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Sommario del 12/03/2012
L’acqua, bene comune mondiale, no all'approccio mercantilistico. Santa Sede al Forum di Marsiglia
◊ Oltre un miliardo di persone nel mondo non ha accesso all’acqua potabile. E, secondo l'Ocse, la domanda mondiale di acqua aumenterà del 55% da qui al 2050. Della prima risorsa vitale per l’uomo si parla, da oggi, alla sesta edizione del Forum mondiale dell'acqua, che per una settimana riunisce a Marsiglia, in Francia, rappresentanti politici, enti locali, aziende, organizzazioni ambientaliste e di cooperazione. Per la Santa Sede partecipa la delegazione del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Fausta Speranza ha intervistato mons. Mario Toso, segretario del Dicastero stesso:
R. – Innanzitutto dobbiamo dire che l’acqua è un bene essenziale per la vita e per la sua stessa natura, dunque non può essere trattata come una merce tra le altre, il suo uso deve essere razionale e solidale. Poi, il contributo della Santa Sede: una visione, un comportamento che sia eccessivamente mercantile, può portare a programmare investimenti per infrastrutture solo in zone dove appare redditizio realizzarle, ossia dove appare proficuo, dove abitano numerose persone. C’è il rischio di non percepire i propri fratelli e sorelle come esseri umani aventi il diritto a un’esistenza dignitosa bensì di considerarli come semplici clienti. Un tale approccio mercantilistico induce a creare, in alcuni casi, una dipendenza non necessaria da reti, da procedure, da burocrazie e predispone a fornire l’acqua solo a chi è in grado di pagarla. Altro limite dell’approccio mercantile della gestione dell’acqua e di altre risorse naturali, evidentemente, è quello di curare e salvaguardare l’ambiente assumendosi le proprie responsabilità, solo se e quando ciò è economicamente conveniente.
D. – In definitiva, da questo Forum può emergere un appello alla comunità internazionale intera a gestire l’acqua in un certo modo…
R. – Potremmo lanciare questo appello: passare dalle parole ai fatti. In effetti, lo slogan del Forum è: “E’ tempo di soluzioni”. Non potrebbe essere più adeguato, secondo il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace che sente la necessità dopo i precedenti incontri – Kyoto, Messico, Istanbul - di vedere finalmente prese decisioni concrete anche perché l’acqua ha un ruolo fondamentale nello sviluppo dei popoli. L’appello che la Santa Sede fa, si traduce nella sollecitazione concreta ad attivare una governance internazionale che è richiesta dal bene comune mondiale. Tale governance implica un’opera di monitoraggio degli Stati rispetto agli impegni assunti, il potenziamento della cooperazione sul piano scientifico tecnologico, manageriale; comprende inoltre autorità a livello regionale e transfrontaliero, corti di giustizia abilitate alla ricezione di reclami; non si deve escludere anche il potenziamento dell’Unep, l’agenzia Onu per la protezione dell’ambiente.
D. – Una riflessione. Si parla di acqua e ci viene da parlare di solidarietà, ma anche di sussidiarietà: c’è qualcosa che dal basso si può muovere?
R. – Io credo di sì. Penso che è la società civile la prima responsabile dell’acqua, del bene comune che è l’acqua, o anche bene pubblico. La società civile per raggiungere meglio i propri fini organizza la comunità politica, la società politica, e questa normalmente gestisce i beni a fine di bene comune. Se però avviene che i rappresentanti politici, la società politica non gestiscono questi beni in maniera universale, cioè prende l’accesso per tutti, la società civile è chiamata a mobilitarsi e a sollecitare l’autorità politica ad agire conseguentemente, cioè rispettando il diritto all’acqua come un diritto per tutti e ponendone una gestione che, pur coinvolgendo privati, faccia sì che questi siano vigilati, sorvegliati e orientati ad una gestione conforme alle esigenze del bene comune che è il bene di tutti. (bf)
I giovani e la riscoperta della vita contemplativa. Intervista con fra Claudio Canali
◊ Si conclude oggi nell’Abbazia di Montecassino – con un intervento su “I monaci e la missione visti dall’Inghilterra” – la visita di tre giorni in Vaticano e in Italia del primate anglicano, Rowan Williams. Le celebrazioni per il millenario dell’Eremo di Camaldoli, ricordate solennemente anche dal Papa la scorsa settimana, hanno portato in luce la riscoperta, fra i giovani, della vita eremitica. Cristina Bianconi ha chiesto il perché a fra Claudio Canali, un ex chitarrista rock che dal 1990 vive presso l’Eremo della Beata Vergine del Soccorso a Minucciano:
R. – Io penso sia proprio una ricerca profonda e vera del Signore. I problemi che ci sono e la confusione che c’è nel mondo oggi portano a fare questo tipo di scelte per chi cerca veramente la verità. La solitudine non è isolamento: nella solitudine c’è Dio, ci sono anche gli altri, per la comunione dei santi. Nella solitudine uno ritrova se stesso e pregando capisce anche cosa vuole il Signore da lui.
D. – Cosa l’ha spinta alla scelta di una vita eremitica?
R. - Il Signore dice: non siete voi che avete scelto me, ma io che ho scelto voi. Io cercavo qualcosa nella vita. Anch’io non pensavo di venire in un eremo. Anzi, un tipo come me forse, come dicono molti, poteva diventare Francescano o continuare a suonare... Ma c’è stata una chiamata e ora che ho risposto mi ritrovo molto bene col Signore, anche nella solitudine.
D. – La sua scelta non rischia di precluderle uno sguardo sul mondo e allontanarla dall’uomo?
R. – La clausura unisce non divide. Io proprio qui sono più vicino all’uomo. Infatti, qui viene anche molta gente che ha bisogno. Conosciamo i problemi che ci sono oggi e preghiamo proprio per questo. Cerchiamo di essere vicino in tutti i modi. La vicinanza spirituale è più forte di quella fisica. L’orante, il contemplativo, sono il cuore della Chiesa, come dicono i Padri, come dice anche il Papa. Quindi l’eremita, pregando, fa piovere le grazie su chi sta agendo. (bf)
◊ In Nigeria, altri tre cristiani sono stati uccisi stamani in un attacco compiuto in un villaggio vicino la città di Jos, dove ieri un’autobomba aveva causato la morte di almeno dieci persone. L’attentato di ieri, sferrato contro una chiesa cattolica, è stato seguito da una rappresaglia contro la comunità musulmana, ritenuta responsabile dell’attacco. Secondo alcune fonti locali, i morti di ieri sarebbero in tutto 21. Gli attentati non sono stati rivendicati, ma tutto lascia pensare ad un’azione del gruppo islamista “Boko Haram”. Per una testimonianza sulla situazione in Nigeria, Alessandro Gisotti ha intervistato l’arcivescovo di Jos, mons. Ignatius Kaigama:
R. - La situazione è ancora grave: a Jos ci sono tanti morti e feriti. A distanza di due settimane, lo stesso gruppo ha attaccato un’altra chiesa. Pensavamo che il peggio fosse finito, ed invece ci siamo ritrovati a rivivere questo momento di dolore. I giovani e gli adulti sono agitati, c’è frustrazione, perché questo evento si è ripetuto per la seconda volta. Dipendiamo dal governo: il governo deve fare qualcosa, deve trovare la soluzione per porre fine, in maniera definitiva, a questa situazione!
D. - Questi attentati di "Boko Haram" rischiano anche di aprire una tensione tra musulmani e cristiani?
R. - Tra musulmani e cristiani c’è sempre tensione. Però, quello del "Boko Haram" è un fenomeno nuovo, poiché queste persone, non pensano in modo razionale, attaccano come animali ed uccidono; non hanno valori umani. È un livello di fanatismo che dobbiamo affrontare tutti noi, leader cristiani e leader musulmani insieme. Sono convinto che ci sono musulmani che non hanno niente a che fare con questo gruppo fanatico. Ed io continuo a ripetere che dobbiamo parlare, dobbiamo cercare di risalire alle ragioni di questa violenza, dobbiamo continuare a dialogare e predicare l’amore e la riconciliazione.
D. - Al governo invece si chiede di garantire la sicurezza…
R. - Ieri sera, il governo dello Stato di Plateau, il capo della polizia ed altre personalità importanti del governo sono venute da me. Abbiamo parlato a lungo su come poter affrontare questa situazione. È compito loro cercare di trovare una soluzione, perché loro hanno i mezzi per poter affrontare la situazione. Hanno le agenzie di sicurezza, le risorse. Sono convinto che il governo e le agenzie di sicurezza - se collaboreranno - insieme troveranno una soluzione alla vicenda. (bi)
L'ultimo saluto a Franco Lamolinara. Il parroco di Gattinara: grande dignità dei familiari
◊ Sulla tragica morte dell'ostaggio italiano Franco Lamolinara in un blitz delle forze speciali britanniche in Nigeria, Londra ha assicurato piena collaborazione e nei prossimi giorni il ministro degli Esteri Hague sarà a Roma. Lo ha detto il capo della diplomazia italiana Giulio Terzi che questo pomeriggio parteciperà ai funerali di Lamolinara a Gattinara, in provincia di Vercelli. Sempre oggi al Copasir riferirà il direttore dell'Agenzia per le informazioni e la sicurezza esterna Santini. Ma come vive la comunità di Gattinara questo giorno di lutto cittadino? Paolo Ondarza lo ha chiesto al parroco della chiesa di San Bernardo don Renzo Del Corno:
R. – La comunità lo vive – qualcuno ha scritto con rabbia, ma non è vero - in un grande silenzio, in un grande rispetto e direi che siamo estranei alle polemiche. Adesso la comunità vuole solo essere vicina alla famiglia.
D. – Don Renzo, come ricorda Franco Lamolinara?
R. – Lo vedevo poco perché lavorava in Nigeria, ma conosco bene la famiglia. Il papà dedicava tutto il tempo alla moglie e ai figli. Franco aveva lavoro anche qui, in Italia, poi ha scelto di andare all’estero per potere contribuire alla famiglia, per mantenere gli studi dei due figli, non per altro.
D. - Lei ha avuto modo in queste ore di essere accanto alla famiglia?
R. – Sì, più volte. Gli eventi li stanno un po’ travolgendo però il messaggio che la famiglia vuole trasmettere è il ringraziamento a tutte le persone che in questi mesi e in questi giorni hanno collaborato al tentativo di liberare di Franco. E’ una famiglia che sta dimostrando una generosità e una dignità straordinaria. Non ho sentito parole di rabbia pur avendo passato parecchie ore con la famiglia.
D. – Nelle ultime ore la famiglia si era detta speranzosa in un rapido rilascio di Franco Lamolinara…
R. – Sì, a Gattinara si respirava un clima di speranza, si cominciava a pensare alla festa per il ritorno… Poi sappiamo tutti com’è andata. Le motivazioni a noi in questo momento non interessano, ciò che importa è che Franco non c’è più. Nei prossimi giorni la famiglia rischia di restare da sola, i figli senza un padre, la moglie senza un marito, ma anche senza sostegno economico. La moglie fatica a mantenere i due figli che studiano. Quindi ci auspichiamo che ci sia un aiuto concreto da parte delle istituzioni, che l’hanno promesso: speriamo venga mantenuto. (bf)
Orrore in Siria: massacro a Homs, trovati 47 cadaveri, in gran parte donne e bambini
◊ Ancora orrori in Siria, dove la violenza non conoscere sosta. Scoperti a Homs 47 cadaveri, per la maggior parte di donne e bambini. Sui corpi i segni di violenze di ogni genere. Accuse reciproche tra Damasco e gli insorti. Su questo macabro ritrovamento, Salvatore Sabatino ha sentito Camille Eid, esperto del mondo arabo:
R. - Questo è l’ennesimo segnale che si tratta veramente di un genocidio, di cui il prezzo più alto lo pagano i civili. Chiaramente il governo e i ribelli-oppositori si rimbalzano le responsabilità di questo massacro, ma alla fine questo dimostra che l’opzione politica - la discussione pacifica del conflitto - si sta sempre più allontanando.
D. – Tra l’altro, alcuni minori sarebbero stati uccisi a colpi d'arma da fuoco, altri sgozzati, le donne sarebbero state addirittura stuprate prima di essere uccise. Si ha l’impressione che non c’è più limite alla violenza ...
R. – Effettivamente è così. Questo serve a ricreare la paura nell’animo di chi decide di rimanere. Molti abitanti, infatti, a seguito della diffusione di questa notizia orrenda, hanno abbandonato la città di Homs per rifugiarsi altrove.
D. – Homs, che è una città martoriata, subisce il peso della repressione da parte del regime e non è la prima volta che questo accade ...
R. – Non è la prima volta e non sarà purtroppo l’ultima; adesso vediamo una incentivazione dei contatti diplomatici in atto. Tutto questo indaffararsi non ha ancora trovato uno sbocco naturale. Vediamo muoversi il ministro degli Esteri cinese, la Russia, il Qatar, l’Arabia Saudita, la Francia, ma alla fine stiamo ancora girando attorno al problema.
D. – Kofi Annan è stato chiaro quando ha detto: “Sarà difficile raggiungere un accordo per arginare il bagno di sangue”. Perché questa impotenza della comunità internazionale? Ci sono grossi interessi sotto?
R. – Ci sono grossi interessi ed il seme della discordia è sull’intervento militare o meno. Molti Paesi quindi sono interdetti dall’intervenire, come invece accadde per la Libia, a favore della popolazione. Altri – come l’Arabia Saudita ed il Qatar – propongono di armare i ribelli almeno per fornire loro il mezzo per contrastare questa repressione. Chiaramente, però, fornire armi vuole dire anche assistere al verificarsi di soprusi sul terreno contro chi si dichiara leale al regime di Assad.
D. – Da settimane testimoni riferiscono di scene raccapriccianti in molte città dove ci sono i ribelli. Perché non si riesce ad accettare la definizione di guerra civile?
R. – Ormai è accettata, ma c’è un rifiuto ideologico. Il regime chiaramente non ammette la presenza di oppositori, raramente l’ha fatto il presidente Assad, parlando di oppositori sul terreno. Lui parla di bande criminali, di assassini, di mercenari che arrivano dall’estero per massacrare la popolazione. Chiaramente, l’accettazione di un termine “civile” indica che ci sono due parti e che queste due parti devono per forza raggiungere un compromesso politico. Quando invece manca anche il riconoscimento dell’avversario-rivale, allora vuol dire che siamo ancora ben lontani da quella che sarà la soluzione. (cp)
Afghanistan. Strage civili: Kabul chiede processo esemplare per soldati Usa
◊ Potrebbero essere gravi le conseguenze della strage di civili a Kandahar, in Afghanistan, causata da un graduato del contingente americano che, probabilmente in preda ad un momento di follia, ha sparato sulla gente uccidendo 16 persone. A pochi mesi dalla fine della missione internazionale, nel novembre 2014, oggi il parlamento di Kabul ha condannato fermamente l’episodio, chiedono che i responsabili siano processati. Su quanto accaduto, Giancarlo La Vella ha intervistato il docente Marco Lombardi, responsabile dei progetti educativi dell’Università Cattolica di Milano in Afghanistan:
R. - I rischi stanno diventando enormi. Questo è il secondo episodio dopo il Corano dato alle fiamme. Mi sembra che la situazione stia veramente peggiorando. Sappiamo benissimo che in questa fase di ultima transizione, nel momento in cui la situazione cambia e non è subito quella di fare la guerra in prima linea, bisogna cercare di gestire situazioni molto più complesse e l’esercito americano non è in grado di farlo: non è in grado di affrontare queste nuove forme di guerra completamente diversa, che si fa anche non guerreggiando, che si fa essendo stimolati da continue pressioni, e questo è un disastro.
D. - E’ uno stress particolare quello cui sono sottoposte le truppe, che si trovano in missione all’estero, un aspetto che si è sottovalutato…
R. - Certamente è uno stress: è uno stress cui sono sottoposti tutti. E’ un esercito sfaccettato quello che è in Afghanistan, con competenze estremamente diverse, che è utile sia impiegato in specifici ambiti. La gestione dello stress fa parte della capacità professionale.
D. - Come fare, a questo punto, a recuperare credibilità come contingente internazionale e riaffermare quella che in fondo era una missione in aiuto delle nuove istituzioni di Kabul?
R. - Bisogna continuare a fare quello che si stava facendo, perché il dramma è che si sta lavorando molto bene in favore delle istituzioni degli afghani. Ma un episodio di questo genere, evidentemente, travalica tutto il buono che è stato fatto.(ap)
Madagascar devastato dai cicloni: speranza dopo l'appello del Papa alla solidarietà
◊ “Violente calamità naturali, con gravi danni alle persone, alle strutture e alle coltivazioni”. Ne ha parlato il Papa, ieri all’Angelus, riferendosi alle “care popolazioni del Madagascar”, recentemente colpite dalla tempesta tropicale Irina, che nelle ultime settimane ha provocato oltre 100 morti e 78mila sinistrati, e dalla tempesta Giovanna, che a metà febbraio aveva causato 35 morti, colpendo 250mila persone. Benedetto XVI ha pregato per le vittime e per le famiglie maggiormente provate, auspicando e incoraggiando “il generoso soccorso della comunità internazionale”. Ma qual è la situazione sul terreno, in Madagascar? Giada Aquilino lo ha chiesto a don Luca Treglia, direttore di Radio Don Bosco ad Antananarivo:
R. – La situazione, qui in Madagascar, è molto brutta dopo il passaggio di questi due cicloni: ci sono stati molti morti, oltre cento. Il ciclone Giovanna ha colpito l’80 per cento di tutto il territorio del Madagascar, ha risparmiato solo una piccola parte a sud, mentre tutto il resto è stato devastato: soprattutto la parte centrale del Paese e le zone orientali e occidentali. Mentre Irina, il secondo ciclone, ha colpito circa il 50 per cento del Madagascar. Logicamente, ci sono stati danni enormi, in particolare all’agricoltura. In Madagascar si produce soprattutto il riso e questo è un periodo molto importante in cui l’acqua dev’essere ben regolata. Invece, se ci sono le inondazioni, il riso muore e non può più crescere. Si pensa che parecchie colture di riso siano state distrutte. Inoltre, molte case sono crollate o i loro tetti sono stati divelti, anche nella capitale. Ci sono poi strade interrotte e, al momento, non sono stati ripristinati i collegamenti.
D. – Nelle parole del Papa all’Angelus, non soltanto la preghiera ma anche l’auspicio del Pontefice per il generoso soccorso della comunità internazionale a favore del Madagascar. Come sono state accolte le parole del Papa?
R. – La maggior parte della popolazione, essendo le comunicazioni ancora interrotte, forse non sa neanche che il Papa ieri ha parlato: ma questa sera, come facciamo ogni lunedì, qui alla radio abbiamo un programma che diffondiamo a livello nazionale; quindi tutte le venti diocesi del Madagascar possono ricevere il nostro programma in cui parleremo – appunto – delle parole di Benedetto XVI. Inoltre ho già chiesto alle persone che ho incontrato nelle ultime ore cosa abbiano pensato di questo intervento del Papa: sono molto, molto contente perché il Santo Padre in questi ultimi anni è stato sempre vicino al Madagascar, sia per i problemi derivati da catastrofi naturali, come i cicloni, ma anche per problemi di altro tipo, come quelli di ordine politico. Quindi, l'intervento del Pontefice a favore del Madagascar è una speranza per i malgasci, perché attualmente a causa della crisi politica tutti gli aiuti internazionali sono stati sospesi e la gente, già povera, deve accontentarsi di poco. Ma queste catastrofi, come i cicloni, creano ancora maggiori problemi. Quindi, speriamo che dopo le parole del Papa la comunità internazionale faccia uno sforzo per aiutare il Madagascar.
D. – Ma l’allarme per le calamità naturali è cessato o questo è ancora il periodo delle tempeste e dei cicloni?
R. – No. Siamo proprio nel periodo critico, perché qui in Madagascar i cicloni più forti si manifestano da gennaio ad aprile; e i giorni più difficili sono quelli tra febbraio e marzo.
D. – Il Madagascar, negli ultimi anni, ha vissuto forti tensioni politiche. A fine gennaio, l’ex presidente Ravalomanana ha tentato di rientrare nel Paese dal Sudafrica. Ora quale situazione politica c’è?
R. – Attualmente, al potere c’è Andry Rajoelina, il presidente che è stato insediato da un movimento popolare tre anni fa; Andry Rajoelina è riconosciuto come presidente dalla comunità internazionale. Però rimane ancora il grande scoglio dell’amnistia: portata avanti dai partiti che sostengono l’ex presidente, dovrebbe riguardare Ravalomanana stesso, e qui le divergenze sono troppo forti perché quelli che sostengono l’attuale presidente non sono d’accordo. Quindi, bisognerà vedere cosa si deciderà. In questi momenti c’è anche un forte invito alle quattro Chiese presenti qui in Madagascar – quindi i protestanti, i luterani, gli anglicani e i cattolici – perché facciano da mediatori. La Chiesa cattolica auspica che questa crisi finisca al più presto.
D. – E il pensiero per le popolazioni, quelle ora colpite dai tifoni, ma in generale per tutte le popolazioni del Madagascar, da parte della Chiesa qual è?
R. – Ci sono organizzazioni sia a livello nazionale, sia a livello locale: ci sono le varie Caritas che si sono mobilitate per aiutare la popolazione colpita. I vescovi poi sono presenti con la preghiera ma anche l’azione materiale, cercando di aiutare questa gente in un momento così difficile. (gf)
Istat: Italia ufficialmente in recessione. Spread in calo ma italiani più poveri
◊ Dopo sei mesi consecutivi in cui il Prodotto interno lordo (Pil) dell’Italia è in negativo, è arrivata oggi la conferma dall’Istat: il Paese è tecnicamente e ufficialmente in recessione. Ma se il debito pubblico italiano non è più sotto attacco dei mercati, perché continuano le difficoltà degli italiani? Il servizio di Massimo Pittarello:
L’Italia è tecnicamente in recessione. Il Pil nel quarto trimestre del 2011 è in flessione dello 0,7% rispetto ai tre mesi precedenti. Lo rileva l'Istat, aggiungendo che da un semestre l’economia italiana è in costante calo congiunturale, ufficializzando così la condizione di recessione. In crisi diverse componenti economiche: le importazioni sono scese del 2,5%, dello 0,4% i consumi delle famiglie, dello 0,1% la spesa della pubblica amministrazione e dello 0,5% gli investimenti fissi lordi. Per quest'anno, la previsione continua a essere negativa, con il Pil stimato in flessione dello -0,5%. Insomma, se il debito pubblico italiano non è più sotto attacco per i mercati internazionali, per i cittadini la situazione reale peggiora e l’economia non accenna a riprendersi. Il perché di questo squilibrio lo spiega l’economista, Giacomo Vaciago:
R. – C’è un pessimismo reale e fa bene ai mercati. Stiamo tirando la cinghia: con la manovra Monti e la manovra Draghi – Draghi ha dato più liquidità, Monti ci sottrae reddito e ci riduce il deficit attraverso l’aumento delle tasse – c’è quindi una percezione che la nostra situazione non è più sotto controllo. Ma naturalmente – come quando ti sei fatto male e le medicine iniziano a curarti – il sollievo non è rapido. Prima o poi ne usciremo meglio, nel frattempo, stiamo soffrendo di più. I mercati plaudono a questa nostra capacità di flagellarci, perché la ritengono indispensabile e utile. Attenzione, non siamo la Grecia. La Grecia si fa anche lei del male, ma questo aggrava i suoi problemi. Nel nostro caso, il male che ci facciamo è sufficiente a rimediare i nostri problemi. Per questo motivo Monti è stato applaudito e Papademos no. Così anche in Spagna, che tira un po’ la cinghia ma non abbastanza. E' un po’ in recessione, ma non è sufficiente e quindi, in questo momento, i mercati vogliono più bene a noi che alla Spagna.
D. – Perché se non siamo più sull’orlo del baratro, come ha detto il presidente del consiglio Monti, in realtà la gente nelle tasche ha sempre meno soldi per andare a fare la spesa?
R. – Per il 2012 ahimè è così, e non sono nemmeno sicuro che con marzo il peggio sia superato. Probabilmente peggiorerà ancora un po’ nei prossimi mesi: ci sono ancora aziende che chiudono e licenziano da qui a giugno e settembre. Poi, come ci ha detto Draghi l’altro giorno, lentamente da settembre cominceremo a stare meno peggio, cioè: la temperatura scende, la febbre è minore e quindi qualcuno incomincia a star meglio. Attenzione, anche oggi il mondo è molto variegato: ci sono molti milionari nuovi, abbiamo più poveri e più ricchi e quindi il dato medio è meno utile, ma bisogna capire anche che in media il Paese non cresce.
D. – E’ come se si stesse disintegrando quella classe media che, nel corso degli anni, dal dopoguerra in poi, aveva sopito i conflitti industriali della lotta di classe?
R. – Creando speranze, l’operaio che sta meglio si può permettere un tenore di vita da piccolo borghese. Oggi, quelle speranze si sono dissolte e c’è meno ottimismo sul futuro. (cp)
Salesiana. Convegno sui disagi da stress per i sacerdoti. Intervista con padre Crea
◊ Anche per i sacerdoti l’accumulo di stress dovuto ai troppi impegni pastorali, e a un non equilibrato rapporto con il tempo libero, può essere causa di problemi pisco-affettivi. Su questo argomento, spesso poco trattato, fa luce il convegno ospitato oggi pomeriggio dalla Pontificia Università Salesiana dal titolo “Preti sul lettino: agio e disagio del servizio pastorale del clero”. Alessandro De Carolis ha domandato a uno dei relatori, padre Giuseppe Crea, missionario comboniano e psicoterapeuta, quanto sia diffuso questo fenomeno:
R. – Direi, abbastanza. Anche perché fa riferimento al modo di lavorare dei sacerdoti e degli operatori pastorali: lavorare vuol dire coinvolgersi con molto zelo, per cui il livello del coinvolgimento emotivo spesso sale e il rischio di restare poi intrappolati in situazioni soffocanti è molto diffuso, giacché c’è molto da lavorare per la pastorale. Quando poi le difficoltà del sovraccarico lavorativo si collegano a disturbi della personalità, lì è più facile che il problema diventi visibile, si trasformi in psicosomatica, in disturbi per i quali la persona ha bisogno di essere aiutata anche a livello farmacologico, a livello psicoterapeutico, dipende da situazione a situazione.
D. – Avete numeri che possano dare un’idea di questo fenomeno?
R. – Sì, ho presente il lavoro di ricerca fatto dalla Chiesa del Triveneto, dal quale sul burn-out e sullo stress da sovraccarico lavorativo dei sacerdoti, risultava che un terzo dei sacerdoti aveva livelli piuttosto alti di rischio di “bruciarsi”, di non farcela più. Una cosa caratteristica di quella ricerca è che poi questo terzo della popolazione di sacerdoti aveva anche difficoltà a trovare sostegno e sentiva la solitudine come un peso. Una ricerca simile l’abbiamo fatta anche alla Salesiana, con sacerdoti non solo diocesani ma anche religiosi. Su quasi 300 soggetti, almeno un centinaio – ancora una volta un terzo, potremmo dire – riportavano queste difficoltà, ma soprattutto riportavano la difficoltà ad accorgersene.
D. – Quali sono i segnali più tipici che indicano che la soglia del disagio è stata superata e che quindi il sacerdote ha bisogno di aiuto?
R. – Si accorgono che qualcosa incomincia ad andare storto dal modo in cui reagiscono con la gente: nervosismo, tensione, scatti… e poi, soprattutto con le risonanze a livello di fenomeni psicosomatici: questo poi diventa un vero campanello d’allarme. Non avere tempo libero già è un campanello d’allarme; se il sacerdote non riesce ad avere uno spazio per sé, per rilassarsi, per leggere; se le canoniche sono un guazzabuglio per disponibilità al 100 per 100, anche quello è un campanello d’allarme. I sacerdoti che non hanno tempo per prepararsi da mangiare, che mangiano la sera e male: anche quello potrebbe diventare un campanello d’allarme per loro.
D. – Un sacerdote che dovesse accorgersi di avere problemi del genere, a chi si può rivolgere?
R. – Occorrerebbe, da un lato, che si rivolgesse alla propria formazione, al modo con cui si è formato, e si rende conto di queste situazioni problematiche. Dall’altra, verrebbe spontaneo dire che si rivolga anche a degli specialisti, soprattutto a persone che lavorano in questo settore e che facilitano la consapevolezza dei propri disagi a livello psicologico, a livello di direzione spirituale… Il nucleo centrale, per me, è che il sacerdote riscopra sempre di più il bisogno di condividere anche l’azione pastorale, e di condividere anche le proprie difficoltà. Oggi anche il Papa sottolinea spesso l’importanza della cosiddetta “fraternità sacerdotale”: l’evangelizzatore non è un solitario! Sapere che c’è qualcuno con cui confidarmi, questo sostiene non solo la stima di sé ma la speranza che poi il disagio non distrugga la persona, ma che la persona possa sempre reagire e riprendere il cammino dell’evangelizzazione, del lavoro pastorale.
D. – Benedetto XVI, in tutti i suoi incontri con il clero, insiste sempre sull’importanza della preparazione dei candidati al sacerdozio. C’è nei seminari un’attenzione particolare a questo tipo di disagio?
R. – Oggi c’è molto di più; soprattutto, se ne sente il bisogno, per tanti motivi: perché i preti diminuiscono, perché c’è un invecchiamento, perché le sfide pastorali oggi sono molto complesse … Diciamo che si stanno muovendo passi nuovi. Nello stesso tempo, a volte si avverte la difficoltà a rischiare un pochino di più e a prendersi maggiormente cura di queste esigenze. E su questo c’è bisogno di creare programmi personalizzati, cioè dare valore alla persona che si forma e identificare quali siano le sue difficoltà specifiche nel cammino formativo.
D. – La situazione delle altre Chiese, in Europa e nelle altre parti del mondo, com’è rispetto a questo tipo di problematica?
R. – Dipende: varia da luogo a luogo. Ciò che io ho conosciuto, per esempio, di alcuni contesti delle Chiese emergenti, sono facilitati dal contesto sociale. Paradossalmente, il prete lavora – a volte lavora anche da solo – ma c’è una sintonia tra la collaborazione dei laici e la professionalità teologica-pastorale del sacerdote, e ciascuno ha bisogno della collaborazione dell’altro, riuscendo a gestire anche le situazioni difficili. (gf)
A Roma le vite dei Santi lette da attori professionisti
◊ La chiesa romana di Santa Maria della Vittoria, scrigno della berniniana "Estasi di Santa Teresa", torna ad ospitare nei lunedì di Quaresima la manifestazione “Ritratti di Santi”. Attori professionisti come Giulio Base, Claudia Koll e Vincenzo Bocciarelli propongono al pubblico le vite esemplari di uomini e donne di fede di ogni tempo, tratte dagli scritti di padre Antonio Maria Sicari. L'iniziativa del Movimento ecclesiale carmelitano prende il via oggi con la vita del servo di Dio Rosario Livatino, il giudice “ragazzino” ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990, che Giovanni Paolo II ha definito “Martire della giustizia e indirettamente della fede”. Legge Giulio Base. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. – La cosa che mi ha colpito di più nel racconto di quest’uomo, che ancora non è santo ma che è avviato verso quella strada, è che lui, tutte le mattine, prima di andare in tribunale, prima di giudicare il prossimo - che credo sia sempre una cosa sempre difficile - entrava in una chiesa, si metteva davanti al Santissimo Sacramento e per ore lo contemplava in silenzio come a cercare di poter essere il più vicino possibile, anche nella propria professione, alla Verità. La vita di questo giudice nel mirino della mafia è stata un percorso "cristico", se vogliamo: ha seguito i suoi ideali fino alla morte, non venendo mai meno a quelli che erano i suoi principi.
D. – Giulio Base, ogni prestazione artistica richiede una preparazione. Che cosa cambia quando un attore si prepara a leggere la vita di un Servo di Dio, di un Beato, di un Santo, all’interno di uno spazio sacro?
R. – Per quanto mi riguarda, lo ritengo un grandissimo privilegio. Quando sono a contatto con tali meraviglie come appunto una statua del Bernini, conosciuta in tutto il mondo, in una chiesa così bella, ad affrontare argomenti che sono così vicini a quella che è la colonna vertebrale della mia vita, mi accorgo che non solo faccio il mio mestiere e mi diverto, ma gli spettatori hanno quasi gratitudine per quello che manifesto ed esprimo: questa è una grande soddisfazione.
D. – Quanto è importante la fede nella sua attività professionale?
R. – Io cerco di non dimenticare mai il Padre Eterno sia che io stia affrontando letture come quelle dei Ritratti di Santi, sia quando faccio film più di disimpegno, di intrattenimento, che non hanno necessariamente come fulcro le parole del Vangelo. Lo tengo sempre presente, Lo tengo sempre con me, cerco di manifestarLo in famiglia… Non mi ricordo un pasto a casa nostra dove non si dica una preghiera prima di cominciare a mangiare… Credo la fede che sia la colonna della mia esistenza o almeno provo a far sì che così sia. (bf)
Legge finanziaria Usa. I vescovi: i tagli non colpiscano i poveri
◊ La tutela della vita e della dignità umana, gli effetti delle scelte di bilancio sui più bisognosi, siano essi poveri, disoccupati, affamati o senza-casa, e la promozione del bene comune soprattutto “dei lavoratori e delle famiglie che faticano a vivere con dignità nell’attuale congiuntura economica”: questi i criteri che dovrebbero guidare il governo e il legislatore nell’approvazione del prossimo bilancio federale. È in sintesi il messaggio che i vescovi degli Stati Uniti hanno rivolto nei giorni scorsi ai rappresentanti e ai senatori del Congresso in due distinte lettere firmate da mons. Stephen Blaire e mons. da Richard Pates, rispettivamente presidenti Commissione per la giustizia nazionale e lo sviluppo umano e della Commissione per la giustizia internazionale e la pace della Conferenza episcopale (Usccb). Le due missive esprimono la preoccupazione dell’Episcopato per i possibili tagli a “programmi vitali che proteggono la vita e la dignità dei poveri e dei vulnerabili”. Il timore è che le pressioni in tal senso cresceranno nel corso dell’iter parlamentare della Finanziaria. “Come vescovi – rilevano i presuli - abbiamo cercato di ricordare al Congresso che queste scelte hanno una rilevanza economica, politica e morale”. Sotto quest’ultimo profilo – sottolineano le due lettere - le future leggi finanziarie “non possono essere incentrate su tagli sproporzionati ai servizi essenziali per i poveri”, ma devono richiedere “sacrifici condivisi da tutti”. In questo senso i presuli appoggiano alcune delle misure proposte dall’Amministrazione Obama per l’anno fiscale 2013 volte a sostenere le categorie più vulnerabili, mentre si oppongono ad altri provvedimenti contenuti nella bozza della Finanziaria presentata lo scorso febbraio che invece penalizzano le famiglie più povere. Analogamente, i vescovi americani chiedono al Congresso di aumentare il sostegno finanziario ai programmi contro la povertà nel mondo, anche razionalizzando l’impiego dei finanziamenti. Le lettere ribadiscono inoltre che “l’accessibilità a un’assistenza sanitaria rispettosa della vita e della libertà religiosa” è una priorità per il Paese e ammoniscono i leader politici a non fare pesare i costi crescenti della sanità sugli anziani vulnerabili, le persone disabili e i poveri. “Come pastori – affermano in conclusione i vescovi americani - vediamo ogni giorno le conseguenze umane delle decisioni di bilancio. Il livello morale di questo dibattito sulla finanziaria non dipende da quale partito vincerà o da quale interesse prevarrà, ma piuttosto da come vengono trattati i disoccupati, gli affamati i senza casa e i poveri”, le cui voci “sono troppo spesso assenti dal dibattito politico”. La ricetta presentata un mese fa da Barack Obama per l'America di domani e dal quale dipenderà anche la sua rielezione a novembre, prevede misure a sostegno della crescita nel nome di un trattamento equo per tutti. I punti qualificanti del progetto di bilancio, dell’ammontare di 3.800 miliardi di dollari, sono: investimenti in scuole e infrastrutture, innalzamento delle tasse per i ricchi, tagli alla Difesa e rinnovata attenzione alla formazione per riportare posti di lavoro sul suolo americano. (A cura di Lisa Zengarini)
Appello Fao: 70 milioni di dollari per scongiurare la fame nei Paesi del Sahel colpiti da siccità
◊ Intervenire con urgenza in soccorso dei Paesi del Sahel per scongiurare una crisi alimentare di ampie proporzioni. E’ l’appello è della Fao lanciato in aiuto alle comunità di pastori e contadini. L’agenzia dell’Onu chiede 70 milioni di dollari per assistere 790 mila famiglie. Si calcola siano almeno 15 milioni le persone a rischio fame nel Sahel, in parte a causa di cali della produzione agro-pastorale: 5,4 milioni nel Niger, 3 milioni nel Mali, 1,7 milioni nel Burkina Faso, 3,6 milioni nel Ciad, 850 mila nel Senegal, 713 mila nel Gambia e 700 mila in Mauritania. Molti i fattori che hanno determinato la crisi incombente: la siccità, il brusco calo della produzione cerealicola e il rialzo dei prezzi, la scarsità di foraggio per il bestiame, una riduzione delle rimesse dall'estero da parte dei lavoratori emigrati, il degrado ambientale, le migrazioni e la povertà cronica. "Dobbiamo intervenire per evitare un ulteriore deterioramento della situazione alimentare ed una crisi alimentare e nutrizionali su vasta scala", ha affermato José Graziano da Silva, direttore generale della Fao. "Parte della soluzione - ha spiegato -risiede nel migliorare l'accesso dei contadini e degli allevatori ai mercati locali, incoraggiare l'uso di prodotti locali e applicare buone pratiche di riduzione del rischio per rafforzare la loro capacità di resistenza alle emergenze". Nel Sahel la produzione complessiva di cereali nel 2011 è stata in media il 25% inferiore a quella del 2010, ma in Ciad e in Mauritania il calo è stato del 50% rispetto all'anno precedente. In molti Paesi vi è stato anche un massiccio, seppur localizzato, calo della produzione, sino all'80%, secondo quanto riferisce il Food Crisis Prevention Network (Rpca), Forum di governi donatori ed altre istituzioni che lavorano su questioni di sicurezza alimentare in Africa occidentale. E' stato segnalato inoltre il notevole aumento di profughi, tra cui circa 63 mila sfollati all’interno del Mali a causa del conflitto in atto nel nord del Paese, ed altri 60 mila rifugiati nei Paesi vicini. (R.G.)
Bolivia. Appello del cardinale Terrazas: basta con la violenza nel Paese
◊ Siamo chiamati a dare risposte concrete e urgenti a tutto ciò che si oppone alla vita, perché la Parola del Signore è chiara quando dice "non uccidere". In questo, Dio è determinato, chiaro e preciso, "non si può re-interpretare la volontà di Dio, il Dio della vita non vuole la morte": lo ha detto il cardinale Julio Terrazas, arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra, nella sua omelia pronunciata in Cattedrale alla presenza del nunzio apostolico, mons. Giambattista Diquattro, deplorando i linciaggi e gli omicidi che si sono verificati di recente. Il cardinale - riferisce l'Agenzia Fides - ha chiesto di fermare queste azioni violente, rigettando "la morte data da leggi umane, che possono sempre sbagliare e commettere ingiustizia, e la morte decisa da alcuni con le proprie mani". Una settimana fa nella comunità di Quila Quila (25 km da Sucre), gli abitanti del luogo hanno preso due persone che stavano rubando nella chiesa del paese e, dopo averle legate e picchiate, le hanno sepolte vive vicino alla chiesa. La polizia ha ritrovato i corpi dopo diversi tentativi di dialogo con la gente del posto, che continuava a ripetere "il popolo ha fatto giustizia". Inoltre 4 giorni fa, l'intervento delle autorità avvisate da un sacerdote cattolico ha evitato il linciaggio di altri due presunti ladri, sempre da parte degli abitanti di Quila Quila. Nella zona non è la prima volta che accadono episodi del genere. Nell’omelia il cardinale Terrazas ha chiesto di “non ripetere quanto avvenuto nel passato, e di non lasciarsi ingannare da coloro che cercano l'odio e la vendetta, o da coloro che applaudono misure sempre più severe ma non riescono ad arrivare al cuore di ciò che provoca il danno, le lesioni, il male". Ha chiesto anche di non abituarsi a sentire parole di morte e di vendetta con le proprie mani, perché in questo modo si introduce una pericolosa cultura della morte nelle famiglie e nella gente. Ha invitato tutti i credenti ad utilizzare questo tempo “per scrollarsi di dosso la pigrizia spirituale in cui viviamo e per chiedere al Signore di purificare le nostre menti e i nostri cuori, e infine di ricostruire le nostre relazioni con Dio e con i nostri fratelli”.
Honduras. Campagna della Caritas contro la violenza e per il rispetto dei diritti umani
◊ La campagna promossa dalla Caritas a livello nazionale, intende recuperare in Honduras quei valori profondamente cristiani come il rispetto della dignità umana e dei diritti umani, la tolleranza, la solidarietà e il bene comune. Questo sforzo – sottolinea l’Agenzia Fides - richiede l’avvicinamento alla realtà sentendo come proprio il dolore, la sofferenza e l'angoscia del prossimo, soprattutto dei poveri e di coloro che soffrono in prima persona a causa della violenza. La campagna, lanciata ufficialmente il 3 febbraio, si propone di contribuire a creare un clima di rispetto per la vita e la dignità umana, così calpestate nel Paese, partendo dai gruppi, dalle comunità, dalle parrocchie e dalle diocesi. In tutto il territorio dell’Honduras si susseguono gli atti di violenza, e questa situazione incide negativamente sulla vita personale, familiare, comunitaria e sociale. Inoltre colpisce l'economia, sconvolge la quiete pubblica, semina sfiducia, danneggia il tessuto sociale, fa aumentare il risentimento, la paura, l'angoscia e il desiderio di farsi giustizia da soli. Il settimanale cattolico dell’Honduras “Fides” continua a cercare di smuovere le coscienze proponendo una informazione completa e secondo lo spirito cristiano, dinanzi alla realtà violenta che vive il paese. Così propone la campagna della Caritas con queste parole: “In questo tempo di Quaresima, quando la liturgia ci chiama a seguire Cristo e ad imparare da Lui la sua profonda compassione per la sofferenza umana, la sua vicinanza ai poveri, ai diseredati e agli esclusi, dobbiamo impegnarci risolutamente a cambiare il nostro ambiente, ciò che ci circonda. Cominciamo con gesti, comportamenti e atteggiamenti piccoli ma significativi. I cristiani sanno che la violenza genera violenza, quindi è importante imparare a vedere i nostri fratelli come figli di Dio e non come nemici. Condanniamo fermamente il peccato ma non il peccatore. Cercare soluzioni profonde non è sempre facile, ma ci assicura una convivenza armoniosa. Ricordiamoci che la repressione può mettere sotto controllo temporaneamente la violenza, ma non raggiunge la sua radice”. Il settimanale cattolico Fides, fondato nel 1956 da Padre José Alfonso Molina, all’inizio era un bollettino di 4 pagine per i fedeli di una zona della capitale dell’Honduras. Nel 1962 diventa un settimanale, redatto da giornalisti, ed inizia ad avere un grande pubblico prima nella società del paese e poi nel Centro America.
Allerta in Brasile per la vendita di terreni amazzonici a una società irlandese
◊ Fa discutere in Brasile la vendita di alcuni terreni in Amazzonia. Un'azienda irlandese ha in fatti pagato 120 milioni di dollari per i diritti di sfruttamento di 23 mila km quadrati di una riserva indigena per i prossimi 20 anni. A dare la notizia è stato il quotidiano “Estado de S. Paulo”, precisando che l'impresa Celestial Green Ventures, con sede a Dublino, ha comprato le terre perseguendo la sua politica di affari nel mercato mondiale dei crediti di carbonio. Il contratto è stato firmato dalla società europea con l'Associazione indigena del comune di Jacareancanga, nello Stato amazzonico del Parà, dove vive la tribù 'Mundurucu'. L'accordo - che ha visto spaccarsi la comunità Indios – è ora oggetto di analisi da parte di vari enti del governo brasiliano, secondo i quali iniziative del genere possono impedire lo sviluppo della regione e aprire la strada alla ‘biopirateria’. (R.G.)
Spagna: un milione di persone soffre la fame, inaugurata mensa per bambini poveri
◊ Un milione di persone in Spagna soffre la fame, e il fenomeno sembra essere ancora più grave tra i bambini. Per far fronte a questa emergenza, l’associazione Mensajeros de la Paz, fondata e diretta dal religioso padre Ángel, ha trasformato parte della sua sede di Madrid in una mensa per bambini tra i 2 e i 14 anni appartenenti alle famiglie più povere, per aiutarli nel loro sviluppo e a fare i compiti. Migliaia di bambini infatti – riferisce l’Agenzia Fides - mangiano solo a scuola e durante il resto della giornata non hanno altro. La mensa sociale, che sarà servita da volontari, può ospitare un centinaio di minori e offrire loro una merenda-cena. All’inaugurazione hanno preso parte 30 bambini accompagnati dai genitori o tutori, o nella grande maggioranza dei casi, dai nonni. Alla mensa i bambini saranno accompagnati sempre da un adulto e, se vorranno, potranno farsi aiutare da volontari nei compiti scolastici. La situazione in Spagna va peggiorando a causa della crisi economica internazionale. Secondo i dati della Caritas, da 6 anni a questa parte la gente che frequenta le mense sociali continua ad aumentare. Solo la Caritas ha risposto a 6,5 milioni di richieste di aiuto e nel 2011 ha offerto il 5% in più di aiuti basilari rispetto al 2010. Per il 30% dei casi si tratta di persone che si rivolgevano per la prima volta all’organizzazione cattolica.
Budapest cambia la legge sul garante dei dati personali, secondo le richieste dell’Ue
◊ Il governo conservatore di Viktor Orban, rispondendo ad una procedura d'infrazione avviata dall’Unione Europea ha presentato in Parlamento una nuova legge sull’Autorità per la protezione dei dati personali, in base alla quale il premier non potrà più proporre la destituzione del garante. La Commissione europea, nei giorni scorsi, aveva dato un ultimatum di un mese a Budapest per adeguare la legislazione ai Trattati europei per ciò che concerne la Banca centrale, il pensionamento dei giudici (che implica una sostanziale decapitazione della magistratura) e il garante dei dati personali. La modifica proposta dal governo, che sarà approvata con procedura accelerata dalla maggioranza, aumenta l'indipendenza dell'Autorità, ma non ripristina nel suo incarico il garante destituito lo scorso dicembre, il cui mandato sarebbe scaduto nel 2014. (R.G.)
Le donne nei parlamenti americani a quota 22,6%, sopra la media mondiale
◊ Sfiora il 20% (19,7) la media dei seggi occupati da donne nei Parlamenti del mondo, ma il continente americano nel suo insieme raggiunge il 22,6%, grazie al contributo di Paesi latinoamericani come il Nicaragua a quota 40,2%, la Costa Rica 38,6% e l’Argentina 37,4% alla Camera e 38,9% al Senato, senza contare Cuba, con il 45,2% dei seggi dell’Assemblea ricoperto da donne, in un organismo privo però di potere reale. Sono dati tratti dalla ‘mappa’ globale della presenza femminile nei poteri esecutivo e legislativo – di cui riferisce l’agenzia Misna - stilata dall’Unione interparlamentare mondiale (Ipu). Nella lista mondiale il Nicaragua spicca al 3° posto, la Costa Rica al 14°, l’Argentina al 17°; più giù troviamo l’Ecuador (22°), il Messico (31°), la Bolivia (37°), il Perù (58°), il Cile (88°). Il Brasile – pure governato da una donna, Dilma Rousseff – è al 116° posto con l’8,6% delle deputate e il 16% delle senatrici. Sotto la media mondiale sono peraltro gli Stati Uniti (78° posto) con il 16,8% dei seggi occupati dalle donne alla Camera dei Rappresentanti e il 17% al Senato. L’America Latina ha in più quattro donne a capo del governo: oltre a Rousseff anche Cristina Fernández in Argentina, Laura Chinchilla in Costa Rica e Kamla Persard-Bissessar a Trinidad e Tobago. Diversi Paesi caraibici hanno inoltre una donna a capo dell’Assemblea legislativa. (R.G.)
◊ Partite truccate, violenza e razzismo negli stadi, sicurezza degli spettatori e degrado morale saranno i temi principali di dibattito alla Conferenza europea, in programma a Belgrado, in Serbia, giovedì prossimo 15 marzo. Presenti alla riunione, i ministri dello Sport dei 47 Paesi aderenti al Consiglio d’Europa, tutti quelli del Continente esclusa la Bielorussia. A relazionare sui problemi di corruzione, che già da tempo affliggono in particolare - tra diversi sport - il Calcio, sarà il presidente dell’'Unione Europea delle Federazioni calcistiche (Uefa), Michel Platini. Come già fece alla Conferenza di Atene nel 2008, Platini ribadirà che i risultati truccati delle partite rischiano di trascinare il Calcio a livelli sempre più bassi di moralità, che riguardano non solo lo sport ma l’intera società. Platini suggerisce quindi di rafforzare i meccanismi di controllo previsti dalla Convenzione europea sulla violenza e sicurezza negli stadi, che fu elaborata nel 1985, dopo la tragedia occorsa il 29 maggio di quell’anno nello stadio Heysel di Bruxelles in Belgio, nella quale morirono 39 persone e vi furono oltre 600 feriti. Per il Consiglio d’Europa interverranno a Belgrado la vice segretaria generale Maud de Boer Buquicchio e il presidente del Congresso dei Poteri Locali e Regionali Keith Whitmore. (R.G.)
Tavolo Asilo al governo italiano: soluzioni mirate per i migranti dalla Libia
◊ Un appello al governo italiano perché al più presto si trovino soluzioni per i migranti, richiedenti asilo e rifugiati di vari Paesi, giunti in Italia nel 2011 a causa del conflitto in Libia. Lo ha presentato oggi il "Tavolo Asilo", Forum informale delle maggiori organizzazioni italiane attive nel campo della protezione dei rifugiati, coordinato dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). Lo scorso anno, si legge in una nota dell'Unhcr, ''oltre 1,3 milioni di persone di varie nazionalità hanno lasciato la Libia per sfuggire alla violenza. Di queste, circa 28 mila hanno attraversato il Mediterraneo in cerca di sicurezza in Italia. Tra loro vi erano rifugiati in fuga da altri Stati che si trovavano in Libia e anche migranti che da anni lavoravano in questo Paese. Al loro arrivo in Italia sono stati tutti incanalati nella procedura d'asilo. Va notato - spiega la nota - che l'ottenimento della protezione internazionale, ovvero dell'asilo, si basa sulla condizione del singolo nel Paese di origine, non in quello di transito o in cui risiede per motivi di lavoro”. Per questo il Tavolo Asilo propone al governo di ''valutare l'opportunità di una più ampia attuazione delle norme vigenti in materia di protezione umanitaria” per poter “rilasciare un permesso di soggiorno alla maggior parte delle persone arrivate dalla Libia” e concedere “un permesso di soggiorno a titolo temporaneo a quanti non hanno ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale, né la protezione umanitaria”. Si potrebbero poi “predisporre adeguati programmi di ritorno volontario assistito con un adeguato incentivo economico, sia verso i Paesi di origine, sia verso la Libia, quando la situazione sarà sufficientemente stabile e sicura da poter garantire il rispetto dei diritti umani”. (R.G.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 72