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Sommario del 04/03/2012
Conoscere la fede: così il Papa nella parrocchia romana al Torrino
◊ “Superare l’analfabetismo religioso che è uno dei grandi problemi del nostro oggi”. E’ l’esortazione del Papa nel corso della Messa che ha celebrato nella parrocchia di San Giovanni Battista de La Salle, nel quartiere romano del Torrino. La fede va vissuta insieme e la parrocchia è il luogo del “noi” nella Chiesa, ha detto il Papa ricordando che il compito della famiglia è l’educazione alla fede. Il saluto ai bambini: “E’ una grande gioia vedere tanti bambini, Roma vive e vivrà anche domani”. Il servizio di Benedetta Capelli:
Un’accoglienza calorosa, cordiale e piena di affetto è quella che gli abitanti del quartiere periferico del Torrino hanno riservato al Papa. Nell’omelia Benedetto XVI ha ripercorso le letture, a partire dalla prova di Abramo chiamato a sacrificare l’unico figlio Isacco. “Possiamo immaginare – ha sottolineato - cosa è successo nel suo cuore e nel cuore del figlio” ma “Dio non vuole la morte ma la vita”:
"Abramo si fida talmente totalmente di Dio da essere disposto anche a sacrificare il proprio figlio e, con il figlio, il futuro, perché senza figlio la promessa della Terra era niente, finisce nel niente. E sacrificando il figlio sacrifica se stesso, tutto il suo futuro, tutta la promessa. È realmente un atto di fede radicalissimo".
Nella seconda lettura, San Paolo afferma che Dio stesso ha compiuto un sacrificio: ci ha dato il suo proprio Figlio, lo ha donato sulla Croce per vincere il peccato e la morte. “Se Dio dà se stesso nel Figlio – ha evidenziato il Papa – ci dà tutto”:
"Noi siamo nel cuore di Dio, questa è la nostra grande fiducia. Questo crea amore e nell’amore andiamo verso Dio. Se Dio ha donato il proprio Figlio per tutti noi, nessuno potrà accusarci, nessuno potrà condannarci, nessuno potrà separarci dal suo immenso amore".
Infine la riflessione di Benedetto XVI si è spostata sull’episodio evangelico della Trasfigurazione. A Pietro, Giacomo e Giovanni Gesù mostra la “strada dell’amore luminoso che vince le tenebre”, una strada che passa “attraverso il dono totale di sé” e “lo scandalo della Croce”. La trasfigurazione è dunque “un momento anticipato di luce”:
"E’ l’esodo definitivo che ci apre la porta verso la libertà e la novità della Risurrezione, della salvezza dal male. Ne abbiamo bisogno nel nostro cammino quotidiano, spesso segnato anche dal buio del male!"
Noi come gli apostoli – ha continuato il Santo Padre – abbiamo bisogno di ricevere la luce di Dio. E’ dunque nella preghiera comunitaria e personale che si incontra il Signore, “non come un’idea o come una proposta morale ma come una Persona”:
"Non aspettiamo che altri vengano a portarvi messaggi diversi, che non conducono alla vera vita, fatevi voi stessi missionari di Cristo ai fratelli là dove vivono, lavorano, studiano o soltanto trascorrono il tempo libero".
Ed è la parrocchia il luogo per eccellenza dove vivere la propria fede, il “noi” della Chiesa e della famiglia di Dio:
"Il prossimo 'Anno della fede' sia un’occasione propizia anche per questa parrocchia per far crescere e consolidare l’esperienza della catechesi sulle grandi verità della fede cristiana, in modo da permettere a tutto il quartiere di conoscere e approfondire il Credo della Chiesa, e superare quell’'analfabetismo religioso' che è uno dei più grandi problemi del nostro di oggi".
E’ la famiglia “l’ambiente di vita – ha detto il Papa – in cui si muovono i primi passi della fede”. E' necessario riscoprire la centralità dell’Eucaristia, riuniti intorno ad essa “avvertiamo più facilmente come la missione di ogni comunità cristiana sia quella di recare il messaggio dell’amore di Dio a tutti gli uomini”.
Al suo arrivo nella parrocchia al Torrino, consacrata nel dicembre del 2009, il Papa è stato accolto da alcuni bambini che l’hanno voluto salutare. A loro si è rivolto con affetto:
"Per me è una grande gioia vedere tanti bambini. Allora Roma vive e vivrà anche domani! Voi siete in cammino di Catechesi: imparate Gesù, imparate che cosa ha fatto, detto, sofferto; imparate, così, anche la Chiesa, i sacramenti e così imparate anche a vivere, perché vivere è un’arte e Gesù ci mostra quest’arte".
Nel suo indirizzo di saluto, il parroco di San Giovanni Battista de La Salle, don Giampaolo Perugini, aveva ringraziato Benedetto XVI per la visita ricevuta:
"Noi l’accogliamo come Pastore della Chiesa Universale, ma soprattutto come nostro Vescovo di Roma! Noi l’accogliamo come Papa, ma soprattutto come Papà! In quanto Papa Lei riceverà doni ben più preziosi dei nostri, e al Papà non si sa mai cosa regalare.. Lei peraltro le cravatte non le indossa!"
Infine salutando i fedeli, sul sagrato della parrocchia, il Papa ha ricordato che “siamo una famiglia con tutti i Santi” e che è necessario percepire ogni giorno che c’è Dio vicino a noi perché “centro della nostra vita”.
Anche nella notte più oscura, Gesù è lampada che non si spegne: il Papa all’Angelus
◊ “Saliamo con Gesù sul monte della preghiera”: è questo l’invito di Benedetto XVI che all’Angelus commenta l’episodio della Trasfigurazione di Cristo riportato dal Vangelo della seconda domenica di Quaresima. Esorta tutti a trovare “ogni giorno qualche momento per la preghiera silenziosa e l’ascolto della Parola di Dio”. Il servizio di Fausta Speranza
“Tutti noi abbiamo bisogno di luce interiore per superare le prove della vita”. Così Benedetto XVI sottolinea che “Dio è luce, e Gesù vuole donare ai suoi amici più intimi l’esperienza di questa luce, che dimora in Lui”. “Il mistero della trasfigurazione – spiega il Papa - non va staccato dal contesto del cammino che Gesù percorre verso il compimento della sua missione, ben sapendo che, per giungere alla risurrezione, dovrà passare attraverso la passione e la morte di croce.”
“Nell’itinerario quaresimale, la liturgia, dopo averci invitato a seguire Gesù nel deserto, per affrontare e vincere con Lui le tentazioni, ci propone di salire insieme a Lui sul “monte” della preghiera, per contemplare sul suo volto umano la luce gloriosa di Dio.”
“Di questo – sottolinea il Papa – Gesù ha parlato apertamente ai discepoli, “i quali però non hanno capito”
“…hanno rifiutato questa prospettiva, perché non ragionano secondo Dio, ma secondo gli uomini.”
“Anche nella notte più oscura, - afferma il Papa - Gesù è lampada che non si spegne”.
“La luce viene da Dio, ed è Cristo a donarcela”
Tra i saluti in varie lingue, parole in particolare ai giovani. In francese l’invito ad offrire ogni giorno un momento di preghiera e ad essere “buoni e caritatevoli con chi è nel bisogno”. In inglese, l’incoraggiamento a seguire Cristo nella “passione che porta alla risurrezione”. In spagnolo, l’esortazione sempre a ragazzi e studenti a seguire la parola e l’esempio di Gesù. In polacco il Papa ricorda la Domenica “Ad Gentes” celebrata oggi in Polonia, con il motto: “Offri la testimonianza della carità e aiuta la Chiesa nei paesi missionari”. Poi, il “cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai trecento ragazzi cresimati della diocesi di Ravenna-Cervia, guidati dall’arcivescovo mons. Giuseppe Verucchi; come pure agli alunni delle scuole San Giuseppe di Bassano del Grappa, Don Carlo Costamagna di Busto Arsizio, Santa Dorotea di Montecchio Emilia e Pietro Leone di Caltanissetta, inoltre i fedeli di Sanguinetto, presso Verona, quelli della Val Tiglione e gli altri gruppi parrocchiali”. A tutti l’augurio consueto di una buona domenica.
La Croce rossa più vicina ad Homs
◊ Nuova giornata di repressione in Siria. Almeno 7 vittime nelle ultime ore: l’esercito ha colpito le postazioni dei ribelli nelle cittadine di Rastane e Qusair, mentre la Croce Rossa Internazionale si avvicina ad Homs. Il servizio è di Eugenio Bonanata:
La Croce Rossa ha iniziato a distribuire i primi aiuti a pochi chilometri dal centro di Homs, ormai da settimane sotto assedio delle forze di sicurezza siriane. In diversi villaggi dell’area si trovano numerose famiglie scampate alle violenze: nuovi video ottenuti dalla Cnn documentano che in città sono in corso veri e propri massacri. Immagini troppo cruente per la messa in onda che, come i rifugiati, arrivano dal quartiere di Bab Amro, dove da giorni gli operatori umanitari contano di portare i propri convogli. Per Human Right Watch, ad Homs 27 giorni di bombardamenti consecutivi hanno provocato almeno 700 vittime e migliaia di feriti. Gli attivisti locali parlano di almeno 9 mila morti accertati in tutto il Paese dall’inizio della repressione, mentre stamattina a Parigi sono arrivati i corpi della giornalista americana e del fotografo francese rimasti uccisi il 22 febbraio scorso in un raid dell’esercito sempre ad Homs. E sul terreno si aprono nuovi fronti. Testimoni stamattina hanno riferito di civili – soprattutto donne e bambini - in fuga da Rastane ad una ventina di chilometri da Homs e da Qusair verso il confine con il Libano. Le forze di Damasco all’alba hanno cominciato a bombardare le cittadine, entrambe controllate in gran parte dai ribelli.
Presidenziali in Russia con webcam nei seggi
◊ Dopo una campagna elettorale movimentata e ricca di proteste, il governo russo ha annunciato che alle presidenziali di oggi, le urne saranno trasparenti e quasi tutti i seggi elettorali del Paese saranno dotati di webcam. Il servizio di Giuseppe D'Amato:
La grande novità è la presenza delle web-camera di sorveglianza in quasi tutti i 91mila seggi in giro per la gigantesca Russia. Via Internet chiunque, precedentemente registratosi, può controllare le operazioni di voto. Si vorrebbero così evitare i brogli o le irregolarità denunciate alle legislative di dicembre. Saranno elezioni “pulite” affermano sicure le autorità. Mezzo milione sono gli osservatori, volontari di varie formazioni politiche, in prevalenza del Partito comunista. Cinque sono i candidati in corsa. Il favorito è il premier Vladimir Putin, che, stando ai sondaggi della vigilia, dovrebbe imporsi al primo turno. Gli altri sono il comunista Zjuganov, l’ultranazionalista Zhirinovsky, l’ex speaker del Senato Mironov, l’oligarca Prokhorov. Tutti i candidati hanno votato in prima mattinata. L’ultimo a farlo alla sede dell’Accademia delle Scienze è stato Putin in compagnia della moglie Ljudmila. Stando ai dati ufficiali parziali della Commissione elettorale, l’affluenza alle urne è oggi ben maggiore che in passato. In Cecenia, a mezzogiorno, ben il 52% degli aventi diritto aveva votato.
I primi exit poll sono previsti alle 21 ore di Mosca, ossia le 18 in Italia. Allora si concluderanno le operazioni di voto nell’estremo occidente del Paese, nella regione di Kaliningrad. La piazza del Maneggio davanti al Cremlino è stata chiusa dalla polizia. Qui stasera dovrebbe tenersi la festa delle vittoria del neopresidente Putin.
La crisi tra passi avanti e difficoltà irrisolte
◊ La crisi economica internazionale. L’agenzia di valutazione Moody's ha tagliato l’affidabilità della Grecia portando il rating da “Ca” fino a “C” ovvero “spazzatura”. In settimana, la firma a Bruxelles del patto di bilancio Ue, ma permangono le difficoltà di Spagna e Olanda, che non ottengono deroghe per deficit eccessivo. Massimiliano Menichetti ha intervistato Roberto Artoni, professore ordinario di Scienza delle finanze alla Bocconi di Milano:
R. – Probabilmente abbiamo superato la punta più virulenta della crisi finanziaria, però tutti i problemi sostanziali e reali rimangono aperti. L’indicazione della Spagna, a prescindere dalla situazione greca, è molto evidente: in queste condizioni, diventa difficile perseguire quegli obiettivi di pareggio del bilancio che sono stati posti. Questo per quanto riguarda la Spagna, che sembrava avesse una situazione ormai abbastanza tranquilla. Per quanto riguarda la Grecia, invece, la situazione credo sia semplicemente drammatica, e Moody’s ha preso atto della situazione che c’è.
D. – Secondo alcuni, gli aiuti del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale Europa alla Grecia porteranno soltanto un’apparente boccata di ossigeno ad un Paese che non è in grado di organizzare uno sviluppo interno. Secondo lei è così?
R. – E’ capitata - diciamo così - fra i detenuti della prigione per debiti: il debitore non era certamente in grado di pagare i debiti, quando veniva messo in prigione. Analogamente la Grecia, se non può sviluppare la domanda interna e la sua attività interna, non riuscirà mai a riequilibrare la situazione. Oltretutto, hanno affermato che non c’è default in Grecia quando, invece, hanno ridotto la consistenza del debito privato del 75 per cento. Per cui, la situazione greca è sostanzialmente insolubile in questi termini. Si potrebbe porre rimedio alla situazione solo sviluppando, di nuovo, l’economia greca. Ma questi provvedimenti di taglio indiscriminato della spesa pubblica, della domanda privata e dei salari, sono assolutamente contraddittori con le ipotesi di riequilibrio.
D. – Il 30 ed il 31 marzo prossimi si ridiscuterà del fondo “salva-Stati”. Perché, su questo punto, non si riesce a trovare un accordo?
R. – E’ un fondo con cui si interviene per stabilizzare i corsi dei titoli di Stato. Servirebbe di certo a stabilizzare le aspettative e non a risolvere i problemi reali, però non si riesce a concretizzarlo perché i tedeschi sono dell’idea che i Paesi “mediterranei” sono stati “peccatori”. Devono seguire una politica di deflazione interna che ripristini, in qualche modo, una sorta di equilibrio, solo che i soldi pubblici dipendono dall’andamento economico, per cui la situazione peggiora sempre più. C’è però un interesse generale nel creare una struttura di questo tipo: i tedeschi, con un’economia europea in dissesto, vanno in dissesto anche loro, perché non possono sperare di vivere esportando chissà dove. C’è una sorta di inter-dipendenza tra le diverse aree dell’Europa che consiglierebbe di seguire politiche molto più vicine ad un’idea di un’unione politica che non di una semplice unione monetaria, come quella attuale.
D. – L’Europa, quindi, non sta seguendo proprio delle linee giuste nel risolvere la crisi?
R. – No. C’è un problema di ri-creazione dei livelli di domanda adeguati, che sostenga i livelli di attività e riassorba la disoccupazione. Ora, questo concetto di responsabilità pubblica per i livelli di attività non fa ancora parte dei discorsi e degli atteggiamenti, soprattutto dei tedeschi.
D. – In sostanza, mi sta dicendo che mancherebbe quindi un piano di crescita a lungo periodo...
R. – Se devo essere sincero, manca un piano di crescita anche nel breve periodo. (vv)
◊ Mentre prosegue nel sud della Somalia l’offensiva lanciata dal contingente militare dell’Unione africana contro i miliziani al Shebaab, la situazione umanitaria continua a rimanere gravissima. Quasi due milioni e mezzo di persone soffrono la fame e gli effetti di un conflitto che dura da più di venti anni. Nonostante la comunità internazionale abbia nuovamente assicurato il proprio sostegno al governo di transizione per il completamento delle riforme istituzionali, poco è stato fatto per portare immediato aiuto alla popolazione ostaggio dei "signori della guerra". Stefano Leszczynski ha intervistato Geno Teofilo, responsabile della comunicazione per Oxfam in Somalia:
R. - The situation in Somalia is still very serious. …
La situazione in Somalia è ancora molto grave. Sappiamo tutti che lo scorso anno il Paese è stato colpito dalla carestia e anche se ufficialmente è stata dichiarata conclusa c’è ancora una grave crisi alimentare. A questa si aggiungono i conflitti, che continuano in molte zone del Paese. I governi internazionali recentemente si sono riuniti a Londra nel tentativo di trovare una strada per risolvere i conflitti.
D. - Le questioni che sono emerse dalla conferenza di Londra sembrano essere la pirateria e il terrorismo. Sono questi i due veri problemi della Somalia per i quali è necessario trovare una soluzione?
R. - Oxfam … we were hoping that the Conference …
Noi, come Oxfam, speravamo che questa conferenza potesse portare un po’ di speranza alla popolazione somala colpita dalla carestia, dai conflitti per iniziare un processo di pace. Quello che invece ne è risultato è che ci si è concentrati troppo sul problema della sicurezza, ed è stata trascurata l’opinione che veramente conta: quella della popolazione somala. Come ho detto, troppa attenzione sull’aspetto della sicurezza e insufficiente attenzione ai problemi di carattere umanitario che colpiscono il Paese.
D. - Pensa che in Somalia esista la possibilità di dialogo tra le differenti parti per arrivare a qualcosa che possa somigliare ad un governo per le differenti regioni del Paese?
R. - We are hoping for an all-inclusive peace process. …
Noi speriamo in un processo di pace che abbracci tutti: per questo ci siamo battuti a lungo. Quello che non si considera è che i somali sono molto bravi a fare la pace tra di loro: rientra nella loro cultura fare la pace. Spesso si dimentica che il Somaliland, a Nord, è vissuto in pace negli ultimi vent’anni: la pace, lì, è stata costruita dai somali stessi … Per questo sì, la pace è possibile, anche se non è stata ancora raggiunta.
D. - Pensa che una presenza internazionale in Somalia possa facilitare questo processo?
R. - Well, rather than an international presencePiù che di una presenza internazionale i somali hanno bisogno di una presenza umanitaria. In ogni caso, i governi stranieri che hanno provato a imporre la propria volontà sulla Somalia hanno fallito. Questo è un dato di fatto e il conflitto intanto prosegue.
D. - Qual è la situazione degli aiuti umanitari in questo momento? C’è una presenza che garantisce il supporto di aiuti umanitari alla popolazione somala?
R. - Well, the situation is difficult...
La situazione è difficile dal punto di vista degli aiuti umanitari. Due milioni e quattrocentomila persone dipendono dagli aiuti umanitari. La situazione è resa difficile anche dai conflitti interni che ostacolano gli approvvigionamenti. Le condizioni potrebbero peggiorare se il supporto umanitario da parte della comunità internazionale venisse meno. Quindi Oxfam incoraggia la comunità internazionale a non dimenticarsi della Somalia e a continuare a fornire sostegno alla popolazione somala. (bi)
Nuove agghiaccianti frontiere di dibattito sull'aborto
◊ In questi giorni è in corso una forte polemica sulla tesi che due ricercatori italiani hanno pubblicato sul Journal of Medical Ethics: la presunta legittimità dell’aborto post-nascita. Il servizio di Massimo Pittarello:
Potrebbe essere solo una provocazione, ma anche un nuovo tentativo di spostare in avanti il limite dell’arbitrio umano sulla vita e sulla morte. Per la legge degli uomini un tempo anche l’embrione era sacro, poi soltanto il feto. Negli Stati Uniti si è passati a togliere la vita, un istante prima del parto. Due ricercatori italiani, Francesca Minerva e Alberto Giubilini hanno pubblicato sul Journal of Medical Ethics una nuova tesi: la legittimità dell’aborto post nascita, secondo l’idea che l’infanticidio sia come l’aborto. Non resta che aspettarci che qualcuno rilanci il racconto “Pre-persone” di Philip K. Dick in cui ciò che rendeva un individuo tale era la capacità di ragionare, con la possibilità di essere uccisi fino al compimento dei 12 anni. Tesi che il filosofo Micheal Tooley nel 1972 sintetizzava con la definizione di persona come “soggetto in grado di porre degli scopi”. Il che, a rigor di logica, potrebbe voler ammettere la liceità del’assassinio di chi dorme, di chi è in coma, o di chi scopi non ne ha. Ne parliamo con Don Roberto Colombo, bioeticista e biologo dell'Università Cattolica di Milano:
R. - Equiparare l’infanticidio all’aborto è l’esito dell’accettazione di un’idea - contraria alla ragione - che la vita umana non è un bene in se stessa, ma acquista la natura di bene solo se possiede determinate qualità o quantità. È una tesi pericolosa, assai più del razzismo e della xenofobia: affermare che “persone umane, uomini e donne non si nasce ma si diventa solo a certe condizioni”, costituisce la più grave discriminazione individuale e sociale, che la storia conosca, perché non colpisce soltanto una parte dell’’umanità, ma ferisce tutti gli esseri umani, dal momento che tutti noi siamo o siamo stati neonati e bambini.
D. - Secondo lei, è una provocazione, oppure è una tesi che, ad esempio negli Stati Uniti, potrebbe essere presa in considerazione?
R. - Il bioeticista australiano Peter Singer, assai più noto dei due autori italiani dell’articolo, sostiene da anni, che dovremmo tornare alla prassi dell’uccisione dei neonati indesiderati dai genitori. Singer ammette che i cristiani furono i soli a respingere con forza l’infanticidio, così come l’aborto, ma aggiunge: “Perché mai dovremmo credere che essi siano dalla parte della ragione e che i pagani, invece, abbiano avuto torto?”. direi che siamo di fronte a spallate culturali e derive morali preoccupanti. Il vento che questi autori soffiano non è solo post-cristiano o anti-cristiano, ma può essere definito neopagano, nel senso di una cancellazione della ragione illuminata dalla Fede, su cui è stata costruita l’intera civiltà occidentale.
D. - A questo punto cos’altro dobbiamo aspettarci? Un futuro con uno scenario di selezione umana eugenetica?
R. - Dietro a queste aberranti proposte, si trova una spinta verso una prospettiva eugenetica della vita, cioè quella di una società selezionata e costruita sulla base di determinati criteri. Ma troviamo altresì una debolezza delle nostre civiltà occidentali: quella di non saper aiutare le famiglie in difficoltà, in particolare le donne, ad accogliere la vita che hanno generato.
D. - Secondo questa ipotesi, ma sempre più spesso, c’è la tendenza a considerare la donna come “un automa”, quasi privo di coscienza morale…
R. - La coscienza morale della donna, come quella di ciascun essere umano, deve essere valorizzata e stimata. Non si può pensare che la madre sia semplicemente il contenitore di un figlio in crescita per nove mesi, o colei che lo dà alla luce; ma è un soggetto, la cui libertà è interpellata da una vita che essa ha generato. Questa libertà deve essere accompagnata, sostenuta ed educata, a partire dalla prima infanzia, cioè da quando la donna inizia a prendere coscienza di ciò che essa è e sarà. (bi)
Giornata di sensibilizzazione per la domenica senza lavoro
◊ Si celebra oggi la Giornata di sensibilizzazione sul valore della domenica come giorno non-lavorativo, promossa dalla European Sunday Alliance, l'Alleanza europea per la domenica, un coordinamento di diverse realtà del quale fa parte anche la Commissione degli Episcopati delle Comunità Europee. Fausta Speranza ha intervistato Johanna Touzel, dell’ufficio stampa dell’Alleanza:
R. – The European Sunday Alliance was created one year ago …
L’Alleanza europea per la domenica (European Sunday Alliance) è stata creata un anno fa per tutelare la domenica come il giorno non-lavorativo in tutta Europa. Questo principio è alla base del modello sociale europeo, che pone l’essere umano in primo luogo e non il consumismo né l’economia. Questo è il giorno in cui le persone si ritrovano in famiglia, fare vita sociale, andare a Messa se sono credenti, giocare a pallone se praticano uno sport … La domenica è un giorno cruciale, perché è una giornata comune di riposo nella nostra società. E’ molto importante sottolineare la necessità di avere un giorno comune di riposo, altrimenti se ognuno ha un giorno diverso di riposo, la gente non si incontrerà mai. Ecco l’importanza cruciale, ed è per questo che è stata istituita questa “alleanza”. A tutt’oggi, questa alleanza ha avuto grande successo: infatti, molti sindacati di tutta Europa si sono uniti a noi, insieme a molte Chiese di ogni denominazione e organizzazioni della società civile … In questa giornata, in tutta Europa, sono stati promossi una serie di eventi per richiamare l’attenzione dei politici ma anche dei cittadini sull’importanza della domenica senza lavoro.
D. – La vostra attenzione – considerata la crisi occupazionale - si rivolge anche a quanti non sono nella condizione di dire di “no” al lavoro domenicale …
R. – Yes. Exactly. And this is a very unfair pressure on very modest workers, …
Sì, esattamene. E questa è una pressione molto scorretta nei riguardi di quei lavoratori che non si possono permettere di dire di “no”, e proprio questi sono i lavoratori che poi devono lavorare la domenica. (gf)
Istituti secolari e evangelizzazione a 50 anni dal Concilio
◊ Si terrà ad Assisi, dal 23 al 25 luglio prossimo, il Congresso Mondiale degli Istituti secolari. In questi giorni a Roma, il Consiglio esecutivo, sta ultimando i preparativi per il grande appuntamento dell’estate. Ce ne parla Davide Dionisi:
In ascolto di Dio nei solchi della storia: la secolarità parla alla consacrazione. E’ questo il tema scelto per il Congresso Mondiale degli Istituti secolari che si terrà ad Assisi dal 23 al 25 luglio prossimo. Intanto è il consiglio esecutivo che in questi giorni a Roma sta tracciando le linee guida per l’appuntamento di luglio. Degli impegni che assumeranno nel prossimo futuro gli Istituti secolari e dei temi attorno ai quali ruoterà il prossimo Congresso, abbiamo parlato con Giorgio Mazzola, presidente dell’Istituto Secolare Cristo Re, fondato da Giuseppe Lazzati, e componente del Consiglio esecutivo della Conferenza mondiale degli Istituti secolari (Cmis):
R. – Primo compito è quello di portare a compimento, se vogliamo, questo percorso che il Concilio Vaticano II ha tracciato e di renderlo concreto attraverso la vita delle persone. L’esperienza degli Istituti secolari è un’esperienza di coloro che si consacrano a Dio rimanendo completamente nel loro contesto ma non semplicemente in modo sociologico, ma leggendolo come il luogo specifico della loro vocazione, della loro testimonianza. Il Congresso vorrà provare a fare il punto, tra l’altro proprio nell’anno del cinquantesimo dell’inizio del Concilio Vaticano II, di questo percorso, provando a vedere – rispetto ad una delle idee più luminose che hanno indicato gli Istituti secolari – di vivere il loro apostolato a partire dal mondo, a partire dalle condizioni concrete. Provare a dire in che modo essere davvero all’interno del contesto professionale, sociale, politico, in che modo questo parli al modo nostro di vivere la consacrazione, di vivere la consacrazione non solo per noi ma per l’intera Chiesa.
D. – Quale è il ruolo degli Istituti secolari in seno alla Chiesa?
R. – E’ quello di dare questa spinta alla Chiesa intera, incoraggandola ad essere il reale ascolto del mondo. Spesso, infatti, noi tutti – credo – constatiamo questo limite di cui la Chiesa soffre, cioè quello di parlare sapendo già che cosa dire, sapendo già in anticipo le parole da dire. Questo per un certo aspetto è vero, perché noi possediamo la Parola di Gesù, la Parola definitiva. Però, il modo in cui questa Parola incontra la realtà, incontra le persone – questo dev’essere ogni volta coniugato attraverso l’esperienza concreta. Direi che il senso degli Istituti secolari è questo: di non partire con il già detto, con il già noto perché questo, tutto sommato, chiude delle porte: noi l’abbiamo sperimentato più volte. Invece, essere in reale ascolto delle vicende umane, delle difficoltà, delle fatiche, essere in reale ascolto di questa umanità preziosa e profonda, questo aiuta molto la Chiesa.
D. – Avete parlato in passato di identità cattolica da ripensare, ri-immaginare, ri-definire. Vuole spiegarci come e perché?
R. – Il termine stesso “identità cattolica” sembra sottolineare un modo di essere in cui è rimarcata soprattutto una “diversità”, se vogliamo. Io credo che la vocazione cristiana abbia un enorme bisogno di essere “normale”, di essere nei contesti naturali. Pensiamo, ad esempio, al modello di santità: si è santi quando si vive la fedeltà cristiana stando al proprio posto; stando là dove il Signore ci ha messo.
D. – Tra i vostri obiettivi, c’è quello di pensare al mondo come una realtà con la quale entrare in dialogo. In un momento in cui i rapporti personali passano anche attraverso i “social network” o altri strumenti mediatici, come si struttura la vostra proposta?
R. – Questi strumenti mediatici a me sembra che dicano che un certo linguaggio della Chiesa oggi fa fatica ad incontrare le persone. La prima riflessione sarebbe proprio questa: quella di ripensare il proprio linguaggio. Credo che la nostra stagione stia vivendo questa fatica di avere un contatto diretto con la parola, qualcosa che sia in grado di mettere assieme direttamente la parola del Vangelo e la vita. (gf)
Non dimenticare i poveri: con noi Dominique Lapierre
◊ Tra i molti effetti della crisi economica che coinvolge Europa e Stati Uniti, ne esiste uno a volte dimenticato: la forte riduzione delle risorse, pubbliche e private, per la lotta alla povertà e per la cooperazione internazionale. A parlarne, durante la manifestazione Roma InConTra, è stato lo scrittore Dominique Lapierre. Al microfono di Davide Maggiore, l’autore del bestseller ‘La Città della Gioia’ ha affrontato l’argomento partendo dalle difficoltà che lui stesso incontra nel sostenere le sue attività umanitarie in India:
R. – La mia “crociata” in India per aiutare i più poveri incontra molte, molte difficoltà perché con il mio bilancio annuale di due milioni e mezzo di euro per finanziare 14 centri di aiuto, scuole, battelli-ospedale, scavare pozzi per l’acqua potabile, oggi ho un deficit di un milione di euro. E sono solamente uno scrittore… Tutti i soldi provengono dai miei diritti d’autore e dai doni dei miei lettori. Oggi, con la crisi finanziaria, chiudere una scuola per 400 bambini delle bidonville di Calcutta rappresnta realmente una tragedia.
D. - Per i più poveri tra i poveri la crisi e la difficoltà della vita è l’unica realtà conosciuta? Il fatto che esistano queste persone costrette a vivere in queste condizioni non dovrebbe spingerci a guardare alla realtà che ci circonda in una maniera diversa, a un diverso stile di vita?
R. - Sì, dobbiamo aiutare di più. E’ soprattutto l’India ricca, l’India nuova che deve aiutare i più poveri. Il problema è che gli indiani ricchi, gli indiani della crescita dell’8 per cento non si interessano all’India povera, non si interessa alla mia India. Per la gente di Calcutta tutto questo rappresenta realmente una tragedia: in India ci sono 200 milioni le persone che non hanno accesso all’acqua potabile; ci sono più di 100 milioni di bambini che non sono mai entrati in una scuola.
D. - Ma ci sono dei gesti quotidiani che noi persone comuni possiamo fare per essere vicini a questi poveri?
R. - Sì. Madre Teresa un giorno mi disse che tutti noi possiamo contribuire: non è necessario andare a Calcutta, ma possiamo fare questo anche qui, nel ricco Occidente, a Roma, a Parigi, a Milano o a New York, dove - diceva Madre Teresa - c’è una lebbra che è peggio della vera lebbra di Calcutta e questa si chiama solitudine.
D. - Perché è, però, importante in questo momento richiamare anche l’attenzione dei governi su questo tema?
R. - Non solo adesso, ma dobbiamo sempre allertare i governi per questo aiuto. Dobbiamo condividere di più con i più poveri: io penso che la gente sia fondamentalmente generosa, il problema è riuscire poi a comprendere come possiamo condividere la nostra generosità con i più poveri. (mg)
100 documenti dell'Archivio Segreto vaticano in mostra a Roma
◊ Per celebrare i suoi 400 anni, l’Archivio Segreto Vaticano mette in mostra 100 documenti relativi ad un periodo storico compreso fra l’VIII e il XX secolo. Tra le stanze dei Musei Capitolini, la mostra evento si intitola “Lux in arcana - L’Archivio Segreto Vaticano si rivela”. I preziosissimi documenti potranno essere ammirato fino al 9 settembre. Ad Umberto Broccoli, Sovraintendente dei Beni Culturali della Capitale, Emanuela Campanile ha chiesto prima di tutto di spiegare la straordinarietà della mostra:
R. – Per la prima volta vengono esposti 100 documenti dell’Archivio Segreto Vaticano, quindi un evento unico nel suo genere: unico, ma spero ripetibile. Unicità anche per le forze materialmente in campo. Parlerei di ricongiungimento, perché sono i Musei Capitolini che ospitano una mostra del Vaticano: noi ricordiamo infatti che Roma cristiana, che è la base di Roma medievale, è nata qui, in questo triangolo che vede il Campidoglio, il Laterano e San Pietro e quindi il Borgo. Dunque è come un ricongiungimento della storia qui in Campidoglio, attraverso i documenti antichi, vergati con l’inchiostro su pergamena. Ed è anche un ricongiungimento con le tecnologie nuove, perché la mostra dà uno spazio infinito alla multimedialità, per poter vedere anche con gli occhi del terzo millennio. Quindi unicità e ricongiungimento.
Alessandro Rubecchini, responsabile della conservazione dei documenti esposti alla mostra e responsabile del laboratorio di conservazione e restauro dell’Archivio Segreto Vaticano ci parla, innanzitutto, dell’allestimento:
R. – Tutte le teche e le bacheche che sono state costruite appositamente e su misura per ciascun documento sono state tutte provate e sperimentate in modo da rendere il più possibile idonea la conservazione di questi preziosissimi e unici documenti durante i sei mesi della mostra.
D. – Perché si chiama Archivio Segreto Vaticano?
R. – Tutti pensano che nell’Archivio Segreto Vaticano ci siano nascoste cose particolari. In realtà segreto deriva dal latino “secretum” che significa privato: in pratica è l’archivio privato dei Papi.
D. – Nell’Archivio ci sono documenti non consultabili e perché?
R. – Ci sono dei documenti momentaneamente non consultabili, come in qualunque altro archivio al mondo. Non è una anomalia, perché per poter consultare certi documenti c’è bisogno di riordinarli. Se prendiamo, ad esempio, tutta la documentazione relativa a Giovanni Paolo II, ci sono circa 15 mila buste e questo significa avere milioni e milioni di documenti da numerare e inventariare. Solo così possiamo rendere questi documenti consultabili agli studiosi.
D. – Una mostra - “Lux in arcana - L’Archivio Segreto Vaticano si rivela” – che percorre circa 12 secoli di storia: ovviamente anche il materiale con cui sono fatti questi documenti è cambiato?
R. – Il materiale si è evoluto, perché c’è stato sempre più bisogno di scrivere. Prima si utilizzavano le pergamene, perché era molto costoso ma si scriveva poco: nella Firenze del ‘400 un codice miniato costava quanto un palazzo di quattro piani…
D. – I materiali con cui sono fatti questi documenti?
R. – Dalla pergamena alla carta, a materiali anche più particolari: la lettera dell’Imperatrice Elena Sidicina è fatta di seta, quella degli indiani d’America è fatta con la corteccia di betulla. Ogni cultura utilizzava i materiali che aveva a disposizione. (mg)
Thailandia. Appello della Chiesa per la pace nel sud del Paese
◊ Oltre 5mila morti e più di 8mila feriti: è il tragico bilancio del conflitto che, da otto anni, sta devastando il sud della Thailandia, zona in cui la popolazione è a maggioranza musulmana e si contrappone al restante 95% di abitanti buddisti. Dal 4 gennaio 2004, giorno in cui alcuni militanti islamici si impossessarono di un deposito di armi nella provincia di Narathiwat, il conflitto si è esteso anche alle zone di Pattani e Yala, provocando innumerevoli vittime. E non solo: fino ad ora, gli scontri sono costati al governo di Bangkok quasi 4 miliardi di euro, necessari alle operazioni militari. Di fronte a questa situazione, la voce della Chiesa cattolica – insieme a quella di organizzazioni non governative come Amnesty International Thailandia e il Centro Deep South Watch – si leva per chiedere la pace ed un intervento più concreto delle autorità centrali. “Il governo – dice padre Suwat Leungsa-ard, sacerdote della diocesi cattolica di Surat Thani, il cui territorio ingloba le tre province meridionali del Paese – ha affrontato questo problema come se fosse estraneo al territorio”. Il religioso, che da anni si adopera in favore della pace nel Thailandia del sud, afferma che la popolazione locale è stata abbandonata dalle autorità politiche, lasciando alla sola società civile – ovvero alle ong, ai responsabili delle comunità e dei villaggi e alle organizzazione religiose – il compito di intervenire sul conflitto. “La popolazione – continua padre Suwat – comprende bene quali siano le radici del conflitto e quindi deve essere coinvolta nella ricerca di una soluzione”. In quanto direttore del Centro diocesano per lo sviluppo sociale, padre Suwat si adopera anche a favore del dialogo interreligioso: “Collaboriamo con alcuni responsabili musulmani e buddisti – spiega – affinché gli insegnamenti di pace di tutte le religioni possano essere diffusi e messi in pratica da ogni persona”. E già sono stati stabiliti dei contatti con alcune Università locali per organizzare dei forum informativi e tentare di trovare soluzioni possibili al conflitto, da presentare poi al governo. Infine, padre Suwat esprime il suo scetticismo di fronte alla proposta di risarcimento avanzata da Bangkok alle province meridionali del Paese: “Quello che conta – conclude il religioso – è cercare la verità e portare i colpevoli davanti alla giustizia. Offrire del denaro per poi incitare la popolazione a chiederne altro non ha alcun senso”. “Il governo – ribadisce – deve assumersi le proprie responsabilità e indagare su un conflitto che ha già provocato molte vittime”. (A cura di Isabella Piro)
Vescovi nigeriani: Terrorismo, economia, educazione le priorità
◊ "La storia recente della Nigeria è stata contrassegnata da crisi durate anni che hanno spezzato molte vite e per le quali si è sprecato tempo prezioso che avrebbe potuto essere utilizzato per realizzare un autentico sviluppo nella nostra terra". Lo affermano i vescovi della Nigeria nel documento finale della loro prima Assemblea Plenaria dell'anno che si è conclusa nella capitale federale, Abuja, venerdì scorso. Nel documento – riporta l’Agenzia Fides - si sottolinea che il 2012 è iniziato con la crisi, l'abolizione "inopportuna" dei sussidi per i carburanti che ha scatenato "8 giorni di protesta che hanno arrestato l'economia, con la perdita di vite preziose e di migliaia di miliardi di naira". Per quanto riguarda il terrorismo della setta Boko Haram, i vescovi affermano: "Il 2011 ha confermato i nostri peggiori timori che il nostro Paese, già alle prese con la povertà, la corruzione e il crollo delle infrastrutture, si trova ad affrontare ora il problema del terrorismo e del conseguente fenomeno degli sfollati interni". Tra gli attentati più gravi c'è quello che ha colpito i fedeli (ma anche passanti e musulmani) che si apprestavano a celebrare la Veglia di Natale nella chiesa di Santa Teresa a Madalla. Nell'estendere a tutte le vittime, di ogni fede, le proprie condoglianze, i vescovi richiamano lo Stato alle sue responsabilità di difendere i propri cittadini. Nel comunicato si apprezzano gli sforzi effettuati di recente per fermare i membri di Boko Haram, così come la condanna degli attentati da parte dei leader musulmani. “Ci complimentiamo – affermano - per il gesto esemplare di civiltà con il quale i musulmani hanno protetto i cristiani mentre pregavano, e i cristiani hanno protetto i musulmani durante la loro preghiera", sottolinea il comunicato. Quindi la Conferenza episcopale nigeriana ha lanciato un appello al dialogo e alla riconciliazione nazionale, ed in particolare alla politica, perché ascolti le richieste dei cittadini. Per formare cittadini coscienti dei propri diritti e doveri, capaci di apportare il loro contributo allo sviluppo del Paese, si richiama la necessità di garantire un sistema educativo efficiente. I vescovi, inoltre, ricordano il contributo offerto dalla Chiesa cattolica nel campo dell’educazione: "Nonostante un contesto sfavorevole, la Chiesa cattolica ha sempre attuato enormi investimenti in materia di istruzione, a livello primario, secondario e terziario. La Chiesa – concludono - non ha alcuna intenzione di utilizzare le proprie scuole per costringere nessuno a diventare cattolico. Sta solo offrendo il proprio contributo alla costruzione di una nazione giusta e umana". (E.B.)
Sicilia: risultati in aumento per il Centro Cardiologico Pediatrico del Mediterraneo
◊ Quasi 4.000 prestazioni ambulatoriali, 478 ricoveri, 185 interventi di cardiochirurgia, 71 procedure chirurgiche in terapia intensiva, 249 procedure di emodinamica invasiva e 14 interventi “on site” (effettuati presso altri presidi ospedalieri della Regione Siciliana). Sono i risultati del Centro Cardiologico Pediatrico del Mediterraneo di Taormina a 14 mesi dalla sua apertura. Il numero delle prestazioni – riporta un comunicato della struttura diffuso in questi giorni - ha superato del 45% quanto stabilito nella convenzione siglata tra ospedale pediatrico Bambino Gesù e la Regione Siciliana quasi due anni fa. A trarre vantaggio dai servizi sono i bambini siciliani e le rispettive famiglie e anche quelle delle regioni vicine come la Calabria, che rappresentano il 15% del totale degli assistiti. I numeri sono destinati a crescere ulteriormente col potenziamento della dotazione tecnologica grazie all’arrivo della nuova risonanza magnetica pediatrica. L’apparecchiatura - unica nel suo genere in tutta la Sicilia - serve a curare bambini e ragazzi affetti da patologie cardiache e non solo. Si tratta di uno strumento estremamente avanzato per ottenere diagnosi ancora più accurate, più rapide e che quindi comportano una riduzione dello stress per i piccoli pazienti, garantendo standard qualitativi d’eccellenza. Per ridurre l’impatto psicologico di un esame diagnostico eseguito con un macchinario imponente come la risonanza magnetica e per abbattere l’effetto claustrofobico che può ingenerare nei piccoli, il suo diametro è stato sensibilmente ampliato. La nuova risonanza magnetica consente anche una drastica riduzione dei consumi energetici, pari al 75%. Per il presidente dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, professor Giuseppe Profiti, si tratta di un successo dei siciliani: sin dal momento dell’apertura del Centro – ha affermato – “hanno riconosciuto la valenza e le potenzialità del progetto sul piano dell’innovazione organizzativa, delle ricadute in termini di qualità della vita per i pazienti e le loro famiglie e su quello dell’orgoglio di poter avere sul proprio territorio una realtà che non trova termini di paragone in altre parti d’Italia”. Il professor Giacomo Pongiglione - direttore del Centro Cardiologico Pediatrico del Mediterraneo e del Dipartimento Medico Chirurgico di Cardiologia Pediatrica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù - ha dichiarato che “l'alta tecnologia non è sinonimo di qualità, ma certamente senza l'una non vi può essere l'altra". La qualità delle prestazioni di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica – ha aggiunto - è l'unico e vero obiettivo del Centro Cardiologico Pediatrico del Mediterraneo così come lo è da sempre del Bambino Gesù, quello su cui noi ci misuriamo e vogliamo essere valutati”. (E.B.)
Algeria: combattimenti tra esercito e terroristi a Djaaouna
◊ In Algeria nottata di violenti combattimenti tra un gruppo di terroristi e unità dell’esercito. E’ successo a Djaaouna, a 25 chilometri da Boumerdes, di recente teatro di un attentato che ha fatto cinque vittime tra civili. Secondo media locali i soldati hanno ucciso un terrorista mentre un altro è riuscito a fuggire ed è attualmente ricercato. Dall’alba, inoltre, un vasto rastrellamento e' in corso nei boschi di Bouchakour, dove cinque terroristi sono stati intercettati e stanno tentando di rompere il cordone di soldati che li stringe d'assedio. Infine nel Paese si registrano diversi tentativi di suicidio con il fuoco, per motivi legati alla disoccupazione e alle diffcili condizioni sociali. Ieri quattro persone, in tre distinti episodi avvenuti in varie città, hanno tentato di darsi alle fiamme in segno di protesta.
Polonia: frontale tra due treni, almeno 15 morti
◊ In Polonia è di almeno 15 morti e una sessantina di feriti il bilancio dello scontro frontale tra due treni avvenuto la notte scorsa sulla tratta Varsavia-Cracovia all’altezza di Szczekociny, nel sud del Paese. A bordo c’erano circa 350 persone. Ancora ignote le cause dell’incidente, sebbene fonti della compagnia ferroviaria statale abbiano riferito ai media locali che uno dei due convogli viaggiava sul binario sbagliato. L’impatto è stato devastante: secondo testimoni le prime tre carrozze sono letteralmente accartocciate. Le operazioni di soccorso sono scattate immediatamente. Al lavoro ci sono un centinaio di poliziotti e 450 vigili del fuoco. Non è escluso che il bilancio delle vittime possa aumentare. ''E' la peggiore catastrofe da molti anni'', hanno detto il premier Tusk e il ministro degli Interni Cichocki, che stamattina si sono recati sul luogo del disastro. Il presidente Komorowski ha annunciato che sarà proclamata una giornata di lutto nazionale, senza tuttavia precisare la data. (E.B.)
Gmg Rio 2013: al via la campagna per l’accoglienza dei pellegrini
◊ Al via oggi nell’arcidiocesi di Rio de Janeiro il lancio della campagna di ospitalità ed accoglienza dei pellegrini per la Giornata mondiale della gioventù (Gmg) del 2013 (23-28 luglio). Come tradizione consolidata, i giovani che arriveranno a Rio in quei giorni, saranno ospitati presso scuole, palestre, centri sociali, case vacanze ed altri luoghi coperti ed anche in famiglia. Il comitato organizzatore – riporta l’agenzia Sir - punta molto all’accoglienza delle famiglie, come spiega dall’arcidiocesi, suor Maria Grazia, responsabile della campagna: “accogliendo un giovane la famiglia sentirà la gioia di condividere la propria fede con un pellegrino di un altro Paese mentre questo potrà sperimentare la virtù cristiana della carità”. Da domani verranno raccolte le disponibilità all’accoglienza, da parte sua il Comitato fornirà il vitto agli iscritti alla Gmg. Questi ultimi, afferma la religiosa, “saranno smistati nelle famiglie a seconda della provenienza linguistica". "Le parrocchie saranno chiamate a formare dei volontari preparati adeguatamente per accogliere nel miglior modo possibile i giovani in arrivo”. Intanto oggi scade il termine per la presentazione del testo dell’inno ufficiale di Rio 2013. I risultati della selezione saranno resi noti il 1 aprile. (E. B.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 64