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Sommario del 26/03/2012
◊ Nella sua terza giornata in Messico, Benedetto XVI ha presieduto la Santa Messa nel Parco del Bicentenario a León, che ricorda i 200 anni dall’indipendenza del Paese. Di fronte a oltre 600mila fedeli, compresi quanti erano nelle strade circostanti, il Santo Padre ha esortato i messicani a resistere alla tentazione di una fede superficiale e recuperare la gioia di essere cristiani. Il servizio del nostro inviato in Messico, Giancarlo La Vella:
Benedetto XVI, messicano tra i messicani. Il Papa è giunto nella grande spianata del Parco del Bicentenario, dove ha ricevuto il nuovo caloroso saluto dagli oltre 600 mila fedeli che hanno partecipato alla Messa. Il Pontefice ha risposto con altrettanto affetto, indossando un sombrero, il tradizionale copricapo locale. Dall’entusiasmo al partecipato raccoglimento della celebrazione eucaristica. Nell’omelia il Papa, ricordando che stiamo avvicinandoci alla Pasqua, da vivere con cuore puro, cuore nuovo, ha parlato del Cristo Rey, la grande statua situata sul Cerro del Cubilete, alla quale è rivolta la devozione di tanti pellegrini, e ha ricordato Giovanni Paolo II che tanto ha amato la terra messicana:
“Queridos hermanos al venir aquí…
Cari fratelli, venendo qui ho potuto avvicinarmi al monumento a Cristo Re, in cima al ‘Cubilete’. Il mio venerato predecessore, benché lo desiderasse ardentemente, non poté visitare questo luogo emblematico della fede del popolo messicano, nei suoi viaggi a questa cara terra. Sicuramente oggi si rallegrerà dal cielo che il Signore mi abbia concesso la grazia di poter stare ora con voi, così come avrà benedetto i tanti milioni di messicani che hanno voluto venerare, recentemente, le sue reliquie in tutti gli angoli del Paese”.
Quindi, il riferimento alla grande sfida della “Missione continentale”, lanciata nel 2007 ad Aparecida, in Brasile, quando il Papa con tutti i vescovi dell’America Latina sottolineò la necessità di rinnovare e rivitalizzare la novità del Vangelo:
“La Misión Continental, que ahora se està llevando…
La Missione Continentale che si sta portando avanti, diocesi per diocesi, in questo Continente, ha l’obiettivo di far arrivare questa convinzione a tutti i cristiani e alle comunità ecclesiali, affinché resistano alla tentazione di una fede superficiale e abitudinaria, a volte frammentaria ed incoerente, per recuperare la gioia di essere cristiani e di appartenere alla sua Chiesa”.
In questo senso – ha concluso il Papa – l’Anno della fede”, convocato per tutta la Chiesa, “è un invito a un'autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo.
Al termine della Messa, all’Angelus, l’invocazione di Benedetto XVI alla Madonna di Guadalupe, Patrona del Messico, con l’invito ai fedeli a non dimenticare che “la vera devozione alla Vergine Maria ci avvicina sempre a Gesù, e non consiste né in uno sterile e passeggero sentimentalismo, né in una certa qual vaga credulità, ma procede dalla fede vera” che spinge a “impegnarsi ad ascoltare il suo Figlio”. Infine, un nuovo accenno alla situazione difficile che il Paese sta vivendo:
“En esto momentos en que tantas familias…
In questi momenti, in cui tante famiglie si ritrovano divise e costrette all’emigrazione, molte soffrono a causa della povertà, della corruzione, della violenza domestica, del narcotraffico, della crisi di valori o della criminalità, rivolgiamoci a Maria alla ricerca di conforto, vigore e speranza. E’ la Madre del vero Dio che invita a rimanere con la fede e la carità sotto la sua ombra, per superare così ogni male e instaurare una società più giusta e solidale”.
Il Papa ai Vespri nella cattedrale di León: la Chiesa stia dalla parte degli emarginati
◊ La Chiesa sia sempre al servizio degli uomini, specie degli emarginati: è il vibrante appello lanciato, ieri, dal Papa nella celebrazione dei Vespri nella Basilica-Cattedrale di León con i vescovi del Messico e dell’America Latina. Il Pontefice ha incoraggiato i presuli ad essere seme di speranza, pur in situazioni particolarmente dolorose per la vita della Chiesa. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Confermate nella fede il popolo latinoamericano, “nelle sue fatiche e speranze, con fermezza” e “con coraggio”: nella Cattedrale di León dedicata alla Madre Santissima della Luce, il Papa incoraggia i vescovi ad essere “seme di speranza” che permette a tutti di vedere “i frutti della Risurrezione”. E li invita “a essere sentinelle che proclamano giorno e notte la gloria di Dio, che è la vita dell’uomo”:
“Estén del lado de quienes son marginados por la fuerza…”
“Siate dalla parte di coloro che sono emarginati dalla violenza, dal potere o da una ricchezza che ignora coloro ai quali manca quasi tutto”, è l’esortazione del Papa che ribadisce: “La Chiesa non può separare la lode a Dio dal servizio agli uomini”. Essere uomo, soggiunge, “è essere fratello e custode del prossimo”. Per questo, osserva, la Chiesa deve “rivivere ed attualizzare quello che è stato Gesù: il Buon Samaritano” che ci “ha sollevati e si è prodigato per la nostra guarigione”. Il Papa rivolge così il pensiero alla grande sfida della nuova evangelizzazione, esortando ad un’attenzione sempre più speciale ai laici:
“Su formación en la fe es crucial para hacer…”
“La loro formazione nella fede – afferma – è cruciale per rendere presente e fecondo il Vangelo nella società di oggi”. Del resto, ammonisce, “non è giusto che si sentano considerati come persone di poco conto nella Chiesa, nonostante l’impegno che pongono nel lavorare in essa secondo la loro propria vocazione, ed il gran sacrificio che a volte richiede questa dedizione”. Ancora, annota che è “di capitale rilevanza seguire con grande attenzione i seminaristi”:
“No menos fundamental es la cercanía a los presbíteros…”
“Non meno fondamentale è la vicinanza ai sacerdoti – rileva – ai quali non deve mancare mai la comprensione e l’incoraggiamento del loro vescovo e, se fosse necessario, anche la sua paterna ammonizione su atteggiamenti inopportuni”. Il Papa non manca di riconoscere le tante “situazioni particolarmente dolorose per la vita e la missione della Chiesa”. Preoccupazioni, dice ai vescovi, che vedo riflesse “nei vostri volti”. E tuttavia, è stato il suo incoraggiamento, “voi non siete soli nelle difficoltà”, “tutti siamo uniti nelle sofferenze e nella consolazione”.
Messico. Il cardinale Bertone ai vescovi e alle autorità del Paese: la libertà religiosa va tutelata
◊ Nel programma domenicale del viaggio di Benedetto XVI in Messico, anche la cena presieduta ieri sera dal segretario di Stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, nel patio della cattedrale di León con i vescovi messicani, i presuli ospiti, il seguito papale, e alla quale ha partecipato pure il presidente messicano, Felipe Calderón. Un’occasione per parlare dell’impegno e del contributo della Chiesa nel Paese e dell’accoglienza che il Messico ha riservato al Papa, manifestando “la grandezza di spirito dei suoi figli, la loro squisita ospitalità e la vigorosa fede cattolica radicata in essi”, ha sottolineato il porporato. Il servizio di Giada Aquilino:
Nel ventesimo anniversario dello stabilimento delle relazioni diplomatiche tra Messico e Santa Sede, avvenuto il 21 settembre 1992, la Chiesa e lo Stato hanno oggi il “compito comune” di “salvaguardare e tutelare” i “diritti fondamentali delle persone”, con particolare riguardo alla libertà religiosa. Lo ha ricordato il cardinale Bertone, alla cena nel patio della cattedrale di León:
“Tanto la Iglesia como el Estado…”
“Sia la Chiesa, sia lo Stato hanno un compito comune, ognuno nella propria missione specifica, di salvaguardare e tutelare i diritti fondamentali delle persone. Tra essi, in particolare la libertà dell'uomo per cercare la verità e professare le proprie convinzioni religiose, tanto in privato come in pubblico, il che deve essere riconosciuto e garantito dall'ordinamento giuridico. Ed è auspicabile che in Messico questo diritto fondamentale si consolidi sempre di più, nella consapevolezza che questo diritto va molto al di là della semplice libertà di culto”.
Sul tema della libertà religiosa, infatti, in questi mesi in Messico si sta lavorando a una riforma costituzionale. E il cardinale Bertone ha spiegato che tale libertà “pervade tutte le dimensioni della persona umana, chiamata a dare ragione della propria fede e ad annunciarla e condividerla con altri - senza imporla - come il dono più prezioso ricevuto da Dio”.
Anche le funzioni diplomatiche - ha aggiunto il segretario di Stato vaticano - “devono radicarsi nella promozione di questa grande causa comune, alla quale il cristianesimo può offrire un valido contributo, perché è una religione di libertà e di pace, e sta al servizio dell'autentico bene dell'umanità”, come ricordò Benedetto XVI nel discorso del 2009 al Corpo diplomatico presso la Santa Sede. Per questo, ha proseguito il porporato, “la Chiesa non cessa di esortare tutti, affinché l'attività politica sia un lavoro lodevole e con dedizione totale in favore dei cittadini, e non si trasformi in una lotta di potere o in una imposizione di sistemi ideologici rigidi, che tante volte danno come risultato posizioni radicali in ampi settori della popolazione”.
Poi, un riferimento all’impegno della Chiesa cattolica “nella preziosa opera di lavorare per l'uomo, per il quale Gesù Cristo ha dato la vita”. Essa - ha detto il cardinale Bertone - “ha scritto una pagina di questa storia di servizio all'umanità”, grazie all’opera dei Santi, dei martiri, ma anche di pastori audaci, religiosi esemplari, giovani dalla voce profetica, valorosi testimoni della carità e fedeli laici “che, a volte con grande semplicità, hanno teso la mano ed aperto la loro casa al fratello bisognoso”:
“A través de múltiples expresiones, se ha querido desplegar…”
“In molteplici modi, si è voluto spiegare la bellezza del Cristianesimo nell’abbracciare ogni uomo o donna, senza guardare alla razza, alla lingua o alla classe sociale”.
A tale missione hanno contribuito “sia la dimensione di fede professata e celebrata in modo profondo, come si percepisce in Messico ed in tutta l'America Latina, sia i più svariati progetti di solidarietà, che hanno incoraggiato tanti ad uscire dall'egoismo per prestare il loro aiuto nelle necessità sociali più basilari ed urgenti”. Ne sono esempio le iniziative dirette alla promozione dei diritti di ogni uomo e di ogni popolo, alla difesa della loro libertà e alla cura dell'arte e della cultura. “Se in questa missione vi sono state delle ombre - ha concluso il cardinale segretario di Stato - ciò non oscura lo splendore del Vangelo, sempre presente per purificare ed illuminare il nostro cammino, che oggi passa per questa rivitalizzazione della fede alla quale Sua Santità Benedetto XVI non si stanca di invitare”.
Il festoso saluto dei "mariachi" al Papa: "Il Messico sarà sempre nel mio cuore"
◊ Al termine dei Vespri, dopo essersi ritirato in privato nella sua residenza messicana, Benedetto XVI ha vissuto un simpatico fuori programma, quando un folto gruppo di Mariachi – i tradizionali musicisti messicani – ha improvvisato per lui delle canzoni, richiamando indietro il Papa per un altro caloroso saluto. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Al tramonto, l’affetto prende la forma di un’onda sonora e come un’onda arriva a scaldare il cuore del Papa, che in due giorni è stato letteralmente rapito dalla alegria che lo segue a ogni metro del suo viaggio in Messico e lo circonda a ogni sua sosta. L’onda arriva ad alleggerire una giornata intensa e dunque faticosa per Benedetto XVI, per il quale però il riposo non può cominciare senza le note-icona del Messico, quelle dei mariachi. Così, poco dopo il suo rientro al Colegio Miraflores, una musica festosa e insistita lo richiama indietro e il Papa si presenta alla folla ancora con il suo sombrero:
“Queridos amigos, muchisimas gracias, per questo entusiasmo. Sono molto felice di essere con voi. Ho fatto tanti viaggi, ma non sono mai stato ricevuto con così tanto entusiasmo. Porterò con me, nel mio cuore, l’impressione di questi giorni. Il Messico sarà sempre nel mio cuore”.
Una dichiarazione d’amore cui segue una promessa dello spirito. “Già da anni – confida il Papa – prego ogni giorno per il Messico, ma in futuro pregherò ancora, molto di più”. E un istante dopo segue un’ammissione, che scaturisce dall’aver toccato con mano, come il suo predecessore, i sentimenti di un popolo che, più dei suoi problemi di violenza e morte, lascia solchi nel cuore con la sua potente gioia di vivere:
“Adesso, posso capire perché Papa Giovanni Paolo II ha detto: ‘Io mi sento un Papa messicano!”
E qui, l’onda sonora dei mariachi viene sopraffatta da quella emotiva della folla. Da ieri, a buon diritto, “Benedicto, hermano” è già un Papa "mexicano”.
Grande sintonia del Papa con il popolo messicano: la testimonianza di un sacerdote di Guadalajara
◊ Fede, speranza e carità: questo il messaggio che il Papa ha consegnato al Messico nella sua visita apostolica. Un evento che dà nuovo slancio alla missione evangelizzatrice della Chiesa messicana. Il nostro inviato a León, Giancarlo La Vella, ne ha parlato con padre Benjamin Clariond, sacerdote messicano dei Legionari di Cristo, impegnato nella diocesi di Guadalajara:
R. – C’è una sintonia enorme tra i desideri dei messicani e ciò che il Papa ci propone come strada di conversione, come strada per il progresso: un’esperienza della libertà integrale, inclusa la libertà religiosa.
D. – Per la Chiesa locale si apre adesso una sfida nuova, importante…
R. – Certo. Questo messaggio di fede, speranza e carità costituisce un grandissimo aiuto per la missione continentale che i vescovi hanno intrapreso dopo Aparecida. Questo è importante, perché non si deve perdere di vista che la nuova evangelizzazione deve sì avere nuovi metodi, nuovo ardore, ma deve essere soprattutto un’esperienza di fede, di speranza e di carità vissuta: è necessario essere coerenti con ciò in cui crediamo nella quotidianità della vita.
D. – I fedeli messicani che cosa chiedono ai loro pastori?
R. – Di aiutare tutti a farsi responsabili di questo progresso, ma anche di non perdere mai la fiducia nell’azione di Dio, non riducendo tutto a strategie e a piani umani. Bisogna alzare gli occhi e guardare l’aiuto che ci viene dall’alto. Con questa fiducia, quindi, impegnarsi in prima persona a compiere il cambiamento.
D. – Un’immagine che le rimarrà sempre impressa di questo viaggio di Benedetto XVI?
R. – Io vorrei dirne due. La prima è l’incontro con i bambini, perché il Papa si vedeva veramente molto lieto e i bambini hanno espresso il loro entusiasmo, anche attraverso le canzoni: il loro entusiasmo era ovunque e chi ha seguito l'evento in televisione o abbia avuto la fortuna di viverlo è stato contagiato da questa gioia, da questa allegria. Il secondo è quando il Papa, arrivando al Parco Bicentenario, ha indossato un sombrero messicano: tutta la gente ha detto: “Benedicto, hermano, ya eres mexicano”, che vuol dire “Benedetto, fratello, tu sei ormai messicano” e lui ha indossato il sombrero. Lo hanno adottato come figlio di questo Paese! Dunque si vedeva questo rapporto specialissimo che il Papa ha voluto stabilire: l’affetto era reciproco! (mg)
◊ Sulla tappa messicana del viaggio apostiolico di Benedetto XVI, e sul proseguo della visita a Cuba, l'inviato Giancarlo La Vella ha intervistato il direttore della Sala Stampa Vaticana, e nostro direttore generale, padre Federico Lombardi:
R. - Certamente, come centro del messaggio, in Messico, c’è stato un invito alla speranza per un popolo che ha delle sue difficoltà e delle sue sofferenze per i motivi che ben conosciamo. Quindi, le parole di incoraggiamento e di speranza del Papa sono quelle che resteranno più profondamente nel cuore. Quello che, però, mi sembra anche un risultato molto evidente di questo viaggio è l’incontro con il popolo messicano: è riuscito in profondità e con grande gioia e serenità. Da parte del popolo messicano, direi che si è avuto proprio quello che si attendeva e cioè anche la conoscenza personale del Papa Benedetto XVI: per la gran parte dei messicani l’immagine del Papa rimaneva naturalmente collegata a Giovanni Paolo II e quindi la figura del suo successore era certamente forte nella fede, ma non così viva nell’immaginazione, nella conoscenza personale, se non per i pellegrini che potevano averlo incontrato a Roma o in altri luoghi. Invece, lo hanno avuto nel loro Paese, lo hanno avuto nel cuore del loro Paese, lo hanno avuto per un tempo breve, ma in situazioni in cui ha potuto manifestare pienamente la sua spiritualità, il suo modo di parlare, di esprimersi, la sua gentilezza, la sua vicinanza alle singole persone che incontrava lungo la strada, anche nei piccoli momenti di incontro con i bambini, con i malati, con gli anziani. Ecco, quindi, che i messicani hanno conosciuto e incontrato il Papa Benedetto XVI.
D. – Lei parlava del proverbiale entusiasmo, dell’allegria di questo popolo: è un modo di vivere la fede, direi anche in modo profondo…
R. – Sì, il Papa si è appellato a queste radici profonde della fede dei messicani. Allo stesso tempo, come sempre, il Papa invita a non fermarsi sugli allori, ma anzi a rendersi conto anche dei problemi e delle difficoltà che la fede vive nel nostro tempo: che non sia fatta di puro sentimento, perché questo può essere uno dei rischi anche della fede in questi Paesi, in cui il cuore, il sentimento è molto vivo, ma non deve essere una dimensione esclusiva della religiosità.
D. – In questo senso, dal Messico parte un messaggio che non vuole essere solo indirizzato a questo popolo, ma a tutte le Americhe e forse anche oltre: una sorta quasi di ponte con la prossima tappa di questo 23.mo viaggio, che è Cuba…
R. – Sì, di per sé la presenza in Messico aveva proprio intenzionalmente un significato continentale, appellandosi anche al Bicentenario dell’indipendenza che questi Paesi festeggiano. Il viaggio a Cuba si pone anche in questo contesto, naturalmente, ma non ci si può però negare che la situazione di Cuba e la sua storia del secolo passato hanno una specificità, anche per l’esperienza, le difficoltà che la Chiesa vi ha passato quando il regime l’ha privata di tante delle sue attività in decenni passati. Diciamo che la Chiesa in Cuba si trova in una situazione di rinascita se vogliamo, di nuovo sviluppo e di nuovo contributo positivo a una società che anche si sente in una fase di transizione e che guarda al futuro, nonostante le difficoltà che vive. Quindi, direi che il viaggio a Cuba certamente si pone nel contesto latinoamericano più ampio per tanti aspetti e però ha delle sue innegabili specificità a cui il Papa certamente farà riferimento nei suoi discorsi e nella sua presenza.
D. – Se dovessimo portarci nel cuore una fotografia, un’immagine di questo viaggio, quale potrebbe essere?
R. – Io, onestamente, devo dire che a mio avviso l’Eucaristia nel Parco del Bicentenario è stata la più bella, anche come ambiente e come contesto, che io ricordi in questo momento del Pontificato di Benedetto XVI. Sarà difficile dimenticare questa celebrazione eucaristica, che poi è proprio un po’ come il culmine dell’incontro per una visione di fede, perché è nell’Eucaristia che ci si incontra e qui il Papa si è incontrato con il popolo messicano: nella fede, intorno alla tavola dell’Eucaristia e poi col Santuario e con la grande statua del Cristo Re, che si vedeva nello sfondo e che benediceva. Ecco, per me sarà difficile trovare un’altra immagine, anche se ce ne sono tante bellissime, come l’incontro con i bambini… Ma credo che questa rimarrà davvero un po’ il centro, il cuore, il culmine di questo viaggio in Messico. (mg)
Cuba: oggi l'arrivo di Benedetto XVI, 14 anni dopo Papa Wojtyla
◊ Benedetto XVI arriva stasera a Cuba 14 anni dopo la storica visita di Giovanni Paolo II che contribuì a inaugurare una fase di collaborazione e fiducia nei rapporti tra Stato e Chiesa nell’isola, in particolare sul ruolo pubblico della religione nella società. Nel 400.mo anniversario della scoperta dell’immagine della Vergine della Carità, il Papa visita Cuba come Pellegrino della carità per affidare la libertà e la riconciliazione del popolo cubano alla protezione della Patrona dell’isola, al termine di un pellegrinaggio che ha portato l’immagine della Madonna in tutti i Paesi delle diocesi cubane. Da L’Avana, ci riferisce il nostro inviato, Luca Collodi:
Formare i cubani a un’economia libera ma anche responsabile e giusta. In un momento di crisi economica e dell’ideologia socialista, seguita alla caduta dell’Unione Sovietica, la Chiesa locale si caratterizza come luogo di valori, alla ricerca di fraternità e speranza per il popolo cubano. Si punta a migliorare la situazione dell’isola attraverso il dialogo tra Chiesa e Stato, escludendo pressioni o interventi esterni e ricorrendo solo all’impegno dei cubani per “dar vita ad una società più giusta”. In questa particolare situazione storica per l’isola, con una graduale apertura all’iniziativa privata in campo agricolo e dei servizi e dove la Chiesa svolge un servizio di formazione ai valori per il bene comune del Paese, un Papa torna per la seconda volta nella Repubblica cubana dopo la visita di Giovanni Paolo II nel gennaio del 1998.
Benedetto XVI arriverà stasera a Santiago come pellegrino della carità per il IV centenario della scoperta dell’immagine della Vergine della Carità del Cobre, la Vergine pellegrina patrona di Cuba. Per seguire il Papa sono accreditati circa 800 giornalisti di 295 mezzi di comunicazione provenienti da 33 Paesi. Duecentomila persone sono attese alla celebrazione di Santiago, mentre le previsioni parlano di almeno 700 mila persone per la Messa nella piazza della Rivoluzione a L’Avana. Celebrazione alla quale parteciperanno, secondo quanto annunciato dal governo, anche molti non credenti in segno di saluto e rispetto per Benedetto XVI. Almeno 400 cattolici sono attesi dalla Florida, con un pellegrinaggio promosso dal vescovo di Miami. L'Avana ha però denunciato su Granma, l'organo ufficiale del comitato centrale del partito comunista cubano, la messa in moto di una campagna organizzata da gruppi controrivoluzionari radicati negli Stati Uniti per generare provocazioni durante la visita del Papa. Sul tema del dialogo tra Chiesa e Stato a Cuba, alla vigilia dell’arrivo di Benedetto XVI, padre Yosvany Cardajal Sureda, del centro culturale “Felix Varela” a L’Avana:
“Abbiamo bisogno di accompagnare questo dialogo, questo cammino, dove tutti i cubani possano incontrarsi. Questo portare pazienza, come diceva il Santo Padre all’arrivo in Messico, richiede molta pazienza ma anche molto coraggio per approfondire e continuare questo dialogo. Mai lo scontro tra i diversi gruppi. Mai una guerra interna. Mai: sempre il dialogo”.
A poche ore dall'arrivo di Benedetto XVI, dunque, il nostro inviato a Cuba, Luca Collodi, ha registrato il fermento che sta vivendo l'Avana, attraverso le parole del cancelliere dell'arcidiocesi, mons. Ràmon Suàrez Polcari, il quale descrive le particolarità della Piazza della Rivoluzione, dove dopodomani il Papa presiederà la Messa:
R. - Aspettiamo una partecipazione di 700 mila persone, cattolici ma non solo, tutto il popolo religioso e quello non religioso. E’, nel suo insieme, un popolo che penso abbia bisogno di speranza e sviluppo. Il governo ha lavorato con noi con molta disponibilità.
D. – Sono attesi anche cristiani cattolici dalla Florida…
R. – Sì, certamente. Ma non soltanto dalla Florida: anche da New York, Boston, Washington, Porto Rico, Messico...
D. – L’altare dove il Papa celebrerà la Santa Messa è molto semplice…
R. – Sì, semplice. E' la casa antica dell’Havana e il seggio papale e la cattedra del vescovo del XIX secolo. (cp)
Il cardinale Ravasi agli ambasciatori africani: lavoriamo in sinergia per la cultura del dialogo
◊ Incontro oggi a Roma degli ambasciatori dei Paesi del continente africano presso la Santa Sede. Un’iniziativa promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura, che il 10 marzo scorso aveva convocato i diplomatici dei Paesi asiatici. Il servizio di Roberta Gisotti.
Vogliamo lavorare in sinergia con i Paesi distanti geograficamente dal Vaticano, attingendo quanto più dalle informazioni che arrivano da loro, collaborando anche con gli altri Dicasteri. Così il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, rispondendo all’ambasciatore del Camerun circa l’efficacia di questo incontro, che – ha annunciato il porporato – porterà a compilare un Dossier, con tutte le osservazioni dei diplomatici, da inviare poi alla Segreteria di Stato. Ma quale approccio s’intende promuovere? Lo spiega il cardinale Ravasi:
"Sostanzialmente lo si può riassumere all’interno di un solo termine: 'dialogo'. Da una parte, noi abbiamo bisogno di conoscere la molteplicità delle culture, soprattutto tenendo conto che l’Africa, se è vero che è sotto un unico continente, però è profondamente articolata al suo interno. Pensiamo a cosa vuol dire la ricchezza linguistica di questo Continente, ma anche cosa vuol dire la sua storia: l’Africa che si affaccia sul Mediterraneo, è profondamente diversa da quella meridionale o centrale. Quindi una conoscenza di questo orizzonte; e dall’altra parte, vogliamo che queste nazioni, conoscano la nostra identità cattolica, la Chiesa romana, soprattutto le dimensioni culturali che vogliamo sviluppare".
Culture diverse – ha chiarito il cardinal Ravasi - che devono entrare in contatto tra loro, evitando lo scontro di civiltà, superando la semplice multiculturalità della coesistenza, per arrivare alla interculturalità dell’incontro, del confronto, del dialogo, anche interreligioso, che deve rispettare e conservare le diverse identità, non chiuse ma aperte all’altro, rifuggendo integralismi e fondamentalismi e all’opposto sincretismi. Un monito poi all’Europa, che non ha più una sua identità né laica né religiosa e per questo teme l’Islam. Culture diverse che fanno i conti – ha avvertito il porporato - con la globalizzazione economica, della comunicazione e di tipo etico-giuridico, laddove si tende ad imporre agli Stati più deboli modelli monoculturali degli Stati più forti. Da qui l’impegno su più fronti del Dicastero vaticano della Cultura a partire dai linguaggi della comunicazione, all’arte, alla scienza e alla tecnica, alla non credenza, all’economia, alla culture giovanili, allo sport e al gioco.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ La visita di Benedetto XVI in Messico: i discorsi del Papa e i servizi del nostro inviato.
Chiesa e Stato uniti nella tutela dei diritti della persona: il discorso del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, durante la cena nel patio della cattedrale di Léon.
In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo “Dolore e speranza”.
Obama propone a Russia e Cina un nuovo disarmo: nell'informazione internazionale, il vertice di Seoul sulla sicurezza nucleare.
Da cristiani di fronte a una crisi che richiede equità e rigore: la prolusione del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ai lavori del Consiglio permanente.
Vertice di Seul sul nucleare. Gli Usa auspicano la riduzione degli armamenti
◊ Usa e Cina hanno " un interesse comune" a risolvere le questioni nucleari di Corea del Nord e Iran. Lo ha detto il presidente americano Barack Obama incontrando a Seul, per il secondo summit sulla sicurezza nucleare, l’omologo cinese Hu Jintao. Obama, parlando a margine dei lavori, ha anche proposto a Russia e Cina una nuova riduzione nell'arsenale di armi nucleari. Nell'agenda dei lavori del summit, oltre all'aggiornamento delle azioni decise nell'incontro di Washington nel 2010 per prevenire terrorismo nucleare e garantire la sicurezza del 'materiale atomico', anche l'accelerazione sul fronte dei nuovi impegni per ridurre la minaccia del terrorismo nucleare e i traffici illeciti. Massimiliano Menichetti ha sentito Maurizio Simoncelli, dell'Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo:
R. – Proporre un’ulteriore riduzione degli armamenti, alle due grandi superpotenze nucleari come sono Cina e Russia, mi sembra estremamente importante. Rimangono però due grandi problemi sulla scena internazionale. Il primo riguarda l’Iran, che dichiara sempre di puntare al nucleare civile. Il problema è – come sappiamo – che il passaggio dal nucleare civile all’energia nucleare a scopi militari è relativamente facile. Poi, gli atteggiamenti aggressivi dell’Iran – quanto meno a livello verbale – nei confronti ad esempio di Israele, fanno temere qualche cosa di più di ciò che viene dichiarato a voce. L’altro problema riguarda la Nord Corea, che pur avendo aderito a suo tempo al Trattato di non proliferazione, essendone uscita successivamente, ha realizzato vere e proprie armi nucleari, anche se si parla di poche unità. Inoltre, i segnali che la Nord Corea ha mandato contemporaneamente, sono quelli di aver realizzato dei missili di media gittata e altri capaci di coprire alcune migliaia di kilometri, che quindi teoricamente, potrebbero portare alla possibilità di colpire il Giappone o addirittura la Russia e la Cina che sono vicine.
D. – Ma la Corea del Nord ha aperto agli ispettori della Aiea in cambio di aiuti…
R. – Il problema è che la Corea del Nord adotta da tempo una tattica contraddittoria: dichiara di essere pronta a rinunciare al nucleare militare in cambio di aiuti alimentari – si parlava di 240 mila tonnellate di aiuti di questo genere – ma contemporaneamente lancia un missile a media gittata. Da tempo, abbiamo la sensazione che Pyongyang utilizzi l’arma nucleare sul piano economico e politico soprattutto, vista la situazione di estrema difficoltà che il Paese sta vivendo dal punto di vista economico. Come sappiamo, la popolazione è in condizioni estremamente misere. Certamente, il ruolo della Cina e della Russia è fondamentale. E credo sia per questo che Obama ha voluto chiamarli direttamente in prima persona a intervenire sul disarmo.
D. – Lei crede che la mediazione, l’influenza di Mosca e Pechino possano intervenire anche sull’Iran?
R. – Certamente, se ci fosse un’unità di intenti e non un gioco delle parti di volta in volta da parte delle varie superpotenze, si potrebbero avere dei risultati decisamente più positivi. Ad esempio, la vicenda della Siria – tutt’altro scenario – lo indica. La posizione della Russia nei confronti della Siria ha depotenziato l’azione politica internazionale e questo vale ovviamente altrettanto per l’Iran. (bi)
A Roma l'ultimo saluto a Michele Silvestri, caduto in Afghanistan. Con noi, mons. Pelvi
◊ Funerali di Sato, questa sera, nella Basilica Romana di Santa Maria degli Angeli per il sergente Michele Silvestri, ucciso sabato scorso in un attacco ad una base italiana in Afghanistan. Stamane l’arrivo del feretro avvolto nel tricolore all’aeroporto militare di Ciampino, quindi nel pomeriggio l’allestimento della camera ardente al Policlinico Militare "Celio". Intanto restano gravi le condizioni di due dei cinque soldati italiani ferititi nell’attentato. A celebrare le esequie sarà l’ordinario militare in Italia, mons. Vincenzo Pelvi. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. – Michele Silvestri era un giovane ricco di umanità, di generosità; era convinto che la pace potesse costruirsi con un pezzo di pane, una scuola, un sorriso, un abbraccio ai bambini.
D. – La sua testimonianza può essere letta come un "dare la vita", anche in senso evangelico?
R. – Certamente, l’amore dei nostri militari è un amore di gratuità. Questi nostri militari, lo stesso Michele, non badano a custodire la loro stessa vita. Mi ha detto la mamma di Michele che ogni volta che Michele partiva per la missione, gli raccomandava di essere attento, ma lui era così spontaneo da dirle che quella era la vocazione a cui era stato chiamato e per quella vocazione era disposto a tutto. L’unica ragione della vita del militare è dare la vita: anche con la morte si dà ragione alla vita, in questa direzione di carità e di promozione dell’uomo.
D. – Michele Silvestri lascia una giovane moglie ed un bambino, oltre ai genitori e ai familiari più vicini, agli amici. Quale conforto per chi resta?
R. – Io alla moglie, come alla mamma, ho consegnato una coroncina e ho visto che entrambe stringevano questa coroncina tra le mani e chiedevano al Signore di essere aiutate a superare questo momento. Lo stesso bambino – so che Michele quotidianamente affidava il bambino, nella preghiera, al Signore – secondo il dire del parroco, ogni volta che andava in parrocchia pregava per il padre. Questa circolarità di preghiera, credo possa essere la risposta alla domanda: “Dio ci ha abbandonati?” Certamente non ci ha abbandonati, perché questa famiglia non ha ignorato la presenza del Signore.
D. – Ritiene che a questo punto sia opportuno interrogarsi sulla permanenza della missione italiana in Afghanistan?
R. – Io penso che noi non dobbiamo fermarci a questi momenti. Noi siamo lì non per la guerra, siamo lì per portare la bontà, che è innata nell’uomo e che è recepita anche dall’afghano. Penso che le nostre missioni siano anche una forma di pedagogia. (ap)
A Castel Sant'Angelo la mostra dedicata al mito di Amore e Psiche
◊ Per festeggiare il termine dei lavori di restauro del fregio di Perin del Vaga che raffigura la storia di Amore e Psiche in Castel Sant’Angelo, si è recentemente inaugurata nei locali del Museo la mostra “La favola di Amore e Psiche. Il mito nell’arte dall’antichità a Canova”. Ricca di pezzi di grande pregio e curiosità, rimarrà aperta fino al prossimo 10 giugno. Il servizio di Luca Pellegrini:
La favola di Amore e Psiche, narrata da Apuleio, ha ispirato tanti capolavori dall’antichità ai giorni nostri. L’arte ne ha colto la dimensione mitica e simbolica con una straordinaria ricchezza e la mostra riporta all’attenzione questi diversi livelli di lettura, che dalla mitologia classica sono entrati anche nella simbologia cristiana. Dalle piccole sculture ai gioielli, dai dipinti alle ceramiche, e poi disegni, incisioni e arazzi, esposti con attenzione nei locali del Castello, le vicende tristi e immortali della giovane Psiche e del dio Eros hanno riscosso nei secoli un inalterato interesse. Ne mette in evidenza le ragioni Maria Grazia Bernardini, direttore del Museo di Castel Sant’Angelo e una delle curatrici della Mostra:
"Posso enucleare due aspetti fondamentali: uno è questa fanciulla che si innamora di questo sposo che non conosce – se non dopo lunghe traversie e avversità – ed alla fine arriva al matrimonio. Diciamo quindi che è il trionfo di un amore contrastato, la sacralizzazione dell’amore nel matrimonio. Se invece interpretiamo Psiche come anima ed Eros come un dio, è quindi l’anima che per ricongiungersi a Dio e all’immortalità, deve seguire un percorso di prove difficili e di purificazione".
Marina Mattei, curatore archeologo dei Musei Capitolini e della parte archeologica della Mostra, coglie invece il percorso artistico nell’antichità:
R. – Innanzitutto, c’è una ricerca sull’origine dell’uomo e la scissione da un paradiso primario perduto – o luogo dove soggiornano le anime – perché Psiche vuol dire farfalla ed anima, in greco ha questa doppia accezione. Qui ospitiamo una serie di splendidi capolavori – IV secolo a.C. – e poi piano piano dal III secolo a.C. ci sono tutte le vicende dei tormenti d’amore. Questa è un’allegoria dell’anima, che deve ritrovare la parte spirituale nella parte corporea, quindi c’è questo doppio che poi si attenua, si ricongiunge e i conflitti si superano con il “bacio”. Il gruppo della scultura del Museo Capitolino, che ora si trova qui, raccoglie questa ideologia.
D. – Anche l’arte cristiana si è interessata alla favola, reinterpretandola...
R. – In ambito cristiano, la Psiche è l’anima che si coniuga con il defunto. Quindi, soprattutto nei sarcofagi, abbiamo queste rappresentazioni, molto spesso si tratta di defunti bambini o adolescenti. E’ un’apoteosi: “Non piangete perché ora l’anima finalmente uscirà e potrà essere beata.” Trovare quello che in Apuleio è la voluttà, il benessere, la beatitudine, che Apuleio fa raggiungere attraverso l’amore, ma anche attraverso, purtroppo, l’ascesa all’Olimpo quindi la divinizzazione e cioè anche la morte.
Infine, un grande protagonista della Mostra, come ricorda la dottoressa Bernardini.
"Abbiamo qui due opere di Canova ed il gesso da cui deriva il marmo dell’Ermitage di Amore e Psiche estanti, e il bozzetto di Canova per il 'Bacio'. Due capolavori massimi dell’arte di Canova". (cp)
Mali: a Bamako confusione politica. La vita torna alla normalità
◊ “Da ieri la vita sta lentamente riprendendo il suo corso. Negozi e stazioni di rifornimento hanno cominciato a riaprire, veicoli civili circolano per le strade. E poi, come qualunque altra domenica, molte giovani coppie si sono unite in matrimonio nei sei comuni di Bamako: un altro segnale forte lanciata dalla popolazione desiderosa di un rapido ritorno alla normalità e che non ha altra scelta che lavorare per guadagnarsi da mangiare. L’apertura di uffici e amministrazione è invece prevista per domani”: è una delle tante sfaccettature dell’intricata situazione maliana, a cinque giorni dal colpo di Stato militare, raccontata all'agenzia Misna da padre Timothé Diallo, responsabile della comunicazione dell’arcidiocesi di Bamako. Le scene di una normalizzazione della vita quotidiana nella capitale non riescono, però, a oscurare i sentimenti di confusione e incertezza per il futuro del Paese. “Per fortuna da sabato mattina non abbiamo più udito colpi d’arma da fuoco, e questo sta consentendo alla gente di sentirsi un po’ più al sicuro, ma per il resto la situazione rimane molto complessa e ci sono tante incognite” prosegue l’interlocutore della Misna. Prima fra tante è la sorte del presidente Amadou Toumani Touré (sopranominato ‘Att’) di cui non si hanno più notizie certe da giorni. Per molte fonti locali dovrebbe essere al sicuro, in un luogo ignoto, forse presso un’ambasciata, sotto la protezione di militari lealisti. Una possibilità remota vorrebbe che si trovasse, assieme a una quindicina di esponenti governativi, nella guarnigione militare di Kati, a 15 chilometri dalla capitale, punto di partenza della sollevazione dei giovani militari golpisti. Lì, in segno di protesta per la loro detenzione, personalità politicamente legate a ‘Att’ avrebbero cominciato uno sciopero della fame. A colpire osservatori e analisti è l’identità, fino a pochi giorni fa sconosciuta, la giovane età e il grado dei militari golpisti (militari semplici e ufficiali di basso rango) che hanno preso il potere guidati dal 40enne capitano Amadou Sanogo. “Ho accompagnato l’arcivescovo di Bamako, mons. Jean Zerbo, al campo militare di Kati, sede della giunta che ha ricevuto anche esponenti della chiesa protestante” riferisce padre Diallo, che conferma “la giovane età dei golpisti, in media trentenni, che si sono, però, detti pronti ad ascoltare i consigli dei capi religiosi”. A colloquio con i militari, mons. Zerbo li ha invitati “ad agire con la testa e non con il cuore, per evitare al Paese altra sofferenza e dare garanzie di serietà”. Nelle prossime ore potrebbero seguire nuovi incontri tra la giunta e le massime autorità cattoliche. Intanto rimangono chiusi i confini e l’aeroporto internazionale, anche se sabato sera sono stati evacuati a bordo di un volo charter a destinazione di Lagos, i ministri degli Esteri del Kenya e dello Zimbabwe che si trovavano a Bamako per una riunione e sono rimasti bloccati in albergo per più di 48 ore. In Mali è ancora presente una folta delegazione di cittadini occidentali che, nell’ambito della missione di osservazione elettorale dell’Unione Europea stava organizzando le attività di monitoraggio per le elezioni previste il 29 aprile. Il Paese è stato sospeso dall’Unione Africana (Ua) e il golpe è stato condannato dall’Unione europea, dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. (R.P.)
Mancanza di acqua: nel mondo muore un bambino ogni 17 secondi
◊ Ancora oggi in tutto il mondo 783 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile, miliardi di persone non hanno accesso ai servizi igienico-sanitari e circa 2.500 milioni non dispongono di latrine. Ogni 17 secondi un bambino muore per le conseguenze dovute alla mancanza di acqua pulita, sanità e igiene. Le malattie più ricorrenti - riporta l'agenzia Fides - sono correlate proprio con questa precaria situazione e causano la morte di quasi tre milioni di persone all’anno. Oltre il 40% della popolazione globale più gravemente colpita vive nell’Africa Sub-Sahariana. In Rwanda, ad esempio, nel distretto di Gicumbi, l’acqua è accessibile solamente per il 37% della popolazione locale, situazione che ha comportato la diffusione di malattie come il colera, il tifo e la dissenteria bacillare, che colpisce soprattutto donne e bambini. Grazie al progetto ‘Acqua, sorgente di vita!’, promosso della Fondazione cattolica Avsi, è prevista la riabilitazione dell’acquedotto di Rutare (Rwanda del Nord), con il coinvolgimento della popolazione come manodopera non qualificata e la fornitura di veicoli e attrezzature tecniche. L’obiettivo è migliorare gli standard di vita della popolazione e l’accesso ad un sistema di gestione sicuro dell’acqua potabile. Beneficiari dell’intervento saranno oltre 10 mila persone, cui aggiungere i circa 10 mila adulti e 4 mila studenti che parteciperanno direttamente alle attività di promozione dell’igiene e sanità e ad azioni di sensibilizzazione sull’utilizzo dell’acqua, oltre alle circa 20 persone che saranno formate per la gestione del sistema dell’acqua (finanza, marketing e tariffe). (R.P.)
Settimana europea per la vita all’europarlamento promossa dalla Comece
◊ Da oggi, Settimana per la vita europea. Si tratta della seconda edizione dell’iniziativa della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (Comece) e del Partito popolare Europeo che nella sede dell’Europarlamento a Bruxelles promuoverà nei prossimi giorni alcuni dibattiti. Si tratterà della lotta contro il cancro e degli sviluppi delle cure palliative; di salute sessuale e riproduttiva nei Paesi in via di sviluppo. E si discuterà in particolare delle sfide in campo bioetico e della ricerca sulle cellule staminali nel quadro di Horizon 2020, il programma di ricerca dell’Unione Europea per il periodo 2014-2020. Numerosi i relatori, politici o esperti, di varie nazionalità, chiamati a confrontarsi su queste difficili questioni. E ci sarà poi un momento in cui saranno protagonisti esponenti della società civile, di associazioni pro-life e di organizzazioni non governative. In base al Trattato di Lisbona è previsto lo strumento della “Iniziativa dei cittadini” per consentire agli europei di sollecitare l’Ue a legiferare su determinati temi. E proprio da diverse realtà associative della società partirà l’iniziativa di raccolta di firme – almeno un milione - in tutto il continente per la difesa della vita, da sottoporre alle istituzioni dell’Ue. Nella convinzione che la difesa della vita può passare attraverso una molteplicità di ambiti: da quelli a carattere politico e giuridico ad altri relativi all’economia, al lavoro, alla cultura, ai modelli sociali e comportamentali. (F.S.)
India: le pressioni della società civile per il rilascio dell’ostaggio italiano
◊ Dopo la liberazione di Claudio Colangelo – uno dei due ostaggi italiani rapiti dai ribelli maoisti alcuni giorni fa – “vi sono forti pressioni della società civile e c’è grande consapevolezza nell’opinione pubblica dell’Orissa, nel chiedere il rilascio del secondo ostaggio, Paolo Bosusco”, dicono fonti dell'agenzia Fides in Orissa. Il gruppo di ribelli maoisti ha rilasciato Claudio Colangelo, spiega la fonte, “su basi umanitarie e anche per le pressioni della società civile, degli stessi tribali”, offrendo “un segnale di buona volontà nella vicenda”. Ora tutti attendono il rilascio del secondo ostaggio, mentre i negoziati fra governo e ribelli sono ripresi. I ribelli chiedono che il governo soddisfi almeno alcune delle loro richieste e, secondo fonti di Fides, “il governo farà un passo”, anche se la vicenda è stata complicata, nei giorni scorsi, dal rapimento di un parlamentare dell’Orissa. Ma “il parlamentare è stato rapito in Andra Pradesh, un altro Stato, e da un altro commando di ribelli” nota la fonte di Fides. Per questo i due casi di sequestro “resteranno separati, anche nel negoziato”. Nella Chiesa dell’Orissa, intanto, “si prega e si spera in uno sviluppo positivo”, dice un sacerdote, mentre diverse componenti della società, come donne, associazioni, gruppi tribali, studenti, proseguono l’opera di sensibilizzazione e continuano a manifestare, in varie forme, per un immediato rilascio degli innocenti sequestrati. “Questo movimento – nota la fonte di Fides – è molto importante per la coscienza collettiva e influisce anche sui sequestratori”. (R.P.)
Lourdes. Il cardinale Vingt-Trois: appello alla pace sociale e fiducia nella politica
◊ Ciò che preoccupa la Chiesa cattolica di Francia in questo periodo di campagna elettorale è “lo scetticismo” con il quale gli elettori guardano alla “azione politica, ai politici in generale e ai candidati alle elezioni in particolare”. Perché “sarebbe una disfatta della democrazia se gli elettori rinunciassero a votare perché dubitano delle soluzioni presentate”. Questa l’analisi “politica” che il cardinale André Vingt-Trois, presidente della Conferenza episcopale francese, ha delineato oggi della campagna elettorale per le presidenziali, parlando ai vescovi riuniti a Lourdes per l’Assemblea plenaria di primavera. “La gravità della crisi della nostra società, amplificata ancora di più dalla drammatizzazione dell’informazione, potrebbe suscitare in alcuni una sorta di fatalismo. La riduzione delle analisi ai soli elementi economici, sociali o finanziari della crisi, rischia di mascherare le sue dimensioni culturali, morali e spirituali. Saremmo pertanto di fronte ad una situazione impossibile da gestire e che scapperebbe ad ogni volontà politica di governo. Questa impressione non può che fortificarsi nella misura in cui le proposte fatte o i progetti annunciati non sembrano sempre essere all’altezza delle sfide da risolvere”. La crisi - dice l’arcivescovo Vingt-Trois - è “profonda” e “grave” e richiede “rimedi proporzionati” alla situazione. “La storia - ha proseguito il cardinale -, compresa quella contemporanea, ci dimostra che uomini e donne decisi e che dichiarano apertamente i loro progetti, possono cambiare qualcosa, anche se è doloroso per tutti”. Nella prolusione - riferisce l'agenzia Sir - l’arcivescovo lancia poi l’invito ad abbassare i toni del dibattito pubblico pre-elettorale: “Quando il confronto si trasforma in incitamento all’odio verso gli altri candidati e al disprezzo dell’altro, mette a repentaglio il futuro in maniera inquietante”. Da qui l’invito dell’arcivescovo a votare per candidati “degni di fiducia”. Il porporato in apertura della prolusione ha fatto riferimento agli “avvenimenti tragici di Tolosa e Montauban che hanno sconvolto il nostro Paese”. “L’atto di un uomo fanatico - ha detto - può anche suscitare tentazioni di violenza sociale. Noi tutti vogliamo che questa violenza non si diffonda nei confronti delle diverse comunità religiose del nostro Paese. Desideriamo esprimere alle famiglie colpite dai lutti e a tutta la comunità ebraica di Francia la nostra vicinanza e la condivisione con la quale abbiamo vissuto il loro dolore. Approfitto di questa Assemblea per assicurare la preghiera delle nostre comunità cattoliche”. (R.P.)
India: anche ieri nella Giornata pro-vita, una donna vittima di violenza
◊ Una marcia di 400 persone si è svolta ieri a Mumbai, per celebrare la Giornata pro-vita. Ma proprio ieri, in un villaggio del West Bengal, una donna è stata bruciata viva dal marito, perché “colpevole” di aver partorito due bambine e nessun maschio. Un episodio terribile che si collega ai numerosi casi di infanticidio femminile che ancora affliggono l’India. La Giornata pro-vita, organizzata dalla Commissione diocesana per la Vita umana (Cdvu), si è aperta con una Messa presieduta dal presidente della Cdvu, mons. Agnelo Gracias. “Pro-vita non significa espressione di sé – sottolinea all'agenzia AsiaNews mons. Gracias - ma sacrificio di sé. La nostra vita è come una candela: se accesa, brucia e scompare in fretta, ma in questo processo, dà luce. Gesù è morto sulla Croce per darci la vita. Questo è il paradosso: la vita attraverso la morte”. Ad evidenziare un’India dai due volti che “insieme ai progressi economici, vede crescere anche una cultura della morte” sono state le parole del dottor Pascoal Carvalho, membro della Pontificia accademia per la vita. “Per poter contrastare la cultura della morte – dice - governi, leader religiosi, Ong, gruppi giovanili, sindacati, istituzioni educative e media devono lavorare insieme, per promuovere una cultura della vita”. È una vergogna che in città in evoluzione come quelle indiane, esistano ancora casi di feticidi e infanticidi femminili. O, come nel caso di Rupali Bibi, di una donna messa al rogo perché si è rifiutata di abortire solo perché aspettava una bambina”. Secondo alcune organizzazioni internazionali, il rapporto ritenuto normale a livello mondiale sulle nascite è di almeno 950 femmine per 1.000 maschi. In India i primi risultati dell’ultimo censimento mostrano che il rapporto è sceso a 914 femmine ogni 1.000 maschi, riducendosi ulteriormente rispetto al dato del precedente censimento che mostrava un rapporto di 927 a 1.000. “Uno squilibrio scioccante tra numero di maschi e femmine – aggiunge Carvalho - il peggiore dall'indipendenza.” Studi recenti prevedono che nei prossimi 20 anni, di questo passo, l'India avrà il 20% in più di uomini rispetto alle donne. (F.S.)
Egitto: formata l'Assemblea costituente. Il peso dei partiti islamici
◊ Si riunirà mercoledì la sessione inaugurale dell’Assemblea costituente i cui 100 membri sono stati eletti ieri dal parlamento egiziano. Lo riferisce oggi la stampa in Egitto dando ampio risalto alla rappresentanza che in seno all’Assemblea avranno i partiti di orientamento islamico. Su cento seggi le forze islamiche ne controlleranno 65: la formazione più rappresentata sarà Libertà e giustizia, braccio politico dei Fratelli musulmani, seguita dai salafiti di Al Nour e da altre personalità indipendenti orbitanti nella stessa area. Dell’assemblea fanno parte sia parlamentari sia personalità di varia estrazione, in particolare esponenti sindacali e alcuni studenti. Critiche sulla predominanza di esponenti di orientamento islamico sono state espresse da formazioni laiche, in particolare dal Partito socialdemocratico, dal Partito dei liberi egiziani e dal Wafd. Pur avendo loro rappresentanti, secondo il quotidiano ‘Al Ahram’ i tre partiti stanno valutando l’opportunità di ritirarsi dall’organismo incaricato di redigere la Legge fondamentale dello Stato. Nella sessione di mercoledì, l’Assemblea eleggerà un presidente e due vicepresidenti; saranno inoltre formate commissioni, ognuna delle quali avrà l’incarico di occuparsi di una parte della futura Costituzione. L’elezione dell’Assemblea è sopraggiunta in un momento di relativa tensione tra la giunta militare che sta guidando la transizione e i Fratelli musulmani. A questi ultimi che sabato avevano chiesto lo scioglimento del governo di Kamal Al Ganzouri (nominato dai militari) accusandolo di aver mancato gli obiettivi di governo e di costituire una minaccia al corretto svolgimento delle elezioni presidenziali, la giunta ha risposto ieri affermando che il governo resterà in carica fino al termine della transizione e che le accuse sulla volontà di pilotare le prossime elezioni sono senza fondamento. (R.P.)
Indonesia: a Riau le autorità revocano i permessi a una chiesa cattolica
◊ Sconcerto e delusione fra i cattolici indonesiani, per la decisione delle autorità del distretto di Rokan Hulu, nella provincia di Riau, di revocare i permessi di costruzione della chiesa di Sant'Ignazio. L'area in cui sorge il cantiere - riferisce l'agenzia AsiaNews - è recintata con filo spinato e dal 21 marzo scorso la zona è posta sotto sequestro. I fedeli denunciano la "palese violazione" della libertà religiosa e confermano la regolarità della documentazione raccolta per avviare i lavori. Le autorità locali rispondono che i terreni verranno destinati ad altra finalità, anche perché la comunità musulmana non è più disponibile ad accettare la presenza di un luogo di culto cristiano. Il 21 marzo scorso decine di dipendenti pubblici della reggenza di Rokan Hulu, nella provincia di Riau, sull'isola di Sumatra, hanno fatto irruzione nel cantiere della chiesa di Sant'Ignazio, nel villaggio di Sukamaju, sotto-distretto di Rambah. Le autorità hanno imposto il blocco dei lavori, fra lo sconcerto degli operai e dei fedeli che hanno mostrato - invano - i permessi in regola con le normative vigenti. In Indonesia le costruzioni sono approvate con l'Izin Mendirikan Bangunan (Imb), permesso di edificare concesso dalle autorità locali che consente l'apertura di un cantiere. In caso di luoghi di culto cristiani, ai permessi va aggiunto il nulla osta scritto e firmato da almeno 60 residenti - musulmani - dell'area in cui sorgerà il luogo di culto cristiano. La chiesa cattolica di Sant'Ignazio dovrebbe sorgere nella provincia di Riau, ma appartiene alla diocesi di Padang, nella provincia di West Sumatra. P. Kus Aliandu Pr, segretario del vescovo, conferma che "il comitato per la costruzione ha raccolto tutti i documenti", fra cui la firma di "90 cattolici e 60 non cristiani abitanti nell'area". E il 23 novembre 2010 le autorità hanno rilasciato le autorizzazioni alla costruzione. La cerimonia di posa della prima pietra si è tenuta il 19 dicembre 2010. Non avendo completato i lavori entro i tempi previsti - di cinque mesi - il comitato ha presentato una richiesta per la proroga dei lavori, depositata il 6 agosto 2011. Tuttavia, il 2 gennaio di quest'anno è arrivata la risposta: negativa. Le autorità affermano che la chiesa dovrebbe sorgere in un'area - oggi - speciale, in cui verrà realizzato un centro di ricerca agricolo. Inoltre, il 5 ottobre la locale comunità musulmana ha sollevato dubbi sulla documentazione fornita dai cattolici bollando come "contraffatti" alcuni incartamenti e "non valide" le firme. Per i cattolici di Riau si prospetta quindi una lunga battaglia legale a difesa della libertà religiosa, in tutto simile a quella che si prolunga da mesi dei fedeli protestanti della Yasmin Church a Bogor. (R.P.)
Consiglio d’Europa: Boris Tadic e Souhayr Belhassen "Personaggi dell'anno"
◊ Sono stati determinanti per la storia del proprio Paese fino a cambiarne il corso: con questa motivazione, Boris Tadić, presidente della Serbia, e Souhayr Belhassen, attivista tunisina, saranno insigniti domani a Lisbona del riconoscimento “Personaggi dell’anno” (del 2011) da parte del “Centro Nord Sud” del Consiglio d’Europa. Il Centro, nato nel 1989 e attualmente presieduto dalla parlamentare italiana Deborah Bergamini, ha l’obiettivo di migliorare le condizioni sociali dei Paesi del bacino del Mediterraneo. Il premio viene conferito ogni anno dal 1995, ad una personalità di spicco del Sud e a una del Nord. Quest’anno è stato riconosciuto che per il Nord il presidente della Serbia Boris Tadić si è distinto per la dedizione all’opera di riconciliazione dei Balcani e per il processo di integrazione della Serbia nel progetto europeo. Accanto a ciò, l’impegno profuso da Tadić per assicurare l'arresto di Ratko Mladić e Goran Hadžić, ultimi due criminali di guerra, e il loro trasferimento al Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia. Per il Sud il riconoscimento andrà a Souhayr Belhassen, che è presidente della Federazione internazionale dei diritti umani, considerata simbolo dei cambiamenti storici nel mondo arabo per aver lottato strenuamente al fine di migliorare le condizioni della donna e l’equità sociale non solo in Tunisia, ma anche nei Paesi che hanno dato impulso alla primavera araba. Il premio sottolinea l’alto contributo sociale di quanti hanno mutato il corso della storia del proprio Paese e al tempo stesso desidera essere di stimolo per quanti vogliano impegnarsi a fondo nei temi della giustizia sociale. Il riconoscimento sarà consegnato dal presidente della Repubblica portoghese, Aníbal Cavaco Silva, nel corso di una cerimonia di Stato all’Assemblea nazionale. Il premio, infatti, è conosciuto anche come Premio Nord Sud di Lisbona, perché la capitale portoghese è stata scelta come sede di riferimento perché la sua posizione è vicina al Nord Europa ma i suoi legami culturali la avvicinano al Mediterraneo. In passato sono stati insigniti del premio, tra gli altri, Mikhail Gorbachov, Simon Veil. (F.S.)
Ucraina: Caritas ringrazia per gli aiuti durante la rigida stagione invernale
◊ Grazie agli aiuti ricevuti da benefattori tedeschi e austriaci, per un totale di 50.000 euro, Caritas ha potuto assistere 1.500 persone bisognose mediante la fornitura di riscaldamento e cibo in 12 stazioni di emergenza, in una stagione invernale che quest’anno è stata particolarmente rigida in Ucraina. Il personale e i volontari Caritas hanno inoltre iniziato a prestare assistenza a domicilio, fornendo i medicinali necessari, in particolare ad anziani e senzatetto. Secondo Nadia Chorna, responsabile per le pubbliche relazioni di Caritas Ucraina, l’organismo pastorale ha fornito assistenza nelle sue strutture, nelle unità mobili e in tende appositamente equipaggiate situate in prossimità di stazioni ferroviarie e parchi in diverse città ucraine. Nelle settimane in cui si sono registrate le temperature più rigide, anche inferiori ai 30 gradi sotto lo zero, che hanno causato la morte di decine di persone per ipotermia o congelamento, Caritas ha tenuto una stretta collaborazione con le autorità locali, il Ministero per le situazioni di emergenza, le organizzazioni partner e le comunità cristiane. L’organizzazione esprime la sua “sincera gratitudine” a tutti gli sponsor, volontari e partner per la loro sollecitudine, disponibilità e attenzione nel rispondere ai bisogni dei sofferenti. (R.P.)
Venezia: ieri la prima omelia a San Marco del neo patriarca mons. Moraglia
◊ Per la nuova evangelizzazione è fondamentale il ruolo della comunità: lo ha affermato mons. Francesco Moraglia che ieri nella basilica di San Marco ha tenuto la sua prima omelia da patriarca, durante la cerimonia di insediamento che ha concluso un percorso iniziato sabato scorso con l’ingresso in diocesi dalla porta di Mira, lungo la Riviera del Brenta. A Venezia mons. Moraglia ha chiesto di essere “comunità evangelizzante”. “I discepoli, intesi personalmente e comunitariamente, - ha detto - vengono prima degli uffici pastorali, prima delle facoltà teologiche, prima della rete mediatica”. Con il pensiero rivolto all’episodio dei discepoli di Emmaus, ha sottolineato l’importanza dell’Eucaristia, “evento privilegiato del realismo cristiano”. Realismo che “include il rispetto della vita sempre, senza condizioni”. Nel richiamare l’anno della fede indetto da Benedetto XVI, il neo patriarca ha sottolineato che l’evangelizzazione della chiesa stessa deve “crescere nella consapevolezza della fede per educarsi e porsi, senza arroganza ma anche senza timori e complessi d’inferiorità, in una testimonianza dialogica con le culture del nostro tempo”. E questa sera, a Mestre, il primo impegno ufficiale e pubblico di mons. Moraglia: nel Duomo di S. Lorenzo guiderà una veglia di preghiera per la vita promossa dal Movimento per la vita e dal Centro di aiuto alla vita di Venezia-Mestre, insieme al vicariato di Mestre e alle varie realtà del patriarcato. (G.M.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 86