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Sommario del 15/03/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il nunzio a Cuba: il Papa riconcilierà i cubani. Dissidenti occupano chiesa all'Avana
  • Il Papa affida le meditazioni per la Via Crucis a una coppia di coniugi del Movimento dei Focolari
  • Udienze e nomine
  • Il cardinale Bertone: il diritto della Chiesa mette al centro la persona umana
  • Forum di Marsiglia: smentito il raggiungimento degli obiettivi del millennio sull'acqua in Africa
  • Santa Sede: diritti delle minoranze violati nel mondo. I cristiani pagano il prezzo più alto
  • Ratifica di Accordo tra Santa Sede e Mozambico
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ancora morti in Siria. L'Olanda chiude l'ambasciata a Damasco
  • Il prof. Baggio su unioni gay: matrimonio uomo donna non è questione di fede ma diritto naturale
  • Mine anti-uomo: in Colombia il primo comune bonificato è San Carlos
  • Lavoro, parti sociali convocate dal governo per martedi. L'opinione del Mcl
  • Rapporto Emn: cala la presenza degli immigrati irregolari in Italia, sono 500 mila
  • Dopo 244 anni l'Enciclopedia Britannica lascia la carta per il digitale
  • Il Pontificio Ateneo Salesiano di Roma in festa per la Giornata dell’università
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Messico: il Senato approva la norma della Costituzione che riconosce la libertà religiosa
  • Usa: nuova nota dei vescovi in difesa della libertà religiosa
  • Siria. L’arcivescovo maronita: “Cristiani impotenti, conflitto in un vicolo cieco”
  • Pakistan: liberi due ostaggi svizzeri, speranze per gli altri stranieri in mano ai talebani
  • Pakistan. Lahore: paura e angoscia fra i familiari della giovane arrestata per blasfemia
  • India: proteste di Chiesa e pescatori contro la centrale nucleare in Tamil Nadu
  • Kenya: allarme sicurezza nel campo profughi di Dadaab dove vivono 500 mila somali
  • Corte dell’Aja: Thomas Lubanga riconosciuto colpevole per aver reclutato bambini-soldato
  • Rwanda: morto mons. Misago, accusato e assolto per il genocidio del 1994
  • Kuwait. Mons. Ballin: no alla proposta di legge che limita nuovi luoghi di culto cristiani
  • Sinodo Armeno Cattolico. Appello ai fedeli in Medio Oriente: restate attaccati alle vostre radici
  • La Palestina vuole la Basilica della Natività patrimonio dell’Unesco: perplessità dei cristiani
  • Haiti-Repubblica Dominicana: i vescovi creano una commissione per la ricostruzione
  • Cile: solidarietà dei religiosi alla popolazione di Aysén, mentre riparte il dialogo
  • Ucraina: i vescovi chiedono l'abolizione della legge sull'aborto
  • Germania: in corso la Settimana della fraternità ebraico-cristiana
  • Genova. Il cardinale Dziwisz: Giovanni Paolo II, un Papa a servizio di Dio e dell'uomo
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il nunzio a Cuba: il Papa riconcilierà i cubani. Dissidenti occupano chiesa all'Avana

    ◊   A undici giorni dalla visita apostolica di Benedetto XVI a Cuba, un gesto dimostrativo da parte di un gruppo di dissidenti sta turbando gli ultimi preparativi della Chiesa dell’Avana. Da due giorni, tredici persone sono barricate nella chiesa di Nostra Signora della Carità e rifiutano di lasciarla. L’arcivescovado ha commentato il gesto come “un atto illegittimo e irresponsabile”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Non si è trattato di un evento “casuale”, ma di una “strategia coordinata” e sviluppata in varie regioni. È questa la conclusione cui sono giunti i vertici della Chiesa di Cuba e le autorità civili dell’Isola dopo aver valutato quanto accaduto negli ultimi giorni con una serie di tentativi di occupazione di chiese da parte di gruppi di dissidenti. In effetti, in nessun caso è accaduto quanto invece è tuttora in corso nella Basilica di Nostra Signora della Carità dell’Avana. Il gruppo si era presentato martedì scorso per consegnare al rettore del Santuario un messaggio per Benedetto XVI, con una serie di rivendicazioni sociali, ma si era poi rifiutato di uscire, di fatto barricandosi all’interno. Qualsiasi promessa di non intervento da parte delle forze dell’ordine – come pure l’offerta di poter essere riaccompagnati a casa con auto della chiesa – non ha fatto finora desistere i 13 occupanti, uomini e donne, che dal 13 marzo si sono rinchiusi nel Santuario mariano. È un’azione architettata “con l’apparente scopo di creare situazioni critiche mentre si avvicina la visita di Benedetto XVI a Cuba”, rileva una nota dell’arcivescovado cubano, che riferisce di altri tentativi analoghi, terminati però senza alcuna occupazione di suolo sacro, e di altre iniziative mai nemmeno avviate perché bollate da altri gruppi di dissidenti come un atto “irrispettoso verso la Chiesa.” “Qualsiasi azione che miri a convertire il tempio in un luogo di pubblica manifestazione politica, ignorando l'autorità del sacerdote, o il diritto della maggioranza che vi si reca in cerca di pace spirituale e spazio per la preghiera, è certamente una atto illegittimo e irresponsabile”, scrive in una nota ufficiale mons. Orlando Marquez Hidalgo, portavoce della curia. “La Chiesa ascolta e accoglie tutti, e intercede per tutti, ma non può accettare i tentativi di falsare la natura della sua missione o che potrebbero minacciare la libertà religiosa di coloro che visitano le nostre chiese”. Nessuno, conclude il comunicato, “ha il diritto di trasformare le chiese in trincee politiche. Nessuno ha il diritto di distruggere lo spirito celebrativo dei fedeli cubani e di molti altri cittadini che attendono con gioia e speranza la visita di Papa Benedetto XVI a Cuba”.

    Mentre, dunque, la Chiesa cubana affronta la questione dei dissidenti, si mettono a punto gli ultimi preparativi per la visita del Papa, atteso a Santiago di Cuba per il primo pomeriggio, ora locale, del 26 marzo. Luca Collodi ha chiesto al nunzio apostolico nel Paese, l’arcivescovo Bruno Musarò, come stia procedendo l’organizzazione della visita:

    R. – Procede a gonfie vele. Grazie a Dio, e in poco tempo, dall’annuncio del 10 novembre. Il tempo è stato breve, ma forse anche questa brevità di tempo ha spinto le due Commissioni, della Chiesa e del governo, a lavorare assiduamente, con celerità, nei preparativi. E devo dire che veramente si è lavorato molto bene. Adesso si stanno ultimando i dettagli.

    D. – Il Papa visita Cuba al termine del pellegrinaggio della statua della Madonna della Carità del Cobre, che ha attraversato tutta l’isola nelle settimane passate. Si può parlare di una “primavera della fede”?

    R. – Infatti, è proprio questa la sensazione che si è avuta durante tutto questo pellegrinaggio dell’immagine mariana, da parte dei vescovi, da parte dei sacerdoti. Si è vista praticamente la fede della gente semplice, la devozione alla Madonna, che magari era stata quasi coperta dalla polvere in tutti gli anni passati, perché l’ultimo pellegrinaggio della Madonna della Carità del Cobre, che è la patrona di Cuba non si faceva da 50 anni. Si pensi che la generazione attuale, praticamente, non ricordava niente, anche se ne avevano sentito parlare dai propri genitori o dai nonni. Allora, il passaggio della Madonna – che, bisogna dirlo, ha visitato tutti, tutti i paesi e paesini di tutte le undici diocesi di Cuba – ha suscitato un entusiasmo e un fervore che forse neppure ci si aspettava da parte dei vescovi.

    D. – Fu Giovanni Paolo II a compiere nell’isola un pellegrinaggio che ancora oggi viene definito “storico”. Cosa è cambiato da allora nella spiritualità dei cubani?

    R. – Bisogna dire che il pellegrinaggio di Giovanni Paolo II fu un evento storico, epocale possiamo dire, per l’isola di Cuba. Forse bisognerebbe dire che c’è stato un “prima” ed un “dopo” la visita del Beato Giovanni Paolo II. Sappiamo che in quell’occasione il governo ha reso festivo il 25 dicembre, per la festa del Natale da parte dei cristiani. Però, quello che ho potuto constatare è, come mi dicono i vescovi e i sacerdoti, che la visita di Giovanni Paolo II ha fatto sì che la gente, a poco a poco, è ritornata alla Chiesa, nel senso anche materiale del termine. Mentre prima la gente aveva paura di accedere nelle Chiese, adesso non ha più paura e a poco a poco le Chiese sono ritornate ad essere il luogo dell’incontro della comunità cristiana. Per cui si può dire che è cambiato non qualcosa, ma molto nella spiritualità dei cubani, nel senso che i cubani, un popolo cattolico come tutti i popoli dell’America Latina, ha riscoperto la sua spiritualità, ha riscoperto il fatto di essere cristiani, membri della Chiesa, devoti della Madonna. E a poco a poco si stanno rianimando le comunità cristiane in tutte le diocesi di Cuba.

    D. – Cosa si aspetta la gente dalla presenza del Papa?

    R. – C’è stato, in questi ultimi anni, con il nuovo presidente della Repubblica, qui a Cuba, un’apertura soprattutto in campo economico e questo ha suscitato e continua a suscitare molta speranza nei cubani. È una speranza nel senso che queste aperture continuino e si possa arrivare ad un tenore di vita più sereno, un tenore di vita che possa dare fiducia alla gente per impegnarsi con il lavoro per il bene comune della società. E allora questa gente si aspetta che la presenza di Benedetto XVI a Cuba, sulla scia della visita apostolica di Giovanni Paolo II, aiuti la società cubana ad aprirsi ancora di più. E qui nessuno dimentica, ed il governo stesso è contento di quanto disse Giovanni Paolo II, quello slogan che lanciò nel ’98: “Che Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba”. È questo, penso, il segreto desiderio che sgorga dal profondo del cuore di tutti i cubani. Ma soprattutto ci si aspetta dalla visita di Benedetto XVI, un processo di riconciliazione tra tutti i cubani. Ed è questo il punto su cui hanno insistito i vescovi durante il pellegrinaggio della Madonna, ed è questo il punto su cui stanno insistendo, preparando la visita di Benedetto XV I.

    D. – Mons. Musaró, nell’attuale società cubana, che rapporto c’è tra credenti ed atei?

    R. – Questo è un aspetto molto difficile da rilevare, perché sappiamo che dopo il trionfo della rivoluzione di Fidel Castro, nel 1959, dopo qualche anno Cuba fu definito un “Paese ateo”. Però, questo aspetto dell’ateismo fu tolto dalla Costituzione poco prima della visita di Giovanni Paolo II. Praticamente, non aveva nessun significato. Come si può parlare di un Paese ateo qui in America Latina? Più che altro, invece, bisogna rilevare che oltre ai cattolici, ci sono cristiani di altre confessioni e, purtroppo, anche invasioni di sètte protestanti, di sètte religiose, che è un fenomeno, tra l’altro, che sta caratterizzando tutta l’America Latina. Dunque non si può parlare di un rapporto tra cattolici ed atei; i vescovi, anzi, su questo punto dicono che il popolo di Dio, quelli che sono rimasti fedeli alla Chiesa, che cominciano a frequentare la Chiesa, non si distinguono in nulla dai cubani che, per circostanze storiche, si erano allontanati dalla Chiesa. E dunque questo è un fenomeno anche quasi di integrazione tra di loro che è sotto gli occhi di tutti. Cioè, questo ateismo era stata una cosa molto superficiale, secondo il mio parere.

    D. – La tradizione religiosa popolare cubana è caratterizzata dalla presenza della “santeria”. La Chiesa è preoccupata da questa forma di religiosità popolare?

    R. – La Chiesa è preoccupata di questa presenza perché è abbastanza diffusa, però sappiamo che questo fenomeno della “santeria” non è di adesso, ma viene già dai tempi della conquista, quando gli schiavi neri, che poi sono stati presenti nell’isola, vennero a contatto con la realtà cristiana e dunque hanno identificato, diciamo, i loro “dei” con il Signore, la Madonna, i Santi che i missionari, gli evangelizzatori presentavano nell’opera di evangelizzazione. Dunque, una specie di “sincretismo” che tuttora continua. Il fenomeno interessante di adesso – e questo è un fenomeno che bisogna studiare da parte nostra, della Chiesa, da parte dei vescov, bisognerà, un giorno, affrontarlo certamente in seno alla Conferenza episcopale – è che per poter entrare in questa, diciamo, sètta della “santeria”, si richiede il Battesimo nella Chiesa cattolica. È un aspetto che suscita molta preoccupazione e che certamente, un giorno o l’altro, si dovrà affrontare.

    D. – Le sètte trovano terreno fertile nella povertà cubana?

    R. – Sì, come in tutti i Paesi. Io ho avuto altre esperienze in America Latina, come per esempio in Guatemala ed anche in Perù, e sappiamo che queste sètte trovano il terreno fertile proprio negli ambienti più poveri. Perché? Perché loro, nel presentarsi, rispondono immediatamente – perché magari hanno dei fondi, dei soldi – ai bisogni più urgenti della gente. Ma poi, a poco a poco, vengono meno in questa loro offerta ed allora si verifica il fenomeno della delusione da parte di questa gente e, bisogna dire grazie a Dio, anche il ritorno di alcuni alla Chiesa cattolica dopo aver fatto questa esperienza negativa nella sètte. Però è un fenomeno preoccupante.

    D. – Mons. Musaró, come guarda la Chiesa cubana alla nuova evangelizzazione dell’isola?

    R. – La cosa molto, molto interessante è che questo pellegrinaggio della Madonna della Carità del Cobre in tutta l’isola è stato visto proprio come un fenomeno della nuova evangelizzazione. I vescovi, con alla guida il cardinale arcivescovo dell’Avana, stanno preparando un documento per raccogliere tutte le manifestazioni di questa fede, di questa devozione alla Madonna, come riscoperta della fede e proprio con il nuovo fervore della nuova evangelizzazione a cui ci sta esortando il Papa Benedetto XVI. Per cui i vescovi sono veramente entusiasti di quello che si è realizzato, di quello che si è verificato nella gente delle loro comunità diocesane con il passaggio della statua della Madonna. E certamente i vescovi hanno anche intenzione di presentare questo studio proprio al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione e alla stessa Congregazione per i Vescovi, che si è mostrata veramente molto, molto interessata a questo fenomeno cubano della nuova evangelizzazione attraverso la presenza della Madonna. E come sappiamo, in America Latina già con Giovanni Paolo II la Madonna è stata proclamata “Stella dell’Evangelizzazione”. È lei che annuncia per prima Gesù Cristo, tanto è vero che lo slogan del pellegrinaggio della Madonna era “A Gesù attraverso Maria. La carità ci unisce”. Questa è veramente la nuova evangelizzazione, soprattutto nel contesto storico – sociale di Cuba.

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    Il Papa affida le meditazioni per la Via Crucis a una coppia di coniugi del Movimento dei Focolari

    ◊   Benedetto XVI ha affidato ad una coppia di coniugi i testi di meditazione per la tradizionale Via Crucis al Colosseo nel Venerdì Santo, che quest’anno cade il 6 aprile: si tratta di Danilo e Anna Maria Zanzucchi, iniziatori del Movimento “Famiglie Nuove”, nell’ambito del Movimento dei Focolari. Le riflessioni avranno riferimenti al tema della famiglia. Lo schema della Via Crucis sarà quello delle 14 Stazioni “tradizionali”.

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    Udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, Sua Beatitudine Gregorios III Laham, Patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti (Siria), un gruppo di presuli della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti d’America, in visita ad Limina, e mons. Robert Zollitsch, arcivescovo di Freiburg im Breisgau, in Germania.

    Il Papa ha nominato Gran Maestro dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme il cardinale Edwin Frederick O'Brien, finora Pro-Gran Maestro del medesimo Ordine.

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    Il cardinale Bertone: il diritto della Chiesa mette al centro la persona umana

    ◊   Le parole di Gesù come guida normativa per la nascente Chiesa universale. Questo il tema del libro “Gesù il legislatore” di Onorato Bucci, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana e presentato ieri a Roma alla presenza del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il volume, realizzato con il contributo del Pontificio Comitato di Scienze Storiche e della Regione Molise, analizza le fonti sul Gesù storico a confronto con la tradizione israelitica e approfondisce lo sviluppo giuridico della Chiesa del primo millennio. Il servizio di Michele Raviart.

    Il Diritto canonico non è solo un mezzo utilizzato dalla Chiesa per adempiere alla sua missione, ma “acquista una dimensione di esemplarità per le società civili, inducendole a considerare il potere come un servizio alla comunità, nel supremo interesse della persona umana”. Così il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone introduce al volume “Gesù legislatore”, autorevole studio sul rapporto tra le parole di Cristo e la storia della Chiesa.

    “L’ordinamento canonico, nella sua tipicità originale e nella sua inconfondibile autonomia, non ha subito condizionamenti sostanziali e influssi determinanti da altri ordinamenti secolari o civili; la sua genesi è nel messaggio cristiano, che consente di connotare il medesimo ordinamento canonico di un carattere soprannaturale, dotato di mezzi spirituali e di grazia divina, per raggiungere il proprio fine: la Salus animarum”.

    La salvezza delle anime è quindi il supremo principio che ispira la Chiesa, quale unica depositaria della missione che Cristo vuole perpetuata nel tempo e nello spazio e del quale Gesù di Nazareth è il fondamento ultimo. In questo senso le parole del Maestro nel “discorso della montagna” sono una vera e propria “carta costituzionale” della Chiesa, in un tempo in cui morale e diritto spesso si fondevano tra loro, come ci spiega il professor Onorato Bucci, membro del Pontificio comitato di Scienze Storiche e autore del volume:

    “In Israele antico non c’era distinzione tra Ius e Fas, fra norma etica e norma giuridica, e fra atto interiore e atto esteriore, per cui è chiaro che Gesù era legislatore. Il concetto di carità era un concetto giuridico. Non è l’elemosina, ma è l’agape, e l’agape è un concetto giuridico. Dopo è diventato un concetto sociologico”.

    L’esigenza della Chiesa dei primi secoli di dotarsi di una struttura organizzativa nasce anche dal bisogno di regolamentare responsabilità e disciplina tra vescovi, presbiteri e diaconi, in un percorso che va dal Collegio apostolico dei Dodici al vicariato di Cristo del vescovo di Roma. Ancora il cardinale Tarcisio Bertone:

    “Nessun altro ordinamento è così antico, come quello della Chiesa, e nel contempo nessun altro diritto ha in sé tanta forza e capacità di rendersi interprete dei bisogni umani. Tale indole peculiare risiede al di là della portata di qualsivoglia potere legislativo statuale e si colloca nella visione soprannaturale del fattore religioso”.

    Una visione che supera il semplice diritto naturale e la legge mosaica, che peraltro Gesù ben conosceva e osservava. Afferma infatti il filosofo martire del II secolo Giustino nel suo Dialogo con Trifone: “A noi è stato dato Cristo come legge eterna e definitiva, dopo la quale non c’è altro comandamento o precetto”.

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    Forum di Marsiglia: smentito il raggiungimento degli obiettivi del millennio sull'acqua in Africa

    ◊   Tra trent’anni la popolazione raggiungerà i 9 miliardi e le risorse di acqua saranno meno di oggi: questo l’allarme lanciato dal VI Forum mondiale sull’acqua in corso fino a sabato a Marsiglia, in Francia. Dopo una prima parte istituzionale riservata tra l’altro a rappresentanti ufficiali di governi e di organizzazioni dell’Onu (Fao e Ifad), si è aperto il dibattito tra protagonisti di realtà molto diverse: ad esempio, un contadino del sud del mondo, un dirigente di una multinazionale, un rappresentante del settore delle banche, uno dell’organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo. Una tavola rotonda è stata dedicata alla questione dell’acqua in Africa. E’ emerso tra l’altro che non si deve parlare solo di acqua potabile, come spiega, nell’intervista di Fausta Speranza, Flaminia Giovanelli, sottosegretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace che ha partecipato all’incontro:

    R. - Per l’Africa è un’emergenza di lunga data e non ha tanto a che vedere con l’aumento della popolazione, quanto proprio con la difficoltà di trovare corsi d’acqua e di estrarla con le tecniche giuste. Questo fa sì che i responsabili africani abbiano essenzialmente un approccio pragmatico e tecnico al problema. Ho visto che ci sono informazioni e scambio di conoscenze delle buone pratiche a livello di diversi governi. Mi sembra che sia già attiva - e sembra anche essere promettente - l’attività del Consiglio dei ministri africani per l’acqua. Per esempio hanno preparato la partecipazione a questo forum con l’aiuto di vari forum nazionali.

    D. - Se si parla di acqua, si parla di scarsità di risorse in alcuni Paesi oggi, ed in altri Paesi nel futuro. Ma si parla anche dell’emergenza di gestione dell’acqua che adesso abbiamo a disposizione …

    R. - Questo è appunto il grande problema per i Paesi africani, perché: per gestire l’acqua sono necessarie infrastrutture, quindi anche grandi finanziamenti. Tra l’altro, una cosa che i ministri africani hanno tenuto a sottolineare è che si parla spesso e giustamente di acqua potabile, però si parla molto poco di servizi igienici, quello che in inglese viene chiamato “sanitation”. E proprio per il raggiungimento dell’obiettivo del millennio sull’acqua non si può parlare solo di parametri relativi all’acqua potabile perché c’è anche il problema dell’acqua per i servizi igienici. Come hanno detto i ministri africani, questo è un po’ il “parente povero” della questione sull’acqua. Invece ha una grande importanza soprattutto per le conseguenze sull’igiene e sulla salute delle popolazioni. I ministri, tra le altre cose, hanno manifestato anche preoccupazione circa la notizia che si sarebbe arrivati - anzi si sarebbe superato - l’obiettivo del millennio per quanto riguarda la diffusione di acqua potabile. Il punto che loro denunciano è che però si è ben lontani dal raggiungere una soluzione sul problema dei servizi igienici. Loro inoltre affermano tra l’altro che in ogni caso non si sono raggiunti gli obiettivi. E dicono che è molto dannoso dare dei dati che non corrispondono a realtà, perché la conseguenza è quella che i finanziamenti vengono meno: non tanto quelli internazionali, quanto quelli all’interno stesso degli Stati. La parte del bilancio riservata al problema dell’acqua se si dice che gli obiettivi sono raggiunti diminuisce, invece, ce n’è ancora molto bisogno. (cp)

    Oltre ai lavori del Forum mondiale di Marsiglia, ieri si è aperto anche il “Forum alternativo” animato da numerose realtà e movimenti della società civile. La "Lvia", organizzazione di volontari laici fondata nel 1966 dal sacerdote piemontese don Aldo Benevelli, è l’unica ong italiana presente a entrambi i Forum. Intervistato da Davide Maggiore, il presidente di Lvia, Sandro Bobba, spiega le ragioni di questa scelta:

    R. – Quest’anno, i presupposti, quindi tutta la fase preparatoria delle due istanze, ci hanno fatto pensare ci fosse una maggiore apertura da parte del Forum verso le organizzazioni della società civile. D’altra parte, ci interessava anche essere in sintonia con vari movimenti, a partire dal Forum italiano dell’acqua, ed ecco perché la nostra presenza nei due ambiti: per portare nel Forum istituzionale una voce che vuole dialogare anche con le istituzioni, con le imprese, e per sintonia con i vari movimenti della società civile con un obiettivo unico, quello dell’accesso all’acqua sia nel nord che nel sud del mondo.

    D. – Quindi, a vostro parere, è possibile una convergenza tra le istanze dei due Forum o comunque un avvicinamento tramite il dialogo?

    R. – Noi crediamo senz’altro che questo avvicinamento sia possibile. Ovviamente, lo sapremo solo a conclusione del Forum e in ogni caso i presupposti fanno ben sperare, a differenza dei Forum precedenti – uno su tutti quello di Istanbul – e quindi la nostra presenza è in quest’ottica, anche se il Forum non è nient’altro che un punto di partenza e di scambio per poi continuare un discorso molto più ampio, complesso e laborioso.

    D. – Quali presupposti in particolare mostrano segnali promettenti?

    R. – Innanzitutto, sono state coinvolte nella preparazione del Forum istituzionale le varie espressioni della società civile. Noi, per esempio, abbiamo partecipato, a iniziare dal dicembre 2010, agli eventi organizzati da una coalizione di ong denominata “Butterfly effect”, che raggruppa oltre 80 organizzazioni di cinque continenti impegnati in progetti idrici nel sud del mondo, con azioni di advocacy e realizzazioni di progetti idrici. Questo è sicuramente un presupposto molto importante e fa pensare a una maggiore apertura, a una maggiore efficacia di questo Forum mondiale.

    D. – Quale sarà più specificamente il contributo ai forum che Lvia intende portare?

    R. – Abbiamo in previsione al Forum un intervento che non è solamente rispecchiante la posizione di Lvia, ma porta anche la posizione delle due aggregazioni a cui apparteniamo: la Focsiv, la Federazione degli organismi cristiani di servizio e volontariato, e "Link2007", che raccoglie dieci fra le più grandi ong del panorama italiano. Per quanto riguarda il Forum alternativo, speriamo non sia solo di protesta e di contrapposizione al Forum istituzionale, ma di riavvicinamento e di dialogo e di collaborazione per risolvere il problema e trovare soluzioni comuni. (bf)

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    Santa Sede: diritti delle minoranze violati nel mondo. I cristiani pagano il prezzo più alto

    ◊   Il Consiglio dei diritti umani dell’Onu sta proseguendo i suoi lavori a Ginevra. L’ultima sessione è stata dedicata alle minoranze in occasione del 20.mo anniversario della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali, etniche, religiose e linguistiche. Ai lavori è intervenuto anche il rappresentante vaticano, l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi. Sergio Centofanti lo ha intervistato:

    R. – Oggi, c’è una più grande coscienza dei propri diritti da parte di queste comunità etniche, religiose o linguistiche minoritarie, ma allo stesso tempo la violazione dei loro diritti non è cessata. Anzi, direi che ci sono situazioni in cui c’è la tendenza a emarginare o sopprimere o addirittura eliminare queste comunità, attraverso la violenza, la decisione di costringerli ad andare in esilio come rifugiati, attraverso la mancanza di accesso all’amministrazione dello Stato, a funzioni pubbliche e così via.

    D. – Le minoranze, a volte, sono considerate come un peso …

    R. - Questi gruppi non sono un peso per il Paese in cui vivono, ma sono un arricchimento culturale e sociale, purché si comprenda il loro ruolo. Cioè, come una persona non può diventare se stessa se non in relazione ad altri, così anche queste comunità apportano un contributo positivo nella maniera in cui hanno la capacità di relazionarsi con altri gruppi di persone e quindi formare, tutti insieme, la popolazione di un Paese.

    D. – Lei cosa ha proposto in particolare?

    R. – Io mi sono un po’ spinto avanti proponendo che il relatore speciale per queste materie possa considerare la possibilità di abolire la terminologia “maggioranza” e “minoranza”: secondo i diritti umani fondamentali ogni persona è uguale nei diritti e nei doveri davanti allo Stato e, allo stesso tempo, lo Stato ha diritti e doveri verso queste persone, indipendentemente dal fatto che la loro identità sia data per ragioni di storia, di lingua o di tradizioni etniche o religiose. Quindi l’importante è muoversi nella direzione per cui ogni cittadino come tale debba essere prima di tutto rispettato perché è una persona con diritti inalienabili. Dopo questo riconoscimento, possono venire le altre qualifiche e gli altri raggruppamenti sociali, che però non toccano in alcuna maniera questo approccio di base. Ed io penso che questo sia un cammino che possa aprire nuove prospettive, specialmente in quei Paesi che stanno attraversando periodi di tensione e che hanno problemi di convivenza.

    D. – Quali sono le minoranze più a rischio nel mondo?

    R. – In questo momento le minoranze cristiane sono quelle che pagano il prezzo più alto. Sono minoranze che stanno soffrendo particolarmente in Medio Oriente, in Nord Africa e in alcuni Stati dell’India. Capita che vengono decimate o espulse perché non trovano una maniera di sopravvivere nella società a cui appartengono. Altre minoranze che soffrono di pregiudizi sono i gruppi di emigrati, anche in Europa, che per la loro origine africana o per la loro credenza religiosa islamica a volte sono un po’ messi ai margini della società, in certe situazioni, specialmente alle periferie di alcune grandi città. Poi ci sono anche le popolazioni indigene: le loro tradizioni ancestrali e soprattutto il diritto di proprietà sulle loro terre e il rispetto del loro modo di vivere devono essere garantiti dagli Stati in cui si trovano. (gf)

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    Ratifica di Accordo tra Santa Sede e Mozambico

    ◊   Con rispettive Note Verbali, Santa Sede e Repubblica di Mozambico hanno notificato l’avvenuta ratifica dell’ Accordo sui Principi e le Disposizioni Giuridiche per il Rapporto tra i due Paesi, che era stato firmato a Maputo il 7 dicembre 2011.

    L’Accordo si compone di un Preambolo e di ventitre Articoli, che regolano i vari ambiti, tra i quali lo statuto giuridico della Chiesa cattolica in Mozambico, il riconoscimento dei titoli di studio e del matrimonio canonico e il regime fiscale. Con la sua entrata in vigore saranno consolidati i vincoli di amicizia e di collaborazione esistenti tra le due Parti.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La crisi che non fa notizia: in prima pagina, il tracollo dell’economia mondiale colpisce i Territori palestinesi.

    Giustizia per i bambini soldato: nell’informazione internazionale, Thomas Lubanga Dyilo riconosciuto colpevole di crimini di guerra dai giudici della Corte penale.

    Dalla provincia ma per nulla provinciale: in cultura, Paolo Proponessi sulla figura di Giuseppe Bastia, primo direttore de L’Osservatore Romano insieme a Nicola Zanchini.

    C’è un solo di essere credibili quando si parla di etica: Carlo Bellieni sul linguaggio del cinema, della musica e della televisione.

    Sacerdoti brasiliani a scuola di ecumenismo. Riccardo Burigana sulle nuove prospettive di formazione presso l’Università cattolica del Pernambuco.

    La campana suona per la Chiesa in Irlanda: Mario Ponzi intervista l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin.

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    Oggi in Primo Piano



    Ancora morti in Siria. L'Olanda chiude l'ambasciata a Damasco

    ◊   Ancora una strage in Siria, con 23 corpi scoperti in una fattoria di Idlib. Anche in questo caso sui cadaveri ci sarebbero segni di torture. Altri 20 civili sarebbero morti nelle ultime ore in altre città del Paese durante gli scontri con i militari. E mentre anche l’Olanda chiude la propria ambasciata a Damasco, la Turchia si attrezza per accogliere l’enorme flusso di rifugiati che potrebbe riversarsi sul Paese: secondo le previsioni della Mezza Luna Rossa, potrebbero addirittura arrivare in 500 mila. Una crisi, quella siriana, iniziata esattamente un anno fa e che ha causato quasi 10 mila vittime ed oltre 230 mila profughi. Salvatore Sabatino ha chiesto di tracciare un bilancio di quest’anno drammatico a Paolo Branca, esperto di Paesi arabi dell’Università Cattolica di Milano:

    R. - E’ stato un anno molto doloroso, in cui un Paese importante del Medio Oriente, assieme ad altri, è stato interessato da questi movimenti di piazza, dove però non si è trovata una via per introdurre un cambiamento. Anche negli altri c’è da dire che le cose non sono state facili: regimi pluridecennali sono andati in crisi, come in Tunisia, in Egitto e in Libia. La Siria, purtroppo, ha delle caratteristiche interne, e probabilmente anche una posizione geopolitica, per cui questa transizione non è stata ancora compiuta.

    D. - C’è, poi il grosso problema dell’impasse diplomatica. La comunità internazionale ancora oggi non è unita e non è riuscita a risolvere la repressione in atto…

    R. - Penso che questo dipenda da due fattori. Da una parte, la situazione interna della Siria, che è caratterizzata da presenze diverse di tipo etnico e religioso. Dall’altra, la sua posizione strategica: ai confini con Israele, la sua alleanza con l’Iran, che rende molto cauti tutti, soprattutto perché non si sa chi potrebbe prendere il posto di questo regime, una volta che cadesse.

    D. - Sul fronte dei profughi, la Turchia ha dato ospitalità ai rifugiati, denunciando fin dall’inizio le violenze in atto. Perché Ankara, che sta giocando un ruolo di primo piano in questa crisi, non è stata ascoltata?

    R. - Purtroppo perché, probabilmente, ci sono ancora retaggi del passato che impediscono di riconoscere alla Turchia un ruolo importante, che poi è storico nella regione. D’altra parte, qualcosa di analogo avviene anche con l’Iran. Credo che la miopia, diciamo così, della politica internazionale non riesca a vedere che sul lungo periodo ci sono alcuni Paesi che, storicamente - per la loro posizione, il loro prestigio - sono potenze fondamentali per gli equilibri di quell’area.

    D. - E infine, c’è anche una guerra di cifre sulle vittime. Si parla di quasi diecimila morti, ma sarebbero decine di migliaia i siriani scomparsi. Una situazione, dunque, terribile…

    R. - Questo, purtroppo, è vero anche per il passato. La Siria è sempre stata un Paese in cui si poteva scomparire nel nulla da un giorno all’altro e neppure le famiglie potevano chiedere notizia dei loro congiunti, proprio per il carattere poliziesco e repressivo del regime. Certo è che la gente comune, pur desiderando liberarsi da questa oppressione, non vorrebbe cadere dalla padella alla brace. Quindi, la deflagrazione di una guerra civile sarebbe ancor più devastante.

    D. - Secondo la sua esperienza, quali possono essere le vie d’uscita da questa situazione?

    R. - Purtroppo, non ne vedo alcuna all’orizzonte. La mia impressione è che siamo in una fase di stallo in cui, forse - al di là delle dichiarazioni che è inevitabile fare per solidarietà con le vittime, soprattutto civili, di questa mattanza - le idee chiare su come intervenire, se intervenire, e come guidare una transizione sono estremamente rare. Forse, l’unico che potrebbe fare qualcosa, ma molto in ritardo, è lo stesso regime siriano: non subire una transizione, ma guidarla. Al di là della volontà del presidente, comunque, ho paura che il suo entourage, da questo punto di vista, sia assolutamente poco adeguato e disponibile.(ap)


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    Il prof. Baggio su unioni gay: matrimonio uomo donna non è questione di fede ma diritto naturale

    ◊   Non è necessario appellarsi alla fede per comprendere la realtà naturale del matrimonio tra un uomo e la donna: dopo la recente risoluzione del parlamento europeo - che pur in modo non vincolante ha aperto alle unioni omosessuali - interviene nel dibattito sul tema il prof. Antonio Maria Baggio, politologo, docente di Filosofia politica presso l’Istituto universitario “Sophia” di Loppiano. Luca Collodi lo ha intervistato:

    R. – Penso che sia una prospettiva errata basata su un fraintendimento. Si confondono i diritti individuali che devono essere assicurati, allora si deve rispettare la scelta di singoli che intendono vivere anche in maniera stabile con persone del proprio sesso, e dunque si rispetta questa scelta non penalizzandola. Quello che si sottolinea da parte nostra è che, questo, non è un matrimonio. E non può, adesso, la dimensione europea decidere che cosa è matrimonio e che cosa no, quando abbiamo una storia lunga di civiltà, di costruzione di cultura, che chiama matrimonio soltanto l’unione stabile tra un uomo e una donna con conseguenze importanti perché dal matrimonio possono venire dei figli. E nel caso si riconoscesse questo status anche per l’unione di coppie omosessuali anche a loro andrebbe riconosciuta la possibilità di accogliere in adozione, con conseguenze dannose importanti.

    D. – Prof. Baggio, perché il matrimonio cristiano è da preferire a unioni tra persone dello stesso sesso?

    R. – Diciamo intanto matrimonio naturale. Il matrimonio come tale, anche se non è cristiano, è il solo matrimonio tra persone di sesso differente. Il cristianesimo poi valorizza l’unione naturale tra un uomo e una donna conferendo tutto l’apporto del sacramento. Per cui con l’elemento di fede c’è una valorizzazione enorme sia delle due persone, sia della loro relazione perché è addirittura ad immagine di quella tra Cristo e la Chiesa. Però non serve avere la fede cristiana, o un’altra fede, per dare così tanta importanza all’unione in sé, perché è un dato di natura. Quindi non dobbiamo fare appello alla fede per difendere il matrimonio, lo si può fare, certamente nel giustificare la cultura che ci sta dietro. Dobbiamo fare appello alla realtà dei fatti, cioè alla struttura antropologica dell’uomo e della donna.

    D. – L’Europa afferma però che i principi morali che derivano da una scelta di fede, non possono ledere i diritti civili di chi non crede…

    R. – Certamente si può notare un accanimento ideologico. D’altra parte la difesa della verità dei valori etici è una difesa che può essere fatta razionalmente. Ci sono persne che attualmente ed in passato hanno operato questa difesa. Ricordo, per tutti, Norberto Bobbio, qui in Italia, quando si schierò contro l’aborto non in nome della fede ma in nome del rispetto del diritto naturale. Attualmente un grande studioso come Habermass accetta che vi siano valori di provenienza religiosa che rafforzano la convivenza civile. Io temo che si faccia una grande confusione. Perché ciò che la cultura cristiana ha sempre pensato è che non sia necessaria la fede per riconoscere la verità dell’uomo. La fede la illumina ulteriormente. Quindi, la nostra battaglia a difesa del matrimonio, che certamente ha radici religiose, è anzitutto una battaglia civile per fare in modo che la società abbia questo legame fondativo, importante, che è basato sulla fiducia reciproca di un uomo e una donna che si sceglgono per l’intera esistenza. Questo crea una solidità nella società e questo ha anche un riscontro nella struttura psicofisica delle persone altrimenti si pensa che veramente in base ad un desiderio, ad un impulso, ad una esigenza individuale si possa decidere che l’essere umano è fatto diversamente da come in realtà è fatto. Il cristianesimo è sempre stato realista nella visione delle cose. Ed è per fedeltà alla realtà che è necessario difendere il matrimonio tradizionale.

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    Mine anti-uomo: in Colombia il primo comune bonificato è San Carlos

    ◊   Il primo comune della Colombia ufficialmente liberato dalle mine anti-uomo. È San Carlos, nel dipartimento nord-occidentale di Antioquia, dove nei giorni scorsi si è svolta una cerimonia alla presenza del capo di Stato colombiano Juan Manuel Santos per celebrare un passo importante nella lotta ad una piaga che in Colombia ha causato, dal 1990 ad oggi, almeno 2028 morti e 7614 feriti. Solo a San Carlos le vittime negli ultimi vent’anni sono state 172. Le locali operazioni di bonifica hanno portato all’eliminazione di 700 ordigni. La Colombia, nonostante le tensioni, sia per le azioni dei gruppi guerriglieri ancora attivi nel Paese - come le Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, e l’Eln, l’Esercito di liberazione nazionale - sia per la guerra in corso tra narcotrafficanti, è comunque impegnata nella mobilitazione internazionale contro le mine anti-persona. Ce ne parla Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine, intervistato da Giada Aquilino:

    R. – La Colombia ha certamente aderito a tutti i trattati, sia quello sulle mine sia quello sulle cluster bombs, che hanno comunque degli effetti similari. E’ uno degli Stati più minati al mondo, dopo l’Afghanistan, e l’impegno è stato abbastanza costante. La Colombia ha ospitato nel dicembre 2009 la seconda Conferenza di revisione del Trattato di Ottawa, proprio per dimostrare la sua volontà di conseguire tutti i traguardi che sono dettati dalla medesima Convenzione, tra cui anche lo sminamento dei propri territori. C’è da ricordare, però, che la stessa Colombia ha chiesto una proroga fino al 2021 per ottenere la definizione di ‘Stato libero dalle mine’. Controverso poi è l’utilizzo delle mine da parte dell’Esercito di liberazione nazionale, delle Farc, dei trafficanti di cocaina, dei narcos. E poi rimangono tutte le vittime, perlopiù civili: per esempio, gli indiani Jiw, popolazione colombiana che vive nelle foreste e i cui membri spesso rimangono uccisi da questi ordigni. L’ultima vittima, un anziano, è del 14 febbraio 2012.

    D. – Dal 1° marzo al 4 aprile è in corso la campagna mondiale “Lend your leg - Presta la tua gamba”, che è partita proprio dalla Colombia ed è promossa anche dalla Campagna italiana contro le mine. Quali obiettivi ha?

    R. – Il 1° marzo è la data in cui è entrato in vigore il Trattato di Ottawa; il 4 aprile è la Giornata indetta dalle Nazioni Unite per la sensibilizzazione a questo problema. Si cerca di richiamare l’attenzione internazionale sugli ordigni inesplosi e sulla necessità del reinserimento socioeconomico delle vittime, dei sopravvissuti, ma in questo caso, anche e soprattutto, si cerca di sensibilizzare quei 37 Paesi - tra cui gli Stati Uniti - che non hanno ancora aderito a questo trattato. La campagna nasce appunto con l’associazione ‘Arcangeles’ in Colombia, dove ci sono molte vittime e il problema è davvero sentito; è stata poi sposata dalla Campagna internazionale contro le mine, che l’ha riproposta su una piattaforma che coinvolge più di mille organizzazioni in tutto il mondo; è inoltre sostenuta da due agenzie delle Nazioni Unite e dalla Croce Rossa Internazionale. Nello spot della campagna mondiale, disponibile sul nostro sito www.campagnamine.org, ci sono diverse personalità, tra cui il segretario generale delle Nazioni Unite.

    D. – Ad oggi, quali sono i Paesi più interessati da questa piaga?

    R. – Sicuramente l’Afghanistan e la Colombia, come anticipato. Ma oggi anche la Siria, perché è di pochi giorni fa l’impegno della Campagna internazionale di denunciare l’utilizzo da parte delle forze governative siriane di mine anti-persona sui confini. Il problema è che tutte le aree che vengono coinvolte in guerre spesso vedono l’utilizzo anche di mine anti-persona, che colpiscono in maniera indiscriminata la popolazione civile, ben oltre la fine del conflitto.

    D. – Che giro d’affari c’è e dove vengono prodotte in particolare?

    R. – Alcuni Stati che non hanno aderito ai trattati si sono riservati in qualche modo il diritto di produzione e di uso. La stigmatizzazione però a livello mondiale dell’uso di queste armi ha fatto sì che si fermasse realmente il commercio di tali ordigni. Quindi, spesso sono ordigni che erano già negli arsenali o che vengono comprati di contrabbando e, a volte, costruiti in maniera artigianale. Il commercio legale è fermo. I dati registrati dal Monitor Report, che è lo strumento più attendibile di monitoraggio, le vedono in uso in Cecenia, in Siria, in Israele. E’ un uso estremamente limitato però e, rispetto alla possibilità di approvvigionamento su base internazionale, su scala industriale, il commercio è ormai fermo. (ap)

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    Lavoro, parti sociali convocate dal governo per martedi. L'opinione del Mcl

    ◊   La prossima settimana sarà decisiva per la riforma del lavoro. Il governo ha, infatti, convocato a Palazzo Chigi le parti sociali per martedi 20 marzo, alle ore 15.30. L’esecutivo considera positivamente lo spirito di collaborazione e il contributo di idee offerto da sindacati e aziende. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    L’esecutivo conferma la tabella di marcia già messa a punto dal ministro, Elsa Fornero. Nella nota che annuncia l’incontro di martedi peossimo, che dovrebbe essere decisivo, il governo afferma che “ha sempre considerato la riforma del mercato del lavoro una priorità della sua azione‚ oltre a essere uno strumento essenziale per offrire nuovo impulso alla crescita del Paese”. Dunque, è auspicabile che l’accordo arrivi entro la fine di marzo. Il segretario della Cgil, Susanna Camusso, parla di trattativa sulle "montagne russe", ma precisa che l’incontro di ieri è stato utile. Il leader della Uil, Luigi Angeletti, spera che la trattativa non deragli. Sentiamo l’opinione di Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano lavoratori (Mcl):

    R. - Vedo in queste ore, in questi giorni, dei segnali positivi. Credo che i tempi ci siano: ognuno deve lasciare ogni populismo ed ogni ideologia.

    D. - Questo vuol dire, comunque, rivedere l’art. 18?

    R. - C’è uno spazio per una ristrutturazione. Con un po’ di buona volontà, si possono trovare degli accorgimenti nell’interesse di alcune scelte concordate.

    D. - Secondo lei, bisogna rivedere gli ammortizzatori sociali per tutelare anche le partite Iva, i collaboratori, i lavoratori intermittenti?

    R. - Negli ultimi due anni, gli ammortizzatori sociali hanno avuto un ruolo determinante. Ma il problema della riforma degli ammortizzatori esiste, perché non possono essere solo un paracadute per una parte di lavoratori. Meglio allargarli, anche se questo può vuol dire ridurne la portata nel tempo. (bi)

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    Rapporto Emn: cala la presenza degli immigrati irregolari in Italia, sono 500 mila

    ◊   Cala la presenza degli immigrati irregolari in Italia, attualemnte circa 500 mila. Battuta d’arresto anche per le espulsioni e i respingimenti dei migranti che provengono soprattutto dall’ Africa e dai Paesi del Mediterraneo. In diminuzione persino i visti rilasciati nel 2010, meno di un milione e mezzo, a causa soprattutto della crisi economica. E’ quanto emerge dal quarto Rapporto dell’Emn – European migration network - dedicato appunto allo stato dell’immigrazione nella penisola. Cecilia Seppia ha sentito Antonio Ricci curatore del Rapporto insieme a Idos-Dossier Statistico Immigrazione:

    R. – La crisi sta colpendo molto. Dobbiamo dire che uno degli elementi più gravi, in termini di dati statistici che emergono, è che 600 mila persone dal 2009 al 2011 non hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno. Di queste persone, una parte probabilmente è ritornata in patria, ma la maggior parte è rimasta in condizioni di irregolarità. In alcuni settori, come per esempio quello dell’edilizia, la crisi sta colpendo soprattutto i lavoratori immigrati.

    D. – Sulla questione dei visti l’Unione Europea ha stabilito diverse modalità di rilascio: il visto per motivi familiari, per lo studio, l’inserimento nel mercato del lavoro: tanti entrano con visti regolari e poi finiscono nell’universo degli irregolari…

    R. – Sì, questa è la dimensione più importante. Di fatto, uno dei canali di ingresso più facili è probabilmente quello del cosiddetto overstaying, cioè del rimanere in Italia anche dopo che si è esaurito il termine di autorizzazione all’ingresso. Da questo punto di vista, le nuove norme introdotte dal codice di Shengen vanno molto a ridurre i tempi, vanno a semplificare anche gli aspetti legati a un possibile ricorso di fronte a una negazione. Ma tutto questo viene contemperato da alcune misure, come la raccolta dei dati biometrici, che, di fatto, rendono immediatamente riconoscibile il richiedente visto.

    D. – Immigrazione irregolare, un fenomeno che spaventa. Accanto alle politiche di preingresso o di soggiorno servono ancora misure di controllo e di contrasto…

    R. – Servono risposte pratiche. E una risposta pratica non è l’espulsione: quella è la parte terminale. La risposta pratica è far venir meno le cause di origine, quindi il lavoro nero, il fatto che in alcuni casi è molto complesso il rinnovo del permesso di soggiorno e le condizioni di sfruttamento, di "caporalato". Da questo punto di vista, chiaramente sono altre le misure da seguire, siamo ancora di fronte alla necessità di ricercare un impianto che sia più esaustivo e soprattutto che sia integrato con gli altri Paesi dell’Unione Europea. Questa potrebbe essere la ricetta per il futuro: portare avanti non solo politiche di ingresso che siano rigorose, che rispecchino le regole, ma portarle avanti di pari passo assieme alle politiche di accoglienza, di inserimento, di integrazione. Molto resta da fare però: segnali positivi si vedono e l’importante, per quello che riguarda le sfide del futuro, è pensare che l’Italia ha oggi una presenza di cinque milioni di migranti e che questi non siano un esercito di esclusi, ma persone che non solo dialogano ma partecipano alla vita in Italia. (bf)

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    Dopo 244 anni l'Enciclopedia Britannica lascia la carta per il digitale

    ◊   Svolta storica per l’Enciclopedia Britannica: dopo 244 anni dalla sua fondazione smetterà la pubblicazione dei suoi 32 tomi per concentrasi esclusivamente su digitale. Pubblicata per la prima volta ad Edimburgo nel 1768 e passata nelle mani di un editore americano ai primi del ‘900, ora per la Britannica si aprono nuovi scenari futuristici: dal più consolidato utilizzo di Internet, al più pionieristico sfruttamento di smartphone e tablet. Tutto a pagamento. Una rivoluzione che, per ora, non contagia l’italiana Enciclopedia Treccani, come conferma l’amministratore, Francesco Tatò, al microfono di Federico Piana:

    R. – Noi continueremo a pubblicare l’edizione cartacea fino a che il pubblico mostrerà il suo gradimento. Ovviamente, noi non nascondiamo che siamo di fronte a un grande cambiamento – anzi, qui l’Italia è addirittura un pochino in ritardo – quindi abbiamo fin dall’inizio deciso di gestire e soddisfare questa esplosione di interesse per il sapere enciclopedico con una pluralità di mezzi: web, cartaceo, telefonia mobile, i-pad...

    D. – Quali saranno gli sviluppi della Treccani?

    R. – Noi siamo ancora in questa fase di transizione: per adesso, non ci sono motivi urgenti che ci spingono a fare la stessa operazione della Britannica. Siamo anche noi però concentrati sulla rete, ma non pensiamo di seguire lo schema della Britannica, che però ci interessa essendo curiosi di vedere quali saranno i risultati. Noi preferiamo, per ora, offrire un’importante enciclopedia, in versione “immediata” – ma già abbastanza ricca e completa – e gratuitamente. La consultazione enciclopedica è un po’ il nostro dna: offrire alcuni approfondimenti di saggi, tratti dalle grandi enciclopedie saggistiche del nostro patrimonio storico, a un prezzo modesto, poco più del costo di un quotidiano. Penso che sulla rete nasceranno poi delle operazioni di affiancamento, cioè con riassunti, commenti che possano orientare ed aiutare il lettore.

    D. – Wikipedia ha messo un po’ in difficoltà, sia voi della Treccani che l’Enciclopedia Britannica, oppure no...

    R. – Credo che abbia messo in difficoltà la Britannica: noi non abbiamo mai considerato Wikipedia come un concorrente. Sul nostro portale, infatti, offriamo il collegamento con Wikipedia. Credo ci siano alcuni lemmi che Wikipedia offre e che noi non abbiamo; l’utente ha diritto di avere il servizio e quindi in questo modo lo trova. Noi abbiamo degli approfondimenti d’autore – che Wikipedia non ha – e che riteniamo essere la nostra caratteristica distintiva. Lo dico con tutto il rispetto per Wikipedia, che ritengo una delle più importanti operazioni culturali degli ultimi anni: si possono citare dei saggi presi dalla Treccani, ma non si può citare Wikipedia, questa è la differenza. (cp)

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    Il Pontificio Ateneo Salesiano di Roma in festa per la Giornata dell’università

    ◊   Qualità dell’apprendimento e qualità della proposta formativa: questi i temi al centro della Giornata dell’Università che si è svolta ieri al Pontificio Ateneo Salesiano di Roma, dove si è discusso anche di crisi del capitalismo e di stili di vita del futuro. Il servizio di Eugenio Bonanata:

    Alla luce delle dinamiche socioeconomiche contemporanee la comunità accademica salesiana ribadisce i punti chiave della sua missione formativa. Per il rettore, don Carlo Nanni, occorre una risposta ad ampio raggio:

    “Arrivare a una cultura delle regole che ci aiuti ad affrontare gli avvenimenti non soltanto attraverso strategie di tipo economico o di tipo legale, di tipo procedurale o strategico, ma anzitutto come atteggiamento personale di fronte agli avvenimenti. Se la crisi favorirà il riappropriamento di questi modi grandi di vita - di questi stili di agire, di pensare, di porsi, di atteggiarsi di fronte alla realtà - credo che avremo fatto qualcosa che servirà alle persone ma anche alla Chiesa, perché tutti abbiamo bisogno di questi stili di vita che ci facciano affrontare il tempo. Cristianamente si tratta di saper cogliere i segni dei tempi, cioè il segno della presenza di Dio e del progetto di Dio, e di realizzarlo grazie a questo lavoro formativo su se stessi che ha portato a stili di vita forti”.

    Tra gli avvenimenti contemporanei, c’è anche la continua espansione di nuove tecnologie e nuovi servizi che stanno cambiando le nostre vite:

    “Questa, che è una razionalità tecnologica, se è integrata con le altre razionalità, se fa vedere anche la bellezza, se dà il senso della progettualità, vorrà dire che è una marcia in più che ci viene”.

    Secondo l’ospite d’onore della giornata, il presidente di Telecom Italia, Franco Bernabè, le nuove tecnologie, e dunque la cosiddetta “agenda digitale”, non porteranno nuovi posti di lavoro:

    “Io credo sia un passo necessario, ma non un passo che di per sé crea automaticamente posti di lavoro: è un passo che crea opportunità. Sta a noi, a tutti quelli che beneficeranno degli strumenti dell’agenda digitale, utilizzarla per cercare nuovi posti di lavoro”.

    L’intervento di Bernabè, imperniato soprattutto sulla crisi del capitalismo, si è soffermato anche sugli stili di vita del futuro in Italia:

    “Le regole che sono state introdotte recentemente dal governo, sia per quanto riguarda le pensioni, sia per quanto riguarda il mercato del lavoro, imporranno per esempio alla gente di lavorare di più, quindi cambieranno anche gli stili di vita. Però, io credo che oggi vada privilegiato il risanamento dell’economia italiana, soprattutto per creare le occasioni di lavoro che sono necessarie per i giovani”.

    Il numero uno di Telecom, tra le altre cose, ha ricordato gli anni dei suoi studi giovanili presso gli istituti salesiani d Torino:

    “Il San Paolo, il Richelmy, il Liceo Valsalice… Per me sono stati periodi estremamente formativi in un contesto molto gioioso e però anche molto impegnativo dal punto di vista dello studio”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Messico: il Senato approva la norma della Costituzione che riconosce la libertà religiosa

    ◊   A pochi giorni dalla visita del Papa, il senato messicano ha approvato in commissione le modifiche all’articolo 24 della Costituzione che riguarda la libertà religiosa. La norma stabilisce che ogni individuo ha “diritto alla libertà di convinzioni etiche, di coscienza e di religione e ad avere o adottare, in tal caso, quella di sua scelta. Questa libertà include il diritto a partecipare, individualmente o collettivamente, in pubblico o privato a cerimonie, devozioni o atti di culto, a condizione che non costituiscano un reato punibile dalla legge. Nessuno può utilizzare gli atti di espressione di questa libertà per scopi politici, di proselitismo o di propaganda”. Il testo precedente stabiliva invece che “ognuno è libero di professare le convinzioni religiose di sua scelta e di osservare le cerimonie, le pratiche di devozione o gli atti di culto a esse relativi, sempre che non costituiscano un reato o una colpa puniti per legge”. In questi termini la Costituzione messicana riconosceva unicamente la libertà di culto. La commissione senatoriale ha spiegato che le variazioni apportate all’articolo 24 non comporteranno il cambiamento di quei precetti costituzionali che fanno del Messico uno Stato laico. Alcuni senatori però si sono opposti alla modifica dell’articolo in questo particolare momento, spiegando che non si può intervenire sui rapporti Stato-Chiesa con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali e legislative, previste il 1° luglio. La commissione per gli Studi costituzionali e legislativi ha sottolineato che non vi è alcuna intenzione di riformare quegli articoli della Costituzione che enunciano principi considerati fondamentali nello Stato messicano. Come nel passato, poi, le autorità religiose del Paese non potranno introdurre l’insegnamento della religione nelle scuole, incluse quelle private e apertamente confessionali. (A cura di Tiziana Campisi)

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    Usa: nuova nota dei vescovi in difesa della libertà religiosa

    ◊   I vescovi degli Stati Uniti resteranno uniti e sono fermamente determinati a continuare la loro battaglia in difesa della libertà religiosa presso i tribunali, il Congresso e la Casa Bianca. È quanto ribadisce la Conferenza episcopale (Usccb) in una nuova nota diffusa ieri in merito alla vexata quaestio dell’obiezione di coscienza rispetto alla riforma sanitaria. Il nodo del braccio di ferro con l’Amministrazione Obama è l’obbligatorietà dell’assistenza alle pratiche abortive e della prescrizione di anticoncezionali anche in strutture ospedaliere amministrate da organizzazioni religiose. Un nodo che, a giudizio dei vescovi, resta aperto nonostante la revisione delle controverse linee guida del Department of Health and Human Services (Hhs) annunciata dalla Casa Bianca il 10 febbraio scorso. Per l’episcopato, infatti, non è accettabile l’ipotesi che proprio questo dipartimento federale possa decidere il modo in cui si debba esercitare il ministero della Chiesa. “Non spetta al Governo definire cosa è da considerare attività religiosa”, ribadisce la nota intitolata “Uniti per la libertà religiosa”. Così facendo “la Hhs crea e applica una nuova distinzione – estranea alla tradizione cattolica e all’ordinamento federale – tra i nostri luoghi di culto e la nostra grande opera di apostolato al servizio dei poveri, dei senza casa, dei malati, degli studenti nelle nostre scuole e università e di tutte le persone bisognose, quale che sia la loro appartenenza religiosa”. Questa definizione, evidenzia la dichiarazione, “crea una cittadinanza di serie B nella nostra comunità religiosa” che potrebbe entrare nell’ordinamento federale “minando la sua sana tradizione di generoso rispetto della libertà religiosa e della diversità”. Secondo i vescovi americani, non è in gioco una presunta “volontà della Chiesa di imporre qualcosa a qualcuno”, bensì quella “del Governo federale di costringere la Chiesa, con i suoi fedeli e istituzioni, salva qualche eccezione, ad agire contro i propri principi”. La nota annuncia quindi che la Commissione ad hoc della Usccb per la libertà religiosa pubblicherà a breve una dichiarazione che affronterà il tema in una prospettiva più ampia. In particolare, il documento “rifletterà sulla storia della libertà religiosa nella nostra grande Nazione; passerà in rassegna tutte le attuali minacce a questo principio fondamentale ed evidenzierà la determinazione dei vescovi ad intervenire con fermezza in sua difesa, di concerto con i cittadini americani”. I vescovi concludono quindi con un appello ai cattolici e a tutti i credenti a unirsi in preghiera per i leader del Paese e “per la protezione della nostra prima libertà - quella religiosa - che non è solo tutelata dalle leggi e costumi del nostro grande Paese, ma è radicata negli insegnamenti della nostra grande tradizione”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Siria. L’arcivescovo maronita: “Cristiani impotenti, conflitto in un vicolo cieco”

    ◊   “La sofferenza che viviamo è grande. Stiamo assistendo impotenti al dramma. Per fortuna Benedetto XVI colma il vuoto chiedendo pace, giustizia, dialogo e riconciliazione” dice all’agenzia Fides mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, a un anno dall’inizio della rivolta e della violenza in Siria. L’arcivescovo ricorda che “quella che era iniziata come una piccola manifestazione nella parte meridionale della Siria, il 15 marzo 2011, si è ora trasformata in una crisi che inghiotte ogni città del Paese. Di fronte a una crisi che, in un anno, è cresciuta dal livello locale a proporzioni regionali, la Siria è diventata una zona di conflitto internazionale, in cui la posta in gioco, che è politica, militare ed economica, sta plasmando il futuro del Paese”. Mons. Nassar nota che “il conflitto è in un vicolo cieco: da un lato, un forte potere centralizzato che rifiuta di farsi da parte; dall'altro, una sollevazione popolare che non accenna ad arrendersi, nonostante l'intensità della violenza. Questo conflitto, che sta paralizzando il Paese, ha portato sanzioni economiche, inflazione, svalutazione della moneta locale (-60%), aumento della disoccupazione, distruzione, popolazioni sfollate e vittime a migliaia”. La gente “è sottoposta a pressioni enormi e intensa sofferenza, che cresce col passare del tempo. Odio, divisioni e miseria aumentano, in assenza di atti di compassione e di aiuti umanitari. La Siria sembra stretta nella morsa di una impasse mortale”, rimarca con preoccupazione. Sulla condizione dei cristiani, l’arcivescovo afferma: “L'attuale situazione di stallo sta alimentando l'angoscia dei fedeli che, alla fine di ogni Messa, si salutano con un addio, avvertendo così incerto il loro futuro. Le chiusure delle ambasciate a Damasco ha reso impossibile ottenere i visti, in modo da limitare notevolmente la possibilità di lasciare il Paese”. “In questo momento di grande tormento e divisione – spiega mons. Nassar – la famiglia diventa l'unico rifugio per le vittime della crisi. La famiglia agisce come uno scudo che garantisce la sopravvivenza della società e della Chiesa. Per questo motivo, di fronte a tale tragedia, la Chiesa ha scelto di focalizzare la propria attenzione e preghiera per le famiglie, fornendo loro tutto l'aiuto e il sostegno possibile”. Ma intanto “la crisi non sembra volgere al termine. Piuttosto, la tempesta è sempre più forte e non si vede la fine del tunnel”. Il quesito cruciale è: “Dove andrà e che fine farà la Siria?”. Con tale preoccupazione, conclude l’arcivescovo, i cristiani vivono la Quaresima “in silenzio, con le mani vuote, il cuore pesante e gli occhi rivolti a Cristo Risorto, che guida i nostri passi sulla via del perdono e della pace”. (R.P.)

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    Pakistan: liberi due ostaggi svizzeri, speranze per gli altri stranieri in mano ai talebani

    ◊   Olivier David Och, 31 anni, e Daniela Widmer, 29 anni, due cittadini svizzeri rapiti in Beluchistan nel luglio 2011 da gruppi talebani, sono stati liberati, e sono ora salvi a Peshawar. Lo ha comunicato la polizia pakistana, annunciando che i due sono in buona salute. La notizia riaccende i riflettori sui numerosi cittadini stranieri rapiti nel paese e ancora in mano a gruppi talebani. Paul Bhatti, Consigliere Speciale del Primo Ministro del Pakistan per l’Armonia religiosa, commenta all’agenzia Fides: “E' una buona notizia, sappiamo che il governo e le forze di polizia si stanno impegnando molto per combattere la piaga dei sequestri, organizzati da gruppi criminali o terroristi. Posso dire che, secondo mie informazioni, vi sono buone speranze anche per il rilascio di altri operatori umanitari, come l'italiano Giovanni Lo Porto e il tedesco Bernd Johannes, della Ong “Welthungerhilfe”. Speriamo di poter dare presto una buona notizia alle loro famiglie”. Bhatti nota: “Il Pakistan sta lottando contro il terrorismo, ma chiediamo agli operatori umanitari e ai cittadini stranieri che si recano nel Paese di farlo con prudenza, seguendo le indicazioni delle ambasciate. I cooperanti sono i benvenuti e il loro lavoro è lodevole, ma possono diventare obiettivo privilegiato di fanatici antioccidentali, oppure essere rapiti a scopo di estorsione. E’ bene prestare la massima attenzione soprattutto su quali aree del Paese frequentare”. (R.P.)

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    Pakistan. Lahore: paura e angoscia fra i familiari della giovane arrestata per blasfemia

    ◊   Sono in preda al terrore e alla paura i familiari di Shamim Masih, 26enne cristiana pakistana, originaria del Punjab, agli arresti con l'accusa di blasfemia. La giovane, madre di una bambina di cinque mesi, è in stato di fermo dal 28 febbraio scorso presso la caserma del distretto di Bahawalnagar, a Lahore, perché avrebbe pronunciato "insulti al profeta Maometto". In realtà, raccontano fonti in condizioni di anonimato, l'hanno incriminata alcuni parenti - convertiti di recente all'islam - perché si è rifiutata di compiere la medesima scelta. "Sono felice della mia fede cristiana" avrebbe detto loro in risposta alle lusinghe, scatenando una violenta reazione sfociata prima in minacce e poi nell'infamante capo di imputazione. La famiglia di Masih - riferisce l'agenzia AsiaNews - vive giornate di angoscia e preferisce non rilasciare dichiarazioni alla stampa, nel timore di esacerbare gli animi e scatenare rappresaglie di gruppi estremisti. Intanto leader della Chiesa cattolica condannano l'ennesimo caso di abuso della "legge nera", emerso in concomitanza con l'appello lanciato da 50 attivisti per i diritti umani e personalità politiche di primo piano all'Onu per la liberazione di Asia Bibi. Il vescovo di Islamabad/Rawalpindi mons. Rufin Anthony afferma che "si tratta di un fatto scioccante" perché ancora una volta "vi è un abuso della legge sulla blasfemia nel Punjab". Il prelato ricorda la demolizione dell'istituto cattolico a Lahore, in cui sono andati distrutti "una chiesa, bibbie, una statua della Vergine Maria" e "non è stato aperto un fascicolo di inchiesta" in base alla "legge nera" pur davanti a prove evidenti. In questo caso, al cospetto di prove inconsistenti e per un fatto minore, i solerti poliziotti "hanno aperto immediatamente un caso in base alla norma 295-C del Codice penale" contro una cristiana. Egli auspica l'intervento delle autorità competenti perché "siano assicurati ordine e giustizia" per la donna. Parole dure vengono espresse anche da padre John Mall, sacerdote e attivista di Multan, secondo cui vi è "un abuso enorme" della legge sulla blasfemia che viene sfruttata per colpire le minoranze senza che vi sia un monitoraggio attento e puntuale del fenomeno. "Il governo del Punjab - aggiunge - è un osservatore silenzioso e consente che vi siano questo tipo di abusi della legge". Egli sottolinea che "è giunto il tempo di farsi sentire", altrimenti la comunità cristiana "sarà zittita per sempre". (R.P.)

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    India: proteste di Chiesa e pescatori contro la centrale nucleare in Tamil Nadu

    ◊   Da questa mattina pescatori e attivisti del Tamil Nadu sono di nuovo in protesta contro la costruzione della centrale nucleare di Koodankulam. Lo conferma all'agenzia AsiaNews padre William Santhanam, portavoce delle Ong diocesane di Tuticorin: "Oggi nessuno in Tamil Nadu è uscito in mare. Tutti i pescatori sono qui". La comunità di pescatori aveva annunciato la nuova manifestazione il 12 marzo scorso, per ricordare il disastro nucleare di Fukushima e chiedere al governo di scongelare i conti delle Tuticorin Diocesan Association e Tuticorin Multipurpose Social Service Society, due delle quattro Ong denunciate per finanziamenti illeciti. Entrambe le Ong sono guidate da mons. Yvon Ambroise, vescovo di Tuticorin. Qualche giorno fa, il prelato ha inviato una lettera personale al primo ministro Manmohan Singh, in cui ha spiegato che la diocesi e i suoi servizi non sono coinvolti in queste proteste, e che la questione va risolta tra governo e popolazione. A questo memorandum, è seguito un appello della Conferenza episcopale del Tamil Nadu, che esortava il governo centrale a "smettere di tormentare i cristiani e ritirare i commenti negativi contro la diocesi di Tuticorin". Il rev. G. Devakadasham, primate (o moderatore) della Church of South India (Csi, anglicana), ha definito le dichiarazioni dei vescovi cattolici "non del tutto vere", dal momento che "anche la Chiesa protestante compie un gran lavoro di carità, ma non ha mai subito pressioni governative". Padre William minimizza le esternazioni del primate come una "pura opinione personale", perché "il vescovo anglicano di Tuticorin è in piena adesione con mons. Yvon Ambroise e continua a dare il suo sostegno morale". L'11 settembre 2011, più di 127 persone del villaggio di Idinthakarai hanno iniziato a digiunare in segno di protesta. Dopo 12 giorni, la gente ha interrotto lo sciopero della fame per le promesse (non mantenute) di J. Jayalitha, chief minister dello Stato, che aveva garantito di fermare il progetto. All'epoca, i pescatori avevano chiesto la solidarietà della Chiesa alla loro causa, accordata da mons. Ambroise. "La gente ha coinvolto la diocesi - spiega padre Santharam -, non il contrario. Se per la popolazione si tratta della loro sicurezza e sopravvivenza, il vescovo non ha altra scelta che condividere le loro preoccupazioni". (R.P.)

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    Kenya: allarme sicurezza nel campo profughi di Dadaab dove vivono 500 mila somali

    ◊   Un uomo armato di pistola questa mattina ha ucciso due civili e ferito gravemente una terza persona nel campo profughi di Dadaab, nel nord del Kenya, dove vivono più di 500.000 rifugiati somali. L'allarme sicurezza dell'area era stato lanciato nei giorni scorsi da alcuni esponenti del Governo di Nairobi, che avevano annunciato il rimpatrio nelle zone liberate della Somalia di 630.000 rifugiati tra qualche mese. “Da diversi mesi il campo di Dadaab vive una situazione di insicurezza, perché il numero delle persone accolte supera le capacità delle sue strutture” dice all’agenzia Fides Maria Grazia Krawczyk, responsabile di Caritas Somalia. “Continuano ad arrivare rifugiati e le strutture sono al limite. Sono aumentate in effetti le tensioni e gli episodi di violenza tra gli ospiti. Le organizzazioni umanitarie che prestano assistenza nel campo hanno attivato alcuni progetti per far fronte a questa situazione. In particolare per prevenire la violenza sulle donne e sui bambini”. Chiediamo alla responsabile della Caritas se anche tra i rifugiati si avvertono le divisioni tra i clan che tanto peso hanno avuto e stanno avendo sulla situazione della Somalia. “Sicuramente sono gli stessi ospiti a divedersi per clan – risponde -. Non chiediamo informazioni sull’appartenenza a questo o quel clan. In un’altra situazione, mi riferisco al campo di Gibuti, le persone accolte sono divise per provenienza geografica: esiste il quartiere eritreo, quello etiopico e quello somalo”. (R.P.)

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    Corte dell’Aja: Thomas Lubanga riconosciuto colpevole per aver reclutato bambini-soldato

    ◊   Un verdetto storico: cosi l’Unicef ha plaudito la sentenza emessa ieri dalla Corte Penale Internazionale (Cpi) contro Thomas Lubanga, colpevole di crimini di guerra per aver reclutato bambini-soldato nella Repubblica Democratica del Congo. Lubanga è il primo “signore della guerra” a fare i conti con la giustizia internazionale per l’impiego di minori in armi. “Una vittoria d’immenso valore per la protezione dell’infanzia nei conflitti”, sottolinea l’Unicef. “Una tappa decisiva per la giustizia penale internazionale”, il commento in sede di Unione Europea. Soddisfatta anche l’associazione Avvocati Senza Frontiere per “un riconoscimento dei diritti delle vittime”. Si stima siano stati 30 mila i bambini rapiti o reclutati da diversi gruppi armati in Congo tra il ’98 e il 2008. Lubanga, 52 anni, era stato arrestato a Kinshasa nel marzo 2006, su mandato - il primo emesso - della Corte Penale Internazionale. Comandante militare della milizia filo ugandese Rdc-Ml e poi leader dell’Unione dei patrioti congolesi (Upc), accusato di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità, Lubanga è stato riconosciuto - all’unanimità dal Consiglio della Corte - “colpevole di avere arruolato bambini di meno di 15 anni e di averli coinvolti in un conflitto armato”. Si tratta del primo verdetto di questa Corte operativa a l’Aja dal primo luglio 2002. Il processo contro Lubanga era iniziato nel gennaio 2009 ed ora si attende la condanna. (A cura di Roberta Gisotti)

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    Rwanda: morto mons. Misago, accusato e assolto per il genocidio del 1994

    ◊   Si sono svolti oggi i funerali di mons. Augustin Misago, vescovo di Gikongoro, nel sud-vest del Rwanda, morto improvvisamente il 12 marzo. Mons. Misago era stato arrestato nell'aprile 1999 a seguito delle accuse di alcuni religiosi e laici della sua diocesi di aver ricoperto un ruolo nel genocidio del 1994. Dopo il processo, fu assolto nel giugno 2000. Dopo un breve soggiorno a Roma, mons. Misago era tornato in servizio nella sua diocesi. Nato a Ruvune, nella parrocchia Nyagahanga della diocesi di Byumba nel 1943, mons. Misago, primo vescovo di Gikongoro, era stato ordinato sacerdote nel 1971 e consacrato vescovo il 28 giugno 1992. Mons. Augustin Misago con una dichiarazione resa pubblica il 29 giugno 2001 ha approvato le apparizioni mariane di Kibeho (che rientra nel territorio della sua diocesi). Le apparizioni della Vergine iniziarono il 28 novembre 1981 e terminarono il 28 novembre 1989. In un’intervista all’agenzia Fides mons. Misago commentò così il messaggio delle apparizioni di Kibeho: “Adesso possiamo dire che c’è stata una predizione del dramma rwandese. Ricordo che il 15 agosto 1982, alla festa dell’Assunzione, i veggenti invece di vedere la Vergine piena di gioia, sono stati testimoni di visioni terribili, spaventose, cadaveri dai quali sgorgavano copiosi fiotti di sangue, abbandonati senza sepoltura sulle colline. Nessuno sapeva che cosa significavano queste terribili immagini. Ora si può fare una lettura degli avvenimenti e pensare che poteva essere una visione di quello che sarebbe successo in Rwanda ma anche nella regione dei Grandi Laghi dove il sangue scorre in Burundi, in Uganda e nella Repubblica Democratica del Congo”. (R.P.)

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    Kuwait. Mons. Ballin: no alla proposta di legge che limita nuovi luoghi di culto cristiani

    ◊   Desta preoccupazione nella comunità cristiana in Kuwait una recente proposta di legge che vuole limitare la costruzione di nuovi luoghi di culto cristiani nel Paese. La proposta è stata presentata lo scorso febbraio dal nuovo partito islamista al-Adala (Partito della Giustizia) che vorrebbe anche introdurre la Sharia e altre misure contro la corruzione per rafforzare l’unità nazionale. Critico il vicario apostolico mons. Camillo Ballin. In un’intervista all’agenzia Cns il presule italiano afferma che, se approvato, il provvedimento “creerà problemi”. Secondo mons. Ballin la misura è in contrasto con la tradizione di tolleranza e apertura alle altre religioni del Kuwait ed è “il frutto di ideologie che vogliono dividere il mondo tra musulmani e non musulmani”. Inoltre, l’argomento addotto da al-Adala, secondo cui ci sono più chiese che cristiani in Kuwait, è infondato in quanto prende in considerazione solo i pochi cristiani kuwaitiani e non tutta la comunità cristiana, che comprende molti lavoratori stranieri. “Quando la pratica religiosa è tutelata, anche la vita sociale è più semplice: quindi perché i fedeli stranieri non possono avere un luogo di culto?”, ha osservato il presule. “Noi – ha aggiunto - vogliamo collaborare con il Governo per migliorare la società kuwatiana. Ma per fare questo abbiamo bisogno di potere assicurare una continua formazione religiosa dei nostri fedeli e questo richiede spazio, tempo e personale”. "Il mondo sta diventando un unico grande villaggio, dove non possiamo separare le persone e le religioni", ha inoltre sottolineato mons. Ballin, confermando che, anche per sua esperienza personale, le minoranze cristiane sono da sempre rispettate in Kuwait. La Chiesa cattolica nell’Emirato conta oggi più di 350.000 fedeli stranieri, pari al 6% della popolazione complessiva. (L.Z.)

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    Sinodo Armeno Cattolico. Appello ai fedeli in Medio Oriente: restate attaccati alle vostre radici

    ◊   Un appello ai propri fedeli in Medio Oriente a non perdere la speranza e a rimanere attaccati alle proprie radici religiose e alla propria terra natale. A rivolgerlo sono i vescovi della Chiesa Armeno Cattolica in chiusura del loro Sinodo, che si è svolto a Roma, dal 6 al 13 marzo, ospitato nel Pontificio Collegio Armeno, sotto la presidenza di Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca degli Armeni Cattolici di Cilicia. Ai lavori sinodali hanno partecipato presuli provenienti da Libano, Francia, Armenia, Egitto, Turchia, Persia, Grecia e Stati Uniti d'America. Tutti si sono detti preoccupati “per la difficile situazione dei cristiani” in Medio Oriente “sia sotto il profilo economico che spirituale”, vista l’instabilità che regna in quella regione. Durante l’Assemblea sinodale – riferisce una nota - sono state discusse varie “problematiche e questioni riguardanti la vita della Chiesa armeno cattolico sotto l'aspetto pastorale, liturgico ed educativo” e sono state prese decisioni inerenti “la riorganizzazione delle diocesi e delle parrocchie ed in particolare il rafforzamento del clima di armoniosa collaborazione tra il clero ed il Patriarcato Armeno Cattolico”. Un grazie particolare i padri sinodali rivolgono al Papa, che hanno incontrato in udienza il 7 marzo, per avere accettato di recarsi, durante l’imminente visita pastorale in Libano, anche al Santuario di Nostra Madre di Bzommar, sede del Patriarcato Armeno Cattolico. (R.G.)

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    La Palestina vuole la Basilica della Natività patrimonio dell’Unesco: perplessità dei cristiani

    ◊   L’Autorità palestinese si appresta a presentare all’Unesco un elenco di venti siti di rilevanza storica ed archeologica perché siano riconosciuti patrimonio dell’umanità. La Palestina è infatti entrata ufficialmente l’8 marzo nell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l‘educazione, la scienza e la cultura. La lista dovrebbe contenere, secondo quanto riferisce il Patriarcato latino di Gerusalemme, siti quali la chiesa della Natività di Betlemme, Hebron, le grotte di Qumran e le zone costiere di Gaza. L’elenco verrà valutato dall’Unesco nel prossimo giugno, a San Pietroburgo. La speranza palestinese di vedere riconosciuta la chiesa della Natività di Betlemme come patrimonio dell’Umanità, trova però “perplessi” la Custodia di Terra Santa, il Patriarcato greco e quello armeno, che gestiscono la basilica, che, afferma all'agenzia Sir il Custode, “esprimono perplessità su questa richiesta. “Non abbiamo nessun problema per il riconoscimento della città di Betlemme come Patrimonio Unesco” – ha chiarito all’agenzia Sir il Custode padre Pierbattista Pizzaballa confermando quanto già detto all’indomani del riconoscimento palestinese all’Unesco - ma “non siamo invece molto entusiasti per ciò che riguarda la Natività”. “Si tratta di un’iniziativa che ci complica la gestione – ha spiegato il Custode di Terra Santa - perché secondo le norme dell’Unesco il responsabile della gestione dei luoghi, davanti all’agenzia Onu, è il Governo e non il proprietario del sito”. Per questo “come Custodia, Patriarcato greco e armeno – ha riferito padre Pizzaballa - abbiamo ufficialmente chiesto all’Autorità palestinese di fare richiesta solo per la città lasciando fuori la basilica, da inserire eventualmente in un secondo momento, quando la situazione, anche politica, sarà più calma”. Il timore di padre Pizzaballa, infatti, è che “i luoghi santi vengano usati a fini politici. Non vogliamo essere strumentalizzati – ha sottolineato - per questioni nelle quali i luoghi santi non devono entrare”. Il Custode ha quindi annunciato un incontro nei prossimi giorni con i rappresentanti armeni ed ortodossi “per redigere un testo comune ufficiale”. (R.G.)

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    Haiti-Repubblica Dominicana: i vescovi creano una commissione per la ricostruzione

    ◊   Riunite a Santo Domingo per il loro XI incontro, le Conferenze episcopali di Haiti (Ceh) e Repubblica Dominicana (Ced) hanno istituito una commissione per la ricostruzione della parte occidentale dell’isola di Hispaniola devastata dal terremoto del gennaio 2010. Ricordando gli sforzi profusi durante l’emergenza dalle Caritas haitiana, dominicana e spagnola, i vescovi della Ced sottolineano nel documento finale i legami di solidarietà e fratellanza che legano i due Paesi confinanti. Già dal 1999, scrivono i presuli, le Caritas delle diocesi di frontiera hanno lavorato insieme per l’ambiente, l’agricoltura, la sanità, l’acqua, le infrastrutture, l’istruzione, la promozione dei diritti umani e dei diritti dei migranti. Per mantenere la cooperazione per la ricostruzione delle zone distrutte dal sisma - riferisce l'agenzia Misna - la Ceh “ha preso la decisione di invitare volontari qualificati e raccogliere contributi da privati, imprese, istituzioni…ponendo particolare enfasi nel reperimento di materiali di qualità a prezzi accessibili. Tutti gli aiuti saranno trasmessi alla Conferenza episcopale di Haiti”. I vescovi dominicani sottolineano anche la necessità che non si dimentichi la questione migratoria: “Ci impegniamo a sensibilizzare i nostri due governi affinché si adoperino maggiormente nell’accoglienza dei migranti, nel rispetto dei loro diritti e per evitare la manipolazione della questione haitiana in tempi elettorali” (in Repubblica Dominicana le prossime presidenziali si terranno il prossimo 20 maggio). (R.P.)

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    Cile: solidarietà dei religiosi alla popolazione di Aysén, mentre riparte il dialogo

    ◊   La Confederazione dei Religiosi del Cile si è espressa sul fatto che “il Movimento di Aysen appartiene a tutto il Cile, in modo speciale alla gente onesta e pacifica, che ormai è stanca di essere vittima di tanta ingiustizia". Nel testo del comunicato, inviato all’agenzia Fides, si legge: “Vogliamo unirci alla catena di solidarietà che ogni giorno cresce a sostegno dei fratelli della Regione di Aysen. Sappiamo che non è niente di nuovo, ma è la somma di tante decisioni dove i dimenticati sono sempre i più danneggiati". Il documento, pubblicato ieri, esprime pieno appoggio al vescovo di Aysen, mons. Luis Infanti de la Mora, che con il suo motto “il tuo problema è il mio problema" ormai ha fatto della situazione di Aysen una problematica nazionale. La popolazione di Aysen è da tempo esasperata dalla mancanza di risposte da parte dello Stato, alle sue richieste di infrastrutture, sussidi per la piccola e media impresa, migliori condizioni di lavoro… tanto da organizzare manifestazioni pubbliche di protesta che hanno provocato scontri con la polizia. Il comunicato dei religiosi cileni prosegue: “siamo indignati per quello che accade ad Aysen e denunciamo qualsiasi tipo di azione violenta contro i cittadini, qualsiasi negazione dell'esercizio del dialogo pacifico. Siamo contrari ad ogni eventuale applicazione di leggi (anti-terrorismo, di sicurezza nazionale, per esempio) che non hanno niente a che fare con questi problemi”. Il testo si conclude con una nota di speranza: "E' possibile costruire la grande ‘tavola per tutti’ ascoltando l'altro e dimostrando empatia verso i fratelli più deboli". Riguardo alla situazione ad Aysen, solo ieri sera è ripreso il dialogo per commissioni separate. Il governo ha dichiarato di voler adottare una serie di misure nella zona, malgrado non sia riuscito a concludere il dialogo con i Movimenti sociali di Aysen. I responsabili dei Movimenti non vogliono essere divisi perché ci sono ancora molte richieste da parte della popolazione che devono essere prese in considerazione: i servizi sanitari, il prezzo del combustibile, la pubblica istruzione, le tasse del commercio, ecc. Il ministro dell’energia, Rodrigo Álvarez, ha anticipato ieri che si stanno preparando provvedimenti che riguardano i servizi di trasporto, la produzione e la piccola impresa. Il vescovo mons. Infanti, vicario apostolico di Aysen, tre giorni fa si è recato al Palazzo del Governo, nella capitale, dove ha incontrato il ministro Segretario generale della Presidenza, Cristián Larroulet, allo scopo di chiedere la disponibilità al dialogo circa le richieste fatte dai Movimenti Sociali della zona, e negando che ci sia "attivismo politico" da parte loro. (R.P.)

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    Ucraina: i vescovi chiedono l'abolizione della legge sull'aborto

    ◊   “Il diritto alla vita delle persone concepite, ma non nate dovrebbe essere sancito da una legge che vieti gli aborti”. È quanto chiede un appello congiunto della Conferenza episcopale ucraina (per i vescovi di rito latino) e del Sinodo dei vescovi greco-cattolici d’Ucraina. La legge attualmente in vigore nel Paese, ereditata dal precedente regime sovietico, consente l’interruzione volontaria della gravidanza senza limitazioni fino a 12 settimane dal concepimento. Dal 2004 è inoltre consentito in alcuni casi fino alla 24.ma settimana, previa autorizzazione di una commissione medica. Secondo i vescovi cattolici ucraini gli aborti hanno provocato gravi danni, non solo morali, nella società ucraina. “La comunità cristiana – si legge nella dichiarazione ripresa dal Servizio di informazione religiosa Risu - ha una grande responsabilità morale rispetto a coloro che considerano l’aborto come un modo per risolvere situazioni difficili”. La nota ricorda gli insegnamenti della Chiesa sulla sacralità della vita umana sin dal concepimento in quanto dono di Dio: nel corso della sua storia, afferma, la Chiesa “ha sempre considerato la distruzione di una vita umana tramite l’aborto come un peccato equiparabile a un omicidio volontario. La scienza medica - aggiungono i vescovi - ha dimostrato che un bambino ucciso nell’utero materno patisce le stesse sofferenze di una persona torturata a morte. Sotto il profilo dell’etica medica - sottolinea in conclusione la dichiarazione - un aborto è una distorsione e una profanazione della vocazione di un medico il cui compito è di curare e salvare vite umane e non di distruggerle con interventi diretti”. (L.Z.)

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    Germania: in corso la Settimana della fraternità ebraico-cristiana

    ◊   Una cerimonia solenne, svoltasi l'11 marzo a Lipsia, ha segnato l'inizio della Settimana della fraternità ebraico-cristiana celebrata in tutta la Germania e giunta alla sua 60a edizione. Sono circa 1.000 gli eventi previsti in tutto il Paese, finalizzati ad approfondire il dialogo tra ebrei e cristiani. Alla cerimonia – riferisce l’agenzia Sir - hanno partecipato numerosi rappresentanti delle Chiese, della società e della politica tra cui mons. Heinrich Mussinghoff, presidente della Sottocommissione della Conferenza episcopale tedesca per i rapporti religiosi con il giudaismo, il presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, Dieter Graumann, e il presidente del Consiglio centrale dei musulmani in Germania, Aiman Mazyek. All'inaugurazione, il presidente del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca, Nikolaus Schneider, ha ricevuto la medaglia "Buber-Rosenzweig" dal Consiglio tedesco di coordinamento della Società per la cooperazione ebraico-cristiana, per via dell'"opera costante" di Schneider verso un "ripensamento e una ridefinizione delle relazioni ebraico-cristiane", si legge nella motivazione del Consiglio. Schneider ha esortato le Chiese ad intervenire contro il razzismo e l'antisemitismo: "Il luogo ideale per farlo è il mercato, l'opinione pubblica, il lavoro con i giovani, non lo spazio protetto della Chiesa", ha detto. Il cardinale Rainer Maria Woelki, arcivescovo di Berlino, ha auspicato uno "scambio intenso tra le religioni": "Soprattutto i bambini e i giovani possono far riferimento, meno che in passato, a un ambiente sociale o ecclesiastico omogeneo. Non è più possibile procedere nel modo tradizionale". (L.Z.)

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    Genova. Il cardinale Dziwisz: Giovanni Paolo II, un Papa a servizio di Dio e dell'uomo

    ◊   In Polonia “ci difendiamo ancora”. Gli attacchi “non arrivano più dalla dittatura comunista ma dalla cultura europea” e “c’è il pericolo che la democrazia diventi dittatura” perché ci sono spinte per imporre un pensiero unico nel campo dei diritti individuali e della bioetica. L’arcivescovo di Cracovia, cardinale Stanislao Dziwisz, per tanti anni segretario particolare di Giovanni Paolo II è intervenuto ieri sera a Genova, su invito dal cardinale Angelo Bagnasco, per raccontare “Il beato Giovanni Paolo II: un Papa e un esempio per il nostro tempo”. Il cardinale Dziwisz ha definito Giovanni Paolo II “un Papa a servizio di Dio e dell’uomo che ha deciso della fisionomia della Chiesa di oggi” e di “uno dei maggiori leader spirituali del mondo contemporaneo”. Di Wojtyla ha messo in risalto - riferisce l'agenzia Sir - alcuni punti salienti del pontificato e della personalità ricordando il suo invito a “non avere paura”. Giovanni Paolo II, ha detto, “ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di proclamare il Vangelo, a non avere paura della verità”. Avendo conosciuto direttamente prima il nazismo poi il comunismo, il futuro Papa Giovanni Paolo II “ha capito che tutte le dittature costruiscono il loro potere sulla paura e che l’arma più potente contro ogni dittatura è la liberazione dalla paura tramite verità e solidarietà. Giovanni Paolo II - ha aggiunto il cardinale Dziwisz - non era contro la teologia della liberazione, propriamente intesa, ma non poteva accettare la teoria della liberazione in versione marxista, la lotta di classe e la violenza perché la dittatura del proletariato propugnata dai regimi marxisti in realtà si dimostrava come dittatura sul proletariato”. Di Wojtyla ha parlato dell’intuizione delle Giornate Mondiali della Gioventù ricordando che “parlava ai giovani, proponeva senza imporre nulla, mostrava una visione chiara della realtà, presentava ai giovani ideali alti, puntava alla profondità, accendeva grandi desideri, indicava valori superiori per i quali vale la pena vivere e dare la vita”. Al termine della serata, l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, ha parlato di Giovanni Paolo II come di “una grande figura che ha segnato la Chiesa nel mondo e la storia. La divina provvidenza ha scelto un uomo venuto da lontano per essere pastore della Chiesa universale e per imprimere particolarità che egli portava dentro di sé e la Chiesa è diventata più presente e coraggiosa, più umilmente fiera del grande dono ricevuto della fede e del Vangelo, garante dei diritti dell’uomo e di una società più umana, perché più vicina a Dio”. Al termine della serata il cardinale Dziwisz ha donato al cardinale Bagnasco due reliquie del beato Giovanni Paolo II.(R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 75

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.org/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Barbara Innocenti.