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Sommario del 29/03/2012
Benedetto XVI rientrato a Roma. Ieri il saluto a Cuba: la vostra sia terra di giustizia e libertà
◊ Dopo una lunga trasferta aerea di oltre 10 ore, Benedetto XVI è rientrato questa mattina a Roma da Cuba, da dove era partito ieri verso le 17, ora locale. Intense fino all'ultimo le parole dedicate dal Papa all'isola, anche al momento del congedo all'aeroporto de L'Avana. Poche ore prima, inoltre, il Pontefice si era intrattenuto a colloquio per circa mezz'ora anche con l'anziano leader cubano, Fidel Castro, all’interno della Nunziatura. La cronaca degli ultimi impegni di Benedetto XVI nel servizio del nostro inviato a L'Avana, Luca Collodi:
"Il Papa lascia l’isola sotto l’acqua, che “mancava ed era necessaria” ha detto nel suo saluto il presidente, Raúl Castro, ma con la speranza che la luce del Signore rafforzi l’anima cubana, i suoi valori più nobili, per fondare una società di ampi orizzonti, rinnovata e conciliata. Ma Benedetto XVI, per la prima volta in terra cubana, condanna l’embargo economico e finanziario imposto dagli Stati Uniti all’isola:
“Situación que se ve agravada cuando medidas económicas restrictivas…
Situazione che risulta aggravata quando misure economiche restrittive imposte dal di fuori del Paese pesano negativamente sulla popolazione (...) Continuerò a pregare ardentemente affinché continuate il vostro cammino e Cuba sia la casa di tutti e per tutti i cubani, dove convivano la giustizia e la libertà, in un clima di serena fraternità".
Il rispetto e la cura della libertà che palpita nel cuore dell’uomo, ha proseguito il Papa nel suo discorso di congedo da Cuba, è imprescindibile per rispondere alle esigenze fondamentali della sua dignità e costruire così una società nella quale ciascuno si senta protagonista del futuro della propria vita, della propria famiglia e patria:
“La hora presente reclama de forma apremiante que en la convivencia…
L’ora presente reclama in modo urgente che, nella convivenza umana , nazionale e internazionale, si eliminino posizioni inamovibili ed i punti di vista unilaterali che tendono a rendere più ardua l’intesa ed inefficace lo sforzo di collaborazione”.
Serve un dialogo paziente e sincero per cercare i punti che uniscono tutti, tramite una volontà sincera di ascolto per rinnovare in modo autentico, con il Vangelo, la vita personale e sociale.
In precedenza, all’ora di pranzo, l’incontro con il comandante Fidel Castro, nella nunziatura a L’Avana. L’ex leader cubano, oggi impegnato a scrivere libri, ha espresso al Papa la sua gioia per la Beatificazione di Madre Teresa di Calcutta e Giovanni Paolo II, due amici del popolo cubano che Castro ha conosciuto. Padre Federico Lombardi era presente all’incontro:
“Il comandante Fidel desiderava molto incontrare il Santo Padre per porgli diverse domande, tra queste alcune riguardavano la Chiesa e il servizio del Santo Padre, altre più in generale la situazione dell’umanità oggi: le sue sfide, le difficoltà che la scienza ha di dare le risposte che l’umanità attende, i problemi del dialogo interreligioso”.
La Messa del Papa all’Avana: Cuba rafforzi la libertà religiosa
◊ La Chiesa ha bisogno di essere libera per annunciare il Signore: è quanto sottolineato da Benedetto XVI nella Messa celebrata, ieri, nella Piazza della Rivoluzione all'Avana, di fronte a 300 mila persone. Il Papa ha messo l’accento sul legame tra la libertà e la verità e ha ribadito che la Chiesa non chiede alcun privilegio, ma pretende solo di essere fedele a Cristo. Alla celebrazione ha partecipato anche il presidente cubano, Raúl Castro. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Una leggera brezza ed un cielo terso hanno fatto da cornice alla grande Messa in Piazza della Rivoluzione all’Avana. Una festa di fede e di popolo, animata da trecentomila persone che si sono raccolte in preghiera con il Papa per il momento culminante del viaggio apostolico in terra cubana. Tante le bandiere di Cuba e del Vaticano sventolate dai fedeli, ma anche di altri Paesi latinoamericani a significare la dimensione continentale dell’evento. Un sentimento d’affetto filiale che il cardinale arcivescovo dell’Avana, Jaime Ortega y Alamino, ha riassunto all’inizio della Messa:
“Ese pueblo está congregado hoy aquí, está en sus casas…”
“Questo popolo riunito qui ora – ha detto il porporato – e quanti sono a casa di fronte alla televisione, si aspettano da Lei, Santità, una parola che faccia discendere su ognuno di noi e su tutta la nostra nazione la Benedizione di Dio”. Un’aspettativa che il Papa ha raccolto con gioia, pronunciando un’omelia appassionata, tutta incentrata sulla libertà e il suo radicamento nella verità sull’uomo. La Chiesa, ha detto, “vive per rendere partecipi gli altri dell’unica cosa che possiede”, “Cristo stesso”:
“Para poder ejercer esta tarea, ha de contar…”
“Per poter svolgere questo compito – ha affermato – essa deve contare sull’essenziale libertà religiosa, che consiste nel poter proclamare e celebrare anche pubblicamente la fede, portando il messaggio di amore, di riconciliazione e di pace che Gesù portò al mondo”. Il Papa ha riconosciuto “con gioia che sono stati fatti passi in Cuba, affinché la Chiesa compia la sua ineludibile missione di annunciare pubblicamente ed apertamente la sua fede”:
“Sin embargo, es preciso seguir adelante…”
“Tuttavia – ha osservato – è necessario proseguire, e desidero incoraggiare le autorità governative della nazione e rafforzare quanto già raggiunto ed a proseguire in questo cammino di genuino servizio al bene comune di tutta la società cubana”:
“El derecho a la libertad religiosa…”
“Il diritto alla libertà religiosa, sia nella sua dimensione individuale sia in quella comunitaria – ha soggiunto – manifesta l’unità della persona umana che è, nel medesimo tempo, cittadino e credente”. Ancora, legittima il contributo dei credenti “all’edificazione della società”. Il suo rafforzamento, ha detto, “consolida la convivenza, alimenta la speranza in un mondo migliore, crea condizioni propizie per la pace” e “stabilisce basi solide sulle quali assicurare i diritti delle generazioni future”:
“Cuando la Iglesia pone de relieve este derecho…”
“Quando la Chiesa mette in risalto questo diritto – ha avvertito Benedetto XVI – non sta reclamando alcun privilegio”. Ciò che pretende, ha detto, è “solo di essere fedele al mandato” di Cristo. Per questo, è da sperare che presto anche a Cuba giunga “il momento in cui la Chiesa possa portare nei vari campi del sapere i benefici della missione che il suo Signore le ha affidato e che non può mai trascurare”. Ma dove si radica dunque questa libertà che la Chiesa chiede? Il Papa sottolinea, comentando il Vangelo, che cercare la verità “suppone sempre un esercizio di autentica libertà”, ma molti preferiscono “scorciatoie” e cercano “di evitare questo compito”:
“Algunos, como Poncio Pilato, ironizan con la posibilidad…”
“Alcuni, come Ponzio Pilato – ha evidenziato – ironizzano sulla posibilità di poter conoscere la verità” proclamando “l’incapacità dell’uomo di raggiungerla o negando che esista una verità per tutti”. Un atteggiamento che, “come nel caso dello scetticismo e del relativismo, “produce un cambiamento nel cuore, rendendo freddi, vacillanti, distanti dagli altri e rinchiusi in se stessi”. D’altra parte, ha proseguito, c’è chi – portato “all’irrazionalità e al fanatismo” – cerca di imporre la verità agli altri. Ecco perché “fede e ragione sono necessarie e complementari nella ricerca della verita”. E ha quindi citato l’esempio del sacerdote, educatore e maestro, Felix Varela, figlio illustre dell’Avana che ha aiutato Cuba a diventare una nazione “degna e libera”:
“Además, la verdad sobre el hombre…”
“Inoltre – ha spiegato il Papa – la verità sull'uomo è un presupposto ineludibile per raggiungere la libertà, perché in essa scopriamo i fondamenti di un'etica con la quale tutti possono confrontarsi”. Un patrimonio etico, ha soggiunto, “che può avvicinare tutte le culture, i popoli e le religioni, le autorità e i cittadini, e i cittadini tra loro, e i credenti in Cristo con coloro che non credono in Lui”. Il Papa ha così concluso la sua omelia con un vibrante appello:
“Cuba y el mundo necesitan cambios…”
“Cuba e il mondo – ha affermato – hanno bisogno di cambiamenti, ma questi ci saranno solo se ognuno è nella condizione di interrogarsi sulla verità e si decide a intraprendere il cammino dell’amore, seminando riconciliazione e fraternità”.
Quando Giovanni XXIII parlò a Cuba attraverso la Radio Vaticana
◊ Riecheggia ancora la gioia e forza delle parole di Benedetto XVI durante la Messa celebrata ieri a Plaza de la Revolucion, a L’Avana. Ma a far risuonare la loro parola in quella piazza non sono stati solo i due Pontefici contemporanei: Benedetto XVI e, nel 1998, Giovanni Paolo II. Ben 53 anni fa, vi giunse anche la voce di Giovanni XXIII, non presente di persona ma che fece sentire la sua vicinanza attraverso le frequenze della Radio Vaticana. Papa Roncalli indirizzò, infatti, un Radiomessaggio ai fedeli riuniti per una Messa, evento culmine del primo Congresso cattolico nazionale e dell’Assemblea generale dell’Apostolato laico. Il servizio di Debora Donnini:
“Habla Radio Vaticana, desde del Palacio Apostólico del Vaticano. Trasmitimos en audiciones extraordinaria el Radiomensaje de Su Santidad Juan XXIII dirigidos a los fieles de Cuba”.
Così viene dato l’annuncio del Radiomessaggio di Giovanni XXIII. E’ domenica 29 novembre del 1959, pochi mesi dopo la vittoria della rivoluzione cubana, guidata da Fidel Castro. A Plaza de la Revolución, i fedeli riuniti ascoltano con emozione – grazie alla Radio Vaticana – le parole di un Pontefice, Giovanni XXIII, che indirizza un saluto per il Congresso Nazionale Cattolico. E’ la prima volta che la voce di un Papa arriva a Cuba.
“La faz del mundo podría cambiarse si reinara la verdadera caridad...
La faccia del mondo potrebbe cambiare se regnasse la vera carità; quella del cristiano che si unisce al dolore e alla sofferenza dell’infelice, che cerca per questa persona la felicità, la sua salvezza tanto quanto la propria; quella del cristiano – prosegue Papa Roncalli – convinto che i suoi beni hanno una funzione sociale e che impiegare il superfluo a favore di chi manca del necessario, non è una generosità facoltativa, ma un dovere".
“Si el odio ha dado frutos amargos de muerte, habrá que encender de nuevo…
Se l’odio ha dato frutti amari di morte, si dovrà di nuovo accendere quell’amore cristiano che è l’unico che può limare tante asprezze, superare tanti tremendi pericoli e addolcire tante sofferenze". Quest’amore consoliderà la pace sociale.
Giovanni XXIII sottolinea che tutte le istituzioni impegnate a promuovere questa collaborazione, per ben concepite che sembrino, ricevono il loro principale punto di forza dal reciproco vincolo spirituale, che deriva dal sentirsi membri di una grande famiglia per il fatto di avere lo stesso Padre.
Quindi, le parole d’ordine per promuovere il coordinamento di tutte le attività apostoliche, con l’intento di salvare la pace cristiana di Cuba e di assicurare le sue tradizioni cattoliche: "avranno un comun denominatore e raccoglieranno maggiore efficacia dalla carità vissuta da ciascuno di voi".
Scambio di messaggi tra il Papa e Napolitano
◊ Di ritorno a Roma, Benedetto XVI ha inviato un telegramma al presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, nel quale assicura una “speciale preghiera per il bene, la serenità e la prosperità” dell’Italia. In risposta, Napolitano sottolinea nel suo telegramma che “l’alto messaggio pastorale” del Papa “è destinato ad avere una lunga eco nelle popolazioni che l'hanno accolta” in Messico e a Cuba “con straordinario affetto, e così il suo fraterno incoraggiamento a progredire lungo la via della democrazia e in vista di un vero progresso ispirato ai valori della persona umana”.
Bilancio di padre Lombardi sul viaggio a Cuba e l'incontro tra il Papa e Fidel Castro
◊ Il colloquio tra il Papa e Fidel Castro – ha detto il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi – è stato molto intenso e animato. L’ex leader cubano era molto interessato a conoscere il pensiero di Benedetto XVI sui grandi temi dell’attualità. Un Fidel Castro riflessivo e attento, dunque, come ci dice lo stesso padre Lombardi al microfono del nostro inviato a Cuba, Luca Collodi:
R. – Questa è attualmente la sua situazione, non avendo egli più responsabilità di tipo politico. Quindi desiderava molto incontrare il Santo Padre per porgli diverse domande, tra queste alcune riguardavano la Chiesa e il servizio del Santo Padre, altre più in generale la situazione dell’umanità oggi: le sue sfide, le difficoltà che la scienza ha di dare le risposte che l’umanità attende, i problemi del dialogo interreligioso… Ecco, quali sono quindi le vie attraverso cui l’uomo può trovare soluzioni alle sue grandi domande. Il Santo Padre ha risposto, naturalmente nella sua prospettiva, per quanto riguarda il contributo che una visione religiosa dell’uomo e del mondo può dare per trovare luce, orientamenti, fondamenti, per la ricerca delle vie, delle soluzioni, del mondo di oggi.
D. – Fidel Castro ha apprezzato il fatto che Madre Teresa e Giovanni Paolo II siano stati elevati agli onori degli altari…
R. – Sono due personalità molto grandi che egli ha conosciuto e incontrato personalmente e di cui ha grande stima e ammirazione.
D. – Un bilancio finale, 14 anni fa Giovanni Paolo II, oggi Benedetto XVI: due visite che per la Chiesa locale potranno rilanciare la sua azione all’interno della società cubana…
R. – Certamente, questo è anche lo scopo di queste visite: incoraggiare la Chiesa, darle nuova vitalità e darle speranza in modo tale che possa dare il suo contributo. In ciò, naturalmente, rientrano anche le richieste fatte dal Santo Padre alle autorità cubane di spazi nuovi, più ampi, per la libertà religiosa - intesa come la testimonianza piena della vita della Chiesa - e anche, operativamente, nel campo educativo, nel campo caritativo, che permettano di dare tutto il contributo che si può dare per il bene comune del popolo intero.
D. – L’incontro personale del Papa col popolo cubano: questa può essere la chiave con cui spiegare questo viaggio, questa presenza personale del Papa con la società con i leader, dentro i problemi di questo Paese…
R. – Il viaggio significa questo: venire di persona in un luogo e incontrare le persone. Quindi, il popolo ti vede come una persona concreta, vede anche il tuo volto, i tuoi atteggiamenti e ti può anche amare e sentire più presente. Pure i leader, qualunque sia la loro posizione, vedono persone, una persona in particolare, il Papa, con cui si può parlare, che ha un atteggiamento di attenzione profonda per le esigenze di un popolo che queste autorità devono servire e con cui c’è un elemento comune che è: come bisogna esercitare la responsabilità per il bene comune del popolo? (bf)
◊ Una sfida all’autorità ecclesiastica e un danno a tutta la Chiesa cattolica. Non usa mezzi termini la Congregazione per la Dottrina della Fede nel definire l’operato di quattro religiosi espulsi dall’Ordine Basiliano di San Giosafat e autoproclamatisi “vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina”. In una nota ufficiale, il dicastero pontificio, riferendosi ai reverendi Eliáš A. Dohnal, Markian V. Hitiuk, Metodèj R. Špirik e Robert Oberhauser, afferma che con “il loro comportamento contumace continuano a sfidare l'autorità ecclesiastica, danneggiando moralmente e spiritualmente non solo l'Ordine Basiliano di San Giosafat e la Chiesa greco-cattolica ucraina, ma anche questa Sede Apostolica e l'intera Chiesa Cattolica”. Tutto questo, si stigmatizza, “provoca divisione e sconcerto tra i fedeli”, nonostante “esponenti a vari livelli della Chiesa sin dall'inizio di questa sofferta vicenda”, si precisa, abbiano “invano cercato di dissuaderli dal proseguire in comportamenti che possono tra l'altro trarre in inganno i fedeli – cosa avvenuta per un certo numero di essi”.
La Santa Sede da parte sua – prosegue il comunicato – “aveva sperato in un pentimento e in un successivo conseguente ritorno dei suddetti chierici alla piena comunione con la Chiesa Cattolica”, ma “purtroppo gli ultimi sviluppi – quale il tentativo non riuscito di registrazione statale del gruppo di "Pidhirci" con il nome di "Chiesa Ortodossa Greco-Cattolica Ucraina" – hanno dimostrato invece la loro contumacia”. Dunque, per “salvaguardare” il “bene comune della Chiesa” e la salute delle anime – e atteso che i sedicenti “vescovi” di Pidhirci non danno segno alcuno di ravvedimento, ma continuano a creare confusione e scompiglio nella comunità dei fedeli, in particolare calunniando gli Esponenti della Santa Sede e della Chiesa locale ed affermando che la Suprema Autorità della Chiesa è in possesso di una documentazione che comproverebbe la piena validità della loro ordinazione episcopale” – la Congregazione per la Dottrina della Fede – si legge nella nota – “ha deciso con la presente dichiarazione di informare i fedeli, specialmente nei Paesi di provenienza dei chierici-sedicenti "vescovi" circa la loro attuale condizione canonica”.
“Dissociandosi totalmente dall'operato dei menzionati sedicenti "vescovi" e dalle loro sopraccitate false dichiarazioni”, il dicastero vaticano dichiara formalmente “di non riconoscere la validità delle loro ordinazioni episcopali e di tutte quelle ordinazioni che da esse sono derivate o deriveranno”. “Si rende noto, inoltre, - chiarisce la nota ufficiale – che lo stato canonico dei quattro menzionati sedicenti ‘vescovi’ è quello di scomunicati”, secondo il Codice Canonico delle Chiese Orientali, e che “la denominazione ‘cattolica’ usata da gruppi non riconosciuti dalla competente autorità ecclesiastica è da considerarsi illegittima ed abusiva”. I fedeli, conclude la Congregazione vaticana, “sono, pertanto, tenuti a non aderire al suddetto gruppo in quanto esso è, ad ogni effetto canonico, fuori della comunione ecclesiastica e sono invitati a pregare per i membri dello stesso gruppo affinché possano ravvedersi e tornare alla piena comunione con la Chiesa cattolica”. (A cura di Alessandro De Carolis)
Chiesa e cultura della legalità: il cardinale Ravasi a Palermo per il Cortile dei Gentili
◊ "Società, cultura, fede": sono i tre termini che guideranno, questa sera a Palermo, il cardinale Gianfranco Ravasi nel suo discorso di apertura della tappa siciliana del "Cortile dei Gentili". Il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura presiederà l'inizio dei lavori nel Duomo di Monreale, in un appuntamento dal titolo programmatico: “Cultura della legalità e società multireligiosa”. Un titolo che intende rilanciare, ha ricordato lo stesso cardinale Ravasi, l’impegno della Chiesa contro l’illegalità, nello spirito del Cortile dei Gentili: ovvero, il dialogo interculturale tra credenti, agnostici ed atei. Ne parla, al microfono di Fabio Colagrande, mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e coordinatore dell’evento:
R. - Cinquant’anni fa i credenti - quanto meno la Chiesa - e una buona parte di non credenti erano su sponde abbastanza diverse. Molti non credenti - chi anticamente combatteva la mafia - spesso non erano tra le fila di vescovi o sacerdoti, e criticavano la Chiesa perché non era così netta nella condanna. Lentamente - penso ad alcune figure-chiave in questo cammino, ossia Giovanni Paolo II nel famoso "grido di Agrigento", il cardinale Pappalardo e infine don Pino Puglisi - la situazione è cambiata: ci si è trovati pian piano alleati, uno accanto all’altro, si era parte di una lotta contro grandi nemici, in questo caso le mafie. "Nemico", da un punto di vista civile, significa l’anti-Stato perché è proprio un sistema e non una semplice delinquenza. E’ un sistema di delinquenza che si pone, da un lato, come alternativa totalmente contraria allo Stato. Dall’altro, la mafia, come sistema, è anche anti-umana e anti-religiosa. Si è perciò compreso quanto fosse necessario stare insieme per combattere lo stesso male - stando quindi dalla stessa parte - e si è finiti per divenire alleati, instaurando anche un pieno dialogo. In che misura è possibile stabilire questo, addirittura tra società e culture diverse, tra molteplici tradizioni culturali? Facciamo un solo esempio: combattere questo tipo di criminalità a latitudini diverse, che vanno dalla Cina alla Russia, dal Porto Rico alla Colombia, alla nostra Sicilia, in Italia - con sistemi giuridici totalmente diversi e talvolta incompatibili tra loro - diventa impossibile. Se invece si instaurano precisi luoghi di dialogo e di intesa, che provino un’assoluta compatibilità, ritengo che tutto questo possa divenire più semplice. Siano anche noi uomini di Chiesa, insieme ai non credenti, che dobbiamo favorire questa possibilità di intese e quindi di compatibilità tra i sistemi.
D. - Nel momento, però, in cui gli uomini di Chiesa affrontano il tema dell’illegalità e del suo contrasto, significa anche che devono, in qualche modo, rilanciare e rinnovare il loro impegno per la legalità. E’ una sfida, questa?
R. - Certo. Questo lo abbiamo ribadito più volte sul piano dei vertici. Il passo decisivo che oggi mi sembra importante fare - che viene fatto qui e lì ma dovrebbe esser fatto invece con più decisione - è nella quotidianità della pastorale parrocchiale e nella religiosità popolare. E’ proprio qui che i parroci, nei comitati dei festeggiamenti e nelle feste patronali, sia nei paesi più sperduti e sia nei quartieri delle grandi città, devono mettere dei punti fermi e dire con estrema chiarezza che questa prassi non va bene, che va bocciata, perché c’è un’assoluta incompatibilità radicale e frontale tra l’aderire a questo tipo di criminalità organizzata - che si chiama mafia - e il Vangelo di Gesù Cristo. Se noi giudichiamo la mafia anti-umana oltre che anti-civile e anti-Stato, allora è del tutto incompatibile con il Vangelo. Questo significa non soltanto un impegno preciso da parte nostra in tutte le ramificazioni delle nostre organizzazioni al nostro interno, ma vuol dire anche una garanzia di lealtà chiara e precisa nei confronti delle società civili dei vari Stati, con le quali ci poniamo come alleati e garanti di una piena lealtà, trasparenza e osservanza delle leggi. (vv)
Il cardinale Tauran in Nigeria per promuovere il dialogo islamo-cristiano
◊ Il cardinale Jean-Louis Tauran è, in questi giorni, in Nigeria dove è impegnato in importanti incontri per il dialogo islamo-cristiano. Il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso ha innanzitutto partecipato a Lagos, il 23 marzo, alla conclusione della Sezione speciale organizzata per i direttori diocesani nazionali incaricati del dialogo interreligioso dell’Africa dell’Ovest. Il porporato si è dunque trasferito nella città di Jos, dove ha partecipato a un dialogo islamo-cristiano e ha celebrato una Messa nel seminario maggiore Sant’Agostino. Il 25 marzo, il cardinale Tauran si è recato a Kafanchan, località dove in passato sono avvenuti violenti scontri tra musulmani e cristiani.
Particolarmente significativa la visita ad un centro locale di formazione professionale, che accoglie giovani cristiani e musulmani. Il giorno dopo, il porporato si è recato nella città di Sokoto, dove ha sede il Califfato dei musulmani nigeriani. Qui, è stato ricevuto con grande cordialità dal Sultano nonché dal governatore dello Stato. Martedì scorso, in assenza del presidente della Repubblica, il cardinale Tauran è stato ricevuto dal vicepresidente, Alhaji Namadi Sambo. Inoltre, ha preso parte, nella capitale Abuja, a una tavola rotonda sul ruolo della religione nella vita pubblica. Ieri, infine, è stato ricevuto dai responsabili della moschea centrale. Ultima tappa della visita del cardinale Tauran in Nigeria, sarà alla diocesi di Onitsha. Il ritorno a Roma è previsto per sabato prossimo. (A cura di Alessandro Gisotti)
◊ Sono oltre 300 i responsabili di pastorale giovanile, provenienti da 98 Paesi, che partecipano all'incontro internazionale sulle Gmg, organizzato da Pontificio Consiglio per i Laici apertosi questa mattina a Rocca di Papa. La riflessione di oggi è stata dedicata ai frutti della Gmg di Madrid e al suo impatto in Spagna e per la Chiesa. Domani, si discuterà dei diversi aspetti della preparazione pastorale e logistica della prossima Giornata, in programma nel 2013 a Rio de Janeiro, in Brasile. Sull'eredità della Gmg di Madrid si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, il presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, il cardinale Stanislaw Rylko:
R. - La giornata di Madrid ha lasciato delle impronte profonde nella memoria e soprattutto nel cuore di tanti giovani del mondo. In un mondo che volta le spalle a Dio, in un mondo segnato da una profonda erosione di fede, negli indimenticabili giorni della Gmg di Madrid, quasi due milioni di giovani hanno dato un testimonianza di fede straordinaria.
D. - La giornata odierna di quest’incontro è stata appunto dedicata al ringraziamento e al ricordo della Gmg di Madrid. Questo incontro continuerà con la prossima tappa a Rio de Janeiro…
R. - La Chiesa di Rio, insieme alle autorità civili, si prepara per questo grande avvenimento. In modo particolare, nel Cristo di Corcovado che, con le braccia aperte, domina tutta la città, ho visto proprio il segno più eloquente di ciò che le Giornate Mondiali sono in realtà: è Cristo ad accogliere i giovani, ed è anche Cristo che i giovani di tutto il mondo vogliono incontrare in occasione delle Giornate Mondiali della Gioventù. (vv)
Per i giovani che hanno partecipato alla Gmg di Madrid la meta più alta è quella di divenire testimonianze vive dell'amore di Cristo. Un amore che supera ogni crisi, come sottolinea l'arcivescovo di Madrid, cardinale Antonio Maria Rouco Varela, intervistato da Amedeo Lomonaco:
R. - Sono testimonianze vive ed incarnate di quest’incontro, anche nella vita sociale e nella vita del mondo. Questo particolare momento è alquanto critico per la nostra storia, e i giovani devono percorrere il cammino della vita proprio in questi tempi.
D. - I giovani hanno gridato e gridano “Sì a Cristo!” in un mondo, come ha ricordato lei, che vive purtroppo la crisi economica. Oggi, in Spagna, c’è uno sciopero generale proprio per protestare contro questa crisi economica ed anche contro la precarietà dei giovani. I giovani che però gridano “Sì a Cristo!”, vanno oltre queste insidie e queste difficoltà…
R. - Con “Sì a Cristo!” essi vedono la luce, hanno la possibilità di capire quello che succede per poter fare un buon discernimento. Inoltre, ricevono la forza per intraprendere il cammino della vita con un certo impegno nell’amore di Dio e di Cristo. Credo che facciano ricorso al grido “Sì a Cristo!”, che nel profondo è il grido più importante, anche per poter superare questo momento di crisi economica. (vv)
Giornata autismo, mons. Zimowski: maggiore vicinanza a quanti soffrono e alle loro famiglie
◊ La Chiesa è vicina a quanti soffrono e alle loro famiglie: è quanto scrive l’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, nel Messaggio per la quinta Giornata mondiale sull’autismo, che ricorre il prossimo 2 aprile. Nel documento, il presule sottolinea che la Chiesa “avverte impellente il compito di porsi accanto” alle persone autistiche e alle loro famiglie “se non per rompere queste barriere del silenzio, almeno per condividere nella solidarietà e nella preghiera il loro cammino di sofferenza”. Una sofferenza, riconosce mons. Zimowski, che a volte “acquisisce anche i tratti della frustrazione e della rassegnazione, non da ultimo a motivo degli ancora scarsi risultati terapeutici”. La Chiesa e gli uomini di buona volontà, prosegue, “si sentono pertanto impegnati a farsi ‘compagni di strada’ con quanti vivono” questa sofferenza che interpella la nostra sensibilità, “sull’esempio emblematico tratteggiato nella parabola evangelica del Buon Samaritano”. Mons. Zimowski ribadisce dunque che vanno incentivate le politiche sanitarie ed incrementare “percorsi diagnostici terapeutici e riabilitativi”. Infine, il presidente del dicastero vaticano sottolinea che “incoraggiare e sostenere” gli sforzi nel mondo scolastico e nel volontariato è un dovere per “far emergere quella dignità che la disabilità, anche la più grave e devastante" non cancella e che "sempre ci colma di speranza”. (A cura di Alessandro Gisotti)
"Green economy tra solidarietà e sostenibilità": giornata di studio alla Lateranense
◊ “La green economy tra solidarietà e sostenibilità”. È questo il tema della giornata di studi in corso all’Università Lateranense. Al centro dei lavori, che si concluderanno questa sera, il concetto di un’ecologia che ponga al centro la persona, anche in vista della conferenza di Rio de Janeiro delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, nel prossimo giugno. Ad aprire i lavori alla Lateranense è stato l’intervento di mons. Ettore Balestrero, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati. Il servizio di Davide Maggiore:
Non è compito della Santa Sede, ha specificato mons. Balestrero “offrire soluzioni tecniche” ai problemi dello sviluppo sostenibile e dell’ambiente, che vanno affrontati “congiuntamente, in maniera responsabile e solidale”. Tuttavia – ha continuato – non può ridursi a problema tecnico “ciò che tocca la dignità dell’uomo e dei popoli”. Porre il bene dell’essere umano al centro dell’attenzione per lo sviluppo sostenibile – ha aggiunto il rappresentante pontificio – è la maniera più sicura per conseguirlo e salvaguardare la creazione, nell’ottica di quell’“alleanza tra essere umano e ambiente”, più volte ricordata da Benedetto XVI.
Guardando al prossimo vertice di Rio de Janeiro, inoltre, il sottosegretario vaticano ha voluto sottolineare tre aspetti che la Santa Sede “ha particolarmente a cuore”, per le loro ripercussioni “etiche e sociali sull’intera umanità”. Il primo di questi è l’ancoraggio del futuro modello di sviluppo ai principi della Dottrina sociale della Chiesa, in particolare per quanto riguarda la sussidiarietà, che non può essere slegata – come ha più volte ricordato anche Benedetto XVI – dalla solidarietà. Particolare importanza in questo senso ha il riconoscimento del ruolo della famiglia, “cellula fondante della società umana”. Lo sviluppo sostenibile, è stato il secondo auspicio, dovrebbe essere costantemente “collegato allo sviluppo umano integrale”, come propone anche l’Enciclica Caritas in veritate. In questo senso, mons. Balestrero ha invitato ad uno sforzo perché gli “Obiettivi dello sviluppo sostenibile” che saranno individuati dal vertice “Rio + 20” non subiscano la stessa “deriva” che ha caratterizzato alcuni aspetti degli “Obiettivi di Sviluppo del Millennio”, usati anche per imporre politiche “contrarie alla vita e alla maternità”. L’economia verde – ha specificato infine il rappresentante pontificio – può essere in grado di contribuire alla pace e alla solidarietà tra le nazioni, purché sia effettivamente orientata allo “sradicamento della povertà” e allo “sviluppo umano integrale”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Verità e libertà: in prima pagina, un editoriale del direttore a conclusione del viaggio del Papa a Cuba.
Sognando la Brics Bank: in rilievo, nell'informazione internazionale, il vertice a New Delhi dove i principali Paesi emergenti hanno discusso del progetto di un grande fondo per lo sviluppo.
In cultura, un articolo del cardinale Giuseppe Betori dal titolo "L'era della zona grigia": nella nostra società liquida rischia di sciogliersi anche il confine tra bene e male.
Nel mondo di Rembrandt ma tra i grattacieli di New York: Nicoletta Pietravalle sull'epoca d'oro del disegno olandese in mostra al Morgan Library & Museum.
In difesa della più profonda aspirazione dell'uomo: nell'informazione religiosa, gli interventi dell'arcivescovo Dominique Mamberti e del cardinale Mauro Piacenza per la presentazione - oggi all'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede - dell'Osservatorio permanente sulla libertà religiosa.
Economie emergenti: i Paesi "Brics" preoccupati per l'instabilità dei mercati
◊ Si è concluso a New Delhi, in India il vertice dei Paesi "Brics" (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), le economie emergenti, che hanno espresso la volontà di un maggior coordinamento tra loro. Nel documento conclusivo, tra le altre cose, spicca anche una forte preoccupazione per l'instabilità dei mercati, specialmente nella zona euro. Ma qual è l’importanza oggi di questi Paesi? Riusciranno davvero a spostare l’asse economico verso di loro? Salvatore Sabatino lo ha chiesto al prof. Gianfranco Viesti, docente di Economia Applicata presso l’Università di Bari:
R. – L’asse economico si sta già spostando, e non perché Stati Uniti ed Europa stiano venendo meno, ma perché questi Paesi crescono moltissimo. Sono molto importanti per molte materie prime, ma sono soprattutto diventati delle grandi potenze manifatturiere, cominciando dalla Cina, e nei servizi, cominciando dall’India. E’ un mondo più equilibrato, nel quale i centri sono più di uno.
D. – I Brics vogliono avere una voce più forte nelle istituzioni internazionali, come la Banca mondiale o il Fondo monetario internazionale: ci riusciranno e a quali condizioni?
R. – Se ci riusciranno non lo sappiamo, vedremo. Però, è molto importante tracciare un profilo storico: queste istituzioni sono nate alla fine degli anni '40 del Novecento, quando il mondo era dominato dagli Stati Uniti e aveva una netta prevalenza dei Paesi sviluppati. Loro contano ora molto di più nell’economia, finanziano queste istituzioni e vogliono quindi comandare di più. E’ un bel confronto democratico quello che sta avvenendo.
D. – Nel documento conclusivo del Vertice di New Delhi, è stata espressa preoccupazione per l’attuale situazione economica globale e per l’instabilità dei mercati, specialmente nella zona euro. Questa instabilità quanto influisce sui Paesi Brics?
R. – L’instabilità in Europa, quella che è nata negli Stati Uniti, pesa molto anche per loro. Certamente, ci deve far pensare che risolvere definitivamente la questione delle preoccupazioni per l’area euro è una responsabilità che noi - come Europa - abbiamo nei confronti di tutti i Paesi: non si tratta di mettere ordine soltanto in casa nostra.
D. – Dal canto suo, l’Europa sta attraversando – e lo sappiamo tutti – un momento difficile: si parla di recessione che continua in vari Paesi, di tagli dei governi sulla spesa pubblica: quando si uscirà dal tunnel della crisi?
R. – Questa mattina, il ministro italiano Passera ha esposto delle tesi un po’ preoccupate: si andrà ancora avanti tutto l’anno in Italia con la recessione. Le cose dovrebbero migliorare nel corso dell’ultima parte dell’anno e l’anno prossimo essere un po’ meglio, ma sempre su livelli molto bassi. Il punto è che, oltre a quello che dobbiamo fare in Italia, è decisivo quello che si fa in Europa: o i governanti europei si rendono conto che devono mettere in campo un'azione strutturale per dare fiducia sull’euro, e quindi chiudere definitivamente questa pagina, oppure – se continuiamo con le titubanze del cancelliere Merkel e del presidente Sarkozy – rischiamo di avere questa situazione ancora molto a lungo.
D. – La Spagna che scende in piazza per protestare contro la politica di austerity del governo Rajoi può essere il prossimo Paese a finire nell’occhio del ciclone?
R. – La Spagna ha molti buoni motivi per protestare, perché in realtà era l’allievo modello dell’euro: aveva conti pubblici assolutamente in ordine e aveva un debito molto basso. La situazione è precipitata a causa delle banche e dei grandissimi salvataggi che ha dovuto fare il governo spagnolo. Dunque, i lavoratori e i cittadini spagnoli che si vedono colpiti nella propria vita e nella propria occupazione, senza avere nessuna colpa, hanno buoni motivi per protestare. Naturalmente, la protesta in questo momento è un ulteriore fattore di instabilità e non aiuta, ma getta anche un po’ di luce su quelle che sono le cause e le responsabilità di questa manovra. E’ un po’ difficile pensare di risolvere questa crisi comprimendo soltanto il lavoro, senza almeno cercare di andare alla radice dei problemi di fondo che esistono nel mondo della finanza e nella situazione internazionale. (mg)
Mons. Martinelli: i cristiani in Libia sono artefici di riconciliazione
◊ “La presenza dei cristiani sta aiutando il popolo della Libia a ricuperare il senso della vita”, favorendo la riconciliazione e testimoniando, “alla popolazione martoriata da odi e vendette, la bellezza del perdono e il desiderio di guardare avanti”. Lo sottolinea, all’agenzia AsiaNews, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli. Nel Paese martoriato da oltre 40 anni di regime di Gheddafi, e da mesi di guerre e lotte tribali intestine, solo ieri i combattimenti tra tribù rivali a Sebha, nel sud, hanno causato 70 vittime e 150 feriti. Sul ruolo dei cristiani in Libia, ascoltiamo proprio mons. Martinelli, raggiunto telefonicamente a Tripoli da Giada Aquilino:
R. – Vedo che la comunità cristiana è impegnata soprattutto nei diversi campi della vita sociale del Paese, a partire dagli ospedali, dove ci sono tante donne filippine che prestano il loro servizio con molta dedizione. Parlo soprattutto di questo gruppo filippino, perché ci sono anche altri gruppi – soprattutto africani subsahariani – che sono presenti in diverse parti del Paese, al di là dei conflitti. Nonostante le tensioni, loro forniscono un’assistenza importante. Quindi la Chiesa, attraverso questa responsabilità di servizio e di testimonianza, dà proprio l’immagine di una volontà di portare avanti la pace, nonostante tante sfide esterne.
D. – Quindi è una comunità variegata quella in Libia…
R. – Certo, una comunità internazionale, con una fisionomia afroasiatica. Ci sono tanti africani, tanti asiatici – soprattutto filippini, indiani – che lavorano nei diversi settori della società. Quindi un impegno veramente grande. Buona parte di queste persone è ormai ritornata al proprio posto di lavoro, perché con la guerra molti erano partiti. E poi c’è la comunità locale, cioè i libici, musulmani: loro sono oggetto di questo servizio della comunità cristiana, soprattutto negli ospedali e nelle case di cura.
D. – In che modo la comunità cristiana si prepara alla Pasqua?
R. – Chiaramente, è una preparazione propria del cristiano. Diciamo che è anche un seme di speranza: la Pasqua vuole vincere le nostre paure e le parole di Gesù, “non temere”, sono quelle che risuonano con coraggio attraverso il mistero della Croce: vogliono essere una vittoria sul male, sull’odio, sulla guerra, su tutto ciò che in qualche modo ha sconfinato nei mesi scorsi verso un odio tribale. Adesso si sta ricomponendo, noi vediamo alla luce della Pasqua, la volontà e la voglia del popolo libico, che è appunto musulmano, di ricominciare.
D. – La diocesi di Tripoli sta preparando al battesimo otto migranti dell’Africa subsahariana…
R. – Sì. Ce ne sono anche altri, però abbiamo deciso di battezzarne qualcuno nel periodo pasquale. Consideriamo importante che vi sia una preparazione accurata per questi neocatecumeni. Quindi è una gioia poterli preparare, è una gioia pensare che altri cristiani hanno voglia di ricevere il battesimo.
D. – Qual è il ruolo dei cristiani riguardo al dialogo tra le varie fazioni libiche, dopo oltre 40 anni di regime di Gheddafi e mesi e mesi di guerra?
R. – E’ quello della testimonianza della normalità, con generosità, senza badare al colore o al partito. E’ realmente una testimonianza al di sopra delle parti, proprio con il desiderio di riconciliare un po’ gli estremi.
D. – Come appare la situazione sul terreno oggi in Libia?
R. – Positiva, anche se ci sono chiaramente dei conflitti. Chi viene può tranquillamente uscire, la vita nel Paese e in città è abbastanza normale. Chiaramente, ci sono per i libici l’importanza e l’urgenza di avere il necessario, soprattutto in campo sanitario per la cura dei tanti feriti. Però, vedo che c’è tanta buona volontà da parte dei Paesi esteri, dell’Europa, per affrontare tali urgenze. Inoltre, ci sono altre emergenze, come quelle degli immigrati subsahariani che arrivano in Libia in cerca di lavoro, ma anche quelle dei migranti interni. C’è una zona tra Misurata e Sirte, quella di Tauarga, che è terreno di guerra, in cui la cittadinanza è stata di fatto trasferita a Tripoli, in due campi di rifugiati. Purtroppo, all’interno del Paese ci sono, dunque, tante piccole situazioni difficili, tutte da sanare. (cp)
Cellule staminali e fondi europei: dibattito a Bruxelles nella Settimana per la vita
◊ Settimana per la vita al Parlamento europeo: si tratta di un'iniziativa organizzata dal Partito Popolare, Ppe, in parallelo con la settimana di riflessione promossa dalla Comece, Commissione degli Episcopati Europei. Ieri pomeriggio, all'Europarlamento c'è stato il dibattito centrale sulle cellule staminali. Da Bruxelles, Fausta Speranza:
“Seriuos ethical issues...”
Le implicazioni etiche sono molto serie, lo sottolinea il direttore dell’Istituto di ricerca sulle terapie cellulari in Francia, prof. Colin McGuckin, e la sala piena conferma che c’è consapevolezza tra gli europarlamentari. McGuckin illustra le prospettive della cosiddetta medicina rigenerativa e poi spiega: “Le cellule embrionali non risolvono i problemi, bisogna investire in cellule staminali adulte”. McGuckin è chiaro: le cellule staminali adulte possono già ora curare più casi.
“Many scientists and ethicists…”
L’europarlamentare Maria Patrão Neves ricorda che molti scienziati lo sostengono da tempo e raccomanda dunque alla politica di ascoltarli ora che si parla di fondi. Infatti, il punto è che a Bruxelles si sta votando il programma sulla ricerca scientifica chiamato “Horizon” per il periodo 2014-2020. La linea di Bruxelles finora è stata chiara: "no" all’uso di embrioni. Ma l’europarlamentare Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, avverte:
“Nel 2006, è stato approvato il settimo Programma-quadro nel quale effettivamente si dice che non si danno fondi per uccidere embrioni e ricavarne cellule staminali ma si danno fondi per fare sperimentazioni sulle cellule staminali ricavate da embrioni che evidentemente qualcuno deve aver ucciso. Quindi, è un’ipocrisia. Noi chiediamo con forza che nessun euro dell’Unione Europea sia usato per la morte, ma che tutti devono essere usati per la vita e che quindi non siano erogati fondi per qualsiasi procedimento che utilizzi cellule staminali embrionali.”
Va ricordato il pronunciamento, l’anno scorso, della Corte di giustizia europea sul “caso Brüstle”:
“Si tratta della sentenza del 18 ottobre dell’anno scorso, molto importante. Ora, dinanzi alla Corte si è posto il problema se si debba conservare anche la primitiva cellula di un embrione e la Corte non solo ha detto di sì, ma ha anche detto che tutto questo avviene come conseguenza del riconoscimento della dignità umana di ogni essere umano fin dal concepimento. Adesso, è in corso una manovra per limitare gli effetti di questa importantissima sentenza al solo diritto brevettuale. Noi dobbiamo, anche da giuristi, lottare per far vedere il significato generale di questa importantissima sentenza”.
Resta da dire che, in base al Trattato di Lisbona, ora i cittadini hanno la possibilità di interpellare direttamente le istituzioni europee su alcune questioni. E presto partirà l’iniziativa dei cittadini in tema di tutela della vita. Nei prossimi mesi, si raccoglieranno le firme in tutti i Paesi europei per promuovere ricerca a favore della vita che significa anche migliore qualità della vita, ma senza fare nulla contro la vita di embrioni.
Disagi per i rifugiati: domande d'asilo in crescita. Rapporto Centro Astalli 2012
◊ E’ stato presentato a Roma il Rapporto annuale 2012 della Fondazione Centro Astalli. Il documento presenta una fotografia aggiornata sulla condizione di circa 32.600 rifugiati e richiedenti asilo che nel 2011 si sono rivolti alla sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati. Tra i dati più rilevanti spicca il raddoppio dei migranti che si sono rivolti al Centro Astalli rispetto all’anno precedente. Un aumento dovuto all’interruzione della pratica dei respingimenti e alla grave crisi economica che si è abbattuta con maggior violenza sui più vulnerabili. Stefano Leszczynski ha intervistato mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes:
R. – Certamente serve la consapevolezza che i richiedenti asilo sono cresciuti in questi anni e cresceranno sempre di più, soprattutto quelli provenienti da un continente – l’Africa – che ci è vicino di casa. Quindi non si può più affrontare il tema dei richiedenti asilo e della protezione internazionale semplicemente attraverso l’emergenza e l’improvvisazione, ma serve un piano e un progetto strutturale che coinvolga tutti i porti più importanti del contesto italiano e che comprenda – sul piano dell’integrazione – dei percorsi di accompagnamento nelle diverse città italiane. Su questo tema bisogna escludere ogni forma di ideologia che devia l’attenzione da queste persone, che sono invece una risorsa importante nella ricostruzione di una democrazia in Europa e di una qualità della democrazia in Italia.
D. – Spesso, tra l’altro, queste persone sono spinte alla fuga a causa di conflitti in cui l’Europa è, in un certo modo, coinvolta…
R. – Abbiamo un doppio dovere nell’accoglienza. Un primo dovere perché queste vittime sono vittime non solo di una guerra, ma poi sono vittime anche di una guerra che tante volte è cresciuta ed è avvenuta a causa di potenze europee, o di altre potenze mondiali. Su questo credo anche il diritto internazionale debba essere molto attento per quantificare anche il dovere e l’impegno dei diversi Stati in ordine proprio alla richiesta di asilo e alla costruzione di percorsi nuovi in questo senso. (mg)
Il cardinale Bagnasco ai parlamentari: rischio barbarie se si azzerano punti di riferimento
◊ “La gente guarda a voi e desidera sentirsi al primo posto nei vostri pensieri e nel vostro lavoro quotidiano”. Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha lanciato un invito all’impegno concreto ai parlamentari che hanno partecipato alla Messa prepasquale da lui presieduta ieri a Roma. Il porporato ha anche messo in luce come non si possano cercare linee mediane sui valori morali. Alessandro Guarasci:
Il cardinale Angelo Bagnasco aveva incontrato i parlamentari cattolici poco prima di Natale. Ora, in occasione della Pasqua, sempre nella Basilica di Santa Maria Sopra Minerva, pronuncia un’omelia che ribadisce “i valori morali” e le “linee portanti della natura umana”. Per il presidente della Cei, se “viene azzerato ogni punto di riferimento, il piano si inclina e si giunge ad autorizzare la barbarie rivestita di umanesimo e di fratellanza”:
“Allora si pretende di ridefinire anche l’uomo; ma egli non ci guadagna perché ha in se stesso la sua verità, è scritta nel suo essere che, pur vivendo nella storia, è anche metastorico”.
Dunque, “bisogna essere umili e vigili, perché lentamente ci si abitua a tutto: spesso basta ripetere in modo ossessivo la menzogna perché appaia vera”. E anche tra i cattolici, quando si cammina assieme le opinioni possono essere differenti, ma alla fine sui valori essenziali ci si ritroverà “pienamente”:
“I cattolici non vogliono imporre a nessuno un’etica confessionale. Purtroppo, sembra che gli attori culturali e comunicativi non vogliano ascoltare quanto si ripete da sempre, e cioè che il fatto che alcuni principi facciano parte del Vangelo non diminuisce la legittimità civile e la laicità dell’impegno di coloro che in essi si riconoscono: ‘La laicità vera, infatti, rispetta le verità che emergono dalla conoscenza naturale sull’uomo che vive in società’”.
Poi, ai parlamentari presenti tra i banchi della chiesa, un incoraggiamento a perseguire il bene comune: la gente desidera sentirsi al primo posto nei vostri pensieri.
Sudan: il nunzio a Khartoum auspica il dialogo tra nord e sud Sudan
◊ “Mi auguro che continui il dialogo politico tra le due parti, basandosi sulla buona fede e sull’accordo di Addis Abeba che prevedeva una fine delle ostilità” dice all’agenzia Fides mons. Leo Boccardi, nunzio apostolico in Sudan, in riferimento agli scontri di confine tra Sudan e Sud Sudan. “Questi scontri creano una impasse al negoziato, che dovrebbe regolare prima di tutto la questione delle zone di confine, poi quella del petrolio e infine quella relativa alla cittadinanza dei Sud-sudanesi che vivono nel Sudan, e viceversa lo status dei nord sudanesi presenti nel Sud Sudan” sottolinea il nunzio. Mons. Boccardi osserva che “le persone che vivono nei territori interessati dagli scontri tra l’esercito sudanese e le truppe dell’Spla (l’Esercito del Sud Sudan), sono costrette a lasciare i loro villaggi mentre si avvicina la stagione delle piogge, con tutto quello che comporta in termini di difficoltà di movimento e di mancata possibilità di semina. Gli uffici delle Nazioni Unite e qualche organizzazione umanitaria stanno cercando di portare aiuti, ma dato che sono zone interessate dalle operazioni militari, l’accesso non è aperto a tutti”. Sul piano militare, nelle ultime ore non sono stati segnalati combattimenti terrestri al confine tra i due Stati, anche se il Sud Sudan ha affermato che durante la notte gli aerei sudanesi hanno bombardato alcune aree di confine, un’accusa respinta da Khartoum. Oggi nella capitale etiopica, Addis Abeba, è previsto un incontro tra le delegazioni di Khartoum e di Juba con il dichiarato intento di mettere fine alle tensioni. (R.P.)
I cristiani armeni di Siria: sosteniamo i principi di giustizia, umanità e pace
◊ Preghiera e attesa, timori e speranze: con questi sentimenti la piccola comunità armena in Siria, perlopiù cristiana, vive l’attuale fase storica del Paese, contrassegnata da violenze, proteste, aspirazioni alla libertà e ai più elementari diritti. Lo riferisce l’agenzia Fides facendo un quadro degli armeni che vivono in Siria, che ricevono sostegno e solidarietà da tutti i confratelli in altre nazioni del mondo. Attualmente in Siria vivono circa 60.000-80.000 armeni, concentrati principalmente ad Aleppo, ma presenti anche a Damasco, Latakia, Kessab, Der Zor, Qamishli, Raqqa. “Per la maggior parte - spiega a Fides un fedele armeno siriano, che preferisce mantenere l’anonimato - gli armeni mantengono una posizione di neutralità nei confronti della crisi siriana ed è questa la posizione ufficiale della Chiesa armena. Molti fedeli preferiscono comunque la stabilità: un cambiamento fa paura, si teme una teocrazia islamica o uno stato di illegalità e instabilità”. A livello individuale, comunque, vi sono membri della comunità che partecipano alle proteste e si sono uniti all’opposizione, come hanno fatto anche alcuni alawiti, assiri e curdi. In generale, vi sono timori per il futuro delle comunità cristiane armene: in Siria, come in Medio Oriente, sono spesso percepite come “persone di passaggio nel Paese”. Ma, prosegue la testimonianza riportata da Fides, “se non si riesce a concepire gli armeni come parte integrante del tessuto sociale in Siria già oggi, come si potrà garantire il futuro della comunità domani?”. Si tratta dunque “di un periodo di incertezza per la comunità armena siriana”, riconosciuta ufficialmente come “comunità religiosa” e non come “comunità etnica”: “come cristiani armeni in questo Paese - conclude il fedele siriano - vogliano sostenere i principi di giustizia, umanità, pace e i diritti degli indigenti, rifiutando oppressione, ingiustizia e violenza”. (G.A.)
Giappone: l'arcivescovo di Nagasaki condanna la pena di morte
◊ La società giapponese "crede nel concetto di 'occhio per occhio, dente per dente'. Ma in questo modo rischia di rimanere cieca e di morire di fame". A parlare è l'arcivescovo di Nagasaki, mons. Giuseppe Mitsuaki Takami, che commenta all'agenzia AsiaNews le tre condanne a morte confermate oggi dal ministro nipponico della Giustizia. "Non posso parlare dei singoli casi, perché i dettagli non sono noti - continua il presule - ma di certo quella contro la pena di morte è una battaglia che va combattuta". Il Giappone ha eseguito oggi la condanna a morte di 3 detenuti, quasi due anni dopo le ultime esecuzioni capitali avvenute nel luglio 2010. I tre, tutti impiccati in prigioni diverse, erano stati riconosciuti colpevoli di vari omicidi. Secondo il ministro Ogawa, la pena di morte è sostenuta da oltre l'80 % della popolazione; tuttavia, le impiccagioni in Giappone sono sempre accompagnate da grandi polemiche. In prima fila contro le esecuzioni c'è da sempre la Chiesa cattolica: "Noi vescovi, tutti i vescovi giapponesi, siamo d'accordo con l'abolizione della pena di morte: non c'è alcuna differenza fra le nostre posizioni. Perché anche se a morire sono degli assassini, nella loro morte si verifica un nuovo omicidio: questa volta commesso dallo Stato. Bisogna rinnovare l'umanità del senso della vita in comune: dobbiamo tornare a considerarci tutti figli di Dio". Secondo mons. Takami "non si tratta soltanto di ragionamenti filosofici o religiosi. Va considerato che nel comminare la pena di morte si prende la decisione più pesante che un uomo possa prendere. E il sistema giuridico giapponese non è perfetto: si possono verificare anche degli errori giudiziari. In effetti se ne sono verificati molti, in passato. E da un'impiccagione non si può tornare indietro". L'arcivescovo di Nagasaki lotta da molti anni per far rifiorire l'amore per la vita nel suo Paese: "Insieme agli altri vescovi della Conferenza episcopale abbiamo pubblicato qualche tempo fa un testo intitolato 'Uno sguardo sulla vita'. Il Giappone deve riscoprire l'importanza e la bellezza del più grande dono di Dio, e la deve smettere con la mortificazione dell'uomo". Una parte della Conferenza episcopale, conclude il presule, "sta lavorando a una sessione di studio e di preghiera per chiedere di nuovo al governo l'abolizione della pena di morte. È una battaglia che possiamo prevedere molto dura, ma che non possiamo esimerci dal combattere". (R.P.)
Kenya: la Chiesa condanna la propaganda politica violenta
◊ La Chiesa mette in guardia dalla propaganda violenta e accusa i politici di infiammare il dibattito e destabilizzare la convivenza con “parole di odio”. In una nota diffusa oggi, il Consiglio nazionale delle Chiese del Kenya ha ammonito coloro che “demonizzano le istituzioni costituzionali” ricordando che “il caos generato all’indomani delle elezioni del 2007 fu il risultato di una campagna elettorale scellerata”. I rappresentanti cattolici - riferisce l'agenzia Misna - hanno anche chiesto agli elettori di valutare attentamente i candidati locali e le loro capacità prima di votarli “per evitare di essere bloccati e delusi per cinque anni con una leadership incompetente e corrotta”. L’ammonimento giunge in un clima di acceso dibattito tra le forze politiche, divise sulla data definitiva per il prossimo appuntamento con le urne. Il presidente Mwai Kibaki e alcuni ministri del governo di unità sostengono la data del 4 marzo 2013 proposta dalla Commissione elettorale nazionale mentre il primo ministro e i suoi alleati insistono per dicembre di quest’anno. Ad alimentare le polemiche tra l’opinione pubblica è anche la vicenda della Corte Penale Internazionale che ha emesso verdetti di incriminazione per i due principali candidati in pectore alla presidenza, Uhuru Kenyatta del Partito di unità nazionale (Pnu) e William Ruto del partito democratico arancio (Odm). (R.P.)
Trieste: giovani da tutta Europa per una "chiamata vocazionale"
◊ Quasi 10.000 giovani provenienti da tutto il Nord Italia e da altri 10 Paesi d’Europa hanno animato il Palasport di Trieste, domenica scorsa 25 marzo, per dire tutta la loro gioia di esserci e di essere cristiani oggi. A riunirli è stato l’invito dell’Iniziatore del Cammino Neocatecumenale, Kiko Argüello, e del vescovo della diocesi di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi, per fare loro l’annuncio dell’amore del Signore e coinvolgerli nella missione della Chiesa oggi. Provenivano quasi tutti da famiglie del Cammino Neocatecumenale di varie regioni del Nord Italia (3.500 i giovani del Triveneto; 1.800 i giovani della Lombardia, insieme ad altri gruppi del Piemonte e Liguria, un gruppetto pure da Roma), poi numerosi erano i giovani croati e sloveni; c’erano giovani dalla Bosnia, Serbia, Macedonia, Austria, Germania, Polonia, Francia, con un gruppo dalla Finlandia. Kiko, come spesso fa in questi annunci, ha preso spunto dalla seconda Lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (5,14) per fare presente l’amore di Cristo che ci urge dentro a non vivere più per noi stessi, ma per Colui che è morto ed è risorto per noi, per lanciarci dentro questa società di oggi, così sola e spaventata, che fugge da tutte le parti, con milioni di aborti…, "soffocata dalla paura della morte, perché senza la vita divina dentro, per dare a questa generazione - ha detto Kiko - un nuovo annuncio di vita e di speranza: la vittoria di Cristo su ogni paura, sulla morte". Da parte sua mons. Crepaldi, ha ringraziato i giovani per la loro presenza in una città già testimone, come tutte le città di confine, di tanti conflitti e divisioni. "Già la sola vostra presenza - ha detto ai giovani - è una testimonianza che dà speranza alla nostra città, ci dà una bellissima lezione, perché va oltre tutte le divisioni: tutto è possibile con la forza dello Spirito Santo". E la risposta dei giovani non si è fatta attendere. Infatti, quando Kiko, quasi al termine dell’incontro, ha chiesto ai giovani di rispondere all’amore del Signore e al suo desiderio di evangelizzare questa nostra generazione, specialmente in Asia, in Cina, ben 120 ragazzi sono corsi verso il palco per ricevere la benedizione e dare il loro nome perché, dopo un tempo di discernimento, se la chiamata del Signore verrà confermata, possano essere preparati al sacerdozio. Anche un’ottantina di ragazze hanno offerto la loro risposta per servire la nuova evangelizzazione in Asia. Commovente è stato pure l’ultimo atto della giornata, quando Kiko ha chiesto ai giovani di accompagnare le “missio ad gentes” (gruppi di tre o quattro famiglie, con i loro figli, che formano una comunità di evangelizzazione, che fa presente la Chiesa in quartieri totalmente secolarizzati di varie città dell’Europa) con la preghiera quotidiana del Rosario dinanzi al SS.mo. Rosario e giovani sembrerebbero oggi incompatibili ma lo spettacolo è stato toccante: a decine sono accorsi – ragazzi e ragazze – per offrire la loro generosa preghiera al Signore. (A cura di don Ezechiele Pasotti)
India. Gujarat: accuse di conversioni forzate per 32 bambini della Prima comunione
◊ Accuse di conversioni forzate in Gujarat su 32 bambini e ragazzi, per aver celebrato Prima comunione e Cresima. È accaduto nel distretto di Anand, dove le autorità locali hanno aperto un'inchiesta contro alcuni sacerdoti cattolici di due comunità nell'area di Khambhat. La denuncia giunge da un'associazione per i diritti umani di Petlad, che ha impugnato il Gujarat Freedom of Religion Act 2008, la legge anticonversione dello Stato. Per padre Cedric Prakash, presidente del Gujarat United Christian Forum for Human Rights, si tratta di accuse "infondate, ingannevoli e maliziose". "I bambini - sottolinea all'agenzia AsiaNews il gesuita - provengono da famiglie cattoliche, e le 'cerimonie' di cui si parla nelle denunce sono i tradizionali sacramenti della Prima comunione e della Cresima. È chiaro che citare la draconiana legge anticonversione del Gujarat non è applicabile in questi casi". Per Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), "la retorica hindutva si sta ormai diffondendo come un virus. Questa continua propaganda spinge gli ultranazionalisti indù ad autonominarsi difensori contro le conversioni forzate dei missionari, e la comunità cristiana è ogni giorno più vulnerabile. Gli estremisti godono della protezione politica, che dà loro piena licenza di perpetrare i loro attacchi con la consapevolezza che le vittime, e non gli aggressori, saranno arrestate. Proprio come è accaduto di recente in Madhya Pradesh". Il presidente del Gcic si riferisce a due incidenti accaduti il 25 marzo scorso in distretti diversi dello Stato. In quello di Chindwara, la polizia ha arrestato tre cristiani per accuse di conversioni forzate. Gli agenti hanno registrato le denunce contro Harichan Varti, Mayaram Padame e Santaram Parteti sotto varie sezioni del Codice penale, compreso il Madhya Pradesh Freedom of Religion Act 1968. Nel distretto di Barwani, nazionalisti indù hanno fatto irruzione durante un servizio di preghiera, a cui partecipavano un migliaio di fedeli cristiani. Il secondo giorno la polizia locale ha chiesto agli organizzatori di sgomberare l'area. I cristiani però hanno presentato i regolari permessi, e gli agenti hanno allora concesso di riprendere il servizio. Gujarat e Madhya Pradesh sono tra i sei Stati indiani che prevedono leggi anticonversione. Gli altri sono: Arunachal Pradesh, Chhattisgarh, Himanachal Pradesh e Rajasthan. Tuttavia, l'art. 25 della Costituzione del Paese garantisce la libertà religiosa come diritto fondamentale, incluso quello di praticare, diffondere e cambiare il proprio credo. Esperti legali giudicano queste leggi ambigue e inutili, dal momento che l'art. 295A del Codice penale indiano sancisce già gravi sanzioni per chi commette "atti deliberati e maligni, volti a offendere i sentimenti religiosi o qualunque classe sociale, insultando la sua fede o credo religioso". (R.P.)
Uruguay: dopo i casi di eutanasia la Chiesa riafferma la difesa della vita
◊ La popolazione dell’Uruguay è ancora sgomenta per la terribile situazione che è venuta allo scoperto pochi giorni fa, quando si è appreso che un gruppo di infermieri, in più di un ospedale, operava l'eutanasia senza alcun controllo. In questo contesto la Conferenza episcopale ha pubblicato una nota, in occasione della Pasqua, per manifestare i sentimenti dei cristiani dinanzi a questi fatti e per incoraggiare la difesa della vita in tutti i suoi momenti, da prima della nascita fino alla morte naturale. "Ci riferiamo - si legge nella nota firmata da mons. Carlos Collazzi, vescovo di Mercedes e presidente della Conferenza episcopale - in particolare ai crimini commessi contro le persone che erano in terapia intensiva, totalmente impotenti. Eleviamo la nostra preghiera per coloro che hanno visto le loro vite spezzate, per le loro famiglie in lutto e anche per gli autori di queste morti. Con tutta la società uruguayana, speriamo che le misure prese contribuiscano a ricostruire la fiducia nelle aziende sanitarie. Con la stessa sensibilità ricordiamo che il dibattito sulla depenalizzazione dell'aborto presto avrà una tappa decisiva nella Camera dei Rappresentanti. Anche qui siamo davanti a delle vite umane indifese. Riaffermiamo la nostra convinzione, sostenuta dalla scienza, che ogni vita che è nel grembo è quella di un essere umano che chiede di nascere e di continuare a svilupparsi in tutte le dimensioni dell'esistenza, e quindi di partecipare con tutti i suoi diritti e doveri alla vita della nostra società". (R.P.)
Cile: i vescovi per “una convivenza umana e senza violenza”
◊ L'arcivescovo di Santiago e presidente della Conferenza episcopale del Cile, mons. Ricardo Ezzati, ha pubblicato una dichiarazione, intitolata "Per una convivenza più umana e senza violenza", in cui sottolinea che la società cilena è commossa per la morte del giovane Daniel Zamudio, "la cui salute e situazione, abbiamo seguito in questi giorni con una speciale vicinanza e preoccupazione, pregando Dio per lui e per la sua famiglia". Circa 25 giorni fa una banda di giovani violenti ha aggredito Daniel Zamudio, 24 anni, solo perché omosessuale. Malgrado le cure mediche prestategli, non è riuscito a riprendersi ed è morto. Il testo della dichiarazione, pervenuto all’agenzia Fides, aggiunge che la morte di Daniel è avvenuta in circostanze "dolorose e ripugnanti, come la denigrazione della persona umana, che diventa intolleranza, aggressività e violenza, base sulla quale non si può costruire il futuro della comunità umana". Mons. Ricardo Ezzati ribadisce che, ancora una volta, la Chiesa pellegrina in Cile aderisce alla chiara posizione della Santa Sede, e cita il documento del 1986 della Congregazione per la Dottrina della Fede: "E' deplorevole che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di cattiverie verbali o azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei Pastori della Chiesa, ovunque questi si manifestino. Dimostrano anche una mancanza di rispetto per gli altri e mettono in pericolo i principi fondamentali sui quali si fonda una sana convivenza civile. La dignità intrinseca di ogni persona deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni. Nessuno può essere aggredito, insultato o escluso per motivi di razza, sesso, età, origine o convinzioni” ha ribadito l’arcivescovo Ezzati, aggiungendo che “l'aggressione che ha ucciso questo giovane, come tante altre espressioni di violenza contro le persone, non può lasciare indifferente la nostra società". La dichiarazione si conclude con la richiesta di approfondire le indagini su questo delitto, stabilire la verità e fare giustizia. L'arcivescovo Ezzati ribadisce la sua vicinanza alla famiglia di Daniel Zamudio. (R.P.)
Sri Lanka: collette quaresimali dedicate ai bambini non nati
◊ “Tutela della vita, per garantire il diritto dei bambini alla vita”. È il titolo del progetto dell’arcidiocesi e della Caritas di Colombo, in Sri Lanka, per destinare le collette della Quaresima ad un fondo dedicato ai bambini non ancora nati. Il progetto fa parte della Campagna della Conferenza episcopale dello Sri Lanka contro la proposta del governo di delegalizzare l'aborto. “Gli aborti sono in aumento in tutto lo Sri Lanka. Per proteggere i bambini e metterli al mondo, è necessario aiutare le madri in ogni modo possibile”: sono le parole del cardinale Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo, che ha annunciato l’iniziativa. “Usare le offerte quaresimali è un'ottima idea. Proteggere la vita è un bisogno della nostra epoca. Come cristiani, sappiamo che la vita è un dono di Dio e dobbiamo salvaguardarla sempre”, fanno sapere i cattolici locali. E’ di questi giorni intanto la decisione del ministro per lo Sviluppo del bambino e della donna, Tissa Karaliyadda, di rendere legale l'aborto “solo” per le minorenni vittime di stupro, per i concepimenti frutto di un incesto, per feti con deformazioni fisiche. Ma “la Chiesa cattolica - sottolinea all'agenzia AsiaNews l'arcivescovo Ranjith - è categorica: la vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto, dal suo concepimento alla sua fine naturale. Dal primo momento della sua esistenza, il feto è un essere umano e come tale gode del diritto inviolabile alla vita. Con la sua proposta, il governo tenta di legalizzare un omicidio”. Sulla stessa linea, le parole di padre Jude Raaj, direttore del movimento Seth Sarana: “La nostra missione è di sensibilizzare le persone sul valore dell'essere umano. Per questo, conduciamo seminari per maestri e insegnanti sui temi dell'aborto, su come proteggere la vita e come salvarla”. Nonostante l’interruzione di gravidanza sia illegale nell’isola, che conta circa 20 milioni di abitanti, i dati riportati da AsiaNews dicono tutt’altro. Lo Sri Lanka Family Health Bureau, organismo creato dal ministero della Salute, ha registrato negli ultimi anni un aumento dei casi: si parla di 700 al giorno nel 2008, per 250mila l’anno, saliti a 300mila nel 2011. Le stesse cifre del ministero della Salute parlano addirittura di 500 aborti al giorno solo a Colombo. Secondo attivisti e membri di Ong laiche e religiose - prosegue l’agenzia - le cifre ufficiali sono gonfiate ad arte per sostenere la proposta di legge del governo. (G.M.)
Orissa: dalla comunità cristiana messaggio di speranza ai detenuti
◊ A Phulbani, cittadina indiana nello Stato dell’Orissa, la comunità cristiana porta parole di speranza anche in carcere. Come riferito dall’agenzia Fides, il parroco della chiesa “Luce di Cristo”, padre Mathew Puthyadom, ha organizzato un incontro di preghiera con i detenuti, in vista della Pasqua. Sono 188 le persone che hanno beneficiato di questo intenso momento comunitario, tra le quali anche alcune di fede cristiana, falsamente accusate di essere implicate nell'omicidio del leader indù Laxmanananda Saraswati. L’assassinio, nel 2008, scatenò le accuse ai cristiani e fu il pretesto per la conseguente reazione di violenza indiscriminata contro la comunità, ad opera di gruppi fondamentalisti indù. Padre Puthyadom, grazie all’autorizzazione ricevuta dal sovrintendente del carcere, ha portato con sé 14 persone, tra cui alcuni figli dei detenuti, che hanno potuto vivere un momento molto toccante, di dialogo e preghiera. Con quanti passeranno la Pasqua in regime di detenzione, la delegazione cristiana ha condiviso un messaggio evangelico di gioia, di misericordia e di speranza. Una ventata di bontà e di novità, apprezzata anche dal personale di sicurezza e dalle autorità carcerarie. (G.M.)
Israele: la riforma degli alloggi sembra ignorare la comunità araba
◊ La riforma degli alloggi, di cui il primo ministro Benjamin Netanyahu si è fatto portabandiera ignora totalmente o quasi le necessità della comunità araba. A sostenerlo è un rapporto pubblicato dal ‘Dirasat – Arab Center for Law and Policy’ in occasione della ‘Giornata della Terra’ che ricorre domani. Nel documento, che porta la firma dell’avvocato Keis Nasser si sottolinea che le raccomandazioni espresse dal comitato Trajtenberg per le riforme socioeconomiche “non portano alcuna soluzione per il problema della carenza di alloggi nella comunità palestinese”. Basato su sopralluoghi, interviste e documenti del ministero degli Interni israeliano, il rapporto evidenzia i numerosi ostacoli che impediscono lo sviluppo di centri e villaggi palestinesi sul territorio israeliano. “Tali ostacoli – è sottolineato – che impediscono alla comunità araba di espandersi in maniera lecita, la costringono a costruire abitazioni abusive, sempre a rischio demolizione”. Per esempio il documento – di cui il quotidiano Haaretz risporta ampi stralci – cita la sospensione da parte del Distretto settentrionale per la pianificazione urbanistica delle costruzioni in 26 tra villaggi e conglomerati per “inadeguato sistema fognario”. Un cane che si morte la coda poiché, denuncia il rapporto “le risorse necessarie per migliorare le infrastrutture civili sono rese inaccessibili ai palestinesi dall’amministrazione centrale”. Nel presentare il rapporto, il direttore di Dirasat Yousef Jabarin ha citato la “massiccia e progressiva confisca di terreni alle famiglie palestinesi” tra le cause della penuria di abitazioni per la comunità araba. La riforma delle abitazioni – che prevede oltre alla realizzazione di case popolari anche pesanti sanzioni per le società di costruzione che cercano di speculare sulla crisi immobiliare – rientra in un vasto programma di riforme disegnato attorno alle raccomandazioni del comitato Trajtenberg “per il cambiamento economico e sociale”. Il comitato era stato creato dal primo ministro Netanyahu per andare incontro alle richieste della classe media e dei giovani, scesi in piazza nei mesi scorsi per lamentare l’aumento dei prezzi delle case e il carovita.(R.P.)
Slovacchia: le Chiese contribuiscono al programma del nuovo governo
◊ Il presidente della Conferenza episcopale slovacca, mons. Stanislav Zvolenský, e il suo vicepresidente, mons. Viliam Judák, hanno rappresentato la Chiesa cattolica alla tavola rotonda che si è tenuta ieri con i deputati di Direzione-Socialdemocrazia, il partito politico che ha vinto le elezioni politiche di marzo. Secondo mons. Zvolensky - riferisce l'agenzia Sir - la discussione si è incentrata sulla possibilità per varie istituzioni di contribuire al futuro programma del neoeletto governo. “Tra le priorità della Chiesa cattolica vi sono il sostegno alla famiglia, la difesa della vita, la domenica come giorno non lavorativo e la creazione di nuovi posti di lavoro”, ha affermato il presidente della Conferenza episcopale, esprimendo l’auspicio che venga predisposto un pari finanziamento per le istituzioni ecclesiali che operano nel campo sociale, sanitario e educativo. I rappresentanti delle Chiese, i datori di lavoro, i comuni e le istituzioni educative e scientifiche hanno 10 giorni di tempo per inviare le loro proposte scritte al team incaricato di redigere il programma del nuovo Governo. In seguito si terranno delle negoziazioni bilaterali per raggiungere un accordo tra le parti. (R.P.)
Malta: al via la “Settimana del sacrificio”
◊ “La gioia di dare”: questo il tema della “Settimana del sacrificio”, indetta a Malta dal Segretario diocesano per il sociale e la carità. L’iniziativa avrà inizio domani, venerdì 30 marzo e si concluderà il 6 aprile, Venerdì Santo. La scelta del tema, informa una nota della Chiesa maltese, vuole significare che “quando uno dona dal cuore, ottiene la felicità. Al contrario, l’egoismo provoca la soppressione del bene nelle persone, privando la vita del suo significato”. Durante la “Settimana del sacrificio”, continua la nota, in tutte le Chiese di Malta verranno raccolte delle offerte che permetteranno al Segretariato diocesano di continuare la sua opera di assistenza ai parrocchiani, in particolare ai più bisognosi. “Nel corso degli anni – informa ancora la Chiesa maltese – il Segretariato per il sociale e la carità ha ampliato i suoi servizi ed oggi, oltre ad offrire beni materiali alle persone in difficoltà, mette a disposizione anche il sostegno di un assistente sociale per incoraggiare le famiglie a sviluppare pienamente il loro potenziale, rafforzando la loro autostima”. Infine, il Segretariato garantisce un servizio di trasporto su mini bus per anziani e disabili. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 89