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Sommario del 05/03/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Incontro dei vescovi del Sud-Est Europa. Mons. Giordano: i cristiani siano protagonisti della costruzione europea
  • Messa del cardinale Bertone per don Giussani: un profeta dell’incontro con Dio
  • Segni di riscoperta del Sacramento della Penitenza: a Roma oltre 700 sacerdoti per un corso sulla Confessione
  • Nomine alla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Russia: netta vittoria di Putin alle presidenziali. Denunce di brogli, opposizione in piazza
  • Iran al centro del colloquio tra Obama e Netanyahu
  • Esplosioni a Brazzaville: oltre 140 morti. Distrutta la chiesa di San Luigi dei Francesi
  • Yemen. Attacchi di Al Qaeda nel Sud del Paese, oltre 100 morti
  • Somalia, ucciso un altro giornalista
  • La terra non è una merce: la riflessione del direttore di “Popoli” sul fenomeno del “land grabbing”
  • In primo piano in Italia la riforma del Parlamento e dell'esecutivo
  • La religiosità degli italiani al centro di un volume edito da "Vita e Pensiero"
  • Piu forte della paura. Don Giacomo Panizza: alzare la voce contro la 'ndrangheta
  • Sugli schermi italiani il film francese "Quasi amici"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Onu: nuovo programma per ridurre la mortalità materna in quattro nazioni africane
  • Siria: proseguono le violenze. Bloccati i messaggi dei cellulari
  • Iraq: a Kirkuk giovani cristiani e musulmani invocano pace e dialogo interreligioso
  • Pakistan: la società civile chiede “pari diritti per le minoranze religiose”
  • India: proteste degli ultranazionalisti indù contro aiuti economici a cristiani e musulmani
  • Cile: la Chiesa invoca il dialogo tra popolazione di Aysén e governo
  • Malaysia. Riforma dell’istruzione: i cristiani chiedono spazio all’inglese, alla Bibbia, ai diritti
  • Vietnam: a Pasqua 264 nuovi Battesimi. In corso gli incontri di preghiera
  • Lourdes: gioia dell'Unitalsi per la "guarigione inspiegabile" di Danila Castelli
  • Germania. Mons. Zollitsch: "Una società senza pause è asociale"
  • Giornata dell’America Ispanica sulla nuova evangelizzazione
  • Francia: ultimi preparativi del Forum mondiale dell’Acqua
  • Chiesa inglese e scozzese insieme contro le unioni gay
  • Il Papa e la Santa Sede



    Incontro dei vescovi del Sud-Est Europa. Mons. Giordano: i cristiani siano protagonisti della costruzione europea

    ◊   I presidenti delle Conferenze episcopali del Sud-Est Europa sono da oggi a Strasburgo per il loro 12.mo incontro, promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa e dalla Missione Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa. L’evento prevede, tra l’altro, la celebrazione della Messa per l’Europa mercoledì 7 marzo alle ore 18.30 nella Cattedrale di Strasburgo. Sugli obiettivi di questo incontro Sergio Centofanti ha intervistato mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa:

    R. - Noi ci rendiamo conto che è importante che i cristiani siano là dove si prendono delle decisioni a livello europeo. E quindi l’obiettivo è di conoscere meglio le istituzioni europee, di mostrare loro il nostro interesse e la nostra presenza e acquistare una nuova competenza da poter poi trasmettere ai popoli e alle comunità, affinché i laici diventino protagonisti di questa costruzione europea.

    D. - Questo incontro si svolge in un momento di grave crisi per l’Europa: la Chiesa come può aiutare ad uscire da questa situazione?

    R. - Noi notiamo certamente una crisi dell’identità stessa dell’Europa. Credo che il contributo della Chiesa su questo punto sia determinante, perché noi vediamo come l’Europa abbia un’identità non solo economica, ma politica e soprattutto culturale. In questa identità culturale, la dimensione del cristianesimo è determinante. Noi non possiamo concepire nulla dei duemila anni dell’Europa senza fare riferimento al cristianesimo. Nel cuore del cristianesimo, un altro aspetto è certamente quello della solidarietà, questa dimensione di solidarietà, di rispetto dell’altro, di amore dell’altro… Un altro contributo del cristianesimo è il fatto che introduca la novità della carità nella società. La carità naturalmente non esiste senza giustizia, ma la carità va anche oltre la giustizia: introduce una dimensione di gratuità, introduce anche una dimensione di perdono e di dono che in questo momento storico sono aspetti di enorme originalità.

    D. - La famiglia sta diventando una realtà sempre più fragile: cosa dire?

    R. - Penso che un compito fondamentale sia, innanzitutto, ridefinire che cos’è la famiglia, ridare un contenuto alla parola “famiglia”. Noi purtroppo assistiamo addirittura alla difficoltà di dire cos’è “famiglia”. Noi vediamo la famiglia nella realtà, nella natura, vista da Dio nel rapporto uomo-donna, un rapporto aperto alla vita. Invece all’interno di questa parola vengono messi oggi dei concetti che sono contrari a questo. Anche alcuni termini come “padre”, “madre”, “marito”, “moglie” o addirittura “uomo”, “donna”, trovano delle difficoltà: sono delle parole che quasi perdono il loro contenuto, tendono a sparire per andare verso il generico. Dire genitore A, genitore B, o dire coniuge A, coniuge B, o ancora “non siamo uomo e donna, ma siamo gender”…c’è questa specie di allontanamento dalla realtà che tocca molti aspetti della cultura europea attuale. Quindi il nostro sforzo è di tornare alla realtà, per noi credenti la realtà voluta da Dio sul tema della famiglia.

    D. - Al centro dell’incontro anche il tema della libertà religiosa, in pericolo anche in Occidente. Vediamo ad esempio la questione dell’obiezione di coscienza negli Stati Uniti…

    R. - Da una parte, riguardo alla religione in genere, vedo che c’è un nuovo interesse. Le istituzioni internazionali sono ben coscienti che la religione è determinante per i popoli, per le culture, è quindi un riferimento essenziale; dall’altra, abbiamo molti passi da fare. Innanzi tutto ottenere - da una parte - una libertà di culto, una libertà di organizzazione interna, una libertà di poter professare, poter insegnare la propria fede, ma dall’altra parte il fatto di essere presenti nello spazio pubblico, quello che il Papa sottolinea spesso: “Dio ha diritto di essere nello spazio pubblico”. Se togliamo Dio, abbiamo veramente tolto la base della convivenza per la pace, per la solidarietà. In questo ambito abbiamo molte questioni: pensiamo alla presenza dei simboli religiosi nello spazio pubblico e anche la questione - da lei citata - dell’obiezione di coscienza; il rispetto che le organizzazioni delle realtà religiose possano essere fedeli alla loro etica, alla loro morale, ai loro principi, ai loro valori, e non siano costrette, in qualche maniera dal potere, ad andare contro i propri valori. Conosciamo il fatto delle discriminazioni per motivi religiosi fino a forme di persecuzione. I Paesi del Sud-Est Europa che saranno rappresentati qui dai vescovi sono Paesi che incontrano difficoltà. La Chiesa cattolica è in minoranza numerica e quindi anche le domande che sono proprie delle minoranze: dal riconoscimento delle Chiese alla reale libertà di espressione, ad una reale possibilità di essere presenti nello spazio pubblico. Vedo che un altro grande dibattito in Europa è il rapporto tra la libertà di espressione dei media, che oggi è molto sottolineata, e, dall’altra, il rispetto per i valori delle religioni. Fin dove può andare la libertà di espressione? Fin dove vai a violare o ad incitare alla violenza e all’odio contro le religioni o i valori religiosi?

    D. – Ma c’è il pericolo che la fede cristiana venga sempre più emarginata e privatizzata in Europa?

    R. – Sì, che ci sia da una parte questo tentativo è evidente; che ci siano forze che lavorano in questo senso è chiaro. Dall’altra parte, però, io noto una nuova coscienza, anche nei credenti, del fatto cristiano e c’è anche – direi – una nuova paura, una nuova interrogazione che circola per l’Europa. Siamo un po’ meno arroganti, perché siamo meno sicuri, abbiamo più paure. E questo ci mette di nuovo in un atteggiamento di ricerca, di attenzione a quali siano i valori fondanti della vita, qual è il senso delle cose, il senso dell'esistere; e quindi credo che il cristianesimo in questo senso ha una grandissima chance.

    D. – Anche il tema della bioetica è molto caldo...

    R. – Recentemente l’Assemblea parlamentare ha detto di no all’eutanasia, ha detto che l’eutanasia va sempre rifiutata, e questo è positivo. Qualche tempo fa, in una risoluzione, si sono pronunciati a favore dell’obiezione di coscienza del personale medico. C’è stata una sentenza della Corte, che ha detto che l’Austria ha diritto di rifiutare la fecondazione in vitro eterologa, cioè la fecondazione in vitro con un seme che viene dall’esterno della coppia. C’è stata una sentenza che riguardava l’Irlanda, dove se non altro la Corte ha detto che non esiste un diritto all’aborto, però i temi legati all’origine della vita, i temi legati alla nascita, legati alla crescita, legati al mondo medico, legati alla fine della vita sono veramente di un’attualità enorme. Anche qui credo che la questione di fondo tocchi la visione dell’uomo stessa: qui si gioca il futuro della persona umana stessa.

    D. – Tra le sfide di questi Paesi del Sud-est Europa c’è anche il dialogo ecumenico...

    R. – Da una parte queste Chiese hanno delle difficoltà, ma vivono anche dei laboratori di dialogo ecumenico, di incontro tra le religioni, che diventa molto utile per tutta l’Europa. Quindi, spero che questo incontro sia occasione perché la voce di queste Chiese sia più ascoltata anche dalle altre Chiese, da tutta l’Europa. Visitando questi Paesi ho visto che c’è spesso una vivacità di vita cristiana, che mi sembra esemplare, visto il difficile contesto in cui si trovano.

    D. – Mercoledì ci sarà la Messa per l’Europa...

    R. – Sì, è una proposta che vogliamo fare nella splendida Cattedrale di Strasburgo, dove parteciperanno questi vescovi della regione del Sud-Est Europa. Abbiamo invitato i rappresentanti del Consiglio d’Europa ed anche comunità o amici che sappiamo si interessano in particolare dell’Europa, nella coscienza, come dice il Papa nella Caritas in veritate, che la vita pacifica, la vita solidale, la vita giusta tra i popoli in fondo sia un dono che noi dobbiamo ricevere e che dobbiamo invocare. Quindi diamo un segno di preghiera per dire che l’Europa deve aprire le proprie braccia per accogliere un dono che Dio vuole fare all’Europa. Dio non ha mai abbandonato l’Europa: se siamo noi ad avere abbandonato Dio, il problema è nostro. Dio, però, ha dato la vita per questa Europa e questa Messa vuole essere un prendere coscienza e vivere un evento di invocazione a Dio.

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    Messa del cardinale Bertone per don Giussani: un profeta dell’incontro con Dio

    ◊   Il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha celebrato ieri pomeriggio in San Pietro una Messa nel 7.mo anniversario della morte di mons. Luigi Giussani e nel 30.mo del riconoscimento pontificio della Fraternità di “Comunione e Liberazione". Il porporato ha ribadito la grande attualità della vita e degli insegnamenti di don Giussani. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Testimoniate al mondo la bellezza dell’avvenimento cristiano con coraggio e generosità”: è l’esortazione che il cardinale Bertone ha rivolto ai fedeli di “Comunione e Liberazione”, ai quali ha portato il saluto e l’incoraggiamento del Papa. Quindi, ha messo l’accento sull’eredità spirituale lasciata da don Giussani alla Chiesa e al mondo:

    “Don Giussani è stato ‘profeta’ dell’insopprimibile anelito dell’incontro con Dio per l’uomo del nostro tempo; incontro con la Persona di Gesù nel quale ‘Dio si è fatto uomo’; incontro con la Chiesa, luogo della compagnia dei cristiani in cammino verso e dentro la vera vita”.

    Con il percorso della Causa di beatificazione e canonizzazione di don Giussani, ha aggiunto il cardinale Bertone, “ci attende l’esperienza di un appassionante coinvolgimento alla sua audacia di cristiano e di Sacerdote”. Ha quindi ribadito che il fondatore di Cl era un uomo profondamente libero perché animato da una fede salda nel Signore. “Sul suo esempio e alla luce dei suoi insegnamenti – ha proseguito - anche voi oggi siete chiamati a una verifica sincera della vostra fede”. Ed ha sottolineato che, come esorta Benedetto XVI, “è necessario compiere un serio percorso per mostrare la relazione della fede con i bisogni dell’esistenza”, superando “la frattura moderna fra ragione e fede, tra sapere e credere”. Si tratta, ha osservato ancora, “di compiere un reale cammino umano in cui fare esperienza che il Signore Gesù non è un’idea, un discorso, ma un avvenimento, una Persona, che dà alla vita una nuova prospettiva”. Dell’importanza di questo cammino, ha concluso il cardinale Bertone, don Giussani “era intimamente persuaso e lo ha proposto con ardore instancabile e affascinante ragionevolezza”, convincendo “moltitudini di persone, specie i giovani, a mettere Cristo al centro della loro vita”.

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    Segni di riscoperta del Sacramento della Penitenza: a Roma oltre 700 sacerdoti per un corso sulla Confessione

    ◊   Al via oggi, presso il Palazzo della Cancelleria a Roma, la 23ª edizione del “Corso sul Foro Interno”, quindi sul Sacramento della Riconciliazione, organizzato dalla Penitenziera Apostolica. Partecipano oltre 700 sacerdoti di 84 nazioni. Intervengono, tra gli altri, il cardinale Manuel Monteiro de Castro, penitenziere maggiore, e mons. Gianfranco Girotti, reggente della Penitenzieria. Sergio Centofanti ha chiesto a mons. Girotti come rilanciare il Sacramento della Confessione:

    R. – Sono convinto che oggi la riscoperta del Sacramento della Penitenza dipenda in grande misura dai sacerdoti e soprattutto dalla consapevolezza che loro sono i depositari di un ministero prezioso e insostituibile. Il Beato Giovanni Paolo II diceva che i sacerdoti, nell’impartire ai fedeli la Grazia del perdono con il Sacramento della Penitenza, compiono l’atto più alto - dopo la celebrazione dell’Eucaristia – del loro sacerdozio.

    D. – Ci sono segni di una riscoperta del Sacramento della Penitenza?

    R. – Grazie a Dio, sì. Certo occorre sempre percorrere nuovi cammini penitenziali che indichino effettivamente la volontà di camminare, di accostarsi al Sacramento della Riconciliazione come alla conclusione di un percorso, nel quale il fedele deve sentire i propri atti non come dichiarazioni di buona volontà, ma come presenza della Grazia nella propria vita. Sicuramente, persiste un certo affievolirsi del senso del peccato, ma avvertiamo anche che in questi ultimi tempi tanti fedeli vivono il Sacramento con una nuova dimensione.

    D. – A volte si sente tra i fedeli il problema della differenza di approccio tra i diversi confessori: c’è chi dice che uno è più rigido, uno è più morbido…

    R. – Infatti i nostri corsi hanno proprio questo obiettivo di rafforzare la competenza, la dottrina dei confessori per aiutarli ad agire sempre nel magistero della Chiesa, affinché non vi siano disparità di giudizi, ma che tutti quanti applichino i principi del magistero della Chiesa.

    D. – A volte - si dice - ci sono anche diverse soluzioni ai vari problemi...

    R. – Sì, questo può capitare. Però non è che nel dare nella confessione delle indicazioni arbitrarie su problemi delicati il sacerdote può esprimere quello che pensa lui: si deve sempre proporre la legge della Chiesa.

    D. – Che consiglio darebbe ad un confessore?

    R. – Un buon confessore deve mostrarsi sempre accogliente, sereno, soprattutto non frettoloso; deve avere sempre la massima cortesia e non dimenticando che il confessore svolge un compito paterno, perché rivela agli uomini il cuore del Padre: impersona proprio l’immagine di Cristo Buon Pastore.

    D. – Un consiglio per i penitenti?

    R. – Di riscoprire il valore di questo Sacramento, che è il Sacramento della santificazione, importantissimo nella vita dei cristiani. (mg)

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    Nomine alla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli

    ◊   Benedetto XVI ha nominato membri della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli i cardinali: Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; Laurent Monsengwo Pasinya, Arcivescovo di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo); e i monsignori: Pier Luigi Celata, Arcivescovo tit. di Doclea, Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso; José Octavio Ruiz Arenas, Arcivescovo emerito di Villavicencio, Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione; Joseph Kalathiparambil, Vescovo emerito di Calicut, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In cima al monte per essere più vicini a Dio: l'itinerario spirituale spiegato da Benedetto XVI nella visita alla parrocchia romana di San Giovanni Battista de La Salle e all'Angelus.

    Nell'informazione internazionale, in primo piano la Russia: Putin per la terza volta eletto presidente mentre l’opposizione denuncia brogli e torna a protestare in piazza.

    Una cultura della tolleranza per la libertà religiosa: intervento dell’arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni specializzate a Ginevra.

    Alternative, parallele o dialogiche?: il cardinale Gianfranco Ravasi sui rapporti tra scienza e fede.

    Senza fretta ma senza pause: Vicente Cárcel Ortí su Paolo VI e il rinnovamento dell’episcopato spagnolo nel periodo postconciliare.

    Pane spezzato per gli altri: la prefazione del Papa a un libro del cardinale Paul Josef Cordes.

    Ciò che fa grande e bello un amore: nell'informazione religiosa, un articolo di Andrea Possieri sull'incontro a Perugia dedicato alla pastorale familiare.

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    Oggi in Primo Piano



    Russia: netta vittoria di Putin alle presidenziali. Denunce di brogli, opposizione in piazza

    ◊   Con quasi il 64 per cento dei consensi, Vladimir Putin ha vinto nettamente le presidenziali russe di ieri e torna dunque al Cremlino. Nel discorso dopo la vittoria, Putin ha definito la sfida “aperta e onesta”. Un giudizio che non viene condiviso dagli osservatori europei dell’Osce e del Consiglio d’Europa, che hanno parlato di elezioni “chiaramente alterate” a favore del premier e contrassegnate da “numerose irregolarità”. Attese per oggi manifestazioni contro i brogli da parte delle opposizioni. Per un commento sul risultato delle presidenziali in Russia, Cecilia Seppia ha sentito Fulvio Scaglione, vicedirettore di "Famiglia Cristiana" ed esperto di questioni russe:

    R. – Era abbastanza prevedibile che dopo la figuraccia – chiamiamola così – delle elezioni politiche di ottobre, con il regresso fortissimo di Russia Unita, quindi del suo partito, Putin si sarebbe organizzato per ottenere esattamente questo risultato: passare al primo turno e dimostrare di avere ancora una solidissima maggioranza. Bisogna vedere ora quanto c’è di naturale in questo risultato, quanto c’è di artificioso o addirittura di illegale, di brogli, di costrizioni…

    D. – A proposito di brogli già sono arrivate numerosissime denunce e gli osservatori hanno parlato di episodi di caroselli elettorali: gruppi di elettori trasportati insieme a bordo di pullman per votare in più seggi…

    R. – Io sono piuttosto convinto che tutto l’apparato della burocrazia statale, della burocrazia militare e quindi quelle grosse organizzazioni che possono mobilitare in poco tempo molti, moltissimi voti, sono state messe sottopressione proprio per votare per Putin. Quello che voglio dire è che le alternative erano per non dire irrisorie, certamente molto deboli. Da Ziuganov a Zhirinovsky, al miliardario Prokhorov, non è che ci fosse una proposta politica alternativa, convincente e che facesse pensare di essere capace di scalzare Putin, con o senza brogli.

    D. – Ci sono state anche delle critiche sulle webcam, collocate dal governo nei pressi dei seggi proprio perché il governo voleva dar prova di trasparenza. Eppure pare che siano state, in qualche modo, oscurate e quindi neanche da Internet era possibile monitorare il voto…

    R. – Anche qui nessuna sorpresa. La democrazia se c’è, esiste perché c’è un sistema di contrappesi, di garanzie, che limitano il potere dei leader. La democrazia non certo esiste perché ci sono i telefoni o le webcam o i computer. Quindi che le webcam piazzate nei seggi elettorali abbiano dato scarsa prova di sé è una delle tante cose che non stupiscono.

    D. – Sicuramente bisognerà aspettare per verificare il voto, ma da dove viene questo consenso, questa scelta? Forse dalla volontà della popolazione di essere quasi rassicurata? Eppure da dicembre si sono verificate fortissime contestazioni contro queste presidenziali...

    R. – Io credo che i due fenomeni stiano perfettamente insieme. C’è una Russia profonda che non dimentica che Putin ha dato – in un modo o nell’altro – una stabilità al sistema. Le generazioni più giovani, quelle che hanno meno memoria del passato e che si sono affacciate sulla scena della politica negli ultimissimi anni, hanno invece più fresca la memoria di Putin primo ministro, nella crisi globale, dell’incerta conduzione politica da parte dello stesso Putin di questa crisi e del generale impoverimento della nascente classe media, che in Russia ha subito la stessa sorte che ha subito nei Paesi occidentali: quella, appunto, di impoverirsi. Quindi i due fenomeno stanno insieme. Il problema della contestazione a Putin e alla politica del Cremlino, che pure è stata fortissima, è di essere così eterogenea da fare massa, ma da non fare fronte: da tutte le contestazioni non è emersa una proposta politica che potesse essere usata contro quella del Cremlino. (mg)

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    Iran al centro del colloquio tra Obama e Netanyahu

    ◊   La questione nucleare iraniana sarà al centro del colloquio odierno tra Barack Obama e Benjamin Netanyahu. Il presidente americano riceverà il premier israeliano alla Casa Bianca in un momento particolarmente delicato nei rapporti tra Stati Uniti e Israele. A rendere più complicata la situazione è anche la campagna elettorale per le presidenziali Usa di novembre. Lo sottolinea il prof. Riccardo Redaelli, docente di geopolitica Università Cattolica di Milano, intervistato da Emanuela Campanile:

    R. – Bisogna inquadrare il problema che è davvero complicato. Innanzitutto è un anno elettorale negli Usa e noi sappiamo bene quanto le lobby politiche più vicine ad Israele negli Stati Uniti contino e quindi Obama deve essere molto prudente, anche perché i repubblicani, pur divisi fra loro, cercano in ogni modo di screditare Obama dicendo che non sostiene Israele, che non difende Israele. Nell’amministrazione Obama e all’interno delle forze armate statunitensi, sono in molti a ritenere che un’azione militare, cioè un bombardamento di siti nucleari iraniani, sia una pessima soluzione, non solo per gli Stati Uniti, l’Occidente e per la regione, ma per lo stesso Israele. Sono dubbi che vi sono anche in Israele. Del resto, se non vi fossero più questo tipo di dubbi, l’attacco ci sarebbe già stato. E’ evidente che Israele vuole avere le mani libere, perché non si fida troppo di Obama e, dato che qualcuno in Israele, non tutti per la verità, ritengono questo programma sia una minaccia esistenziale alla sopravvivenza di Israele stesso, allora vogliono a tutti i costi le "mani libere". Tanto negli Stati Uniti quanto in Israele non vi è una piena convergenza: molti analisti militari dell’intelligence israeliana hanno grandi dubbi sull’efficacia di questo attacco preventivo. Più l’Iran continuerà in questa sua politica ambigua, di continuare ad arricchire l’uranio al 20 per cento, e più sarà facile uno scivolamento verso soluzioni estreme.

    D. – L’Unione Europea, alle prese con una grande crisi economica, ha un atteggiamento forse abbastanza neutro rispetto a quello che sta succedendo in Medio Oriente...

    R. – Come europeo a me piacerebbe che la crisi dell’Unione Europea fosse solo una crisi economica, in realtà è una crisi politica. Noi ci siamo schierati con gli Stati Uniti sulle sanzioni energetiche che pure penalizzano molto anche il nostro Paese, ma è chiaro che vi è una differenza molto forte, una rivalità interna che ci nuoce, e soprattutto in Medio Oriente la nostra voce è terribilmente flebile. L’Europa dovrebbe giocare un ruolo attivo più forte, soprattutto forse scostarsi maggiormente dagli Stati Uniti, per cercare di convincere gli iraniani che un accordo è possibile, credibile e positivo per noi, ma anche per loro. (ap)

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    Esplosioni a Brazzaville: oltre 140 morti. Distrutta la chiesa di San Luigi dei Francesi

    ◊   E' salito ad almeno 146 morti, centinaia di feriti e numerosi edifici distrutti il bilancio, purtroppo ancora provvisorio, delle esplosioni avvenute ieri in un deposito di munizioni a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo. Il servizio di Giada Aquilino:

    All’origine della sciagura ci sarebbe un corto circuito. Le autorità congolesi sembrano non avere più dubbi: alle 8 del mattino il primo scoppio; poi in sequenza gli altri, fino al pomeriggio. Il governo di Brazzaville ha decretato il coprifuoco nella zona del deposito, il quartiere periferico di Mpila. Come riporta l’agenzia Misna, che cita il quotidiano locale ‘Les depeches de Brazzaville’, le esplosioni sono state udite anche a Kinshasa, nella vicina Repubblica Democratica del Congo. Le due capitali sono infatti divise soltanto dal fiume Congo. Nella cattedrale di Brazzaville - dove ieri la Messa domenicale è stata interrotta proprio dall’eco delle esplosioni - e in un mercato coperto sono stati allestiti punti di soccorso ed emergenza e si accolgono i familiari delle vittime e gli sfollati. Ma ad essere stata “completamente spazzata via” dall’esplosione è stata la chiesa di San Luigi dei Francesi di Brazzaville, come spiega all’agenzia Fides l’arcivescovo della città, mons. Anatole Milandou. “Mi trovo con gli orfani delle vittime della catastrofe”, ha detto il presule. Altre fonti della Chiesa cattolica locale, sempre contattate da Fides, spiegano che “la chiesa di San Luigi dei Francesi si trova proprio in un’area adiacente la caserma dove sono avvenute le deflagrazioni”. “Di sicuro - hanno rivelato le medesime fonti - ci sono stati morti e feriti tra i fedeli”.

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    Yemen. Attacchi di Al Qaeda nel Sud del Paese, oltre 100 morti

    ◊   Oltre cento vittime, tra militari e combattenti. Questo il tragico bilancio dell'attacco a sorpresa lanciato domenica da estremisti di al-Qaeda a Zinjibar, capitale della provincia di Abyan, nel sul dello Yemen. Lo riferiscono fonti mediche e militari. Un Paese, questo, da sempre diviso ed estremamente complesso, soprattutto per l’architettura tribale su cui si basa. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Maria Grazia Enardu, docente di Relazioni Internazionali presso l’Università di Firenze:

    R. – E’ un Paese diviso e tribale, dove il termine “tribale” va inteso nel suo senso più profondo, con una forte presenza saudita, per ovvie ragioni; ed è un Paese in cui al Qaeda ha una sorta di casa madre, anche perché è un fenomeno della Penisola Arabica, che recentemente ha visto al Qaeda rafforzarsi sia sfruttando il disordine del Paese, che ha avuto anche un cambio di regime, sia anche usando metodi tradizionalissimi della Penisola Arabica e cioè i matrimoni e le alleanze locali. L’aspetto paradossale è che nel fenomeno di al Qaeda sono coinvolti i sauditi, sia come partecipazione sia come finanziamento: non la Casa reale saudita, ma una significativa presenza saudita. Tutto questo suscita disordine nell’intera area, nella regione, anche perché tradizionalmente uno Yemen pericoloso attira l’attenzione dell’Egitto, come già avvenuto negli anni Sessanta e questo aggiunge ulteriore instabilità.

    D. – Bisogna dire anche che in Yemen non sono mai mancate le armi, anche tra la popolazione. Chi le fornisce?

    R. – E’ un Paese in cui tutti i maschi adulti tradizionalmente hanno un fucile o qualcos’altro. Si sa che l’esercito, quello che ha perso le battaglie contro i ribelli in questi giorni, ha armi sovietiche perché già dagli anni Sessanta i sovietici avevano lì una significativa presenza. Quindi probabilmente si tratta di vecchi armi di provenienza russa.

    D. – Lo Yemen è un Paese che resta sempre piuttosto defilato, eppure è di una certa importanza per l’assetto geo-politico di quell’area...

    R. – Purtroppo sì. Il problema è che lo Yemen è un Paese con tantissimi ragazzi - la popolazione è giovanissima - poverissimi, senza acqua, con un reddito bassissimo e anche molto ignoranti. Tutto questo lo rende una potenziale polveriera per chiunque lo governi, figuriamoci in situazioni del genere.

    D. – Però abbiamo visto negli ultimi mesi che c’è stata una presa di coscienza anche nei confronti del presidente Saleh, che è poi uscito di scena. Quindi evidentemente le cose stanno leggermente cambiando...

    R. – Sì, anche se solo nelle città. Lo Yemen ha un territorio piuttosto vasto che è fuori dalle città, che è controllato solo dalle tribù e siccome le tribù si muovono sul territorio con un controllo straordinario, se non si controllano quei territori, non si controlla lo Yemen. (mg)

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    Somalia, ucciso un altro giornalista

    ◊   A una settimana dalla conferenza politico-militare sulla Somalia che si svolgerà in Etiopia, le milizie al Shabaab sono state costrette a ritirarsi dalla città di Baidoa, già sede del governo somalo di transizione, prima dell’offensiva di al Qaeda nel 2007. Le Nazioni Unite intanto hanno approvato un rafforzamento del contingente militare dell’Unione Africana entro l’anno. In questo contesto così difficile, dove la popolazione civile paga un prezzo di sangue altissimo, continua la strage dei giornalisti locali. Oggi, l’ennesima esecuzione. Stefano Leszczynski ha intervistato Mimmo Candito, presidente di Reporter senza frontiere – Italia:

    R. – Per un Paese come la Somalia, dove l’ordine è un’aspirazione impossibile, la lotta fra fazioni fa sì che anche i giornalisti siano coinvolti all’interno di questa logica di confronto militare.

    D. – C’è dunque il rischio di un giornalismo che può essere coinvolto anche in questo tipo di lotte fra fazioni?

    R. – In Paesi in conflitto, nei quali la legalità è un’affermazione astratta e dipende sostanzialmente dalla volontà del potere più forte, ecco che tutto diventa impraticabile. Quindi, o si cede alle sollecitazioni, alle pressioni, alle repressioni che arrivano dai poteri più forti, o altrimenti viene messo a tacere. Quindi, anche quando sia possibile l’esercizio del giornalismo come noi l’intendiamo, in forma spesso astratta, anche nei nostri Paesi occidentali, ecco che questo non si può realizzare, perché c’è l’intervento repressivo, violento, omicida del potere, che viene disturbato dall’esercizio di un racconto della realtà.

    D. – Si sente sempre parlare del pericolo terrorismo, del problema della pirateria, pochissimo di quello che soffre la popolazione civile. Questo che segnale ci dà?

    R. – Ci dà il segnale della difficoltà di rappresentare la realtà, quando si è travolti da un conflitto senza apparente via d’uscita. Tutto diventa barbarie e non si riesce a percepire esattamente, completamente, cosa significhi questa lotta nel vissuto quotidiano: lo sfascio delle vite individuali, lo sfascio della vita sociale, la distruzione di qualsiasi speranza di vita. Purtroppo questa è la guerra. (ap)

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    La terra non è una merce: la riflessione del direttore di “Popoli” sul fenomeno del “land grabbing”

    ◊   La rivista internazionale dei gesuiti “Popoli” ha dedicato l’editoriale del numero di marzo a due straordinari testimoni della carità cristiana, impegnati in particolare nella difesa dei contadini del Brasile. Si tratta di suor Dorothy Stang, missionaria americana in Amazzonia, uccisa sette anni fa, e del vescovo Ladislau Biernaski, presidente della Commissione pastorale della terra della Chiesa brasiliana, spentosi nei giorni scorsi. Alessandro Gisotti ha chiesto il perché di questa scelta al direttore di “Popoli”, Stefano Femminis:

    R. – Quello che ci sembra significativo di queste due figure è il loro avere realizzato l’impegno al fianco dei poveri, l’impegno per la giustizia, fondato sul Vangelo, in un settore, che è quello della difesa dei contadini e della terra. La terra, in questo periodo, in questo momento, in cui si parla molto di questioni finanziarie, di spread o altro, continua ad avere invece una sua assoluta concretezza.

    D. – “La terra al servizio dell’uomo, non una merce”, si legge anche nell’editoriale...

    R. – Sì, esatto. Oggi siamo abituati a considerare persino la terra, persino l’agricoltura, come un business, come una variabile delle borse. Viceversa, queste due figure, ci ricordano quanto i diritti umani, i diritti fondamentali dell’uomo siano legati alla terra, quanto la stessa identità di un popolo, di una comunità siano strettamente connesse all’esercizio della libertà di sfruttare il territorio.

    D. – Suor Dorothy e mons. Bernaschi si sono battuti contro questo fenomeno di sfruttamento, di esproprio - il "land grabbing" - una vera e propria forma di neocolonialismo anche molto più subdolo...

    R. – Con il "land grabbing", che è un fenomeno che sta emergendo negli ultimi anni, succede che, a quei contadini, a quelle persone che hanno, avevano, un terreno ereditato da generazioni e generazioni, questo terreno viene tolto, perché vengono convinti a venderlo, ad affittarlo a prezzi assolutamente bassi da multinazionali o dagli stessi governi che, appunto, ne fanno una fonte di business e, in molti casi, lo utilizzano per coltivare materie prime, che poi non verranno utilizzate in loco.

    D. – Di "land grabbing", di esproprio delle terre, si parla in questi giorni anche alla Fao. La sensazione è però che gli interessi finanziari delle multinazionali siano più forti degli organismi internazionali...

    R. – Sì, la Fao è stata, in qualche modo, la prima a lanciare l’allarme. Pensiamo che già tre anni fa, Jacques Diouf, direttore generale, aveva lanciato questo allarme, dicendo che c’era il rischio appunto di un patto neocolonialista. Quindi, non è che non sia presente il problema. Anche i dati e le ricerche della stessa Banca Mondiale lo dicono: per citare solo una cifra si ritiene che un terreno grande ormai quasi otto volte la Gran Bretagna sia passato di mano, sia stata trasferita la sua proprietà negli ultimi anni, soprattutto in Africa, dove i Paesi più coinvolti sono per esempio l’Etiopia, il neonato Sud Sudan, il Mozambico e così via. (ap)

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    In primo piano in Italia la riforma del Parlamento e dell'esecutivo

    ◊   Più poteri al presidente del Consiglio, sì alla sfiducia costruttiva e semplificazione delle procedure parlamentari. Queste le novità di una prima bozza di riforma costituzionale che sarebbe stata messa a punto da esponenti di Pdl, Pd e Terzo Polo. Il testo, anticipato dall’agenzia Ansa, avrebbe ottenuto un primo via libera bipartisan e se venisse adottato ufficialmente dai leader, potrebbe poi essere presentato sotto forma di disegno di legge costituzionale. Tra i vari punti, anche il taglio dei parlamentari di circa il 20 per cento. Un passo importante? Debora Donnini lo ha chiesto al prof. Paolo Savarese, docente di filosofia del diritto all’Università di Teramo:

    R. - Se questo è un primo passo per rivedere l’architettura dello Stato e i meccanismi della rappresentanza, ben venga. L’importante è che si rivedano i meccanismi di legislazione, che vengano distinti da quelli di governo e non si dia a quest’ultimo mano libera di scrivere le leggi senza controllo. Il governo non può chiedere al Parlamento di essere il notaio delle sue decisioni. La riduzione del numero dei parlamentari dovrebbe essere il primo passo per riequilibrare i poteri dello Stato. L’importante è che rimanga la centralità del Parlamento.

    D. – In queste proposte c’è anche l’ipotesi di un rafforzamento del Parlamento con il superamento del bicameralismo paritario e l’introduzione di elementi di federalismo istituzionale, ma anche di un processo legislativo semplificato. Questo potrebbe essere utile come semplificazione della possibilità di fare le leggi?

    R. - Questo sembra un meccanismo di semplificazione. L’importante è che si garantisca la trasparenza del meccanismo legislativo e di decisione. Il Paese deve essere informato di chi sta decidendo e su che cosa; naturalmente sul presupposto della fiducia che si accorda ai rappresentanti, i parlamentari.

    D. - In questa bozza si parlerebbe anche di un rafforzamento del premier, che potrebbe proporre al presidente della Repubblica la nomina e la revoca dei ministri, potrebbe ottenere la fiducia a maggioranza semplice e la sfiducia, solo costruttiva, dovrebbe essere data a maggioranza assoluta. In Italia, si parla da tanto tempo di un rafforzamento della figura del presidente del Consiglio per semplificare, per dare più solidità ad una legislazione...

    R. - La trasformazione del presidente del Consiglio in un vero premier, la vedo positivamente, nella misura in cui consente al premier di governare, assumendosi le sue responsabilità di fronte al Parlamento e al Paese, superando quindi una serie di blocchi di vario genere che impediscono un’azione di governo trasparente ed efficace. Questo però non deve essere un escamotage per dare al premier il potere di "scrivere" le leggi.

    D. - Complessivamente, secondo Lei, queste novità potrebbero portare a meno “ribaltoni”, quindi consentire di fare delle azioni di governo più durature, più incisive?

    R. - Lo strumento tecnico va in quella direzione; però dobbiamo aver chiaro che la governabilità di un Paese non dipende soltanto dagli strumenti e da come sono descritti, ma dal rapporto di fiducia tra governanti e governati. Questa è la grande sfida. (bi)

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    La religiosità degli italiani al centro di un volume edito da "Vita e Pensiero"

    ◊   Un’indagine pubblicata nel volume edito di recente da "Vita e Pensiero": “Uscire dalla crisi. I valori degli italiani alla prova”, esamina il tema della religiosità in Italia. Dai dati raccolti emerge un Paese in cui l’81 per cento della popolazione si dichiara religiosa, il 78 per cento di fede cattolica, ma che presenta anche tante contraddizioni e alcuni rischi. La fede non è al riparo da incertezze, prevale un atteggiamento di ricerca individuale e la volontà di compiere scelte personali. Adriana Masotti ne ha parlato con Giancarlo Rovati, direttore del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano e curatore del volume:

    R. – Si tratta di una evidenza empirica che emerge dalla nostra quarta indagine sui valori degli europei. Presenta due aspetti, questo processo. Un primo processo è quello della personalizzazione, vale a dire il bisogno che è tipico dell’uomo contemporaneo, di maturare le proprie convinzioni non solo per tradizione, ma anche per una scelta consapevole. Nello stesso tempo, c’è anche quello che potremmo indicare come possibile rischio: quello cioè della “religione fai-da-te”, e cioè una soggettivizzazione delle opzioni religiose al punto tale che uno poi si costruisce un suo mondo di riferimenti religiosi, anche – magari – in un modo molto sincretico, prendendo dalla fede a cui è stato educato, ad esempio quella cattolica, quegli elementi che considera ancora validi ma poi prendendone altri da altre tradizioni. Un aspetto importante di questa individualizzazione è poi un rapporto diverso, sia con il problema della verità, in campo religioso, sia anche il rapporto con l’istituzione religiosa. In ogni caso, l’Italia si conferma cattolica dal punti di vista del riferimento alla tradizione, ma presenta anche dei forti segnali di secolarizzazione.

    D. – A questo proposito, però, l’Italia tiene ancora perché si pone al 39.mo posto su 48 Paesi presi in considerazione …

    R. – Sì: calcolando un indice di secolarizzazione che tiene conto della pratica religiosa, della credenza religiosa e dell’importanza data alla religione, noi possiamo vedere che il Paese più secolarizzato è la Germania dell’Est; il Paese meno secolarizzato è Malta. Per dare un’idea, la Francia è al quinto posto, la Germania dell’Ovest è al diciassettesimo posto … Dunque, l’Italia presenta un profilo di secolarizzazione che è stato equiparato a quello degli Stati Uniti d’America. Cioè, Italia e Stati Uniti d’America – nell’ambito delle indagini che si fanno – figurano come i Paesi meno secolarizzati.

    D. – La fotografia della religiosità degli italiani, o anche dell’appartenenza alla fede cattolica, appare con diverse contraddizioni e anche qualche confusione. Ad esempio, non per tutti i credenti Dio è un essere personale, non tutti credono nell’Inferno e nel Paradiso, molti credono nella reincarnazione ecc …

    R. – Sì. Qui, da un lato emerge una scarsa alfabetizzazione alle proposizioni che contraddistinguono il Credo cattolico, oppure, una presa di distanza. In ogni caso, se noi le guardiamo dal punto di vista pastorale, queste risposte interpellano il bisogno di una ripresa di educazione alla fede del popolo cristiano e questo è ciò che anche il Papa ha recentemente indicato come l’esigenza di una continua ri-evangelizzazione da parte di coloro che hanno la responsabilità di essere pastori. Quindi, di per sé queste contraddizioni possono essere un’indicazione del maggiore impegno di formazione dei credenti – da un lato – ma anche di un maggiore impegno nel far conoscere qual è il punto di vista della fede cristiana, per tornare a chiarire che cosa davvero nell’ambito della fede cristiana si intenda, con queste cose.

    D. – C’è differenza tra essere “credenti” ed essere “praticanti” ?

    R. – Intanto, i praticanti regolari sono il 32 per cento, che non è una cifra di poco conto se la paragoniamo ai trend degli ultimi vent’anni. Questo dato è rimasto stabile, di fatto. E dunque questo fa parte, anch’esso, del basso indice di secolarizzazione del nostro Paese rispetto ad altri Paesi. E’ vero che non tutti quelli che si dichiarano cattolici sono poi praticanti, solo una parte, ma questa quota di praticanti non è piccola se paragonata alle tendenze degli altri Paesi europei. E questo, direi che è un primo elemento importante. Dall’altro lato, poi, c’è anche una quota più piccola di praticanti che è anche particolarmente coinvolta con la propria chiesa, e questo è circa il 10-12 per cento. Potremmo dire che sono non soltanto “praticanti”, ma “appartenenti”, cioè fortemente identificati anche con l’organizzazione di chiesa. E dunque, anche su questo bisogna tener conto che ci sono differenze importanti. (gf)

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    Piu forte della paura. Don Giacomo Panizza: alzare la voce contro la 'ndrangheta

    ◊   A Lamezia Terme, in Calabria, crescono i timori per l’incolumità di don Giacomo Panizza, coraggioso sacerdote anti-‘ndrangheta. Solo una settimana fa l’ultimo, vile, attentato contro il centro di aiuto ai disabili fondato dal prete che da anni contrasta lo strapotere criminale delle cosche locali. “Ho paura per la mia vita ma io proseguirò questa battaglia”, assicura don Giacomo, che ricorda come la ‘ndrangheta, per intimidirlo, sia arrivata anche a manomettere i freni delle auto di alcuni disabili ospiti del centro. Federico Piana lo ha intervistato:

    R. – Io faccio il prete e perciò questi temi della legalità o i temi della giustizia o i temi dei diritti o i temi dell’ingiustizie nel Mezzogiorno, ma anche i temi relativi al lavoro e al bisogno di profondità, di spiritualità, di senso della vita sono tutti temi mescolati fra di loro. Io ed altri, ma tanti altri, stiamo su questi temi che sono i temi della vita.

    D. – Perché, don Giacomo, lei dà tanto fastidio alla ’ndrangheta, tanto da esserne più volte minacciato? So che hanno rotto anche i freni all’automobile di una persona disabile che appartiene alla sua comunità…

    R. – Sì, veramente a più di una macchina. Il punto qual è? Noi abbiamo delle attività che sono economiche, come la raccolta differenziata nella città di Lamezia Terme, oppure seguiamo delle iniziative sociali… Tutte queste sono collegate, sono innervate dai temi religiosi, dai temi della spiritualità, dai temi relativi al significato della vita, insomma dai temi della libertà. Si vuole dare la capacità di vivere, di essere autonomi, di emanciparsi, alle popolazione, ai lavori, alle fasce deboli, alla gente in carrozzina, ai rom… Insieme a queste persone, noi portiamo avanti queste iniziative di emancipazione e di libertà. Abbiamo la libertà che dà fastidio all’ndrangheta, perché dire “non paghiamo”, non vuol dire soltanto che non paghiamo, ma vuol dire che lo diciamo pure… Questa palese libertà, allora dà fastidio. Non è un problema economico, ma è un problema di dignità umana e di libertà. Questo ha il suo peso nella vita, nella cultura e nei poteri.

    D. – Un problema anche di risveglio delle coscienze che minacce la ’ndrangheta, perché la ’ndrangheta vive grazie al terrore, grazie proprio all’omertà!

    R. – Lei ha messo il dito sulla piaga. Riaccendere le speranze: la gente quando vede che si riaccendono queste cose, si rimette in gioco!

    D. – Don Giacomo, ma chi glielo fa fare a lei ad avere tanti grattacapi, ad avere tante minacce e a rischiare la vita?

    R. – Io non ho tante risposte, perché ho anche tanta paura…. Certamente, però, queste iniziative non le faccio da solo: le faccio con tante persone, specialmente collegate con la nostra chiesa, ma le faccio anche con tanta gente che ha anche altre idee. Sappiamo che insieme gli uomini e le donne sono al di sopra di tutto e vale la pena vivere davvero, piuttosto che vivere con la testa bassa davanti ai mafiosi. (mg)

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    Sugli schermi italiani il film francese "Quasi amici"

    ◊   E’ arrivato anche sugli schermi italiani “Quasi amici – Intouchables”, film della coppia di giovani registi francesi Eric Toledano e Olivier Nakache, diventato uno dei successi più inaspettati e clamorosi del cinema d’oltralpe: 20 milioni di spettatori a oggi e 170 milioni di euro d'incasso. Un caso sul quale sono intervenuti critici e sociologi, per la forza dirompente e comica con la quale nella pellicola, tratta da una storia vera, è affrontato il tema dell’handicap e dell’emarginazione. Il servizio di Luca Pellegrini:

    E’ stato un caso in Francia e in parte se ne capisce il perché. Più che per uno scandalo annunciato, "Quasi amici – Intouchables" ha fatto parlare di sè per l’originale e spericolato tentativo di affrontare l’handicap costruendo una commedia che effettivamente ha molte risorse narrative e spunti di divertimento. I due personaggi protagonisti, diversamente emarginati, per la disabilità fisica e per la condizione sociale, si sono conosciuti e hanno tentato, pur rimanendo intoccabili come le loro vite e i loro caratteri, di aiutarsi. Esistono veramente: l'uno è Philippe Pozzo di Borgo, che per una caduta in parapendio rimane immobilizzato a vita dal collo in giù e scrive le sue memorie dal titolo esplicito, "Il diavolo custode"; l'altro è Abdel, magrebino che a Parigi cerca lavoro tentando di fuggire dal ghetto della banlieue e inaspettatamente lo trova come improbabile badante del malato milionario. Senza falsi pudori, ma anche senza derisione e con spiazzante canzonatura, questa commedia supera tutti i cliché parlando di malattia e di speranza: l'improvvisato badante sconquassa le regole della psicologia e della medicina, il ricco handicappato scopre in lui qualcuno che, come confessa, finalmente gli stia vicino non per pietà, perché non gli serve e non sarebbe sincera, ma per insufflare in quel suo corpo immobile una nuova gioia di vivere. La reazione dei portatori di handicap in Francia - confida uno dei registi – è stata calorosa e forte. Hanno detto unanimemente: "Erano tanti anni che aspettavamo un film che permettesse al pubblico di ridere di noi". Certo la storia non fa leva sulla compassione né sulla carità, ma sull’innaturale solidarietà tra i due, che ha sortito effetti positivi nella realtà: Philippe ha accantonato l'idea della morte e oggi vive in Marocco, mentre Abdel ha accettato una vita onesta e integrata nella società. Accusato ingiustamente di razzismo, il film viene difeso dal bravo attore di colore Omar Sy nel ruolo dello scatenato badante: "Le persone che accusano Intouchables di razzismo e derisione si rifiutano di guardare al di là. Ma per tutti c'è una speranza, la capacità di essere solidali, di andare oltre un nero pessimismo". E con il loro film così provocatorio, i due scatenati registi francesi sembrano esserci riusciti.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Onu: nuovo programma per ridurre la mortalità materna in quattro nazioni africane

    ◊   Ancora oggi in Africa molte mamme e molti bambini muoiono perché non hanno la possibilità di avere servizi sanitari adeguati. Non a caso la riduzione della mortalità materna e infantile è uno dei grandi Obiettivi del Millennio, stabiliti dalle Nazioni Unite. In particolare, l’accesso al parto assistito è la prestazione che più di ogni altra segna drammaticamente la differenza tra i diversi paesi e le diverse classi sociali. I problemi sono molti, e a volte banali per chi vive in altri contesti: i costi, la difficoltà dei trasporti, la scarsità e la bassa qualità dei servizi locali. Le mortalità materne nei Paesi interessati dal programma sono tra le più alte del mondo. In Angola ne muoiono 14 ogni 1.000, in Etiopia 7 per 1.000, in Uganda 5 per 1.000, in Tanzania 9 per 1.000. Con il nuovo programma "Prima le mamme e i bambini", appena promosso, l’organizzazione Medici con l’Africa Cuamm, insieme ad altre istituzioni cattoliche, intende garantire l’accesso gratuito al parto sicuro e la cura del neonato. Il programma intende aumentare l’accesso ai servizi sanitari, in particolare al parto sicuro. Concretamente l’intervento si focalizzerà sulla collaborazione con le istituzioni cattoliche del settore sanitario, che operano in 4 distretti di Angola, Etiopia, Uganda, Tanzania, che ricevono già un supporto governativo. La popolazione direttamente interessata è complessivamente di circa 1.300mila abitanti, con 4 ospedali principali e 22 centri di salute periferici che possono garantire il parto sicuro. L’obiettivo è di raddoppiare in 5 anni il numero dei parti assistiti, passando dagli attuali 16 mila a oltre 33 mila l’anno, con il coinvolgimento di ospedali e Centri di salute governativi. Nell’arco dei cinque anni saranno assicurati dal progetto complessivamente oltre 125 mila parti assistiti, di cui 39 mila negli ospedali e 86 mila nei centri di salute governativi. Le Istituzioni cattoliche non profit impegnate in questo progetto sono quella della diocesi di Ondjiva, in Angola, proprietaria dell’ospedale di Chiulo, l’unico del Municipio di Ombadja, con una popolazione di 300 mila abitanti; quella della Conferenza episcopale etiope, in Etiopia, proprietaria dell’ospedale San Luca di Wolisso, l’unico della South West Shoa Zone, di oltre un milione di abitanti; quella della diocesi di Apach, in Uganda, proprietaria dell’ospedale di Aber, il solo del sotto distretto di Oyam, di circa 343.600 abitanti; e quella della diocesi di Iringa, in Tanzania, proprietaria dell’ospedale di Tosamaganga, il solo del Distretto di “Iringa Rural” di circa 262 mila abitanti. (R.P.)

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    Siria: proseguono le violenze. Bloccati i messaggi dei cellulari

    ◊   Prosegue la repressione del dissenso in Siria. Dopo le almeno 45 vittime di ieri, perlopiù a Homs, duri combattimenti sono scoppiati stanotte a Dar'a, al confine con la Giordania, tra le forze corazzate fedeli al presidente Bashar al Assad e i ribelli. Lo riferiscono fonti dell'opposizione, che denunciano pure come nel Paese risulti al momento bloccata una delle applicazioni di messaggeria istantanea più popolari per i cellulari, WhatsApp. Prosegue poi l’esodo dei civili verso il Libano, a causa delle violenze in corso. Secondo l'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) sono circa 2mila i siriani in fuga, soprattutto dalla zona di confine di Qseir. Sul fronte diplomatico, infine, l'inviato speciale dell'Onu e della Lega Araba per la Siria, Kofi Annan, già segretario generale delle Nazioni Unite, si recherà il prossimo 11 marzo a Damasco per incontrare le autorità siriane. Il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov ha reso noto invece che il prossimo 10 marzo vedrà al Cairo i colleghi della Lega Araba, per discutere dei problemi della regione. (G.A.)

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    Iraq: a Kirkuk giovani cristiani e musulmani invocano pace e dialogo interreligioso

    ◊   Nella cattedrale caldea di Kirkuk, nel nord dell'Iraq, l'arcivescovo mons. Louis Sako ha incontrato circa 35 ragazzi e ragazze, musulmani e cristiani, sul tema "della non violenza e della convivenza pacifica" fra i fedeli delle due grandi religioni monoteiste. L'evento - riporta l'agenzia AsiaNews - si è tenuto nel tardo pomeriggio del 3 marzo scorso: per la terza volta i giovani hanno animato discussioni e confronti, volti a rafforzare speranze e aspettative di armonia interconfessionale nella città. La società Amal, impegnata nel civile, e l'arcivescovado caldeo hanno organizzato il work-shop dello scorso fine settimana. In apertura dell'incontro, mons. Louis Sako ha salutato i presenti e ha parlato dell'importanza della cultura della non-violenza, del rispetto reciproco tra persone di fedi diverse; essa, ha aggiunto il prelato, presuppone una "conoscenza diretta delle fonti, mentre spesso ci si affida a storie non verificate e dicerie". "Dobbiamo convincerci che il nostro destino è uno - ha chiarito l'arcivescovo - e aprirci al dialogo, responsabilizzarci gli uni verso gli altri". Al termine dell'incontro, i partecipanti hanno visitato la cattedrale caldea e mons. Sako ha spiegato loro "come i cristiani pregano Dio e i simboli della liturgia". Fra i promotori dell'iniziativa vi sono anche un sacerdote dell'arcidiocesi, la signora Surud dell'associazione Amal, i quali hanno approfondito il concetto "della non-violenza". Nel corso della serata, al gruppo si è aggiunto anche l'imam della grande moschea di Kirkuk, lo sceicco Ahmad Al-Hamad Al-Amin, che ha sottolineato il concetto di "non-violenza nell'islam". Al termine, tutti i presenti hanno visitato la moschea e ascoltato le spiegazioni nel frattempo fornite dalla guida religiosa musulmana. "Questi work-shop - afferma mons. Sako all'agenzia AsiaNews al termine della giornata - sono molto utili perché creano rapporti nel lungo periodo fra i giovani. Essi sono il futuro e la speranza del Paese, perciò bisogna fornire loro una cultura corretta, solida e concreta per realizzare l'ideale di co-esistenza pacifica e rispetto del pluralismo". (R.P.)

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    Pakistan: la società civile chiede “pari diritti per le minoranze religiose”

    ◊   Pari diritti, pari opportunità, pari dignità per i cittadini pakistani appartenenti alle minoranze religiose: è il rinnovato appello dei rappresentanti della società civile in Pakistan. Il dibattito sullo status delle minoranze, vittime di discriminazioni ed emarginazione, è tornato in auge in occasione delle celebrazioni di commemorazione del Ministro cattolico Shahbaz Bhatti, ucciso un anno fa a Islamabad da un commando di terroristi. In diversi messaggi giunti all’agenzia Fides, i leader pakistani di organizzazioni della società civile ricordano Bhatti come “un leader che ha alzato la voce contro la discriminazione e l’abuso della legge sulla blasfemia” e invocano “uguaglianza reale, libertà e pari diritti per le minoranze religiose in Pakistan, per garantire alle generazioni future di vivere in pace, senza alcuna discriminazione”. Tahira Abdullah, una attivista dei diritti umani, di religione musulmana, rimarca che “il popolo desidera vivere nel Pakistan di Ali Jinnah e non in una nazione di fanatici”, ricordando che il fondatore del Pakistan, Muhammad Ali Jinnah, “voleva una nazione laica e democratica, rispettosa delle libertà e dei diritti di tutti i cittadini, di qualsiasi religione”. I leader della società civile hanno anche chiesto alle autorità civili di Islamabad di intitolare una strada e un parco pubblico a Shahbaz Bhatti ma, come riferito a Fides, “la paura dell'estremismo e del risentimento da parte di alcuni ambienti religiosi, non permette alle autorità civili di accogliere positivamente questa iniziativa”. (R.P.)

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    India: proteste degli ultranazionalisti indù contro aiuti economici a cristiani e musulmani

    ◊   Nuove proteste negli ultimi giorni a Mangalore e a Udupi, nello Stato indiano del Karnataka, per eliminare ogni aiuto economico a cristiani e musulmani e introdurre programmi speciali per gli indù. Secondo quanto riportato dall’agenzia Asianews, attivisti del Bajrang Dal e del Vishwa Hindu Parishad, movimenti della destra ultranazionalista, si stanno infatti scagliando contro le recenti proposte del governo centrale di concedere facilitazioni anche a cristiani e musulmani delle Others Backward Classes (Obv) e delle Scheduled Caste (Sc). A Mangalore, è stato presentato un memorandum contro il rapporto del Ranganath Misra, la Commissione nazionale per le minoranze religiose e linguistiche, che ha proposto di estendere l'art. 3 della Costituzione sulle Scheduled Caste (Sc) anche a cristiani e musulmani. In base a questo paragrafo, la legge riconosce diritti e facilitazioni di tipo economico, educativo e sociale solo ai dalit indù. In seguito, nel 1956 e nel 1990, lo status venne esteso anche a buddisti e sikh. Inoltre, gli attivisti hanno condannato il governo centrale per aver accordato il 4,5% di posti in più ai musulmani delle Other Backward Class (Obc). A Udupi, ultranazionalisti indù hanno inoltre annunciato una campagna su scala nazionale per impedire a cristiani e musulmani di godere del 27% di posti riservati agli Obc nel settore pubblico e dell'istruzione superiore. Sajan George, presidente del ‘Global Council of Indian Christians’, ha auspicato che il governo vada avanti e impedisca “a questi gruppi ultranazionalisti di accrescere il senso di insicurezza che già provano le minoranze”. Le Other Backward Class sono una categoria di persone considerate inferiori da un punto di vista economico e sociale, distinta dalle Scheduled Caste (i dalit o "fuori casta") e dalle Scheduled Tribe (gli indigeni tribali). L'appartenenza a queste categorie non dipende dalla fede religiosa, ma da fattori sociali, economici ed educativi radicati nel tempo. (G.A.)

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    Cile: la Chiesa invoca il dialogo tra popolazione di Aysén e governo

    ◊   “Aysén si sveglia più preoccupata che mai, perché siamo convinti che ancora una volta, come è successo continuamente in tutti questi giorni, siamo stati ingannati dalle parole e dalle azioni del governo, e ciò accende sempre di più gli animi” ha detto sabato scorso, parlando ad una radio locale, il vescovo di Aysén, mons. Luis Infanti. La popolazione locale è esasperata dalla mancanza di risposte da parte dello Stato, alle sue richieste di infrastrutture, sussidi per la piccola e media impresa, migliori condizioni di lavoro tanto da bloccare la principale via d’accesso all’abitato con conguenti scontri con la polizia. Dalla sede centrale del governo si è detto ancora una volta che si tornerà al dialogo solo quando saranno completamente liberate dai manifestanti le vie principali della regione. Nella nota inviata all'agenzia Fides, si leggono anche altre parole di mons. Infanti: "Vorrei inquadrare tutta la situazione secondo una chiave politica, nel senso che il governo vuole dare il segnale di poter governare in una regione che adesso è in-governata. In questo momento le autorità non hanno assolutamente alcun potere nella regione, c'è una sfiducia totale in loro. Chi comanda in questo momento è il popolo ed i suoi capi". Interpellato sull'arrivo nella zona del ministro dell'Energia, Rodrigo Alvarez, il vescovo ha detto: “era venuto per sbloccare il problema, ma non vedo ‘i pieni poteri’ con cui diceva di essere venuto. Tutto è gestito secondo una visione politica da Santiago, dalla leadership del governo, e mi sembra - cosa che non posso confermare perché non c'è dialogo – che si tratti di una strategia per prendere ancora più tempo prima di dare una risposta un po' più consistente di quella annunciata finora alle richieste della gente di Aysén. Se ci sono le intenzioni per risolvere il problema, non riesco a capire come mai non ci sia questa capacità di rispondere con la ragione, e spero non con la forza, alle richieste della regione fatte da anni”. Secondo le ultime agenzie di stampa, dopo una riunione urgente nella quale il Presidente del Cile ha incontrato il Comitato politico per valutare il conflitto, il governo centrale sembra sia intenzionato ad applicare lo stato d’emergenza nella zona. L’applicazione della “Legge di Sicurezza dello Stato” a causa del blocco delle strade principali, sarà solo un problema in più nella zona di conflitto. Il Movimento Sociale di Aysén vuole mantenere un blocco parziale, fino a vedere i risultati delle iniziative promosse dal governo. (R.P.)

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    Malaysia. Riforma dell’istruzione: i cristiani chiedono spazio all’inglese, alla Bibbia, ai diritti

    ◊   I cristiani della Malaysia vogliono avere voce in capitolo nel processo di revisione del sistema di istruzione nazionale e hanno chiesto ufficialmente al Ministero dell’istruzione di essere consultati. E quanto riferisce all’agenzia Fides il “Consiglio delle Chiese della Malaysia” (Ccm) che intende dire la sua nella riforma del sistema scolastico in Malaysia, annunciato dal governo, che dovrebbe essere ultimata entro la fine del 2012. I cristiani sono convinti che il settore dell’istruzione sia determinante per la costruzione di una nazione in cui vigano democrazia, armonia, tolleranza, parità di diritti e di opportunità. In un comunicato del Ccm si ricorda che in Malaysia, Paese a maggioranza islamica, i fedeli cristiani sono 2,6 milioni, cioè circa il 9,2% della popolazione, e che dunque “non possono essere del tutto esclusi da questo progetto di riforma”. Daniel Chai, Segretario della sezione giovanile del Ccm, sottolinea che nelle proposte che i cristiani hanno inviato al governo, per la revisione dei curriculum scolastici, si punta all’insegnamento della lingua inglese, dato che “la maggioranza dei cristiani, che sono indigeni degli Stati malaysiani di Sabah e Sarawak, si insegna il Bahasa Malaysia, invece della lingua inglese”. Inoltre, fra le raccomandazioni sottoposte al Ministero, si chiedono strutture didattiche e risorse per insegnanti indigeni cristiani, nonché l’introduzione della conoscenza della Bibbia, in inglese e in lingua malay, fra le materie di insegnamento. Secondo il Ccm “è una questione di giustizia e di tutela dei diritti degli studenti non-musulmani: garantire a tutti l’accesso alle risorse didattiche contribuirà a costruire una nazione più giusta”. Il Ministero dell’Istruzione ha nominato nove gruppi di lavoro per esaminare i vari aspetti del progetto di riforma, ma finora non vi sono rappresentanti cristiani nei gruppi. Il Ccm nota che “se il Ministero volesse includere rappresentanti cristiani, potrebbe facilmente farlo tramite l’organizzazione Teachers of Christian Fellowship”, che riunisce gli insegnanti cristiani. (R.P.)

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    Vietnam: a Pasqua 264 nuovi Battesimi. In corso gli incontri di preghiera

    ◊   Nella prima settimana di Quaresima sono stati 782 i catecumeni, provenienti da 43 parrocchie, che hanno partecipato alla Messa celebrata al Centro pastorale della diocesi di Ho Chi Minh City, in Vietnam: 264 di loro a Pasqua riceveranno il battesimo. A renderlo noto l’agenzia Asianews, che spiega come agli incontri di preghiera abbiano preso parte il cardinale Jean Baptist Phạm Minh Mẫn, il vescovo ausiliare Nguyễn Văn Khảm, sacerdoti, religiosi e catechisti. I catecumeni sono diversi per educazione, lavoro e posizione sociale. Alcuni di loro sono docenti alle università statali, altri sono lavoratori, studenti, cittadini normali. Hanno incontrato Dio sposando persone cattoliche, parlando con altre persone, attraverso amici o la partecipazione alle attività caritative e sociali o ad altre attività di associazioni cattoliche parrocchiali. Il cardinale Phạm Minh Mẫn ha confidato ai partecipanti di essere veramente felice, perché ci sono tanti nuovi catecumeni che vogliono unirsi ala famiglia della diocesi. "Tutte le vostre testimonianze e i vostri pensieri - ha detto il porporato - mi hanno aiutato a persuadermi ancora di più dell'amore di Dio per ognuno all'interno della società. Dio semina con la sua Parola, Buona novella, e la fede è in tutto il mondo e nella terra del Vietnam. Per far crescere i semi - ha concluso - dobbiamo pregare, avere amicizia, svolgere lavoro caritativo, comportandoci bene l'uno verso l'altro, come Gesù". (G.A.)

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    Lourdes: gioia dell'Unitalsi per la "guarigione inspiegabile" di Danila Castelli

    ◊   “La gioia per la guarigione di Danila coinvolge tutta l’associazione perché rappresenta un segno del cammino della comunità sanante che è la Chiesa e anche l’Unitalsi”. È il commento di Salvatore Pagliuca, presidente nazionale Unitalsi, sulla recente guarigione inspiegabile di Danila Castelli. “Un segno della guarigione del cuore che è il vero miracolo che avviene ogni giorno a Lourdes e coinvolge tante persone sane e malate, che trovano nel pellegrinaggio la scoperta della forza della fede”, ha aggiunto. “Esprimo a nome di tutti i soci dell’Unitalsi la più sincera gioia e felicità per quanto accaduto alla sorella Danila - ha affermato Dante D’Elpidio, vice presidente nazionale Unitalsi -; credo che la sua esperienza sia uno straordinario dono per tutta la comunità cristiana, questa guarigione inspiegabile che seguivamo da tempo, rappresenta un invito oggi come domani a rinnovare la fede in Dio”. Nel 1981 - riferisce l'agenzia Sir - l’inizio di un calvario lungo otto anni: Danila Castelli, oggi sessantaseienne, di Bereguardo in Provincia di Pavia, sposata con quattro figli, era affetta da una patologia rara e complessa, che faceva insorgere e continuamente moltiplicare cellule tumorali. La donna subisce otto interventi chirurgici, tutti pesantissimi, l’asportazione progressiva di organi interni di vitale importanza per la sopravvivenza. Nel 1989, la fine di tutte le speranze: i medici incrociano le braccia, si sentono ormai impotenti e le dicono di rassegnarsi e di pensare ad una morte il meno dolorosa possibile. Danila, che sin da bambina è sorretta da una grande fede nel Signore e nella Madonna, si carica ogni croce sulle spalle con grande coraggio e inizia i suoi pellegrinaggi a Lourdes con l’Unitalsi, sottosezione di Pavia. Nel mese di maggio del 1989 quello che avrebbe dovuto essere il suo ultimo viaggio a Lourdes prima di andare incontro al Signore diventa l’inizio di qualcosa di non spiegabile dalla medicina e dallo stato attuale delle conoscenze scientifiche e che adesso, dopo vent’anni di controlli scrupolosi da parte dei membri del Cmil, (Comitato internazionale medical di Lourdes), anche il Bureau Medical di Lourdes riconosce come tale: infatti, nel settembre 2010 la guarigione viene constatata, nel novembre 2011 confermata ed ora è stata ratificata. A confermarlo è anche l’allora vescovo di Tarbes e Lourdes, mons. Jaques Perrier nella lettera inviata al vescovo di Pavia, la diocesi di appartenenza di Castelli, mons. Giovanni Giudici per l’ultimo atto, quello del pronunciamento e dell’interpretazione religiosa del caso, che ufficialmente è di una guarigione inspiegabile. (R.P.)

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    Germania. Mons. Zollitsch: "Una società senza pause è asociale"

    ◊   Gli europei hanno bisogno di “tempo per ascoltare e respirare” e di più riposo domenicale: l’ha affermato mons. Robert Zollitsch, presidente della Conferenza episcopale tedesca (Dbk) e arcivescovo di Friburgo, in un comunicato diffuso ieri in occasione della Giornata europea per la domenica libera dal lavoro. Mons. Zollitsch ha fatto riferimento al numero crescente di persone che lavorano nelle giornate festive: è una tendenza che “occorre invertire, al fine di stabilizzare la domenica quale colonna importante della nostra cultura. La domenica deve essere protetta, e non solo come ‘Giorno del Signore’ nell’interesse dei cristiani”, poiché “è anche il tempo della famiglia, degli amici e dei vicini per stare insieme e perciò una parte importante della nostra cultura, che finora prevedeva un equilibrio tra vita e lavoro”. Secondo l’arcivescovo - riporta l'agenzia Sir - è necessario porre un freno alla “tendenza alla produzione e al consumo 24 ore su 24”, tendenza che spesso comporta un carico supplementare soprattutto per le donne. “Una società senza pause è asociale, contraria alla famiglia e alla salute”, ha concluso mons. Zollitsch, auspicando che la Germania possa sviluppare “forme di cooperazione creativa che non comportino il lavoro domenicale, forse più concorrenziali nel lungo periodo”. (R.P.)

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    Giornata dell’America Ispanica sulla nuova evangelizzazione

    ◊   “Impegnati in America per la nuova evangelizzazione”. Questo il tema della Giornata dell'America Ispanica, promossa dalla Commissione episcopale per le Missioni della Conferenza episcopale spagnola e dall’Opera di cooperazione sacerdotale ispanoamericana (OCSHA), che si è celebrata ieri. Nell’occasione, le Chiese dell'America Latina e della Spagna hanno rafforzato la comunione, la collaborazione e la solidarietà tra i popoli e le nazioni che affrontano sfide simili. La Pontificia Commissione per l'America Latina nei giorni scorsi aveva pubblicato un apposito messaggio. Nel testo, riporta l’agenzia Fides, si indica come una sfida particolare alla missione nel Continente latinoamericano l'avanzata della secolarizzazione, che si muove contro la cultura cristiana. Sottolineata inoltre la lunga strada condivisa dall'America Latina e dalla Spagna; al giorno d’oggi, le due Chiese affrontano le medesime sfide: la loro ricca tradizione cattolica corre il rischio di “una graduale erosione”. Occorre per questo “attualizzare, riformulare e rivitalizzare la tradizione cattolica, radicandola – si legge nel messaggio a firma del cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina - più profondamente nei cuori delle persone, nella vita delle famiglie e nella cultura dei popoli, affinché risplenda come bellezza di verità, promessa di felicità e novità di una vita più umana per tutti”. (G.A.)

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    Francia: ultimi preparativi del Forum mondiale dell’Acqua

    ◊   Ai lavori del Forum mondiale dell’Acqua, in programma a Marsiglia, in Francia, dal 12 al 17 marzo prossimi, si affiancano le iniziative del Forum alternativo mondiale dell’acqua (Fame), in programma nella seconda città francese a partire dal 14 marzo. Già partite a fine febbraio - riferisce l’agenzia Misna - una “carovana dell’acqua” che attraversa la Francia da nord a sud, un corteo in bicicletta da Langres e una staffetta di donne portatrici di acqua. Destinazione finale, Marsiglia. Promosso da associazioni, sindacati, organizzazioni non governative, semplici cittadini, il ‘Fame’ intende denunciare la mercificazione dell’acqua, l’influenza delle grandi multinazionali sull’agenda mondiale dell’acqua e i fallimenti delle politiche per la liberalizzazione dell’acqua. (G.A)

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    Chiesa inglese e scozzese insieme contro le unioni gay

    ◊   “Un matrimonio tra omosessuali sarebbe uno sconvolgimento radicale di un diritto umano universalmente accettato”. Lo dice il cardinale Keith O’Brien in un commento diffuso dalla Conferenza episcopale scozzese e pubblicato sul domenicale “Sunday Telegraph” di ieri. Benché la proposta di trasformare le unioni civili in veri e propri matrimoni riguardi soltanto l’Inghilterra e il Galles, essa sarà votata da tutti i parlamentari di Westminster, compresi quelli scozzesi. Il governo ha lanciato questo mese un processo di consultazione popolare sull’introduzione dei matrimoni gay e la Chiesa cattolica di Inghilterra, Galles e Scozia si è mobilitata invitando i fedeli a firmare una petizione a favore del matrimonio tradizionale organizzata dall’associazione “Coalizione per il matrimonio”. Il leader della Conferenza episcopale scozzese stigmatizza la decisione del governo di David Cameron e chiede allo stesso di proteggere, piuttosto che smantellare il matrimonio. “Questa proposta è un tentativo di ridefinire il matrimonio per l’intera società”, scrive il cardinale, ricordando che è una via senza fine che potrebbe anche “portare a unioni di tre persone anziché solo di due. Sulla decisione del Governo Cameron è intervenuto anche, dal sito della conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, mons. Peter Smith, arcivescovo di Southwark e presidente del dipartimento per la responsabilità cristiana. “La consultazione imminente del governo sul tentativo di cambiare la definizione di matrimonio preoccupa molte persone nella nostra società e incoraggeremo i cattolici a partecipare nel processo di consultazione e a rendere note le loro obiezioni”, scrive mons. Smith. “Un cambiamento non è necessario perché la legge sulle unioni civili garantisce già i diritti civili di coppie dello stesso sesso - aggiunge l’arcivescovo - né è desiderabile perché il significato legale del matrimonio verrebbe modificato con la rimozione di qualsiasi riferimento alla generazione e alla crescita dei figli”. “Il matrimonio è una istituzione sociale fondamentale e né lo Stato né la Chiesa hanno il diritto di ridefinire il suo significato. Insieme con la “Chiesa di Inghilterra e la nuova ‘Coalizione per il matrimonio’ incoraggeremo le persone a firmare la petizione per dimostrare la loro opposizione a un cambiamento nella legge sul matrimonio”. Una lettera pastorale su questo argomento sarà pubblicata nelle prossime settimane dalla Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 65

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.