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Sommario del 28/03/2012
L'Avana. Benedetto XVI a Raúl Castro: il Venerdì Santo diventi festa a Cuba
◊ Benedetto XVI ha incontrato ieri al Palazzo della Rivoluzione a L’Avana il presidente cubano Raul Castro. La Chiesa cattolica ha rilanciato l'azione sociale che svolge nel Paese e si propone come interlocutore privilegiato, offrendo collaborazione sulla strada dei cambiamenti. Al termine dell’incontro, durato oltre 45 minuti, lo scambio dei doni. Il presidente Castro ha regalato al Papa una riproduzione in bronzo della Madonna del Cobre. Il Pontefice ha ricambiato con un facsimile della quattrocentesca ''Geographia''di Tolomeo. Da L’Avana, il nostro inviato Luca Collodi:
Benedetto XVI e Raúl Castro si sono incontrati ieri sera a L’Avana nel palazzo della Rivoluzione, sede del Comitato centrale del Partito comunista. E’ stato un colloquio “ lungo, cordiale e sereno”, ha spiegato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, sui temi della condizione del popolo cubano, “comprese tematiche di carattere umanitario”, e sulle attese della Chiesa al servizio del bene comune. Il Papa ha inoltre fatto una richiesta molto specifica che è quella della festività del Venerdì Santo.
In questi giorni, sono molte le occasioni in cui il Papa e Castro hanno espresso il loro pensiero in tema religioso e sociale. Benedetto XVI ha salutato i cambiamenti in corso a Cuba. Ha offerto collaborazione, ma chiesto passi avanti nel rapporto tra Stato e Chiesa. “Quando Dio è estromesso”, ha ricordato nella Messa per il 400.mo anniversario della Vergine della Carità, il mondo si trasforma in un luogo inospitale per l’uomo. Non è mancata la difesa della “famiglia fondata sul matrimonio” e la promessa di “portare nel cuore le preoccupazioni di tutti i cubani, tra cui i detenuti e i loro familiari”. Sul volo verso il Messico, il Papa aveva definito il socialismo “un’ideologia che non risponde più alla realtà”. Raúl Castro, sottolineando i “buoni rapporti” con la Santa Sede, ha criticato la politica americana nei confronti di Cuba. “La nazione più potente che abbia mai conosciuto la storia, ha cercato senza riuscirci di togliere la libertà al popolo cubano”, ha sottolineato il presidente cubano, ricordando l’embargo economico e finanziario imposto decenni fa al Paese dagli Stati Uniti. Prima di lasciare Santiago, nel pomeriggio di ieri, il Papa si è raccolto in preghiera nel Santuario del Cobre, luogo simbolo del cattolicesimo cubano, affidando il futuro del Paese alla Vergine perché avanzi nel cammino di rinnovamento e di speranza”:
“Ho pregato la Vergine Santissima anche per le necessità di coloro che soffrono, di coloro che sono privi di libertà, lontani dalle persone care o vivono gravi momenti di difficoltà. Ho posto, allo stesso tempo, nel suo Cuore Immacolato i giovani, affinché siano autentici amici di Cristo e non cedano alle proposte che lasciano tristezza dietro di sé”.
Il Santuario mariano della Caridad del Cobre, cuore cristiano di Cuba
◊ “Un regalo del Cielo per i cubani”: Benedetto XVI ha definito così la statua della Madonna del Cobre custodita nel Santuario mariano, che più di ogni altro luogo dell’isola esprime la devozione mariana dei cubani. Una presenza materna, quella della “Virgen de Mambisa”, che accompagna e protegge il popolo cubano da quattro secoli. Sulla storia della statua e del Santuario, il servizio di Alessandro Gisotti:
“Sembra una bambina!”. E’ l’esclamazione stupita di tre ragazzini, due indios e uno schiavo nero, che in una mattinata di quattrocento anni fa, a bordo di una canoa, trovarono in mare una statua prodigiosa. Juan Moreno, il più piccolo dei tre, ricorda, quasi 70 anni dopo, l’emozione dell’avvistamento: quello che da lontano sembrava un uccello o dei rami secchi, si rivela essere una piccola Madonnina con il Bambino Gesù tra le braccia. La statuetta, non più di 60 centimetri, poggia su una tavoletta con su scritto “Io sono la Vergine della Carità”. Fatto straordinario, i vestiti di stoffa della statua - pur galleggiando tra le onde - non sono bagnati. Inizia così, con la gioia di tre ragazzini per una scoperta prodigiosa, la storia della “Virgen de la Caridad del Cobre”.
La devozione per la Vergine si propaga rapidamente in tutta l’isola, tanto che già nel 1648 viene costruito un piccolo eremo per custodire la statua ribattezzata “Cachita”, diminutivo affettuoso di carità. Ma solo a fine ‘800 viene eretto un Santuario per i fedeli. La costruzione avrà però vita breve, perché nel 1906 l’edificio viene distrutto completamente da esplosioni nelle vicine miniere di rame. Il nuovo tempio, quello in cui si è recato pellegrino Benedetto XVI, viene dunque inaugurato nel 1927 per essere poi proclamato Basilica Minore nel 1977, per volere di Paolo VI. Nel 1998, infine, nel suo storico viaggio apostolico in terra cubana, il Beato Karol Wojtyla incorona la statua della "Virgen" come “Regina di Cuba”.
La Madonna del Cobre è chiamata dai cubani anche “Virgen de Mambisa”, con riferimento ai combattenti “mambises”, che guidarono la lotta d’indipendenza contro la Corona spagnola e che erano particolarmente devoti alla Vegine. Tantissime le persone, famose e comuni, che nei secoli hanno chiesto grazie alla Madonna della Carità. Una devozione visibile nel Santuario dove sono conservati numerosi oggetti ex-voto. Tra questi, anche la medaglia del Premio Nobel per la letteratura consegnato a Ernest Hemingway. Un gesto, spiegò il grande scrittore, per esprimere tutto il suo amore al popolo cubano.
Caritas Cuba: il futuro del Paese è nelle mani dei giovani
◊ Una delle realtà particolarmente attive a Cuba è la Caritas locale, che opera in collaborazione con le 11 circoscrizioni ecclesiastiche dell’isola. In prima linea – nell’aiuto alle fasce più vulnerabili della popolazione, come gli anziani ed i bambini, soprattutto quelli con difficoltà di apprendimento – Caritas Cuba ha allestito mense, progetti di educazione e formazione, programmi per la salute, seminari volti ad aumentare la consapevolezza sociale degli abitanti, operando in tutti i campi dell’assistenza umanitaria. Ma la povertà è un problema per il Paese? Il nostro inviato Luca Collodi lo ha chiesto a Maritza Sanchez Abillud, direttrice dell’Ufficio nazionale Caritas Cuba:
R. – Por supuesto, somos un país pobre...
Ovviamente, siamo un Paese povero e ci sono molte famiglie che vivono una situazione di povertà, soprattutto per le scarse risorse economiche.
D. – Lo Stato aiuta queste famiglie?
R. – El Estado ayuda, pero el Estado...
Lo Stato aiuta, ma non ha risorse. C’è un accesso gratuito alla sanità, accesso e obbligo all’educazione – obbligatoria fino al nono grado – però non ci sono risorse sufficienti e gli stipendi sono molto bassi. Non c’è corrispondenza tra il costo della vita e il potere d’acquisto. Anche quando si lavora, la remunerazione è molto bassa.
D. – La situazione degli anziani a Cuba qual è?
R. – Cuba es el segundo país mas envejecito...
Cuba è il secondo Paese più "vecchio" di tutta l’America Latina: attualmente, la popolazione con più di 60 anni è quasi il 18 per cento di quella totale. Ciò è dovuto, chiaramente, al fatto che l’aspettativa di vita si è alzata e inoltre al numero delle nascite, che è molto basso. Quindi, è un Paese povero con un numero di anziani talmente alto che, alla lunga, costituirà un problema. E’ una questione che preoccupa molto e per la quale bisogna lavorare e prepararsi. Quindi, una delle nostre linee di lavoro, all’interno del programma sulla terza età, è quella di far sì che gli anziani si mantengano in salute, perché possano restare nel loro ambiente familiare il più a lungo possibile e non debbano andare in un istituto, perché fra l'altro non ce ne sono a sufficienza e non c’è corrispondenza tra il numero di anziani che avrebbero bisogno di un aiuto del genere e il numero degli istituti che li assistono. Il nostro lavoro, dunque, è diretto anche a instaurare una collaborazione con gli anziani stessi, a insegnare loro i diritti, a promuovere la loro partecipazione come persone e come gruppo, perché si formino anche delle reti di aiuto e assistenza.
D. – I giovani vogliono restare a Cuba o preferiscono andare all’estero?
R. – Nosotros encontramos que un gran numero...
Troviamo che un gran numero di giovani abbia gli occhi rivolti ad altri Paesi e punti a realizzare i propri progetti all’estero: questo perché, a volte, qui non si trovano opportunità per lavorare nel proprio ambito e dunque si ritiene che un futuro di vita sia difficile, purtroppo, da concretizzare a Cuba. Una delle priorità, quindi, deve essere quella di soddisfare le necessità dei giovani, perché rimangano nel nostro Paese e perché possano fare qualcosa per il futuro della patria, perché è da loro che dipende il futuro del Paese.
D. – Il turismo sessuale è ancora un fenomeno preoccupante?
R. – Desgraciadamente sì, aunque la prostitucion...
Disgraziatamente sì, anche se la prostituzione a Cuba è proibita. Purtroppo, è uno dei mali che si è sviluppato con la crisi economica, con l’apertura al turismo, e che ancora rimane, con nostro grande dolore. Per me è davvero molto doloroso vedere ragazze e ragazzi che si prostituiscono. E’ un nostro problema sociale.
D. – La Caritas collabora con lo Stato nell’attività sociale?
R. – Sì. Afortunadamente en los últimos años...
Sì. Fortunatamente, negli ultimi anni godiamo di un migliore rapporto tra la Chiesa e lo Stato, di cui chiaramente beneficia la Caritas di Cuba. Credo che anche il nostro lavoro abbia aiutato a ottenere maggiore fiducia e conoscenza. Non vogliamo in alcun modo prendere il posto dello Stato, al contrario. Nella Dottrina sociale della Chiesa si dice che il nostro lavoro deve essere nel senso della sussidiarietà. E mi sembra che già si stiano raccogliendo i frutti del fatto che ciò è stato compreso e che ogni giorno possiamo lavorare insieme. E’ necessario che tutti gli attori collaborino: lo Stato, la Chiesa, le altre Chiese, tutti gli uomini e le donne di buona volontà, i cubani dentro e fuori del Paese. (ap)
Il commento di P. Lombardi: la Chiesa cubana è in rinascita
◊ Il Venerdì Santo sia festa per la Chiesa cubana. È questa la richiesta avanzata da Benedetto XVI nel suo incontro con il presidente Raúl Castro, avvenuto ieri a L’Avana nel pomeriggio cubano. Il lungo colloquio ha toccato i punti salienti della realtà civile ed ecclesiale dell’isola, come conferma il nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, al microfono del nostro inviato a Cuba, Luca Collodi:
R. – È stato un lungo incontro e questo è già un aspetto piuttosto significativo, perché il significato di questi incontri è anzitutto il fatto che delle persone si incontrino, e quindi si esce dalla formalità per entrare in un rapporto più approfondito. Anche per quello che era stato l’incontro tra Fidel Castro e Giovanni Paolo II, la dimensione personale era stata estremamente importante e aveva dato frutti significativi. Così, anche in questo viaggio direi che l’aspetto dell’incontro tra il presidente e il Papa – a parte i contenuti oggettivi che possono essersi comunicati – ha in sé un suo valore, proprio anche per la sua durata. E’ stato un incontro sereno e molto, molto cordiale.
D. – Sui contenuti c’è la possibilità di dire qualcosa?
R. – Si può dire certamente che hanno parlato della condizione attuale che vive il popolo di Cuba, la situazione del Paese e, per quanto riguarda il Papa, naturalmente, delle attese della Chiesa per una sua vita sempre più intensa, espressione sempre più piena della sua fede e, attraverso la sua presenza, anche nella vita del Paese. Il pellegrinaggio della Virgen de la Caridad, che ha occupato un anno e mezzo animando tutta l’Isola prima dell’inizio di quest’anno giubilare, è qualcosa che ha colpito profondamente anche le autorità cubane, perché è stato un segno della grande vitalità della Chiesa, del suo inserimento nella vita e nella sensibilità della popolazione, che in questo caso si è mobilitata anche al di là della cerchia più limitata dei praticanti, dei credenti nel senso più stretto. E questo dunque ha attirato l’attenzione e la stima delle autorità verso la Chiesa, ponendo certamente delle premesse di accoglienza per ulteriori passi in avanti. Il Papa ha anche fatto una richiesta molto specifica, che è quella della festività del Venerdì Santo: come nel viaggio di Giovanni Paolo II c’era stata la festività del Natale – riconosciuta come tale in conseguenza del viaggio di Giovanni Paolo II – così è una possibilità che il Venerdì Santo, che è sentito come giorno fondamentale anche nella tradizione religiosa dei cubani, possa essere riconosciuto maggiormente anche dalle autorità nella vita della nazione.
D. – In questi giorni, Cuba è al centro della presenza di tante persone. È a Cuba per delle cure mediche anche il presidente del Venezuela, Chavez, che ha voluto salutare il Papa senza – ha detto – voler interferire nell’agenda pontificia e del presidente Castro…
R. – Sì, mi sembra molto logico. Del resto, mi sarei stupito che il presidente di un altro Paese venisse durante una visita già breve e intensa, come è quella del Papa a Cuba, richiedendo un impegno specifico del Papa. Quindi, mi sembra buono quello che è stato detto e ci dà anche l’occasione di fargli, da parte nostra, gli auguri per la sua salute, perché sappiamo che è venuto qui a Cuba proprio per sottoporsi a delle cure. E, come è giusto, noi auguriamo che queste cure abbiano un buon successo.
D. – I media internazionali sono invece attratti da un possibile incontro con Fidel Castro…
R. – Sì e mi sembrano concentrati su questo in modo un po’ ossessivo, mentre ci sono anche altre dimensioni molto importanti di questo viaggio, specie quella del pellegrinaggio del Papa, ovvero il cuore, il motivo della sua venuta qui a Cuba. Naturalmente, da un punto di vista per così dire, simbolico, un incontro con un grande leader della storia cubana ha un suo significato e una sua importanza, e il Papa ha fatto capire di essere aperto a questa possibilità. Se avverrà, lo diremo.
D. – La presenza del Papa sta rafforzando la Chiesa a Cuba, il suo ruolo?
R. – Certamente. Soprattutto la rafforza interiormente, che poi è la prima cosa da cui possono seguire tutte le altre. La Chiesa vive a Cuba un momento felice, proprio perché questa celebrazione – il pellegrinaggio prima, e l’anno giubilare della Virgen de la Caridad – si manifestano, al di là di ogni aspettativa, come momenti di grazia e di rivitalizzazione interiore della Chiesa e del popolo cubano. Quindi, c’è una dimensione spirituale che non va dimenticata: a parte l’incoraggiamento che il Papa può dare con la sua presenza, il suo è un incoraggiamento che si inserisce su un momento di grazia profondamente religioso. (gf)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, sul viaggio del Papa a Cuba un editoriale del direttore dal titolo "La politica della carità".
In rilievo, nell'informazione internazionale, la Siria: Damasco accetta il piano dell'Onu.
Nella pampa con don Bosco dall'Amazzonia alle Ande: in cultura, Grazia Loparco su storia, memoria e storiografia salesiana in America Latina.
Un articolo di Simona Verrazzo dal titolo "Farmacia dell'anima e del sapere tra le Alpi svizzere": l'abbazia di San Gallo festeggia 1.400 anni di storia.
Decalogo americano: Gaetano Vallini e Giuseppe Fiorentino sui sorprendenti suggerimenti dell' "Our Sunday Visitor".
Roberto Cutaia su Rebora e il pericolo dell'"occhio abituato".
Siria, le ipotesi per chiudere la crisi. L'esperta: sarà un iter molto difficile
◊ Dopo il "sì" di Damasco al piano di pace delle Nazioni Unite, l’inviato Onu e Lega Araba, Kofi Annan, riferirà lunedì al Consiglio di sicurezza sulla sua missione per mettere fine al conflitto. In queste ore, si discute di Siria anche a Baghdad dove si sta tenendo il vertice della Lega Araba e in Iran dove è arrivato il premier Turco Erdoghan. Stefano Lesczczynski ha raccolto il commento di Maria Grazia Enardu, docente di Relazioni internazionali all'Università di Firenze:
R. – E’ un dato positivo, perché permetterà ad alcune persone di essere evacuate e curate. Ma il regime di Assad sta semplicemente provando anche questo: a comprare tempo e a perdere tempo.
D. – Qual è la strategia che i Paesi limitrofi, in particolare i Paesi arabi, stanno cercando di adottare nei confronti della Siria?
R. – Il problema della Siria è che è un Paese letteralmente incastonato tra tre Paesi arabi – Iraq, Libano e Giordania – un Paese non arabo come la Turchia e un altro Paese non arabo come Israele. Non si può trovare un accordo, perché il collasso della Siria, che sarà inevitabile e lungo, porterà disordine. Nessuno è in grado di decidere o di discutere efficacemente, perché toccherebbe interessi che non ha intenzione di toccare.
D. – Sempre più intensi sono i contatti tra le formazioni dell’opposizione, Assad e i membri della comunità internazionale. Tuttavia, l’unico punto che non è contenuto nel piano di Kofi Annan è proprio quello delle dimissioni del presidente...
R. – Il problema delle dimissioni di Assad è che è una questione puramente teorica. Non è lui che si deve dimettere, ma il regime. Lui è sostenuto da una minoranza alla guida – che in qualche modo è solidale – e da parte dei sunniti che sono stati solidali con gli Assad per 40 anni: gente che è disposta a combattere alla morte, anche perché sa che una volta crollato il regime, le vendette incrociate sarebbero terribili. E’ gente che non si arrenderà.
D. – In sostanza, alla fine, come bisogna considerare questo piano delle Nazioni Unite?
R. – Il conflitto andrà avanti. Il fatto, però, che Kofi Annan riesca a parlare in vario modo con tutti i soggetti – non dimentichiamo la Cina e la Russia – è già un passo avanti. Ma se tutti insieme, i grossi attori della scena, non decidono di chiudere il regime di Assad in un vicolo assolutamente cieco, in Siria si continuerà a combattere finché saranno stravolti. (ap)
Tensioni al confine del Sud Sudan. Preoccupato il nunzio, mons. Boccardi
◊ Dopo due giorni di scontri, ieri sera, sono cessati i combattimenti tra le truppe del Sudan e del Sud Sudan lungo le zone petrolifere di confine contese tra i due Paesi. Intanto cresce la preoccupazione – esternata anche dal nunzio apostolico mons. Leo Boccardi – per il rinvio della visita nella capitale del Sud del presidente sudanese, Omar al Bashir, che aveva lo scopo dichiarato di ratificare l’accordo di libera circolazione dei profughi tra i due Stati. Il servizio di Marco Guerra:
L'aviazione sudanese ha condotto nella notte un raid nello Stato di Unità, in territorio del Sud Sudan, ma da ieri nessun combattimento a terra è stato segnalato, così come nell'area petrolifera di Heglig che rientra nel Sudan. I due governi si rimpallano le responsabilità degli scontri e annunciano di aver respinto le forze avverse, tuttavia in entrambe le capitali si minimizza la portata delle violenze e si esclude la volontà di riavviare una vera guerra. Il presidente sudanese, Omar al Bashir, ha però rinviato la visita al Sud, prevista per il prossimo 3 aprile, che aveva lo scopo dichiarato di ratificare gli accordi di libera circolazione dei profughi tra i due Stati. Il nunzio apostolico, mons. Boccardi, ha auspicato una rapida firma dell’intesa che estenderebbe la libertà di residenza, lavoro, movimento, e proprietà a migliaia di persone. Ma sulla condizione dei profughi nelle zone di confine ascoltiamo il portavoce di "Medici senza frontiere", Sergio Cecchini:
"Da novembre stiamo riscontrando un continuo deterioramento delle condizioni di sicurezza, al confine tra Sudan e Sud Sudan. In questo momento riscontriamo una situazione estremamente drammatica nei campi di Doro e Jamam, dove 80mila rifugiati si sono accampati - in fuga dagli scontri - nel Blue Mile. Raccontano di costanti bombardamenti e scontri, che non gli permettono di tornare alle loro abitazioni nei loro Paesi. È una situazione da corsa contro il tempo: la stagione delle piogge si sta avvicinando, è prevista che arrivi a fine aprile e poter portare aiuti in queste zone remote, in queste zone disagiate, diventerà praticamente impossibile"
Egitto: 11 delegati abbandonano la Costituente per la presenza di troppi islamisti
◊ Si apre oggi in Egitto, non senza tensioni, la Costituente che avrà il compito di delineare il nuovo volto del Paese. Dei 100 delegati eletti, undici esponenti liberali ed attivisti si sono dimessi per protestare contro la presenza massiccia di islamisti nell'organismo che dovrà riscrivere la Carta fondamentale. Tra loro, anche la copta, Mona Makram Ebeid, una delle sei donne presenti nell’assemblea, per anni parlamentare e attualmente docente di Scienze politiche all'American University del Cairo. “Lascio per la connotazione islamista e per la minima presenza di donne'', ha scritto su Twitter. Attese manifestazioni e proteste. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Francesca Paci, esperta dell'area egiziana del quotidiano La Stampa:
R. - Bisogna dire che tutto questo era già prevedibile esattamente un anno - a marzo della scorso anno - quando l’Egitto, poco dopo la caduta di Mubarak, votò il referendum su come riscrivere la Costituzione. Ci fu una prima vittoria dei Fratelli musulmani e dei partiti religiosi in generale, perché i liberali - quelli che oggi stanno lasciando la Costituente assieme agli attivisti dei diritti umani - all’epoca erano per il “no” al referendum, perché avrebbero voluto che la Costituzione fosse riscritta prima di andare a votare, in modo tale che si "blindasse" e non fossero quindi i vincitori delle elezioni a poter avere il peso maggiore sulla Costituente. All’epoca, i Fratelli musulmani vinsero e quindi il referendum stabilì che a riscrivere la Costituzione sarebbero stati coloro che si sarebbero affermati alle elezioni. Dalle varie tornate elettorali è poi emersa questa fortissima presenza di partiti religiosi: i Fratelli musulmani - in grandissima parte - e la novità dei salafiti, che insieme rappresentano quasi il 50 per cento del Parlamento. Questo è l’antefatto importante per capire cosa sta succedendo.
D. - Domani, si annunciano manifestazioni di piazza e ci sarà la prima seduta della Costituente: l’avvio dei lavori è tutt’altro che semplice.
R. - L’Assemblea costituente è composta da 100 personalità ed è stata messa in piedi soltanto tre giorni fa: sono già 11 - ad oggi - i liberali e gli attivisti che si sono sfilati per protestare contro la presenza massiccia degli islamisti e la presenza ridotta non solo delle donne, ma anche delle minoranze. Su cento personalità, ci sono sei copti e sei donne. Tanto è vero, che fra quelli che se sono andati, c’è anche Mona Makram Ebeid, che era una delle sei donne che faceva parte della Costituzione: una copta, un’attivista dei diritti umani e una docente all’American University del Cairo; una persona importante in Egitto che se ne è andata… Ovviamente, a questo punto lo scenario che si prospetta non è roseo, anche perché la Costituente ha sei mesi per riscrivere la Costituzione egiziana, definendo quelle che saranno le linee-guida del Paese a venire: che tipo di Paese sarà e quanto peso avrà la presenza delle religione islamica nella politica.
D. - Alcuni osservatori internazionali ribadiscono, comunque, che i Fratelli musulmani sono una realtà con la quale si può dialogare…
R. - Quelli che si stanno sganciando dalla Costituente dicono che si tratta di una grande delusione, perché i Fratelli musulmani si stanno prendendo tutto quello che possono senza rispettare le minoranze. E questo è un pessimo auspicio per il Paese che verrà. D’altra parte, sullo scenario internazionale, ci sono dei segnali diversi. I Fratelli musulmani, per esempio, si sono riposizionati rispetto alla questione israelo-palestinese: loro che erano tradizionalmente dei fortissimi sostenitori di Hamas e dei nemici giurati di al-Fatah - considerato un “burattino dell’Occidente e di Israele” - hanno ora preso le distanze da Hamas, dicendo che si metteranno nel mezzo, perché un conto era quando si trovavano all’opposizione e un conto è ora che sono al governo. Hanno quindi aperto tutte le porte al dialogo con al-Fatah, ribadendo che non hanno intenzione di mettere in discussione gli accordi di Camp David con Israele. Questo è un segnale interessante. (mg)
"Prima la vita, poi il profitto". Parte la campagna di Msf a favore dei farmaci generici
◊ E’ partita da Roma, ieri, e proseguirà a livello mondiale, la mobilitazione di Medici senza frontiere (Msf) per fermare l’attacco delle multinazionali farmaceutiche ai farmaci generici. "Prima la vita, poi il profitto", questo il nome della campagna, avrebbe dovuto anticipare di poche ore la sentenza, attesa per oggi, della corte suprema dell’India, chiamata ad esprimersi contro o a favore della casa farmaceutica Novartis. La decisione dei giudici però è stata rimandata a luglio, un ritardo che rischia, denuncia Msf, di diluire e depotenziare le azioni messe in atto per sensibilizzare l’opinione pubblica sul caso. In caso di vittoria della Novartis, le conseguenze cadrebbero sull’accesso a farmaci generici di qualità a basso costo per le persone nei paesi in via di sviluppo. Francesca Sabatinelli ha intervistato Sergio Cecchini, responsabile comunicazione Msf:
R. – L’India è considerata la “farmacia” dei Paesi in via di sviluppo. Basti pensare che l’80 per cento dei farmaci generici destinati ai Paesi poveri viene prodotto dall’India stessa. La Novartis, sei anni fa, ha fatto una causa contro una legge indiana – quindi contro lo Stato indiano – che impediva il rinnovo del brevetto ventennale sui farmaci e sulle nuove formulazioni dei farmaci che non prevedessero significativi benefici per i pazienti. Se la Corte suprema indiana dovesse dare ragione alla Novartis, questo rappresenterebbe un pericoloso precedente, che potrebbe essere impugnato da qualunque casa farmaceutica. E sicuramente, prima o poi, verranno toccati i farmaci antiretrovirali per la cura dell’Hiv-Aids, chi ne pagherà le conseguenze saranno quei milioni di persone che, ogni giorno, lottano per sopravvivere all’Hiv e all’Aids e che, negli ultimi anni, avevano visto una speranza di vita grazie all’introduzione dei farmaci generici.
D. – Di quale farmaco si tratta, in questo caso della Novartis?
R. – La Novartis, sei anni fa, ha apportato delle modifiche ad un antitumorale, che si chiama Glivec. Modifiche che, da un punto di vista terapeutico, sono state ritenute insignificanti dalle autorità indiane. A quel punto, la Novartis ha deciso di fare causa al governo indiano per poter vincere e avere un’ulteriore estensione del brevetto su questo farmaco per altri 20 anni. Per fare, quindi, profitti per altri 20 anni su un farmaco e su una modifica che non avevano dei reali benefici sui pazienti.
D. – Dal punto di vista economico che cosa significa, per un cittadino indiano o per un abitante del resto dei Paesi in via di sviluppo, l’accesso ai farmaci generici piuttosto che a quelli delle multinazionali?
R. – Un dato molto semplice, che è un dato economico, di costo: prima dell’introduzione dei farmaci generici, una terapia antiretrovirale costava oltre 10 mila dollari l’anno per paziente. Il costo, quindi, era insostenibile per qualsiasi persona vivesse nel Sudest asiatico o in Africa, ed è un costo insostenibile anche per i Ministeri della salute dei Paesi poveri. Con l’introduzione dei farmaci generici, questo costo è crollato da 10 mila dollari l’anno per paziente a 110 dollari. Ecco, quindi, che milioni di persone hanno potuto sottoporsi al trattamento e oggi l’Aids, per milioni di persone, non rappresenta più una condanna a morte ma una malattia che può essere curata attraverso questi farmaci. Se vengono attaccati, e se viene aumentato il loro costo, milioni di persone non avranno più diritto a queste cure.
D. – C’è un precedente: nel 2000, in Sud Africa, si creò la stessa situazione. Cosa accadde in quel caso specifico?
R. – E’ accaduto che il consorzio di tutte le multinazionali farmaceutiche, il cosiddetto “Big Pharma”, facesse una causa al governo sudafricano che aveva immesso, nel proprio mercato, farmaci generici per la cura dell’Hiv-Aids perché non poteva sostenere il costo per curare i propri malati, i propri cittadini, affetti da quella malattia. “Big Pharma” fece questa causa e nacque una mobilitazione internazionale, che ha visto la partecipazione della società civile sudafricana, di moltissime organizzazioni umanitarie e non governative, di star del mondo dello spettacolo e della cultura, e una mobilitazione internazionale dei mezzi di informazione per impedire che vincesse una logica del profitto delle multinazionali farmaceutiche sul diritto alla salute del governo sudafricano. Oggi, purtroppo, quel tipo di attenzione e di mobilitazione non lo stiamo riscontrando nei confronti dell’India.
D. – Questa mobilitazione toccherà diverse città del mondo per arrivare poi a Mumbai. Oggi (ieri - ndr) siete davanti Montecitorio: per chiedere cosa alle istituzioni italiane?
R. – Per chiedere due cose. La prima, che riguarda il Fondo Globale per la lotta all’Hiv-Aids, è quella di rispettare gli impegni presi. Dal 2009, l’Italia non dà finanziamenti al Fondo Globale, non rispettando perciò quanto promesso. Il Fondo Globale è uno strumento importantissimo per la lotta all’Hiv e all’Aids, ed è uno strumento che fu creato proprio in Italia, durante il G8 di Genova del 2001. Per cui, su questo, il ruolo dell’Italia è anche simbolico. Inoltre, chiediamo all’Italia di farsi portavoce, all’interno dell’Unione Europea, per impedire che nuovi accordi commerciali tra Unione Europea ed India vadano a limitare la produzione e l’esportazione dei farmaci generici verso i Paesi poveri.
D. – Risposte, fino ad oggi?
R. – Nessuna. (vv)
Roma: inaugurato il nuovo Centro Caritas per i rifugiati e le vittime di tortura
◊ E' stato inaugurato ieri, a Roma, un nuovo Centro della Caritas per i rifugiati e le vittime di tortura. La struttura, che si trova a pochi passi da Campo de’ Fiori, è specializzata nell’assistenza psicologica di persone provenienti dai contesti più difficili del mondo. Il servizio di Eugenio Bonanata:
La violenza genera anche pesanti traumi psicologici, i cui effetti durano decenni. Le chiamano le "ferite invisibili" e colpiscono più di un miliardo di persone. Stella da Silva è coordinatrice del nuovo Centro romano:
"Hanno paura. Hanno tanta paura, per via degli eventi traumatici che hanno subìto, e questi sintomi sono un ostacolo per l'integrazione. Noi, perciò, cerchiamo - attraverso il lavoro della psicoterapia - di aiutarli a lavorare su questa loro esperienza, perché possano veramente costruirsi una nuova vita. Possano rinascere, come diciamo noi".
L’obiettivo dei migranti e dei richiedenti asilo è quello di trovare lavoro. Senza aiuto, però, sono costretti a vivere ai margini della società. Salvatore Gerace è responsabile dell’area sanitaria di Caritas:
"Chi vive su strada, e non è abitauto a viverci, è come se subisse costantemente delle torture. Troviamo gli stessi sintomi. In quel caso, però, è molto più difficile, perchè non c'è quella rete sociale che invece serve per il sostegno di queste persone. E' una sfida. Una sfida dove serve il contributo di tutti".
Il Centro romano sorge nell’abito di un progetto della Caritas attivo da diversi anni, che nel ne primo trimestre del 2012 ha curato una cinquantina di pazienti. Quest’anno, quelli provenienti dalla Costa d’Avorio hanno superato gli afghani:
"In Afghanistan, sono soprattutto minori, quindi la situazione è piuttsto critica. Si tratta di persone che hanno visto morire i genitori, che hanno viste violentate le madri. Sono situazioni veramente drammatiche".
Nella struttura lavora una ventina di persone, tra specialisti e volontari. Tra di loro, anche la psicologa Cristina Caizzi, che spiega l’obiettivo primario della terapia:
"Nella loro storia, queste persone sono state attaccate da esseri umani, che in qualche modo le hanno private del loro diritto di essere esseri umani, della loro identità. Fanno quindi fatica a fidarsi nuovamente di altre persone che si propongono, anche se per aiutarle. Il primo passo è proprio quello dell'accoglienza e della creazione di una relazione di fiducia".
◊ I cristiani nella penisola araba sono una minoranza che vive la propria fede con difficoltà. Spesso lavoratori immigrati in Paesi musulmani, che non riconoscono loro la cittadinanza, sono scarsamente tutelati e hanno pochi luoghi dove riunirsi. Sulle condizioni in cui la Chiesa cattolica opera, Michele Raviart ha intervistato mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale, un’area che conta circa due milioni e mezzo di cattolici in Yemen, Oman ed Emirati Arabi Uniti:
R. - È chiaro che le condizioni nelle società del Medio Oriente hanno un colore particolare. L’essere migranti senza cittadinanza, essere esposti anche a tutte le possibilità di discriminazione, sono situazioni in cui l'approfondire la relazione con Dio e tra le persone può essere un aiuto. Nelle comunità cristiane, soprattutto in questi giorni che ci portano verso la Pasqua, viviamo un’intensità che non avevo mai trovato prima, nemmeno in Europa o nella mia patria.
D. - I cristiani, nella penisola araba, sono spesso immigrati che lavorano al servizio della classe dirigente: da dove provengono?
R. - Dal mondo intero. La maggior parte proviene dalle Filippine, dall’India. Numerosi immigrati di lingua araba vengono dei Paesi del Vicino Oriente, dal Libano, dalla Siria e così via, poi dall’Europa, dalle due Americhe. Per questo, abbiamo bisogno di una lingua comune, che è l’inglese, perché è l’unico veicolo che ci permette, più o meno, di essere in comunione con tutti.
D. - Nella penisola c’è una carenza di luoghi di culto, spesso concessi in forma privata dalle autorità. Dove si riuniscono i cristiani?
R. - Di solito, in questi posti che ci sono stati concessi. Talvolta, si organizzano tra loro secondo le possibilità riunendosi nelle case private. Altre volte, per la catechesi, prendono in affitto una casa per un week-end.
D. - Quali sono i rapporti con le autorità politiche e con i cittadini?
R. - Con le autorità politiche di solito i rapporti sono abbastanza buoni. Non dimentichiamo che, su sette Paesi, cinque hanno rapporti diplomatici con la Santa Sede. I canali ci sono, i rapporti - secondo me anche troppo - dipendono dai rapporti personali. I rapporti con la popolazione musulmana dipendono un po’ dal Paese dove ci troviamo. È chiaro che la situazione degli Emirati Uniti, dove soltanto il 20% della popolazione è cittadino, è diversa da quello dello Yemen, dove gli stranieri sono una minoranza e, all’interno di questa, i cristiani sono molto pochi.
D. - Quali sono le più grandi difficoltà che incontra l’azione pastorale?
R. - C’è una difficoltà a livello pratico. Abbiamo un problema permanente, che è quello di non avere sufficiente spazio per accogliere il grande numero dei fedeli. Quando invece ci spostiamo al livello del contenuto, sicuramente riscontriamo il problema dell’esperienza del povero. E con questo non mi riferisco unicamente alla povertà materiale che esiste anche da noi, ma di quella povertà che è quella di non avere delle sicurezze. L’unica sicurezza che abbiamo è quella che riceviamo dal Signore.
D. - Che tipo di assistenza materiale offre la Chiesa?
R. - Questa gente molto spesso ha dei problemi a livello sociale, che non sempre siamo in grado di risolvere. Qualche volta riguardano debiti materiali, vanno in prigione, superano il tempo di permanenza concesso del loro visto e quindi devono pagare delle multe. Noi, in quanto Chiesa, abbiamo iniziato in alcune parrocchie dei programmi di educazione su come gestire le finanze, per aiutare queste persone e far sì che non cadano nella trappola dei debiti.
D. - Una sua testimonianza personale: cosa vuol dire essere pastore nella penisola arabica?
R. - Cerco di essere un uomo di fede, di preghiera, perché questa è la base. Perché davanti a queste sfide la soluzione non si trova solo con la saggezza umana. Visito tutte le parti del mio vicariato, incontro non soltanto i sacerdoti ma anche la gente. Non ho mai predicato tanto come ora, secondo quello che Gesù ha detto a Pietro “Ti prego di rafforzare la fede dei tuoi fratelli”: questo è quello che anche io devo fare. (bi)
Un libro sulle "grandi omelie" di Benedetto XVI. Intervista con mons. Leuzzi
◊ La gioia della Resurrezione da annunciare a tutti e un testo che vuole essere una sorta di consegna del testimone di questo annuncio di speranza. E’ l’obiettivo del libro "La nuova creazione nella storia. Le grandi omelie pasquali di Benedetto XVI", edito dalla Libreria Editrice Vaticana e presentato ieri pomeriggio nella Sala Marconi della nostra radio. Il volume, raccoglie tre omelie pronunciate dal Papa nelle Veglie Pasquali del 2007, 2008 e 2009, con gli approfondimenti di alcuni docenti, che hanno partecipato nei mesi scorsi al secondo ciclo delle Letture teologiche su questo tema, ospitato nel Palazzo Lateranense della capitale. Marina Tomarro ha intervistato il curatore del testo, monsignor Lorenzo Leuzzi, vescovo eletto per la diocesi di Roma:
R. - Il volume nasce da un’esperienza, ormai al secondo anno, che è quella di offrire a un pubblico molto più ampio - oltre quindi la diocesi di Roma - tematiche che nascono dai discorsi importanti di Benedetto XVI. Grazie alla solerzia dei redattori, abbiamo potuto subito mettere in atto la pubblicazione che può servire per il tempo pasquale, perché le omelie del Papa sono tutte incentrate sul mistero pasquale. Dunque, una grande occasione per essere guidati da lui, per capire e vivere tutto il cammino pasquale della Chiesa.
D. - Secondo lei, quali sono i contenuti più importanti di queste tre omelie?
R. - Credo ci sia questo legame che unisce le tre omelie, ma anche le altre omelie pasquali: ovvero, l’idea che l’esperienza del Battesimo non è un fatto puramente religioso, di carattere culturale. L’evento battesimale, che si aggancia direttamente all’esperienza del mistero pasquale - di cui è la fonte, la sorgente - raggiunge l’uomo e lo trasforma nella sua esistenza più profonda. Per questo, l’uomo può davvero comprendere fino in fondo la sua identità. E in questo contesto sociale come quello contemporaneo, dove l’uomo rischia di perdere la propria identità, ciò permette di trovare quel fondamento che gli consente di costruire la storia senza però essere annientato, senza essere annullato, ma addirittura di essere davvero protagonista. Le omelie pasquali - a mio parere - raggiungono questo grande obiettivo, cioè di aiutare l’uomo a non perdere la speranza di costruire un futuro dove l'uomo stesso sia promosso per quello che è e non per quello che ha.
D. - Nel libro si parla anche della ricerca del vero volto di Dio nella storia. In che modo l’uomo contemporaneo può trovare il vero volto di Dio?
R. - Trovare il vero volto di Dio significa che oggi l’uomo non deve, non può fermarsi a una semplice riflessione religiosa, a una semplice esperienza religiosa. La società contemporanea, con i suoi ritmi, con le sue interpellanze, e anche con le sue difficoltà, invita e stimola l’uomo a non fermarsi al primo Dio, ma di cercare in profondità. (bi)
Colletta della Messa del Papa di Giovedì Santo per i profughi siriani
◊ Donare le offerte raccolte durante la Messa vespertina del Giovedì santo, che sarà celebrata in San Giovanni dal Papa, in favore dell’assistenza umanitaria ai profughi siriani “è un gesto molto generoso da parte del Santo Padre nei confronti della immane sofferenza del nostro popolo, che vive anche le conseguenze dell’embargo”: è quanto dice all’agenzia Fides mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco. L’arcivescovo informa che già il giorno dopo, il Venerdì Santo, il Pontificio Consiglio Cor Unum invierà la somma raccolta alla Caritas Siria, che la utilizzerà per assistere le vittime di guerra. “E’ un gesto di vicinanza e solidarietà che ha un forte significato per noi, in questo tempo quaresimale e di grande sofferenza: ci fa sentire la Chiesa universale vicina ai suoi fedeli in difficoltà” prosegue l’arcivescovo. “Teniamo ben presenti e auspichiamo si realizzino i messaggi inviati da Benedetto XVI per il cessate il fuoco, la pace, il dialogo, la libertà in Siria”, conclude. Oltre 20.000 profughi siriani, in fuga dal conflitto, hanno già varcato la frontiera con il Libano, e l’esodo continua. Padre Simon Faddoul, presidente della Caritas Libano, dice allarmato a Fides: “Negli ultimi due giorni abbiamo accolto altre 100 famiglie, ed è una stima per difetto, mentre il flusso di rifugiati non si ferma. La situazione peggiora vistosamente e siamo già in piena emergenza. I nostri volontari fanno il possibile per essere vicino alla gente, che arriva stremata e provata psicologicamente”. L’aiuto del Santo Padre “è una iniziativa meravigliosa, che ci incoraggia molto”, dice il presidente della Caritas Libano. “Ringraziamo il Santo Padre e i suoi collaboratori per questa sensibilità. Il Papa si mostra vicino a tutti coloro che soffrono nel mondo ed è vicino al dramma del popolo siriano. Speriamo e preghiamo che la sofferenza del popolo siriano abbia presto fine”. (R.P.)
Mali: i leader religiosi incontrano il presidente deposto dai golpisti
◊ “Ieri pomeriggio i capi religiosi che stanno conducendo un negoziato per risolvere la crisi provocata dal golpe, hanno incontrato i capi della giunta militare. In seguito hanno potuto visitare i ministri del governo deposto, che sono detenuti dai soldati, per accertarsi delle loro condizioni. Hanno anche avuto un breve scambio di saluti con il Presidente Amadou Toumani Touré. Sembra che le condizioni dei detenuti siano migliorate rispetto a qualche giorno fa” dice all’agenzia Fides don Edmond Dembele, segretario della Conferenza episcopale del Mali. I militari che hanno preso il potere con il golpe del 22 marzo, hanno annunciato ieri l’adozione di una nuova Costituzione, che stabilisce un periodo di transizione durante il quale il Paese sarà governato dalla giunta (che si è data il nome di Comité National pour le Redressement de la Démocratie et la Restauration de l'Etat), nessun membro della quale potrà candidarsi in seguito alle elezioni presidenziali e legislative. “Non sappiamo ancora quale sia la reazione della società civile al progetto di Costituzione presentato ieri sera dalla giunta militare” dice don Dembele, che aggiunge: “Sono previste alcune manifestazioni per oggi. In particolare alcuni partiti politici ed associazioni hanno organizzato una marcia di sostegno ai golpisti”. Don Dembele ha fatto parte della delegazione dei leader religiosi cattolici, protestanti e musulmani, che hanno ieri incontrato i partiti che appoggiano i militari golpisti. “Abbiamo voluto comprendere meglio la loro posizione. Hanno risposto che, a loro avviso, la democrazia necessita di maggior rigore e che, secondo loro, c’è troppo lassismo nella gestione dello Stato e che quindi occorreva un cambiamento. Questo cambiamento si è verificato sotto la forma del golpe militare, e dunque bisogna sostenere il regime nato dal colpo di Stato” dice il sacerdote. “I negoziati continuano al fine di trovare una via di uscita” conclude don Dembele. Nel frattempo la Cedeao (la Comunità Economica dell’Africa Occidentale), che ha condannato il golpe, invierà una delegazione per proporre alla giunta militare un percorso per tornare all’ordine democratico. (R.P.)
Burkina Faso. Allarme Caritas: quasi due milioni di persone soffrono la fame
◊ Sono quasi due milioni le persone che soffrono la fame in Burkina Faso: a lanciare l’allarme è la Caritas locale, che chiede aiuto alla comunità internazionale. Oltre 2,3 milioni di dollari è la cifra necessaria per portare cibo ed aiuto materiale ad almeno 45mila persone. “Dobbiamo agire ora per evitare una catastrofe nei mesi futuri”, ha detto padre Isidore Ouedraogo, segretario generale della Caritas Burkina Faso, sottolineando poi come il prezzo del mais sia rincarato di un terzo dal 2010, mentre la produzione dei cereali sia calata del 16%. “Oggi – ha ribadito padre Ouedraogo – vediamo migliaia di persone che riescono a fare un solo pasto al giorno. Intervenendo adesso, la Caritas aiuterà la popolazione a sopravvivere alla stagione secca, quando la carenza di cibo è maggiore”. A preoccupare principalmente la Caritas burkinabé è la malnutrizione infantile, soprattutto quella dei minori di 5 anni; per questo, i 43 centri di assistenza locali sono pronti ad offrire cibo e medicinali a 21mila bambini, mentre ulteriori aiuti verranno distribuiti in più di 7mila abitazioni. Ma il sostegno della Caritas passa anche attraverso l’educazione: più di 2mila famiglie saranno istruite nella coltivazione delle sementi e nello stoccaggio delle riserve alimentari, così da poter affrontare i periodi di carestia e fronteggiare l’aumento dei prezzi. (I.P.)
Sahel: l'Onu chiede "azione urgente" per crisi e sfide umanitarie
◊ Una “azione urgente” per il Sahel. A chiederla è il Consiglio di sicurezza dell‘Onu (Unsc) per affrontare l‘insicurezza e le “sfide umanitarie” nella regione africana. Il Sahel, la regione settentrionale dell‘Africa che confina con il Sahara, soffre da molto tempo per l’instabilità. In una dichiarazione il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ripresa dall'agenzia Sir, definisce la situazione “ulteriormente complicata dalla presenza di gruppi armati e terroristici, così come dalla proliferazione delle armi”. Il presidente del Consiglio, l‘ambasciatore del Regno Unito Mark Lyall di Grant, esorta la comunità internazionale a prendere atto della crescente crisi nella regione: “Il Consiglio di sicurezza esprime la sua preoccupazione per la sicurezza e la fragile situazione umanitaria nella regione e rileva che è stato aggravata dalla siccità, dalla scarsità di cibo e dal ritorno di migliaia di rimpatriati a seguito della crisi libica e altre crisi nella regione”. Nel ribadire la propria “ferma condanna” per la presa del potere in Mali da parte delle truppe ribelli, l’Unsc chiede loro di “cessare ogni violenza, rientrare nelle caserme” e consentire al Paese di procedere con le elezioni precedentemente programmate. (R.P.)
30 marzo-2 aprile: “Giornata calcistica europea contro la fame" in Sahel
◊ "Il Calcio Professionistico contro la fame" mobiliterà i tifosi in centinaia di stadi in tutta Europa in una campagna a favore della regione africana del Sahel, dove una gravissima crisi umanitaria provocata da siccità, povertà cronica, rialzo dei prezzi alimentari e conflitti minaccia milioni di persone. Promossa dall'Associazione delle Leghe Europee di Calcio Professionistico (Epfl), dalla Commissione Europea e dalla Fao, dal 30 marzo prenderà il via la terza "Giornata calcistica europea contro la fame" che lancerà un appello affinché si intervenga con urgenza a favore delle popolazioni del Sahel. Il Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, assisterà a Dortmund alla partita tra il Borussia Dortmund ed il Vfb Stoccarda. Per la data finale del 2 aprile il messaggio e le iniziative connesse avranno raggiunto milioni di tifosi in tutta Europa, da Glasgow a Vienna, da Malaga a Novosibirsk, coinvolgendo oltre 300 club calcistici di 20 Leghe europee in 16 Paesi. "Dobbiamo intervenire adesso e aiutare queste popolazioni ad aiutare se stesse", ha dichiarato José Graziano da Silva, direttore generale della Fao. "Allo stesso tempo dobbiamo lavorare per rafforzare la capacità di risposta delle comunità locali, per interrompere il circolo vizioso che le porta da una crisi all'altra e per evitare che siccità significhi inevitabilmente carestia". Si stima che siano circa 16 milioni le persone a rischio carestia nel Sahel, per lo più famiglie di piccoli contadini e di pastori. "Il calcio è un veicolo perfetto per mettere in luce la grave situazione che stanno vivendo le popolazioni del Sahel", ha affermato Kristalina Georgieva, Commissaria europea per la Cooperazione internazionale, gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi. "Per dare una risposta adeguata a questa emergenza, - ha aggiunto la dirigente europea - è necessario che governi, donatori e agenzie lavorino insieme. Uniti possiamo salvare vite umane". (R.G.)
Haiti: appello alla comunità internazionale per nuovi aiuti
◊ Per garantire la continuità delle operazioni umanitarie ad Haiti nel 2012 è necessario un contributo di 231 milioni di dollari (173,2 milioni di euro) da parte della comunità internazionale: ad affermarlo, in un comunicato, è il coordinatore dell’Onu per le questioni umanitarie Nigel Fisher, secondo il quale il povero Paese caraibico ha ricevuto finora solo l’8,5% della somma richiesta per quest’anno. Già nel 2011, dei 328 milioni di dollari (286,5 milioni di euro) richiesti, ad Haiti è arrivato solo il 55%. La necessità di nuovi finanziamenti - riferisce l'agenzia Misna - ha spinto il Fondo di risposta alle emergenze dell’Onu (Cerf) a stanziare 8 milioni di dollari (6 milioni di euro) aggiuntivi “per permettere ai nostri partner di affrontare le necessità più urgenti” ha detto Fisher. Tuttavia “non saranno sufficienti a coprire tutte le sfide che ci attendono quest’anno”. Haiti continua a soffrire le conseguenze del terribile sisma del gennaio 2010, costato 300.000 morti e decine di migliaia di sfollati, a cui è seguita un’epidemia di colera che ha provocato 7000 vittime, in attesa della prossima stagione degli uragani. I fondi sono necessari a continuare ad assistere gli haitiani ancora costretti a vivere nei campi per gli sfollati, esposti a diverse forme di violenza, proteggere gli insediamenti più vulnerabili ai fenomeni meteorologici e sostenere la campagna sanitaria contro il colera, migliorando, principalmente, l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici. (R.P.)
Ecuador: 30 morti e migliaia di sfollati a causa delle forti piogge
◊ Dall’inizio dell’anno, le piogge torrenziali che si stanno abbattendo sull’Ecuador hanno colpito 84 mila persone, causandone finora la morte di 30, oltre a 4.700 sfollati. Le statistiche della Segreteria nazionale per la Gestione dei Rischi (Difesa Civile) riportano anche la perdita di 34 mila ettari di colture, principalmente riso e mais, e il danneggiamento di altri 9 mila ettari di terreno. I danni più gravi - riferisce l'agenzia Fides - sono stati registrati nelle province costiere di Guayas e Los Ríos, che insieme ad altre 4 province si trovano in totale stato di emergenza a causa delle inondazioni provocate da un forte temporale. Secondo le autorità competenti locali, ogni 15 giorni viene fatto un calcolo per quantificare i danni nelle sei province più colpite dalle piogge dell’inverno australe: El Oro, Manabí, Guayas, Los Ríos, Esmeraldas e Loja. Allo stesso tempo, una volta diminuite le precipitazioni, si cerca di coordinare gli aiuti per gli agricoltori che hanno perso i raccolti, offrendo kit agricoli che comprendono semi, fertilizzanti e tutto il necessario perché possano tornare a seminare i campi. Inoltre il servizio di Difesa Civile continua a consegnare, nelle zone più colpite a livello nazionale, razioni alimentari e forniture per l’igiene e la pulizia. Secondo l’Istituto Nazionale di Meteorologia e Idrologia (Inamhi) le precipitazioni proseguiranno fino al prossimo mese di aprile. Oltre un centinaio di abitazioni sono andate completamente distrutte e le piogge hanno provocato frane e smottamenti nelle zone più vulnerabili. I fenomeni meteorologici più recenti, nella provincia andina di Cotopaxi, hanno causato 2 morti, 10 feriti e altre 100 persone danneggiate. Nel 2010 i decessi per le alluvioni durante la stagione invernale sono stati 32 e 34.415 le persone che hanno subito danni. (R.P.)
El Salvador: tregua fra le bande con il concorso della Chiesa
◊ Oggi i giornali di El Salvador riportano la notizia che il Ministro della Sicurezza salvadoregno, David Munguia, ha ammesso che é in atto una "tregua" tra le bande sanguinarie del Paese e questo ha portato ad un calo "senza precedenti" del numero degli omicidi, ma ha avvertito che non c'è "nessuna garanzia" su questo accordo e che non si tratta di una soluzione duratura circa il problema della violenza. Una nota inviata all'agenzia Fides dalla Chiesa locale sottolinea che ieri il Ministro Munguia ha ammesso pubblicamente che la Chiesa cattolica, attraverso il vescovo castrense, mons. Fabio Colindres, è stata protagonista di questa tregua, parlando ai capi in prigione delle due principali bande armate del Paese, Mara Salvatrucha e La Mara 18. Questa dichiarazione ha scatenato una polemica nel Paese centroamericano. In un discorso ufficiale davanti alla Sotto-Segretaria di Stato degli Stati Uniti per la Sicurezza del Cittadino, Democrazie e Diritti Umani, Maria Otero, il Ministro Munguia ha sottolineato "l'importante lavoro che la Chiesa cattolica ha svolto per raggiungere una tregua tra le due bande rivali. Questo gesto, unito alla vasta operazione svolta dalla Polizia Nazionale Civile (Pnc) per il controllo e la repressione dei reati, ha iniziato a dare risultati" ha detto il Ministro. In una conferenza stampa dopo l'atto ufficiale, Munguia ha descritto come "insolito e senza precedenti" il fatto che gli omicidi siano scesi da una media giornaliera di 14 a 4 o 5 come risultato di questa tregua tra le bande, annunciata la scorsa settimana da mons. Colindres. Ha comunque riconosciuto che il patto non è una soluzione definitiva al problema della violenza estrema che sta insanguinando El Salvador, un Paese di poco più di 6 milioni di persone, dove nel 2011 ci sono stati 4.354 omicidi, secondo dati ufficiali. El Salvador ha un tasso di oltre 60 morti per ogni 100.000 abitanti l'anno, mentre la media mondiale è di 8,8, secondo i dati dell'ONU. Il governo ha ribadito che le bande sono responsabili del 90% di questi omicidi. Fides ha ricevuto anche alcune segnalazioni circa la polemica suscitata nel Paese, dove qualcuno è rimasto sorpreso dell'agire del vescovo, perché "con le bande non si tratta, devono sparire completamente". Un fedele cattolico ha scritto: "il problema non è adesso, il problema sarà dopo, quando sarà finita la tregua". Una terza segnalazione, più negativa, mette in guardia sul fatto che la tregua possa servire alle bande solo “per riprendere le forze e attaccare ancora una volta". (R.P.)
Usa: progetti di solidarietà dei vescovi in America Latina
◊ Contributi per oltre due milioni di dollari sono stati messi a disposizione dalla Conferenza episcopale negli Stati Uniti a favore di progetti pastorali in America Latina. L’iniziativa, promossa in occasione del viaggio apostolico di Benedetto XVI, riguarda in particolare sedici Paesi, per un totale di 139 progetti. Questi aiuti, ha spiegato il presidente del sottocomitato per la Chiesa in America Latina, l’arcivescovo di Los Angeles, José Horacio Gómez, citato dall’Osservatore Romano «giungono per l’occasione della visita del Papa e rappresentano il segno concreto della solidarietà della Chiesa negli Stati Uniti con la Chiesa in America Latina». In particolare, ha aggiunto il presule, «abbiamo approvato diversi contributi in Messico per sostenere la formazione di leader che rispondano ai bisogni spirituali e umani del popolo messicano. Preghiamo anche che la visita del Papa appena conclusa aiuti a nutrire la loro fede e rafforzare i loro sforzi per la costruzione della pace». L’impegno di solidarietà dei vescovi si concentra anche in Cile. In questo Paese una delle emergenze principali riguarda i danni subiti da edifici e infrastrutture dopo il terremoto del 2010. A tale riguardo, verranno erogati oltre 150.000 dollari per contribuire alla ricostruzione di cinque chiese. I contributi, come osserva il vescovo ausiliare di Chicago, John R. Manz, «rappresentano una parte importante del nostro rapporto di fraternità con la Chiesa nella regione». Mons. Manz, che è membro del sottocomitato, ha compiuto nel gennaio scorso una visita in Nicaragua. «Dopo la visita — ha affermato — abbiamo ricevuto molte richieste di contributi e per questo abbiamo deciso di aumentarli per aiutare la comunità ecclesiale nel Paese che continua a dare testimonianza di pace e di riconciliazione». I progetti di solidarietà in Nicaragua riguardano principalmente la formazione dei seminaristi e degli operatori pastorali laici. In generale, sul totale dei fondi assegnati a favore della Chiesa in America Latina, circa 500.000 dollari (pari a quasi il 27%) vanno alla formazione dei seminaristi e del clero. Nel gennaio scorso, dal 21 al 22, si era svolta la tradizionale colletta promossa dall’episcopato statunitense per l’America Latina. La campagna di solidarietà si svolge da quarantacinque anni, mobilitando le parrocchie per promuovere progetti missionari, di formazione e di catechesi nelle diocesi sudamericane e nei Caraibi. Nel corso del 2011 i contributi hanno consentito di finanziare 407 progetti. Un totale di 7,1 milioni di dollari sono stati distribuiti a diciannove Paesi. Nel novembre 2011 il subcomitato aveva inoltre approvato il finanziamento di 174 progetti per un valore di oltre due milioni di dollari. (L.Z.)
India: persecuzione dei cristiani in Madhya Pradesh
◊ Due episodi di persecuzione contro i cristiani verificatisi nei giorni scorsi nello Stato del Madhya Pradesh (India centrale) hanno messo in allarme la comunità locale. Lo riferisce all’agenzia Fides l’associazione “Isai Mahasangh”, federazione ecumenica di movimenti cristiani dello Stato, promossa dalla Chiesa cattolica. Il primo incidente è avvenuto domenica scorsa, 25 marzo, nel distretto di Chindwara, dove tre cristiani sono stati arrestati durante un incontro di preghiera tenutosi in una casa nel villaggio di Bichua, in una zona molto remota. Vijay Mohar, leader della comunità locale ha detto: “Sono membri della mia chiesa, sono stati falsamente accusati di conversioni forzate. La polizia li ha arrestati e non ha permesso loro di utilizzare qualsiasi mezzo di comunicazione”. La polizia locale è intervenuta in base alla denuncia che “queste persone stavano cercando di convertire con mezzi illegali, creando tensione tra le comunità”. Sono accusati di aver violato la legge sulla libertà di religione (“Religious Freedom Act”, approvata in Madhya Pradesh nel 1968) e resteranno in custodia cautelare per 12 giorni. Secondi i fedeli locali, “la polizia ha agito sotto la pressione dei gruppi fondamentalisti indù”, dato che “i fedeli erano semplicemente in preghiera”. In un altro incidente, avvenuto nel distretto di Barwani, la polizia ha interrotto una Convention di tre giorni, organizzata nello scorso fine settimana dalle comunità cristiane locali. Il Pastore Kiran ha riferito a Fides: “Avevamo l'autorizzazione dell'amministrazione per una manifestazione di tre giorni. Per questo ci siamo opposti all’ordine della polizia, perché eravamo in perfetta legalità”. L’episodio ha creato molta tensione fra i cristiani, le forze dell’ordine e i gruppi estremisti indù, che hanno fatto pressioni per far annullare la manifestazione. La comunità cristiana del Madhya Pradesh ha annunciato una marcia di protesta che si terrà il prossimo 14 aprile. Alla marcia aderiranno la federazione ecumenica “Isai Mahasangh”, altre associazioni e uomini politici cristiani, che segnaleranno la situazione delle minoranze religiose al governatore del Madhya Pradesh. (R.P.)
Asia: mons. Machado al Forum internazionale di Azione Cattolica
◊ Si conclude questa domenica nella diocesi di Loikaw, in Myanmar, dove è in corso il VI Congresso nazionale dei giovani cattolici birmani, il primo incontro continentale in Asia del Forum internazionale di Azione cattolica (Fiac). L’incontro è iniziato il 23 marzo a Bangkok, in Thailandia, con al centro due temi: la preparazione della VI Assemblea ordinaria del Fiac che si svolgerà a Iasi (Romania) dal 22 al 26 agosto prossimi e la celebrazione dei 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II che Benedetto XVI ha posto all’inizio dell’Anno della Fede l’11 ottobre prossimo. Proprio al ruolo dei laici nella Chiesa a partire dal Concilio fino al Magistero di Benedetto XVI e ai tratti che ne caratterizzano l’operato in Asia è stata dedicata l’apertura dei lavori alla quale è intervenuto, tra gli altri, mons. Felix Machado, vescovo di Vasai, in India con una relazione intitolata “L’evangelizzazione in Asia nel III millennio: sfide e proposte per il continente e per il mondo”. Nel suo intervento ripreso dall’agenzia Ucan il presule indiano ha indicato nel disarmo, nel dialogo con le altre religioni e nell’inculturazione le tre principali priorità della Chiesa in Asia oggi. “È imperativo per noi impegnarci per un disarmo generale e totale attraverso la promozione della cultura della pace”, ha affermato, evidenziando lo stretto nesso tra spese militari e sviluppo umano, che, se manca, genera “frustrazione che, a sua volta, spinge soprattutto i giovani ad attività terroristiche”. Mons. Machado si è quindi soffermato sui pericoli del fondamentalismo, con il suo rifiuto di “distinguere il sacro dal profano”. All’origine di questo fenomeno, ha osservato, vi è la “paura dei drammatici cambiamenti culturali oggi in atto” combinata con “la frustrazione per la perdita di una presunta ‘purezza’ e ‘autenticità’ originale” della propria religione. Ma ad alimentare il fondamentalismo contribuiscono anche le pressioni della cultura consumistica globalizzata e del laicismo che vogliono relegare la religione alla sfera privata. Non di rado, infatti, queste pressioni – ha osservato il presule – suscitano resistenze che assumono la forma di una “rivendicazione militante dei propri valori e della propria identità religiosa”. Di qui l’appello ai fedeli laici a concentrare il proprio impegno sulla testimonianza, la promozione della dignità umana, la collaborazione interreligiosa e l’inculturazione per diffondere il messaggio cristiano. Testimoniare la propria fede – ha puntualizzato - non significa avere “un atteggiamento anonimo, ambiguo, mediocre o passivo”: nei contesti sociali in cui l’annuncio del Vangelo è spesso impossibile e “in un mondo in cui il male è diventato endemico e si è istituzionalizzato” c’è bisogno “di una condotta di vita rispettosa e sobria”, “distaccata dai beni materiali” e “libera dai poteri di questo mondo”. Mons. Machado si è rivolto in particolare ai cattolici asiatici, esortandoli ad un maggiore impegno per radicare la fede cristiana nella cultura del continente. L’inculturazione – ha detto – non va considerata come “un incontro astratto tra due sistemi”, quanto piuttosto come “un dialogo tra due gruppi di persone”. “Occorre incoraggiare tutti i cristiani – ha concluso il presule – a incarnare la propria cultura che una volta impregnata dalla fede, potrà diventare un’esperienza di trasformazione e evangelizzazione di chi li circonda”. (A cura di Lisa Zengarini)
Rifugiati: aumentate nel 2011 del 20% le richieste di asilo nei Paesi industrializzati
◊ Sono cresciute del 20%, nel 2011 rispetto all’anno precedente, le richieste di asilo nei Paesi industrializzati: in totale sono state 441.300. Lo documenta il nuovo rapporto dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), intitolato "Livelli di asilo e tendenze nei Paesi industrializzati", che ha preso in esame 44 Paesi in Europa, Nord America, Australasia e Asia Nord-Orientale. L'incremento maggiore - 87% - è stato registrato nell’Europa meridionale, con 66.800 domande d'asilo, in massima parte inoltrate da persone arrivate via mare in Italia, a Malta e in Turchia. Solo in Italia, sono più che triplicate le domande passate da 10 mila del 2010 a 36 mila del 2011, con ogni probabilità per la fine delle politiche restrittive dei flussi migratori nel Canale di Sicilia da parte italiana e libica. Nel complesso, i 38 Paesi europei hanno registrato 327.200 domande d'asilo, con un aumento del 19%. Il Paese d'origine del più alto numero di richiedenti è stato l'Afghanistan, con 35.700 domande ed un aumento del 34%, mentre la Cina si è confermata al secondo posto con 24.400 richiedenti, seguita dall'Iraq con 23.500. Nel totale dei Paesi industrializzati presi in esame, al primo posto sono gli Stati Uniti con 74 mila domande d’asilo ricevute, anche se è stato il Sudafrica – assente dal rapporto - ad avere registrato 107.000 richeste. Ed ancora nell’America settentrionale, sono state inoltrate 99.400 domande, quasi un quarto in più rispetto a un anno prima, mentre il Giappone e la Repubblica di Corea hanno fatto registrare la cifra record di 2.900 richieste, con un aumento del 77%. In controtendenza i Paesi nordici e l'Australasia con un calo dei richiedenti asilo, rispettivamente del 10% (47.500 domande) e del 9% (11.800). Nonostante l'aumento globale delle domande d'asilo - ha commentato l'Alto Commissario Onu per i Rifugiati, Antonio Guterres - "possiamo solo essere lieti del fatto che durante tutto l'anno il sistema internazionale dell'asilo è rimasto saldo". "Tuttavia - ha aggiunto - è importante guardare queste cifre in prospettiva. Il numero delle domande d'asilo presentate in tutti i Paesi del mondo è ancora inferiore alla popolazione di Dadaab, un campo di rifugiati che si trova nel nord-est del Kenya". (R.G.)
Medio Oriente: incontro dei Primati delle Chiese ortodosse a Cipro
◊ I primati della Chiese ortodosse del Medio Oriente si sono incontrati ieri su invito di Sua Beatitudine l‘arcivescovo Chrysostomos II di Cipro, per “discutere della situazione dei cristiani nella regione del Medio Oriente e trovare modi per sostenere e rafforzare la popolazione cristiana perché possa continuare a vivere in queste terre ancestrali”. All’incontro - riporta l'agenzia Sir - hanno partecipato le Beatitudini, Theodoros II patriarca di Alessandria e di tutta l‘Africa, Ignazio IV Patriarca di Antiochia e di tutto l‘Oriente, e Teofilo III patriarca di Gerusalemme e della Terra Santa. “I Primati delle Chiese - si legge in un comunicato finale diffuso ieri da Cipro - hanno discusso delle sfide politiche e socio-economiche che sono attualmente in corso in Medio Oriente ed hanno sottolineato la necessità di risolvere tutte le questioni conflittuali con metodi pacifici e con dialogo costruttivo”. Parte dei colloqui sono stati riservati all’analisi della situazione in Siria: ha preso la parola il Patriarca di Antiochia Ignazio IV che ha informato dei seri problemi che stanno attraversando le comunità cristiane in Libano e Siria, insistendo sulla necessità di un sostegno della comunità internazionale. Nel comunicato finale, i Primati ortodossi hanno fatto appello per un ritorno del Paese alla “pace, alla sicurezza e alla stabilità”. “La Siria - prosegue il comunicato - è un Paese in cui i cristiani esistono fin dagli albori del cristianesimo” e la loro presenza ha sempre saputo coesistere con i musulmani in un rapporto “di rispetto reciproco e di fraternità”. All’incontro si è quindi confermato l’impegno della Chiese ortodosse “a sostenere tutti gli sforzi e le iniziative necessarie al fine di ristabilire la pace e realizzare le aspirazioni di tutti i cittadini della Siria”. Inoltre, si è deciso di creare “una delegazione delle Chiese ortodosse del Medio Oriente” con il compito di promuovere una campagna di sensibilizzazione internazionale in Europa, a Bruxelles, e negli Stati Uniti d’America per “sensibilizzare e informare il mondo politico a livello internazionale sui problemi del Patriarcato di Antiochia e dei cristiani in Siria”, “dare voce alle attese di pace e riconciliazione e creare consapevolezza dei cristiani in Medio Oriente”. (R.P.)
Settimana europea per la Vita: ribadito il "no" all'aborto
◊ Terzo appuntamento con la “Settimana per la vita”, organizzata da alcuni gruppi parlamentari europei, dalla Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea), con il supporto del Parlamento Ue a Bruxelles. Oggi si parla di cellule staminali e del programma di ricerca Horizon 2020, mentre ieri - riferisce l'agenzia Sir - l’attenzione si è focalizzata sulla “salute sessuale e riproduttiva”, soprattutto in relazione ai Paesi in via di sviluppo. “Ambigue”, secondo l’eurodeputato Konrad Szymanski, sono le politiche europee in questo settore. Il problema “risiede nella definizione di diritto riproduttivo” che fu delineato nel corso della Conferenza del Cairo del 1994 e nella quarta Conferenza mondiale sulle donne, tenutasi a Pechino nel 1995. Ne emerge che il concetto così espresso “è soggetto a molteplici interpretazioni”. Per questo motivo Jose Ramos Ascencão, a nome del Gruppo sulla bioetica della Comece, ha richiesto con forza che il Parlamento europeo “si astenga da utilizzare tali termini nei documenti ufficiali dell’Ue e che anzi si dovrebbe votare contro il suo uso e se questo non fosse possibile occorre assicurarsi che sia chiaramente esclusa la pratica dell’aborto”. Sophia Kuby, di “European Dignity Watch”, ha poi presentato il rapporto intitolato “Il finanziamento dell’aborto attraverso aiuti comunitari allo sviluppo”. Ma cosa succede nei Paesi in via di sviluppo quando si parla di “salute sessuale e riproduttiva”? Il problema, secondo Theresa Okafor (Ceo, Life League, Nigeria), è che “in Africa si celano interessi economici dietro la volontà di limitare l’aumento dei tassi di natalità”. L’esperta ha ricordato che originariamente l’Europa, “attraverso il pensiero cristiano, ha fornito un impulso fondamentale alla cultura della vita”. In questo modo è stato possibile debellare la schiavitù, il razzismo e altri crimini contro l’umanità. “La situazione si è poi capovolta e si è sviluppato un nuovo pensiero, basato sulla decostruzione radicale della fede, della famiglia tradizionale, della morale, in modo subdolo, impregnando la cultura africana di ambiguità”. In Africa c’è bisogno - ha sostenuto la relatrice durante la sessione di lavori della Week for Life - di investire nella cultura, nell’educazione, nella riduzione della povertà e delle malattie come la tubercolosi. “Ma soprattutto - ha concluso la Okafor - bisogna restituire alla famiglia il ruolo di vera unità di base della società”. Il dibattito ha visto la partecipazione di vari eurodeputati. Fra questi, Anna Zaborska ha suggerito di “tornare a prendere in mano i San Jose Articles”, il documento internazionale del 2011 che riafferma il diritto alla vita. Infine, l’eurodeputata ha ringraziato la Comece “per il supporto fornito nell’organizzazione di questa iniziativa” e per aver voluto affrontare “una tematica ancora così controversa”. (R.P.)
Russia: l’impegno della Chiesa di Magadan in difesa della vita
◊ Meno candele accese: quelle per i piccoli che non sono nati. Questo l’impegno della Chiesa di Magadan in Russia. In questa cittadina portuale dell’estremo nord est, nella diocesi di San Giuseppe a Irkutsk, “i comunisti avevano praticamente distrutto il valore della dignità umana e calpestato la vita in svariati modi”. Lo racconta ad Aiuto alla Chiesa che soffre (Fondazione pontificia nata nel 1947) il religioso americano Michael Shield, dei Piccoli Fratelli di Gesù, giunto vent’anni fa a Magadan, nota allora per i campi di prigionia sovietici. In un periodo l’aborto era un metodo diffuso di controllo delle nascite. Cosi oggi nella città “quasi ogni donna oltre i 30 anni ha già abortito – spiega il sacerdote – alcune perfino dieci volte”. L’obiettivo, oggi, è diventato quello di “salvare il maggior numero di vite”; un obiettivo “in vista del quale cattolici e ortodossi possono e devono lavorare uniti” e che padre Michael ha tanto preso a cuore da dedicarvi tutte le energie. Egli non si prende cura solo delle donne che hanno abortito, ma sostiene anche le future mamme sole e prive di risorse economiche. “Qui avere un bambino significa perdere tutto”, spesso anche il sostegno del proprio compagno. Per molti un figlio è “solo un peso da sopportare”. La Chiesa locale fornisce cibo, vestito, medicinali e contributi economici perché le donne possano convincersi a tenere i propri piccoli. “Oggi grazie ad Aiuto alla Chiesa che Soffre posso accoglierle nella mia parrocchia” spiega ancora padre Michael. La fondazione pontificia ha infatti contribuito alla costruzione di un piccolo appartamento dove ospitare temporaneamente alcune giovani madri in difficoltà. Inoltre, in parrocchia, le giovani approfondiscono il significato dell’essere madre e sono aiutate a completare gli studi. “Devono capire che anche con un figlio è possibile avere una vita, realizzarsi”. Padre Michael e i suoi confratelli spingono le donne ad effettuare il prima possibile un’ecografia. Un modo per risvegliare un istinto materno magari sopito. Oggi, anche grazie al supporto del vescovo di Irkutsk, mons. Kiril Klimowicz, “ci sono molti più piccoli che giocano e ridono e molte più madri felici ed orgogliose”. Grazie all’incontro con padre Michael “Magadan si sta trasformando in un luogo pieno di vita”. (G.M.)
Bielorussia: appello dei vescovi in difesa della vita nascente
◊ La protezione della vita è il tema centrale della lettera pastorale diffusa dalla Conferenza episcopale bielorussa in occasione della festa dell’Annunciazione della Beata Vergine Maria che si è celebrata lunedì. “La vita umana è in pericolo”, scrivono i vescovi, che denunciano un fatto quasi paradossale: professiamo un grande amore per la vita, diamo molta importanza al nostro corpo e alla nostra salute, ma permettiamo “l’uccisione di bambini indifesi nel seno materno”. Ricordando le parole del Beato Giovanni Paolo II sull’aborto - riferisce l'agenzia Sir - visto come uccisione deliberata e diretta di un essere umano nella fase iniziale della sua vita, i presuli denunciano l’attività di diverse istituzioni e organizzazioni internazionali che conducono campagne sistematiche a favore del ricorso all’aborto e della sua depenalizzazione nel mondo: “In questo senso, la questione dell’aborto va al di là della responsabilità di ciascun individuo; il danno causato, infatti, ha ‘grandi ripercussioni a livello sociale’” e apre una “dolorosa ferita” nella società e nella sua cultura. I vescovi ricordano anche tutte quelle coppie che non riescono ad avere figli. Pur difendendo il loro diritto a beneficiare dei progressi della medicina per soddisfare il desiderio di poter dare alla luce un figlio sano, ricordano anche che non tutti i metodi di trattamento dell’infertilità sono “moralmente accettabili”, come per esempio il metodo della fecondazione in vitro, spesso utilizzato in Polonia. I vescovi concludono con un’esortazione ai fedeli a pregare per un mondo più accogliente nei confronti della vita e in particolare della vita che sta per nascere. (R.P.)
Cina: nella solennità dell’Annunciazione consacrata una nuova chiesa
◊ Nella solennità dell’Annunciazione del Signore è stata consacrata una nuova chiesa, dedicata proprio all’Annunciazione, che si trova nella diocesi di Xian Xian (oggi Cang Zhou), nella provincia dell’He Bei. Inoltre, nella stessa circostanza, nella diocesi di Zhe Jiang della provincia di Guang Dong, è stata benedetta e posta la prima pietra per la costruzione della chiesa che sarà dedicata alla Madonna del Rosario. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, mons. Giuseppe Li, vescovo della diocesi di Xian Xian, ha presieduto la consacrazione della chiesa dell’Annunciazione insieme ai sacerdoti diocesani, tra cui il nuovo ed il vecchio parroco della parrocchia, che ha oltre 150 anni di storia. Durante il rito, i fedeli hanno anche distribuito ai passanti degli stampati sull’evangelizzazione, trasformando così la circostanza in una occasione missionaria. Oltre 3 mila fedeli della diocesi di Zhen Jiang hanno partecipato alla benedizione e alla posa della prima pietra della nuova chiesa dedicata alla Madonna del Rosario. I fedeli locali hanno commentato: “La chiesa è stata fondata nel 1938 e venne distrutta nel 1954 da un ciclone. Da quel momento siamo stati come le pecore smarrite. Oggi, grazie ad un grande impegno di tutti, guidati da mons. Su, il vescovo diocesano, abbiamo superato tantissime difficoltà burocratiche, economiche, etc. e presto avremo una nuova dimora di Dio”. (R.P.)
Svizzera: premio internazionale dei media cattolici in memoria del cardinale Foley
◊ L’Organizzazione cattolica internazionale dei Media (Icom) ha istituito un premio internazionale alla memoria del cardinale John Patrick Foley. Il porporato, scomparso dopo lunga malattia l’11 dicembre 2011, è stato presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni sociali per molti anni. Il premio, si legge in una nota dell’Icom, vuole onorare “tutti coloro che, direttamente o indirettamente, hanno lavorato per migliorare le relazioni tra la Chiesa ed il mondo, come pure le istituzioni che operano in vista del benessere dell’umanità. Costruire ponti, realizzare incontri – prosegue l’Icom – è una necessità di oggi, se si vuole che nel nostro mondo moderno popoli di tutte le generazioni contribuiscano alla crescita della libertà, della dignità e del rispetto, piuttosto che assoggettarsi ciecamente l’un l’altro”. Possono concorrere al premio gli autori di lavori giornalistici ancora da pubblicare o diffusi dopo il 2009. Le candidature possono essere presentate sotto forma di articolo, intervista, fotografia, servizio in video o in audio. Il premio sarà consegnato al prossimo congresso mondiale dell’Icom, che si terrà a Panama dal 29 settembre al 6 ottobre 2013 e sarà incentrato sullo sviluppo dei social network e la libertà di stampa. (I.P.)
Rapporto Oms: europei bevono oltre il doppio di alcolici del resto del mondo
◊ Gli europei bevono più alcolici del resto del mondo, in media più del doppio. Mandano giù l'equivalente di 12,5 litri di alcol puro l'anno. E' quanto emerge, a sorpresa, da un rapporto realizzato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, cofinanziato dalla Commissione europea. Bere alcolici è diventata dunque un'abitudine sempre più diffusa fra gli europei. I maggiori bevitori si concentrano nell'Europa centro-orientale e dell'Est, con 14,5 litri di alcol puro a testa l'anno, rispetto ai 12,4 litri dell'Europa centro-occidentale ed occidentale, agli 11,2 litri al Sud e ai 10,4 litri nei Paesi nordici. Se però si considerano i comportamenti a rischio, cioè l'abitudine di bere fuori pasto, nei luoghi pubblici o compulsivamente per ubriacarsi in fretta ('binge drinking'), il quadro cambia: in questo caso il Nordeuropa raggiunge i Paesi dell'est, con numeri molto al di sopra del resto del vecchio continente. L’alcol assunto in eccesso è responsabile di 57 decessi ogni 100 mila abitanti fra gli uomini e 15 fra le donne europee. Percentuali che salgono nell'Europa dell'Est e centro-orientale, dove si contano 120 decessi ogni 100 mila abitanti fra i maschi e 27 fra le femmine. (R.G.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 88