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Sommario del 21/03/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Messico. Il presidente dei vescovi sulla visita di Benedetto XVI: tutto il Paese è molto legato alla figura del Papa
  • Cuba. L'arcivescovo di Santiago: attendiamo il Papa in una terra in cerca di riconciliazione
  • Rinunce e nomine
  • A Palermo il "Cortile dei Bambini": disegni e parole dei più piccoli per raccontare la Sicilia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Tolosa: ore contate per il presunto killer circondato dalla polizia
  • Il dramma di Tolosa, specchio di sentimenti antisemiti tuttora diffusi in Occidente
  • Violenze in Siria, la Russia prende le distanze: "Commessi errori gravissimi"
  • Gli Ordinari cattolici di Terra Santa: basta con la tratta di esseri umani nel Sinai
  • No a tutte le discriminazioni: in Italia celebrazioni per la Giornata contro il razzismo
  • Diotallevi sulla riforma del mercato del lavoro: non si ferma al vecchio modo della concertazione
  • La memoria per sconfiggere le mafie. Oggi 17.ma Giornata dell'impegno contro le cosche
  • Giornata mondiale della sindrome di Down. Intervista con il prof. Zampino del Policlinico Gemelli
  • La Giornata mondiale della poesia. Intervista con Roberto Mussapi
  • A Roma lo "Splendore dell'acqua", poesie di Karol Wojtyla
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • India: solidarietà della Chiesa di Orissa agli italiani rapiti
  • Siria. La Chiesa ortodossa: “pulizia etnica” di cristiani a Homs. L'opera dei Gesuiti
  • Siria. Padre Pizzaballa: ad Aleppo colpito convento cristiano
  • Sono almeno mille i missionari uccisi dal 1980 al 2011
  • El Salvador ricorda mons. Romero ma non in cattedrale, ancora occupata
  • Ecuador: 15 mila bambini costretti a lavorare a Quito
  • Cile: i fedeli di Calama chiedono maggiore attenzione al governo centrale
  • Bruxelles: si apre l'Assemblea plenaria degli episcopati europei
  • Per il Gran muftì vanno distrutte tutte le chiese esistenti nella Penisola araba
  • Myanmar: sacerdote cattolico apre una clinica gratuita con l’aiuto di un monaco buddista
  • Cina: i cattolici hanno celebrato la solennità di san Giuseppe
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messico. Il presidente dei vescovi sulla visita di Benedetto XVI: tutto il Paese è molto legato alla figura del Papa

    ◊   Per Benedetto XVI oggi è l'antivigilia del lungo volo che venerdì lo condurrà fino in Messico, prima nazione a essere visitata nel corso del suo 23.mo viaggio apostolico internazionale. In particolare, il Papa si recherà nelle città di Leon e Guanajuato, località in grande fermento per gli ultmi preparativi in vista dell'arrivo del Pontefice. Il nostro inviato a Leon, Giancarlo La Vella, ha chiesto a mons. Carlos Aguiar Retes, presidente della Conferenza Episcopale del Messico e presidente del Celam – la Conferenza dei vescovi dei Paesi latino-americani – quali aspettative nutra la comunità messicana per la visita del Papa:

    R. – Es una expectativa de grande esperanza…
    E’ un’aspettativa di grande speranza. La comunità messicana, e in particolare la comunità cattolica del Paese, sta mettendo nella preparazione di questa visita la parte migliore di se stessa. Le diocesi, con le 91 circoscrizioni ecclesiali esistenti, stanno realizzando un lavoro di base nelle parrocchie, affinché tutti, compresi i milioni di cattolici che non potranno essere fisicamente presenti in Guanajuato, possano ugualmente seguire tutti gli eventi, che saranno comunque trasmessi in diretta televisiva e seguiti dai media messicani. Il desiderio è che tutti possano sentire la vicinanza con il Santo Padre: che possano vivere ciò che vivranno le 300 mila persone presumibilmente presenti alla celebrazione dell’Eucaristia e possano percepire la stessa grande emozione nell'ascoltare la parola di grande respiro, che attendiamo dal Santo Padre.

    D. – Che cosa aspettate dalle parole del Santo Padre?

    R. – En primer lugar, para nosotros ya es una grande alegría la sola presencia…
    Prima di tutto, per noi è già una grande gioia la presenza in sé del Papa, perché lui ci porta un messaggio grande di comunione: il desiderio di condividere con noi la situazione che viviamo. In particolare, però, speriamo che la sua parola – che si è sempre caratterizzata per una grande profondità ed è sempre molto adeguata ai momenti e ai contesti differenti di vita, sulla base della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa – ci aiuti e ci incoraggi a mantenere sempre alto il nostro entusiasmo, affinché il lavoro ecclesiale iniziato con la Missione continentale sia condotto sempre in prospettiva e a sostegno dei problemi che viviamo nel nostro Paese.

    D. – In Messico è ancora viva l’emozione per i cinque viaggi effettuati dal predecessore di Benedetto XVI, il Beato Giovanni Paolo II. Che ricordo ha di quelle visite?

    R. – El Santo Padre Juan Pablo II, primer Papa que visitó nuestro País…
    Il Santo Padre Giovanni Paolo II, il primo Papa che ha visitato il nostro Paese, ha sentito immediatamente, sin dal suo primo viaggio, la grande emozione nel vedere quanto la figura del Successore di Pietro sia amata in Messico. Anche ai tempi dei Papi precedenti, come Paolo VI, Giovanni XXIII, Pio XII, Pio XI, quando il Messico viveva gravi difficoltà dovute al conflitto religioso, la figura del Pontefice è stata sempre un elemento importantissimo nella vita ecclesiale del Paese. Per questo, con Giovanni Paolo II scattò rapidamente una grande empatia, una grande relazione con colui che rappresenta la Chiesa di Cristo. Questo affetto, che si è manifestano apertamente con Karol Wojtyla, sarà senza alcun dubbio espresso anche nei confronti di Benedetto XVI: questo perché è un sentimento che riguarda la figura del Papa in sé, la figura stessa dell’istituzione del ministero pontificio. L’identità personale, poi, arricchisce e alimenta la conoscenza storica dei diversi Pontefice che si sono avvicendati nell’arco del XX e del XXI secolo nella conduzione della Chiesa, nel cammino che il Padre Nostro vuole indicarci. Tutto questo il popolo messicano lo sente molto e noi pastori possiamo verificarlo nei colloqui, nei momenti di incontro con le comunità ecclesiali… E’ molto forte l’emozione, via via che si avvicina il momento dell’incontro con il Santo Padre Benedetto XVI.

    D. – Questa è un’epoca difficile un po’ in tutto il mondo, sia a livello economico che sociale e politico. Che Paese è oggi il Messico che accoglierà Benedetto XVI?

    R. – Un país, como lo ha dicho usted, en medio de problemas…
    Un Paese, come lei stesso ha detto, che si trova a vivere problemi che mai aveva vissuto; che si trova ad affrontare situazioni particolarmente complesse, che non vedono una soluzione immediata. Ma noi sappiamo, proprio grazie alla nostra fede, che in questa situazione si cresce e si matura come discepoli di Cristo. Questa è la fiducia che ha la Chiesa cattolica messicana, la quale affronta ogni evento con speranza. Per questo confidiamo e speriamo, con tutti noi stessi, che la presenza del Santo Padre ci infonda un grande entusiasmo e una grande gioia, nonostante tutte le nostre difficoltà che stiamo vivendo.

    D. – Lei è anche il presidente del Celam, la Conferenza episcopale dei Paesi latinoamericani: questo viaggio del Papa in Messico e Cuba è un evento per l’intera comunità latinoamericana?

    R. – Sì. Efectivamente el viaje del Papa a México y Cuba no es solamente…
    Sì ed effettivamente il viaggio del Papa in Messico e a Cuba non è solamente una visita a questi due Paesi, ma sarà simbolicamente, attraverso loro, un abbraccio a tutti i Paesi dell’America Latina e del Caribe. La realtà che vive Cuba e la realtà che vive il Messico sono due espressioni ben distinte tra loro, ma tuttavia rappresentano le diverse situazioni della maggior parte dei Paesi dell’America Latina. Il Papa stesso ha chiesto che venissero invitati – e questo lo abbiamo fatto come Celam – i rappresentanti delle Conferenze episcopali del continente e del Caribe: in Messico saranno presenti praticamente tutte le Conferenze episcopali americane, dal Canada all’Argentina, mentre a Cuba vi sarà la maggior parte delle Conferenze episcopali del Caribe. In questo modo, la visita diventa un incontro che si prolunga, che si amplia. Sicuramente, molto di quanto ci dirà il Santo Padre ci sarà di aiuto e ci permetterà di orientarci nella situazione che vive ciascun Paese.

    D. – Un’ultima domanda: quali parole pensa di rivolgere al Papa quando lo incontrerà?

    R. – Yo considero que es muy importante que le diga…
    Io credo che sia molto importante poter illustrare al Santo Padre qual è il lavoro che abbiamo fatto da Aparecida ad oggi, cioè da quello che è stato il nostro ultimo incontro, a livello di America Latina, con il Santo Padre, in occasione delle celebrazione della V Conferenza generale di Aparecida, in Brasile. Sono passati cinque anni e la Chiesa è in cammino: la Chiesa in tutti i Paesi – insieme con le Conferenze episcopali e con il riconoscimento del Celam – è in cammino e sta seguendo un itinerario in linea e in risposta alla missione continentale, che è stata proclamata ad Aparecida. Credo che questo sarà al centro del mio saluto e delle parole che rivolgerò al Santo Padre quando ci incontreremo nella Cattedrale di Leon, insieme con i vescovi del Messico e con ii rappresentanti di tutta l’America Latina. (mg)

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    Cuba. L'arcivescovo di Santiago: attendiamo il Papa in una terra in cerca di riconciliazione

    ◊   Lunedì 26 marzo, quando in Messico saranno le 9 del mattino, Benedetto XVI si imbarcherà sull'aereo alla volta di Cuba, dove giungerà nel primo pomeriggio. Santiago de Cuba è la città dell'Isola caraibica che per prima abbraccerà il Papa. Luca Collodi ne ha intervistato l'arcivescovo, mons. Dionisio Guillermo Garcia Ibanes, presidente Conferenza episcopale cubana, al quale ha chiesto una riflessione sulle speranze della Chiesa locale per il terzo millennio:

    R. – Que Cristo sea conocido por todos los cubanos...
    Che Cristo sia conosciuto da tutti i cubani, in modo che conoscendolo lo amiamo, e amandolo ci consegniamo a Lui. Che ciascun cattolico cubano, ciascun cristiano, sia più saldo nella sua fede e sia suo testimone in mezzo al nostro popolo. La speranza è anche che ogni giorno il Signore ci dia più forza per lottare a favore della riconciliazione nel nostro Paese, perché ogni cubano, senza distinzione, possa crescere in pienezza e che tutte le sue possibilità possano essere sviluppate per il bene della famiglia e di tutto il nostro popolo.

    D. – E invece la preoccupazione maggiore dei vescovi cubani ?

    R. – La preocupacion mayor...
    In questo momento, la nostra preoccupazione maggiore è quella di come arrivare al nostro popolo e come, con un così ridotto servizio pastorale e con mezzi limitati per poter evangelizzare, possiamo far conoscere Gesù Cristo. E’ una grande preoccupazione: la necessità di un servizio pastorale, di sacerdoti, di religiosi, di diaconi. Grazie a Dio abbiamo un laicato impegnato, che rende possibile fare meraviglie. Un’altra preoccupazione è far sì che nel nostro Paese tutti sentano il bisogno della riconciliazione, dell’incontro comune, del rispetto per la persona nella sua dignità e nei suoi diritti, perché tutti i cubani si sentano membri di questa patria, che amiamo molto, e che tutti si sentano come fratelli, indipendentemente dalla fede, dal modo di pensare, dalle condizioni sociali. Questa è la preoccupazione e la lotta pastorale – chiamiamola così per darle un termine dinamico, di azione – che noi vescovi cubani abbiamo.

    D. – Che importanza ha la pastorale sociale nel servizio alle comunità locali?

    R. – La actividad pastorale està muy presente...
    L’attività pastorale è molto viva ed è una delle più attive che abbiamo nella nostra comunità: sia con la Caritas – in tutte le sue dimensioni, nell’aiuto come nella promozione umana – sia con la pastorale della salute, la pastorale per gli anziani e in tutta la promozione sociale, come pure nella formazione che abbiamo in ogni diocesi, nell’impegno con le persone che hanno bisogno e che soffrono. In tutte le nostre comunità, per piccole che siano, sicuramente c’è un gruppo della Caritas che funziona.

    D. – Mons. Garcia, il fenomeno della “santerìa”, presente anche nel territorio della sua diocesi, preoccupa i vescovi di Cuba?

    R. – El sincretismo religioso...
    Il sincretismo religioso, che non è solo una religione africana e si unisce allo spiritismo, un fenomeno esteso in tutta Cuba, è maggiormente presente a L’Avana, a Matanza e a Santiago de Cuba. Nell’Est dell’isola, c’è un sincretismo unito allo spiritismo che è più vicino alla pratica religiosa cattolica e molte volte le pratiche si confondono. Non c’è dubbio che rappresenti sempre una preoccupazione per noi pastori. Dobbiamo rispettare ogni persona, la sua libertà, la sua maniera di relazionarsi con Dio, però la nostra missione è anche quella di far conoscere Gesù Cristo come nostro unico Salvatore. E proprio per il rispetto che abbiamo per le persone che praticano la “santeria”, per esempio, ecco la nostra decisione di far conoscere Gesù a queste persone e a tutti coloro che vogliono conoscerlo. Ricordiamo che il fenomeno della "santeria" è un fenomeno che molte volte non è una pratica sistematica, quanto una pratica devozionale, una pratica sincretica, che si mischia a quella cattolica. Quindi, ci sono persone che hanno optato davvero per la “santerìa” e persone, invece, che hanno optato culturalmente per una serie di pratiche.

    D. – Come state accompagnando il rinnovamento sociale della nazione?

    R. – Nosotros en las omelias...
    Nelle nostre omelie, nel messaggio che abbiamo fatto collegialmente e anche individualmente, l’aspetto sociale del futuro di Cuba è molto presente, e non solo nei comunicati pubblici, ma anche nelle conversazioni che sosteniamo. Anche con le autorità parliamo del futuro del Paese, dei cambiamenti necessari, perché si possa avere uno sviluppo armonico economico, sociale e politico nel Paese. (ap)

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    Rinunce e nomine

    ◊   In Brasile, Benedetto XVI ha nominato Vescovo Prelato di São Félix, S.E. Mons. Adriano Ciocca Vasino, finora Vescovo di Floresta. S.E. Mons. Adriano Ciocca Vasino è nato l’8 luglio 1949 a Borgosesia, diocesi di Novara (Italia). Ha frequentato il Corso di Filosofia presso il Seminario Filosofico e Teologico San Gaudenzio, a Novara e quello di Teologia presso lo Studentato Teologico San Zeno, a Verona. È stato ordinato sacerdote l’8 settembre 1974 e incardinato nella diocesi di Novara. Dopo alcuni anni di pratica pastorale nella sua diocesi di origine, lavorando come Vicario parrocchiale a Grignasco (1974-1978), si è recato come sacerdote fidei donum in Brasile, dove ha ricoperto i seguenti incarichi: Parroco in Araripina, allora diocesi di Petrolina, oggi diocesi di Salgueiro (1979-1989); Parroco a Petrolina, con cura pastorale dell’area rurale del municipio di Petrolina e della parrocchia di Afrânio (1989-1992); Vicario della parrocchia di Petrolândia per la regione di Vila Jatobá, nella diocesi di Floresta (1993-1997); Vicario della parrocchia di Petrolândia e Coordinatore di Pastorale della diocesi di Floresta (1998-1999). Eletto Vescovo di Floresta il 3 marzo 1999, è stato consacrato il 2 maggio successivo.

    Sempre in Brasile, il Papa ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Fortaleza il Rev.do Sac. José Luiz Gomes de Vasconcelos, del clero della diocesi di Garanhuns, finora Rettore del Seminario Interdiocesano di Caruaru, assegnandogli la sede titolare vescovile di Canapio. Il Rev.do Sac. José Luiz Gomes de Vasconcelos è nato il 12 maggio 1963, a Garanhuns (Pernambuco) e ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 9 dicembre 1989. Ha iniziato gli studi filosofici presso il Seminário do Regional Nordeste II e l’Instituto Teologico do Recife, nell’arcidiocesi di Olinda e Recife. Ha concluso la Filosofia e l’intero corso di Teologia presso la Facoltà Nossa Senhora da Assunção, a São Paulo. Ha conseguito anche la Licenza in Teologia Patristica presso la Pontificia Università Gregoriana, oltre avere frequentato un Corso per formatori a Roma. Nel corso del suo ministero, ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della parrocchia Nossa Senhora da Conceição ad Águas Belas e della parrocchia Nossa Senhora Mãe dos Homens a Itaíba, diocesi di Garanhuns (1990-2000); Parroco della parrocchia Senhor Bom Jesus dos Pobres Aflitos a São Bento do Una, diocesi di Garanhuns (2000-2005); Coordinatore diocesano di Pastorale a Garanhuns (2002-2005); Membro dell’Equipe di Formazione del Seminario Interdiocesano (dal 2008 in più); Membro del Consiglio Presbiterale della diocesi di Garanhuns. Attualmente è Rettore del Seminario Maggiore Interdiocesano Nossa Senhora das Dores, nella diocesi di Caruaru e responsabile dell’Organizzazione dei Seminari e degli Istituti Filosofico-Teologici del Brasile nel Regionale Nordeste 2 della Conferenza Episcopale Brasiliana.

    Ancora in Brasile, il Pontefice ha nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di São Salvador da Bahia il Rev.do Padre Giovanni Crippa, I.M.C., finora Docente e Parroco nell’arcidiocesi di Feira de Santana, assegnandogli la sede titolare vescovile di Accia. Il Rev.do P. Giovanni Crippa, I.M.C., è nato il 6 ottobre 1958 a Besana Brianza, nell’arcidiocesi di Milano (Italia). Dopo gli studi medi presso il Seminario di Bevera di Castello Brianza, ha compiuto gli studi di Filosofia presso la FIST – Federazione Interreligiosa per gli Studi Teologici di Torino e quelli di Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, nella quale ha poi ottenuto la Licenza e la Laurea in Storia Ecclesiastica. Il 13 settembre 1981 ha emesso i voti religiosi nell’Istituto Missioni Consolata e il 14 settembre 1985 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale. In Italia, è stato Animatore missionario e vocazionale a Torino (1987-1993); Professore della Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Urbaniana a Roma e dell’Istituto di Catechesi Missionaria a Roma e Castelgandolfo (1993-2000). Inviato al Brasile nel 2000, ha svolto il suo ministero nell’arcidiocesi di Feira di Santana, Stato di Bahia, come Vicario parrocchiale e Parroco della parrocchia Santíssima Trindade, Docente di Storia Ecclesiastica della Facoltà arcidiocesana, Direttore Spirituale del Seminario di Filosofia, Membro del Consiglio Presbiterale e del Collegio di Consultori. Inoltre, è stato finora Membro del gruppo di coordinamento del Dipartimento Storico dell’Istituto Missioni Consolata e Consigliere Provinciale in Brasile.

    Benedetto XVI ha nominato membri del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari l’Em.mo Cardinale Wilfrid Fox NAPIER, O.F.M., Arcivescovo di Durban (Sud Africa) e l'Ecc.mo Mons. Walter MIXA, Vescovo emerito di Augsburg (Rep. Federale di Germania). Il Papa ha inoltre nominato Consultori del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari: l'Ecc.mo Monsignore Joachim NTAHONDEREYE, Vescovo di Muyinga (Burundi); gli Ill.mi Signori: Dott. Orochi Samuel ORACH, Direttore dell'Ufficio Nazionale di Pastorale della Salute (Uganda); Dott. Stefano OJETTI, Vice Presidente dell'Associazione dei Medici Cattolici - AMCI (Italia); Dott. Salvatore PAGLIUCA, Presidente dell'Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali - UNITALSI (Italia).

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    A Palermo il "Cortile dei Bambini": disegni e parole dei più piccoli per raccontare la Sicilia

    ◊   Nel Cortile dei Gentili – l’iniziativa lanciata dal Pontificio Consiglio della cultura per promuovere il dialogo tra credenti e non credenti – arrivano i bambini per porre le loro domande sulla vita e il loro punto di vista sui grandi temi che interpellano la società. A Palermo – prossima tappa del Cortile il 29 e 30 marzo – i bambini disegneranno e scriveranno come vedono la loro isola e cosa pensano del dialogo tra i popoli. Roberta Gisotti ha intervistato Patrizia Martinez, responsabile del Cortile dei Bambini:

    R. – Questa idea nasce grazie al cardinale Ravasi che fa strada, nel cammino del Cortile dei Gentili, anche ai bambini. I bambini che sono i primi – se così si può dire – che vivono il Cortile dei Gentili davanti alle loro scuole, nelle loro case e nelle piazze di tutte le città: luoghi dove si incontrano persone di tutte le culture, persone credenti e non credenti. I bambini possono portare il loro messaggio di piccoli investigatori delle grandi domande della vita e anche, rispetto a Palermo, dei grandi temi della cultura della legalità e della società multireligiosa: nelle scuole, nelle piazze, nei cortili appunto, hanno un vissuto quotidiano di bimbi di fedi diverse e di bimbi che possono anche conoscere bambini con un genitore o un parente in carcere: ecco che i bambini vivono in prima persona anche la cultura della legalità.

    D. – In che modo i bambini potranno dire la loro nel Cortile di Palermo?

    R. – I bambini fanno loro l’invito di Benedetto XVI che in un videomessaggio – era il 25 marzo del 2011 – aveva detto ai ragazzi che erano di fronte alla cattedrale di Notre Dame: cari amici, siete chiamati a costruire dei ponti tra voi. I bambini su rotoli di carta – il primo rotolo di 30 metri sarà dispiegato sul perimetro del sagrato della cattedrale di Palermo – disegneranno come vedono la loro isola. Questo foglio di carta sarà il filo conduttore di tutti i racconti di tutti i Cortili, uno con l’altro. Con i loro disegni e le loro parole porteranno il loro essere bambini dentro il Cortile. E non soltanto con il disegno, perché ci sarà a loro disposizione anche un computer, dove iniziare a scrivere un primo libro di carta online, dal titolo “Io ho un amico che si chiama Gesù. E tu?”.

    D. – Il Cortile, quindi, anche in rete?

    R. – Il Cortile è già in rete. Da una settimana, sul sito www.bimbinelcortile.com, sono raccontate le esperienze dei Cortili precedenti, anche se i bambini nel Cortile entrano ufficialmente a Palermo: stiamo però già raccogliendo da Tirana, da Bucarest, da Parigi, da Bologna e da Firenze i racconti di bambini e i loro disegni per far sì che il Cortile dei Bambini affianchi e accompagni le grandi domande che vengono poste nel Cortile dei Gentili.

    D. – La cultura del dialogo inizia proprio nell’infanzia?

    R. – Il dialogo inizia, credo, da quando il bambino è nel pancione della mamma e sente le voci da fuori. Una volta che nasce e che è in carrozzina già lì vive il dialogo, perché sta nei cortili, sta fuori delle scuole, sta nelle piazze, e quindi sente, ascolta e vede cosa succede intorno. Le loro prime parole sono sempre parole riportate verso l’esterno, che esprimono le loro emozioni. Le prime domande che fanno in casa sono rivolte ai genitori del tipo: come sono nato?, cosa succederà quando sarò morto? ecc. Sono le prime domande che si fa un uomo e i bambini se le fanno a quattro-cinque anni.

    D. – Sul piano operativo, come avete organizzato la partecipazione dei bambini di Palermo?

    R. – Come tutto quello che stiamo raccogliendo dagli altri Paesi si basa, in modo prioritario, sul tam-tam dei bambini stessi. I bambini coinvolgono i loro amici, i fratelli, coinvolgono la scuola, le parrocchie, i centri sportivi, coinvolgono i luoghi dove vivono. A Palermo abbiamo visto questo: è partito tutto da tre fratellini che, a loro volta, come un’onda, hanno lanciato per tutta Palermo questo messaggio. (mg)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un articolo di Ferdinando Cancelli dal titolo “Quaresima a Torino: l’umiltà che fa grandi i più piccoli”.

    Mogadiscio senza pace: nell'informazione internazionale, la capitale somala nella morsa degli attentati terroristici e degli attacchi armati.

    I diritti delle minoranze etniche religiose e linguistiche: l’intervento dell’arcivescovo Silvano M. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni Specializzate a Ginevra.

    Se questa è una persona: Adriano Pessina sull’infanticidio.

    Ebrei ed ebraismo nell’Italia unita: Anna Foa sulla storia dell'integrazione ebraica nel Risorgimento.

    Contemporanei in cattedrale: Giuliano Zanchi sull'esperienza del duomo di Reggio Emilia.

    Il «genius loci» di San Callisto: Fabrizio Bisconti ricorda don Antonio Baruffa.

    Giovani contro le discriminazioni: Riccardo Burigana un corso di formazione a Palermo promosso dall’Ecumenical Youth Council in Europe.

    Dall’amore di Dio la speranza per le famiglie: Nicola Gori intervista i coniugi Zanzucchi autori delle meditazioni per la Via Crucis al Colosseo.

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    Oggi in Primo Piano



    Tolosa: ore contate per il presunto killer circondato dalla polizia

    ◊   Sono stati ripristinati i contatti con il presunto killer di Tolosa, ancora accerchiato dalle teste di cuoio francesi. Lo ha riferito una fonte vicina all'inchiesta. Da un paio d'ore Mohammed Merah si rifiutava di parlare con i poliziotti. Il servizio di Fausta Speranza:

    Mohamed Merah, l'uomo di 24 anni sospettato di essere il killer di Montauban e Toulouse lavora “in una carrozzeria”: è quanto ha detto un ragazzo che si presenta come vicino al presunto autore del crimine, citato da diversi media francesi. Il giovane si è anche detto “scioccato”e ha proposto alla polizia di fare da intermediario. Merah è barricato dentro al suo appartamento, circondato dalle squadre speciali della polizia francese. Il palazzo è stato totalmente evacuato. Gli abitanti della palazzina di quattro piani erano rimasti chiusi in casa per motivi di sicurezza sin dall'inizio del raid, cominciato intorno alle 2 di notte. Per loro sono disponibili i servizi di un’unità psicologica. Restano le parole del presidente francese che stamani ha riunito i ministri e ha incontrato i responsabili delle principali religioni in Francia: il terrorismo – dice Nicolas Sarkozy - non potrà spaccare la comunità nazionale.

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    Il dramma di Tolosa, specchio di sentimenti antisemiti tuttora diffusi in Occidente

    ◊   I gravi fatti di sangue di Tolosa hanno fatto crescere l’allarme antisemitismo in Francia, tanto che il ministro degli esteri, Juppé, ha dichiarato che la Francia è determinata a contrastare questo insopportabile fenomeno. Intanto, alcuni siti Internet antisemiti hanno intensificato le azioni offensive nei confronti anche della comunità ebraica in Italia. A Stefano Gatti, della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Cedec), Stefano Leszczynski ha chiesto quanto sia grave il fenomeno dell’antisemitismo in Europa:

    R. – Nel corso degli ultimi anni – direi nel corso dell’ultimo decennio – l’antisemitismo è diventato un problema globale. Gli atti di antisemitismo, gli episodi violenti, si sono moltiplicati nel corso degli ultimi anni, tant’è che nel 2009 – fine 2008 inizio 2009 – si è raggiunto il picco di episodi di antisemitismo, circa 1200 nel mondo. Bisogna tener conto che la quasi totalità degli episodi di antisemitismo ha luogo in tre Paesi: Regno Unito (Gran Bretagna), Francia e Canada.

    D. – Perché nel 2012, in uno spazio come quello dell’Unione Europea, ancora si verificano episodi di questo tipo?

    R. – La situazione è estremamente complessa. Il maggior numero di episodi di antisemitismo sono avvenuti nel 2002, 2008, 2009 e 2010, in coincidenza con i problemi in Medio Oriente: la seconda Intifada, 2008/2009 l'Operazione "Piombo Fuso", 2010 l'incidente della Mavi Marmara: in coincidenza con questi episodi, si scatena l’antisemitismo. Adesso invece si è notato – secondo studi abbastanza recenti – che l’antisemitismo è diventato un qualcosa di strutturato, che non ha più bisogno di un elemento scatenante e ormai, più o meno, nel mondo ci sono, a parte i picchi, 500/600 episodi di antisemitismo l’anno.

    D. – L’antisemitismo ha poi questa forma forse più subdola, che è l'antisemitismo “intellettuale”…

    R. – Questo pregiudizio antiebraico è una cosa ancora più articolata. Una cosa sono gli episodi, ma quest’ultimo è più difficile da monitorare e sempre più radicato. Lo abbiamo constatato dagli studi che stiamo facendo noi dell’Osservatorio sull’Antisemitismo: si è formato un clima culturale diverso, che ha reso possibile atteggiamenti e affermazioni inammissibili fino a qualche anno fa. Si è creato un clima favorevole in Italia, ma anche in altri Paesi europei. L’antisemitismo è appunto un fenomeno globale.

    D. – Avete notato se è un fenomeno legato a determinate formazioni politiche, o è un fenomeno più diffuso?

    R. – Chi ha una visione del mondo antisemita rimane una minoranza. Però, ormai, elementi di pregiudizio antiebraico si trovano all’interno sia dell’estrema destra che dell’estrema sinistra. Temi antisemitici, antisionisti e negazionisti si trovano ad ampio raggio. Non è più una caratteristica della destra radicale, del neonazismo.

    D. – Il contrasto al fenomeno come si può articolare per essere efficace?

    R. – Credo che l’aspetto educativo rimanga quello fondamentale. Ci vuole però anche un aspetto repressivo, che è forse anche quello più facile. Ovviamente, bisogna contrastare fenomeni di odio – tipo l’odio in rete – però l’aspetto educativo rimane il fondamentale.

    D. – C’è anche una responsabilità da parte forse di alcuni esponenti pubblici, a volte uomini politici, che parlano a sproposito di determinati argomenti…

    R. – Assolutamente, nel senso che i pregiudizi, gli stereotipi antiebraici sono presenti anche nei discorsi comuni, talvolta nei discorsi pubblici di uomini politici e dei giornalisti. Ci vorrebbe quindi maggior cautela. (cp)

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    Violenze in Siria, la Russia prende le distanze: "Commessi errori gravissimi"

    ◊   Un numero imprecisato di persone, tra militari e civili, avrebbe perso la vita a causa di un attentato nella provincia di Deraa, nella Siria meridionale. Cannoneggiamenti si segnalano anche a Damasco, mentre l'esercito ha bombardato la cittadella medievale di Qalaat al-Madiq, nei pressi di Hama. Una crisi, insomma, che coinvolge tutto il Paese e che continua a occupare la prima voce nell’agenda delle diplomazie internazionali. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha auspicato un ritorno in Siria dell'inviato delle Nazioni Unite e della Lega Araba, Kofi Annan: missione sostenuta anche da Egitto e Cina. La Russia, da parte sua, ha ammesso per la prima volta che il regime di Bashar Al Assad ha commesso e continua a commettere "un mucchio di errori gravissimi", secondo il ministro degli Esteri, Serghei Lavrov. Un rapporto, quello tra Mosca e Damasco, più che solido, ma che ora inizia ad incrinarsi. Salvatore Sabatino ne ha parlato con il prof. Luigi Bonanate, docente di Relazioni Internazionali presso l’Università di Torino:

    R. – Se il ministro Lavrov davvero ha parlato di errori, dovrebbe correggere il suo linguaggio, perché per quanto riguarda Assad non si tratta di errori, ma di comportamenti politici inaccettabili. La storia dei rapporti tra questi due Paesi è molto lunga e nasce dalla Russia comunista. Dovrebbe addirittura farci chiedere se ci sia continuità tra la Russia di una volta e quella di oggi. Che fossero alleati una volta non significa che lo debbano essere oggi. Quando un Paese si comporta in quel modo, se ne dovrebbero trarre le conseguenze.

    D. – Un rapporto, come diceva lei, strettissimo. Sono solo questioni economiche o c’è qualcosa di più sotto?

    R. – No, ci sono le questioni economiche, c’è la tradizione, c’è il riflesso condizionato di Putin, che se l’Occidente è da una parte, lui tendenzialmente si dissocia. Tutto questo, però, va commisurato alla gravità degli eventi e qui siamo di fronte a eventi gravissimi: nel fare, come ha fatto Putin, fino a ieri – e finalmente adesso comincia ad allontanarsi da quella posizione – dobbiamo aspettarci che lo faccia ancora la Cina, perché non si può tollerare l’intollerabile.

    D. – La Russia in questi mesi ha giocato il ruolo di attore scomodo, rallentando le possibili azioni della comunità internazionale contro la Siria. Cosa ha avuto in cambio?

    R. – Più che avere in cambio qualcosa, Putin dovrebbe ricevere da noi una grande mobilitazione di opinione pubblica. Se oggi Putin tende a modificare la sua posizione è perché il mondo occidentale sta levando la voce. Ora, noi dovremmo imparare tutti – e questo lo dico anche per noi – a far muovere l’opinione pubblica: dobbiamo discutere, dobbiamo parlarne, come fate giustamente voi adesso. Dobbiamo far vedere che l’opinione pubblica del mondo disapprova certi comportamenti. Se vogliamo che la democrazia avanzi nel mondo e nella storia, dobbiamo imparare a discutere, a far discutere, anche criticare senza sparare.

    D. – Secondo lei, Mosca può aver paura che le proteste siriane possano contagiare anche la Russia, in un momento di grande insoddisfazione su come viene gestito il potere nel Paese?

    R. – Certo, per tutti coloro il cui potere si regge non sul consenso, la paura è quella di vedere che l’incendio appiccato nella casa del vicino possa propagarsi alla propria. E’ chiaro che la vita nel mondo è fatta così. Gli Stati vicini sono un esempio e/o una preoccupazione. Anche per questo dovremmo tutti occuparci maggiormente di questa dimensione della realtà, cioè della politica internazionale: è la nostra vita di tutti i giorni.

    D. – Se il regime siriano cadesse, la Russia dovrebbe cambiare le sue strategie nell’area. Come?

    R. – Se cade in modo traumatico, violento o violentissimo, come è stato ad esempio in Libia, nessuno sa come muoversi poi dopo, perché la Siria è un Paese più popoloso, con una tradizione ben diversa da quella libica. Quindi, sarebbe un dramma molto difficile da gestire per chiunque, Russia compresa. Se invece Assad se ne andasse, allora la Russia potrebbe a quel punto dire: “Beh, è stato proprio merito nostro”. Quindi, potrebbe esserci un vantaggio politico, diplomatico per la Russia, in quel caso. (ap)


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    Gli Ordinari cattolici di Terra Santa: basta con la tratta di esseri umani nel Sinai

    ◊   “Profonda preoccupazione per la tragica situazione dei richiedenti asilo africani, tenuti in ostaggio nel Sinai” da pericolose bande di trafficanti criminali. La esprime l’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa, riunitasi nei giorni scorsi a Nazareth, che ha pubblicato ieri un comunicato al riguardo, diffuso dall’Agenzia Habeshia per la cooperazione allo sviluppo, da tempo al fianco dei profughi del Sinai. Nel documento si chiede “di porre fine immediatamente alla tratta di esseri umani” in corso da anni in nord Africa e si denunciano “gli abusi, le umiliazioni, le torture, gli stupri e gli omicidi” a cui i profughi - perlopiù eritrei, etiopi e somali - sono sottoposti. Un appello, quello dei leader cattolici di Terra Santa, rivolto sia alle autorità di Egitto e Israele sia alla comunità internazionale, affinché venga rispettato il diritto umanitario internazionale, tutelando “la dignità e l'integrità fisica e psicologica” dei migranti. Tra i 21 firmatari del documento, oltre al Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, anche padre David Neuhaus, vicario patriarcale per la Comunità dei cristiani cattolici di lingua ebraica. Giada Aquilino lo ha raggiunto telefonicamente a Gerusalemme:

    R. - Siamo molto costernati per queste povere persone che si trovano nel Sinai. Abbiamo pubblicato questa denuncia affinché il mondo non dimentichi. Nella dichiarazione abbiamo ricordato quanto il Papa stesso ha detto al riguardo nel dicembre del 2010. La situazione purtroppo non è migliorata. Noi abbiamo voluto sottolineare il destino di queste persone per aiutarle. Non abbiamo tanti mezzi a disposizione, se non la voce per gridare al mondo e alle autorità in Egitto e in Israele di fare qualcosa per questa situazione difficilissima.

    D. - Si tratta di eritrei e di altri africani che da mesi, se non da anni ormai, sono vittime di trafficanti e criminali. Dalle notizie che avete, quali sono le loro condizioni di vita?

    R. - Siamo in contatto con la ong che lavora con queste persone. C’è una bravissima suora comboniana, suor Azezet, eritrea che vive qui, tra Palestina e Israele. Lei ha già raccolto mille interviste di persone che sono giunte in Israele dal Sinai, per sapere esattamente che cosa sta succedendo in quelle zone. Le persone sono torturate, minacciate. Abbiamo sentito anche di gente che è morta in questi campi. Una situazione totalmente inumana.

    D. - Si parla di trafficanti, uomini che sfruttano questi migranti…

    R. - Loro sono dei criminali che trafficano armi, droghe e che ora hanno scoperto una nuova fonte di denaro. Succede questo: un gruppo di migranti arriva, viene catturato da questi criminali e alcuni dei rapiti vengono mandati in Israele, dove in effetti vogliono arrivare per chiedere asilo. In un secondo tempo, i criminali chiedono loro un riscatto per gli altri prigionieri rimasti, affinché anche questi vengano lasciati liberi.

    D. - Ci sono testimonianze anche di traffico di organi?

    R. - Ne abbiamo sentito parlare. Non ci sono prove che il traffico di organi ci sia realmente, ma comunque il rischio esiste. Le persone che lavorano nell'assistenza ai migranti stanno cercando di scoprire la verità su tale questione.

    D. - Gli Ordinari cattolici di Terra Santa, come lei ha anticipato, rivolgono il loro appello alle autorità civili di Egitto e Israele: in che modo?

    R. - Chiediamo prima di tutto alla polizia egiziana, all’esercito, alle autorità civili di mettere fine a questa attività criminale e che i profughi africani che giungono nel Paese vengano trattati con rispetto, secondo quanto affermato dal diritto internazionale. Chiediamo anche ad Israele che vengano scoperti quanti collaborano con questi elementi criminali nel Sinai. Infine, chiediamo alle autorità israeliane di permettere alle persone arrestate, perché entrate illegalmente nel Paese, di poter avere contatti con la Chiesa, affinché si possa dar loro consolazione spirituale per affrontare la situazione molto difficile. Noi sappiamo che in questi campi, in queste prigioni, ci sono anche dei bambini. Chiediamo di lavorare con loro: sono bambini traumatizzati dopo tutto ciò che hanno passato nel deserto, per arrivare qui.

    D. - Ci sono dei dati su queste persone tenute in ostaggio?

    R. - Non ci sono numeri precisi. Ma conosciamo dei dati per quanto riguarda Israele: migliaia di persone passano per il Sinai per provare ad arrivare nel Paese. La presenza eritrea in questo momento è molto vasta: ci sono decine di migliaia di persone che non hanno lo status di “profugo” ma sono inquadrate come “gruppo che chiede asilo” in Israele.

    D. - Come aiutare queste persone?

    R. - Dobbiamo raccontare questa storia a voce alta. E' nostro dovere rivelare tale realtà disumana ed essere vicini a coloro che soffrono. (bi)

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    No a tutte le discriminazioni: in Italia celebrazioni per la Giornata contro il razzismo

    ◊   Trentacinque catene umane in altrettante città italiane per dire “No a tutti i razzismi”. E’ stato il modo oggi di celebrare la Giornata mondiale contro il razzismo, anniversario della strage di Sharpeville, in Sudafrica: il 21 marzo del 1960 la polizia sparò sui manifestanti uccidendo 69 cittadini neri in protesta contro il regime dell'apartheid. E a Roma si è svolta un’iniziativa organizzata da Cgil, Cisl e Uil, patrocinata dal ministero per la Cooperazione e l’Integrazione. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    La giornata di oggi non è una celebrazione vuota e retorica, ma un monito all’Italia e all’Europa, soprattutto dopo i fatti di Tolosa. Lo ha sottolineato il ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione Andrea Riccardi, durante l’incontro di oggi a Roma: “RazzisNO! Un patto tra politica e società per contrastare le discriminazioni”. Il razzismo non deve diventare una parola vecchia, ma deve restare una delle nostre preoccupazioni di fronte anche all’aumento in Italia di casi di discriminazione, ha aggiunto Riccardi, ricordando l’incendio a Torino contro il campo Rom e l’uccisione di due senegalesi a Firenze per mano di un estremista di destra. Contro il razzismo, ha poi ricordato, “c’è bisogno di norme, ma anche di pensieri e di parole nuove”. E’ necessario ripudiare il linguaggio violento, ha proseguito, non bisogna mai sottovalutarlo: “Sembra teatrino, ma diventa facilmente e rapidamente tragedia". Per sconfiggere tutti i germi del razzismo in Italia occorre quindi “una nuova cultura, condivisa, del vivere insieme”.

    R. - Il razzismo non conviene: semina odio e prepara la strada alla violenza. Questa giornata non è una giornata rituale. Si è visto con i fatti di Tolosa, con quello che è successo. Anche la Shoah non è riuscita ad immunizzarci dall’antisemitismo. Questo è drammatico. Allora, noi dobbiamo ripetere: bisogna far crescere una cultura, cambiare linguaggio. Questo è il nostro grande problema.

    D. – Quali saranno le prossime mosse del suo ministero proprio per contrastare il razzismo e la discriminazione?

    R. – Noi ci siamo impegnati e stiamo lavorando per l’integrazione. Andiamo sul territorio italiano. Io presiedo i consigli territoriali dell’immigrazione. Valorizziamo il lavoro degli immigrati e le rimesse degli immigrati, per esempio con il taglio del 2 per cento in più della tassa sulle rimesse. Abbiamo lavorato per un cambiamento dell’accordo di integrazione, per un arricchimento, e continueremo a lavorare su tutto questo. Certo, le emergenze ci saranno sempre, ma oggi il problema è l’integrazione. Stiamo attraversando un momento difficile. Gli italiani sentono la crisi. Il rischio è che siamo tutti più innervositi. C’è un linguaggio tante volte antagonistico. Abbiamo differenti opinioni, dobbiamo dircele, ma dobbiamo stare attenti a non utilizzare un linguaggio aggressivo. Sono molto preoccupato di quello che è avvenuto al consigliere Musy, a Torino. Non deve ritornare la violenza e insanguinare il nostro Paese. Io ho vissuto gli anni ’70, so da dove viene quel clima di violenza. Questo non deve succedere in Italia. La democrazia è innanzitutto sicurezza per tutti: sicurezza per quelli che la pensano come me e per quelli diversi da me, sicurezza per gli immigrati e per gli italiani. Tutti debbono stare alle regole. Io so bene che, quando uno si inserisce in un nuovo Paese, c’è un tasso di diffidenza che si sente sulla pelle, ma noi dobbiamo aiutare ad un inserimento facile e sicuro per tutti. (ap)

    E’ in questi momenti di forte crisi che si può scatenare la malabestia del razzismo, ha detto Raffaele Bonanni della Cisl. “E’ necessario lavorare a tutti i livelli per favorire al massimo i processi di integrazione”. Se l’Europa è fatta di Paesi vecchi, così non è per un continente come l’Africa dal quale, ha sottolineato Bonanni, arriverà il grosso dei migranti. Dovremo quindi fare i conti con questa realtà, ecco perché, ha aggiunto, “occorre programmare e costruire sin da ora non solo accoglienza ma integrazione e cooperazione”.

    "Quando manca il lavoro, quando c’è un’economia che va male, e in Europa va male e in Italia va malissimo, è chiaro che il razzismo può alzare la testa, si va l’uno contro l’altro, contro colui che viene visto come un concorrente nella stessa area di lavoro. E’ un sentimento sbagliato, è un sentimento incivile, noi dobbiamo razionalizzare tutto questo, dobbiamo lavorare di più, affinché nella crisi ci siano i presupposti per la convivenza e ci siano anche i segni per la convivenza e del rispetto. Ecco perché diciamo, proprio in questo momento, proprio nelle difficoltà, come segno, deve essere riconosciuto lo ius soli. Per noi è un fatto importantissimo. Chi paga le tasse e chi versa i contributi per gli anziani, chi presta la propria opera in un Paese deve avere gli stessi diritti, al di là della pelle, al di là della cultura, al di là della religione, al di là della razza, al di là di ogni cosa". (ap)


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    Diotallevi sulla riforma del mercato del lavoro: non si ferma al vecchio modo della concertazione

    ◊   Un pacchetto di 16 ore di sciopero, di cui 8 per uno sciopero generale. E' questa la proposta della segreteria della Cgil al direttivo del sindacato, ora riunito, contro la riforma del mercato del lavoro e le modifiche all'articolo 18. Intanto, il segretario del Pd, Pierluigi Bersani dice di non sapere se di accordo si può si può parlare. Il responsabile del welfare del partito, Giuseppe Fioroni, chiede però di appoggiare la riforma. In gran parte positivi i commenti del centrodestra. Per un commento, Alessandro Guarasci ha sentito il parere di Luca Diotallevi, vicepresidente del Comitato delle Settimane Sociali:

    R. – L’accordo va in una direzione giusta almeno per due ragioni. La prima è che aumenta la flessibilità del mercato del lavoro, la seconda è che non si ferma alle vecchie convenzioni della concertazione: si ricerca l’accordo, ma fa parte dell’autonomia della politica, se l’accordo non viene, di andare più avanti. Altro è dire che il lavoro è compiuto. Il lavoro assolutamente non è compiuto, perché resta ancora, tra virgolette, lo scandalo di una pubblica amministrazione in cui i garantiti sono tali, anche al di là di ogni controllo della loro produttività.

    D. – Una riforma pensata anche per regolare la flessibilità in entrata, secondo lei?

    R. – Naturalmente, i modelli che abbiamo, pensiamo a quello danese, sono molto più evoluti: il cammino è da compiere, ma soprattutto in questo momento – direi – non lasciamoci per strada le condizioni ingiustificatamente protette nelle quali opera la pubblica amministrazione.
    D. – Si andrà a una revisione degli ammortizzatori sociali: rimangono fuori, però, tutta una serie di categorie come collaboratori, lavoratori intermittenti… Insomma, una parte del precariato rischia di rimanere fuori da alcuni benefici che riguardano ancora i lavori cosiddetti protetti...

    R. – La strada da compiere è ancora lunga ed è difficile che la possa compiere un governo tecnico. In questo caso, è positivo che si sia fatto un passo nella stessa direzione che fu di Tarantelli, di Biagi e di D’Antona: ce ne sono, come giustamente dice lei, ancora molti da fare. Io sottolineerei solo, – con un richiamo alla Centesimus Annus – come tutto questo sia esattamente nella direzione della Dottrina sociale della Chiesa, che ricorda che garantire il diritto al lavoro non è, appunto, garantire ad ogni costo il posto di lavoro.

    D. – C’è stata una spaccatura sull’articolo 18: secondo lei, è una questione di merito o soprattutto ideologica?

    R. – Una certa idea di certe garanzie è l’anima di una sinistra, più che rivoluzionaria, direi conservatrice, fortemente conservatrice, presente in Italia e non solo nella Fiom-Cigl e in tante aree, ma certamente in questo momento rappresentata soprattutto da questa porzione del mondo sindacale.

    D. – Lei teme dei possibili conflitti sociali?

    R. – Se noi, per conflitti sociali, intendiamo sommovimenti di pezzi di opinione pubblica contro altri pezzi di opinione pubblica, naturalmente no. Io credo che questa riforma abbia dietro un grande consenso. Se invece pensiamo – com’è successo questa mattina a Torino – che pochi gruppi, i soliti, si facciano sentire, anche in modo sanguinoso, questo è altamente probabile. Ma non confondiamo la terribile eclatanza di questi gesti con il fatto che abbiano dietro molti: anzi questi gesti sono terribili proprio per occultare che il consenso dietro di loro è modesto. (mg)

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    La memoria per sconfiggere le mafie. Oggi 17.ma Giornata dell'impegno contro le cosche

    ◊   Attraversano tutta l’Italia gli eventi organizzati per celebrare oggi la 17.ma “Giornata della memoria e dell’impegno” contro le mafie, promossa dalle Associazioni Libera e Avviso Pubblico. In molte luoghi delle città, dalle piazze, alle scuole, alle parrocchie, verranno letti gli oltre 900 nomi delle vittime della criminalità organizzata: cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell'ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per aver compiuto il loro dovere. Tra loro c’è il nome di Serafino Famà, avvocato penalista ucciso a Catania il 9 novembre del 1995 a causa della sua onestà, ritenuta una sfida alla mafia. Francesca Sabatinelli ha intervistato la figlia Flavia Famà, che ha lasciato la Sicilia per trasferirsi a Roma:

    R. - Io sono andata via nel 2001 per il dolore e perché l’ho vissuto sempre in maniera molto privata. Non ne volevo parlare, non volevo ricordare quello che era accaduto, pensavo che fosse una cosa che non riguardava assolutamente gli altri; per me era troppo forte e volevo ricominciare da zero, senza ricordare più questo episodio così drammatico. Durante il mio percorso di vita ho incontrato Libera - un 21 marzo - e lì ho capito il valore della testimonianza, il valore della condivisione e non solo, perché finalmente non mi sono sentita più sola, perché ho conosciuto tutti gli altri familiari, penso alla figlia del giudice Antonino Scopelliti, alla figlia del sindaco di Pagani, Marcello Torre, che hanno trasformato il loro dolore in impegno concreto di cambiamento della società. Si lavora tanto nelle scuole, con i ragazzi, perché è giusto ricordare le grandi stragi, ma è anche giusto ricordare quelle persone che facevano semplicemente il loro lavoro, che credevano negli ideali di legalità e di giustizia e che hanno perso la vita affinché questa fosse una società più giusta e più libera. Noi chiediamo che il 21 marzo sia riconosciuta come giornata nazionale, perché sono 17 anni che ci muoviamo in tutta Italia, ogni anno in una città, proprio per leggere questo lunghissimo elenco di nomi: oltre 900 vittime.

    D. - Flavia Famà, all’inizio di marzo con don Ciotti ha incontrato il presidente della Repubblica Napolitano. Avete chiesto al Capo dello Stato che si organizzi una Giornata nazionale della memoria in ricordo delle vittime della mafia. Perché l’iter per l’istituzione di questa Giornata non è andato avanti?

    R. - Insieme con Alessandra Clemente, (la figlia di Silvia Ruotolo), e Franco La Torre (figlio di Pio La Torre) e con Don Ciotti, siamo andati dal presidente inizialmente per portare un milione e 200 mila firme affinché lo Stato italiano recepisca la normativa contro la corruzione, confisca e riutilizzo dei beni anche confiscati ai corrotti. Con l’occasione abbiamo presentato questa richiesta affinché il 21 marzo venga riconosciuta e istituita come Giornata nazionale. C’è il disegno di legge, ma è fermo!

    D. - Sono anni, molti anni, che voi familiari delle vittime - 500 - vi incontrare: in questo periodo come vi siete rapportati l’uno con l’altro? Come vi siete sostenuti?

    R. – Per me, come dicevo, è stato fondamentale l’incontro con gli altri familiari, perché ho finalmente capito che qualcun altro aveva dentro di sé lo stesso dolore, lo stesso senso di impotenza, di inadeguatezza e di rabbia, che prima pensavo che nessun altro potesse capire. Insieme abbiamo la forza di sostenerci l’un l’altro, anche semplicemente sentendoci durante l’anno: ognuno di noi racconta cosa fa nel territorio, la risposta dei ragazzi, la risposta della gente… Quindi il 21 marzo, per noi, è anche una festa; non è soltanto la lettura - quasi sacrale - di questi 900 nomi, ma è anche un modo per ritrovarci, come fossimo fratelli. Noi ci definiamo “fratelli di sangue”, perché quel sangue versato dai nostri cari che ci ha fatti incontrare, ci unisce e c’è un legame molto forte fra di noi.

    D. - Il mandante e gli esecutori materiali dell’omicidio di suo padre sono stati arrestati. Questo lenisce il dolore rispetto a quello che può provare un familiare che non ha visto gli assassini del proprio caro consegnati alla giustizia?

    R. - In realtà il dolore non si placa mai. Sicuramente è molto più forte la rabbia, il rammarico, che può provare qualcuno come Rosanna Scopelliti che ancora dopo tanti anni non ha avuto giustizia. Ma ce ne sono tanti. Una delle cose fondamentali che chiediamo e sulla quale ci confrontiamo spesso tra noi familiari è verità e giustizia: sapere che chi ha tolto la vita dei nostri cari paghi. Quella è una cosa fondamentale! Il dolore, il senso di vuoto rimane… Sicuramente, però, avere verità e giustizia può alleviare. (mg)


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    Giornata mondiale della sindrome di Down. Intervista con il prof. Zampino del Policlinico Gemelli

    ◊   Nel mondo, si celebra oggi la settima Giornata mondiale della sindrome di Down, con una serie di eventi e convegni organizzati dal Coordinamento nazionale delle Associazioni persone con sindrome di Down (www.coordown.it). Sugli aspetti della malattia, e sui luoghi comuni da sfatare, Eliana Astorri ha intervistato il prof. Giuseppe Zampino, responsabile del Servizio di Epidemiologia e clinica dei difetti congeniti del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma:

    R. – La sindrome di Down è una condizione clinica dovuta ad una trisomia, cioè tre cromosomi 21. Normalmente noi abbiamo una coppia di cromosomi – in tutto sono 23 coppie – mentre nella sindrome di Down abbiamo tre cromosomi 21 invece di due. E’ una condizione caratterizzata da alcuni segni clinici, tra cui il ritardo psicomotorio, che è l’elemento più importante nella gestione, ma possono complicare la vita di questi bambini anche le cardiopatie congenite e alcune altre problematiche cliniche, tra cui otiti medie, problemi di rifrazione, problemi di patologie autoimmuni, che interessano in modo particolare la tiroide. Una condizione clinica che interessa il bambino, ma che coinvolge ovviamente anche la famiglia e tutto il mondo che sta intorno a lui.

    D. – E si conoscono le cause?

    R. – L’eziologia non è conosciuta. Quello che sappiamo è che le cromosomopatie aumentano con l’incrementare dell’età materna. Man mano che l’età materna aumenta, aumenta questo rischio, passando da un’incidenza di uno su 2000 se si ha 20 anni a uno su 200 se si ha 37-38 anni.

    D. – La sindrome può essere diagnosticata in quale momento della gravidanza e in che modo?

    R. – La sicurezza della diagnosi normalmente si fa con l’amniocentesi, perché con l’amniocentesi si definisce la trisomia 21. Dal punto di vista ecografico, ci sono delle maniglie che ti permettono di arrivare alla diagnosi, ma non è una diagnosi di certezza. Dal punto di vista clinico e del pediatra, la diagnosi può essere posta in epoca neonatale perché ci sono delle caratteristiche cliniche che rendono riconoscibile il fenotipo, cioè le caratteristiche facciali associate alle altre caratteristiche, come appunto la cardiopatia, l’ipotonia, l’assenza del cosiddetto "riflesso di moro", che è uno degli elementi che caratterizza il neonato normale. Il riflesso di moro può essere attenuato o assente nel bambino con sindrome di Down.

    D. – Come viene seguito un bambino con sindrome di Down, a partire dalla sua nascita...

    R. – Il momento più delicato, quando nasce un bambino con la sindrome di Down, è ovviamente il momento della comunicazione, cioè informare i genitori di questo evento, perché ovviamente un genitore immagina che suo figlio sia l’"eternificazione" di se stesso, cioè un bambino perfetto. Quindi, la notizia che qualcosa è andato non come doveva è un evento estremamente luttuoso. Molti studi definiscono nella comunicazione uno degli elementi più importanti nel trattamento, nella gestione, nell’assistenza del bambino, perché il momento della comunicazione permette alla famiglia, se fatta in modo adeguato, di accettare prima e meglio il bambino, per iniziare poi una vita insieme integrata. Questo evento comunicativo è estremamente delicato e dopo questo evento comunicativo c’è da prendere in carico il bambino. Quando nasce un bambino con la sindrome di Down è un paradigma di una condizione di disabilità complessa congenita, che non è solamente un evento sanitario, ma interessa prima di tutto molti attori sanitari: interessa il pediatra, il genetista, il riabilitatore, il neuropsichiatra, il radiologo, l’oculista, interessa le infermiere che dovranno relazionarsi con la famiglia. Oltre alla parte sanitaria, c’è poi bisogno di un approccio multisettoriale – dal settore sanitario al settore sociale – perché qui non abbiamo appunto una malattia da combattere, ma un individuo da accettare e integrare. Quindi, abbiamo bisogno di una stretta relazione tra due settori: quello sanitario e quello sociale.

    D. – Sfatiamo o confermiamo alcuni luoghi comuni circa la sindrome di Down: ad esempio il fatto che queste persone siano più affettuose di chi non è affetto da questa sindrome. E’ vero?

    R. – Probabilmente, questo è il maggior problema di un bambino con la sindrome di Down. Quando nasce un bambino affetto da questa malattia, immediatamente ci rifacciamo a degli stereotipi, per cui è un bambino affettuoso, un bambino a cui piace la musica, un bambino che ha delle caratteristiche sempre comuni e costanti. Ora, questa è l’eliminazione della relazione tra persone, perché le relazioni tra persone sono basate sempre sul fatto che una persona ci stupisce in qualche modo, che troviamo qualcosa di nuovo nell’altro. Quando non c’è questo, tutto si appiattisce. In realtà non è così: la sindrome di Down è una condizione che in qualche modo interferisce sulla vita di un bambino, ma il bambino ha una sua personalità che è indipendente anche da questa condizione. Per cui, Paolo, con la sindrome di Down, è sicuramente differente da Maria, da Lucia, da Giovanni, che sono nella stessa condizione, perché hanno percorsi di vita e famiglie diverse, situazioni diverse che gli permettono di sviluppare personalità diverse.

    D. – La terminologia non corretta: ancora oggi c’è chi chiama le persone con sindrome di Down, mongoloidi. Perché?

    R. – Perché l’aspetto fisico fa ricordare gli abitanti della Mongolia. In realtà, già nel ’60, l’Oms ha bandito questa definizione, per cui si chiama sindrome di Down, dal nome del suo scopritore, e più tecnicamente si parla di trisomia 21.

    L’Associazione Italiana Persone Down organizza questa sera al Teatro Valle Occupato di Roma il concerto “Canta che…ti passa?”, con Ambrogio Sparagna e il coro popolare diretto da Anna Rita Colaianni. L’iniziativa, promossa in occasione dell'odierna Giornata, sostiene il progetto “Che fai sabato sera?” volto a favorire la socializzazione e l’amicizia tra le persone con tale sindrome. Sentiamo Giampaolo Celani, presidente della sezione romana dell’associazione, al microfono di Cristina Bianconi:

    R. - Nel fine settimana, 48 ragazzi, dai 20 anni in su, si organizzano a piccoli gruppi per poter passare delle ore di tempo libero insieme e per sfruttare le opportunità che una grande città come Roma può offrire: dal cinema, al ristorante, a un concerto, ecc. I ragazzi si organizzano grazie anche all’aiuto di operatori dell’associazione. Questo è pensato perché man mano che crescono, in particolare a partire dalla pre-adolescenza, trovano sempre meno persone disposte a stare con loro.

    D. - Ritiene che quello della disabilità sia un tema ancora poco considerato nell’agenda istituzionale?

    R. - Sì. Il problema principale è che viene visto come un costo. Le risorse vengono tagliate sempre di più. Si ritiene che si possa risolvere tutto mettendo un solo insegnante di sostegno per tre ragazzi all’interno delle classi oppure, nel mondo del lavoro, al massimo viene richiesto loro di fare una fotocopia. Inoltre, non esistono realtà di occupazione della giornata in alternativa al lavoro. Poi c’è il problema della residenzialità, delle case-famiglie, che sono piccole realtà che hanno delle spese che vengono sostenute sempre più difficilmente dalle amministrazioni e dal privato. E quindi, da questo punto di vista, tutto resta a carico della famiglia, del suo contesto, o di associazioni come la nostra che si autofinanziano, ma non sono sufficienti. (bi)

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    La Giornata mondiale della poesia. Intervista con Roberto Mussapi

    ◊   L’inizio della primavera segna ogni anno le celebrazioni per la Giornata Mondiale della poesia, istituita dall’Unesco nel 1999 allo scopo di riconoscere all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della comprensione interculturali. Per una riflessione sul valore che oggi viene attribuito a questa antica forma d’arte, Antonella Palermo ha intervistato Roberto Mussapi, poeta, drammaturgo ed editorialista del quotidiano Avvenire:

    R. - La poesia è come la medicina: serve a star bene, a vivere: non a diventare immortali, perché non è un elisir venduto da una fattucchiera, ma serve ad affrontare la vita in modo appropriato e a credere nella vita. La poesia è a metà tra la religione e la medicina: non è un optional, ma è qualcosa di antropologicamente necessario, anche se non promette miracoli.

    D. – La lettura di certa poesia è inibita – a detta di molti – perché considerata troppo difficile e quindi distante …

    R. – Non dobbiamo rifiutare ciò che non comprendiamo, però la poesia deve anche – ed è un dovere del poeta – mirare ad essere comprensibile, che è una cosa di per sé difficile. Mirare a essere comprensibile non vuol dire essere un sostituto della canzonetta, ma deve avere l’intenzione di andare incontro al lettore, pretendendo che il lettore abbia intenzione di andare incontro alla poesia. Ad esempio, se la poesia fosse recitata e non letta – come potrebbe avvenire in televisione – ne arriverebbe una parte, se si tratta di vera poesia, cioè un qualcosa di subliminare, di emotivo. Ma il resto, ovvero ciò che è più profondo, non verrebbe compreso.

    D. – Pare che moltissime persone, pur lontane dalla frequentazione della poesia, prima o poi si mettano a scrivere versi, spesso lasciati nel cassetto. Ma cosa ci vuole per diventare poeti?

    R. – E’ sbagliata, per esempio, l’ambizione dei 40 milioni di italiani, che non hanno mai letto neanche Montale, e che scrivono poesie. E' sbagliata l’ambizione di considerarsi poeti, questo atteggiamento di superbia. Invece, che qualunque persona abbia il diritto di scrivere e di esprimere i versi o i propri sentimenti come meglio crede, è un fatto di alta civiltà. E’ molto positivo che tutti scrivano la sera dei versi o delle prose in cui si confessano, perché vuol dire hanno un rapporto con la scrittura e cioè con la propria anima.

    D. – Soddisfatto dell’insegnamento della poesia a scuola?

    R. – Non ho esperienza. Quello che posso capire, da ciò che vedo, è che l’insegnamento non è facilitato dai libri di testo e che invade una specie di necrofilia dello strutturalismo, che esiste ancora. Si scelgono dei temi, per cui tu ti trovi l’etica – un pezzo dell’Iliade – accanto alla canzone di un cantautore, perché affronta lo stesso argomento. Ho la sensazione che si tenda a fare confusione. (cp)

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    A Roma lo "Splendore dell'acqua", poesie di Karol Wojtyla

    ◊   Nella magnifica cornice della Sala della Crociera, all’interno del Collegio Romano, nel cuore di Roma, è andato in scena, nei giorni scorsi, lo “Splendore dell’acqua - Le poesie di Karol Wojtyla”, una rappresentazione con recite e declamazioni a opera dei quattro attori Francesca Benedetti, Paolo Graziosi, Marta Bifano, Nestor Saied, con la partecipazione di Fao Staff Coop Philharmonic Orchestra e il Coro Cappella Ars Musicalis della Associazione Musica per la Pace. Scritti tra il 1950, quando era vicario della chiesa di San Floriano di Cracovia, e il 1975, tre anni prima di essere eletto Papa, questi testi rivelano il volto delicato di un poeta nella sua vita di semplice prete, poi arcivescovo e cardinale. Composizioni che trasmettono emozioni ma che risultano di incredibile attualità. I sentimenti, le passioni, le gioie e i dolori dell’uomo destinato a diventare Papa. Ma ascoltiamo le interviste di Luca Attanasio ai protagonisti dell’evento:

    D. - Marta Bifano, lei è la regista di questa rappresentazione sulle poesie di Karol Wojtyla. Che esperienza è stata per lei?

    R. – Ci sono delle parole che sono rimaste scolpite dentro di me. Una straordinaria, che voglio ricordare, è che la maggior parte delle sofferenze degli uomini nascono per la mancanza di visione. La sofferenza è qualcosa che noi possiamo limitare attraverso la meditazione, la preghiera, per scegliere anche in questa vita una strada di felicità.

    D. – Paolo Graziosi, l’uomo di Dio in qualche modo è facilitato nella poesia?

    R. – Io credo che per quanto l’uomo sia di Dio ha bisogno di una vocazione letteraria. Papa Wojtyla aveva questa vocazione. Si sente nel suo modo di sprofondare nel mistero dell’universo...

    D. – La produzione poetica di quello che poi sarà Papa Wojtyla parte dal periodo in cui un semplice sacerdote poi passa per il periodo in cui è arcivescovo di Cracovia, fino a diventare cardinale. Si comprende questo suo viaggio spirituale e pastorale?

    R. – C’è un percorso in cui si vede la metamorfosi del Santo Padre e di come man mano si libra in una meditazione sempre più alta: si parte dalla natura e si arriva a Dio nel Magnificat. La poesia, la musica e l’arte in generale, sono tutti dei veicoli per raggiungere Dio.

    D. – Dottoressa Cetta Petrollo, direttrice della Sala della Crociera del Collegio Romano di Roma, come si è inserita all’interno delle vostre attività questa rappresentazione?

    R. – La Sala della Crociera è una sezione staccata della Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma, che sempre ospita delle manifestazioni artistiche di vario tipo. Ci sono venuti a chiedere l’ospitalità di un poeta particolare, che è il Papa, e ho subito accettato, perché mi piaceva conoscere e far conoscere questo aspetto particolare di Wojtyla. E’ una lingua poeticamente forte, una poesia necessitata, che si distacca da qualsiasi manierismo poetico, perché si muove su un tessuto discorsivo e anche molto ben costruito. Tutto ciò fa pensare ad un forte laboratorio poetico. Sarebbe stato un grande poeta, se non fosse stato un grandissimo uomo e un grandissimo Papa. (ap)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    India: solidarietà della Chiesa di Orissa agli italiani rapiti

    ◊   “Auspico una pronta risoluzione per il bene degli ostaggi e per la pace nella nostra regione”: ad esprimere attraverso l’agenzia Misna sincera solidarietà per la sorte degli italiani Paolo Bosusco e Claudio Colangelo è mons. John Barwa, arcivescovo di Cuttak-Bhubaneswar, nello Stato orientale dell’Orissa. Mons. Barwa spiega di essere dispiaciuto e di trovarsi a Bombay da dove lancia un appello “per l’immediata liberazione dei due ostaggi italiani”. Anche le suore di Madre Teresa a Kandhamal chiedono la liberazione dei due italiani rapiti in Orissa: "Noi, Missionarie della Carità, impegnate a servire i più poveri tra i poveri in Kandhamal, - scrivono - chiediamo a voi, nostri cari fratelli e sorelle che tengono in ostaggio i due turisti italiani, di rilasciarli senza condizioni”. Le suore sottolineano che “le famiglie dei rapiti e i loro amici stanno soffrendo in modo terribile”. Rapiti il 14 marzo nell’area di Kandhmal-Ganjam da un presunto gruppo di esponenti della ribellione maoista naxalita cui fa capo ‘Sunil’ Sabiryasachi Panda, i due italiani “stanno bene e sono trattati bene”, secondo un nuovo messaggio audio dei rapitori il cui contenuto è stato divulgato in queste ore dai media. Le autorità dello Stato dell’Orissa si sono dette sin dall’inizio pronte al dialogo con la ribellione maoista per una pacifica risoluzione della vicenda. Si attende l’avvio di trattative su 13 richieste rivolte dai sequestratori ai dirigenti locali, tra cui la liberazione di leader maoisti detenuti e il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni rurali autoctone. La Misna ricorda che l’insurrezione naxalita nacque nel 1967 nel villaggio di Naxalbari nel Bengala occidentale e si espanse negli anni successivi negli Stati dell’Orissa, del Bihar e dell’Andhra Pradesh, fino alla repressione con una massiccia campagna militare e paramilitare nel 1972. Il movimento di ispirazione maoista si è successivamente diviso in una quarantina di correnti, alcune delle quali hanno ripreso ad agire tra gli anni ’80 e ’90, in particolare nell’Andhra Pradesh. Dal 2004, le due principali fazioni – il ‘Peoples War Group’ e il ‘Maoist Communist Center’ – hanno formato il ‘Communist Party of India-Maoist’ (Cpi-M), al quale sono stati attribuiti oltre 2000 attacchi e 1200 vittime nel 2010. Gli analisti fanno notare che le aree in cui operano i guerriglieri sono diventate nel corso degli anni al centro di interessi per lo sfruttamento minerario (ferro, alluminio, carbone), per le terre e per progetti idroelettrici. La risposta all’insurrezione naxalita è prevalentemente affidata ai governi locali. (F.S.)

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    Siria. La Chiesa ortodossa: “pulizia etnica” di cristiani a Homs. L'opera dei Gesuiti

    ◊   Mentre le forze dell’opposizione siriana si sono macchiate di violenze, abusi, torture – come afferma un rapporto diffuso ieri dalla Ong “Human Rights Watch” – a Homs è “in corso una pulizia etnica dei cristiani”, operata da membri della “Brigata Faruq”, vicina ad Al Qaeda. Lo afferma una nota inviata all’Agenzia Fides dalla Chiesa ortodossa siriana, che comprende il 60% dei fedeli cristiani in Siria. Militanti islamismi armati – afferma la nota – sono riusciti a espellere il 90% dei cristiani di Homs e hanno sequestrato le loro case con la forza. Secondo fonti del Metropolita ortodosso, i militanti si sono recati casa per casa, nei quartieri di Hamidiya e Bustan al-Diwan, costringendo i cristiani alla fuga, senza dare loro la possibilità di prendere alcunchè dei loro beni. La “Brigata Faruq” è gestita da elementi armati di Al-Qaeda e da vari gruppi wahabiti e comprende mercenari provenienti dalla Libia e dall'Iraq. Il vicario apostolico di Aleppo, mons. Giuseppe Nazzaro commenta a Fides: “Non abbiamo fonti per confermare direttamente queste notizie, ma si può dire che tali rapporti cominciano a far crollare il muro di omertà fino ad oggi costruito dalla stampa in tutto il mondo. In questa situazione si stanno facendo strada i movimenti islamisti e terroristi”. Il vicario ricorda con preoccupazione alcuni episodi recenti: “Domenica scorsa è esplosa ad Aleppo una automobile imbottita di tritolo, nelle vicinanze della scuola dei padri Francescani. Per miracolo è stata evitata una strage di bambini, nel Centro di catechesi della chiesa di San Bonaventura: solo perché il francescano responsabile, intuendo un pericolo, ha fatto uscire i bambini 15 minuti prima del solito orario. Altre bombe sono esplose a Damasco: sono brutti segnali per le minoranze religiose”. Sulle prospettive della situazione, il vicario dice: “Ho fiducia che possa tornare la pace: per questo noi cristiani contiamo a pregare incessantemente”. Intanto a Homs, raccontano fonti di Fides, stanno dando una testimonianza eroica alcuni Gesuiti rimasti in città: impegnandosi a portare conforto e aiuti umanitari a persone in stato di necessità di estrema miseria, compiono la loro missione di essere “costruttori di ponti”. I religiosi chiedono che le forze in campo si ispirino alla tolleranza, al pluralismo culturale e religioso, invitando al dialogo, rifiutando la violenza e chiedendo il rispetto della dignità umana e dei valori del Vangelo. I Gesuiti in Siria sono impegnati nel servizio ai giovani, ai rifugiati, nell’istruzione di bambini e adulti, nel dialogo interreligioso, in progetti di sviluppo rurale. (R.P.)

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    Siria. Padre Pizzaballa: ad Aleppo colpito convento cristiano

    ◊   Ad Aleppo, nell’esplosione che ha colpito il quartiere a maggioranza cristiana di Al Sulaimanya è rimasto coinvolto anche il convento di Er Ram, tenuto dalla Custodia di Terra Santa, dedicato alle attività di oratorio per i bambini del quartiere. Lo riferisce all'agenzia Sir il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, che parla di “situazione nel Paese che sta precipitando velocemente. Ora – dice padre Pizzaballa – nell’oratorio le attività resteranno per un po’ ferme. Lo shock è stato forte”. “La Provvidenza – aggiunge – ha voluto che qualche minuto prima padre Shadi Bader, che era all’interno con numerosi bambini, decidesse di chiudere le attività in anticipo. Subito dopo l’esplosione che ha distrutto tutto. Lo scoppio è avvenuto sul muro di cinta che è parzialmente crollato, come pure parte del muro della chiesa. Le finestre e gli altri infissi sono andati distrutti. Bastava un lieve ritardo e sarebbe stata una strage”. Sul futuro della Siria il Custode appare dubbioso: “Difficile sapere come evolveranno le cose, la situazione è di grande incertezza. Esorto tutti a ricordare nella preghiera i nostri fratelli di Siria”. Per il guardiano del convento di san Francesco di Aleppo, padre Giorgio Abu Khazen, sotto la cui giurisdizione si trova il convento colpito, “l’esplosione è da ricondurre più che a violenza anticristiana, a un attacco contro una vicina sede delle forze di sicurezza”. (F.S.)

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    Sono almeno mille i missionari uccisi dal 1980 al 2011

    ◊   Secondo i dati in possesso dell’agenzia Fides, nel decennio 1980-1989 hanno perso la vita in modo violento 115 missionari. Tale cifra però è senza dubbio in difetto poiché si riferisce solo ai casi accertati e di cui si è avuta notizia. Il quadro riassuntivo degli anni 1990-2000 presenta un totale di 604 missionari uccisi, sempre secondo le stesse informazioni. Il numero risulta sensibilmente più elevato rispetto al decennio precedente, tuttavia devono essere anche considerati i seguenti fattori: il genocidio del Rwanda (1994) che ha provocato almeno 248 vittime tra il personale ecclesiastico; la maggiore velocità dei mass media nel diffondere le notizie anche dai luoghi più sperduti; il conteggio che non riguarda più solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma tutto il personale ecclesiastico ucciso in modo violento o che ha sacrificato la vita consapevole del rischio che correva, pur di non abbandonare le persone che gli erano affidate. Negli anni 2001-2010 il totale degli operatori pastorali uccisi è stato di 255 persone. Nell’anno 2011 sono stati uccisi 26 operatori pastorali: 18 sacerdoti, 4 religiose, 4 laici. (R.P.)

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    El Salvador ricorda mons. Romero ma non in cattedrale, ancora occupata

    ◊   L'anniversario della morte di mons. Oscar Arnulfo Romero sarà celebrato per la prima volta nella chiesa del Rosario, perché i veterani di guerra hanno occupato la cattedrale Metropolitana di San Salvador da ormai due mesi. Chiedono maggiore attenzione per la loro situazione. Il rappresentante della Fondazione Romero, mons. Ricardo Urioste, ha espresso, all’agenzia Fides, il suo dispiacere perché le celebrazioni culturali e religiose preparate per il 32.mo anniversario della morte di mons. Romero non si potranno svolgere nella cattedrale, dove riposano le spoglie dell’arcivescovo. “Sono fatti che noi deploriamo, perché li riteniamo un insulto alla fede e alla memoria di monsignor Romero”, ha detto mons. Urioste, aggiungendo che i manifestanti non hanno alcuna intenzione di lasciare il principale centro religioso cattolico del Paese e, in ogni caso, ormai non ci sarebbe più tempo per preparare la celebrazione lì. Secondo quanto comunicato da Odin Martinez, un altro attivista della Fondazione Romero, il calendario delle attività commemorative ha avuto inizio lunedì 19 marzo, con una mostra di fotografie e documenti sulla vita di mons. Romero, conosciuto come colui che diventò "la voce dei senza voce". Dalle informazioni pervenute all’agenzia Fides si apprende che per il 24 marzo, giorno in cui mons. Romero venne ucciso 32 anni fa mentre celebrava la Messa in una piccola cappella nel nord-est della capitale, la Chiesa locale ha preparato un grande evento culturale che si svolgerà nella Piazza Divino Salvador del Mundo. Al termine i fedeli, le comunità religiose e i gruppi sociali si recheranno in pellegrinaggio alla chiesa di El Rosario, dove il vescovo ausiliare di San Salvador, mons. Gregorio Rosa Chavez, presiederà la concelebrazione eucaristica. Parteciperanno una ventina di sacerdoti, anche venuti dall'estero. Dalla sera, veglia fino al giorno successivo. I media statali trasmetteranno le omelie che sono costate la vita all’arcivescovo. A El Salvador il 24 marzo è una giornata festiva: la “Giornata nazionale di mons. Oscar Arnulfo Romero Galdámez”. Inoltre l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 24 marzo "Giornata Internazionale per il Diritto alla Verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime". (F.S.)

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    Ecuador: 15 mila bambini costretti a lavorare a Quito

    ◊   “Se non lavoro papà mi punisce”: è questa la realtà di oltre 15 mila bambini della capitale dell’Ecuador, Quito, sfruttati come venditori ambulanti per le strade della città. Secondo l’Instituto de la Niñez y la Familia (Infa), il 63% di questi minori lavora oltre 40 ore alla settimana. Come spiega l’agenzia Fides, dietro a questa realtà si celano problemi di maltrattamento in famiglia e da parte delle mafie che obbligano i piccoli a vendere caramelle, fiori, cd, a suonare strumenti come chitarra, flauto o armonica, o a fare i giocolieri agli angoli delle strade o sugli autobus. Nonostante l’articolo 136 del Codice del Lavoro preveda 15 anni come età minima per iniziare a lavorare nel Paese, i bambini iniziano a farlo da quando ne hanno 5. Il 90% dei bambini non vive neanche a Quito ma arriva dalle altre provincie. I bambini costretti al lavoro vengono lesi nella loro dignità, oltre a vedere pregiudicato il loro sviluppo fisico e psicologico. In alcuni casi i minori vengono sfruttati per caricare e scaricare materiali pesanti, generi alimentari e legname. Secondo enti locali, i bambini racimolano tra i 12 e i 68 dollari al giorno, con un reddito mensile tra 100 e 1800 dollari, denaro che non rimane a loro ma viene consegnato ai loro sfruttatori. (F.S.)

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    Cile: i fedeli di Calama chiedono maggiore attenzione al governo centrale

    ◊   Mons. Guillermo Vera Soto, vescovo di San Juan Bautista de Calama, ha dato il suo sostegno alle circa 5.000 persone che ieri hanno partecipato alla marcia per chiedere al governo centrale la realizzazione di diversi progetti che diano alla città e alla zona la qualità di vita che merita. Il vescovo - riporta l'agenzia Fides - ha detto che Calama è stata perseverante nella sua richiesta di essere ascoltata dal governo centrale, e a questo proposito ha osservato che la gente di questa città può essere un esempio per come ha portato avanti le sue preoccupazioni, per come ha preparato i tavoli di dialogo e per la presentazione delle proposte alle autorità. Ha inoltre sottolineato che da diversi anni la popolazione ha chiesto maggiore attenzione, con grande pazienza, e adesso le marce vogliono dimostrare che c'è un sostegno del popolo nei confronti delle autorità che portano avanti tali richieste. Secondo la nota inviata dalla Conferenza episcopale del Cile all'agenzia Fides, mons. Vera ha detto a proposito della marcia del 20 marzo: “Abbiamo sempre sostenuto che questi eventi devono svolgersi in un clima di unità, rifiutando ogni forma di violenza, e dobbiamo dire che c'è stato un atteggiamento molto buono da parte di coloro che li hanno indetti e di chi vi ha partecipato. Riteniamo che le nostre autorità stiano facendo qualcosa, ma vogliamo ugualmente continuare a proporre le nostre richieste, in atteggiamento pacifico di dialogo, ma anche con l'atteggiamento che dimostra che c'è una intera comunità che chiede, e che crede in ciò che sta chiedendo". Alla fine il vescovo ha detto che "Calama è di tutti e questa è l'occasione per esprimere la preoccupazione che proviamo per la città e per tutti coloro che vivono in questa terra. Calama è una città che offre opportunità di lavoro, di sviluppo, di benessere a molte persone, e questo ci deve portare ad impegnarci nel destino di questa zona". Calama si trova a nord di Santiago (circa 900 km), ma non è l’unica zona che manifesta per avere un aiuto reale dal governo centrale. Anche nel sud la popolazione di Aysen sta manifestando da mesi. La Confederazione Nazionale degli Studenti (Confech) ha indetto per oggi una marcia nazionale in appoggio delle richieste del Movimento Sociale di Aysen. La Conferenza episcopale cilena, attraverso il suo presidente, mons. Ricardo Ezzati Andrello, in una lettera del 16 marzo ha manifestato preoccupazione per questa situazione di tensione ad Aysen e ha chiesto a tutte e due le parti di aprirsi al dialogo per risolvere i problemi. (R.P.)

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    Bruxelles: si apre l'Assemblea plenaria degli episcopati europei

    ◊   Con una relazione di Michel Camdessus, già direttore del Fondo monetario internazionale sul tema della “Solidarietà come principio dell’Unione europea” si apre questo pomeriggio a Bruxelles l’Assemblea plenaria di primavera della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece). All’Assemblea che si concluderà il 23 marzo, parteciperanno 23 vescovi che avranno il compito venerdì mattina durante una sessione a porte chiuse, di rinnovare il Comitato permanente della Commissione eleggendo il nuovo presidente e i 4 vicepresidenti. Venerdì, alle 14.30, presso la sede della Comece il presidente eletto terrà una conferenza stampa. Finisce dunque il mandato del presidente uscente, il vescovo di Rotterdam, mons. Adrianus van Luyn, al quale viene dedicato questa sera un ricevimento in suo onore. Tema principale dell’assemblea sarà invece “L’anno europeo 2012 dell’invecchiamento attivo e della solidarietà intergenerazionale”. A parlare del tema della crisi demografica e del ruolo centrale della famiglia nella società ci sarà anche GianCarlo Blangiardo, dell’Università Milano-Bicocca. “L’invecchiamento - si legge nel comunicato della Comece - è senza dubbio una sfida per l’intera società”. (R.P.)

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    Per il Gran muftì vanno distrutte tutte le chiese esistenti nella Penisola araba

    ◊   Debbono essere distrutte tutte le chiese che sorgono nella Penisola arabica. E' il parere espresso dalla massima autorità religiosa dell'Arabia Saudita, il Gran muftì, Sheikh Abdul Aziz bin Abdullah, in risposta alla richiesta della delegazione di una organizzazione non governativa kuwaitiana, la Society of the Revival of Islamic Heritage. La delegazione - riporta l'agenzia AsiaNews - voleva una chiarimento sulla base della legge islamica a proposito della proposta avanzata da un parlamentare del Kuwait, di vietare la costruzione di nuove chiese nel Paese. Proposta non accolta dal Parlamento. Il Gran muftì, che è anche a capo del saudita Supreme Council of Islamic Scholars, il Consiglio supremo degli studiosi islamici, ha risposto citando il profeta Maometto, per il quale la Penisola arabica deve vivere sotto una sola religione. Essendo il Kuwait parte della Penisola, la conclusione del Gran muftì, è necessario che distrugga tutte le chiese esistenti nel suo territorio. La risposta della massima autorità religiosa dell'Arabia saudita - dove non esiste alcuna chiesa, malgrado ci siano almeno un milione di cristiani - ha superato la stessa proposta del parlamentare kuwaitiano, Osama al-Munawar, per il quale le chiese esistenti potevano restare, ma andava vietata la costruzione di nuovi edifici di religioni diverse da quella musulmana. L'affermazione del Gran muftì saudita è stata accolta con preoccupazione dai cristiani che vivono nei Paesi arabi e ha suscitato reazioni nei media del Medio Oriente. E' stata praticamente ignorata in un'Europa nella quale il 19 marzo è uscito un Rapporto sull'intolleranza e le discriminazioni contro i cristiani in Europa, che certifica centinaia di episodi avvenuti nel Vecchio continente nel corso del 2011. (R.P.)

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    Myanmar: sacerdote cattolico apre una clinica gratuita con l’aiuto di un monaco buddista

    ◊   In un Paese come il Myanmar, in cui i cattolici sono solo l’1. 45% della popolazione e in una cittadina come Mandalay, che conta appena lo 0.2% di cattolici, la storia di padre John Aye Kyaw rappresenta un forte segnale di speranza: il sacerdote, infatti, ha aperto una clinica che offre assistenza sanitaria gratuita ai più poveri, ed è riuscito nella sua impresa grazie all’aiuto di un monaco buddista, il venerabile Seinnita. Parroco della cattedrale del Sacro Cuore di Mandalay, padre Kyaw spiega così il suo progetto: “In Myanmar, la popolazione non muore di fame, ma soffre di due grandissimi mali: la debolezza del sistema educativo e le carenze della sanità”. Di qui, l’idea di “fare qualcosa” per gli abitanti di Mandalay, in cui gli ospedali pubblici sono terreno di corruzione e quelli privati hanno costi troppo elevati per la povera gente. “Bisognava intervenire per curare i più disagiati – spiega padre Kyaw – Per questo ho pensato ad un Centro di assistenza sanitaria. Non avendo a disposizione un terreno, ho esposto il mio progetto ad un monaco buddista del Gruppo caritativo interreligioso”, ovvero l’Associazione solidale che riunisce cattolici, protestanti, musulmani e buddisti con l’obiettivo di aiutare i bisognosi. Il monaco coinvolto nell’iniziativa, il venerabile Seinnita, ha messo a disposizione di padre Kyaw “una casa nei pressi di una pagoda buddista” e ne ha organizzato la ristrutturazione per trasformarla in una clinica. Inaugurata all’inizio di marzo, la struttura si appoggia ad un’équipe di quindici medici e numerosi infermieri, tutti volontari, ed accoglie tra i 50 ed i 60 pazienti al giorno. Sostenuta economicamente da alcuni benefattori, la clinica porta avanti la sua missione grazie anche all’aiuto dei turisti che spesso offrono un contributo in denaro o in medicinali. “La struttura risponde ad un bisogno vitale degli abitanti di Mandalay – spiega in venerabile Seinnita – Sono fiero del fatto che le religioni abbiano lavorato insieme alla realizzazione di un simile progetto”. L’auspicio del monaco è che “altre iniziative dello stesso genere nascano anche nelle campagne intorno a Mandalay”. Soddisfazione viene infine espressa da padre Kyaw, per il quale “collaborare con i buddisti rappresenta un’esperienza interessante. Io e il venerabile Seinnita ormai ci consideriamo fratelli. Ed è necessario lavorare insieme per il bene dell’umanità”. (I.P.)

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    Cina: i cattolici hanno celebrato la solennità di san Giuseppe

    ◊   Le ordinazioni sacerdotali, l’inaugurazione di una nuova stazione missionaria, una processione sotto la neve con la statua di san Giuseppe: sono alcune celebrazioni che hanno contraddistinto la solennità di san Giuseppe, Patrono della Chiesa in Cina, nella comunità cattolica continentale, che nutre una grande devozione verso il Santo. Secondo quanto riferito all’agenzia Fides da Faith dell’He Bei, la diocesi di Shang Hai ha vissuto con grande gioia l’ordinazione di 7 sacerdoti (celebrata domenica 18 marzo in quanto il giorno della solennità, 19 marzo, è lavorativo in Cina) che segnano “la continuità della missione in Cina”. Dopo 9 anni di studi e 2 anni di pratica pastorale nelle parrocchie, i sette diaconi hanno così ricevuto l’ordinazione sacerdotale dalle mani del vescovo ordinario, l’ultranovantenne mons. Jin Lu Xian. Anche la diocesi di Ning Xiang, che si trova in una zona sperduta nella parte nord occidentale del continente, ha vissuto l’ordinazione di un sacerdote il giorno precedente la festa di san Giuseppe, cui hanno partecipato oltre 800 fedeli. Così il numero dei sacerdoti della diocesi, che conta 12mila fedeli, è giunto a 16. Invece per i fedeli della comunità del distretto di Hou Shan, abitato dagli appartenenti ad un’etnia minoritaria della diocesi di Chong Qing, finalmente si è concluso il tempo in cui erano costretti a percorrere decine di chilometri per partecipare alla Messa. Il 19 marzo è stata infatti inaugurata la nuova stazione missionaria del distretto di Hou Shan: oltre 200 fedeli hanno preso parte alla benedizione e alla solenne Eucaristia. Infine la comunità della parrocchia di Zhao Zhuang, dedicata a san Giuseppe, nella città di Xing Tai della provincia dell’He Bei, ha celebrato il suo Santo Patrono con una solenne processione che si è svolta sotto una forte nevicata. Oltre mille i fedeli vi hanno partecipato, incuranti del maltempo, portando in processione una gigantesca statua del Santo. (R.P.)

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Barbara Innocenti.