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Sommario del 30/03/2012
Padre Cantalamessa: il credente non rinuncia alla propria razionalità ma la trascende
◊ Rientrato ieri da Cuba, Benedetto XVI ha ascoltato questa mattina la quarta ed ultima predica di Quaresima di padre Raniero Cantalamessa. Nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, in Vaticano, il predicatore della Casa Pontificia ha parlato della via alla conoscenza di Dio tracciata da Gregorio di Nissa, Padre della Chiesa Orientale vissuto nel IV secolo. Per incontrare Dio, ha spiegato il religioso cappuccino ricordando l’insegnamento del Nisseno, bisogna oltrepassare i confini della ragione. Il servizio di Tiziana Campisi:
“Chi si accosta a Dio deve credere che Egli è”: è la Sacra Scrittura, nella Lettera agli Ebrei, ad indicare in che modo avvicinarsi a Dio, ma è merito di Gregorio di Nissa l’aver spiegato che “la vera conoscenza e la visione di Dio consistono ‘nel vedere che Egli è invisibile’. Nella sua ultima predica di Quaresima, ricca di spunti di riflessione, padre Raniero Cantalamessa, attingendo agli scritti del Nisseno, ha ricordato che…
“… il passaggio dall’oscurità alla luce è la prima separazione dalle idee false ed erronee su Dio; l’intelligenza più attenta alle cose nascoste, conducendo l’anima attraverso le cose visibili alla realtà invisibile. Questa è come una nube che oscura tutto il sensibile e abitua l’anima alla contemplazione di quello che è nascosto; infine l’anima che ha camminato per queste vie verso le cose celesti, avendo lasciato le cose terrestri per quanto è possibile alla natura umana, penetra nel santuario della conoscenza divina (questa famosa theognosia) circondata da ogni parte dalla tenebra divina”.
Quindi il predicatore della Casa Pontificia ha spiegato che nella ricerca di Dio non è esclusa la ragione, “che non si è costretti a scegliere tra il seguire la fede e il seguire l’intelligenza”:
“Credendo, la persona umana non rinuncia alla propria razionalità, ma la trascende, che è una cosa totalmente diversa. Il credente dà fondo, per così dire, alle risorse della propria ragione, le permette di porre il suo atto più nobile, perché, come afferma Pascal, ‘l'atto supremo della ragione sta nel riconoscere che c'è un'infinità di cose che la sorpassano’”.
E’ questa la “dotta ignoranza”: il comprendere che non si può capire. E’ questa l’inconoscibilità di Dio, che tuttavia non umilia:
“Tale inconoscibilità è fatta per riempire l'uomo di entusiasmo e di gioia; ci dice che Dio è infinitamente più grande, più bello, più buono, di quanto riusciremo mai a pensare, e che tutto questo lo è per noi, perché la nostra gioia sia piena; perché non ci sfiori neppure il pensiero che potremmo annoiarci a passare l'eternità vicino a lui”.
Ma non è lo smarrimento ciò che avverte chi entra nel mistero di Dio, ha aggiunto padre Cantalamessa, piuttosto, come lo ha definito Gregorio, il “sentimento di una presenza”, oggi assimilabile al cosiddetto “sentimento del numinoso”, cioè il senso, misto di terrore e di attrazione, che coglie improvvisamente l’essere umano di fronte al manifestarsi del soprannaturale o del soprarazionale. Una presenza sempre più luminosa man mano che ci si purifica dal peccato e dalle passioni. E se il cammino dell’intelletto e dell’anima verso Dio sembra un difficile percorso, non bisogna dimenticare che “sul monte Calvario l’uomo Dio, Gesù di Nazareth, ha unito per sempre l’uomo a Dio”.
◊ In Messico, Benedetto XVI ha nominato Vescovo di Tepic Mons. Luis Artemio Flores Calzada, finora Vescovo di Valle de Chalco. Flores Calzada è nato a San Antonio Tultitlán, diocesi di Cuautitlán, il 28 aprile 1949. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso il Seminario maggiore di Durango e successivamente presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma, dove ha ottenuto la Licenza in Teologia dogmatica. Ha fatto quindi un corso di Sacra Scrittura a Gerusalemme e, di ritorno in patria, ha studiato Diritto canonico presso la Pontificia Università di Messico, conseguendo il Diploma. È stato ordinato sacerdote il 17 ottobre 1974 per la diocesi di Texcoco. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha ricoperto vari incarichi: Vicario parrocchiale, Parroco, Prefetto e Professore nel Seminario minore e maggiore, Giudice e Promotore di Giustizia presso il Tribunale diocesano e Vicario episcopale della II Vicaria di Texcoco. L’8 luglio 2003 è stato nominato primo Vescovo di Valle de Chalco, ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale l’8 settembre successivo. Nella Conferenza Episcopale Messicana è responsabile della Commissione Episcopale per la Pastorale della Comunicazione.
Il Papa in Messico e Cuba, il vero grande incontro: editoriale di padre Lombardi
◊ Tanti i commenti che ancora oggi appaiono sui media internazionali in riferimento al viaggio del Papa in Messico e Cuba. Una visita storica, l’hanno definita alcuni osservatori. Ma c’è anche chi ha criticato l’assenza di alcuni incontri. Sui significati di questo 23.mo viaggio apostolico internazionale del Pontificato di Benedetto XVI, ascoltiamo il nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:
Un incontro personale e diretto fra il Papa e i popoli del Messico e di Cuba, idealmente tutti i popoli ispanici dell’America Latina. Questo è certamente uno dei significati più importanti del viaggio appena concluso. Agli occhi delle centinaia di milioni di cattolici del continente americano un passo decisivo - oltre la partecipazione all’Assemblea di Aparecida del 2007 - per confermare e in certo senso equilibrare l’attenzione di questo pontificato nei loro confronti.
Un messaggio chiarissimo di incoraggiamento alla Chiesa nei due Paesi, un’esplicita richiesta di spazi più larghi di presenza e di libertà religiosa, non come tutela di privilegi, ma come possibilità di servizio, di contributo efficace per il bene di tutti, per la costruzione di una società più fraterna, più giusta, riconciliata e pacifica. Il Papa è il pastore della Chiesa cattolica e attraverso di essa e della sua vitalità passa anzitutto il servizio della fede alla vita dei popoli. Non per nulla, il cuore spirituale del viaggio lo abbiamo compreso vedendo Papa Benedetto pellegrino davanti alla Virgen de la Caridad del Cobre.
Ci sarà chi continuerà a dire che vi sono stati degli incontri mancati: la visita a Guadalupe, i dissidenti cubani, le vittime di Maciel… Il Papa non può sempre fare tutto ciò che vorrebbe nello spazio brevissimo di un viaggio, ma chi lo ascolta capisce il suo spirito e le sue intenzioni, chi lo segue sa la coerenza e il coraggio dei suoi messaggi. Il vero grande incontro, che comprende idealmente tutti gli incontri particolari, è avvenuto, ed è stato profondo, spontaneo, sincero. Quel servizio alla fiducia, alla speranza, che il Papa desiderava offrire.
Via Crucis con i detenuti a Rebibbia: atteso messaggio del Papa
◊ La Caritas diocesana di Roma organizza oggi pomeriggio una Via Crucis insieme ai detenuti del carcere di Rebibbia nell’ambito delle iniziative della Quaresima di Carità. Atteso un messaggio del Papa. Ce ne parla Davide Dionisi:
“Oggi sarai con me in paradiso”: è questo il tema scelto per la Via Crucis che si terrà oggi pomeriggio alle 16.30 nel Nuovo complesso di Rebibbia. La celebrazione verrà presieduta dal cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini, alla presenza del direttore dell’Istituto di pena di Via Majetti, Carmelo Cantone, del direttore della Caritas diocesana di Roma, mons. Enrico Feroci e di oltre trecento fedeli provenienti da diverse parrocchie della capitale. Tra loro anche i volontari della Caritas e i seminaristi che ogni giorno prestano il loro prezioso servizio nella Casa circondariale. “Sull’onda della visita del Santo Padre a Rebibbia, sono state tante le adesioni quest’anno” ha detto don Sandro Spriano, cappellano dell’Istituto di pena. “La nostra sarà una meditazione sul Paradiso e alla celebrazione prenderanno parte circa trecento detenuti” ha anticipato il sacerdote. La vicinanza del Papa con i detenuti non è mai venuta meno anche all’indomani della storica visita prima dello scorso Natale e a conferma di tale legame, Papa Benedetto XVI, anche per l’occasione di oggi pomeriggio, invierà un suo messaggio. La Via Crucis si svolgerà nella piazza antistante alla cappella del carcere intitolata a “Dio Padre nostro”. La croce verrà portata da 14 ospiti, mentre i commenti verranno affidati a tre detenuti, ai volontari, agli operatori penitenziari e agli scout. L’ultima stazione verrà commentata dal cardinale Vallini. Al termine della celebrazione verranno liberate tre tortore, quale gesto simbolico di pace.
Cortile dei Gentili a Palermo, uniti contro la mafia. Interviste a Pietro Grasso e mons. Cuttitta
◊ Dopo la conferenza introduttiva, tenuta ieri sera nel Duomo di Monreale dal cardinale Gianfranco Ravasi, il “Cortile dei Gentili” palermitano - centrato sulla “Cultura della legalità” - è entrato oggi nel vivo a Palazzo Steri, sede del Rettorato dell’università cittadina, con un confronto fra filosofi, sociologi e giuristi sul tema “Diritto dei deboli e diritto dei potenti”. Stasera la conclusione sul sagrato della Cattedrale, con un momento di testimonianze e spettacolo, alla presenza del cardinale Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo. Dal capoluogo siciliano il servizio del nostro inviato, Fabio Colagrande:
“Continuano, purtroppo, nell’esercizio del potere pubblico, illegalità e violazioni del diritto”. L’affermazione che apre i lavori, del rettore dell’Università di Palermo, Roberto Lagalla, rende subito la concretezza e la bruciante attualità dei temi del Cortile palermitano. Credenti e non credenti sono chiamati, oggi più che mai, a unire i loro sforzi in una lotta culturale per la legalità, e non possono – come ammoniva il Beato Giovanni Paolo II in terra siciliana, nel 1994 – “rimanere ripiegati su loro stessi”. La discussione della prima sessione, centrata sul tema Giustizia umana e giustizia divina, mette in evidenza le contraddizioni di una sub-cultura come quella mafiosa che non vuole essere giudicata dall’uomo e invoca il giudizio positivo di Dio, pretendendolo e – a volte purtroppo – ottenendolo da uomini della Chiesa, come spiega Alessandra Dino. Un abbraccio mortale, quello tra Chiesa e mafia, che il ‘Cortile’ palermitano stigmatizza e condanna senza appello, sottolineando la non disgiungibilità di giustizia divina e giustizia terrena. Una sintonia, spiega il filosofo francese Remi Brague, fondata sulla natura divina di un uomo “creato a immagine e somiglianza”. E al non credente, incapace di fondare sul trascendente un orizzonte più ampio di giustizia, resta l’appello del cardinal Martini – citato da Nando Dalla Chiesa – “la giustizia umana è impossibile ma non possiamo dirlo”, perché il disfattismo, di fronte a una sfida così cruciale, non è permesso neanche a chi non crede.
Dopo una sessione pomeridiana, dedicata alle “Condizioni per il dialogo interreligioso” – il “Cortile” si farà festa e incontro popolare, uscendo dall’Università per andare in piazza sul Sagrato della Cattedrale cittadina. Qui, il cardinale Romeo, il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso e i ragazzi dell’associazione anti-mafia ‘Addiopizzo’, testimonieranno la dimensione quotidiana dell’impegno e del dialogo per la legalità. Tutte le sessioni del “Cortile dei Gentili” palermitano si possono seguire in diretta, in modo interattivo, sul sito www.cortiledeigentili.com.
Sul significato di questa iniziativa del Cortile dei Gentili organizzata a Palermo, ascoltiamo la riflessione del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso:
R. – Intanto è importantissimo – secondo me – il luogo: Palermo. Palermo è sì, la sede originaria della mafia, ma è anche la sede dell’antimafia; Palermo è stata al centro, nel 2000, della firma, da parte di tutto il mondo, della Convenzione contro la criminalità organizzata. E questo grande bisogno di etica, questa rivolta morale - che oggi è così importante - è anche molto vicino alla posizione pastorale, religiosa, ecclesiale. Io penso che questo incontro possa dare grandi frutti, soprattutto perché abbiamo bisogno di sentire queste voci, questi consensi, per continuare nella nostra lotta, nella nostra repressione. Purtroppo, bisogna parlarne e c’è bisogno di continuare a parlarne, sempre di più, anche a costo di ribadire concetti già noti.
D. – La Chiesa dovrebbe impegnarsi ulteriormente, in tutte le sue forme, sul territorio, per combattere l’illegalità?
R. – Io, nella mia lunga esperienza professionale, ho avuto l’opportunità di interrogare tanti mafiosi. Uno di questi, che si era deciso a collaborare, confessava qualcosa come un centinaio di omicidi, e alla mia domanda come mai si professasse cattolico praticante, mi rispose in maniera disarmante: “Le giuro sulla testa dei miei figli, signor giudice, io non ho mai ucciso nessuno per un mio interesse personale”. Chiaramente, questa non può essere considerata una giustificazione. Questo annullamento dell’uomo mafioso, del soldato mafioso è qualcosa da psicoanalizzare, piuttosto che da giustificare. Però, deve darci l’esatta misura di una realtà difficile in cui operare. E allora lì la Chiesa deve far sì che il discorso del Vangelo sia portato in mezzo alla gente e che non si possa applicare il perdono in maniera assoluta, senza nessun paletto. E quindi, contro questa realtà noi dobbiamo reagire uniti, insieme alla Chiesa, con magistratura, forze di polizia, istituzioni e cittadini, tutti insieme, uniti per combattere questo fenomeno che – badiamo bene – è un fenomeno che toglie la libertà ai cittadini, che toglie la democrazia, che è un’ingiustizia, che è un’oppressione. Ancora oggi, tanta gente vive oppressa dal pizzo, dal racket; tanta gente è preda di violenza, di intimidazioni …
D. – Naturalmente, non può mancare la repressione…
R. – Assolutamente no. Quella è la base da cui partire. Anche perché dalla repressione nasce poi spesso la collaborazione, il pentimento. Abbiamo casi di pentimento veramente sentito, di persone che anche dopo vent’anni hanno avuto una crisi morale e hanno capito quanto avessero sbagliato. Queste situazioni dobbiamo valorizzarle; dobbiamo farle conoscere alla gente e far comprendere come, appunto, tutti insieme si può vincere. Ma la Chiesa dev’essere vicina e sempre più spesso deve far sentire questa sua vicinanza. (gf)
Partecipa all’incontro anche mons. Carmelo Cuttitta, vescovo ausiliare e vicario generale dell’arcidiocesi di Palermo. Ecco il suo commento:
R. – La legalità riguarda non solo Palermo. La ricerca e la cultura della legalità vanno costruite esattamente in tutto il mondo, a Palermo come a Milano o in tutte le altre città. Certo, non possiamo tacere che Palermo ha una sua storia: se è stata chiamata la capitale della mafia, è stata chiamata anche la capitale della lotta contro la mafia. L’approccio alla mafia fino agli anni dopo la guerra era un approccio completamente diverso. Possiamo dire che la Chiesa ha preso coscienza in modo particolare del fenomeno mafioso come fenomeno da osteggiare, da combattere, soprattutto come fenomeno che nulla ha a che fare con la fede e con il Vangelo, negli anni Settanta-Ottanta, e in modo particolare quando la Sicilia – e Palermo nello specifico – è stata colpita dalle uccisioni più gravi: il prefetto Dalla Chiesa, i giudici Falcone e Borsellino nel ’92, e nel ’93 don Pino Puglisi.
D. - E oggi, questo incontro nel Cortile dei Gentili a Palermo può essere un’occasione, anche, per rivalorizzare l’eredità lasciata da padre Pino Puglisi?
R. – Senza dubbio, perché don Pino Puglisi è stato un sacerdote palermitano che ha rifiutato con la sua vita, ed ha anche insegnato a rifiutare la cultura della illegalità. Pensiamo alla sua parrocchia a Brancaccio e pensiamo al lavoro che lui ha svolto nei tre anni di sua permanenza in quel territorio. La sua era una promozione della gente, una promozione culturale ma culturale nel senso più ampio del termine, cioè della vita stessa, della coltivazione dell’uomo. E per questa ragione lui ha scelto proprio le fasce più giovani, i bambini, i ragazzi, sapendo perfettamente che una personalità ormai strutturata più difficilmente riesce a cambiare. Io lo definirei un grande educatore delle coscienze, che poi in realtà è quello che il presbitero deve fare all’interno del popolo di Dio.
D. – Mons. Cutitta, questo Cortile quale simbolo può rappresentare anche per il prosieguo dell’attività pastorale della vostra arcidiocesi, la diocesi di Monreale, e un po’ di tutta la Chiesa siciliana?
R. – Se rimane soltanto una occasione, limitata anche nel tempo, a nulla serve; se invece riesce ad incidere in qualche modo nei ragazzi, nei bambini che in un modo o nell’altro sono stati coinvolti, se anche riuscisse a smuovere un po’ la sonnolenza delle popolazioni che qui vivono, e riuscisse a risvegliare il senso dell’appartenenza ad una cultura, che è quella siciliana - che è anche religiosa e senso della legalità e della capacità di vivere reciprocamente sullo stesso territorio con culture e religioni differenti - questo sarà sicuramente un grande vantaggio. (gf)
Gran Rabbinato d’Israele e Santa Sede: remissione dei debiti a singoli e famiglie
◊ La crisi ha rivelato ancora di più la grave carenza di componente etica nel pensiero economico: è quanto si legge nel comunicato congiunto pubblicato dopo la conclusione ieri della XI riunione della Commissione bilaterale delle delegazioni del Gran Rabbinato d’Israele e della Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’Ebraismo. Tema: “Prospettive religiose a proposito dell’attuale crisi finanziaria: considerazioni per un giusto ordine economico”. Il rabbino Shear-Yashuv Cohen è stato il moderatore della delegazione ebraica e il cardinale Peter Turkson moderatore della delegazione cattolica. Il servizio di Fausta Speranza:
“Benché molti fattori abbiano contribuito a causare la crisi finanziaria, alle sue radici sta una crisi di valori morali, nella quale il primato del possedere, riflesso in una cultura di avidità, ha oscurato il primato dell’essere”. E’ questo il cuore delle riflessioni. L’obiettivo ribadito è “un giusto ordine economico” al quale guardare con la consapevolezza che ogni ricchezza del mondo è stata “donata da Dio all’umanità per il bene comune”. “Nell’attività economica è venuto a mancare gravemente il valore della verità”. E’ una delle affermazioni forti del comunicato sottoscritto da ebrei e cattolici, che ribadisce valori fondamentali: “solidarietà e fraternità”, “onestà e trasparenza”. Per poi spingersi a domandare “una cultura del limite” che dovrebbe significare “un livello di autolimitazione e di modestia, uno spirito di servizio responsabile, un sistema etico di distribuzione di risorse e di priorità”. Si parla di “obblighi e responsabilità”. Innanzitutto “l’obbligo di garantire la soddisfazione di bisogni umani fondamentali, quali la protezione della vita, il sostentamento, il vestito, la casa, la salute, l’educazione e il lavoro”. E si dice chiaramente che l’attenzione deve essere maggiore nel caso di persone più deboli o nel caso di Stati con economie più deboli. A questo proposito, c’è un chiaro invito: “Così come la crisi ha richiesto una parziale remissione di debiti ai livelli nazionale e internazionale, altrettanto occorre fare nei confronti delle famiglie e dei singoli individui, per la loro riabilitazione economica.” Dunque si parla di valori ma anche di proposte concrete. Un’altra proposta concreta è in tema di formazione: “è necessario – si legge – che istituti e accademie di studi economici e di formazione socio-politica includano nei loro curricoli la formazione etica, analogamente a ciò che in anni recenti si è fatto nel campo dell’etica medica, e che consultazioni etiche siano anche incluse in rapporto alle decisioni che vengono prese a livello nazionale e internazionale”. Con una consapevolezza profonda: “le comunità religiose, oltre alla saggezza etica tratta dai loro patrimoni spirituali, sono parte integrante della società civile, che insieme con l’attività politica e sociale deve svolgere un ruolo centrale nell’assicurare la sussidiarietà necessaria per un giusto ordine sociale ed economico”.
Resta da dire che il rabbino Shear-Yashuv Cohen ha aperto la riunione ringraziando Dio per il cambiamento storico nelle relazioni cattolico-ebraiche a partire dal Concilio Vaticano II (1962-1965), e per l’istituzione della Commissione bilaterale tra il Gran Rabbinato d’Israele e la Santa Sede dopo la storica visita di Papa Giovanni Paolo II in Israele. Sono intervenuti il prof. Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell’Istituto per le Opere di Religione; il dottor Meir Tamari, già capo economista della Banca d’Israele; il prof. Stefano Zamagni, del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Bologna.
Mons. Balestrero: il vertice "Rio+20" promuova uno sviluppo sostenibile nel rispetto dell'uomo
◊ Si è tenuta ieri all’Università Lateranense la giornata di studio “Green Economy tra solidarietà e sostenibilità”, organizzata in vista della conferenza di Rio de Janeiro delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, che si svolgerà nel prossimo giugno. Ha aperto la giornata di studi mons. Ettore Balestrero, sottosegretario vaticano per i Rapporti con gli Stati. A lui Davide Maggiore ha chiesto quali siano gli auspici della Santa Sede per il prossimo vertice internazionale, noto come "Rio+20":
R. – L’auspicio della Santa Sede è che Rio+20 contribuisca alla ridefinizione di un nuovo modello di sviluppo che sia permeato e, direi, ancorato a quei principi condivisi dalla Dottrina sociale della Chiesa, che sono capisaldi della effettiva tutela della dignità umana, e quindi proprio per questo stanno alla base di uno sviluppo che presti effettiva attenzione alle persone più vulnerabili e garantisca il rispetto della centralità della persona umana. Penso, per esempio, alla promozione, alla condivisione del bene comune, all’accesso ai beni primari, incluso il bene essenziale che è l’educazione, alla destinazione universale non solo dei beni ma anche dei frutti dell’attività umana, alla equità intra-generazionale che è intimamente collegata al principio della giustizia sociale.
D. – La Chiesa potrebbe avere un ruolo di mediazione in questo senso?
R. – La Chiesa non deve condurre una battaglia politica – quella battaglia politica che necessariamente, inevitabilmente, si instaura per dare attuazione agli accordi sottoscritti per realizzare uno sviluppo sostenibile. La Chiesa deve inserirsi nell’ambito di questo impegno attraverso l’argomentazione razionale e contribuire al rafforzamento delle forze spirituali, delle forze culturali e anche di quelle politiche, senza le quali non si può procedere sul cammino dello sviluppo umano integrale.
D. – Quale contributo può portare la Chiesa a questo dibattito planetario, come richiamo non solo a principi ma anche ad esempi concreti?
R. – Credo che il principale contributo della Santa Sede e della Chiesa al processo di Rio+20 sia quello di incoraggiare l’inquadramento dello sviluppo sostenibile all’interno della cornice più ampia dello sviluppo umano integrale, perché così si favorisce una fruttuosa interazione delle componenti sociali, economiche, ambientali e anche etiche dello sviluppo. Quanto a esempi concreti di contributi, lo stesso Santo Padre e i dicasteri della Santa Sede – enti qualificati come, ad esempio, la Pontificia Accademia delle Scienze sociali – sono intervenuti su varie tematiche inerenti allo sviluppo sostenibile, ne hanno analizzato varie sfaccettature e hanno offerto un contributo che certamente è utile per la comunità internazionale. Ancora un altro esempio concreto: sul tetto dell’Aula Paolo VI e in altri punti dello Stato della Città del Vaticano sono stati collocati impianti fotovoltaici che garantiscono un minore impatto ambientale e una maggiore efficienza energetica della città del Vaticano.
D. – Per quanto riguarda il tema dell’ecologia, il Beato Giovanni Paolo II nella Centesimus annus ha ricordato l’esigenza anche di un’ecologia umana, ovvero la necessità di affrontare questo tema anche dal punto di vista spirituale, morale…
R. – Credo che Papa Benedetto XVI abbia contribuito in maniera significativa allo sviluppo di questo concetto, riprendendo proprio quanto Giovanni Paolo II ha affermato con il suo grande Magistero. Benedetto XVI ha ricordato che la fede nel Creatore è una parte essenziale del credo cristiano. La Chiesa, quindi, ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E nel farlo, difende e deve difendere non solo la terra, l’acqua, come doni della creazione appartenenti a tutti, ma deve proteggere anche l’uomo contro la distruzione di se stesso. E’ in questo senso che è necessaria un’ecologia dell’uomo intesa nel senso giusto. Quindi, la Chiesa parla della natura dell’uomo, dell’essere umano, e chiede che l’ordine della creazione venga rispettato. Si tratta della fede nel Creatore e dell’ascolto del linguaggio della creazione. Il Papa ci ricorda che disprezzare questo linguaggio della creazione sarebbe l’autodistruzione dell’uomo e in questo senso colloca il concetto di ecologia umana. (bf)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ L'importanza di chiamarsi Brics: in rilievo, nell'informazione internazionale, le economie emergenti che da New Delhi hanno lanciato la sfida di un nuovo ordine globale.
Realismo e pazienza: in cultura, Vicente Carcel Orti su Paolo VI e il rinnovamento dell'episcopato spagnolo.
Silvia Guidi su miracoli vietati e miracoli riconosciuti.
Non chiamiamoli romanzi: Giulia Galeotti sull'arte dello scrivere secondo Orhan Pamuk.
Nove opportunità per una nuova Italia: nell'informazione religiosa, la conclusione dei lavori, a Roma, del Consiglio permanente della Conferenza episcopale.
Il carcere serve per rialzarsi dopo essere caduti: nell'informazione vaticana, il messaggio del Papa in occasione della Via Crucis dei detenuti di Rebibbia.
Sulla visita di Benedetto XVI a Cuba, intervista di Mario Ponzi al cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum.
Per un ordine economico più giusto e responsabile: l'incontro della Commissione bilterale del Gran Rabbinato di Israele e della Santa Sede.
Stati Uniti: promessi 120 milioni a favore del Sahel contro la carestia
◊ Gli Stati Uniti hanno promesso altri 120 milioni di dollari in aiuti a favore del Sahel per fronteggiare la carestia che ha colpito la regione africana in seguito ad una prolungata siccità. Lo ha annunciato oggi il segretario di Stato Hillary Clinton, in risposta ai pressanti appelli del mondo umanitario, secondo i quali 13 milioni di persone rischiano di morire di fame. Eugenio Bonanata ha intervistato Enrico Casale, della rivista dei Gesuiti "Popoli":
R. - È chiaro che questi contributi non possono, da soli, risolvere la crisi che si è verificata in questa zona. Possono essere un valido aiuto, ma non sono la soluzione: se si affrontano queste crisi solamente con degli aiuti nel momento dell’emergenza, rischiamo che la crisi si ripeta quando nella regione, le condizioni torneranno a presentarsi.
D. - Quali sono le conseguenze della carestia sulle comunità locali?
R. - Sono conseguenze drammatiche, perché fondamentalmente queste popolazioni sono popolazioni nomadi, che fanno del bestiame la loro ragione d’essere. Il bestiame è alla base del sistema economico, degli scambi, dei prestiti, dei risparmi, ma è anche alla base della loro stessa struttura sociale: il lavoro, la salute, il prestigio, la stessa identità di queste etnie. È chiaro che la siccità mette a rischio questo sistema, uccidendo innanzitutto il bestiame sul quale si basa questa società. Non solo. Questo è aggravato anche da fattori esogeni, come l’innalzamento dei prezzi delle derrate agricole - che vengono fissati nelle maggiori piazze finanziarie e non in loco - e soprattutto dal fenomeno dell’acquisizione da parte di Paesi stranieri di terre, sottraendo in questo modo pascoli alle popolazioni.
D. - Ci sono Paesi africani che hanno raccolto questo appello alla solidarietà nei confronti del Corno d’Africa?
R. - Sì, esistono dei Paesi come il Sud Africa, che hanno aiutato economicamente, inviando anche dei tecnici attraverso delle organizzazioni internazionali, per sostenere queste popolazioni del Sahel. L’importante è che la solidarietà sia una solidarietà anche intra-africana e non solamente una solidarietà che proviene dall’esterno, affinché possa creare un maggiore consenso all’interno della stessa unione africana.
D. - Cosa dire dell’impegno della Fao, per esempio in Somalia?
R. - La Fao, da un lato, ha sostenuto gli allevatori aiutandoli a mantenere il loro bestiame e fornendo loro altri capi di bestiame. Dall’altro, ha aiutato le popolazioni offrendo loro dei buoni acquisto da spendere presso questi allevatori. Quindi, da un lato si è preservato il bestiame, dall’altro sono stati forniti i mezzi per usufruire da parte della popolazione di latte, carne e così via. Tutto questo, ha portato ad una ricrescita dell’economia locale in alcune aree della Somalia. (bi)
Tolosa: arrestati 20 islamisti radicali
◊ La polizia francese ha effettuato 19 arresti negli ambienti islamici radicali in varie città del Paese, in particolare a Tolosa, dopo la morte del terrorista Mohamed Merah. Nel corso delle retate sono state sequestrate anche armi di vario tipo. E ieri, tra polemiche e incertezze, i funerali del Killer sepolto vicino Tolosa, dopo il no dell’Algeria al rimpatrio della salma. Il servizio di Cecilia Seppia:
A una settimana dalla morte del terrorista Mohamed Merah, il giovane di origine maghrebina che ha ucciso a sangue freddo sette persone in tre attentati, la polizia francese ha arrestato oggi una ventina di esponenti del movimento radicale islamico. La maggior parte dei fermi proprio a Tolosa, ma anche a Marsiglia e Nizza, con il sequestro di armi e fucili kalashnikov. Tra questa operazione, coordinata dalla Direzione centrale dei servizi di intelligence e l’indagine sui delitti commessi da Merah, potrebbero non esserci collegamenti diretti, spiegano gli inquirenti, ma il capo dell’Eliseo Sarkozy ha assicurato che l’obiettivo di questi blitz è lo “smantellamento di organizzazioni terroristiche e della rete jihadista”. E mentre spunta un altro complice di Merah, oltre al fratello, già in carcere, tra forti polemiche e incertezze, si sono svolti ieri i funerali del Killer sepolto vicino Tolosa, dopo il rifiuto dell’Algeria al rimpatrio della salma. “Dobbiamo comprendere - ha osservato Sarkozy - che il trauma che ha vissuto il nostro Paese ed è stato un po’ come il trauma che negli Stati Uniti e a New York seguì gli attacchi dell’11 settembre”.
Crisi: sbloccare il credito per uscire dalla recessione e ridare fiducia
◊ Una recessione implacabile quella che si è abbattuta sull’Italia con un ulteriore calo del Pil a -1,6% nel primo trimestre del 2012. Una situazione rispecchiata dalla debole produzione industriale e dalla sfiducia che domina nelle famiglie. Nonostante la stretta creditizia e i casi estremi dei suicidi degli imprenditori costretti con le spalle al muro, tutti i vertici istituzionali, dal premier al capo dello Stato, premono sulla necessità di procedere con le riforme strutturali e la severità fiscale. Stefano Leszczynski ha intervistato Luigi Paganetto, presidente della Fondazione economia dell’Università di Tor Vergata:
R. – Intanto, bisogna notare che noi siamo in recessione ma altri Paesi europei non lo sono. Questo ci deve mettere sull’avviso rispetto all’esigenza di prendere strade con sostegni forti all’economia, perché credo che a questo punto sia necessario parlare di concrete iniziative per spingere verso la strada dello sviluppo. Credo che questo sia molto importante e ritengo pure che sia preoccupante l’idea che le aspettative siano a ribasso: cioè, tutti si aspettano a questo punto un altro anno di recessione e non è detto che la svolta sia dietro l’angolo. Ecco perché bisogna invertire le previsioni, perché altrimenti rischiamo di ritardare una ripresa che tutti ormai aspettano da tempo.
D. – Quanto è importante il credito per ridare fiducia a chi poi deve far ripartire l’economia?
R. – Credo sia particolarmente importante. Direi che è più importante che parlare di articolo 18. Se è vero che il credito è l’alimento dello sviluppo, nel momento stesso in cui ci sono difficoltà del sistema bancario – che ha avuto le sue conseguenze rispetto a una crisi che ha investito tutto il sistema finanziario internazionale. In questo momento, bisogna utilizzare al meglio quella provvidenziale forma di sostegno che è venuta dall’Europa – dalla Banca centrale europea guidata da Mario Draghi, con l’abbassamento dei tassi all1% – in una dimensione tale che se pure non la si usasse tutta per fare credito alle imprese e alle famiglie, certamente una parte importante potrebbe essere ad esse dedicata e in questo momento consentirebbe una spinta importante.
D. – Fino all’anno scorso si diceva: gli imprenditori e le imprese non fanno abbastanza per rilanciare l’economia. Oggi, il dito è puntato contro le banche che fermano il credito alle imprese. Nel frattempo nel nordest arriviamo a casi drammatici di suicidi tra gli imprenditori che non riescono a fare andare avanti le aziende…
R. – In molti casi, è importante un’attenzione mirata riguardo il territorio da parte del sistema bancario. Il sistema bancario italiano ha sempre avuto una caratteristica che l’ha reso distinguibile: essere cioè molto presente sul territorio, seguendo il settore delle imprese passo passo e conoscendo le situazioni di ciascuno. Questo è un po’ cambiato quando ci sono state le aggregazioni. Tante banche si sono messe insieme hanno fatto dei grandi gruppi bancari che naturalmente hanno i loro vantaggi, in termini di presenza internazionale, ma poi finiscono per ridurre il contatto con il territorio e probabilmente se riuscissimo a riprendere questo contatto ci potrebbe essere una quantità di informazioni in più che possano consentire – quando, caso per caso, ci sia la possibilità di farlo -– di sostenere le imprese che magari si possono riprendere. Io credo che questo sia molto importante in questo momento. (bf)
Appello del Cir all'Europa: porre fine alle tragedie di immigrati nel Mediterraneo
◊ Sono la risposta operativa ai trafficanti di persone e alle politiche di respingimento. Si tratta di raccomandazioni politiche contenute in un Rapporto presentato dal Consiglio italiano rifugiati (Cir), per promuovere vie d’accesso alla protezione in favore di richiedenti asilo e rifugiati. L’intento del Cir è di favorire l’introduzione di misure che consentano di raggiungere l’Unione Europea in modo protetto e regolare. Proposte che possano dare una possibilità diversa a chi fugge da guerre e persecuzioni, rispetto a quella di pagare criminali o attraversare il mare rischiando la vita. Il documento verrà presentato alle istituzioni europee e, in seconda battuta, ai singoli Stati membri. Tra le priorità: ovviare, con un visto specifico, al punto che obbliga il richiedente asilo a formulare la domanda solo quando fisicamente presente nel territorio di un paese dell’Unione. Francesca Sabatinelli ha intervistato Christopher Hein, direttore del Cir:
R. - La questione è di aprire almeno un canale per un ingresso regolare e protetto di un certo numero di persone, che hanno bisogno di avere protezione in Europa e che attualmente non soltanto sono costrette a pagare i trafficanti ma anche a rischiare la vita. Sappiamo purtroppo dalle statistiche del 2011 che il 5% di chi ha lasciato la Libia per arrivare a Lampedusa, in Sicilia, o a Malta, non è mai arrivato perché è naufragato e quindi disperso in mare.
D. - Avete fatto oltre cento interviste ad addetti ai lavori per poi elaborare queste proposte. Quali sono le più importanti?
R. - Noi presentiamo un piano di misure che possono essere adottate immediatamente, quindi senza un cambio della normativa in vigore, per poi essere inserite in un percorso a lungo termine che porterà verso una normativa vincolante per gli Stati membri. In un primo momento, parliamo di un uso flessibile dell’uso dei visti di ingresso. Pensiamo che, effettivamente, la discrezionalità che oggi hanno le ambasciate nel rilasciare un visto debba essere regolata da direttive, da indicazioni date in certi momenti, in certe circostanze, circa la facoltà di rilasciare un visto per motivi di protezione. L’Italia lo ha fatto in alcuni casi – come ad esempio in Iran – la Francia lo sta facendo in questo momento in favore di persone che sono a rischio di vita e di tortura in Siria. Quindi, ci sono precedenti di questo tipo. Però sono precedenti di assoluta volontarietà, senza alcuna armonizzazione di questa prassi tra gli Stati membri, e alla fine il numero dei beneficiari è troppo modesto. Questo è il succo della questione: anticipare come opzione la possibilità di presentare una richiesta di protezione, ancor prima di essere arrivato fisicamente. Questo comincia a livello dei singoli Stati. Poi però bisogna metterlo a regime per l’Unione Europea perché i singoli Stati diranno: “Perché proprio tutti noi?” Deve essere una cosa condivisa con una solidarietà all’interno di tutti gli Stati dell’Unione.
D. – Quegli stessi Stati dell’Unione che hanno adottato, nel tempo, politiche sempre più restrittive. Forse anche a causa della grave crisi economica che c’è in questo momento, non sembra che questi Stati siano intenzionati ad ammorbidire le loro posizioni nei confronti dei rifugiati o richiedenti asilo…
R. - In 25 anni, abbiamo fatto, o è stato fatto, un grande sforzo per edificare una fortezza, praticamente un muro invisibile, all’interno dell’Unione Europea, rendendo impossibile l’entrata alla maggior parte delle persone e quindi ottenere in modo regolare un visto. È logico anche dire: “Ok, questa fortezza ormai esiste non facciamoci illusioni che venga abbattuta così”. Però, ogni fortezza ha il suo ponte di ingresso e questi ponti di ingresso vanno costruiti. Penso sia, da una parte, una questione di buon senso e, dall’altra – e lo voglio sottolineare – una questione di costi, perché tutto il denaro investito in questi meccanismi di sorveglianza, di controllo che sono stati istituiti, almeno in parte sarebbe meglio dirottarlo verso misure positive piuttosto che repressive. (bi)
Ganji Reza, giornalista e rifugiato iraniano, è in Italia da tre anni. E’ arrivato grazie a un visto turistico concessogli dall’ambasciata italiana a Teheran. Poco prima di partire, era il 2009, era stato arrestato mentre conduceva una trasmissione in diretta per una web tv vicina al candidato riformista Mousavi:
R. – (parole in persiano)...
Era una situazione molto confusa, e mi sentivo in grande pericolo, perché in continuazione mi arrivavano notizie di colleghi arrestati, torturati… Non pensavo nemmeno al mio futuro lavorativo, a cosa mi sarebbe potuto accadere: in quel momento, volevo solo salvare la mia vita. E’ sempre difficile quando poi ad un certo punto scegli di abbandonare il tuo Paese ed andare via.
D. – Lei è venuto in Italia con un visto turistico. Però, ci sono molti dei suoi colleghi che sono rimasti in Iran e che non riescono a partire …
R. – (parole in persiano)...
Praticamente ci sono poche possibilità; sostanzialmente, sono due. Una è quella di decidere di lasciare il Paese arrivando nei Paesi più vicini attraversando i confini in maniera illegale: la seconda “possibilità” è quella di restare in Iran, perché non c’è altra possibilità oppure perché si è scelto di rimanere. Spesso, però, queste persone sono state arrestate, torturate e condannate per avere svolto lavoro di giornalista e per avere informato la società di quello che stava accadendo.
D. – Proprio per la sua esperienza, lei è testimone di quanto si renda sempre più necessario che l’Europa faciliti le pratiche di ingresso per i richiedenti asilo e protezione umanitaria …
R. – (parole in persiano)...
E’ vero: mi sento un testimone, anche perché da quando mi trovo in Italia ho conosciuto tantissime persone che si sono trovate nella mia situazione eppure non hanno avuto la possibilità di uscire dal Paese con un visto di protezione, ma hanno dovuto intraprendere altre strade, molto più pericolose e sostanzialmente non legali. Anche loro avrebbero dovuto avere la possibilità che ho avuto io, in quel momento. Penso che se una persona, nel momento in cui si sente in pericolo, riesce ad uscire dal Paese in maniera legale, senza dover uscire illegalmente, avrà in futuro anche maggiore possibilità di tornare nel proprio Paese, magari quando la situazione è meno pericolosa. Invece, chi esce illegalmente rimane segnato. E questo sarebbe un bene anche per l’Europa stessa: se i rifugiati, i richiedenti asilo politico, potessero risolvere il problema, un giorno, e tornare nel proprio Paese a continuare la loro vita, questo sarebbe un bene anche per la comunità europea. (gf)
Mons. Crociata: siano tutti, e non solo alcuni, a pagare il costo del necessario rigore
◊ I vescovi esprimono grande preoccupazione per la crisi e ribadiscono che, nella riunione del Consiglio episcopale, che si è chiusa oggi a Roma, è emersa “sostanziale unità” su questo tema. Nel presentare questa mattina il comunicato finale, sil egretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, ha annunciato che la prossima Settimana Sociale dei Cattolici si terrà a Torino nell’autunno del 2013. Alessandro Guarasci:
Serve uno sforzo da parte di tutti, un’”equa distribuzione delle rinunce”, per evitare che il Paese collassi. Il tema dell’occupazione è “complesso” dice mons. Crociata, e bisogna fare attenzione a chi esce dal mercato del lavoro, ma anche a chi entra, dunque con un occhio particolare ai giovani:
“Il rigore è necessario perché altrimenti non si supera la crisi, ma l'equità pure è necessaria perché non possono essere soltanto alcuni a pagare il costo del necessario rigore. Allora ci vuole uno sforzo da parte di tutte le realtà, di tutte le istituzioni e diciamo pure anche da parte di tutti i cittadini, proprio a tutti i livelli. A me sembra che il Paese al di là di alcune accentuazioni, esasperazioni, nel suo insieme comprenda questo”.
Mons. Crociata ha messo in luce come non si possa dare "avallo a chi non vuole cambiare nulla e vuole che le cose restino sempre così". D'altronde, la società italiana sta attraversando una vera metamorfosi: visione utilitaristica, allergia alle regole, individualismo esasperato, perdita dell’orizzonte del prossimo. Insomma, serve anche una ripresa morale per uscire dalla crisi:
“Ci vuole fiducia e coraggio per affrontare anche una crisi, un travaglio di tipo economico. E’ un fattore non secondario in un momento come questo”.
La Chiesa è presente sul territorio con le strutture a sostegno dei più deboli, con i suoi seimila oratori, col "Prestito della Speranza" che aiuta sempre più famiglie. Ma un cambiamento di mentalità da parte di ampi strati della società può avvenire anche attraverso la fede. Per questo, ha detto mons. Crociata “bisogna rendere più produttive le implicazioni culturali della fede”.
◊ Si è svolto ieri presso la Pontificia Università Lateranense il terzo incontro del ciclo “Rileggere il Concilio”. Tema dell’appuntamento è stato il Decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio. Sulle radici storiche e spirituali del documento, Davide Maggiore ha intervistato il prof. Lubomir Zak, vicedecano della facoltà di Teologia della Lateranense:
R. – Nelle radici di questo documento stanno sguardi profetici di molti pionieri dell’ecumenismo cattolico. Voglio citare Max Josef Metzger, fondatore della Fraternità interconfessionale “Una Sancta”, Yves Congar e il vescovo tedesco Jaeger, il quale con il vescovo evangelico Staehlin, nel 1946, ha già organizzato gruppi di confronto ecumenico. Poi ovviamente, la prassi della preghiera, la preghiera per l’unità dei cristiani – la quale è stata accettata anche da numerosi gruppi cattolici – il Decreto conciliare Unitatis Redintegratio, là dove si dice che la Chiesa riconosce che è stato lo Spirito all’opera, è anche una sfida, come per dire: dobbiamo essere sempre attenti a riconoscere questo soffio dello Spirito nella storia.
D. – “Tutti voi siete uno in Cristo Gesù”, dice la Lettera ai Galati e ripete il decreto Unitatis Redintegratio. Quale senso assume questa citazione biblica nell’insieme del Decreto?
R. – Questa apertura che vede già tutti uniti, ha portato i Padri del Concilio a dichiarare che, per quanto riguarda l’ordine della salvezza, la questione per cui un non cattolico si può salvare o no – penso ai non cattolici di altre denominazioni cristiane – la risposta è univoca: certamente. Anche le altre Chiese, comunità ecclesiali sono strumenti di salvezza. Quindi, da questo punto di vista, il Decreto fa un passo in avanti, però lo sguardo sulle realtà ecclesiali non cattoliche è differenziato. La spinta del Decreto è quella di far emergere sempre di più visibilmente quell’unità la quale – nell’ordine della salvezza – è già data.
D. – Senza dubbio, l’ecumenismo può essere definito uno dei frutti più fecondi del Concilio…
R. – Con l’attuazione del Vaticano II, iniziano i dialoghi bilaterali tra la Chiesa cattolica romana e le altre Chiese o comunità ecclesiali: si sta diramando una rete di dialogo molto fitta, che continua fino ad ora e che ha certamente portato alla reciproca conoscenza. Ha aiutato anche a chiarire alcuni problemi: se non li ha risolti, per lo meno il dialogo è riuscito a tematizzarli e focalizzarli. Si sono creati così gruppi di lavoro per illuminare ancora di più quelle differenze che in questo momento sono effettivamente per noi molto dolorose. Ovviamente, però – come è stato anche detto nell’Unitatis Redintegratio – l’ecumenismo è un movimento. Noi non sappiamo esattamente quali saranno le tappe future: possiamo soltanto sperare che saremo in grado di riconoscere quali sono i passi giusti, per essere attivi protagonisti di questo movimento, che è davvero connesso con la questione della credibilità della nostra testimonianza cristiana.
D. – Rivolgendosi al movimento ecumenico dei fedeli, il decreto Unitatis Redintegratio fa un’esortazione a tutti i cattolici, perché si impegnino al fine dell’unità. Come si può essere ancora oggi, personalmente, strumenti di ecumenismo?
R. – Prima di tutto, è una questione di mentalità, che ha a che fare anche con gli atteggiamenti. Lo sguardo con il quale io guardo l’altro: quindi, è una educazione al dialogo. Questo penso che lo possiamo vivere tutti. (cp)
Capire il male per scegliere il bene: concluso il ciclo dei "Dialoghi in cattedrale"
◊ Considerare il male dall'ottica dell’amore di Cristo, perché soltanto Lui ci conduce oltre, e ci invita a rivolgere il nostro desiderio al bene. Su questo hanno riflettuto ieri sera, nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze e lo psichiatra Vittorino Andreoli, nell’ultimo incontro dei Dialoghi in Cattedrale, incentrato su "La proposta educativa di fronte al problema del male". Il commento del cardinale Betori nel servizio di Marina Tomarro:
"Bisogna innanzitutto prendere atto che la cultura nella quale viviamo ha reso molto oscuro il confine tra bene e male: vengono a mancare, oggi, quei criteri oggettivi che permettono appunto una delimitazione condivisa di queste due realtà, così che ognuno sposta il confine. Ciò che va ad emergere sono i due punti estremi, che però non assumono più - nel giovane soprattutto – la connotazione del bene e del male, quanto piuttosto del piacere e dell’orrore. Questa è una costatazione negativa, al quale dobbiamo reagire però con la proposta di Gesù: non partire dalle definizioni ma partire da una esperienza concreta di incontro con il bene, che è Lui stesso, e dalla capacità di amare il bene.
E il cardinale Betori, nel suo intervento, ha detto che uno dei modi di contrastare il male è proprio quello di testimoniare sempre la verità e avere il coraggio di lottare per essa anche quando il mondo la rifiuta:
"Con questo direi che il Santo Padre, Benedetto XVI, ci è molto di aiuto, proprio nel momento in cui riconduce al problema della verità e, ahimè, del suo contrario che oggi è il relativismo, quello che è la radice delle problematiche della cultura contemporanea. Una verità, per altro, da riconquistare in quella prospettiva personalistica con cui Gesù dice di se stesso: 'Io sono la via, la verità e la vita'”.
E il porporato ha concluso invitando i presenti a non avere mai paura del male e di affidarsi a Dio padre buono che ci aiuta nelle difficoltà:
"E’ il volto che Gesù ci ha dato di Dio e così ci insegna a chiamarlo nella preghiera. Quindi, è proprio guardando Gesù e lasciandoci custodire - indicare una strada da Lui - che possiamo scoprire il vero volto di Dio che, appunto, non è solo Colui che ci genera ma Colui che ci educa, ci perdona e ci riaccoglie in ogni momento della nostra vita".
All’incontro era presente anche lo psichiatra, Vittorino Andreoli, che ha spiegato come il male sia legato al destino dell’uomo e in molti casi, quindi, non è evitabile. Ma il modo migliore per contrastarlo e vincerlo, ha proseguito, è quello di educare le nuove generazioni al bene e alla speranza, perché solo quella è la giusta cura contro la paura e l’insicurezza del futuro. (cp)
Nei cinema "I colori della Passione", film ispirato a un quadro di Bruegel
◊ Sugli schermi italiani da oggi “I colori della Passione”, un film in cui il regista polacco Lech Majewski, famoso nel campo della video arte, fa prendere vita al dipinto “La salita al Calvario” di Bruegel, mettendone in luce la ricchezza dei simboli e dei significati teologici. Un’esperienza visiva profonda e indimenticabile. Il servizio di Luca Pellegrini:
Il quadro si anima. Lo spettatore entra in un epico capolavoro della pittura fiamminga, “La salita al Calvario” di Pieter Bruegel il Vecchio, che ambienta il sacrificio di Gesù nelle Fiandre del XVI secolo. Le figure, centinaia, che popolano il dipinto raccontano la loro storia – di povertà, di dolore, di vita – cercando di dare ragione del perché il pittore li ha fissati per sempre sulla sua tela, disposti a corona attorno al suo cuore: Cristo piegato a terra sotto il peso della Croce. Lech Majewski ci fa entrare in questo brulichio di personaggi anonimi con inimmaginabile ricchezza cromatica, una suggestione che rapisce. Abbiamo chiesto all’artista e regista che cosa l’ha maggiormente affascinato di questo quadro:
“First of all, it’s a phantastic painting…
Prima di tutto, è un quadro fantastico. Se lo guardi, ti rendi conto che è un capolavoro: i colori, la gente, l’atmosfera… Bruegel è stato anche un ottimo compositore, per il modo in cui dispone gli oggetti ed è anche un grande psicologo per come riesce a coinvolgerti nell’ammirare quello che sta accadendo nel quadro: sembra che i suoi soggetti, le persone, non si fermino davanti a te, sono profondamente immersi nel loro mondo. Ma poi, quando riesce a catturarti, a coinvolgerti, i tuoi occhi iniziano a viaggiare: lui è un grande cantastorie. Poi, inizi a scoprire il linguaggio simbolico che usa: infatti, lui nasconde molti significati e questo – io penso – lo rende diverso da chiunque altro. Credo che sia il più grande filosofo tra i pittori”.
Sotto la mole degli eventi, dice il pittore interpretato da Rutger Hauer, mentre il ruolo di Maria è sostenuto da Charlotte Rampling, “il nostro Salvatore è stato macinato come grano senza pietà”. Bruegel diventa, quindi, anche un filosofo e un teologo:
“Because of the way he treats his main subject like in the way to Calvary…
Proprio per il modo in cui lui gestisce il suo personaggio principale. Ad esempio, nella Via Crucis, tu non vedi subito Gesù Cristo che porta la croce, perché è distante, dietro alla folla. La sofferenza di Cristo molto spesso è presentata in primo piano, perché Lui è il personaggio più importante nel dipinto. Non così in Bruegel: egli sposta Cristo nel sottofondo e questa è una grande verità in avvenimenti di questo genere. Bruegel dice: se nella nostra vita accade qualcosa di importante, noi non lo vediamo, perché non vediamo al di là del nostro naso. Questo è il suo sorprendente messaggio. Egli ci dice: anche se sei giù, se il tuo mondo fisico crolla, se sei a terra, quando stai per essere cancellato dalla faccia della terra, questo ancora non significa che tu sia morto”.
Pensa dunque che l’arte possa esprimere concetti teologici?
“I think any important art has to have a theological concept. …
Credo che ogni arte importante debba fondarsi su un concetto teologico. Non c’è arte senza di esso. Sarebbe un’arte tronca, o lobotomizzata. Quale sia il tuo senso di gioia per il dubbio, questa è un’altra faccenda. Ma non si può vivere senza, per così dire”. (gf)
Il cardinale Ouellet sul viaggio del Papa: a Cuba c'è una primavera della fede
◊ “La fede è la chiave per la riconciliazione di tutti i cubani”. Lo ha detto ieri il cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, commentando su Zenit il recente viaggio del Papa nell’isola di Cuba. Per il porporato, che è anche prefetto della Congregazione per i Vescovi, la visita di Benedetto XVI è stata un messaggio al mondo intero, che mostra quanto la Chiesa cattolica sia al cuore dell’identità spirituale e culturale del continente. Il cardinale Ouellet ha menzionato anche i cambiamenti in atto nel Paese Caraibico. “A Cuba – ha ribadito – c’è un’apertura alla Chiesa cattolica, all’opera di carità, ma soprattutto c’è una primavera della fede e attraverso la fede è importante che i cubani lavorino veramente insieme, guardino davanti e rimodellino la loro identità attingendo dalla tradizione della Chiesa cattolica, che è anche parte di questa cultura”. Il presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina ha anche aggiunto che gli abitanti della regione devono essere confortati proprio dalla fede. “Si confrontano con problemi difficili – povertà, violenza, sfide per le famiglie – e così il Papa li ha esortati a rivolgersi a Dio e a chiedere la purificazione del cuore”. “È un messaggio straordinario – ha concluso il cardinale – il cuore di Cristo non è un cuore per la dominazione, è per il servizio, è per il vero amore e la solidarietà”. (C.S.)
Siria: cristiani nel mirino di bande armate islamiste
◊ “Bande armate islamiste che inquinano l’Esercito di Liberazione Siriano, hanno preso di mira alcuni fedeli cristiani nel conflitto in corso in Siria”: è quanto dicono diverse fonti di Fides nella comunità cristiana siriana, di varie confessioni. Nonostante le assicurazioni da parte del Consiglio rivoluzionario di Homs e del Consiglio nazionale siriano sul fatto che “non sia in corso una guerra confessionale verso i cristiani”, giungono a Fides storie e testimonianze allarmanti che mostrano come i gruppi islamisti, salafiti e wahabiti, cerchino di impadronirsi o di strumentalizzare l’opposizione. Alcune famiglie cristiane confermano inoltre di essere state cacciate da Homs perché “considerate vicine al regime”. Oltre 10 mila cristiani sono fuggiti dalla cittadina di Kusayr, al confine con il Libano, in seguito alle pressioni di gruppi islamisti sunniti, dice a Fides un sacerdote locale, secondo il quale dopo i primi mesi di combattimenti, all’esercito dell’opposizione “si sono unite bande armate di islamisti, mercenari, militanti sunniti libanesi”. I cristiani che non vogliono unirsi alla sollevazione popolare sono sempre più emarginati e poi “considerati nemici” della rivoluzione. Non solo. Le bande islamiste hanno cacciato dal quartiere Hamidiya di Homs dei cristiani dichiaratisi favorevoli all’opposizione come racconta una fonte di Fides, i militanti hanno fatto irruzione nella loro casa minacciandoli di consegnare tutti i loro beni all’Islam pena l’uccisione. Intanto, molte abitazioni, strade, edifici nel quartiere cristiano di Homs sono attualmente disseminati di mine e di esplosivi, per impedire un’eventuale avanzata dell’esercito regolare. La settimana scorsa un rappresentante della comunità siro-cattolica ha cercato di incontrare membri dell’esercito siriano di liberazione per chiedere di salvare un patrimonio storico e culturale (edifici storici e luoghi di culto) che da secoli testimonia le tracce della fede cristiana in città. (C.S.)
Honduras: la mediazione del vescovo riporta la calma nel carcere di Sula
◊ Ancora una rivolta in un carcere in Honduras, con la morte di 13 detenuti e lo scoppio di un incendio: è avvenuto a Sula, città industriale nel nord del Paese, dove i prigionieri armati si sono barricati e hanno impedito l’accesso perfino ai vigili del fuoco e alla polizia. Il vescovo ausiliare della diocesi di San Pedro Sula, Romulo Emiliani, è giunto sul posto per negoziare, come hanno chiesto gli stessi carcerati. “Le autorità – ha detto – conoscono bene questa situazione e non sono interessate alle prigioni, che di fatto sono come una bomba a orologeria pronta ad esplodere”. Il governo, tramite il segretario della Sicurezza, Pompeo Bonilla, ha confermato solo la cifra di 13 morti, senza specificare le cause e senza garantire nulla, mentre il ritorno della calma nella prigione – secondo quanto riporta l’Agenzia Fides – è stato possibile grazie all’intervento del vescovo, che ha mediato con i detenuti per porre fine al conflitto interno. “Sono grato a Dio – ha dichiarato mons. Emiliani – perché è stato come un miracolo, visto che la situazione era sull’orlo del caos totale”. Quindi, ha aggiunto che a tempo opportuno verrà rilasciata ufficialmente la lista delle persone che purtroppo sono morte: “Non possiamo anticipare nomi – ha dichiarato – poiché in questi momenti si sta facendo l’appello dei 2.400 detenuti, in un luogo che è fatto per ospitare solo 800 persone”. Di qui, la denuncia del sovraffollamento, piaga che affligge gran parte degli istituti di pena nel Sudamerica, della carenza di acqua e di adeguati servizi igienici. “C’è molta tensione e preoccupazione – ha concluso il presule – fra la popolazione e tra i parenti dei detenuti”, che hanno immediatamente ricordato la tragedia del 14 febbraio nel carcere di Comayagua, dove un incendio ha ucciso più di 300 prigionieri che sono stati confinati in vari settori di questo carcere. (C.S)
L'8 per mille alla Chiesa cattolica anche per sostenere opere di carità in Terra Santa
◊ “C’è bisogno di far capire agli italiani quanto sia importante la ricaduta dell’8x1000 nel mondo e nello specifico, in Terra Santa. Basta venire qui e vedere quanto bene fanno questi fondi”. Così parla all’agenzia Sir, Matteo Calabresi, responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica della Cei, in riferimento al suo viaggio intrapreso con un gruppo di giornalisti della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc). Il fine era quello di visitare alcuni progetti finanziati anche dalla Conferenza episcopale italiana, grazie ai fondi dell’8x1000, visita che si conclude oggi a Gerusalemme. “Vogliamo far conoscere questi progetti agli italiani e stiamo pensando, per il prossimo anno, a reportage sulle opere in Terra Santa per ribadire l’importanza del sostegno alla Chiesa cattolica, necessario a proseguirle”, spiega ancora Calabresi. A fargli da eco, le parole di mons. Rodolfo Cetoloni, vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, in questi giorni in pellegrinaggio in Terra Santa. “È necessario che all’interno delle chiese, delle diocesi, delle nostre parrocchie ci siano persone che abbiano una conoscenza più diretta della Terra Santa”. Il prelato, da anni impegnato in iniziative solidali per le comunità cristiane locali, auspica che tale impegno venga “condiviso da sempre più Chiese “perché, spiega al Sir, “da questa conoscenza deriva poi l’interesse e il coinvolgimento e l’aiuto ai nostri fratelli di qui”. Ieri, mons. Cetoloni ha incontrato il gruppo di giornalisti della Fisc. A loro il vescovo ha chiesto “un’informazione del positivo”, ovvero un maggior interesse per le opere buone. “Impegnatevi – ha detto – a ricreare la giusta attenzione sulle vicende della Terra Santa. Stimolate la riflessione, anche critica, sulla situazione, mostrando anche come con poco qui si riesce a fare molto. Lavorate per far conoscere le situazioni di dialogo, di bene e di solidarietà. (G.M.)
Hong Kong: l’esperienza dei missionari laici al servizio degli studenti
◊ Aiutare gli studenti delle 12 scuole cattoliche di Hong Kong a vivere maggiormente secondo lo spirito cristiano. È l’iniziativa della Commissione per la Pastorale giovanile che – riporta l’agenzia Fides – ha messo a loro disposizione l’esperienza dei suoi missionari laici. Secondo quanto riferisce "Kong Ko Bao", il bollettino diocesano in versione cinese, l’istituzione ha coinvolto, da ottobre fino a maggio, diversi laici che hanno trascorso un periodo della loro vita nei Paesi di missione, come ad esempio la Cambogia. Tale proposta è diventata ancor più significativa nell’Anno dei laici. “È molto difficile convincere i giovani locali senza un’eloquente testimonianza", spiega il responsabile della Commissione. E aggiunge: "I missionari laici infatti hanno portato tutto ciò che hanno vissuto in prima persona. Attraverso il loro servizio e la loro stessa presenza, hanno testimoniato l’Amore di Cristo agli altri vivendo lo spirito cristiano”. (G.M.)
Si terrà all'Urbaniana la 59.ma Assemblea nazionale dell'Usmi
◊ “In Cristo nella Chiesa per il mondo. Percorsi di vita comunitaria” è il tema della 59.ma Assemblea nazionale dell’Usmi, l'Unione superiore maggiori d’Italia, dall’11 al 13 aprile presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma. “In continuità con il cammino di riflessione dell’assemblea 2011 - spiega nella lettera di convocazione dell’assise madre Viviana Ballarin, presidente dell’Unione - riteniamo importante e urgente continuare insieme tali considerazioni sull’identità della vita religiosa e della sua missione”. “Per questo - riporta ancora l’agenzia Sir - cercheremo di individuare, nei giorni di studio che ci attendono, quei percorsi comunitari che meglio annunciano il Signore, speranza per il mondo”. Il programma dei lavori prevede interventi della teologa Cettina Militello, del poeta e filosofo Marco Guzzi e del superiore generale dei Giuseppini, don Mario Aldegani. Nel pomeriggio del 12 aprile, verrà presentato il libro che racconta la storia dell’Usmi nei suoi primi 50 anni di vita. Sarà questo momento commemorativo a dare inizio alle celebrazioni del 50.mo anniversario del riconoscimento e dell’approvazione dell’Unione come ente ecclesiastico e civile. Al riguardo, madre Ballarin afferma che “questo anniversario, senz’altro, sarà motivo di rendimento di grazie e nello stesso tempo di rilancio del nostro impegno a servizio della vita religiosa di oggi e di domani”. (G.M.)
Settimana Santa: a Terni la Via Crucis dei giovani con mons. Paglia
◊ Si moltiplicano in tutte le città italiane eventi e celebrazioni per la Settimana Santa. Stasera, a Terni, nel parco di Collerolletta, la rievocazione della Via Crucis, curata dal servizio di Pastorale giovanile della diocesi in collaborazione con la parrocchia di San Zenone. La processione, presieduta dal vescovo di Terni-Narni-Amelia, Vincenzo Paglia, si snoderà lungo un percorso allestito all’interno del parco e si concluderà presso la chiesa di Santa Chiara al monastero delle Clarisse, Ordine religioso francescano che nella Domenica delle Palme celebra l‘anniversario dell'ingresso di Chiara d‘Assisi nell'obbedienza francescana, nonché l’ottavo centenario della fondazione dell'Ordine. Le quattordici tappe della Via Crucis saranno rappresentate con canti, letture del Vangelo e la drammatizzazione storica in costume con la presenza di decine di figuranti, per concludersi con la scena della crocifissione e della deposizione nel sepolcro. La rievocazione della Via Crucis, spiegano gli organizzatori, è “un’antica tradizione popolare che si rinnova anche a Terni con il contributo dei gruppi giovanili della diocesi, per i quali essa rappresenta un’occasione di incontro e condivisione nel vivere la Pasqua insieme alla comunità diocesana”. (C.S.)
Milano: 10 mila visitatori alla mostra “Famiglia all’italiana”
◊ Sono oltre diecimila i visitatori che dal primo marzo scorso hanno fatto tappa al Palazzo Reale di Milano per la mostra “Famiglia all’italiana”, visitabile ancora fino a domenica prossima. Inaugurata dal cardinale Angelo Scola, arcivescovo della città, la mostra è promossa dalla Fondazione Milano Famiglie 2012, in collaborazione con l’Assessorato alla cultura del Comune di Milano, e realizzata dalla Fondazione Ente dello spettacolo. Come riporta l'agenzia Zenit, l’esposizione, a ingresso gratuito, racconta attraverso alcune immagini di scena tratte dai più significativi film italiani degli ultimi cento anni l’evoluzione, i cambiamenti e le difficoltà della famiglia. Il percorso si chiude con il passaggio dalla finzione cinematografica alla realtà, raccontata in alcune video-catechesi: storie di famiglie “normalmente eccezionali”, scelte per raccontare attraverso la loro esperienza i contenuti del VII Incontro Mondiale delle Famiglie, che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno prossimi. La mostra si caratterizza anche per la presenza dei volontari di Family, che hanno dato la disponibilità per l’intero periodo dell’esposizione a essere presenti a Palazzo Reale. Uomini e donne, dai 18 ai 70 anni, tra i quali anche molti universitari che, oltre a gestire l’info-point dove è possibile trovare informazioni sull’Incontro, fanno da guida lungo il percorso. (G.M.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 90