la Parola di Dio era tutto per la sua vita e la Parola di Dio parte da Gerusalemme, la Chiesa parte da Gerusalemme. Purtroppo, quando sono io sono arrivato qui, lui già era rientrato a Milano.
D. - A Gerusalemme, ci saranno molte persone che ricordano il cardinale…
R. – Tutti si ricordano di lui come un uomo di pace, un uomo spirituale, un uomo della Parola di Dio. Persino una settimana fa, ancora qualcuno mi ha chiesto di poter scrivere al cardinale. Nelle lettere di risposta tutti dicevano che ciò che toccava di più erano la sua semplicità e la sua umiltà. Penso che questo sia un punto molto comune tra i ricordi sul cardinale: uomo spirituale, uomo di riconciliazione, uomo di semplicità ed umiltà.
Il filosofo della scienza Giulio Giorello è stato per anni in amicizia con il cardinale Carlo Maria Martini. Ha preso parte all’iniziativa della Cattedra dei non credenti e ha scritto con il porporato un libro “Ricerca e carità”. Ama ricordarlo come ''amico di tutti i milanesi e di tutte le persone che amano ragionare”. Per Giorello, il cardinale Martini “ci lascia una grande lezione civile''. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
R. – Credo che con Carlo Maria Martini ci abbia lasciato un grande amico, che io personalmente ho avuto modo di conoscere, di frequentare, trovando in lui due cose: un aiuto spirituale, anche nei momenti di turbamento, e poi una persona estremamente attenta alle cose che mi stavano a cuore, cioè in particolare la diffusione di una seria cultura scientifica nel nostro Paese. Non è un caso che tra le varie cattedre dei non credenti, organizzate da Carlo Maria Martini, molte siano state tenute nell’Aula magna dell’Università degli Studi milanese e due siano state dedicate a questioni scientifiche. Martini aveva avuto parole veramente belle rivolte proprio a chi faticosamente lavora nell’impresa scientifica, forse non possiamo dire cercando la verità, ma accontentandosi di capire sempre un po’ meglio il mondo che ci circonda e noi stessi.
D. – Lei, negli anni, del cardinale Martini ha dato molte definizioni: uomo di ampio respiro intellettuale, un uomo libero dai fondamentalismi. Quale di questi tratti, a suo giudizio, ha aiutato, agevolato, incrementato l’evoluzione del dialogo tra laici e credenti?
R. – Io direi, innanzitutto, la disponibilità umana del cardinale Martini a parlare con tutti, perfino – e lo dico scherzando – con “gli atei più feroci”. Una persona, cioè, sempre attenta all’altro: l’altro visto come persona libera e responsabile e dunque anche capace di ragionare. Martini diceva sempre che il vero dialogo non è tra credenti e non credenti, ma tra credenti che ragionano e non credenti che, a loro volta, ragionano. Ora, ragionare vuol dire scegliere, vuol dire anche scegliere di sentire le ragioni degli altri.
D. – Quando il cardinale lasciò Milano, lei pubblicamente chiese che non lo facesse. Quale fu il rapporto tra questa città e Martini?
R. – Fu un rapporto molto intenso, in un periodo particolarmente delicato per la nostra città. Erano tempi anche di contrasti politici molto forti. Sono stati, talvolta, anche gli anni del terrorismo. C’erano molte persone che temevano che l’Italia potesse sprofondare nella guerra civile: non è successo. Forse questi timori, con il senno di poi, ci sembrano infondati. Ma perché ci sembrano infondati? Proprio perché furono presenti una serie di figure nelle quali potevano riconoscersi anche coloro che non ne condividevano il quadro concettuale, ma ne condividevano la profonda umanità. Martini è stato senza dubbio uno di questi: una risorsa e una speranza non solo per i credenti milanesi, ma per tutti.
D. – Lei e il cardinale Martini avete scritto un libro, a quattro mani, a due voci: “Ricerca e carità”. Cosa ricorda di questa vostra collaborazione?
R. – Ricordo soprattutto il fatto che tutti e due convergessimo, nonostante le ovvie e giuste differenze che c’erano da tener presenti, su un punto: che la carità poi diventa concretamente solidarietà e l’impresa scientifica è una grande dimostrazione di solidarietà essa stessa, perché quando uno sviluppa un grande programma di ricerca in fisica, in biologia, in medicina, non conta tanto il singolo individuo, ma il singolo individuo è esaltato perché entra in relazione con l’altro. Martini coglieva fortemente questo senso di solidarietà interno all’impresa scientifica. A me ha insegnato anche a ritrovare il senso della solidarietà, della compassione, della carità nei rapporti umani che, naturalmente, vanno al di là della stessa scienza e della tecnica.
D. – Qual è l’eredità del cardinale, che assolutamente non bisogna perdere?
R. – Direi, soprattutto questa concretezza. La tensione verso la spiritualità più alta – Martini era anche un grande biblista – però, non veniva mai distaccata da una concretezza immediata per i bisogni delle persone, innanzitutto in questa vita.
L'ex terrorista Balducchi: avevamo deciso di abbandonare la lotta armata e Martini ci ascoltò
◊ Memorabile fu la consegna delle armi da parte dei terroristi delle Brigate Rosse all’arcivescovado di Milano il 13 giugno del 1984. Qualche giorno prima, il 27 maggio, Ernesto Balducchi, accusato di banda armata, dal carcere di San Vittore aveva scritto al cardinale Martini per chiedere l’intervento della Chiesa in una sorta di mediazione per la ripresa del dialogo con lo Stato. Alessandro Guarasci lo ha intervistato:
R. – Abbiamo perso un grande riferimento culturale. L’attenzione al problema della giustizia nel mondo: questa era la cosa che anche per la mia esperienza è stata importante.
D. – Perché per quel gesto così importante sceglieste proprio il cardinal Martini?
R. – Avevamo seguito un suo interevento a un convegno – mi pare del 1983 – sulla dimensione sociale del peccato: illuminava un po’ l’aspetto sociale, la dimensione sociale del peccato e quindi il suo legame con l’ingiustizia, fondamentalmente. Allora scrissi una lettera a Martini. Mi rispose – non me l’aspettavo. E a quel punto ho incominciato a mettere a fuoco quello che avrebbe potuto essere un dialogo anche concreto.
D. – Quanto ha cambiato in molti di voi la visione della società, quell’incontro con il cardinale Martini?
R. – Noi avevamo già maturato un giudizio negativo sull’esperienza della lotta armata, però ci trovavamo di fronte un muro abbastanza compatto di opinione che non era disponibile a qualsiasi forma di dialogo, e quindi ad accettare anche questo giudizio critico e questa “uscita” ideologica dal campo della lotta armata. Parlare con qualcuno – e di fatto, lui venne anche a Natale del ’83 a San Vittore – ci ha confortato in questo. Devo dire che poi ogni volta che lui toccava quegli argomenti, e che la cosa veniva riportata dalla stampa, notavamo che le nostre istanze erano ascoltate, erano recepite insomma.
D. – La Chiesa – in quel caso, la Chiesa milanese – era una interlocutrice “credibile” per una sorta di riconciliazione all’interno del Paese?
R. – Per noi, era l’unica sponda che avevamo e a cui potevamo accedere. Il resto erano le Procure della Repubblica, che però esigevano nomi, cognomi, dati e fatti, per poi accedere alla cosiddetta legge dei pentiti. Ma non era questo che a noi interessava.
Pakistan: in manette il principale accusatore della bambina cristiana down accusata di blasfemia
◊ In Pakistan è finito in carcere l’imam Khalid Jadoon, principale accusatore di Rimsha Masih la bambina cristiana affetta da sindrome di Down che rischiava la condanna a morte o l’ergastolo per blasfemia, perché sospettata di aver bruciato alcune pagine del Corano. L’uomo è accusato di aver manipolato le prove. Il servizio è di Eugenio Bonanata:
Avrebbe aggiunto pagine del Corano tra i fogli bruciati trovati in mano alla bambina. Ad affermarlo un religioso che ha fornito alla Corte una testimonianza scritta. “Ho cercato inutilmente di impedire all’imam di manipolare le prove”, ha detto. Altri due testimoni musulmani confermano l’accaduto. Un giudice di Islamabad ha così disposto l’arresto dell’imam, avvenuto ieri seri sera. Oggi, il presidente del Consiglio degli Ulema del Pakistan ha invocato una giusta punizione ai danni dell'uomo. Chiesta, inoltre, al presidente Zardari l’immediata liberazione e la protezione della bambina. Per domani, a Islamabad, è fissata una nuova udienza per un possibile rilascio su cauzione, richiesto da tempo dall’avvocato della bimba. Il legale ha fatto sapere che, dopo oltre due settimane di carcere, la piccola comincia a stare male a causa della lontananza dai suoi genitori e dal consueto suo ambiente di vita. Ora, però, sembra decadere l’accusa di blasfemia nei suoi confronti. Rischiava la pena capitale o il carcere a vita. Il caso ha sollevato un’ondata di indignazione in tutto il mondo, riproponendo la questione delle condizioni di vita della minoranza cristiana in Pakistan.
Testimonianze dal Genfest 2012. Il cardinale Erdő: giovani così sono una grande speranza
◊ Si è concluso con una preghiera per la pace, questa mattina, nella piazza Santo Stefano a Budapest, il raduno mondiale dei giovani del Movimento dei Focolari, il Genfest. Il tema scelto Let’s Bridge, con la metafora della costruzione di ponti e legami di dialogo tra culture e religioni diverse, ha accompagnato per tre giorni oltre 12 mila giovani venuti da 150 Paesi, ispirando coreografie, concerti, momenti di approfondimento e testimonianze sul valore della fraternità. “Guardate all’amore che è Dio e che non vi delude”: questo l’invito lasciato ieri, alla colorata platea, dalla presidente dei Focolari, Maria Voce, mentre stamattina a celebrare la Messa con giovani è stato il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest. Gabriella Ceraso gli ha chiesto che impressione ne abbia tratto e cosa pensa possano offrire al mondo di oggi:
R. - Oggi come oggi, in tanti siamo disorientati e vedere un gruppo così consistente di giovani che si dedicano a una cosa nobile è già una testimonianza. Bisogna dare una fisionomia più umana, più cristiana, a tutto ciò che si compie. La carità, l’amore, il rispetto verso la cultura, la lingua, l’identità, la ricchezza di ciascun popolo, di ciascuna persona, sono cose che non possono mancare e per questo penso che l’incontro possa arricchire veramente tutta l’attività della Chiesa proprio nel contesto della Nuova Evangelizzazione.
D. - La fratellanza universale, filo conduttore del Genfest, oggi è più impellente che mai. Così Maria Voce presidente del Movimento dei Focolari ha detto ai giovani. Condivide questo pensiero?
R. - Certamente, perché i rapporti sono sempre più frequenti e allora anche la mancanza della fratellanza si sente sempre di più. Bisogna dedicare molta attenzione a come si sviluppano i rapporti tra i popoli, tra gli esseri umani.
D. - Lei ha fiducia nelle nuove generazioni?
R. – Io sono convinto che Dio è capace di agire attraverso le nuove generazioni, nelle quali molti membri hanno anche un’apertura spirituale e grazie a questa apertura possono aiutare il mondo di oggi. Ho una grande fiducia.
Tra i giovani cristiani presenti a Budapest, anche una folta delegazione da tutta l’area mediorientale e dal Nord Africa. Rappresentati il Libano, la Libia, la Giordania, la Siria, l’Egitto e l’Iraq. Rony è un ragazzo di Baghdad: Gabriella Ceraso gli ha chiesto cosa ha significato vivere questa esperienza:
R. – E’ una cosa straordinaria potere essere con i giovani di tutte queste razze, colori e credo… E’ una ricchezza indescrivibile. Sento che devo prendere questa realtà che sto vivendo qui e portarla con me in Iraq.
D. – Come vivi nella tua terra, con la tua comunità, “l’amare il prossimo tuo come te stesso”, cioè la regola d’oro che Chiara ha lasciato?
R. – E’ una cosa difficile, non è sempre facile, perché noi cristiani in Iraq siamo diventati molto pochi… Quando ci vedono che siamo gentili e sorridiamo a volte se ne approfittano. Le prime due o tre volte non siamo capiti, ma dopo con la nostra insistenza nell’amare vediamo che l’altro comincia a rendersi conto che c’è qualcosa di diverso, di nuovo. La cosa più bella è che quando uno fatica veramente per amare - così che a un certo punto dice “non ce la faccio, più di così non posso” - allora comincia in quel momento la risposta: gli altri cominciano ad amare anche loro.
D. – Che cosa significa per voi che vivete in Iraq la fraternità, lottare per conquistare questo valore…
R. – Noi eravamo un Paese unito, ci volevamo bene, ci accoglievamo reciprocamente. Adesso c’è tanta diffidenza, ci sono gruppi che si sono messi gli uni contro gli altri. Però, nello stesso tempo, stanno nascendo gruppi che dicono: basta, facciamo qualcosa di diverso per ritornare alle origini. Dopo avere sentito le esperienze al Genfest ho capito che noi, il nostro piccolo gruppo di cristiani, dobbiamo tornare a vivere prima di tutto fra di noi e come cerchi concentrici che si vanno aprendo influiremo su altri e su altri ancora… Questo per noi è già vivere per la fratellanza.
D. – Quindi, vedere il volto di Gesù nell’altro è possibile anche laddove c’è la guerra e questo volto spesso è un nemico?
D. – E’ molto difficile, perché quando c’è la guerra la prima cosa che uno pensa è a se stesso. Quando ti rendi conto che l’altro ha bisogno di te, anche di qualcosa di semplice, di piccolo, in quel momento ti dici: questo è Gesù. Ed è lì che incominciamo.
D. - Che impegno ti assumi prima di tornare in Iraq?
R. – Costruire questi ponti nel mio popolo iracheno.
Armar è arrivato a Budapest da Amman in Giordania. E’ la prima volta che ha vissuto l’esperienza del Genfest. Le sue impressioni al microfono di Gabriella Ceraso:
R. – Vivere il Genfest per me è stato un momento storico, perché noi giovani in Medio Oriente non possiamo trovarci insieme a causa della situazione politica. Invece, qui ci siamo riusciti. Ascoltando gli altri ragazzi, mi sono reso conto che tutti viviamo le stesse esperienze. Vedo che le difficoltà sono le stesse e soprattutto mi accorgo che l’umanità tutta in fondo è unita da Dio. In Giordania, mi porto tutta questa bellezza, questa umanità, che ho scoperto e che mi spinge a ricominciare.
D. – In questo periodo, si parla di Giordania soprattutto per il problema dei profughi siriani edella loro accoglienza. Come stanno contribuendo i giovani del movimento dei Focolari?
R. – Ci sono alcuni impegnati nelle associazioni internazionali, come la Caritas o le Nazioni Unite, che stanno facendo cose concrete, soprattutto stanno montando le tende nei campi. Noi siamo in continuo rapporto con loro per vedere di cosa abbiano bisogno e per sostenerli in ogni momento.
D. – Come reagite alle notizie delle violenze in corso nei Paesi intorno alla Giordania, avete paura?
R. – Adesso, in Giordania non c’è la guerra ma il fatto che intorno a noi ci sia instabilità riteniamo possa influire in qualche modo anche sulla nostra vita. Ma siamo pronti a reagire a questa situazione con il nostro amore.
D. – Cosa ti porti via dall’esperienza del Genfest?
R. – Voglio annunciare a tutti che nonostante le difficoltà, nonostante le diversità che esistono tra noi, l’amore reciproco è possibile: l’ho visto e l’ho vissuto.
Il vescovo di Trento: tutelare l'ambiente è un dovere di coscienza per tutti
◊ Ieri in occasione della VII Giornata per la Salvaguardia del Creato, si è svolto a Pian di Cansiglio in provincia di Belluno, un incontro ecumenico che ha coinvolto rappresentati religiosi del mondo cristiano del Trentino, del Friuli e del Veneto e della Lombardia. Ma in che modo i credenti possono contribuire concretamente a proteggere la terra? Marina Tomarro lo ha chiesto a mons. Luigi Bressan arcivescovo di Trento presente all’ iniziativa.
R. – C’è una responsabilità, direi, in senso negativo, di non offendere noi stessi, quello che è a beneficio di tutti; avere, dunque, quella coscienza, e, quindi, riparare eventualmente il male fatto da noi. Però, anche un atteggiamento positivo, perché quello è il cristianesimo. Cosa possiamo fare, dunque, per migliorare l’ambiente? Far sì che si prenda coscienza, certamente, azioni, spingere i politici, iniziando anche da noi stessi. Il rispetto dunque negli stili di vita, negli acquisti, possibilmente a km zero - trovo orrenda la nostra natura, il nostro ambiente – e la stessa raccolta differenziata, che è una responsabilità etica, non solo una responsabilità civica. Poi azioni congiunte, come queste azioni di sensibilizzazione della Giornata.
D. – Sanare le ferite del Creato è anche sanare le ferite del cuore dell’uomo?
R. – Certamente. Deve partire da un atteggiamento umano, dall’atteggiamento dell’uomo, che sa essere più sereno, meno egoista. Quindi, nasce dall’atteggiamento dell’uomo. L’umanità non è anonima: l’umanità è fatta di tante persone che si assumono le proprie responsabilità.
E nel Trentino tante sono le iniziative in cui si cerca di rispettare e proteggere l’antica alleanza tra l’uomo e l’ambiente. Una di queste è "Greenway". Di cosa si tratta? Lo spiega Marino Simoni, presidente del Consorzio dei comuni trentini:
R. – Greenway viene da una filosofia, che ha messo come punto principale l’"oil free zone". Noi vogliamo creare, cioè, un’area, una zona che sia libera dagli oli combustibili. Li raggiungiamo attraverso una produzione idroelettrica, che ha già dato risposte importantissime a questo territorio. Noi siamo autosufficienti ed esportiamo tantissima energia idroelettrica, ma vogliamo valorizzare anche la filiera del legno, non solo dal punto di vista della sua produttività e remunerazione - per quello che è il legno di qualità - ma anche per tutti gli scarti del legno, individuando nella biomassa una delle altre opportunità energetiche. E inoltre, valorizzando la filiera lattiero-casearia, che è un altro degli elementi importanti che lega la montagna alla vita del quotidiano, e ancora utilizzandola sulla filiera dei servizi, in particolare dei trasporti pubblici, dove vogliamo raggiungere l’obiettivo che tutti i trasporti pubblici siano o elettrici, originati, pertanto sostenuti, dalle nostre fonti energetiche idroelettriche, oppure da biometano. Siamo su una strada che vogliamo sia verde, sempre più verde, per i nostri concittadini e per i nostri ospiti.
Al Festival di Venezia, l'esodo degli albanesi del '91 narrato nel docufilm "La nave dolce"
◊ Presentato oggi fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia il film documentario di Daniele Vicari “La nave dolce”: nell’agosto del 1991 una nave albanese carica di ventimila persone stipate ovunque giunse nel porto di Bari. Divenne un caso politico, mediatico e umanitario di inimmaginabili proporzioni e fu il primo respingimento di massa di cui l’Italia, impreparata e inadeguata, si rese responsabile. Immagini e testimonianze ricordano quei tragici fatti. Il servizio di Luca Pellegrini.
La dolcezza della nave dovrebbe dipendere dal carico, ossia zucchero cubano. Ma tutto riflette il contrario, quando quel bastimento affollato di umanità finalmente libera, piuttosto felice, sicuramente poverissima e illusa, entra l'8 agosto del 1991 nel porto di Bari, una città attonita, impreparata, poi ferita. Era la "Vlora", proveniente da Durazzo, presa d'assalto da ventimila albanesi che si erano appena liberati della dittatura comunista e pensavano di trovare un’Italia fino ad allora solo sognata. Fecero esperienze ben diverse. Le immagini ricavate dagli archivi di entrambi i Paesi e "reimpaginate" da Daniele Vicari nel suo film - potenti, terribili, rimosse, ritornate - e le testimonianze che su uno sfondo bianco astratto e puro le interrompono, creano una “suspence” morale e un senso di disarmante tragicità, conoscendo anche che cosa ci avrebbero riservato gli anni a venire. Dopo giorni di forzata e inumana reclusione nello stadio della città, furono respinti oltre 18 mila albanesi praticamente nudi, affamati e disperati. Fu un’apocalisse umanitaria, una pagina di storia italiana amara, come conferma il regista:
R. - L’arrivo di quella nave è stato un po’ un pugno nello stomaco di un Paese che non aveva ancora capito i mutamenti avvenuti dopo il crollo del muro di Berlino. L’arrivo di un intero popolo su una nave che approda non per fame, ma per un anelito di libertà e il desiderio di migliorare la loro vita. Molti di loro sono infatti anche persone che avevano studiato. Quindi, sono venute per una serie di motivi importanti, che riguardano appunto l’essere umano in quanto tale. Sono arrivati, noi gli abbiamo dato un calcio e li abbiamo respinti. Tutto questo ha significato due cose secondo me: da una parte, il fatto che noi, non rendendoci conto di questi grandi cambiamenti, di questi grandi capovolgimenti, non abbiamo affrontato nella maniera adeguata quella che era appunto un’emergenza ma anche una grande opportunità di cambiamento, di fronte alla quale abbiamo sbagliato a chiuderci a riccio. E infatti abbiamo perso, perché poi non siamo stati in grado di gestire questo enorme afflusso di persone. È diventato un problema serio sul piano politico e sociale. Il secondo motivo è legato al fatto che un Paese di radici profondamente democratiche ha dimostrato a se stesso di non aver digerito la parola “democrazia”, che significa prima di tutto apertura, verso gli altri, verso le idee degli altri, e delle altre persone.
D. - A fronte dell’inadeguatezza delle istituzioni, il popolo italiano reagì ben diversamente...
R. - Per fortuna, noi italiani non abbiamo ancora dimenticato di essere uno dei popoli migranti del mondo, tant’ è che esiste un’altra Italia al di fuori dei nostri confini nazionali. C’è stata almeno una parte del nostro Paese che non ha reagito nel modo in cui hanno reagito le istituzioni e la politica. Per cui, nonostante questa propaganda violentissima, che è ancora la propaganda di questi giorni - perché sono di questi giorni gli ultimi respingimenti - e che sfrutta i sentimenti peggiori di una parte della popolazione italiana, c'è per fortuna tutta un’altra parte dell’Italia - le persone, le famiglie, gli individui, le organizzazioni - che è stata capace di non chiudersi. È solo questo che ha salvato il nostro Paese dall’isolamento.
L'ex- premier libanese Hariri sulla prossima visita del Papa: con lui arriva un messaggio di pace
◊ La visita del Papa in Libano sarà una ventata di speranza e di pace “in un particolare periodo di turbolenze nella regione”. Lo ha detto l'ex-primo ministro libanese, Saad Hariri, figlio dell’ex premier Rafiq, assassinato nel 2005. A riferire le parole del premier è l’agenzia ufficiale Nna in vista del viaggio di Benedetto XVI, in programma dal 14 al 16 settembre. “Dove va il Papa – ha precisato – arriva un messaggio di affetto e di pace” e questo “è buono per il Libano, terra di una civiltà di convivenza, di uguaglianza nella diversità, di parità e libertà, dove non c’è posto per una minoranza o una maggioranza” Ricordando che la visita del Papa servirà anche per rfforzare i “rapporti tra il Libano e il Vaticano”, Saab Hariri si è detto convinto che l’evento “sarà un successo poiché porterà lo stesso messaggio sul quale si è costruito il Libano”. Qui – ha spiegato – "cristiani e musulmani hanno costruito insieme una cultura comune, una civiltà radicata, una convivenza nazionale”. Inoltre, ha concluso Hariri, la visita servirà “per sottolineare l'importanza dell'esperienza democratica libanese, rifugio sicuro per tutti i popoli della regione e speranza nella lotta per porre fine ad ogni oppressione e tirannia”.
Siria: raid aerei vicino l’Iraq, decine di vittime. Ribelli minacciano attacco agli aeroporti civili
◊ Ennesima giornata di sangue in Siria. Forti esplosioni in corso a Damasco, nei pressi di strutture militari. Si segnalano feriti. In precedenza l’esplosione di un’autobomba nella periferia della capitale ha provocato almeno 15 morti. Le autorità attribuiscono l’attentato a “gruppi terroristici armati”. Intanto, l’esercito fedele al presidente Assad sta bombardando la zona verso il confine dell’Iraq, dove ieri i ribelli hanno conquistato un’importante base della difesa aerea. Centrato un edificio residenziale ad Abu Kamal, testimoni riferiscono di almeno 33 vittime. Infine, è scattato ieri sera l’ultimatum di 72 ore lanciato dai ribelli che minacciano di attaccare gli aeroporti civili utilizzati dalle forze del regime come base per gli aerei da combattimento. Alle poche compagnie aeree ancora attive nel Paese è stato chiesto di sospendere tutti i voli dallo scalo della capitale e da quello di Aleppo. La settimana scorsa è stata quella più cruenta dalla rivolta con 1.600 morti tra cui numerosi bambini. Ad affermarlo è l’Unicef, precisando che gli sfollati hanno raggiunto quota 1,2 milioni. Nel Paese – secondo l’agenzia dell’Onu – è in corso una delle emergenze umanitarie più gravi degli ultimi decenni a livello mondiale.
Afghanistan: polizia uccide 15 civili al nord. Altre vittime in attacco a base militare Usa
◊ In Afghanistan, la polizia locale ha ucciso 15 civili nel corso di una sparatoria. L’episodio è avvenuto in un villaggio nella provincia settentrionale di Kunduz. A riportare la notizia sono i media di Kabul, precisando che la polizia locale è in realtà una una milizia costituita per contrastare il terrorismo. Secondo alcuni testimoni, all’origine dello scontro vi sarebbe l’uccisione di un ufficiale da parte degli abitanti del villaggio. E ieri i talebani hanno sferrato un duplice attacco kamikaze nella provincia di Wardak: il primo contro l’abitazione del governatore locale e il secondo, con un’autobotte, contro una base militare americana. Il bilancio è di 13 morti – 9 civili e quattro soldati afghani – e un’ottantina di feriti. Ingenti i danni alle strutture circostanti, tra cui una moschea un centinaio di negozi e decine di abitazioni.
Taiwan. Migliaia di persone ai funerali del cardinale Shan: ha dedicato la sua vita alla carità
◊ Migliaia di fedeli hanno partecipato ieri a Taipei, capitale della Repubblica di Cina (Taiwan), ai funerali del cardinale gesuita cinese Paul Shan Kuo-hsi, vescovo emerito di Kaohsiung, spentosi il 22 agosto scorso all’età di 88 anni dopo una lunga battaglia contro il cancro. Tra i presenti anche il capo di Stato taiwanese Ma Ying-jeou, come segno di apprezzamento per la sua opera spirituale e caritativa, e - in rappresentanza del Papa - mons. Savio Hon Tai-Fai, segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. Il vescovo di Kaohsiung, mons. Peter Liu Cheng-chung, durante le esequie da lui celebrate, ha letto il testamento del porporato in cui aveva chiesto funerali e sepoltura sobri. Per questo non c’erano fiori, ma solo crocifissi e candele. Il corpo del cardinale Shan è stato inumato in un cimitero cattolico locale. Durante i funerali il porporato è stato ricordato come un uomo che ha dedicato tutta la sua vita alla carità. In sua memoria è stata creata una Fondazione per continuare la sua opera a favore di poveri ed emarginati. Il cardinale gesuita, molto amato dai suoi fedeli, aveva lavorato molto per la riconciliazione della Chiesa in Cina e si era fortemente impegnato sul fronte dell’evangelizzazione e del dialogo interreligioso, con una forte attenzione alla formazione dei sacerdoti e di un laicato ben preparato. Ma grande è stata la sua attività sociale con molteplici iniziative a favore di poveri, malati, anziani, donne sfruttate, detenuti. Era intervenuto anche pubblicamente chiedendo al governo di Taiwan di ridurre il divario tra ricchi e poveri e di abolire la pena di morte. Negli ultimi anni aveva visitato tutte le diocesi dell’isola di Taiwan per offrire la sua testimonianza di malato terminale alla luce della fede, cercando di infondere nelle persone il coraggio di affrontare le sfide della vita. Il Papa - in un messaggio di cordoglio - manifestando la sua gratitudine a Dio per il ministero svolto dal cardinale Shan in tanti anni di servizio alla Chiesa, si unisce a quanti piangono la sua scomparsa, compresi suoi confratelli gesuiti, e affida “la sua anima sacerdotale alla misericordia infinita di Dio”. (A cura di Sergio Centofanti)
Angola. La stampa locale scrive: Dos Santos ha vinto le presidenziali
◊ In Angola, secondo la stampa locale, il partito del presidente uscente, José Eduardo Dos Santos, ha vinto le elezioni presidenziali di due giorni fa. Il Journal de Angola, considerato un quotidiano filo governativo, parla di una netta vittoria dell’Mpla. La formazione del presidente, al potere dal 1979, avrebbe riportato più del 74% dei voti sulla base del 72% delle schede scrutinate. Il suo maggior avversario, Isaias Samakuva, leader dell'Unita, avrebbe ottenuto solo il 17,8% dei voti. Dopo aver denunciato irregolarità nel processo elettorale, ieri Samakuva ha annunciato l’intenzione di impugnare il risultato.
La Libreria Editrice Vaticana a Pordenonelegge dal 19 al 24 settembre
◊ Anche quest’anno la Libreria Editrice Vaticana (Lev) sarà presente alla sesta edizione di Pordenonelegge, che si svolgerà dal 19 al 23 settembre. La notizia è stata comunicata durante una conferenza stampa che si è svolta sabato primo settembre a Venezia. Tra i relatori, don Giuseppe Costa, direttore della Lev e coordinatore scientifico dell’evento culturale, monsignor Giuseppe Scotti, segretario aggiunto del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e presidente del consiglio di amministrazione della Lev. Quattro i filoni chiave della presenza della Lev a Pordenone: l’anno della fede e il cinquantesimo del concilio Vaticano II, le ragioni dell’economia nella dottrina sociale della Chiesa, i padri dell’Europa alle radici dell’Unione europea e, infine, il ricordo dei Pontefici Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II. A Pordenone, inoltre, la Lev organizzerà una serie di incontri con letture, musica e approfondimenti sul tema "Ascoltare, leggere, crescere". Sono i tre verbi – spiegano gli organizzatori – che ci accompagnano sempre: “si tratta di imparare ad ‘ascoltare’ se stessi, il cammino della storia e quello della cristianità, di ‘leggere’, ovvero di cercare il confronto delle idee, per ‘crescere’, cioè arrivare a proporre nuove sintesi di pensiero”. (L.Z)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 246