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Sommario del 17/03/2012
Il nunzio in Messico: il Papa aiuterà il Paese a vedere il futuro con ottimismo
◊ Mancano ormai pochi giorni al viaggio del Papa in Messico e a Cuba: Benedetto XVI partirà il 23 marzo prossimo e ritornerà in Vaticano il 29. Prima tappa è il Messico, grande Paese latinoamericano chiamato, attualmente, ad affrontare molteplici sfide: ma quale realtà il Papa si appresta ad incontrare? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a mons. Cristophe Pierre, nunzio apostolico in Messico:
R. - Il Messico è un Paese che, come si sa, è profondamente religioso e che è rimasto molto colpito dalle precedenti visite di Giovanni Paolo II: l’incontro tra Giovanni Paolo II e il popolo messicano è stato spettacolare e ha inevitabilmente caratterizzato la cultura e la storia recente. Ma è anche un Paese che sta cambiando rapidamente e speriamo che questo incontro con Benedetto XVI sia un’esperienza veramente nuova. Il Paese vive anche momenti molto difficili e da qualche anno soffre per il problema della violenza, causata per lo più dal triste fenomeno del narcotraffico, dalla lotta tra “cartelli della droga”. Tutto questo certamente ha influenzato il sentire di molta gente. Io credo che tutti stiano aspettando il viaggio del Papa e l’incontro con Benedetto XVI con molta speranza. E’ un viaggio più breve di quanto siano stati i viaggi di Giovanni Paolo II, ma quello che si nota tra la gente è la speranza di ricevere una parola di fede per affrontare questo momento difficile.
D. - Il Messico, oltre al problema della violenza, vive anche la grave emergenza dell’immigrazione clandestina, un po’ come il Sud-Europa: sono moltissime le persone che dall’America Latina cercano di raggiungere gli Stati Uniti, ma che sono poi costrette a fermarsi nel Paese. Qual è la situazione?
R. - La situazione è assai complicata. L’immigrazione fa parte della vita e della storia stessa del Messico: molti messicani vivono negli Stati Uniti e hanno la cittadinanza americana, ma molti sono i clandestini, proprio perché c’è sempre la spinta di cercare di andare comunque negli Stati Uniti per migliorare la propria condizione economica. La ragione reale, dunque, è quella della povertà: molti messicani sentono il bisogno di avere una vita migliore. Ma non è così facile riuscire ad uscire dal Paese, proprio perché molte sono le restrizioni e, quindi, molti sono clandestini. Questa situazione si sta trasformando in un vero e proprio dramma nazionale, che viene inevitabilmente sfruttato anche dal crimine organizzato, che approfitta di questa situazione di povertà e del desiderio di emigrare. C’è poi anche la realtà di molti migranti che arrivano dai Paesi a Sud del Messico: la frontiera con gli Usa è immensa e si riesce a passare facilmente, ma c’è da affrontare il lungo cammino dal Sud li porta al Nord, un cammino di sofferenza, fatto di tante difficoltà e di tanti problemi. I rischi sono enormi! La questione dell’immigrazione credo sia un problema che coinvolge non solo il Messico, ma tutto il continente americano. Si spera che un giorno si trovi una soluzione, che sia però al servizio della persona.
D. - Di fronte a queste emergenze, come si sta impegnando la Chiesa?
R. - La Chiesa ha, come in tutti i settori della società, una presenza eccezionale. La maggioranza del popolo messicano è cattolico e l’aiuto e il sostegno ai poveri e alle persone in difficoltà è molto forte. La Chiesa ha decine di centri di accoglienza per queste persone che cercano di arrivare al Nord, con la speranza di emigrare. Certo, non si po’ risolvere tutto nell’immediato, in quanto non ci sono ricette così efficaci; le soluzioni sono anche di ordine politico, di politica interna e internazionale - come sappiamo bene - ma la Chiesa, con la sua presenza e con la sua attenzione, continua ad aiutare i poveri innanzitutto nelle loro necessità primarie. Questi centri rappresentano un po’ la parabola del Buon Samaritano.
D. - Mons. Pierre, tra gli aspetti positivi della società messicana, è certamente una forte speranza che affonda le sue radici in una profonda fede cristiana. Che cosa si aspettano i messicani, alla luce di questo, dall’incontro con Benedetto XVI?
R. - Penso che lei abbia ragione: il popolo messicano, malgrado tutti i suoi problemi e le sue sofferenze, conserva una fede profonda che si manifesta attraverso una vera e forte religiosità, una religiosità che gli dona grande speranza. Il popolo dei poveri ha una profonda speranza e una profonda fede in Cristo, in Maria, nella Vergine di Guadalupe, che è al centro della devozione di tutti, perché la vedono come la Madre, perché hanno bisogno della sua protezione. Io penso che l’arrivo del Santo Padre va nella stessa direzione: la gente riconosce nel Papa il Successore di Pietro, il capo della Chiesa Cattolica. La gente si sente parte di questa Chiesa e certamente accoglierà il Papa come colui che ci aiuta a sperare, a vedere il futuro con ottimismo. (mg)
Messico e Cuba, viaggio della speranza: editoriale di padre Lombardi
◊ E' grande l’attesa in Messico e Cuba per l'ormai prossima visita del Papa. Ma è tutta l’America Latina che è pronta ad ascoltare il messaggio di Benedetto XVI. Ascoltiamo in proposito il nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il Settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:
I motivi del viaggio del Papa in Messico e Cuba fra pochi giorni sono molti e da tempo spesso ripetuti. Il bicentenario dell’indipendenza dei popoli latinoamericani, il grande desiderio dei messicani di ospitare il Papa, il ventennio dei rapporti diplomatici fra Messico e Santa Sede, il 400° del ritrovamento della Vergine della Carità del Cobre, patrona di Cuba, e il conseguente anno giubilare, e così via.
Queste sono le occasioni della visita, ma al centro di ogni viaggio del Papa c’è anzitutto il suo servizio di pastore della Chiesa universale, che - secondo il mandato di Cristo - conferma nella fede i suoi fratelli. Tuttavia si può forse indicare un’intonazione specifica di questo viaggio al cuore del continente americano. Sarà certamente un viaggio per la speranza.
Per la speranza dei messicani, popolo di immense risorse e possibilità, ma travagliato oggi da problemi gravissimi che pesano sul suo presente e sul suo futuro, a cominciare da una drammatica violenza.
Per la speranza dei cubani, che si sentono alle soglie di una possibile epoca nuova, in cui le parole profetiche di Giovanni Paolo II sull’apertura reciproca di Cuba e del mondo si avverino in un clima di sviluppo, di libertà e di riconciliazione.
Per la speranza dell’America Latina intera, dove una Chiesa impegnata nella “missione continentale” avviata dall’Assemblea di Aparecida, vuole continuare a dare il suo contributo ispiratore al cammino del continente, perché i valori umani e cristiani garantiscano uno sviluppo integrale delle persone, nonostante le difficoltà e i rischi del nostro tempo.
Il grazie del Papa per la nobile missione di carità dell'Oftal, da 80 anni al servizio dei malati
◊ Il Papa saluta e benedice l'Oftal, l’Opera Federativa Trasporto Ammalati a Lourdes, per i suoi 80 anni di vita e nel centesimo anniversario del primo pellegrinaggio alla Grotta di Lourdes del fondatore, mons. Alessandro Rastelli. A portare il messaggio di Benedetto XVI è stato questa mattina il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, durante la Messa celebrata per l’occasione nella Basilica di San Pietro. Al rito hanno partecipato il presidente generale dell’Oftal, mons. Gian Paolo Angelino, i sacerdoti delegati vescovili e assistenti, i medici, gli infermieri, i barellieri, le dame e i malati.
Nel messaggio, Benedetto XVI ringrazia il Signore per quanto questa “realtà ecclesiale ha rappresentato in questi anni di fecondo apostolato”, per “le diverse iniziative volte a favorire tra la gente la devozione alla Vergine Immacolata, l’encomiabile accompagnamento e l’assistenza ai malati, gli opportuni momenti di formazione spirituale del personale, per sostenere la nobile missione di carità”. Auspica quindi che queste significative ricorrenze “incoraggino ciascuno a rendere una sempre più incisiva testimonianza cristiana, continuando a produrre frutti spirituali in fedeltà al carisma e alle finalità autentiche” dell’associazione, e “sempre in comunione con i vescovi e la Chiesa”. Il Papa, in particolare, saluta gli ammalati “con grande affetto” e sull’intera Oftal, imparte di cuore una speciale Benedizione Apostolica.
Nell’omelia, il cardinale Bertone ha sottolineato che l’Oftal “da ottant’anni si pone al servizio dei malati e del mondo della sofferenza”. “Nel vostro peregrinare tante volte a Lourdes – ha detto - e nella vostra consuetudine orante con la Vergine Immacolata, voi avete compreso che Maria accoglie tutte le preghiere dei suoi figli; sì - ha concluso il porporato - nessuna nostra parola, nessun nostro desiderio è perduto; nessuna nostra sofferenza, nessuna nostra pena è inutile; tutto e tutti Maria raccoglie e anche presenta oggi all’altare del cielo”.
Il Papa al Congresso di Gniezno, in Polonia: i cristiani si impegnino per il bene dell’Europa
◊ “Il cristianesimo, anche se orienta l’uomo all’eternità, non lo esonera dalla premura per la realtà temporanea, anzi lo incoraggia all’attiva partecipazione alla vita sociale”: è quanto si legge in un telegramma del Papa, a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, indirizzato ai partecipanti al Congresso di Gniezno, in Polonia, sul tema “Europa e cittadinanza: ruolo e spazio dei cristiani”. Il documento incoraggia i cristiani “ad operare efficacemente per il bene degli europei” e sottolinea che bisogna impegnarsi per “un’attiva e responsabile partecipazione di tutti i cittadini alla formazione non solo della realtà politica ed economica, ma anche del volto spirituale del continente”.
Il Congresso di Gniezno, che si svolge in questi giorni, è organizzato con il patrocinio del presidente della Repubblica di Polonia, Bronislaw Komorowski, e vede la partecipazione, tra gli altri, del cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, e di Jerzy Buzek, già presidente del parlamento europeo.
◊ Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, presidente della Conferenza episcopale italiana, e mons. Guy Marie Bagnard, vescovo di Belley-Ars, in Francia.
Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Lesotho mons. Mario Roberto Cassari, arcivescovo titolare di Tronto, nunzio apostolico in Sud Africa, Botswana, Namibia e Swaziland.
In Pakistan, il Pontefice ha nominato amministratore apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della diocesi di Faisalabad, in Pakistan, S.E. Mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad-Rawalpindi.
◊ Le vicende dei cristiani in Medio Oriente e le prospettive della primavera araba. Lo status dei Luoghi santi e il presunto scontro di civiltà tra cristianesimo e islam. Sono temi di assoluta attualità quelli che il cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ha affrontato nell’intervista, di grande eco mediatica, realizzata dalla tv araba Al Jazeera. Alessandro De Carolis sintetizza in questo servizio i principali contenuti dell’intervista, in onda a più riprese tra oggi e lunedì prossimo sulle frequenze dell’emittente di Doha:
La schiettezza è la cifra dell’intervista del cardinale Tauran davanti al microfono del giornalista saudita, che gli rivolge una lunga serie di domande. Al Jazeera vuol dire dozzine di milioni di telespettatori islamici. E dunque il bisogno di mettere in chiaro una volta di più cosa la Chiesa pensi di chi si appropria il nome di Dio per creare barriere ideologiche e fomentare l’odio interreligioso, ovvero il brodo di coltura del radicalismo armato. Il cardinale Tauran è cristallino nel tacciare di “ignoranza” chi predica lo scontro di civiltà:
R. – “You are right to say that…
Lei è ha ragione quando afferma che in Europa c’è paura dell’Islam ma credo che sia dovuto all’ignoranza, perché quando si parla a questa gente – e ho parlato con tante persone che appartengono a gruppi di destra – ci si rende conto che non hanno mai aperto un Corano e che non hanno mai incontrato un musulmano. Quindi, come ho detto, dobbiamo fare un grande sforzo per informare. Siamo riusciti a evitare lo scontro di civiltà, possiamo riuscire a evitare uno scontro dell’ignoranza”.
Le minoranze cristiane che vivono in posti dove è l’islam il credo più diffuso sono i primi a pagare lo scotto di certi estremismi. Mezzo milione se n’è andato dall’Iraq (ma per la Santa Sede sono almeno 800 mila), un migliaio è stato ucciso in Nigeria dal 2009 a oggi, senza contare la catena di omicidi e violenze che ha fatto vittime fra i cristiani copti in Egitto e altrove:
R. – “A coordinated campaign, I don’t know…
Non so se ci sia una campagna organizzata, ma sicuramente aprendo i giornali si può vedere che in Iraq i cristiani vengono uccisi e così in Medio Oriente. Ogni giorno, ci sono notizie di questo tipo e non si può negare che essi siano il bersaglio di un certo tipo di opposizione. Qualche volta (…) i cristiani hanno la sensazione di essere cittadini di seconda classe, nei Paesi dove i musulmani sono la maggioranza”.
Tuttavia, c’è altro. C’è quello che il Papa ripete sempre quando parla di Medio Oriente, di Terra Santa: rispetto e integrazione. Così, anche da Al Jazeera viene irradiato l’ennesimo appello alla fraternità, venato di sano realismo:
R. – “Well, Christians in the Middle East first of all…
I cristiani del Medio Oriente condividono il destino dei popoli di quella regione. Certo, dove non c’è pace naturalmente la gente non è a suo agio e soffre. Per me, la grande tentazione per i cristiani del Medio Oriente è quella di emigrare per il fatto che il processo di pace non sta andando avanti, e perché essendo madri o padri di famiglia hanno dei bambini da crescere”.
Un Medio Oriente senza cristiani, afferma esplicitamente il porporato, sarebbe una “catastrofe”, con i Luoghi Santi ridotti a “musei”. Luoghi che quindi vanno preservati a ogni costo nella loro dimensione storico-spirituale, insieme con le comunità ecclesiali che vivono intorno ad essi:
R. – “First of all, there is a spiritual solidarity…
Prima di tutto, c’è una solidarietà spirituale, attraverso la preghiera e anche la carità. C’è un’azione diplomatica della Santa Sede e ci sono i pellegrinaggi, che sono molto importanti per la Terra Santa. Tutti questi pellegrinaggi, durante l’anno, sono una manifestazione eloquente della solidarietà”.
Un passaggio dell’intervista è ovviamente dedicato al sommovimento che in un anno ha stravolto o sta destabilizzando geografie e dinastie, la “primavera araba”:
R. – I hope it will help…
Spero che aiuti. Guardando la primavera araba, qual è stata la dinamica di quel movimento? Erano i giovani che chiedevano dignità, libertà, lavoro. Questi sono valori che naturalmente condividiamo: cristiani, musulmani e suppongo ogni essere umano nel mondo”. (ap/gf)
Curia e fughe di notizie, mons. Becciu: il Papa ci incoraggia a guardare avanti
◊ Nonostante la “grave slealtà” di alcuni, la realtà della Curia Romana è nettamente migliore di quella trasmessa a volte nell’opinione pubblica: è quanto sottolinea l’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, in un colloquio con il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Le fughe di documenti hanno addolorato Benedetto XVI, ma il Papa ci invita “a guardare avanti, e la sua testimonianza quotidiana di serenità e di determinatezza è uno stimolo per tutti noi”: è quanto afferma l’arcivescovo Becciu, che - con il direttore dell’Osservatore Romano - si sofferma sul lavoro che si svolge in segreteria di Stato. Un lavoro, tiene a sottolineare, che è “disinteressato e di buon livello, sia tra gli ecclesiastici, sia tra i laici”. Negli ultimi tempi, rivela il presule, “qualcuno mi ha confidato che si vergognava di dire che lavorava in Vaticano e io gli ho risposto: alza la testa e siine invece fiero”. A proposito delle fughe di notizie e documentazioni, il sostituto della Segreteria di Stato, afferma che i pochi sleali devono guardare alla loro coscienza, perché è “slealtà” e “vigliaccheria” approfittare di una “situazione di privilegio” per pubblicare documenti verso i quali “avevano l’obbligo di rispettare la riservatezza”. Per questo, spiega mons. Becciu, la segreteria di Stato ha disposto un’accurata indagine che riguarda tutti gli organismi della Santa Sede: a livello penale condotta dal Promotore di giustizia del Tribunale vaticano e a livello amministrativo svolta dalla stessa Segreteria di Stato. Inoltre, aggiunge il presule, una superiore commissione è stata incaricata dal Papa di fare luce sull’intera vicenda. “L’auspicio – conclude mons. Becciu – è che si ricomponga la base del nostro lavoro: la fiducia reciproca”, che ovviamente presuppone “serietà, lealtà, correttezza”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, un editoriale di Paolo Vian dal titolo “L'intelligenza e la salvezza dell'anima: a cinquant'anni dalla morte di Giuseppe De Luca”.
Terrore in Siria: nell'informazione internazionale, il duplice attentato dinamitardo a Damasco che ha causato decine di morti e feriti.
Il Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, chiude le celebrazioni per i 150 anni dell'Unità.
Luci e ombre sull’acqua: Pierluigi Natalia sulle conclusioni del Forum di Marsiglia.
Prete romano: in cultura, il vescovo di Terni-Narni-Amelia, Vincenzo Paglia, sulla figura di Giuseppe De Luca.
Donaci il silenzio: Inos Biffi sul san Giuseppe di Paul Claudel.
La festa e i falò: Tracisio Stramare sulle tradizioni popolari nelle celebrazioni siciliane e pugliesi in onore di san Giuseppe. Sullo stesso tema, un articolo di Vittorio Sgarbi.
I vescovi anglicani inglesi e il matrimonio: le nozze possono essere celebrate solo per sancire l’unione tra uomo e donna.
Al servizio della Chiesa tra diplomazia e pastorale: Nicola Gori intervista il cardinale Santos Abril y Castelló, arciprete della basilica papale di Santa Maria Maggiore.
Ordigni a Damasco fanno 27 morti. Lo scrittore Hamadi racconta il dramma dei siriani
◊ Ancora una giornata di violenza in Siria. Sono almeno 27 le persone rimaste uccise da due autobombe, esplose a Damasco nei pressi del quartier generale dei servizi di intelligence dell'aeronautica e vicino a una piazza del centro. Sconosciuta al momento la matrice del duplice attacco. Ma quelli della capitale non sono gli unici fatti di sangue avvenuti oggi: altre quattro persone sono state uccise in mattinata a Raqqa, nel nord del Paese. Le forze fedeli al presidente, Bashar al Assad, hanno sparato contro un corteo funebre. Sulla situazione in Siria, Salvatore Sabatino ha raccolto la tragica testimonianza del giovane scrittore italo-siriano Shady Hamadi, che racconta il dramma che la popolazione di quel Paese sta vivendo. Ascoltiamo:
R. – Ho sentito alcune persone per telefono, tramite Skype – che abitavano nel quartiere di Bab Amro, nella città di Homs – e hanno raccontato che durante l’assedio dell’esercito siriano in questa zona, sono stati usati molti tipi di armi differenti. Una persona, attraverso Skype, mi ha fatto vedere una ferita in cui aveva quasi tutta una parte dell'addome gravemente compromesso, e raccontava che hanno usato proiettili che esplodono all’interno della parte colpita. Oltre a questo, ci sono testimonianze di altre persone che ho sentito e che raccontano dell’uso di gas – ancora non hanno capito quale tipo di gas sia stato usato – che quasi narcotizzava le persone e irritava specialmente gli occhi e le vie respiratorie.
D. – Tra l’altro la violenza, abbiamo visto, non guarda in faccia a nessuno. Sono moltissimi i bambini morti durante queste settimane…
R. – A me piace sempre ripeterlo: questa rivoluzione è partita dai bambini, quelli di Dera: non è assolutamente una rivoluzione islamica, né capeggiata da islamisti di qualsiasi tipo. E’ una rivoluzione popolare fatta dai bambini e l’esercito siriano sta colpendo proprio quei simboli, che per la famiglia siriana implicano una fragilità specifica: bambini e donne. Abbiamo testimonianze di come le donne vengano portate fuori dai villaggi e stuprate dagli “squadroni della morte”, stupri volti a far ricadere la colpa verso le minoranze. Stanno istigando in tutti i modi un conflitto settario nel Paese.
D. – Un conflitto settario, però, che non esiste, anche perché la popolazione siriana nonostante tutto è rimasta compatta ..
R. – Basta studiare la storia del Paese, quella recente. Il ministro dell’Interno più amato nella storia siriana è stato un cristiano. Nella Siria del passato, la convivialità e la fratellanza, tra le minoranze religiose, è qualcosa di assodato. Padre Paolo dall’Oglio – che è credente in Gesù, ma è innamorato dell’Islam – ci ha raccontato nel suo bellissimo libro, di come questa convivialità tra le fedi sia un fatto non nuovo – come vuole raccontare il regime, cioè derivante dall’arrivo del Baath nel Paese nel 1963 – ma è frutto di migliaia di anni.
D. – Qualche settimana fa hai scritto una lettera al Santo Padre, che è stata pubblicata anche da Famiglia Cristiana. Vogliamo riassumerla brevemente?
R. – Io questa lettera l’ho scritta nella disperazione più totale di quello che sta accadendo nel Paese, per chiedere di creare un dialogo o rendersi mediatore per fermare questa lunga scia di sangue, che sta costando molto al popolo siriano. Ho voluto precisare che non bisogna aver paura del futuro: non bisogna pensare in questo momento alla paura dell’ignoto, che può esserci nel futuro, ma pensare alla necessità di preservare l’essere umano ed i rapporti tra gli umani.
D. – Secondo te, quale può essere la chiave di volta per interrompere questa spirale di violenza?
R. – Io credo, a questo punto – vista l’empasse del diritto internazionale, che non si riesce a sbloccare – bisogna aprire un canale di dialogo credibile con chi veramente rappresenta i siriani in patria. Adesso, abbiamo visto che il Cns, il Consiglio nazionale siriano, sta sfaldandosi a causa dell’uscita di alcuni membri dal Consiglio, che denunciavano mancanza di trasparenza e democrazia. Credo che bisognerebbe cercare i veri leader che stanno sul territorio, a ianco della propria gente. Ma credo, oltretutto, che serva una mobilitazione di massa – soprattutto in Italia ed in Europa – per sapere cosa sta accadendo in Siria. Questo può salvare il mio popolo dal martirio. (cp)
Elezioni a Timor Est. P. Cervellera: Paese al bivio dopo anni di egida Onu
◊ Si è svolto oggi il primo turno delle elezioni presidenziali a Timor Est, il piccolo stato insulare che a maggio celebra il decimo anniversario della sua indipendenza dall’Indonesia. In lizza10 candidati, ma la sfida è tutta tra il presidente uscente, Josè Ramos Horta, e l'ex comandante delle forze armate, Matan Ruak. I risultati verranno resi noti nei prossimi giorni, anche se si ritiene che nessuno riuscirà a ottenere il 50% dei voti e quindi si dovrà andare al ballottaggio. Per un’analisi del voto e dell’attuale situazione politica nel Paese asiatico a maggioranza cattolica, Marco Guerra ha sentito il direttore di AsiaNews, padre Bernardo Cervellera:
R. – Probabilmente, ci sarà il cambiamento del presidente, Ramos-Horta, che è già stato eletto due volte e che non ha l’appoggio del partito e di Xanana Gusmao, che sarebbe il grande eroe della libertà di Timor Est. Gusmao invece appoggia Ruak, il capo delle forze armate, che concorre anch’egli alla presidenza. E’ una situazione molto delicata, perché le truppe dell’Onu – che hanno cercato di garantire la sicurezza, per tutto questo periodo, in questo piccolo Stato divenuto indipendente dall’Indonesia – nei prossimi mesi dovrebbero andare via. Timor Est dovrà quindi cercare di rimanere in piedi con le proprie forze, e questa è un po’ la preoccupazione più grande. Forse è per questo che Xanana Gusmao preferisce appoggiare un presidente che viene dalle forze armate: quando l’Onu andrà via, ci sarà naturalmente bisogno di sicurezza e di ordine.
D. – A dieci anni dall’indipendenza, il Paese ha trovato una sua stabilità?
R. – Sembra ci sia una certa stabilità, perlomeno politica. Non so quanto abbia trovato, invece, una stabilità economica. Timor dipende semplicemente dalle sue riserve di gas e petrolio – che però non sono sfruttate – e c’è poca agricoltura come anche poco commercio con tutto il resto dell’Asia. Non dimentichiamo che esiste un problema che riguarda proprio l’alimentazione per la popolazione: il 70-75 per cento dei bambini è sottonutrito.
D. – In questa fase politica, qual è il ruolo della maggioranza cattolica e della Chiesa locale?
R. – La Chiesa cattolica, in passato, credo abbia svolto un ruolo molto forte nella lotta per l’indipendenza sostenendo la popolazione di Timor Est ed anche i suoi capi storici. Dopo l’indipendenza, la Chiesa ha cercato di essere soprattutto un po’ come il "lievito" all’interno di questa società, cercando di offrire aiuto, educazione e sostegno ai diritti della persona. E’, però, entrata meno in profondità in quello che è il lavoro politico.
D. – Oggi, i rapporti con la vicina Indonesia, che ha occupato il Paese per circa 25 anni, come sono?
R. – I rapporti con l’Indonesia sono migliorati, anche grazie a Ramos-Horta che, alcuni anni fa, ha cercato di trovare il modo di riconciliarsi con l’Indonesia, di studiare anche delle collaborazioni militari con essa. Teniamo presente che l’isola di Timor è divisa in due: una parte è Timor Est, mentre l’altra appartiene ancora all’Indonesia. Sarebbe, quindi, anche un po’ difficile vivere senza una riconciliazione con l’Indonesia. (vv)
A Genova migliaia di persone celebrano l'impegno e la lotta contro le mafie
◊ Decine di migliaia di persone, circa 100 mila, hanno invaso Genova oggi per celebrare la 17.ma Giornata della Memoria e dell’Impegno, organizzata dall’Associazione Libera. Il corteo, che ha attraversato la città, è stato aperto da uno striscione retto da alcuni familiari delle vittime della mafia, guidati da don Luigi Ciotti, presidente di Libera, al quale è arrivato un messaggio del presidente, Giorgio Napolitano, nel quale il capo dello Stato sottolinea come il costante impegno nel ricordare le vittime della mafia tolga spazio alle cosche. A don Ciotti, Francesca Sabatinelli ha chiesto di quale cambiamento la società abbia bisogno per uscire dalla stretta delle cosche:
R. - Il cambiamento ha veramente bisogno di ciascuno di noi. È un impegno per la democrazia, che si fonda su due grandi doni: la dignità umana e la giustizia. Ma la democrazia non starà mai in piedi se non c’è l’assunzione della responsabilità da parte nostra e soprattutto da parte dello Stato e delle istituzioni. Siamo quindi chiamati ad assumerci la nostra parte di responsabilità anche nel contrasto alle varie forme d’illegalità, di violenza, di corruzione, anche rispetto ai giochi criminali e alle mafie.
D. - Il presidente Napolitano le ha inviato un messaggio, in cui rileva come il ricordo delle vittime toglie spazio alle cosche…
R. - Il miglior modo di fare memoria è di impegnarci di più, di fare la nostra parte, di assumerci la nostra quota di responsabilità. E poi, soprattutto, è importante che non ci sia mai la retorica della memoria: la memoria è un dovere, è una responsabilità che dobbiamo trasmettere per non dimenticare, per prendere coscienza, veramente, che, oggi più che mai, dobbiamo fortemente metterci tutti in gioco.
D. - Lei ieri ha ribadito con forza che i mafiosi sono fuori dalla Chiesa…
R. - Purtroppo in molti contesti ci sono ancora delle ambiguità. In alcune parti della Chiesa questo problema rimane sottovalutato. La zona grigia, che purtroppo è ben diffusa in vari contesti, a volte tocca anche alcune delle nostre realtà. Abbiamo il dovere di essere persone più attente, più informate, più vere. Papa Benedetto XVI, a Palermo due anni fa, ha ribadito con forza che “la mafia è una strada di morte.” L’aveva già detto Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi. Noi dovremmo ribadirlo continuamente, con chiarezza e con fermezza. Chi ha scelto quei giochi criminali è fuori dalla comunione della Chiesa. La Chiesa deve avere chiarezza e fermezza. Un “no alla violenza” da qualunque parte essa arrivi. Ci sono delle belle, meravigliose testimonianze nella Chiesa: di comunità, di sacerdoti, di religiosi, di cristiani che in questi giorni si sporcano veramente tanto, tanto, tanto le mani per saldare la terra con il cielo.
D. - Ricordiamo infatti, che ci sono stati uomini di Chiesa caduti sotto i colpi delle cosche...
R. – Come don Peppino Diana e don Puglisi. Penso anche ai tanti amici che oggi sono minacciati perché veramente portano alla luce la Parola di Dio, che a volte è una parola difficile, scomoda, una parola che chiede verità. La parola che noi troviamo nel Vangelo è una parola di giustizia, è un invito a sporcarci di più le mani. Amare Dio vuol dire amare il prossimo, vuol dire che la diversità non deve diventare in nessun modo avversità, vuol dire che riconoscere gli altri significa riconoscere se stessi. La Parola di Dio è una parola chiara, ferma, coraggiosa. Ci chiede di batterci contro l’ingiustizia, di stare dalla parte delle persone più deboli e più fragili. Ecco la meraviglia che non possiamo dimenticare.
D. - Lei dice:“Ci dobbiamo sporcare le mani, se le devono sporcare tutti”. In questo momento a chi indirizza questo messaggio?
R. - A tutti. Io credo che un esame di coscienza debba coinvolgerci veramente tutti. Sono 150 anni che parliamo di mafie nel nostro Paese! Non è possibile, non è possibile che da 150 anni parliamo di contrastare la mafia! Vuol dire che a parlarne ne parlano tutti, ma poi nei fatti ci sono delle resistenze, dei ritardi, delle ambiguità, delle cose che vanno nella direzione opposta. Allora siamo chiamati a fare ancora di più la nostra parte, con maggiore coerenza e soprattutto a dare valore alle parole. Abbiamo la responsabilità delle parole. (bi)
A Genova è presente anche Stefania Grasso, figlia del commerciante Vincenzo Grasso, assassinato a Locri nel 1989 per non aver pagato il pizzo. Un’indagine ormai archiviata, un omicidio ancora oggi senza colpevoli. Francesca Sabatinelli le ha chiesto in che modo oggi lei sia testimone della memoria di suo padre:
R. – Il senso della parola “memoria” è portare avanti quelle che erano le idee, il modo di vivere dei nostri familiari. Non erano eroi ma persone comuni, che avevano scelto di comportarsi bene e che per questo hanno pagato. La maggior parte di loro ha lasciato sole purtroppo molte famiglie; grazie a Dio queste famiglie si sono incontrate in Libera e oggi hanno trasformato il fare memoria in un impegno quotidiano.
D. – Stefania, suo padre Vincenzo era una persona comune, il suo ribellarsi al racket è stato però un gesto di eroismo...
R. – No, secondo me sono gesti che dovrebbero fare tutti, sono gesti normali. Il suo gesto è stato quello di dire: “Io non posso pagare e denuncio”. Mio padre aveva paura, come tutte le persone che sono sottoposte a minacce. L’unica cosa di cui era convinto è che se diventi schiavo, la tua vita poi non avrà più quel valore di libertà che ti può far vivere sereno. E come quella di mio padre ci sono tantissime altre storie di scelte semplici. Ieri, alla veglia dei familiari, il papà di Domenico Gabriele, un bambino assassinato a Crotone, ha detto: “Dicono sempre che mio figlio si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma io dico che non è così, io dico che mio figlio si trovava nel posto giusto al momento giusto, erano gli assassini che non dovevano trovarsi lì”. Con queste parole ci ha dato il senso dell’impegno di chiedere che ci sia una maggiore coscienza civile. Se non reagiamo siamo tutti a rischio: tutti quanti.
D. – Lei come ha fatto a superare la dimensione della rabbia e dell’odio?
R. – La rabbia è stata un sentimento che mi ha accompagnato a lungo. Ancora oggi non posso negare di avere dei momenti di rabbia, quando vedo che non si applicano correttamente le leggi, che non vengono fatte leggi giuste e che magari molte persone che commettono reati escono facilmente dal carcere. Per noi, che siamo dalla parte di chi ha subìto, è un’amarezza e non può che fare rabbia. Odio no, perché odio è una parola forte e non sarei assolutamente figlia di mio padre. Mio padre ci ha educati alla vita, al rispetto della vita. L’odio è un sentimento che invece porta morte, porta rancore. Il sentimento che ci ha accompagnati, piuttosto, è la richiesta di giustizia che accompagna me e tutti i familiari, perché la maggior parte di noi non ha avuto la possibilità appunto di avere giustizia. E questo è anche il significato della marcia di oggi: domanda di verità e giustizia, perché in troppe situazioni la rabbia è scattata proprio dalla mancanza di giustizia.
D. – Sono stati catturati gli assassini di suo padre, o i mandanti?
R. – No, no. Purtroppo no.
D. – Lei vive ancora a Locri?
R. – Sì, vivo ancora nel paese dove è stato ucciso mio padre. Io amo molto la mia terra, che è piena di gente perbene. Dovremmo riuscire ad avere la capacità di reagire, e di capire che non c’è un futuro se non in una società in cui vengono rispettate le regole. Questa è una cosa difficile, per la mentalità che si sta diffondendo: il non credere più che il benessere di tutti nasce anche dal rispetto di tutte le regole di una società civile. Ogni mattina mi domando se sia il caso di andarmene dal mio paese ma ogni giorno scelgo di restare: è il paese dove sono nata, dove c’è la tomba di mio padre.
D. – L’amore per la sua terra le consente di avere la forza di restarci, nonostante le difficoltà. Quando si parla della regione Calabria spesso si sente quasi una sorta di rassegnazione, come se fosse la regione più schiacciata dalle cosche...
R. – Purtroppo è un dato di fatto. La verità, però, è un’altra, non è solo la Calabria ad essere schiacciata, è risaputo che la ‘ndrangheta controlla ormai parecchie regioni del Nord Italia. Certo, da noi c’è la pressione legata proprio alla presenza fisica, che è più evidente perché la vivi, la senti; ritengo però che tutto il Paese sia a rischio e che tutto il Paese debba assolutamente reagire. Noi oggi siamo a Genova per la Giornata nazionale della memoria e dell’impegno, ma è il 21 marzo la giornata che noi familiari delle vittime abbiamo scelto per ricordare i nostri cari, il primo giorno di primavera. Siamo 500 familiari e tutti abbiamo scelto questo giorno 17 anni fa. Noi abbiamo chiesto che venisse riconosciuto come festa nazionale e invece abbiamo saputo che, a livello parlamentare, alcuni dicono che non è il giorno giusto, che andrebbe fatto il 23 maggio, perché è lì che è cominciata la lotta alle mafie. Noi ci teniamo a dire, e con noi tutti i sindacalisti di Portella della Ginestra, il nipote di Placido Rizzotto, che la lotta alle mafie è cominciata prima. Il 21 marzo è davvero il giorno di tutti.(ap)
◊ “Una giornata storica per le Misericordie atto fondativo di una delle punte di diamante del volontariato cristiano”. Così, in sintesi, mons. Franco Agostinelli, vescovo di Grosseto e Correttore Nazionale (la guida spirituale) delle Misericordie D’Italia, che ha portato il saluto e l’invito all’unità dei vescovi italiani ai lavori per l’approvazione del nuovo statuto. Oltre 800 le misericordie chiamate a Calenzano, vicino Firenze, per guardare al futuro continuando ad aiutare l’altro testimoniando Cristo. Gli aderenti alla forma di volontariato più antica del mondo (nata nel 1244 ed oggi operante in Italia e all’estero assicurando assistenza medica e sociale, fino al servizio di protezione civile) hanno ricevuto, questa mattina, un riconoscimento ufficiale della Regione Toscana per il tempestivo intervento nella tragedia, il 13 gennaio scorso, del naufragio della Costa Concordia davanti l’Isola del Giglio.
Semplificazione operativa, decentramento, autonomia sono i cardini del nuovo statuto, che oggi pomeriggio sarà formalmente approvato, salvo colpi di scena. Una vera rivoluzione per le Misericordie che da otto secoli assistono, in maniera del tutto gratuita, chi bisognoso portando Cristo nel cuore. Il nuovo documento prende atto di una società in veloce cambiamento e per questo ribadisce anche la necessità di una continua formazione pastorale. In due giorni di lavori, le Misericordie si sono confrontate, non senza momenti di grande tensione per superare i particolarismi. Lo stesso mons. Agostinelli ha richiamato alla responsabilità per non tradire quell’appartenenza che le Misericordie testimoniano ogni giorno.
L’avv. Mauro Giovannelli che ha presieduto la commissione di studio per il nuovo statuto:
R. – Le novità fondamentali sono autonomia e decentramento e un’altra, significativa, la confederazione come momento di rappresentanza generale degli associati e non come un sistema operativo, che spetta invece alle singole Misericordie. Mi consenta anche di dire una forte accentuazione dell’ispirazione cristiana del movimento, perché la storia della Misericordia, ormai plurisecolare, documenta la presenza attiva dei cattolici nella vita sociale delle comunità, dal Medioevo in avanti. Questo andava riaffermato in modo forte e credo che la nuova elaborazione esalti questo particolare momento. Il punto critico era il problema dei rapporti fra le singole associazioni, che operano nel territorio, e i momenti aggregativi locali, regionali e centrali. Abbiamo cercato di risolverlo con un criterio basato sul principio dell’autonomia e della libera partecipazione, convinti che sull’espressione forte della volontà associativa di fare un movimento unico stia anche la forza dell’unità della Confederazione.
D. – Nei primi articoli, e anche più avanti, è riportata la necessità della formazione cristiana, che dunque diventa parte integrante del regolamento...
R. – Mi sembra fondamentale. Dobbiamo continuare a operare nei servizi sociali, sanitari dell’immigrazione, dei nuovi bisogni, ma dobbiamo accentuare il momento formativo, perché solo la presenza di un volontariato fortemente ispirato dalla vocazione cristiana differenzia il volontariato cristiano dall’altro volontariato. Altrimenti, ci confondiamo con forze, pur valide e alle volte anche fortemente motivate, perché un conto è la solidarietà e un conto è la carità. E debbo dire che in questo momento difficile, che il movimento sta cercando di superare – e che auspico, dopo l’approvazione del nuovo Statuto supererà – va grande merito all’attuale cardinale, arcivescovo di Firenze, presidente anche della Conferenza episcopale toscana, dell’episcopato toscano, e anche della Misericordia di Firenze, che ha dimostrato un attaccamento ai principi suoi ispiratori. Lei pensi che fu costituita prima della nascita di Dante Alighieri. Quindi, un’istituzione che ha una validità, una storia importante. Hanno dato un segnale di unità autentica, di unità fondata sull’ispirazione cristiana, sulla carità cristiana, sulla comprensione reciproca. Ecco perché sono ottimista e spero che il momento difficile che stiamo attraversando possa essere superato.
D. – L’Italia vive un momento di crisi, come pure l’Europa e il mondo. Fino a poco tempo fa, si parlava anche di crisi della politica, dei valori. In certo modo, le Misericordie vanno in un senso del tutto opposto: sono un tessuto vivo che parte dal basso, dimostrazione un’Italia buona, vera...
R. – Sì, io sono molto convinto di questo. La forza, la presenza del volontariato di ispirazione cristiana nei servizi, nell’attenzione agli altri, nell’individuare nuovi bisogni, fa vedere proprio che questa società vitale, questi mondi vitali sono veramente non in crisi, ma sono la forza della società che si relativizza, che si disgrega, ma che però sente anche il bisogno della solidarietà, della carità, dell’attenzione. La Misericordia può dare questo segnale.
D. – E può essere un esempio...
R. – E può essere un esempio. (ap)
Un percorso di unità che passa anche attraverso il riavvicinamento della “Venerabile Arciconfraternita di Misericordia di Firenze” uscita dalla Confederazione Nazionale quattro anni fa e che ora, dopo aver approvato, il 21 novembre scorso, lo stesso statuto che l’assemblea qui dibatte oggi, aspetta di potersi riunire nel cammino verso il bisognoso. Andrea Ceccherini Provveditore Arciconfraternita di Misericordia di Firenze:
R. – Quattro anni fa, prendemmo questa dolorosa decisione: di uscire dalla Confederazione nazionale, di cui siamo stati anche dei fondatori. Tutto questo lo facemmo non per fare qualcosa contro la confederazione, ma per fare qualcosa per la confederazione. Volevamo dare un contributo ancora più forte. Questi quattro anni sono passati, ma comunque c’è sempre stato un contatto, un confronto e oggi possiamo dire di essere arrivati alla fine di un percorso condiviso. Colgo anch’io – come diceva il pres. Trucchi – questa grande opportunità di poter vedere riunito tutto il movimento, perché dove ci sono divisioni non ci può essere né amore né pace. Invece, noi abbiamo bisogno soltanto di essere associazioni che, in pace, possono guardare alle persone che stanno male, che soffrono e – come i nostri padri fondatori – onorano Dio attraverso opere di misericordia.
D. – Anche mons. Agostinelli ha ribadito l’importanza all’unità. Oggi l’assemblea si confronterà per il nuovo statuto, che di fatto – in sostanza e contenuto - voi avete già approvato a novembre…
R. – Questo statuto è il frutto del lavoro di una commissione formata dai rappresentanti della confederazione nazionale, presieduta dall’avvocato Mauro Giovannelli - nominato da S. E. Card. Betori - e ad un nostro rappresentante. E’ stato un confronto lungo - a volte anche acceso - ma diciamo che questo documento rappresenta qualcosa di molto importante, vuol dire voltare pagina e poter quindi vedere tutto il movimento unificato. Noi abbiamo già preso la nostra decisione: se l’assemblea delle Misericordie voterà – come ci auguriamo – questo documento, noi siamo pronti, già da lunedì, a rientrare in confederazione.
D. – Qual è la sfida principale che lei vede per questo nuovo anno?
R. – Noi veniamo da un anno difficile. Il 2011 è stato un anno difficile, il 2012 sicuramente lo sarà ancora di più perché – come diceva il pres. Trucchi – ci sono nuove emergenze e nuovi bisogni. Noi ci stiamo accorgendo che siamo l’altra faccia della medaglia: più crisi c’è fuori nel mondo, più le persone si rivolgono a noi, e noi dobbiamo dare delle risposte certe e per darle dobbiamo essere credibili. Questa è la grande sfida per questo anno: essere credibili, dare risposte certe e quindi non possiamo essere disuniti, ma dobbiamo essere un corpo unico. Come disse Giovanni Paolo II: “Siate i fautori della civiltà dell’amore”, ecco, questa credo che sia la nostra maggiore sfida. (cp)
Dunque l’attesa è tutta proiettata a questo pomeriggio quando, dopo la presentazione degli articoli, ci sarà la votazione che determinerà il futuro delle Misericordie d’Italia.
Il martirio di Shahbaz Bhatti ricordato in un libro ad un anno dall'assassinio
◊ Un anno fa il cristiano Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le Minoranze, veniva assassinato da un gruppo di fondamentalisti islamici a Islamabad. Per non dimenticare questo nuovo martire cristiano, è stato presentato ieri, nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola a Roma, il volume “Shahbaz Bhatti. Vita e martirio di un cristiano in Pakistan", scritto da Roberto Zuccolini e Roberto Pietrolucci, edito dalle Edizioni Paoline, che ne ripercorre il percorso spirituale e politico. Il servizio di Michele Raviart:
Non poteva esserci sede più adeguata della Basilica di San Bartolomeo all’isola Tiberina, dedicata dal Beato Giovanni Paolo II ai “nuovi martiri” cristiani, per presentare il libro su Shahbaz Bhatti, che per la sua fede e il suo impegno civile, lo scorso anno perse la vita. A 17 anni, fondò un movimento politico di ispirazione cristiana e dal 2002 decise di difendere tutte le minoranze religiose del suo Paese, guadagnandosi stima e rispetto, tanto da diventare nel 2008 il primo ministro federale pakistano a occuparsi dei diritti dei non musulmani. Andrea Riccardi, ministro italiano per la Cooperazione e l’Integrazione:
“Shahbaz Bhatti era un uomo che credeva profondamente nell’incontro, che non ha avuto paura e che ha continuato a lottare. Credo sia un vero modello di politico cristiano”.
Un modo di fare politica attraverso il dialogo, esemplare per tutto il mondo, ma anche strettamente legato al Pakistan, Paese in cui Shahbaz Bhatti credeva e che non ha mai voluto abbandonare malgrado le minacce di morte. Roberto Zuccolini, giornalista e coautore del volume:
"Non mi sono fatto l’idea di un eroe solitario, non mi sono fatto l’idea di qualcuno che cercava la morte, ma di qualcuno che non poteva abbandonare il suo popolo. Egli non poteva abbandonare la causa, che era quella della sua vita: lavorare cioè per la giustizia e per la difesa dei più deboli e dei più poveri. Per questo scelse di rimanere in Pakistan, nonostante le minacce di morte. Lui era un uomo di dialogo e di pace”.
Shahbaz Bhatti lascia un’eredità spirituale con la quale ogni cristiano non può non confrontarsi – “non voglio posizioni di potere, ma solo un posto ai piedi di Gesù”, scriveva prima di essere assassinato – e un’eredità politica raccolta da suo fratello, Paul. Dapprima riluttante a continuare la missione di Shahbaz, tanto da voler trasferire la sua famiglia dal Pakistan all’Italia, Paul Bhatti è stato conquistato dall’affetto dei pakistani per suo fratello, ed ora è consigliere per le minoranze religiose del primo ministro pakistano:
“Attualmente, il Pakistan sta vivendo una fase molto difficile della sua storia, dove il terrorismo, il fanatismo e l’estremismo stanno aumentando giorno dopo giorno. Penso che la gente che crede nella tolleranza religiosa si stia però rendendo conto che non si può andare avanti così. Stiamo lavorando assieme ai musulmani e ad altre religioni per combattere questo tipo di odio e questo tipo di discriminazione”.
Una discriminazione che non è solo dovuta alla barbara legge sulla blasfemia, ma che per Paul Bhatti ha radici più profonde, come l’alto tasso di analfabetismo e di disoccupazione in una società multiculturale in cui i cristiani rappresentano il 2% della popolazione. Il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso:
“I cristiani, in Pakistan, fanno parte della società, si trovano a casa propria, hanno collaborato e hanno dato il loro sangue per la vita della nazione. Hanno quindi diritto, come tutti gli altri cittadini, anche in una società così cosmopolita come quella pakistana, di vivere insieme perché non si può essere felici gli uni senza gli altri, né tantomeno gli uni contro gli altri”.
Di Shahbaz Bhatti, Tauran ricorda “la forza e la dolcezza dello sguardo” e la sua testimonianza, perché gli “autentici cristiani saranno sempre scomodi”.
Sconfiggere la sclerosi in gravidanza grazie a un progetto dell’Aism
◊ Durante la gravidanza, alcuni geni che non funzionano nelle donne affette da sclerosi multipla, tornano a una condizione di “normalità”. E’ la straordinaria scoperta su cui sta lavorando un progetto promosso dall’Aism, l’Associazione italiana sclerosi multipla. A guidare il team sulla “biologia della gravidanza”, è la dott.ssa Francesca Gilli, dell’Ospedale Universitario San Luigi Gonzaga di Orbassano, in provincia di Torino. Alessandro Gisotti l’ha intervistata:
R. – Questo studio, finanziato dalla Fondazione italiana per la sclerosi multipla, è iniziato nel 2004. Siamo partiti dall’osservazione clinica che, durante il periodo della gravidanza, le pazienti stavano meglio. Andavano quasi in remissione della propria malattia. Di conseguenza, ci siamo chiesti quale potesse essere la motivazione immunologica e biologica che portava a questo miglioramento, nel tentativo di riproporre poi la stessa situazione anche fuori dalla gravidanza e anche alla popolazione maschile. Abbiamo quindi iniziato a monitorare le nostre pazienti con dei prelievi di sangue regolari e abbiamo applicato uno studio su larga scala. Abbiamo comunque analizzato tutti i geni utili alla vita del nostro organismo e quello che abbiamo trovato è una serie di geni che funzionano in maniera anomala nelle pazienti rispetto a dei controlli sani, ma che risultano essere “aggiustati”, normalizzati nella loro espressione proprio durante la gravidanza.
D. – Quali sono le prospettive? Ci può anche far capire in modo molto semplice di che cosa si tratta: c’è un’invasività nei confronti del bambino, oppure sono delle analisi di un tipo speciale?
R. – Assolutamente no. Non c’è nessun tipo di invasività per il bambino. Si tratta di normalissimi prelievi di sangue che vengono effettuati solitamente insieme ad altre analisi di routine effettuate alle donne in gravidanza. Sono delle analisi particolari che facciamo noi nel nostro laboratorio su questi campioni di sangue che ci consentono di vedere il funzionamento di questi geni.
D. – Può raccontarci anche una testimonianza personale che racchiuda un po’ il significato, non solo medico-scientifico, ma direi soprattutto umano di questa esperienza? Donne affette da questa grave patologia – e quindi possiamo immaginare con quale spirito vivano poi la gravidanza – e poi invece questo miracolo scientifico...
R. – L’esperienza è sicuramente molto bella, anche perché fino a poco tempo fa alle donne con questa patologia veniva sconsigliato di affrontare una gravidanza proprio per le problematiche con cui la donna deve convivere… Al momento, invece, nelle pazienti viene consigliata, ovviamente se la malattia non è eccessivamente aggressiva, di affrontare questo lieto evento anche perché dal punto di vista personale è sicuramente un grosso aiuto per la donna. (bi)
I premi Weca per i migliori siti cattolici. Intervista con Giovanni Silvestri
◊ Nell’arcipelago dei 15 mila siti cattolici italiani, i migliori sono stati premiati ieri a Roma dall’Associazione dei Webmaster cattolici italiani (Weca), in occasione del Laboratorio "Giovani, web ed educazione alla fede", promosso dal Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della Cei. Per la categoria "Siti personali" il sito vincitore è www.cyberteologia.it di padre Antonio Spadaro, direttore di "Civiltà Cattolica". Menzione speciale a www.ricercatoridisperanza.it, curato da due studenti. Fra i "Siti parrocchiali" italiani, poi, si è distinto il portale www.chiesacormons.it di quatttro parrocchie del friulano. Degli obiettivi del premio, Fausta Speranza ha parlato con Giovanni Silvestri, presidente di Weca:
R. – La modalità del concorso ci è sembrata una modalità simpatica e anche “light” per stimolare la qualità della presenza in rete da parte delle realtà cattoliche. La risposta ci ha molto incoraggiato e confortato.
D. – Spesso, si ricorda che il 70% di quello che c’è su Internet è pornografia. Ma c’è anche tanto altro…
R. – Proprio perché la preoccupazione di Weca è quella di una qualità della sostanza della comunicazione in rete, richiamando l’attenzione su chi ha vinto un concorso, io che sono un webmaster poco attrezzato, poco competente di un sito parrocchiale, posso farmi un’idea di come posso far crescere il mio sito parrocchiale.
D. – Che cosa emerge di questa realtà dei webmaster cattolici italiani? Una presenza molto diversificata, che va dalle parrocchie ad alcune associazioni?
R. – Sì. La presenza è molto diversificata. Le parrocchie, le associazioni, anche gli organi religiosi sono molto presenti. Poi ci sono anche molti siti personali: sono volontari, persone che svolgono anche a titolo personale un servizio molto prezioso per la comunità ecclesiale e che portano avanti siti che svolgono un grande servizio. Per quanto riguarda i siti personali, però, noi ci teniamo che comunque, anche se portati avanti da singole persone, abbiano in qualche modo un collegamento alla Chiesa locale: alla parrocchia o alla diocesi. Volevo evidenziare anche, però, che la presenza nel web, attraverso i siti, sempre più si arricchisce della presenza nei social network. Ormai, possiamo dire che oltre la metà dei siti web cattolici hanno una forma di presenza anche nei social network, in particolare Facebook ma non solo.
D. – Il web è la nuova frontiera della missione della Chiesa?
R. – Sì. Io rimango positivamente sorpreso anche da come – quando partecipo a incontri in cui si affronta in generale il tema della comunicazione attraverso la stampa, la televisione e la radio – inevitabilmente e fatalmente in quelle riunioni si finisca per parlare del web: uno scenario ricco di potenzialità e di opportunità anche per l’educazione, l’educazione alla fede. (gf)
Anche il Fondo contro le barriere architettoniche alla Maratona di Roma
◊ Avrà luogo domani, 18 marzo, la 18.ma edizione della Maratona di Roma. Il Fiaba, Fondo italiano abbattimento barriere architettoniche, ha aderito per la prima volta alla "Roma Fun", la corsa cittadina non competitiva di 4 km legata alla Maratona di Roma e alla quale tutti possono partecipare senza limiti di età. L'appuntamento è fissato per le 9.15, in zona Colosseo. Giuseppe Trieste, presidente di Fiaba, parla della onlus e della partecipazione alla maratonina. L’intervista è di Eliana Astorri:
R. – “Fiaba” nasce nel 2000 per creare una cultura dell’accessibilità globale per tutte le persone. Tutti abbiamo ostacoli quotidiani che dobbiamo superare: possono essere ostacoli fisici o psichici, come salire su un treno o su un autobus, abitare al primo o al secondo piano senza ascensore, andare in un ufficio e trovare una rampa di scale o semplicemente voler entrare in un negozio per fare shopping o prendere un caffè al bar e trovare sempre quell’uno, due tre, gradini che creano difficoltà agli anziani, alle mamme con il passeggino, alle persone con disabilità. E la lista sarebbe ancora lunga. Dobbiamo pensare che, nel terzo millennio, vogliamo un ambiente dove, sempre e comunque, possiamo muoverci e partecipare. Un esempio lampante – per altri motivi, ma è comunque un ottimo modello per chi progetta e ostruisce, soprattutto gli amministratori comunali – è quello dei centri commerciali. Se noi ci rechiamo in un centro commerciale non troviamo nemmeno un centimetro di gradino, se andiamo in aeroporto non troviamo un centimetro di gradino. Perché? Perché ci sono migliaia e milioni di persone che entrano ed escono con le valigie con le ruote e, nei centri commerciali, con il carrello della spesa.
D. – In generale, le strutture che permettono l’accessibilità sono aumentate?
R. – Non molto. In realtà noi, come “Fiaba”, poniamo una grande attenzione sul nuovo che si realizza: il grosso problema è che, da vent’anni, abbiamo una legge per l’abbattimento delle barriere architettoniche, ma non costruiamo il nuovo senza barriere. In realtà, dovremmo fare una legge che obblighi al 100 per cento, e con delle penali, chi costruisce una nuova struttura ad avere un’accessibilità globale. E se così non è, non dev’essere concessa l’autorizzazione a esercitare o ad abitare o ad usufruire della nuova struttura. Solo questo renderebbe la vita dei cittadini più confortevole e si scoprirebbe che l’accessibilità globale è un grande vantaggio per tutti. Così, le vecchie strutture verrebbero rimodernate e adeguate alle nuove dotate di accessibilità globale.
D. – Parliamo della Maratona. La novità, quest’anno, è l’adesione ai quattro chilometri...
R. – Per noi sì, perché sono convinto che i messaggi culturali ed eticamente sociali, laddove c’è una grande comunità, vengano dimenticati: noi tutti ci dimentichiamo quello che è il nostro ruolo della società, ma dovremmo sentirci una grande famiglia. Ecco, lo sport, la maratona, il luogo dove andiamo per farci una passeggiata – vediamo le persone passeggiare con il cane, l’anziano, il bambino nel passeggino – è un momento di aggregazione di cui abbiamo grande bisogno. C’è la possibilità di partecipare tutti insieme e di poter godere questo momento di gioia. Auguriamoci che il tempo ci assista, che ci sia una bella giornata primaverile, a Roma, per consentire a tutti noi di stare insieme. Invito tutti a diventare messaggeri di “Fiaba” e a segnalarci le barriere architettoniche di cui si è a conoscenza, magari nel condominio, in ufficio, nei luoghi che frequentano quotidianamente per fare i propri acquisti. Tutti insieme possiamo far sì che le barriere architettoniche spariscano e ci sia l’accessibilità globale, in modo che tutte le persone possano, finalmente, partecipare sempre e comunque, al di là della diversità di ognuno di noi. (vv)
Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
◊ Nella quarta Domenica di Quaresima, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù, a colloquio con Nicodemo, afferma che Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannarlo, ma per salvarlo. Ed è Lui la luce venuta nel mondo:
“Chiunque fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.
Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
Amore e luce sono i due temi guida di queste frasi che fanno parte del dialogo notturno fra Gesù e Nicodemo. L’amore è quello di Dio Padre, abisso di misericordia che vuole salvare e non condannare. Una grazia a caro prezzo per Dio, e noi ne siamo i beneficiari attraverso il Figlio donato, innalzato, come nel deserto fu innalzato da Mosè il serpente per la guarigione del popolo infedele. E poi la luce, simbolo molto presente nel Vangelo di Giovanni: il contrasto fra tenebre e luce già presente nel Prologo, ritorna qui per indicare la disponibilità alla rettitudine o l’esistenza opaca e senza speranza che porta al fallimento. “Chiunque fa il male, odia la luce”, afferma perentorio Gesù. Sarà forse per cattiveria, o forse ancor più per fragilità di carattere e per il fascino perverso del male. Non sappiamo se Nicodemo sia rimasto convinto dal discorso di Gesù. Ma la incertezza sull’efficacia di quel dialogo notturno finisce per ricadere su di noi: come domanda e come provocazione. Ci sentiamo davvero amati in modo così radicale e totale da Dio? Viviamo nella coerenza della luce e della verità oppure preferiamo gli equivoci della incoerenza comoda e capricciosa? Esaminiamoci.
Dieci morti in un attacco a villaggio cristiano nel nord della Nigeria
◊ Almeno dieci persone sono rimaste uccise in un raid compiuto da uomini armati in un villaggio a maggioranza cristiana, nel nord della Nigeria. Il portavoce della polizia dello Stato di Kaduna ha detto che gli assalitori sono andati direttamente nelle case delle loro vittime. Dopo le elezioni dell’aprile del 2011, vinte dal presidente Goodluck Jonathan, un cristiano del sud, nel nord del Paese a maggioranza musulmana si è registrata una nuova fiammata di violenze tribali che, secondo Human Rights Watch, hanno lasciato sul terreno almeno 800 vittime. Molti attentati sono stati rivendicati da Boko Haram, un gruppo estremista islamico che chiede l’applicazione della Sharia.Il portavoce della polizia provinciale, Aminu Lawal, ha confermato l’apertura di un'inchiesta sull’attacco.
Una casa a 80 di famiglie cristiane di Gerusalemme: un progetto del Patriarcato e di Mcl
◊ Ottanta giovani famiglie cristiane con figli piccoli residenti a Gerusalemme avranno una casa grazie al Movimento Cristiano Lavoratori (Mcl). Il polo abitativo sorge nel quartiere di Beit Safafa, zona sud della città, ed è ormai quasi ultimato grazie al sostegno del Patriarcato di Gerusalemme e di Mcl, che in questi giorni vede una propria delegazione di circa 300 persone in Terra Santa per l'iniziativa. Mcl ha contribuito alla realizzazione di alcuni lotti, come hanno fatto anche i Cavalieri del Santo Sepolcro e lo stesso Patriarcato. ''Come Mcl - spiega il presidente dell'organizzazione Carlo Costalli - abbiamo impegnato una somma di circa 450 mila euro derivante per metà dal 5 per mille e per metà da una raccolta fondi lanciata ad hoc, in Italia e non solo, attraverso libere donazioni di associati, banchetti nelle piazze, vendita di prodotti artigianali, lotterie, cene di beneficenza, lotterie e altre iniziative di questo tipo. Gli appartamenti saranno dati in affitto o ceduti a canone o a mutui agevolati''. Lo scopo di quest'insediamento, fortemente voluto dal Patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal, è quello di evitare la diaspora dei cristiani da queste terre, facendo in modo che le comunità cristiane siano vive e numericamente più significative rispetto all'attuale 2%. Mcl ha deciso di sostenere questo progetto nella ricorrenza dei 40 anni dalla sua fondazione: domani il gruppo incontrerà Twal che presiederà la messa nella Cattedrale del Patriarcato e dopo gli consegnerà la terza tranche del contributo. Sempre per i suoi 40 anni, il 19 maggio gli aderenti a Mcl saranno ricevuto dal Papa. L'udienza, a cui è prevista la partecipazione di circa 7mila persone, si svolgerà in aula Paolo VI e in quell'occasione i rappresentanti del movimento consegneranno simbolicamente a Benedetto XVI le chiavi del nucleo abitativo realizzato in Terra Santa. (A.D.C.)
Pakistan. La società civile al governo: il fanatismo religioso divora le basi della convivenza
◊ “No all’uso politico della religione, all’abuso della legge sulla blasfemia, al fanatismo religioso”, divenuto “un mostro che divora le basi della civile e pacifica convivenza”: è quanto afferma un appello lanciato al governo pakistano dalla rete “Cittadini per la Democrazia”, che riunisce numerose organizzazioni professionali, partiti politici, sindacati, associazioni delle minoranze religiose e gruppi cristiani. La rete alza la voce in un momento in cui nel Paese “si demoliscono luoghi di culto, avvengono uccisioni e rapimenti in nome della religione, si assiste a conversioni forzate e ad altre attività frutto dell’odio religioso”. Nell’appello, inviato all’Agenzia Fides, si ricorda che “il padre della nazione, Muhammad Ali Jinnah, nel suo discorso all'Assemblea Costituente, l’11 agosto 1947, precisò: siete liberi di andare ai vostri templi, alle vostre moschee o ad ogni altro luogo di culto”. La società civile invita il governo “a fermare l'uccisione delle comunità religiose del Pakistan, in particolare gli omicidi verso la comunità sunnita (della scuola di pensiero barelvi), verso quella sciita e verso le comunità degli ahmadi, che si trovano ad affrontare un genocidio semplicemente perché seguono le proprie convinzioni e pratiche religiose”. La rete ricorda i recenti attacchi verso processioni religiose, invocando un’azione immediata e urgente del governo: “Ci auguriamo che il governo e tutti i partiti politici si sveglino di fronte ai mali dell’intolleranza e del fanatismo, che si stanno rapidamente trasformando in un mostro, e agiscano prima che esso divori i fondamenti stessi della nostra società”, afferma il testo. Fra le misure concrete per contrastare il fanatismo religioso, la rete chiede al governo: di istituire un codice etico a cui devono attenersi tutti i partiti politici o religiosi; di assicurare che le organizzazioni terroriste non siano in grado di operare sul territorio; di agire immediatamente contro la violenza perpetrata in nome della religione; di istituire un programma di protezione dei testimoni, per portare davanti alla giustizia quanti violano i diritti umani fondamentali; di fare ogni sforzo perché i cittadini non siano perseguitati solo a causa delle proprie convinzioni religiose.
India: Al via la formazione di 500 cattolici che presteranno volontariato nelle carceri
◊ Un corso di formazione rivolto a 500 sacerdoti, suore e laici di diverse diocesi dell'India, per servire come volontari a tempo pieno nelle carceri del Paese. È quanto prevede un'iniziativa della Prison Ministry India (Pmi), Associazione nazionale riconosciuta dalla Commissione giustizia, pace e sviluppo della Conferenza episcopale indiana (Cbci). Il corso partirà il prossimo maggio a Bangalore, in Karnataka. Padre Sebastian Vakumpadan, coordinatore nazionale della Pmi, spiega ad AsiaNews: "Invitiamo sacerdoti, suore, fratelli e laici che possono dedicarsi a tempo pieno al ministero della prigione. Facciamo loro un corso intensivo di un mese a Bangalore e in Kerala, poi li mandiamo a gruppi di due in diversi Stati dell'India, in base alla loro lingua e preferenza. Lì un responsabile Pmi li guiderà nell'anno successivo”. Creata nel 1986 da una gruppo di studenti con l'idea di servire e assistere i carcerati nel loro cammino di riabilitazione, oggi la Prison Ministry India ha 850 basi sul territorio e 30 centri di riabilitazione per ex carcerati e bambini a rischio. Oltre seimila volontari lavorano con circa 370mila carcerati in tutta l'India. Nel 2011 ha organizzato 197 programmi di sensibilizzazione in parrocchie, università, scuole e altri istituti. Secondo il rapporto 2010 del National Crime Record Bureau of India, il Paese ha in tutto 1.393 strutture detentive. Uno dei problemi più gravi è il sovraffollamento: su una capacità totale di 320.450 persone, i detenuti sono 368.998 (115,1%). Il 95.9% sono uomini, il 4,1% donne. Questa situazione dipende in gran parte dai carcerati in custodia giudiziaria: 240.098 (65,1%), contro i 125.789 (34,1%) già condannati. L'Uttar Pradesh ha il numero più alto di detenuti (82.673), seguito dal Madhya Pradesh (31.318) e Bihar (29.700). Le prigioni del Chhattisgarh sono invece le più sovraffollate (237%), seguite dalle isole Andaman e Nicobar (222,7%). (M.G.)
Senegal. I vescovi: la Chiesa non dà indicazioni di voto, ma illumina le coscienze
◊ “La Chiesa non dà indicazioni di voto. La sua missione, in nome del Vangelo, è di illuminare le coscienze per la riflessione ed il discernimento precedenti al voto e sempre nel rispetto della libertà di scelta di ciascuno”. È quanto si legge in un comunicato dell’arcidiocesi di Dakar, in Senegal. La nota dei vescovi arriva a pochi giorni dal ballottaggio per le presidenziali nel Paese, in programma per domenica 25 marzo, e che vedrà sfidarsi per la poltrona di capo di Stato il presidente uscente Abdoulaye Wade e il suo primo ministro Macky Sall. Secondo la stampa locale, invece, la Chiesa avrebbe espresso le sue preferenze per Moustapha Niasse, ex capo di Stato del Paese. Un’affermazione “grave – scrive l’arcidiocesi di Dakar – priva di ogni fondamento e contraria ai valori forti promossi dalla Chiesa cattolica, che si oppone a tutte quelle pratiche che attentano alla dignità, alla coscienza e alla libertà dell’uomo, promuovendo, invece, il rispetto di ogni essere umano nella sua integrità”. Ricordando, poi, quanto scritto nella Gaudium et Spes, ovvero che “la Chiesa rispetta e promuove la libertà politica e la responsabilità dei cittadini”, i vescovi senegalesi si dicono “sempre disponibili a lavorare per aiutare gli uomini a restaurare la loro dignità, ogni qualvolta che le situazioni contingenti li portano a rinnegare i valori fondamentali, i principi etici e morali, per seguire i propri interessi personali a scapito degli interessi collettivi”. Infine, l’arcidiocesi di Dakar ribadisce che “la Chiesa si preoccupa degli interessi della nazione. Quando la situazione lo esige, essa ha alza la voce per denunciare le mancanze dei governi, degli uomini politici e di tutti coloro che agiscono seguendo i propri interessi, invece del bene comune”. “La Chiesa – conclude la nota episcopale – è sempre stata a fianco della popolazione, a favore della difesa e della promozione degli interessi della popolazione. Essa è stata e resterà sempre a fianco della verità, della giustizia e della pace”. (A cura di Isabella Piro)
Irlanda. Messaggio del cardinale Brady per la Festa di San Patrizio
◊ Festa grande oggi, tra i cattolici irlandesi, per la Festa di San Patrizio, apostolo della nazione. Per l’occasione, il cardinale Seán Brady, primate dei vescovi locali, ha indirizzato un messaggio ai fedeli, in cui ricorda l’importanza di celebrare, con questa festa, tutta “l’identità, la cultura e il patrimonio irlandese”. Poi, il pensiero del porporato va ai migranti: “Sono pienamente consapevole – scrive – dell’enorme numero di persone che sono emigrate dall’Irlanda in tempi recenti, specialmente coloro che sentivano di non avere scelta”. “Possa la memoria di San Patrizio – continua il card. Brady – sostenere tutti quelli che hanno lasciato le nostre coste per altre terre. E possa l’esempio della fede che San Patrizio aveva in Dio, proteggerli e confortarli”. Quindi, il primate irlandese ribadisce come “la cristianità abbia plasmato l’identità ed il patrimonio della popolazione locale” e come, quindi, la celebrazione della festa sarebbe “impoverita se la dimensione cristiana dell’eredità di San Patrizio venisse ignorata”. E ancora, il porporato sottolinea i tratti più significativi del Patrono d’Irlanda, in particolare la sua capacità di “trasformare le avversità in opportunità” e “la conoscenza e l’amore per la Trinità, che furono alla base della sua grandezza”. Inoltre, continua il card. Brady, San Patrizio riconobbe “la follia di far affidamento solo su stesso nelle avversità” ed avvertì “la necessità di affidarsi soprattutto a Dio”. Di qui, l’auspicio del porporato affinché tutti i fedeli irlandesi siano “all’altezza della sfida di annunciare il Vangelo oggi”, poiché “il messaggio cristiano ha portato speranza, consolazione e forza a tante generazioni dell’Irlanda, specialmente in tempi di avversità e di sfide”. Infine, il card. Brady fa un richiamo al 50.mo Congresso eucaristico internazionale che si svolgerà a Dublino dal 10 al 17 giugno: “Chiediamo a San Patrizio e a tutti i Santi irlandesi – scrive a conclusione del suo messaggio – un profondo rinnovamento della fede nella potenza di Dio, per innalzarci verso nuovi orizzonti di speranza e di possibilità”. “Una fede umile nella forza di Cristo che sana e rinnova, nonostante le nostre debolezze umane – conclude il cardinale - credo che sia la prova dell’autenticità della Festa di San Patrizio”. (I.P.)
Inghilterra: 8 mila giovani cattolici a Wembley nel segno della preghiera e dello sport
◊ “Flame National Youth Congress” è il nome dell’evento che sabato 24 marzo riunirà nell’arena di Wembley di Londra oltre ottomila giovani cattolici da tutta l’Inghilterra e dal Galles. Secondo quanto riporta il Sir, l’iniziativa è ispirata alla visita del Papa del settembre 2010 e ai Giochi olimpici del prossimo luglio, che vedono la Chiesa cattolica protagonista. Saranno presenti, infatti, diversi campioni del mondo, ori olimpici e paralimpici del passato, insieme ad atleti che entreranno in gara, per la prima volta, la prossima estate. A parlare ai giovani sarà lo sprinter, Jason Gardener, oro ai giochi di Atene del 2004, insieme al ventottenne campione paralimpico, Stef Reid, recordman mondiale di salto in lungo dal 2010 e alla rematrice, Debbie Flood, due volte medaglia d’argento olimpica. Con loro anche due atleti del Kenya, Lorna Kusa Simbi e Abdi Rauf Dimas. In occasione della visita del Papa del 2010, è stata avviata la “Pope John Paul II Foundation for Sport”, una charity con cui la Chiesa cattolica promuove lo sport tra i giovani in ricordo dell’amore di Giovanni Paolo II per lo sport. (M.G.)
Cinque morti su un barcone a sud di Lampedusa. Nuove frizioni tra Italia e Malta
◊ Ennesima tragedia dell’immigrazione nel Canale di Sicilia. Le unità italiane della Guardia Costiera hanno soccorso un gommone alla deriva in acque libiche a bordo del quale erano presenti i corpi di cinque persone che hanno perso la vita nella traversata. Sull'imbarcazione si trovavano altri 52 migranti, tra cui cinque donne, tutti in precarie condizioni di salute, i quali sono stati imbarcati sulle motovedette italiane che stanno raggiungendo l’isola di Lampedusa. Intanto, notizie su un'altra imbarcazione alla deriva con 74 migranti a bordo arrivano da un'area a sud di Lampedusa, dove ieri pomeriggio un motopeschereccio francese ha soccorso il natante degli immigrati, in acque di competenza maltese per quanto riguarda le operazioni Sar. Gli extracomunitari, a bordo dell'imbarcazione francese, con equipaggio tunisino, sono fermi in attesa di ordini. La Marina militare maltese, che coordina le operazioni, ha dato indicazioni di fare rotta verso l'approdo più vicino che è Lampedusa, ma l'isola delle Pelagie è stata dichiarata ''porto non sicuro'' dal governo italiano dopo l'incendio doloso, appiccato da alcuni tunisini in rivolta, che nel settembre scorso ha distrutto il Centro di prima accoglienza dell'isola. (A.D.C.)
Cina: studente e monaco si danno fuoco per la causa tibetana
◊ In Cina, si sono verificati due nuovi episodi di suicidio in favore della causa tibetana. Mercoledì scorso, è stata la volta di un monaco ventenne del monastero di Rongwo, al centro di diversi episodi analoghi, mentre oggi il gesto è stato ripetuto, non lontano dallo stesso monastero, da un giovane studente. Entrambi si sono suicidati dandosi fuoco e gridando slogan per la libertà del Tibet dalla Cina. Con questi ultimi due casi, salgono 30 i casi di immolazione dalla prima del 16 marzo del 2011. E proprio per commemorare un anno dall'inizio di questa ondata di immolazioni, si registrano manifestazioni e proteste in diverse zone delle aree tibetane, con un massiccio intervento della polizia cinese.
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 77