![]() | ![]() |

Sommario del 16/03/2012
Il viaggio del Papa in Messico e a Cuba: briefing di padre Lombardi
◊ Un viaggio come pastore e come pellegrino. E’ quello che Benedetto XVI sta per intraprendere alla volta del Messico e di Cuba. Stamani la presentazione sui vari aspetti della visita, nell’incontro del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, con i giornalisti. Ci riferisce Giancarlo la Vella.
E’ il 23.mo viaggio apostolico, quello che tra qualche giorno porterà Benedetto XVI prima in Messico e poi a Cuba. Diverse le motivazioni delle due tappe: la ricorrenza dei 200 anni dell’indipendenza messicana ed il 400.mo anniversario della scoperta dell’immagine della Virgen de la Caridad del Cobre, patrona di Cuba. Nei due Paesi è ancora vivo il ricordo delle visite di Giovanni Paolo II: cinque in Messico, con un sesto viaggio virtuale, conclusosi il 31 dicembre scorso, nel quale le reliquie del Pontefice sono state portate in pellegrinaggio in tutte le 91 diocesi; nel 1998, invece, il viaggio nell’isola caraibica. Diversi i momenti significativi di questa visita, che durerà dal 23 al 29 marzo prossimi. Benedetto XVI sarà nelle città messicane di Leon e Guanajuato, centro geografico del territorio messicano, che per la prima volta ricevono la visita di un Papa. Proprio a Leon, domenica 25 marzo, la Santa Messa nel Parco del Bicentenario, ampio spazio commemorativo della lolla nazionale messicana. Santiago e L’Avana invece le tappe cubane, con la visita al Santuario della Virgen de la Caridad del Cobre, immagine di Maria alla quale si rivolge la grande devozione del popolo cubano.
Un viaggio, questo di Benedetto XVI che, comunque vuole essere un abbraccio a tutta l’America. Saranno presenti ai vari appuntamenti, infatti, i vescovi di quasi tutti i Paesi del continente. Nei due Stati il Santo Padre incontrerà le autorità civili e religiose. Rispondendo ad una domanda dei giornalisti su un possibile incontro con Fidel Castro, l’anziano leader cubano che da qualche anno ha ceduto la presidenza al fratello Raoul, padre Lombardi ha detto che si tratta di un’ipotesi non in programma, ma che non può essere esclusa. Il direttore della Sala Stampa vaticana ha quindi ribadito la posizione della Santa Sede sull’embargo statunitense ancora vigente nei confronti di Cuba:
“La Santa Sede ritiene che l’embargo sia qualcosa di cui il popolo soffre le conseguenze e che non raggiunge uno scopo di bene maggiore e, quindi, la Santa Sede non lo ritiene una misura positiva, utile”.
Sia in Messico che a Cuba cresce, dunque, il fermento per l’imminente visita del Papa, un momento per riconfermare nella fede due Paesi dalla profonda tradizione cristiana, alla luce della missione continentale lanciata dallo stesso Benedetto XVI nel 2007 ad Aparecida, in Brasile, in occasione della Conferenza dei vescovi dell’America Latina.
Risposta della Fraternità San Pio X non sufficiente a superare la frattura con la Santa Sede
◊ La risposta della Fraternità San Pio X al documento teologico consegnato dalla Sede Apostolica “non è sufficiente a superare i problemi dottrinali che sono alla base della frattura” con la Santa Sede. Lo ha comunicato il prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede e presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, cardinale William Levada, al superiore generale della Fraternità, Bernard Fellay, in un colloquio svoltosi stamani in Vaticano e durato oltre due ore.
Il documento, un Preambolo Dottrinale accompagnato da una Nota preliminare, consegnato dal cardinale Levada a mons. Fellay durante l’incontro del 14 settembre scorso quale base fondamentale per raggiungere la piena riconciliazione, enuncia – riferisce un comunicato vaticano - “alcuni principi dottrinali e criteri di interpretazione della dottrina cattolica, necessari per garantire la fedeltà al Magistero della Chiesa e il sentire cum Ecclesia”.
La risposta della Fraternità Sacerdotale San Pio X, pervenuta nel gennaio 2012, “è stata sottoposta all’esame della Congregazione per la Dottrina della Fede e successivamente al giudizio del Santo Padre” e, in ottemperanza alla sua decisione, con una lettera consegnata oggi, si è comunicato a mons. Fellay la valutazione della sua risposta.
“Al termine dell’odierno incontro, guidato dalla preoccupazione di evitare una rottura ecclesiale dalle conseguenze dolorose e incalcolabili”, si è rivolto l’invito a mons. Fellay di voler chiarificare entro un mese la sua posizione “al fine – conclude il comunicato - di poter giungere alla ricomposizione della frattura esistente, come auspicato da Papa Benedetto XVI”.
Predica di Quaresima. Padre Cantalamessa: entrare con la vita nel mistero della Trinità
◊ La Trinità non è una verità astratta, non è soltanto un dogma, ma qualcosa che fa vibrare il cuore. Così ha cercato di descriverla Gregorio di Nazianzo, Padre della Chiesa d’Oriente vissuto nel IV secolo, il secondo maestro di fede presentato stamattina, nella cappella Redemptoris Mater, in Vaticano, da padre Raniero Cantalamessa. Nella seconda predica di Quaresima, alla presenza del Papa, il predicatore della Casa Pontificia ha spiegato il mondo in cui il Nazianzeno ha parlato di “Dio … indiviso in esseri divisi l’uno dall’altro” per giungere poi alla moderna teologia trinitaria e al modo in cui essa deve essere vissuta dal cristiano. Il servizio di Tiziana Campisi:
Un’unica sostanza divina e tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Questa è la Trinità. Per descriverla Gregorio Nazianzeno afferma che “ognuna della tre persone divine non è meno unita alle altre due di quanto sia unita a se stessa”. Non è facile comprendere un tale mistero, ha affermato padre Raniero Cantalamessa, per questo Gregorio rifiutava per la Trinità similitudini come “sole, raggio, luce”, perché temeva si potesse deviare nel triteismo. E invece il Nazianzeno ha aperto la strada alle riflessioni di Agostino che definisce Dio Amore, per questo, spiegherà il vescovo di Ippona, egli è Trinità. “‘L’amore suppone uno che ama, ciò che è amato e l’amore stesso’. Il Padre è, nella Trinità, colui che ama, la fonte e il principio di tutto; il Figlio è colui che è amato; lo Spirito Santo è l'amore con cui si amano”:
“Qui è il fondamento della fede nella Trinità: non possiamo spiegare come Dio è uno e trino, ma possiamo almeno intuire perché, essendo amore, Dio deve anche essere trino. Un Dio che fosse pura Conoscenza o pura Legge, o puro Potere, come è in tante visioni religiose, non avrebbe certo bisogno di essere trino … Occorre -ha scritto de Lubac- che il mondo lo sappia: la rivelazione del Dio Amore sconvolge tutto quello che esso aveva concepito della divinità. Tutto cambia”.
La Trinità, è l’essenza della fede cristiana, ha ribadito padre Cantalamessa, e non la si può mettere da parte “per facilitare il dialogo con le altre grandi religioni monoteistiche”, poiché essa “ha talmente improntato di sé teologia, liturgia, spiritualità e l’intera vita cristiana” che rinunciarvi “significherebbe iniziare un’altra religione, completamente diversa”. E si deve a San Gregorio, ha detto il religioso cappuccino, un’apertura col cuore alla Trinità, l’averla “cantata” con passione ha insegnato ad accostarvisi non con una fredda ragione:
“Quello che si deve fare piuttosto, come ci insegnano i Padri, è calare questo mistero dai libri della teologia nella vita, in modo che la Trinità non sia solo un mistero studiato e ripetuto dai fedeli meccanicamente nel Credo, ma vissuto, adorato, goduto”.
“Noi non possiamo abbracciare l’oceano, ma possiamo entrare in esso; non possiamo abbracciare il mistero della Trinità con la nostra mente, ma possiamo entrare in esso” e la porta per entrarvi “è una sola: Gesù Cristo”, ha aggiunto il predicatore della Casa Pontificia. “Con la sua morte e risurrezione egli ha inaugurato per noi una via nuova” per entrare nella Trinità “e ci ha lasciato i mezzi per poterlo seguire in questo cammino di ritorno. Il primo e più universale è la Chiesa”. E nella Chiesa, ha concluso padre Cantalamessa, “il mezzo per eccellenza è l’Eucaristia” perché “la Messa è un’azione trinitaria dall’inizio alla fine”, “essa è l’offerta che Gesù … fa di se al Padre nello Spirito Santo. Attraverso di essa entriamo davvero nel cuore della Trinità”.
◊ Sarà quest’anno una coppia di coniugi, Annamaria e Danilo Zanzucchi, a scrivere i testi delle meditazioni della 14 stazioni della Via Crucis del Venerdì Santo il 6 aprile prossimo al Colosseo. I Zanzucchi, scelti dallo stesso Benedetto XVI, sono stati tra i più stretti collaboratori di Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, in particolare come responsabili del movimento “Famiglie Nuove”. Adriana Masotti ha chiesto loro con quale sentimenti hanno accolto questa richiesta del Papa:
R. – La nostra prima reazione è stata di una grande sorpresa e devo anche dire di un po’ di timore di fronte a questo grande mistero che è la sofferenza di Gesù. Doverla esprimere a parole ci sembra anche difficile. Nello stesso tempo, avevamo anche come una grande riconoscenza verso il Papa per aver scelto la famiglia per una cosa così profonda e così forte. Esprimere, in questo modo, quasi la nostra partecipazione al dolore redentivo di Gesù ci sembrava anche un dono di Dio, perché ci siamo messi a riflettere su questa realtà e di questo ringraziamo veramente il Santo Padre, che ha fatto questa scelta.
D. – Le riflessioni faranno riferimento al tema della famiglia. Che cosa significa questo, si tratta di una particolare attenzione alla famiglia, in questo momento, o forse anche un riconoscimento della maturità dei laici e dei coniugati nell’esprimere la fede per tutti?
R. – Direi una cosa e l’altra. Certamente c’è un’attenzione particolare della Chiesa a tanti livelli, in tutto il mondo, per quanto riguarda la famiglia. E la famiglia si è resa più cosciente di essere Chiesa e di avere più responsabilità anche nei confronti della società: basta pensare all’educazione dei figli. Ci sono stati vari momenti di quest’interessamento: ricordo che, appena venne eletto Papa, Giovanni Paolo II istituì il Pontificio Consiglio della Famiglia. Egli ci interrogava, e chiamò un gruppo di laici da ogni parte del mondo per sentire com’era la situazione e che cosa si poteva fare. Si impegnava affinchè fosse riconosciuto e valorizzato nella Chiesa e nella società anche l’apporto delle famiglie. Inoltre, ha istituito addirittura un Sinodo sulla famiglia, proprio appena eletto Papa. Frutto di questo Sinodo è stata quella sua famosa enciclica “Familiaris Consortio”, che è il trattato più eloquente e più completo che ci sia per la famiglia nel mondo e che tutt’ora sta ispirando l’azione di tanti movimenti che si interessano alla famiglia, compreso il nostro. Benedetto XVI ci ha chiamato ancora e si è interessato al nostro lavoro, ed ha proseguito il lavoro per la famiglia che aveva iniziato Giovanni Paolo II. (vv)
"Benedetto XVI ispira i nuovi movimenti e realtà ecclesiali": il nuovo libro del cardinale Cordes
◊ “Benedetto XVI ispira i nuovi movimenti e le realtà ecclesiali”: è il titolo del libro del cardinale Paul Josef Cordes, presidente emerito del Pontificio Consiglio Cor unum, edito dalla Libreria Editrice Vaticana. Il testo propone un esame del pensiero di Benedetto XVI sui movimenti e affronta diversi temi: dal loro ruolo missionario al loro essere in comunione con il Papa e l’Episcopato locale; dalla Nuova Evangelizzazione al contributo nelle Giornate mondiali della Gioventù. Debora Donnini ha chiesto al cardinale Paul Josef Cordes perché abbia scritto questo libro:
R. – La prima richiesta veniva dai curatori dell’edizione tedesca dell'Opera Omnia di Joseph Ratzinger che mi hanno chiesto di commentare quello che il Papa ha pubblicato sui nuovi movimenti e sulle nuove realtà ecclesiali. Dietro a questo c’è la lunghissima esperienza che ho fatto al Pontificio Consiglio per i Laici: per questo sono stato contentissimo di poter fare questo studio, perché questo mi consentiva – in questo senso – anche di fare un po’ il bilancio del mio lavoro di 15 anni al Pontificio Consiglio, dove questi movimenti sono stati riconosciuti e dove abbiamo lavorato tanto tempo insieme agli iniziatori degli stessi.
D. – In una lettera in occasione del suo 75.mo compleanno, il Papa sottolinea che lei ha percepito subito quello che di nuovo si manifestava nei movimenti, cioè “la forza dello Spirito Santo che dona nuove vie, e in modi imprevisti sempre di nuovo ringiovanisce la Chiesa”. Quindi il Papa cosa ha visto nei nuovi movimenti e nelle nuove realtà ecclesiali?
R. – Sono stato molto sorpreso quando ho rivisto tutti i suoi scritti: mi sembra che già nel 1973 lui parlasse di queste nuove iniziative. Nel contesto storico parla di San Francesco d’Assisi che ha voluto rinnovare la Chiesa iniziando un movimento e spingendo se stesso e tanti altri ad approfondire la fede e ad andare nel mondo per proclamare Gesù Cristo. E il Papa paragona questo esempio di San Francesco con delle nuove iniziative, e sempre più approfondisce l’idea che la Chiesa ha bisogno di nuove iniziative, di persone che parlano di Gesù Cristo perché lo vivono e perché sono entusiasti di Gesù Cristo. Così il Papa, già quando era ancora arcivescovo di Monaco, aveva contatti con i Neocatecumenali, e anche dopo ha sempre approfondito queste spinte. Era molto vicino, ad esempio, anche a don Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione: quindi non è un teorico che riflette seduto alla scrivania ma osserva la realtà della Chiesa e spinge queste nuove iniziative in favore della missione ecclesiale.
D. – Una parola-chiave del libro che lei ha scritto è: rinnovamento della Chiesa …
R. – La Chiesa ha conosciuto, durante tutta la sua storia, persone e iniziative che volevano rinnovare la Chiesa, cioè iniziative per creare nuove Congregazioni religiose. Abbiamo appena parlato di San Francesco, ma si potrebbe parlare allo stesso modo di San Benedetto, di Sant’Ignazio, di San Giovanni Bosco … E possiamo anche paragonare tutte queste iniziative dei santi con iniziative che sono nate dopo il Concilio Vaticano II, cioè i movimenti e le nuove realtà: il Rinnovamento carismatico, il Movimento dei Focolari, Schönstatt … Sono tante iniziative che sono nate e che vogliono prima approfondire la fede delle persone e, quindi, diventare missionarie.
D. – Nel libro lei ricorda l’importanza del Sinodo dei Vescovi sui Laici, del 1987, e la successiva Esortazione apostolica post-sinodale “Christifideles laici”, nella quale si constata che queste comunità hanno una convergenza nella finalità che le anima: partecipare alla missione della Chiesa e portare il Vangelo. Quale ruolo hanno, dunque, i movimenti ecclesiali e le nuove comunità nella Nuova Evangelizzazione?
R. – La questione non è tanto che cosa dobbiamo fare, quanto chi lo fa; e io vedo in questi movimenti gli “attori” e, in base alla mia esperienza, queste persone hanno un grande zelo interiore per proclamare la Parola, per contattare gli altri.
D. – Secondo lei, anche Benedetto XVI vede nei movimenti e nelle nuove realtà ecclesiali una risorsa per portare avanti la nuova evangelizzazione? Confida in loro?
R. – Assolutamente e si vede anche: riceve i rappresentanti di queste nuove realtà, li incontra nelle udienze e quando, qui a Roma, visita le parrocchie, trova gruppi di questi movimenti. Non solo, di fatto, apprezza e protegge queste nuove realtà ma scrive anche su questo. E così si vede che egli ripone grande speranza in questo. Si sa bene che le nuove idee e le nuove iniziative trovano sempre una certa resistenza da parte della struttura, ma anche questo rientra negli eventi storici: Francesco non è stato abbracciato, anzi, lo hanno perseguitato; Sant’Ignazio è stato perseguitato quando iniziò la nuova evangelizzazione – se così possiamo chiamarla – in Spagna. Quelli che vogliono fare del nuovo, non sono sempre lodati. Adesso sono stati elevati agli onori degli altari, come santi; ma all’inizio non era così! (gf)
◊ Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in udienza il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia; Sua Beatitudine Sviatoslav Schevchuk, arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halyć (Ucraina); e un gruppo di presuli della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti d’America, in Visita "ad Limina Apostolorum". Ancora, il Papa ha ricevuto Manuel Tomás Fernandes Pereira, ambasciatore di Portogallo, in visita di congedo. Nel pomeriggio, riceverà in udienza il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, un articolo di Lucetta Scaraffia dal titolo “Per farsi ascoltare da tutti: le sfide di Témoignage chrétien”.
Bisogna guardare avanti: colloquio del sostituto della Segreteria di Stato, arcivescovo Angelo Becciu, con il direttore.
L’Onu sulle violenze in Siria: nell’informazione internazionale, gli ultimi sviluppi della crisi in Vicino Oriente.
Sviluppo economico e giustizia sociale: Michele Dau sulla conferenza di Bangkok.
La radice viva dell’arte: il cardinale Antonio Cañizares Llovera sul rapporto tra verità e bellezza a partire dal libro di Rodolfo Papa “Discorsi sull'arte sacra”.
Opportunità lette come problemi: Michele Madonna su confessioni religiose e Unione europea.
Perosi stretto tra due fuochi: Marcello Filotei sulla storia dei maestri della Cappella Musicale Pontificia.
Ortodossi nel Nord America in cammino di comunione: Riccardo Burigana sul convegno ecumenico organizzato dalla Loyola Marymount University di Los Angeles.
Libertà religiosa questione americana: l’intervento dei vescovi degli Stati Uniti sulle direttive sanitarie del Governo.
Emergenza rifugiati in Siria. La Turchia invita i propri cittadini a lasciare il Paese
◊ La situazione in Siria rischia di precipitare. Lo si comprende anche dalla preoccupazione della Turchia, che sta considerando l’ipotesi di istituire una "zona cuscinetto" al confine tra i due Paesi, così come ha riferito stamattina il premier, Recep Tayyip Erdogan. E intanto cresce l’emergenza rifugiati. Il servizio di Salvatore Sabatino:
Ankara sta valutando se richiamare l'ambasciatore a Damasco e ha "raccomandato" i cittadini turchi di lasciare immediatamente il Paese. Tutto questo mentre la Russia continua ad appoggiare il regime di Assad, pur sostenendo diplomaticamente la missione dell'inviato speciale dell'Onu e della Lega Araba, Kofi Annan. Sulla scena si affaccia, in queste ore, anche l’Iran, che ha inviato una seconda tranche di aiuti umanitari in Siria; l'aereo atterrato oggi a Damasco, riporta l'agenzia d'informazione 'Irna', trasporta apparecchiature mediche, ma anche tende e coperte. Tutti materiali destinati alle aree in cui la situazione è più difficile; la stessa che sta producendo l’emergenza forse più grande: quella che riguarda i rifugiati, rilanciata anche dall’Acnur. Giordania, Libano Turchia sono i Paesi che li stanno accogliendo; circa 30 mila, secondo l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, che non manca di osservare anche una rilevante quantità di siriani sfollati all'interno del Paese. Numeri ufficiali, in questo caso, non ce ne sono, anche se si presuppone che diverse migliaia abbiano lasciato le province di Homs, Deir al-Zor, Hama, Damasco e Idlib; tutte aree interessate dall’acuirsi della violenza.
Cina, battaglia politica al vertice del Partito comunista tra vecchio e nuovo
◊ In Cina, battaglia politica al vertice: ha fatto scalpore l'espulsione del populista di sinistra Bo Xilai dalla carica di segretario del Partito comunista della metropoli di Chongqing, nel Sud della Cina. Da parte sua, Xi Jinping, attuale vicepresidente della Cina e successore designato del numero uno Hu Jintao, ha fatto appello all'unità all'interno del Partito Comunista Cinese (Pcc). Bo Xilai, molto popolare per misure a favore delle classi più deboli e per la lotta contro la corruzione, rappresentava però un impedimento alla modernità. E’ l’opinione di Francesco Sisci, corrispondente del "Sole 24 Ore" dalla Cina. L’intervista è di Fausta Speranza:
R. - È una battaglia politica molto profonda perché quello che c’era sullo sfondo era la scelta tra due modelli di sviluppo economico ma anche politico della Cina. Uno a favore delle imprese di Stato - anche per andare maggiormente incontro ai bisogni e alle necessità delle classi più disagiate - e un altro, invece, più a favore delle imprese private. Alla fine di questo braccio di ferro, al momento, vediamo che ha vinto il secondo, cioè la scelta politica liberale, che in Cina ha un colore speciale anche perché Bo Xilai il campione di sinistra - qui considerata conservatrice - era a favore di un qualche ritorno ai tempi della "rivoluzione culturale" e a una specie di ritorno al neomaoismo.
D. - Ma possiamo parlare di riforma politica che va avanti in Cina o no?
R. - Direi che sulla riforma politica c’è stato, per la prima volta, un impegno significativo da parte del primo ministro. Di recente in un’occasione importante, ha annunciato la necessità essenziale della riforma politica. I contenuti e la direzione in cui si muoverà questa riforma politica non sono ancora noti, però è chiaro - come ha detto il primo ministro Wen Jiabao - che “ogni idea di un possibile ritorno ai tempi alla rivoluzione culturale e quindi ai tempi del maoismo è stato eliminato.” Se anche non ci dicono con chiarezza che cosa farà la Cina nel futuro, questo episodio ci dice con chiarezza che cosa non farà: il passato è stato seppellito per una seconda volta.
D. - In questa circostanza, si è parlato però di epurazioni, si è parlato di modernità, corruzione, populismo: quale di questi termini secondo lei ha più rilievo?
R. - Secondo me, nel modello di Chongqing, i dirigenti hanno fatto uso di populismo, perché le misure effettivamente prese verso le classi disagiate erano di breve anzi brevissimo periodo: distruggevano invece il mercato stesso e il motore della crescita cinese. In questo senso, l’idea di populismo credo sia azzeccata. L’altra cosa è la spinta verso la modernità che è certamente molto forte con questa scelta della leadership cinese di voltare le spalle al passato e affrontare un futuro ancora incerto. Quindi un grande impegno di modernizzazione, direi.
D. - Resta la corruzione...
R. - La corruzione è un problema grave. Secondo Wen Jiabao, la riforma politica può essere la chiave non certo per eliminare, ma per “moderare” la corruzione. Pensano che attraverso un sistema politico più trasparente, un sistema di mercato più limpido, i momenti, le occasioni per la corruzione diventino minori e meno importanti. Questo sembra oggi l’approccio cinese, anche qui diverso da quello del passato. I primi ad essere corrotti erano gli agenti anticorruzione, che poi erano segreti e quindi non si sapeva cosa facevano e cosa non facevano. Non dobbiamo poi aspettarci certamente, e sarebbe ingenuo pensarlo, che la corruzione possa scomparire per un colpo di bacchetta magica. (bi)
Afghanistan. Pangea: forti restrizioni per le donne, si torna all'era dei talebani
◊ Il presidente afghano Karzai che impone nuove condizioni alla missione internazionale in Afghanistan, l’Isaf, per un ritiro da tutti i villaggi del Paese, e agli Usa, anticipando un pieno controllo della sicurezza già per il 2013, un anno prima del previsto. I talebani che annunciano uno stop, sia pure non irreversibile, al dialogo intrapreso a gennaio con gli Stati Unti, in Qatar. La situazione in Afghanistan torna così in primo piano, dopo il massacro di 17 civili compiuto da un sergente americano rimpatriato e sottratto alla giustizia locale: stamani Karzai ha nuovamente criticato Washington per una mancanza di collaborazione nelle indagini. Pochi giorni fa, poi, la decisione del Consiglio degli Ulema di emanare un 'codice di comportamento' riservato alle donne del Paese, con "forti restrizioni alla loro libertà", sottolinea Fondazione Pangea Onlus. Per un commento, ascoltiamo Simona Lanzoni, direttrice progetti dell'organizzazione che opera in Afghanistan da quasi 10 anni nel campo del microcredito femminile. L’intervista è di Giada Aquilino:
R. – Questo nuovo dettato, che il Consiglio degli Ulema ha emanato, è estremamente conservatore, perché comunque riporta al periodo dei talebani: alle donne che non devono uscire se non accompagnate da un uomo - che può essere anche un bambino piccolo, ma deve comunque essere di sesso maschile - o al fatto che le donne possono subire violenza in casa a certe condizioni; insomma, sono regole intollerabili, soprattutto per il fatto che si scontrano con il principio di parità sancito dalla Costituzione. Sappiamo benissimo che quell’articolo della Costituzione sarebbe stato probabilmente irrealizzabile a breve tempo, però metterci sopra un diktat come quello emanato dagli Ulema - di tipo morale e religioso, estremamente conservatore e pesante - ci riporta, come un elastico, indietro di 10 anni: come se tutto quello che è stato fatto finora dalle donne, ma anche dagli uomini - attivisti della società civile - venisse cancellato nel giro di pochissimo.
D. – Perché è arrivata ora questa decisione? Si tenta forse di accontentare i talebani?
R. – Sicuramente sì. Sicuramente questo fa parte di una strategia di ricucitura con una parte della società che è appunto rappresentata dai talebani - cosiddetti moderati, che però comunque restano conservatori - per il fatto che ci sono delle trattative di cui noi non siamo a conoscenza. Pensiamo anche che nelle ultime ore Karzai ha detto che l’esercito degli Stati Uniti deve essere ritirato, ha fatto delle dichiarazioni che sicuramente sono importanti per tutta la popolazione afghana rispetto ai loro diritti, ma sono anche dichiarazioni collegate a un dialogo instaurato con i talebani.
D. – I talebani, tra l’altro, hanno annunciato uno stop al dialogo intrapreso a gennaio con gli Stati Uniti. Questa del dialogo con i talebani è sempre stata una carta giocata dalla diplomazia negli ultimi anni: ora cosa succede?
R. – Staremo a vedere, anche perché dobbiamo ricordarci che nel mese di maggio, a Chicago, ci sarà una conferenza Nato sull’Afghanistan, per capire che tipo di strategia utilizzare dal punto di vista militare, a proposito di Isaf e di esercito degli Stati Uniti. E’ importante comunque ricordare che c’è una società civile afghana che continua a lavorare e che avrebbe davvero bisogno di finanziamenti civili.
D. – Fondazione Pangea lavora in Afghanistan dal 2003: qual è la situazione oggi sul terreno?
R. – Continuiamo a lavorare perché ce n’è un estremo bisogno: si continuano a richiedere piccoli prestiti, microcrediti, si continua a fare alfabetizzazione. A brevissimo apriremo un asilo per bambini, all’interno di un centro donne, alla periferia di Kabul, proprio perché la vita quotidiana continua e qualcuno deve comunque sostenere queste persone. Fondazione Pangea è accanto a loro. (cp)
Save the Children: aumentano in Italia i bambini a rischio povertà alimentare
◊ In Italia la crisi economica sta incidendo molto anche sull’alimentazione delle famiglie e in particolar modo dei minori. Per il 7% delle famiglie con figli è difficile organizzare un pasto adeguato ogni due giorni, una su tre è costretta a risparmiare sulla spesa alimentare, tre su cinque a modificare il menu quotidiano e oltre il 30% a comprare prodotti di qualità più bassa. Si è dunque di fronte ad un incremento della povertà alimentare, in un Paese in cui il 23% dei poveri sono minori. Save che Children lancia un progetto su tre città pilota per sensibilizzare, informare e sostenere le famiglie a rischio, anche quelle che fanno parte della cosiddetta povertà grigia, quelle cioè che pur avendo un’abitazione o un lavoro avrebbero bisogno di un sostegno. Francesca Sabatinelli ne ha parlato con Raffaela Milano, direttore dei programmi Italia-Europa di Save che Children:
R. – Le famiglie che vivono nella povertà grigia sono quelle che da una condizione di normalità e di equilibrio precipitano, per via della perdita del lavoro o a causa di uno sfratto. Tutto questo, purtroppo, ha sui bambini delle conseguenze drammatiche, da tutti i punti di vista, per quanto riguarda la vita in famiglia, ma anche per quanto concerne il rendimento scolastico e la povertà alimentare, ossia la cattiva alimentazione che genera rischi sulla salute.
D. - Voi segnalate che il 7% delle famiglie con minori non riesce a fare un pasto adeguato almeno ogni due giorni, è questa la povertà alimentare?
R. – Dobbiamo considerare che se in alcune zone del mondo povertà alimentare significa “denutrizione”, qui, nei Paesi sviluppati, vuol dire “cattiva alimentazione”. Significa, ad esempio, avere, come abbiamo in Italia, un fortissimo incremento di bambini in condizioni di sovrappeso e di obesità, proprio perché si mangia male e non si consuma quello che si dovrebbe consumare. C’è, purtroppo, il prevalere del cosiddetto “junk food”, il cibo-spazzatura: prodotti che hanno un costo basso e sono di immediato consumo e, per un bambino, di immediato gradimento. Questi prodotti a volte creano quasi una forma di dipendenza, e vanno a sostituire alimenti più sani che, ovviamente, richiedono un’attenzione maggiore e magari un po’ più di tempo per essere acquistati, lavorati e poi serviti a tavola. Sappiamo che questo tipo di alimentazione fa maggiori danni proprio tra quei bambini che, per diversi motivi, hanno meno accesso ad un cibo di qualità. L’educazione alimentare è lo strumento più utile per consentire ai bambini e alle famiglie di individuare degli stili alimentari che non sono troppo costosi, ma che, anzi, a volte costano anche meno, e che non sono neanche troppo dispendiosi in termini di tempo in cucina. Una buona educazione alimentare consente ad un bambino di avere un’alimentazione sana ed equilibrata. Questo è il lavoro che si può fare, partendo proprio dai bambini più a rischio, che sono quelli in condizioni socio-economiche più difficili.
D. - Save The Children, proprio in aiuto a queste famiglie e ai loro bambini, lancia il progetto: “La Buona Tavola”. Già il nome ci fa capire che è un progetto di educazione al mangiare…
R. - Sì. E’ un progetto che prevede diversi interventi. Il primo riguarda tutti, serve ad educare a mangiar bene, a capire cosa è utile per un bambino e cosa, invece, è dannoso. Avremo, quindi, uno sportello mobile che girerà nei quartieri di tre grandi città - Torino, Roma e Napoli - con operatori, pediatri, assistenti sociali, per consentire alle mamme di ottenere consigli utili per il proprio bambino, colloqui con esperti e così via. Allo stesso tempo, però, questo sportello ha il compito di andare ad intercettare anche quelle situazioni di maggior rischio. Nell’area della cosiddetta povertà grigia, ad esempio, ci sono famiglie che per pudore, vergogna o paura non chiedono aiuto ai servizi sociali. Noi vogliamo riuscire ad entrare in contatto anche con i bambini che vivono veramente le situazioni di maggior rischio, per seguirli continuativamente. Tra maggio e giugno, realizzeremo anche tre centri pilota di sostegno alle mamme in tre quartieri di queste stesse tre città, perché sappiamo quanto sia fondamentale il ruolo della mamma nel garantire e nel tutelare la crescita sana di un bambino. Questi centri-pilota vogliono fare in modo di far avere alle mamme opportunità di formazione, di far loro ottenere borse-lavoro anche per poter magari rientrare nel mercato lavorativo, di farle accedere a gruppi di acquisto solidale o al microcredito, allo stesso tempo vogliono permettere a queste donne di uscire dalla solitudine. In molti casi, la povertà famigliare diventa poi anche interruzione delle relazioni sociali. Per noi, perciò, è fondamentale avere questi tre centri-pilota dove proveremo ad accompagnare le mamme nella fuoriuscita dalle condizioni della povertà. (vv)
Cassazione e unioni gay: verso un nichilismo giuridico? Intervista al filosofo Possenti
◊ Continua a far discutere, in Italia, la controversa sentenza della Corte Cassazione secondo cui le coppie omosessuali hanno il “diritto alla vita familiare” e a “vivere liberamente una condizione di coppia”. Un pronunciamento che pone ancora una volta in primo piano il contrasto tra diritto e volontà individuale sciolta da ogni obbligo. Un tema sul quale Alessandro Gisotti ha chiesto una riflessione al filosofo Vittorio Possenti, di cui è in pubblicazione il volume “Nichilismo giuridico”, edito dalla Rubbettino:
R. – Noi assistiamo da alcune decine di anni in Occidente ad una visione dei diritti umani che sta cambiando in maniera molto forte. Se noi stiamo accanto ad una visione dignitaria, i diritti umani sono centrati sulla persona e non possiamo decidere qualsiasi cosa. E invece passiamo, come accade in numerosi problemi, come in quello dei diritti cosiddetti sessuali, andiamo verso una visione libertaria dei diritti umani e prendono grande rilievo esclusivamente i diritti di libertà. Quindi, intanto andrebbe fatta questa semplice considerazione: che non tutti i diritti umani sono riducibili a diritti di libertà.
D. – Cosa rispondere a chi invoca un principio di non-discriminazione nei confronti delle coppie omosessuali?
R. – Noi non possiamo trattare cose diverse in maniera uguale. Quindi, c’è un richiamo al principio di non-discriminazione e di uguaglianza che va considerato molto attentamente. Un matrimonio naturale, di cui parla l’articolo 29 della nostra Costituzione, non può essere assimilato ad un cosiddetto matrimonio omosessuale, perché manca in maniera intrinseca l’orientamento alla fecondazione e alla procreazione, che rimane un fine fondamentale della società naturale chiamata famiglia e fondata sul matrimonio.
D. – La libertà individuale, dunque, si spinge sempre più in avanti e quindi non c’è più una soglia?
R. – Dunque, la soglia tende a scomparire perché si ritiene che alcune pretese fondamentali delle persone debbano essere pareggiate a diritto. Quindi è il problema stesso dei diritti umani che va ripreso un po’ alla radice, sia non dimenticando la questione dei “doveri” che accompagna quella dei “diritti”, e non dimenticando appunto che non tutto può essere un diritto umano. Un diritto umano è qualcosa che spetta alla persona come tale, ma non ogni pretesa della volontà o del desiderio può essere classificata sotto “diritto umano”. Si tratta comunque sempre di trovare qual è il bene che si intende tutelare. Se noi tuteliamo la famiglia, se tuteliamo il matrimonio fondato – appunto – sull’unione eterosessuale, sappiamo quali sono i beni che vogliamo tutelare. Nel caso di una unione omosessuale, non risulta immediatamente chiaro quale sia il bene che si vuole tutelare. (gf)
Le Misericordie d’Italia a Calenzano: otto secoli di servizio in nome di Cristo
◊ Oltre 800 Confraternite e sezioni di Misericordia sono chiamate a raccolta oggi e domani a Calenzano nei pressi di Firenze per l’approvazione del nuovo statuto. Circa 800mila le persone aderenti alla forma di volontariato più antica del mondo nata, nella città medicea, nel 1244. Oggi nei cinque continenti esistono circa 2mila Confraternite che si sono sviluppate seguendo l'esempio italiano. Il nostro inviato ai lavori Massimiliano Menichetti:
768 anni fa a Firenze nasceva una delle più alte risposte di amore e testimonianza in nome di Cristo. Qui infatti vennero fondate le Confraternite di Misericordia, la più antica forma di volontariato sorta nel mondo. Una storia di assistenza, soccorso e attenzione, verso l’altro che si è dipanata nei secoli proiettandosi nel futuro. Oggi a Calenzano prendono il via i lavori per approvare il nuovo Statuto, una ‘Carta’ – sottolineano - per affrontare le sfide del terzo millennio e ribadire l’unità che lega le oltre 800 Confraternite e sezioni di Misericordia sparse su tutto il territorio nazionale. Tanti i servizi coperti: dall’assistenza medica (oltre 3500 le ambulanze, mille i mezzi speciali); alla donazione di organi e sangue (90mila i donatori attivi); ai servizi sociali e di assistenza offerti ad anziani e disabili; fino a coprire il servizio di protezione civile, in prima linea in Italia e all’estero, con estensioni in Sud Est asiatico, Africa, Europa e America. Tutto improntato nella più assoluta gratuità, da otto secoli, per “onorare Dio con opere di misericordia verso il prossimo”.
Il nuovo statuto – evidenzia la Confederazione nazionale – nasce dall’esigenza di rinfrescare il vecchio documento Confederale, anche alla luce dei cambiamenti dell’assetto istituzionale e statuale con un pronunciato decentramento di competenze. Il nuovo Statuto prevede infatti strutture autonome, regionali e se necessario anche zonali, pur nell’ambito di una confermata forte unità del movimento e secondo le regole nazionali. Proprio a garanzia della coesione viene istituito un ‘Consiglio dei saggi’, destinato a tutelare la fedeltà ai principi ispiratori del movimento.
Le due giornate hanno anche un forte significato storico per il riavvicinamento della “Venerabile Arciconfraternita di Misericordia di Firenze” che dopo essere uscita dalla Confederazione, quattro anni fa, ha approvato, nel novembre scorso, lo stesso statuto che dovrebbe essere varato domani.
Sull'importanza dell'evento, il nostro inviato ai lavori Massimiliano Menichetti ha intervistato il presidente della Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia, Roberto Trucchi:
R. – Per noi, è un evento molto importante atteso da anni: si tratta di riscrivere un po’ la nuova carta per le Misericordie, riprendere un cammino di unità e riorganizzare il movimento delle Misericordie. E’ un momento per noi molto molto importante, perché lo attendiamo da tempo; darci un’organizzazione più moderna, più efficiente, senza però rinunciare naturalmente a quello che è lo spirito con cui da secoli le nostre confraternite si impegnano, a servizio di chi ha più bisogno. Il motto delle Misericordie è: “Che Dio te ne renda merito”. In noi, questo è ancora uno spirito forte, che abbiamo e che vogliamo mantenere e rinforzare.
D. – La Misericordia di Firenze, lo ricordiamo, venne fondata nel 1244 ...
R. – Esatto. Nasce naturalmente dallo spirito cristiano - quindi l’impegno verso il prossimo, verso il bisognoso - cercando di portare a chi ne ha più bisogno una parola di conforto, ma anche la testimonianza cristiana con il proprio impegno personale.
D. – Oggi le Misericordie concretamente cosa fanno? Come si diversificano?
R. – Innanzitutto sono tantissimi i servizi che le Misericordie fanno, oggi siamo su tutto il territorio nazionale, con presenze molto forti al centro ed al sud. Ci sono servizi con le ambulanze - di carattere sanitario - servizi di emergenza medica, donazioni di sangue ed organi, servizi sociali molto importanti sia per disabili, che per anziani. Un’altra tipologia di servizio è quello relativo alla protezione civile, con gruppi attrezzati pronti ad intervenire nell’arco di pochissime ore. Negli ultimi anni, poi, abbiamo partecipato a tutti gli interventi di emergenza nazionale che ci sono stati, ma anche a livello internazionale: dall’Albania fino al Kosovo e per esempio con la Bielorussia, per i bambini che spesso vengono in Italia accompagnati verso le Misericordie e lì ospitati per un periodo di circa un mese, ogni anno. Siamo intervenuti nel Sud-Est asiatico, ad Haiti - per lo tsunami - ed in Cile; sono veramente tanti i servizi che vengono fatti. Mi piace ricordare un’iniziativa che abbiamo intrapreso da circa un anno, l’apertura di una Misericordia a Betlemme: una Misericordia nella “culla della cristianità” ci sembra una cosa veramente bella ed importante.
D. – Colpisce che in tutto il mondo esistono circa duemila confraternite di Misericordia nate, tra altro, sull’esempio italiano. E’ così?
R. – Si, esatto. E’ vero e ci sono sempre più richieste. Abbiamo avuto di recente richieste di Misericordie da aprire in Cile, Perù, Romania, si va quindi dall’Europa al resto del mondo. Diciamo che però ci sono richieste che vengono spesso fatte anche da strutture religiose, che si trovano in questi Paesi - che sono a conoscenza del mondo delle Misericordie – e che hanno una necessità di assistenza verso le persone. Per esempio: la richiesta che ci viene dal Perù è di cercare di aprire un ospedale molto grande, ma la carenza che c’è in quel Paese riguarda soprattutto il trasporto sanitario, quindi ci hanno chiesto come fare per poter organizzare una Misericordia che assiste a questo tipo di servizio.
D. – Si aprono i lavori: lei che cosa si aspetta da questi due giorni intensi di confronto?
R. – Intanto, mi aspetto una presenza massiccia delle Misericordie, un momento di confronto come questo è sempre importante - non dimentichiamo che il movimento delle Misericordie è comunque un movimento fatto di uomini che vivono le proprie realtà e che quindi vivono anche tutti i problemi che la società di oggi ci presenta – quindi anche questo è un momento importante per confrontarci e per capire anche come porsi di fronte alle nuove richieste, che le nuove povertà ci presentano. (cp)
L’auspicio all’unità, ad una formazione permanente e ad una testimonianza cristiana nell’aiuto e soccorso all’altro vengono da mons. Franco Agostinelli, vescovo di Grosseto e Correttore Nazionale delle Misericordie D’Italia:
R. – Questo è un evento molto importante per la storia delle Misericordie: la Misericordia è l’espressione più antica del volontariato cristiano. Si accingono ad un passo che significativamente segnerà un po’ la loro storia: l’occasione è quella della ratifica del nuovo statuto nazionale, su cui dovranno rispecchiarsi un po’ tutte le Misericordie che sono sparse nel territorio. E’ una ratifica importante, oggi, intorno a questo statuto si ricompatta l’unità. L’augurio, quindi, che io faccio, è quello di tentare sempre di conservare e di difendere il valore dell’unità, di fronte a tutte le forze centrifughe o le tentazioni, che potrebbero sopraggiungere a detrimento di questa unità. Vorrei anche esortare tutti i confratelli delle Misericordie d’Italia, a restare fedeli alla propria origine, perché io credo che questo ci contraddistingue: noi sappiamo di non essere migliori di nessuno, ma di essere diversi. Diversi perché è l’origine che ci fa diversi, è il fondamento del nostro vivere che ci fa diversi. Le Misericordie attingono appunto alle radici del Vangelo, nel loro esistere e nel loro operare. Quindi io vorrei augurare a tutti i confratelli e le consorelle delle varie Misericordie, di continuare a nutrire il proprio essere ed il proprio operare con un cammino di formazione permanente, perché sappiamo bene che il processo di secolarizzazione non risparmierebbe nessuno, neanche coloro che sono impegnati nel volontariato e nell’aiuto al prossimo. E’ necessario trovare le motivazioni profonde del nostro operare, perché là dove gli altri si fermano, noi non possiamo fermarci, bisogna andare oltre e gettare l’anima oltre l’ostacolo. Questo avviene nella misura in cui una forza ci sostiene – la forza del Signore Gesù – che vorremmo testimoniare attraverso il nostro operare, il nostro essere vicini a coloro che soffrono o che comunque sono nel bisogno. Auguro veramente a tutti i confratelli, a tutte le sorelle delle varie confraternite di Misericordia sparse nel territorio nazionale, di tenere sempre molto evidente questo valore supremo che contraddistingue la loro storia e - veramente da questo punto di vista - vorrei dire a tutti loro che il Signore renda merito di quello che fanno. (cp)
Nell'Unione Europea si riapre il dibattito sugli Ogm. Padre Miranda: positivo parlarne
◊ Fa discutere la riapertura in sede Ue del dossier sugli Ogm, organismi geneticamente modificati. Alcuni Paesi membri, tra i quali l’Italia, hanno rotto il “fronte del no”, proponendo, come chiesto dalla presidenza di turno danese, che a decidere siano i singoli Stati. Secondo il ministro dell’ambiente Clini occorre una “seria riflessione”. Al contrario di quanto si pensa, “senza l’ingegneria genetica – ha spiegato Clini - non avremmo alcuni fra i nostri prodotti tipici”. Tornare a parlare di Ogm è “positivo” secondo padre Gonzalo Miranda, decano della facoltà di Bioetica all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. – E’ la serietà che conta: bloccare la ricerca sul rischio derivante dalla sperimentazione degli Ogm, senza che ci siano i presupposti per farlo, non è serio. Adesso con la riapertura del dibattito le cose cambiano. L’approccio è finalmente serio. Credo che sia importante che si facciano le indagini necessarie e credo che se, come sta succedendo in altri Paesi, non si riscontrano rischi seri né per la salute delle persone umane, né per gli animali, né per una vera e propria contaminazione dell’ambiente con gli Ogm, si possa procedere con la coltivazione.
D. – Secondo chi è favorevole agli Ogm questi potrebbero essere una risposta al problema della fame nel mondo…
R. - Perché grazie agli Ogm si riescono a coltivare piante utili all’alimentazione in situazioni di siccità o di troppa salinità. Alcuni contadini in questi luoghi, noi li abbiamo conosciuti, raccontano che usano queste sementi Ogm producendo molto di più e più facilmente, senza dover utilizzare tanti erbicidi, tante altre sostanze…
D. – In proposito si può citare il caso del Giappone post-tsunami che è riuscito attraverso gli Ogm a reintrodurre la coltivazione di un riso resistente alla salinità del terreno…
R. – Sì, è uno degli esempi ma ce ne sono tanti altri. C’è il famoso Golden rice, il riso reso ricco di provitamina A. che potrebbe aiutare eventualmente le popolazioni asiatiche, dove il riso rappresenta l’alimentazione fondamentale e dove il riso è privo di questa sostanza. Avrebbe grandi benefici sulla salute.
D. - Non mancano però aspetti negativi. La creazione di semi nuovi, geneticamente modificati, non produce solo benefici…
R. – Effettivamente non produce solo benefici: l’abbassamento dei costi, l’aumento della produzione, con minore sforzo ha come conseguenza che qualcuno non ci guadagna! Non ci guadagnano i produttori di erbicidi, di altre sostanze… Il rischio zero però non esiste: se c’è un’innovazione un minimo di rischio ci sarà sempre.
D. - Ci sono stati casi in cui è risultato che alcuni prodotti fossero velenosi?
R. – No, in realtà non ci sono stati. Ci sono state contaminazioni ma come può succedere anche con altre sostanze che non sono state prodotte con gli Ogm. Negli Stati Uniti sono più di vent’anni che una buona parte della popolazione consuma il mais Ogm e non ci sono casi accertati di intossicazione da questo prodotto.
D. - Con l'introduzione degli Ogm, non rischiano di scomparire le colture locali, le coltivazioni locali?
R. – Non credo. In realtà, la forza delle coltivazioni locali è il loro essere pregiate. Le coltivazioni Ogm riguardano prevalentemente Mais, cereali. D’altra parte però c’è anche un’altra cosa da dire: con gli Ogm è possibile salvare alcune coltivazioni locali che altrimenti potrebbero anche sparire.
D. - C’è un altro problema. Le multinazionali, secondo un recente rapporto redatto da varie Ong, detengono il monopolio del mercato delle sementi. Un fatto che ha messo sul lastrico centinaia di migliaia di contadini alcuni dei quali, si sarebbero tolti la vita perché impossibilitati a sostenere i costi…
R. – Le cose non stanno proprio così ed è già stato dimostrato. Quello dei contadini suicidi è un problema legato ad altre circostanze e risale a prima che venissero introdotti gli Ogm.
D. – Il problema è che forse le multinazionali sono un po’ più abili nell’accaparrarsi l’esclusiva su questi prodotti...
R. – In questo caso è necessario applicare le leggi antitrust, antimonopolio, come vengono applicate con altri prodotti.
D. – Per concludere come rapportarsi alla questione Ogm?
R. – Con prudenza. Senza paura, valutare bene e decidere bene. (bf)
Lateranense. La Lumen Gentium al centro della conferenza "Rileggere il Concilio"
◊ Si è tenuto ieri, presso la pontificia Università Lateranense, il secondo appuntamento del ciclo di conferenze “Rileggere il Concilio”, organizzato nel 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II. Oggetto del convegno è stata la costituzione conciliare “Lumen Gentium”. Nell’intervista di Davide Maggiore, padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Collegio di Scienze Storiche, ne ricorda i punti più significativi, a partire dall’immagine della Chiesa tracciata nel documento:
R. – La prima immagine che viene proposta dalla “Lumen Gentium” è quella del Popolo di Dio, che ha una struttura gerarchica perché il Signore Gesù ha voluto, attorno a sé, i 12 Apostoli ed i vescovi sono i loro successori. Naturalmente ci sono altre immagini: quella che venne sviluppata da Pio XII, ossia il Corpo mistico di Cristo, ed ogni cristiano è una delle membra. La Chiesa, poi, è anche in cammino verso il suo compimento, alla fine dei tempi. E’ l’aspetto della nuova Gerusalemme.
D. – In che misura quest’immagine della Chiesa rappresenta una novità e in che misura, invece, è in continuità con la tradizione della Chiesa?
R. – E’ una novità nel senso che la Chiesa non si era mai presentata, sistematicamente, come un popolo organizzato. Si era piuttosto insistito sulla sua struttura giuridica. D’altra parte, la continuità è ovvia: non si è membro del popolo unicamente per nascita ma lo si diventa per scelta, attraverso il Sacramento del Battesimo.
D. – Questa sottolineatura della nozione di “Popolo di Dio”, chiama inoltre i laici ad una nuova responsabilità…
R. – Questo è un elemento essenziale della “Lumen Gentium”: la vocazione universale alla Santità. Sono destinati alla Santità tutti i battezzati. La cosa importante è rispondere a questa vocazione universale. (vv)
E ad approfondire l’elemento della vocazione universale alla santità, ancora al microfono di Davide Maggiore, è don Giovanni Tangorra, docente di Ecclesiologia presso l’Università Lateranense:
R. – La santità, com’è stata esaminata nel Concilio, è ancora molto attuale. Il Concilio l’ha espropriata da una concezione di tipo straordinario rendendola possibile, anzi: l’ha resa quasi doverosa e l’ha inscritta nel dna stesso del Battesimo. Quello che è importante è capire cosa si intende per santità e, per il Concilio in maniera particolare, è importante saper vivere il precetto dell’amore di Gesù Cristo. Vissuta attraverso la carità, la santità diventa certamente una sfida contemporanea molto importante.
D. – Dal punto di vista della ricezione, quali possono essere considerati, oggi, i frutti concreti della “Lumen Gentium” e dell’ecclesiologia che delinea?
R. – La ricezione è certamente uno dei problemi principali di un Concilio. E’ quell’atto con cui il Popolo di Dio, in qualche modo, fa suo ciò che in un Concilio viene discusso e approvato, ed è ciò che rende vive le decisioni prese. Sul piano pratico potrei dire che la ricezione da parte del Popolo di Dio – quindi non solo di alcune categorie di professionisti – è molto viva, almeno a due livelli. Prima di tutto perché si nota, nel Popolo di Dio, una maggior presa di coscienza della Chiesa, che non viene più vista come un qualcosa di estraneo o di formale, ma come un qualcosa cui si appartiene e di cui si è parte. Inoltre c’è anche un’estensione della corresponsabilità all’interno della Chiesa che, non si può negare, dopo il Concilio ha certamente prodotto molti frutti. (vv)
Dialoghi in Cattedrale: secondo appuntamento, sul tema della vita eterna
◊ Ieri sera nella Basilica papale di San Giovanni in Laterano a Roma si è svolto il secondo appuntamento dei Dialoghi in cattedrale, sul tema “Educare alla vita eterna: utopia o profezia?”. All’incontro, organizzato dalla diocesi di Roma, hanno partecipato Remo Bodei docente alla University of California e Joaquin Navarro-Valls presidente dell’Advisory Board dell’Università Campus Bio Medico di Roma. Sul tema della serata, ascoltiamo il prof. Bodei al microfono di Marina Tomarro:
R. – Bisogna intanto capire cosa vuol dire vita eterna, perché noi ci siamo dimenticati del significato del termine eternità. Eternità non è un tempo lunghissimo, necessariamente dopo la morte: eternità è pienezza di vita, ed il contrario è l’emorragia di vita, vita che se ne va, quindi al di là della dimensione religiosa. L’educazione invece è una vita piena, ha cioè uno sviluppo della personalità di ciascuno ed ha una crescita “antigravitazionale”, cioè la tendenza di svettare verso l’alto.
D. - E negli ultimi tempi la vita eterna è tornato ad essere un tema molto discusso. Ma da dove nasce questo bisogno di parlarne?
R. – Nasce intanto dalla conclusione tragica di certi regimi - basati tutti sul concetto che questa vita è la cosa più importante - ma anche un po’ dalla crisi economica che stiamo subendo, e che ci fa pensare a qualcosa che non è più questa bulimia consumistica. Quindi in periodi di difficoltà si sente il bisogno di dare senso alla propria vita.
Quindi la vita eterna non è un concetto astratto e lontano da noi, ma invece qualcosa che ci appartiene perché noi stessi ne facciamo parte integrante. Ascoltiamo a questo proposito Joaquin Navarro-Valls:
R. - Dal momento che una persona nasce, ha cominciato una vita che sarà eterna, che durerà sempre, quindi: non si deve educare per una vita che verrà, ma si deve educare per questa vita di adesso. Io penso che quando si vedono le realtà della vita quotidiana di ognuno di noi, da una prospettiva di vita eterna, succedono due cose: da una parte le cose si relativizzano - quello che ci sembra una cosa tremenda e spaventosa si relativizza – dall’altra parte ci rendiamo conto che, ogni singola circostanza di quella vita, è un valore di vita eterna. Quindi nulla di quello che facciamo oggi si perde nel nulla.
D. - Navarro-Valls nel 1998, come direttore della Sala stampa vaticana, accompagnò il Beato Giovanni Paolo II, in uno storico viaggio apostolico a Cuba. A pochi giorni dall’imminente visita di Benedetto XVI nell’isola caraibica, che cosa è cambiato da allora?
R. – Io direi che, una delle cose importanti che il Papa è riuscito a fare in quel viaggio è stato dare uno spazio sociale alla Chiesa in Cuba, che socialmente non era riconosciuto. Rimane poi un grande tema - che adesso Benedetto XVI ritroverà, arrivando a Cuba - ovvero la formazione nella fede dei cubani. Quel Paese ha un bisogno disperato di formazione, per molte ragioni: la mancanza dei sacerdoti – l’isola non è ancora auto-sufficiente da questo punto di vista; la Chiesa poi non ha ancora il permesso di editare libri e fare pubblicazioni. Quindi quello che dirà a Cuba questo Papa, che fa “pastorale dell’intelligenza” in tutto il mondo, contribuirà a risolvere il problema fondamentale della Chiesa oggi: la formazione della gente. (cp)
Pratiche di conservazione ai Musei Vaticani. Paolucci: tutelare le opere per chi deve nascere
◊ Conservazione preventiva e manutenzione ordinaria: sono queste le due regole d’oro, le “best practices” intorno alle quali si organizza la custodia di un grande patrimonio culturale come quello dei Musei Vaticani. Per gestirla al meglio, nel 2008 la direzione ha istituito l’Ufficio del Conservatore, che ieri ha fatto il punto sulle sue attività in uno dei consueti appuntamenti del ciclo “Il Giovedì dei Musei”. C’era per noi Roberta Barbi:
Tutelare le opere d’arte per trasmetterle integre alle generazioni future: è questo, in sintesi, il compito “etico” di un grande museo, che non lavora solo per gli uomini e le donne che quotidianamente lo visitano, circa 20mila al giorno nel caso dei Musei Vaticani che nel dicembre scorso hanno infranto il “muro del suono” delle cinque milioni di presenze, ma lavora per gli uomini e le donne che devono ancora nascere. Ne è convinto il direttore, Antonio Paolucci, che proprio per conseguire questo obiettivo, tre anni e mezzo fa ha creato l’Ufficio del Conservatore, del quale ricorda quali sono i compiti fondamentali:
“L’Ufficio del Conservatore è il polso dello stato di salute delle collezioni dei Musei Vaticani. Questo ufficio che ha il compito di monitorare la situazione ambientale, climatica, le condizioni di degrado. Insomma: la salute delle opere d’arte in tutti i loro aspetti”.
Sono molti i rischi che corrono le opere: oltre all’invecchiamento, che è un fenomeno di natura fisiologica, ci sono l’usura e l’accumulo di polvere, ma costituiscono un pericolo per il patrimonio culturale anche l’inadeguatezza climatica e ambientale e la pressione antropica. Per contrastare queste minacce, è importante elaborare una strategia di conservazione finalizzata all’abbassamento dei livelli di rischio, che segua un unico paradigma: la prevenzione, come spiega Vittoria Cimino, responsabile dell’Ufficio del Conservatore dei Musei Vaticani:
“La prevenzione è importante, perché è una strategia a largo raggio con effetti a lungo termine, ma anche con effetti immediati. Questo significa che noi evitiamo di intervenire attivamente sull’oggetto d’arte, quando le sue condizioni sono talmente degradate da richiedere un intervento di restauro. L’intervento di restauro è un intervento completo, che si attua sulla materia dell’opera d’arte ed è un intervento importante, e sotto certi aspetti, anche ‘invasivo’. Cerchiamo di realizzarlo solo quando è strettamente indispensabile. Paradossalmente, costa di più eseguire un intervento di restauro che è comunque rivolto a una sola opera, che stabilire una strategia di conservazione preventiva di un grande ambiente che ne contiene tante”.
Un piano programmato e continuativo, dunque, va sempre affiancato a interventi di restauro mirati, momenti in cui si recupera il messaggio che una singola opera d’arte invia all’uomo. Gli interventi preventivi, invece, riguardano anche gli ambienti e i depositi del museo e rientrano in un piano cosiddetto di “manutenzione ordinaria”. In cosa consiste, lo illustra ancora la dott.ssa Cimino:
“Gli interventi di manutenzione ordinaria sono questa nuova praticabilità che abbiamo voluto sperimentare, sostenere. Significa, in sostanza, ritornare alle vecchie pratiche di manutenzione di una volta che consistono nella concreta, banale, vecchia spolveratura. Abbiamo istituito tre piani di manutenzione: il primo, concerne le opere nel loro ambiente di esposizione; il secondo piano riguarda i magazzini, i depositi, e il terzo piano - a cui tengo moltissimo - è quello di ripristino delle decorazioni negli ambienti, nei percorsi, perché la grande quantità di visitatori, pone necessariamente, dei problemi di usura”.
Un modello d’intervento ormai collaudato e d’eccellenza che potrebbe essere esportato in altri musei del mondo? Ci risponde ancora il direttore, prof. Paolucci:
“Io confido molto sull’esemplarità dei Musei Vaticani. I Musei Vaticani, per il fatto stesso che sono ‘vaticani’, usufruiscono della pubblicità delle istituzioni di cui fanno parte, possono avere un effetto didattico di grande efficacia nel mondo, nei musei del mondo”.
Cuba. Finita l'occupazione di una chiesa all'Avana, il cardinale Ortega convince i dissidenti
◊ Dopo un’occupazione durata due giorni,13 dissidenti cubani hanno lasciato, nella serata di ieri, la Basilica di Nostra Signora della Carità all’Avana. Il gruppo, evacuato dalla polizia, non ha opposto alcuna resistenza. Durante un colloquio con gli occupanti, il cancelliere dell'arcidiocesi, mons. Ramón Suárez Polcari, aveva ribadito le assicurazioni delle autorità di sicurezza al cardinale arcivescovo dell’Avana Jaime Ortega che i 13 sarebbero stati portati nella sede della polizia per poi lasciarli tornare nelle loro case sotto la protezione della Chiesa e che niente avrebbe potuto compromettere la loro sicurezza. “Si pone fine così – afferma una nota dell’arcivescovado dell’Avana – ad una crisi che non avrebbe mai dovuto verificarsi. La Chiesa si augura che eventi simili non si ripetano e che l'armonia che tutti desiderano possa essere effettivamente raggiunta”. Il gruppo si era presentato martedì scorso per consegnare al rettore del Santuario un messaggio per Benedetto XVI, con una serie di rivendicazioni sociali, ma si era poi rifiutato di uscire, di fatto barricandosi all’interno. È un’azione architettata “con l’apparente scopo di creare situazioni critiche mentre si avvicina la visita di Benedetto XVI a Cuba”, aveva rilevato un comunicato della Curia che così concludeva: “La Chiesa ascolta e accoglie tutti, e intercede per tutti” ma nessuno “ha il diritto di trasformare le chiese in trincee politiche. Nessuno ha il diritto di distruggere lo spirito celebrativo dei fedeli cubani e di molti altri cittadini che attendono con gioia e speranza la visita di Papa Benedetto XVI a Cuba”. (S.C.)
Siria: il nunzio apostolico invoca la missione umanitaria
◊ “La missione umanitaria è una iniziativa benedetta, che incoraggiamo con forza. C’è bisogno di uno sforzo urgente: anche se non abbiamo ancora i particolari sul suo svolgimento, è un intervento apprezzabile e tanto atteso. Speriamo che, nel campo dell’assistenza umanitaria, si attivino sforzi e interventi sempre maggiori”: è quanto dichiara all’agenzia Fides mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, commentando l’annuncio di una imminente missione umanitaria in Siria, iniziativa congiunta fra Onu, governo siriano, Organizzazione per la Cooperazione Islamica. Sull’esodo di profughi, che continua verso il Libano e la Turchia, il nunzio afferma: “L’esodo preoccupa noi tutti in Siria. L’uscita forzata dalla propria patria, in queste condizioni di sofferenza, muove a compassione: soffriamo insieme con loro. Sono povere famiglie che lasciano in fretta e furia la propria vita, la casa, gli affetti, verso un futuro ignoto di precarietà. Nell’insieme, la gente soffre ed è stanca per il lungo conflitto: ieri erano 12 mesi ed stato un momento di riflessione, triste e doloroso, in questa primavera che tarda ad arrivare, mentre le speranze della gente si affievoliscono”, dice mons. Zenari con tono accorato. “La situazione è davvero complicata, ma la questione più grave è che non si vede la fine del tunnel”, precisa il nunzio. Nel rapporto con la popolazione, aggiunge in un colloquio con Fides l’arcivescovo maronita di Damasco, mons. Samir Nassar, che aveva parlato di “Paese in un vicolo cieco”, “siamo chiamati a dare un supporto psicologico, oltre che pastorale e spirituale, alla gente, stremata da sofferenza e precarietà”. Dal canto suo un sacerdote cattolico siriano di Damasco, che chiede l’anonimato, afferma che "la gente ci chiede: la Chiesa può svolgere il ruolo di mediazione tra gli antagonisti, per la riconciliazione?”. Il sacerdote racconta: “Negli ultimi mesi la situazione è divenuta sempre più tesa. I fedeli hanno timore di recarsi in chiesa. La scarsità di combustibile, gas ed elettricità, acuisce la sofferenza quotidiana. La disoccupazione dei giovani, speranza per il nostro futuro, aumenta. Si teme l'esodo dei cristiani d'Oriente, come conseguenza dell’ampliarsi della violenza e del radicalismo religioso. E quale futuro avrebbe la Chiesa senza giovani?”. (R.P.)
Anglicani: il primate Williams annuncia le dimissioni per fine anno
◊ L’arcivescovo di Canterbury e primate della comunione anglicana, Rowan Williams, ha annunciato oggi che si dimetterà dal suo ruolo alla fine dell’anno. La sua decisione arriva dopo dieci anni di servizio e dopo aver accettato la posizione di Master of Magdalene College, Cambridge. In una dichiarazione il Primate di tutta l’Inghilterra afferma: “È stato un immenso privilegio servire come arcivescovo di Canterbury negli ultimi dieci anni, e la decisione non è stata facile. Durante il tempo rimanente c’è molto da fare, e chiedo le vostre preghiere e il sostegno in questo periodo”. Williams ha inoltre garantito che continuerà a servire, con lo stesso impegno e ispirazione, “la missione e la testimonianza della Chiesa”. L‘arcivescovo di Canterbury svolge un ruolo di unità nella Comunione Anglicana. E’ presidente del Consiglio consultivo anglicano (Acc) e dell‘Assemblea dei primati. In questi ruoli Rowan Williams ha viaggiato molto, visitando le province e le diocesi di tutto il mondo. Come primus inter pares tra i vescovi, ha una particolare attenzione per coloro che svolgono il ministero episcopale. Dopo l‘annuncio, il segretario generale della Comunione anglicana Canon Kenneth Kearon ha scritto ai membri del Comitato permanente per informarli della decisione. Ha chiesto loro di ricordare l‘arcivescovo Rowan e la sua famiglia durante questo periodo di transizione. Il tempo del suo ministero “ha coinciso con un periodo di fermento, di cambiamento e di sviluppo nella Comunione anglicana – ha aggiunto il segretario della Comunione anglicana - e la sua leadership attenta, profondamente radicata nella spiritualità e nella teologia, ha rafforzato e ispirato tutti noi nella Comunione durante questo tempo”. L’arcivescovo di Westminster, mons. Vincent Nichols, è stato tra le prime personalità del mondo cattolico a esprimere un omaggio a Rowan Williams. “Negli ultimi tre anni - ha detto l’arcivescovo - l’apprezzamento per le qualità dell’arcivescovo Rowan è cresciuto sempre di più: la sua gentilezza, il suo acuto intelletto, la sua dedizione alla ricerca di armonia tra i popoli, in particolare all’interno della famiglia cristiana, il suo coraggio e la sua amicizia. Mi mancheranno questi tratti della sua personalità quando si dimetterà dal suo ufficio in dicembre. Mi mancherà. Lo ringrazio per tutto il servizio che ha svolto, ricordando in particolare il suo caloroso benvenuto a papa Benedetto XVI a Lambeth Palace, una visita ricambiata con gioia simile proprio la settimana scorsa. Ora guardo avanti per continuare a lavorare insieme nei prossimi nove mesi”. (M.G.)
Congregazione per la Dottrina della Fede: lanciata la nuova pagina web
◊ La raccolta di tutti i pronunciamenti postconciliari, informazioni aggiornate circa le pubblicazioni della Collana "Documenti e Studi”, notizie circa i volumi degli Atti di Simposi promossi dalla Congregazione e vari interventi dei cardinali Prefetti. Questo e molto altro sarà accessibile per tutti i fedeli e specialmente per coloro che sono impegnati, a nome della Chiesa, nell'ambito teologico e pastorale sulla nuova pagina web della Congregazione per la Dottrina della Fede, www.doctrinafidei.va. In una nota la Congregazione spiega che l’iniziativa ha lo scopo di diffondere l’insegnamento del dicastero, i cui documenti, approvati espressamente dal Santo Padre, partecipano al Magistero ordinario del Successore di Pietro. Infatti, soprattutto i documenti emanati dal tempo del Concilio Vaticano II fino ad oggi – si legge ancora nella nota – trattano questioni importanti per la vita e la missione della Chiesa, offrendo risposte dottrinali sicure alle sfide che ci stanno davanti. I principali documenti saranno presenti in otto lingue: oltre alla versione latina, anche in francese, inglese, italiano, portoghese, spagnolo, tedesco e polacco, e qualche volta anche in ungherese, slovacco, ceco e olandese. Si sta procedendo nel completamento della raccolta di tali versioni elettroniche delle traduzioni. Già attualmente ogni documento viene offerto comunque in lingua originale e in qualche traduzione. La raccolta contiene una lista completa di tutti i pronunciamenti postconciliari della Congregazione, che vengono riproposti anche in tre liste tematiche: quella di natura dottrinale, quella di natura disciplinare e quella riguardante i sacramenti. Nella stessa pagina internet si trovano informazioni aggiornate circa le pubblicazioni della Collana "Documenti e Studi", che ripubblica i più importanti documenti del Dicastero illustrati da commenti di alcuni teologi autorevoli. Inoltre si offrono notizie circa i volumi degli Atti di Simposi promossi dalla Congregazione, nonché vengono pubblicati vari interventi dei cardinali Prefetti. (M.G.)
Africa: per la siccità crollo dei raccolti nei Paesi del Sahel
◊ Cresce il rischio carestia nei Paesi dell’Africa occidentale e del Sahel dove la campagna agricola 2011-2012 è stata segnata da un calo delle produzioni cerealicole dal 15 al 52% rispetto alla stagione precedente, con una media per l’Africa occidentale del 25%. A lanciare l’allarme è Comitato intergovernativo di lotta alla siccità nel Sahel (Cilss) che si è riunito nei giorni scorsi ad Abidjan, capitale commerciale della Costa d’Avorio. Secondo gli esperti dell’organismo regionale, citati dall’agenzia Misna, il crollo della produzione agricola è stato causato dall’irregolarità delle precipitazioni e dal conseguente deficit idrico che sta ora ipotecando le colture ad uso alimentare (frutta e verdura) e i raccolti attesi in queste settimane, prima di poter nuovamente seminare a maggio. Una situazione con pesanti ripercussioni sul mercato che registra prezzi in costante aumento. “Urge definire una strategia comune e soluzioni a lungo termine per risolvere il problema ciclico delle crisi alimentari che colpiscono la nostra regione” ha detto il ministro ivoriano dell’Agricoltura, Minayaha Siaka. Ad Abidjan i rappresentanti del Cilss e della Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale (Ecowas/Cedeao) hanno messo in comune tutti i dati statistici a disposizione per avere un quadro realistico della situazione alimentare regionale e hanno realizzato una mappa delle zone e popolazioni più a rischio. Il Cilss è stato fondato nel 1973 da dieci Paesi, tra cui Mauritania, Senegal, Guinea, Niger, Mali, Burkina Faso, e dal 2006 ne fanno parte tutti gli Stati membri dell’Ecowas. A lanciare l’allarme sull’insicurezza alimentare comune a diversi Paesi del Sahel è anche la ‘Caritas Niger’ al termine di una missione svolta nel dipartimento agricolo di Dakoro (centro-est). “Mancano 700.000 tonnellate di viveri a causa di piogge insufficienti ma anche delle cavallette che hanno distrutto molte colture sul nascere come nel villaggio di Takouda. Lì il deficit di cereali è del 70%”, scrive Serge Xavier Oga della Caritas Niger. “In pochi giorni - aggiunge il rappresentate della Caritas - 30 giovani (su una popolazione di 642 abitanti) sono partiti per la Nigeria in cerca di un lavoro. Il capo villaggio è preoccupato per l’insicurezza nel Paese confinante, ma i granai sono ormai vuoti”. L’organizzazione umanitaria cattolica riferisce anche di un quotidiano fatto di “razionamenti alimentari”, “bambini che si ammalano di frequente a causa della malnutrizione”, “pozzi vuoti e capi di bestiame svenduti pur di comprare un po’ di cibo”, ma anche di “solidarietà tra le popolazioni dei villaggi più colpiti dalla carestia”. (M.G.)
Malawi: la società civile chiede le dimissioni del presidente
◊ Il presidente Bingu wa Mutharika deve risolvere i problemi economici e politici del Malawi o rassegnare le dimissioni entro due mesi: a chiederlo sono gli esponenti della società civile protagonisti di un’assemblea che si è conclusa ieri in una cattedrale cattolica sotto la sorveglianza della polizia antisommossa. “Tutti i partecipanti all’incontro – dicono all'agenzia Misna giornalisti dell’emittente cattolica ‘Luntha Tv’ – hanno concordato che se i problemi non saranno risolti e il presidente non rassegnerà le dimissioni si dovrà convocare un referendum entro tre mesi”. L’assemblea, organizzata da una piattaforma denominata Comitato per gli affari pubblici, si è tenuta nella sala di una cattedrale alle porte della capitale economica Blantyre. All’incontro hanno partecipato anche vescovi anglicani e cattolici, convinti che il governo sia responsabile di una crisi economica senza precedenti e di una preoccupante restrizione delle libertà civili e politiche. Nell’ultimo anno milioni di cittadini del Malawi hanno subito le conseguenze di un forte carovita, legato anche a una crisi diplomatica con l’Inghilterra che ha determinato la sospensione di vari programmi di aiuto. Nel luglio scorso, la repressione di manifestazioni di protesta in varie città aveva provocato 19 vittime. Nel documento conclusivo dell’incontro di Blantyre, che dovrebbe essere pubblicato domenica, è prevista la convocazione di nuovi cortei. (R.P.)
Usa: solidarietà dei vescovi per le vittime della violenza in Medio Oriente
◊ I vescovi degli Stati Uniti seguono con attenzione e preoccupazione l’evolversi della situazione in Medio Oriente ed esprimono la loro vicinanza e solidarietà non solo ai cristiani, ma a tutte le popolazioni della regione. In una dichiarazione diffusa dalla Commissione amministrativa della Conferenza episcopale (Usccb) riunita a Washington, i presuli rivolgono un accorato appello alla “conversione dei cuori di coloro che seminano divisioni e odio” e affinché i leader politici locali “dimostrino rispetto per i diritti e la dignità di tutti i cittadini dei loro rispettivi Paesi”. “La pace, che è un dono di Dio - si legge nella dichiarazione – deve essere un obiettivo di tutti i Paesi, non solo al proprio interno, ma anche nei rapporti con tutte le nazioni e i popoli della regione”. “Quando donne e bambini innocenti vengono trucidati, quando vengono uccisi giornalisti che svolgono il loro mestiere, quando persone indifese vengono eliminate mentre si recano al lavoro o anche nelle loro case, i responsabili devono essere assicurati alla giustizia”, afferma ancora la nota, ricordando che la violenza genera violenza e che “la guerra è sempre una sconfitta per l’umanità”. Di qui, in conclusione, l’appello a tutte le persone di buona volontà a farsi “costruttori di pace” rifiutando la logica dell’odio e della morte. I vescovi americani esortano in particolare le Chiese cristiane e i leader delle altre religioni nella regione a rinnovare il loro impegno a collaborare, pregare e a prestare la loro mediazione per “offrire un’alternativa al conflitto e alla violenza”. (L.Z.)
Israele: messaggio di pace della comunità cattolica ebreofona di Beer Sheeba
◊ Sono giorni di ansia e paura per la piccola comunità cattolica di espressione ebraica di Beer Sheeba, capitale del Negev, a sud di Israele, che sta vivendo gli attacchi con missili grad da parte di miliziani della Jihad islamica della Striscia di Gaza. L’ultimo lancio risale alla serata di mercoledì, con Israele che ha risposto con due raid aerei contro Gaza e Khan Yunis. Una tornata di violenza che ha provocato fino ad oggi 26 vittime palestinesi tra le quali un ragazzo di 15 anni ed un bambino di 7. Una situazione di pericolo che ha indotto domenica scorsa don Gioele Salvaterra, fidei donum della diocesi di Bolzano-Bressanone, da due anni e mezzo in Israele, dove guida la kehilla di Beer Sheeba, a celebrare la messa nel rifugio della casa della comunità. “Questa scelta – ha raccontato il sacerdote all'agenzia Sir - è stata dovuta alla necessità di sentirsi più tranquilli, dopo che due ore prima della messa, un missile è caduto non lontano dalla nostra casa. Abbiamo voluto incontrarci ugualmente nel rifugio e i fedeli, sono circa 40 quelli che vengono la domenica, hanno accettato questa scelta”. “C’è paura e ansia ma non perdiamo la speranza della pace – ha proseguito don Gioele - . Desideriamo la pace e la giustizia, non vogliamo la vittoria di una o dell’altra parte. In questo conflitto non ci sono vincitori ma solo sconfitti. La nostra comunità – ha aggiunto - sta vivendo questi giorni con ansia certamente ma anche con la speranza che presto tutto finisca e che, israeliani e palestinesi, si possa tornare a vivere senza paura”. A soffrire sono soprattutto i bambini, spiega don Salvaterra: “I bambini sanno quello che sta accadendo, lo apprendono dai genitori, dagli amici. Ciò che cerchiamo di fare è farli sentire protetti, ascoltare le loro paure. Spesso vengono qui per la messa e sentono il bisogno di raccontare ciò che è successo, cose come le corse a notte fonda nei rifugi, dopo l’allarme”. Dalla comunità cattolica ebreofona di Beer Sheeba filtrano anche diverse testimonianze come quella della piccola Salma: “la situazione non è normale. Gli abitanti non sono abituati alla frequenza del suono delle sirene come in questi giorni. Le scuole sono rimaste chiuse e noi bambini siamo in qualche modo felici per questo ma i nostri genitori soffrono ed hanno paura per noi. Noi continuiamo a pregare”. Quella preghiera che ispira apertura ed accoglienza come spiega ancora il sacerdote: “Il messaggio che le nostre comunità cattoliche di espressione ebraica possono veicolare nella situazione che viviamo è quello di apertura all’altro, israeliano e palestinese. Abbiamo bisogno di apertura e di accoglienza e per questo - conclude don Gioele - leviamo le nostre voci per la pace e la calma nel Sud e per tutti coloro che soffrono”. (M.G.)
Laos: nuove persecuzioni contro la comunità cristiana
◊ Imprigionamenti, ricatti, diritti negati e minacce volte a far rinnegare la fede cristiana. È quanto ancora avviene in Laos da parte della autorità comuniste che hanno rafforzato la loro campagna di persecuzione a seguito delle molte conversioni registrate nel recente passato. Particolarmente colpita è la comunità protestante fra la quale nelle ultime due settimane si sono registrati due diversi casi, contro un neo-convertito in un villaggio della provincia di Luang Namtha e ai danni di 10 famiglie a Luang Prabang. Secondo quanto riferisce l'agenzia AsiaNews, la prima vicenda riguarda un uomo di nome Khamla, il solo cristiano di un villaggio nel distretto di Viengphuka, provincia di Luang Namtha. Egli si è convertito di recente, dopo essere guarito da una lunga malattia per le fervide preghiere recitate ogni giorno da un amico in un vicino distretto. Le autorità lo hanno più volte convocato intimandogli di abbandonare la fede cristiana. Al rifiuto opposto, il 2 marzo scorso gli agenti lo hanno posto di fronte a un'alternativa: abbandonare la propria casa e il villaggio, oppure rinunciare alla fede. Questo perché, raccontano alcuni testimoni, “le autorità vogliono tenere il cristianesimo lontano da Viengphuka”. Al momento non vi sono notizie certe sulla sua sorte, per la rigida censura imposta sulla vicenda. Risale invece alla seconda metà di febbraio l'ordine di espulsione emanato dai funzionari del villaggio di Hueyong, nel distretto di Pakoo, provincia di Luang Prabang, nei confronti di 10 famiglie cristiane per un totale di 65 fedeli. Otto di 10 famiglie si sono convertite solo tre mesi fa, ma senza il "permesso" dell'ufficiale degli Affari religiosi della zona che, per questo, ha lanciato una dura campagna di persecuzione. In Laos, nazione guidata da un regime comunista, la maggioranza della popolazione (il 67%) è buddista; su un totale di sei milioni di abitanti, i cristiani sono il 2% circa della popolazione, di cui lo 0,7% cattolici. (M.G.)
Pakistan: a Faisalabad Messa di commiato di mons. Coutts, neo arcivescovo di Karachi
◊ "Voglio ringraziare l'intera comunità diocesana, perché non sarei mai stato in grado di portare questa croce così pesante senza il vostro aiuto, l'amore, il sostegno e le preghiere". Con queste parole commosse e riconoscenti mons. Joseph Coutts, neo arcivescovo di Karachi, ha salutato la comunità di Faisalabad, che guidava dal 1998. Il 14 marzo scorso in cattedrale - riferisce l'agenzia AsiaNews - il prelato ha celebrato la Messa di commiato, alla quale hanno partecipato 800 persone fra cui sacerdoti, suore, catechisti, studenti, giornalisti e rappresentanti della società civile. Il giorno successivo è partito alla volta dell'arcidiocesi di Karachi, non prima di aver reso grazie "al buon Dio e al Santo Padre per avermi scelto alla guida della comunità cristiana". Mons Coutts è presidente della Conferenza episcopale pakistana e augura "a tutti i cristiani di essere uniti e diffondere il messaggio di amore, pace, armonia e gli insegnamenti di Gesù Cristo". Lanci di fiori, canti e preghiere hanno accolto l'arrivo di mons. Coutts in cattedrale, per la celebrazione dell'ultima messa nella storica diocesi di appartenenza. Durante la funzione ha ricevuto lo scudo della fede per l'impegno profuso a favore del dialogo interreligioso e della pace, insieme a molti altri doni portati dalle centinaia di persone presenti al rito. Il pastore Samson della Chiesa presbiteriana ha ricordato "la legge del 2008 approvata grazie all'impegno personale" dell'arcivescovo, che garantisce una riduzione di sei mesi della pena per i carcerati cristiani che portano a termine uno studio sulla Bibbia in prigione. Padre Bashir Francis, sacerdote diocesano, si è rivolto al prelato augurandogli che "Karachi possa diventare terra di pace, grazie alle sue iniziative". Il presidente della Congregazione di La Salle, padre Shahsaz Gill, ricorda l'impegno di mons. Coutts nel campo dell'istruzione e della formazione della comunità cristiana; padre Parvez Emmanuel, ex vicario generale di Faisalabad, vede infine "un riflesso di Gesù Cristo nell'arcivescovo" perché è "un simbolo di semplicità, umiltà e pace". Mons. Jospeh Coutts, 66 anni, è nato il 21 luglio 1945 ad Amritsar, in quella che era l'India britannica ai tempi del colonialismo. Egli ha studiato nel seminario di Karachi e il 9 gennaio 1971 a Lahore è stato ordinato sacerdote. In seguito ha guidato il Seminario minore della città, prima di essere nominato vicario generale dal 1986 al 1988. Il 5 maggio di quell'anno l'elezione a vescovo di Hyderabad, dove ha difeso i diritti dei contadini poveri e si è battuto per la nascita del vicariato apostolico di Quetta. Il 27 giugno 1998 il trasferimento a Faisalabad, dove ha aperto il terreno al dialogo con i leader religiosi musulmani e ha gettato i ponti per il dialogo fra culture. Al termine della messa, il prelato ha annunciato che mons. Rufin Anthony - vescovo di Islamabad/Rawalpindi - ricoprirà l'incarico di amministratore apostolico della diocesi di Faisalabad "con effetto immediato". (R.P.)
Paraguay: all’attenzione dei vescovi lo scontro fra senzaterra e coloni brasiliani
◊ E' in corso la 193.ma Assemblea della Conferenza episcopale del Paraguay (Cep) che analizza, fra gli altri problemi della realtà sociale del Paese, il conflitto creatosi tra i coltivatori di soia brasiliani e i contadini senza terra dell'est del Paese. Nella nota giunta all’agenzia Fides si legge che la Conferenza episcopale ha incluso, nella sua agenda di quest’anno, uno studio della situazione di Ñacunday, nel dipartimento dell’Alto Paraná, 400 km ad est di Asuncion. Gruppi di senza terra paraguaiani, che si fanno chiamare "carperos" (coloro che vivono nelle tende), si sono accampati in quella regione di confine con il Brasile, scontrandosi con agricoltori e coloni brasiliani, conosciuti in questo Paese come "brasiguayos". I "carperos", che dallo scorso settembre sono fermi nelle loro tende dinanzi alle aziende agricole dei coloni a Ñacunday, chiedono al governo la consegna dei terreni, perché secondo loro sono stati irregolarmente concessi ai "brasiguayos" durante la dittatura del generale Alfredo Stroessner (1954-1989). I vescovi affrontano la questione anche perché in questi giorni deve intervenire a questo proposito l'Istituto nazionale di Sviluppo rurale e della terra. L'Assemblea ha anche all'ordine del giorno l'elaborazione di un protocollo, richiesto dal Vaticano, per affrontare eventuali casi di pedofilia. L'Assemblea della Cep è iniziata il 14 marzo e si conclude oggi, venerdì 16. Alla prima sessione di lavoro ha partecipato il nunzio apostolico, l'arcivescovo mons. Eliseo Antonio Ariotti. (R.P.)
Pakistan: l'Associazione per le minoranze di Shahbaz Bhatti approda in Europa
◊ Arriva in Europa, aprendo ufficialmente sedi in diverse nazioni del continente, la “All Pakistan Minorities Alliance” (Apma), associazione della società civile pakistana, fondata nel 2002 da Shahbaz Bhatti, il Ministro cattolico per le Minoranze, assassinato un anno fa a Islamabad. L’Apma è fra le maggiori organizzazioni della società civile pakistana, nata per tutelare e difendere le minoranze religiose (che nel Paese sono soprattutto cristiani e indù). Include sedi e rappresentanti in tutte le province del Pakistan e ha lanciato campagne contro la discriminazione e per la piena cittadinanza delle minoranze religiose in Pakistan. Come riferisce all’agenzia Fides, Paul Bhatti, fratello del Ministro ucciso e attuale Presidente dell’Apma, “molti pakistani in Europa si stanno impegnando per gli stessi ideali e per la difesa delle minoranze religiose, in Pakistan e in altre parti del mondo, nello spirito di Shahbaz. L’Apma ora intende riconoscere questo lavoro e rafforzare la rete di quanti, nelle sedi internazionali, intendono continuare l’opera di giustizia, pace, libertà, armonia promossa da Shabhaz”. L’Apma in passato ha segnalato l’abuso della legge sulla blasfemia come “strumento di oppressione delle minoranze”. I suoi membri svolgono un’opera di sensibilizzazione culturale ma anche di aiuto materiale, a livello legale e sociale, per i cittadini pakistani delle minoranze, vittime di ingiustizie a causa della loro fede religiosa. L’Apma si ispira a valori come la dignità dell’uomo, la democrazia, lo Stato di diritto, la giustizia economica e sociale, il dialogo, i diritti per gli emarginati. L’Apma avrà una sede italiana, affidata al coordinamento del prof. Mobeen Shahid, nonchè rappresentanti in Francia, Spagna, Portogallo e, prossimamente, in altri Paesi europei. (R.P.)
Irlanda: i vescovi chiedono un Ministero per gli emigranti
◊ Sostenere i nuovi irlandesi costretti ad emigrare e mantenere un contatto tra loro e la madre patria. A tale scopo i vescovi irlandesi hanno chiesto al governo di Dublino l’istituzione di un Ministero per gli emigrati e di prevedere incontri con gli emigrati e le cappellanie all’estero in occasione della festa nazionale di S.Patrizio, che si celebra il 17 marzo. La richiesta, formulata ieri da mons. John Kirby, direttore del Consiglio episcopale irlandese per gli emigrati, è fondata sulla constatazione che negli ultimi anni, a causa della crisi economica e della povertà, è aumentato il numero di irlandesi che decide di cercare lavoro all’estero. “Non è esagerato dire che il flagello dell’immigrazione colpisce ogni famiglia irlandese – spiega all'agenzia Sir mons. Kirby -. Perciò serve una risposta politica tangibile”. Iniziative di questo tipo, ha precisato, “avrebbero un duplice beneficio: in Irlanda, ci ricorderemmo della situazione dei nostri emigrati. E loro sapranno di avere il nostro sostegno”. Secondo l‘Ufficio centrale irlandese di statistica nei primi quattro mesi del 2011 sono emigrati oltre 40.200 irlandesi, un aumento del 45% rispetto all’anno precedente. Intanto il Consiglio episcopale irlandese per gli emigrati ha lanciato oggi un pacchetto informativo - “Emigrants information pack” - che contiene materiali informativi per “permettere a chi emigra di prendere decisioni informate e sostenerli nella loro nuova vita all‘estero”. Il pacchetto comprende, tra l’altro, una serie di storie ed esperienze degli emigrati irlandesi; informazioni pratiche su visti, alloggi, lavoro e assicurazione sanitaria. Mons. Kirby racconta di aver “sperimentato diverse ondate migratorie”, e anche oggi le persone che incontra sperimentano “lo stesso dolore e senso di perdita che ho visto nelle generazioni precedenti: il tempo può cambiare le circostanze e i motivi per emigrare ma non diminuisce il dolore e il trauma di una persona costretta a lasciare i suoi affetti a casa per cercare una vita migliore altrove”. La tragedia delle migrazioni, sottolinea, “è che separa le persone da una delle più grandi risorse della vita”, ovverossia la famiglia. (M.G.)
Il cardinale Bagnasco: i comandamenti al centro del "cammino europeo"
◊ “Quando Dio viene oscurato anche l’uomo si perde, si smarrisce. La mentalità moderna sembra avere dimenticato che, dove c’è Dio, l’uomo prospera nel suo mondo interiore e, quindi, affronta meglio i problemi e le situazioni di vita, sia personali, sia sociali. Ma laddove Dio viene oscurato, il fondamento della dignità umana, che deve essere il criterio, la misura di ogni attività in qualunque ambito, si perde. È inevitabile, perché l’uomo viene piegato inesorabilmente a leggi diverse rispetto alla sua dignità intrinseca”. Ad affermarlo - riferisce l'agenzia Sir - l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, nell’omelia che ha pronunciato questa mattina durante la Messa celebrata per i lavoratori di Ansaldo Sts a Genova Sampierdarena. La messa odierna è la terza, in pochi giorni, celebrata dal cardinale Bagnasco per le aziende del Gruppo Finmeccanica dopo Selex-Elsag e Ansaldo Energia. “Dio - ha detto l’arcivescovo - è fondamento e garante, ce lo dicono i comandamenti. Dio ci ha dato dei comandamenti che spesso sono stati dimenticati credendo, la cultura moderna in Italia, in Europa e in altre parti del mondo, di poter fare a meno di Dio e di poter essere legge a sé stesso. I risultati li vediamo in tanti campi del vivere sociale e civile, nella nostra vita personale e familiare, nei nostri ambienti: quando Dio viene oscurato anche l’uomo si perde, si smarrisce”. L’arcivescovo ha ricordato che quello dei comandamenti, “insieme ad essere un discorso chiaramente religioso, è anche radicalmente e profondamente umano. Non per niente i padri dell’Europa, Schumann, Adenauer e De Gasperi avevano pensato di porre come fondamento di questo cammino europeo i comandamenti di Dio non per una ambizione teocratica ma per un’intelligenza umana”. “Quando c’è il fondamento vero nella vita di una persona, nella vita di una famiglia, di una società, di un’azienda, di una cultura, della politica, dell’economia, della finanza - ha proseguito - non ci sono dei derivati che prendono il sopravvento, allora diventa tutto più facile per poter risolvere le inevitabili difficoltà, a volte anche gravi, che la vita, le circostanze, la globalizzazione incombono”. Il porporato ha quindi pregato per chiedere a Dio “il dono della saggezza perché se non c’è la saggezza nelle piccole cose, non ci sarà mai neppure nelle grandi e la saggezza richiede di cogliere il fondamento vero delle cose, avere un ordine, una gerarchia di valori”. E “la persona è sempre la misura di ogni altra decisione, per questo deve essere tenuta al centro di ogni prospettiva, di ogni soluzione”. E “richiede anche quella lungimiranza che ci fa vedere e prendere in considerazione non solamente i risultati immediati, auspicabili, ma anche le prospettive di lunga durata”. (R.P.)
Oltre metà dei seminaristi è su Facebook. Il clero italiano comunica sui social network
◊ L’uso dei social Net Work è sempre più diffuso fra il clero cattolico italiano. È quanto emerge da una ricerca condotta dal Cremit dell’Università Cattolica di Milano e dal Dipartimento Istituzioni e Società dell’Università di Perugia. I ricercatori di questi due atenei hanno indagato per conto della WeCa (Associazione Webmaster Cattolici Italiani) l’uso di Facebook da parte di sacerdoti, religiosi e seminaristi, mettendo a fuoco un quadro di grande ricchezza e di grande attenzione nei confronti dei social media. Risulta infatti che 20% dei diocesani e dei religiosi ha un profilo su Facebook. Si tratta di una percentuale elevata se la si confronta con il dato più generale dei cittadini italiani. La percentuale sale addirittura al 59,7% nel caso dei seminaristi, segno evidente della maggiore frequentazione di questi ambienti da parte delle generazioni più giovani. Da alcuni primi dati appare una differenza numerica di presenza da parte delle religiose rispetto ai religiosi. Emergono anche differenze tra nord e sud del Paese: il meridione in questo caso appare come l’universo maggiormente digitalizzato rispetto ad un nord che invece sembra essere meno incline all’uso dei media sociali e partecipativi. Alla luce di questi primi dati la ricerca nelle fasi successive della ricerca si cercherà di spiegazioni circa le peculiarità di utilizzo da parte dei religiosi attraverso un approfondimento qualitativo che si baserà sulla social network analysis e sullo studio semiotico e comunicativo dei singoli profili.WeCa è la prima iniziativa europea del suo genere che intende unire, in una comunità viva e in continua sinergia, le conoscenze e le esperienze dei Webmaster Cattolici. Sono infatti circa 15.000 i siti cattolici italiani. WeCa è riconosciuta nel "Direttorio delle Comunicazioni Sociali", come importante realta' nella missione della Chiesa. (M.G.)