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Sommario del 03/03/2012
◊ La vita può essere un tunnel buio, ma se si ha fede si può vedere la luce di Dio e la bellezza del mondo. Con queste parole Benedetto XVI ha commentato l’itinerario degli esercizi spirituali vissuti durante la settimana e conclusi questa mattina. Il Papa ha poi ringraziato con calore – sia a parole sia per lettera – il predicatore degli esercizi, il cardinale arcivescovo di Kinshasa, Laurent Monsengwo Pasinya. In lei, ha scritto fra l’altro, si coglie la “fede della Chiesa che crede, spera e ama nel continente africano”. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Sette giorni e un viaggio dell’anima, seguendo un Apostolo che insegna – lui che lo visse in prima persona – cosa voglia dire essere in comunione con Dio. Questo è stato per Benedetto XVI il percorso degli esercizi spirituali della Quaresima, strutturato sulle parole della prima Lettera di San Giovanni. Un percorso “sapientemente predisposto” tra silenzio e preghiera, come lo ha definito il Papa, che ha ringraziato in una lettera l’autore delle meditazioni, il cardinale Laurent Monsengwo Pasinya. E il medesimo sentimento di gratitudine è sgorgato spontaneamente anche questa mattina, quando il Pontefice ha preso la parola al termine dell’ultima meditazione:
“Lei ci ha guidato - come dire - nel grande giardino della Prima Lettera di San Giovanni e così in tutta la Scrittura, con grande competenza esegetica e con esperienza spirituale e pastorale. Ha guidato sempre con lo sguardo verso Dio e, proprio con questo sguardo verso Dio, abbiamo imparato l'amore, la fede che crea comunione”.
Nella presenza stessa del porporato congolese, Benedetto XVI ha scritto di cogliere “la peculiare testimonianza di fede della Chiesa che crede, spera e ama nel Continente africano: un patrimonio spirituale – sottolinea nella lettera – che costituisce una grande ricchezza per tutto il Popolo di Dio e per il mondo intero, specialmente nella prospettiva della nuova evangelizzazione”. E un grazie ulteriore il Papa lo ha espresso stamattina anche per quelle “belle storie” tratte dalla terra africana con le quali, ha detto, il cardinale Monsengwo “ha condito” le riflessioni di questi giorni:
“Io sono rimasto particolarmente colpito da quella storia in cui Lei parlava di un amico che, essendo in coma, aveva l'impressione di stare in un tunnel oscuro, ma alla fine vedeva un po’ di luce e soprattutto sentiva una bella musica. Mi sembra che questa possa essere una parabola della nostra vita: spesso ci troviamo in un tunnel oscuro in piena notte, ma, per la fede, alla fine vediamo luce e sentiamo una bella musica, percepiamo la bellezza di Dio, del cielo e della terra, di Dio creatore e della creatura”.
“Quale figlio della Chiesa in Africa – conclude Benedetto XVI nella lettera al cardinale Monsengwo Pasinya – Ella ci ha fatto sperimentare ancora una volta quello scambio di doni che è uno degli aspetti più belli della comunione ecclesiale, in cui la varietà delle provenienze geografiche e culturali trova modo di esprimersi in maniera sinfonica nell’unità del Corpo mistico”.
Più parole, più silenzio: l'editoriale di padre Lombardi
◊ Sul significato del ritiro spirituale vissuto in questi giorni dal Papa e dai suoi più stretti collaboratori si sofferma il nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per “Octava dies”, il settimanale d’informazione del Centro Televisivo Vaticano:
Fedele a una tradizione di ormai molti anni, il Papa ha dedicato la prima settimana di Quaresima al ritiro spirituale, accompagnato da un buon numero di suoi collaboratori. Non incontri e discorsi, ma silenzio e preghiera. Naturalmente il credente cerca di vivere ogni giorno tempi o momenti di silenzio e preghiera, ma questa pausa quaresimale più ampia dice un bisogno più intenso e diventa anche per noi un segno e un esempio più forte. Nel recente messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali – “Silenzio e Parola” – il Papa ha messo bene in rilievo che il silenzio apre lo spazio dell’ascolto, ascolto degli altri e ascolto di Dio, che è la premessa per una comunicazione degna di questo nome, con gli altri e con Dio. E poi: “Dove i messaggi e l’informazione sono abbondanti – ha aggiunto – il silenzio diventa essenziale per discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio”. Il rischio che l’accumulo dei messaggi sia tale da dominarci e imprigionarci è incombente, e poiché va sempre crescendo, difficilmente lo controlleremo correndo affannosamente dietro la loro sconfinata molteplicità. E’ più utile essere capaci di tempi di silenzio vero, in cui si possano sentire anche messaggi più profondi o identificarne la presenza in mezzo agli altri, e di qui ripartire per “mettere ordine nella propria vita”, nel flusso di parole che è oggi una dimensione affascinante ma drammatica della nostra condizione di vita. Come ricordare ad esempio – se no – che Gesù Cristo è morto e risorto per noi, luce per il nostro cammino?
◊ Il Santo Padre ha nominato il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, Suo Inviato Speciale alle celebrazioni d’apertura del pellegrinaggio alla “Sacra Tunica”, nel V centenario dell’ostensione pubblica della medesima, che avranno luogo nel Duomo di Trier (Repubblica Federale di Germania) il 13 aprile 2012.
La Parrocchia romana di San Giovanni Battista de La Salle attende il Papa
◊ Benedetto XVI si reca domani mattina nella Parrocchia romana di San Giovanni Battista de La Salle al Torrino per celebrare, a partire dalle 9.30, la Santa Messa nella seconda Domenica di Quaresima. La Chiesa, eretta nell’Anno Santo del 2000 e consacrata nel 2009, cura un territorio di circa 12 mila abitanti. Grande la gioia per la visita del Papa. Federico Piana ha intervistato il parroco, don Giampaolo Perugini:
R. – Il Papa sarà accolto come un papà, in questa parrocchia. Essa si compone, per l’85 per cento, di giovani coppie con figli ancora in età scolare. L’attesa riguarda il voler sentire cosa dirà proprio a noi, dal momento che il Signore Gesù parla per la bocca di Pietro e dalla Barca di Pietro.
D. – Che parrocchia trova, il Papa?
R. – La Chiesa è stata dedicata il 12 dicembre 2009, e dunque è ancora in fase di sviluppo, e si tratta di uno sviluppo esponenziale. Da quando c’è la parrocchia - anche come aggregazione, appartenenza e senso d’identità - siamo cresciuti tantissimo. C’è una realtà, che è quella dell’oratorio, che abbiamo chiamato “Stella Polare”, traendo spunto dai nomi che caratterizzano le strade del quartiere. Questi quartieri hanno tutti il nome di una stella o di un pianeta, e quindi abbiamo pensato che potesse essere un nome appropriato per il punto di riferimento del quartiere. L’oratorio si basa sul lavoro dei volontari, di giovani papà e mamme che prestano il loro tempo, il sabato e la domenica, all’oratorio-laboratorio. La nostra parrocchia è dedicata al patrono universale degli educatori, San Giovanni Battista De La Salle, da cui trae ispirazione anche tutta l’opera di don Bosco, e si percepisce questa vocazione educativa. Inoltre, c’è anche la scuola di musica, di pittura, di teatro, di chitarra, di canto e di pianoforte. Al momento abbiamo anche un’orchestra di piccoli musicisti, che suona in Chiesa la domenica, e così anche tutte le squadre di calcetto, di mini-basket, di mini-rugby e mini-volley. E’ una parrocchia giovane, che sta crescendo e che si sente davvero onorata di accogliere il Papa.
D. – Quali sono le difficoltà, soprattutto a livello sociale, di questa parrocchia?
R. – Il quartiere è benestante, anche se le coppie che vi abitano hanno acquistato le proprie abitazioni quando ancora era un progetto su carta, e quindi ora stanno ancora pagando il mutuo. Si tratta di genitori che lavorano entrambi, che hanno il problema di portare i figli e di andarli a riprendere, e dunque di tutti i vari spostamenti. La difficoltà che talvolta vediamo, in scala più ampia, è quella del riuscire a rimanere uniti nel nucleo famigliare. Poi, magari, un’altra problematica è quella relativa alla secolarizzazione: questa vita così presa dal lavoro, dalle preoccupazioni ed anche dalla ricerca del benessere, rischia di tenere ai margini la vita spirituale o di considerarla semplicemente come l’osservanza di alcune regole morali.
D. – Quali sono i frutti che vi aspettate da questa visita di Benedetto XVI?
R. – I frutti li stiamo già vedendo. Durante la preparazione c’era il coinvolgimento di tante persone, che si sono rese disponibili: venivano da me chiedendomi se potevano rendersi utili, se potevano fare qualsiasi cosa. E poi i gruppi parrocchiali, ai quali, peraltro, abbiamo riservato alcuni incontri specifici di formazione sul Ministero di Pietro ed anche di questo Papa in particolare, sulle sue Encicliche ed il ruolo che riveste. Avverto la gioia di poterlo far avvicinare ad una famiglia che lo ama, che prega quotidianamente per lui, che sa le difficoltà e le preoccupazioni che lui ha e che dunque, in questo momento, vuole far sì che lui possa sorridere e ristorarsi un po’. (vv)
L'arcivescovo di Santiago di Cuba: la visita del Papa ci spronerà a essere generosi nella carità
◊ La prossima visita del Papa a Cuba animerà la Chiesa locale nella fede e la confermerà nella speranza: così, in una Lettera pastorale, l’arcivescovo di Santiago di Cuba, mons. Dionisio García Ibáñez, esprime i suoi auspici per il viaggio che Benedetto XVI compirà nel Paese, dal 26 al 28 marzo. Il servizio di Isabella Piro:
“Ogni volta che Benedetto XVI visita un Paese, una Chiesa particolare, compie una visita pastorale per animare quella Chiesa nella fede, per confermarla nella speranza, per spronarla ad essere generosa nella carità”: scrive così mons. García, ribadendo che il tema centrale della prossima visita del Papa a Cuba è quello della carità. Perché, dice il presule, “la carità, l’amore è l’unica virtù che può far comprendere che davvero i cubani sono tutti fratelli”. Benedetto XVI sarà ricevuto come un capo di Stato, scrive ancora mons. García, ma “il significato principale, fondamentale della sua visita è quello pastorale”. Per questo incontro, quindi, ribadisce l’arcivescovo di Santiago di Cuba, ciò che conta di più “è la preparazione spirituale”. Considerata la coincidenza della visita pontificia con il tempo di Quaresima, aggiunge il presule, tutti siamo invitati alla “conversione interiore, che ci chiama a desiderare di cambiare il nostro cuore”. Per questo, l’arcivescovo cubano esorta la popolazione “ad essere solidale e compassionevole con gli altri, a vivere la carità sapendo che ogni uomo è nostro fratello in quanto figlio di Dio e che non possiamo mai restare indifferenti di fronte alle sofferenze altrui”. In questo contesto, quindi, la visita del Papa sarà “un’ulteriore grazia” ed oltre ai preparativi materiali, conclude mons. García, “è fondamentale la preparazione interiore”. Infine, il presule rivolge un pensiero alla Vergine della carità del Cobre, della quale ricorre l’Anno Giubilare, in occasione dei 400 anni della scoperta della sua immagine.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Verso la luce: Benedetto XVI alla conclusione degli esercizi spirituali in Vaticano.
In prima pagina, Giuseppe M. Petrone sulle presidenziali di domani in Russia.
Lo scippo del libero arbitrio: in cultura, Giorgio Israel su neuro-mania e neo-positivismo, ovvero quando l'ideologia si traveste da scienza.
Nelle prossime settimane sarà lanciato il razzo con a bordo la capsula Atv-3 dell'Agenzia spaziale italiana: Giuseppina Piccirelli intervista Piero Benvenuti, dell'università di Padova. sullo scienziato Edoardo Amaldi, pioniere della "politica della scienza" come elemento fondamentale di collaborazione internazionale.
Un articolo di Cristian Martini Grimaldi dal titolo "Restauri 'conservativi' per i dati in Rete": a chi giova il diritto all'oblio?.
La difficile ascesi di lasciar parlare le cose: "Il Foglio" ha reso omaggio con una lunga intervista al benedettino Elmar Salmann.
Siria. La Croce Rossa negozia per entrare a Bab Amro
◊ Ennesima giornata di violenze in Siria: sette persone sono morte e 20 sono rimaste ferite dall’esplosione provocata da un kamikaze che si è lanciato con un'auto contro un posto di blocco a Deraa. Tra le vittime vi sarebbero membri delle forze di sicurezza lealiste. Intanto, proseguono le pressioni della comunità internazionale, con in testa il segretario dell’Onu Ban Ki-moon, affinché il convoglio con gli aiuti della Croce Rossa possa entrare a Bab Amro, il quartiere di Homs che da circa un mese è teatro di durissimi scontri tra esercito e insorti. Marco Guerra ne ha parlato con il portavoce del Comitato internazionale della Croce Rossa in Siria, Saleh Dabakeh:
R. – We have an authorization from the Syrian government…
Noi abbiamo un’autorizzazione del governo siriano per entrare in Baba Amr, ma siamo bloccati per la situazione sul terreno… Quello che dobbiamo fare ora è cercare di ristabilire delle trattative con il governo siriano. Questa è la cosa migliore che possiamo fare e speriamo di riuscire a entrare quanto prima possibile. La nostra speranza è questo avvenga già oggi.
D. – Cosa succederà nelle prossime ore? La Croce Rossa sarà in grado di risolvere la situazione?
R. – L’idea era quella di entrare già ieri. Ci sono persone lì che combattano da circa un mese. Ci sono tanti bisogni e ci sono emergenze relative al cibo, alle medicine. C’è bisogno di evacuare quanti sono probabilmente feriti e c’è l’urgenza di portare assistenza medica e di provvedere alle cure mediche necessarie. E’ questa la regione per la quale è necessario riuscire ad entrare ora, oggi e non domani.
D. – Ieri, il governo aveva assicurato che il distretto era libero dai ribelli. Qual è la situazione all’interno di Baba Amr?
R. – I can say many things…
Non posso dire molto e non posso escludere niente, perché noi non siamo lì. Vogliamo arrivare lì, vedere la situazione e riuscire a portare assistenza, distribuire aiuti e evacuare quanti più persone è possibile. Il team della Croce Rossa sta aspettando, nel quartier generale della nostra sede di Homs, che si ponga fine a questa crisi, che si sblocchi la situazione e ci venga permesso di entrare già oggi. (mg)
Iran: alle legislative in testa i fedelissimi di Alì Khamenei
◊ Si sono svolte ieri in Iran le elezioni legislative. I dati sull’affluenza parlano di una partecipazione di circa il 64% degli aventi diritto. Per l’opposizione, che più volte ha fatto appello al boicottaggio, si tratta di dati falsati. E mentre affluiscono i primi risultati, appare molto probabile la vittoria in questa tornata elettorale del Fronte Unito, il partito vicino alla guida spirituale, Alì Khamenei. Giancarlo La Vella ha raccolto il commento di Ahmad Rafat, giornalista iraniano in Italia:
R. - In tutti questi 33 anni, la politica della Repubblica islamica è sempre stata, più o meno in ogni occasione elettorale, quella di metter fuori dalla struttura del potere volta per volta una parte delle forze che hanno partecipato alla rivoluzione islamica. In questa tornata è toccato ai riformisti. Questa è una politica che ha ridotto all’osso quella che è la struttura centrale del potere in Iran, che tuttavia rimane sempre divisa tra i sostenitori del presidente Ahmadinejad, che ha ancora un anno di mandato e probabilmente in questo parlamento non riuscirà ad avere una maggioranza, e i seguaci del leader supremo, l’ayatollah Khamenei, che a quanto pare saranno i vincitori di queste elezioni.
D. - Sullo sfondo di queste consultazioni la questione del nucleare, vissuta all’interno dell’Iran come elemento nazionalista fortemente aggregante, con preoccupazione invece fuori del Paese. Quali potranno essere i passi della comunità internazionale?
R. - Il sostegno alla politica nucleare tra la popolazione iraniana diminuisce anno dopo anno; nel senso che le sanzioni cominciano a pesare e a farsi sentire. Pertanto la popolazione prende le distanze dalla politica nazionalista di sostegno al nucleare, perché vede che il prezzo da pagare sta diventando sempre più alto. Che cosa può fare la comunità internazionale? A mio avviso, la comunità internazionale dovrebbe evitare un conflitto armato, perché un attacco dall’esterno potrebbe compattare la popolazione a sostegno del potere centrale, e invece dovrebbe proseguire sulla politica delle sanzioni mirate, come le ultime adottate sulla banca centrale iraniana e altre istituzioni legate direttamente al governo, gestite dai Pasdaran, le Guardie della rivoluzione, che possono un po’ ridurre le capacità finanziarie del regime e, di conseguenza, le possibilità di proseguire con la politica nucleare.
D. - Secondo lei, il dato dell’affluenza alle urne, pari al 64% degli aventi diritto, è un dato reale oppure in qualche modo manipolato?
R. - Due giorni prima delle elezioni, basandomi su fonti di stampa locali vicine alle Guardie della rivoluzione, ho scritto che la partecipazione, era del 65,5 %. Certamente, dunque, non può essere un dato reale, visto che questo risultato si conosceva già in precedenza. (bi)
Vigilia delle presidenziali in Russia. L'esperto: Putin non potà ignorare il peso del web
◊ Dopo una campagna elettorale movimentata e ricca di proteste, il governo russo ha annunciato che alle presidenziali del 4 marzo, le rune saranno trasparenti e che quasi tutti i seggi elettorali del Paese saranno dotati di webcam. Tuttavia, il terzo successo di Putin sembra scontato, anche se il cambiamento sociale della Russia, molto evidente nel mondo di Internet, non potrà essere ignorato dal futuro presidente. Emanuela Campanile ha intervistato Giorgio Comai, inviato a Mosca di Osservatorio Balcani e Caucaso:
R. – In Russia, l’atmosfera è particolarmente forte e, in realtà, molto più forte che non Italia e in molti Paesi europei. Questo naturalmente è un processo che è nato dal fatto che non ci sono media indipendenti: le persone cercano informazioni alternative in altre sedi e sempre di più lo fanno in Internet, che sempre più è la fonte di informazione principale per le persone istruite del Paese, almeno per la classe media che può permettersi una connessione Internet da casa ed è quella classe media che a Mosca abbiamo visto scendere in piazza nelle scorse settimane. Attraverso una serie di indagini fatte tra i partecipanti alle manifestazioni, si è visto che il livello di laureati è molto elevato e che buona parte di loro afferma che Internet è la loro prima fonte di informazione. Peraltro è anche il luogo in cui si coordinato e si organizzano queste azioni: sui siti di blog, come “Like Journal”, che è la principale piattaforma di blogger in Russia, e su Facebook che in realtà in Russia è meno diffuso che da noi.
D. – La struttura sociale russa sta cambiando?
R. – E’ un processo che è in corso. E parte di questo cambiamento è proprio legato allo sviluppo tecnologico e all’arrivo di Internet e delle tecnologie mobili. Elementi, questi, che mostrano quanto questa società stia cambiando e stia cercando nuove strade di espressione. Se Putin verrà eletto in queste elezioni – e se, come tanti sospettano, verrà eletto anche a quelle successive – avrà un periodo di potere più di lungo di quello di Breznev e quindi ci sono persone che cominciano veramente a sentirsi stufe di lui, che prende una decisione alla quale tutti obbediscono… Vedono che cambiamenti veri per il benessere in senso diffuso non ci sono, si stentano a vedere.
D. – Qualche analista ha dichiarato che, nonostante la probabile vittoria di Putin, il “regno dello zar”, così soprannominato da anni, è in declino…
R. – Quello che si tende a ribattere e a sottolineare è il fatto che se anche Putin vincerà queste elezioni e rimarrà al potere per tutti i sei anni previsti con la nuova riforma elettorale – ricordiamo infatti che è stato prolungato il periodo di presidenza, sono diventati adesso sei anni – qualcosa dovrà cambiare nello stile di governo. Ricordiamo che a metà anni Duemila, per esempio, Putin aveva abolito l’elezione dei capi regionali, dei governatori, e quindi era Putin che decideva chi doveva essere il governatore di ogni regione del Paese e questo naturalmente dava un livello di controllo elevatissimo sui governi locali. Sotto questo punto di vista, per esempio, sono già stati fatti passi indietro: si promette che ci saranno elezioni diretti dei capi di regione, si promette che cambierà la legge elettorale e verrà resa più facile la registrazione di partiti… Una delle polemiche di queste elezioni è che tanti candidati non sono stati semplicemente accettati e che tanti partiti non riescono neppure a presentarsi in lista per una serie di complicazioni inserite, negli anni di Putin, nelle varie leggi elettorali. Quindi, qualche cambiamento si sta vedendo e ciò che è legittimo aspettarsi è sicuramente ancora qualche anno di Putin al governo, ma forse con qualche piccola apertura che potrebbe dare spazio all’opposizione per organizzarsi, per trovare un nuovo leader. Se davvero ci saranno anche dei piccoli cambiamenti, delle piccole aperture da parte di Putin, in quelle fessure le persone che vediamo oggi in piazza potrebbero trovare un modo nuovo di organizzarsi. (mg)
Liberazione di Rossella Urru. Il vescovo di Oristano: Dio ci ha ascoltato
◊ Liberata in Mali la cooperante italiana Rossella Urru, rapita il 22 ottobre nel sud dell'Algeria. La notizia è stata diffusa stamattina dalla stampa senegalese che cita fonti mauritane. Gioia a Samugheo il piccolo centro in provincia di Oristano dove risiede la famiglia della ragazza che attende la conferma da parte delle autorità italiane. Eugenio Bonanata ne ha parlato con mons. Ignazio Sanna, arcivescovo di Oristano:
R. - La prima impressione? Sono felicissimo perché recentemente, ho postato su Facebook “che Dio ci ascolti per ottenere la liberazione di Rossella.” Insieme a tutte le 85 parrocchie della diocesi abbiamo fatto una preghiera, abbiamo dedicato un’ora particolare di adorazione, abbiamo lasciato dei lumi accesi per tutta la notte… Penso che questa preghiera sia stata esaudita, e quindi sono felicissimo sia per Rossella che ritorna libera, sia per i suoi genitori e i suoi familiari che finalmente la potranno abbracciare, e anche per la nostra comunità perché in questo modo si dimostra che con la preghiera possiamo veramente piegare il Cielo su di noi e far sì che Dio sia con noi, ci accompagni e ci ascolti. Sono veramente felicissimo.
D. - Come ha vissuto la comunità questi oltre quattro mesi?
R. - C’è stata una solidarietà inaspettata: questa ragazza è divenuta, in qualche modo, la sorella di tutti. In ogni famiglia si sentiva quasi un rapporto di parentela, per quanto prima nessuno o quasi la conosceva. Dal momento in cui è stata sequestrata e si è visto anche che la sua missione era una missione di solidarietà, di vicinanza con chi soffre, è diventata subito simpatica a tutti. E la comunità ecclesiale si è mossa con delle fiaccolate, delle preghiere, con tutti quelli che erano i nostri mezzi, per suscitare solidarietà e anche per dimostrare ai familiari che eravamo vicini a loro.
D. - Adesso cosa farete?
R. - Adesso devo mettermi d’accordo con il parroco di Samugheo. Io da Oristano volevo andare a trovare i genitori, per stare vicino a loro, per abbracciarli. Abbiamo promesso di fare una cerimonia di ringraziamento al Signore perché il Signore ci ha ascoltato.
D. - I genitori hanno vissuto sostanzialmente nel silenzio questi mesi...
R. – Sì. Con molta sobrietà. Sono stati esemplari. Erano continuamente assaliti dai mezzi di comunicazione. Hanno conservato la loro dignità e il loro riserbo, e hanno confidato anche nell’aiuto di Dio e in tutto quello che noi potevamo fare. Sono andato diverse volte a visitarli, a incoraggiarli ma li ho trovati sempre con molta dignità e molta serenità. Questo è un bell’esempio. Ci hanno dato un bell’esempio.
D. - Comunque la comunità si è stretta al loro fianco...
R. - Sì, in modo particolare, inizialmente, con la comunità di Samugheo, la Parrocchia di Samugheo, perché dal primo istante il parroco è stato vicinissimo. Ogni settimana facevano una Messa, un Rosario. Quindi volevano far sentire questa vicinanza direi anche fisica, per quanto poi loro erano molto riservati. Insieme alla parrocchia di Samugheo, come ho detto prima, tutte le altre parrocchie, si sono mobilitate. Era una gara di solidarietà e si è visto che di fronte a queste occasioni, in cui c’è una passione umanitaria, non si fa più differenza tra chi è battezzato e chi non lo è, perché nel volto del povero si vede il volto di Cristo, si va avanti e si fa del bene purché questo venga accolto e sia riconosciuto come tale. (bi)
No Tav. Giornata di manifestazioni a Roma e Milano dopo il via libera di Monti
◊ E' trascorsa senza incidenti la quinta notte di "mobilitazione permanente" dei No-Tav in Val di Susa, dopo l'assemblea del Movimento. Ieri, il premier, Mario Monti, ha spiegato che il progetto va avanti perché è sostenibile da un punto di vista ambientale e i benefici economici sono rilevanti. Immediata la risposta degli attivisti, che invitano il capo del governo a evitare “prove di forza”. Nel pomeriggio di oggi, sono in programma cortei a Roma e Milano. C’è timore che le manifestazioni possano degenerare, ma il prefetto della capitale Pecoraro rassicura: “C'è un'attenzione scrupolosa, ma senza allarmi”. Sulla situazione, Paolo Ondarza ha sentito don Ettore De Faveri, direttore del settimanale “La Val Susa”:
R. – Di certo, almeno un elemento di chiarezza è arrivato da parte dell’attuale governo in maniera molto chiara, serena e pacata. E’ questo, quindi,il punto di partenza anche per quella parte del territorio che resta contrario all’opera. Non si può prescindere da questa dichiarazione così chiara e precisa.
D. – Quindi ancora c’è spazio per il dialogo?
R. – E’ essenziale. E’ essenziale che il governo non parli solo a Roma ma riesca, in qualche modo, a recarsi sul territorio e a cercare un confronto con il territorio stesso.
D. – Noi abbiamo contattato sia chi è per il “no”, sia chi è per il “sì”. Chi è per il “no” ha parlato liberamente, mentre chi invece è per il “sì” ci ha detto: “A questo punto, abbiamo paura di parlare, temiamo intimidazioni”...
R. – Ho l’impressione che dichiararsi favorevoli all’opera possa sembrare qualcosa che non in molti hanno il coraggio di dire. Ma non vedrei, in questa situazione, motivi di pericolo per la gente.
D. – A spaventare non è tanto chi vive lì, sul posto, quanto elementi, provenienti dall’esterno, che potrebbero infiltrarsi...
R. – Certo, questo è uno dei grandi problemi. Purtroppo oggi, su questo punto, c’è un po’ di fragilità nella risposta del grande movimento No-Tav locale. Io avrei preferito una protesta molto più “valligiana” da questo punto di vista, senza il concorso di altri, perché questo rischia sempre di creare almeno un sospetto di qualcosa di pre-ordinato e di comandato da interessi che non sono solo quelli valsusini. (vv)
La Lateranense ricorda Shahbaz Bhatti, politico martire del Pakistan
◊ “Morte di un blasfemo”: è il titolo di un convegno alla Pontificia Università Lateranense che ieri, nel primo anniversario della morte, ha ricordato il ministro pakistano cattolico Shahbaz Bhatti, ucciso dagli estremisti islamici. Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Mobeen Shahid, presidente dell’Associazione cristiani pakistani in Italia, tra i promotori dell’evento:
R. – Shahbaz Bhatti ci ha lasciato una enorme eredità di coerenza morale, anche nella politica: quello politico era un impegno che lui ha accettato volontariamente. Non ha cercato il potere ma lo strumento per servire il prossimo, in particolare le minoranze religiose, che aveva molto a cuore. Per cui, devo dire che l’eredità non è solo spirituale ma anche politica.
D. – Anche per questo il ricordo è molto forte, non solo da parte dei cristiani e non solo in Pakistan. La sua è una figura che, in qualche modo, attrae non solo in nome della fede ma proprio di questa sua testimonianza...
R. – Shahbaz è stato un uomo del dialogo, un uomo aperto ai valori che sono presenti non solo nell’insegnamento della Chiesa, ma che sono legati al senso ultimo dell’umanità. Per cui, anche le persone che non credono e non hanno una fede, lo rispettano per il suo impegno e per il servizio reso all’umanità.
D. – Colpiscono alcuni scritti di Shahbaz Bhatti, in cui era assolutamente presente il pericolo, fortissimo, della morte. Eppure lui continuava a dire: “Voglio servire Gesù, voglio servire il Pakistan”...
R. – Shahbaz Bhatti ha amato la sua Chiesa ma ha amato anche il Pakistan, che è la patria di tutti noi cristiani che viviamo lì. Prima di tutto, dobbiamo essere una minoranza creativa, che contribuisce alla crescita del Paese.
D. – Come pachistano e come cristiano, qual è la sua speranza ad un anno dalla morte di Shahbaz Bhatti, anche per le generazioni future?
R. – Per il futuro del Pakistan, ripropongo il pensiero di Shahbaz, perché lui stesso aveva diagnosticato quella malattia sociale, presente negli ultimi tre decenni, causata dall’istruzione che portava poi all’estremismo. Come proponeva Shahbaz, la soluzione o la cura di questa malattia – che è l’estremismo -, stava nell’istruzione: nelle scuole, si dovrebbero far studiare anche le altre religioni. Inoltre, voleva che una parte delle borse di studio all’estero fosse riservata alle minoranze religiose. Questo perché, attraverso le minoranze, potesse crescere anche il Pakistan. (vv)
Mons. Crociata: cristiani siano cittadini responsabili, no all'anti-politica
◊ Scuole diocesane di formazione all’impegno sociale e politico a confronto nell’ultimo giorno di convegno a Roma sul tema “Educare alla cittadinanza responsabile”, organizzato dalla Cei. Si è parlato di metodi e contenuti, di obiettivi comuni e di prospettive. Poi, a trarre le conclusioni, è stato il segretario generale dei vescovi italiani, mons. Mariano Crociata, in sostituzione del presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, bloccato a Genova per una lieve indisposizione. Il servizio è di Gabriella Ceraso:
Cercare una strada che apra il cuore e la mente per formare persone libere di pensare l’attualità con i criteri di fondo della Chiesa, capaci di coltivare l’arte dell’ascolto e del lavoro con gli altri. Questo il metodo e lo scopo di un’autentica formazione sociopolitica, così come emerge dal confronto delle scuole diocesane già attive sul territorio. “Scuole che sono espressione e fattore della coscienza ecclesiale”, ricorda mons. Crociata. “Centrali – dice il segretario generale della Cei – sono i contenuti, dottrinali e sociali, ma anche la dimensione spirituale che li precede, e l’apprendistato sul campo che li segue”. Sentiamo le sue parole:
“Certamente, la Dottrina sociale della Chiesa - con gli sviluppi che ha avuto in modo particolare l’ultima enciclica, la Caritas in veritate - è la capacità di aiutarsi con gli strumenti della conoscenza scientifica che le varie discipline mettono a disposizione, la conoscenza del territorio”.
Tra i tanti livelli dell’esperienza politica, spiega mons. Crociata, è la dimensione locale ad apparire determinante. E’ qui che le scuole sono chiamate ad attuare un “accompagnamento”, un sostegno morale e spirituale, evitando divisioni e strumentalizzazioni. “E’ qui”, prosegue mons. Crociata, “che c'è già un'esperienza e una presenza diffusa di cattolici impegnati”, ed è da qui che si formerà un nuovo paradigma di solidarietà e corresponsabilità di cui oggi c’è una “richiesta, un bisogno oggettivo”. L’invito è a reagire alla tentazione della anti-politica, della fuga nel privato, del delegare ad altri la ricerca del bene comune, pur senza parlare di un cripto-partito. Ed è in questa prospettiva le scuole hanno un grande servizio da svolgere, pur con i debiti distinguo. Ancora mons. Crociata:
“Il progetto sociale non è un progetto ecclesiale, nasce dalla società stessa. Nasce, dalla Chiesa, una visione di valori e di esperienza e una vocazione che produce anche visioni politiche, progetti politici ed impegno politico. Il tutto con la responsabilità, distinta ed autonoma, anche se ispirata dall’appartenenza ecclesiale nell’ambito proprio della vita sociale”.
A un sacerdote cattolico la più alta onorificenza civile del Pakistan
◊ Il "Sitara-e-Quaid-e-Azam", la più alta onorificenza civile destinata a cittadini stranieri, è stata assegnata dal governo pakistano a padre Robert McCulloch, membro della Società missionaria di San Colombano, distintosi per l’aiuto profuso per tutta la popolazione, in modo speciale durante l’alluvione che ha devastato il Pakistan lo scorso anno. Massimo Pittarello lo ha intervistato:
D. – Lei ha ricevuto la più alta onorificenza civile del Pakistan destinata a cittadini stranieri. E’ un premio che le viene consegnato direttamente dal governo pakistano. Per quale motivo?
R. – Credo che il pensiero di darmi questo premio rispecchi un sentimento chiaro: l’atteggiamento del fondamentalismo non è proprio del Pakistan. E’ sì presente nel Paese, ma è un atteggiamento falso. Con questo premio, si è voluto affermare che nel Pakistan esistono luoghi dove possono vivere i cristiani.
D. – In Pakistan, c'è il problema della legge sulla blasfemia...
R. – Le leggi sulla blasfemia sono la radice dell’ingiustizia e sono contrarie al pensiero del padre della patria del Pakistan, Mohammad Ali Jinnah. Egli ha affermato che in questo Paese tutti sono uguali: nel tempio, nelle moschee e nelle chiese... Quando sentiamo la parola "minoranza", già ci troviamo di fronte a una differenza, anche rispetto alla legge, e per questa ragione i cristiani in Pakistan vivono tempi pericolosi.
D. – E’ possibile immaginare un futuro di pace e di convivenza fra le religioni?
R. – Credo che la maggioranza voglia proprio questa pace. Ma tra i fondamentalisti c’è una guerra religiosa. Nel momento in cui ci sarà la pace tra i musulmani, credo che ci sarà la pace per tutti, anche per i cristiani. (vv)
Kohl: l'Ue torni alla visione dei padri fondatori: intervista con Dario Antoniozzi
◊ Eurogruppo e Consiglio europeo in questa settimana hanno segnato altre tappe della corsa ad arginare gli effetti della crisi che ha colpito a diverso titolo l’Europa tutta. Il presidente dell’Ue, van Rompuy, ha detto che questo potrebbe essere il momento di svolta positivo. Da parte sua, l’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl in questi giorni ha lanciato un appello a tornare alla visione dei padri fondatori. Fausta Speranza ha intervistato Dario Antoniozzi, politico italiano presente alle prime sedute del parlamento europeo. Ricordiamo che la prima Assemblea parlamentare europea è nata a Marzo 1958, a seguito dei Trattati di Roma, che dal 1962 prese il nome di "parlamento europeo" e nel 1979 adottò per l’elezione la formula del suffragio universale:
R. – Al parlamento, specialmente le prime volte, c’era un grande entusiasmo. Ricordo le prime sedute quando erano i parlamenti nazionali ad averci mandato a Strasburgo. E poi voglio ricordare una cosa bellissima: la prima volta dell’assemblea a suffragio universale la presidenza è stata di una donna, perchè era la più anziana: madame Weiss. Madame Weiss pronunciò un discorso favoloso. Il secondo giorno, poi, eleggemmo un’altra donna, molto brava, madame Veil. Molti confondono le due. Comunque io ricordo il discorso memorabile di Madame Weiss. Lo conservo e ogni tanto lo rileggo. Disse: “Vedete, noi siamo un’assemblea di qualche centinaio di persone, ma questo centinaio di persone è veramente in grado di creare, gestire, modificare, costruire una realtà che in tanti, per secoli, hanno provato a creare, da San Benedetto ad altre persone?”. E aggiunse: “Nella mia fantasia vedo, nelle pareti di quest’aula, Dante, Leonardo, Goethe e tanti altri”. Si mise a ripetere una ventina di grandi nomi della cultura che avevano costruito l’Europa della cultura, delle tradizioni e di tutto quello che rappresenta l’Europa nel mondo. Quel discorso fu bellissimo, io ancora lo conservo e dovrei farlo ripubblicare perché, molte volte, tante cose come questa non si conoscono. La partenza, quindi, fu di grande entusiasmo. E dopo questa entusiasmante partenza, ci sono state le situazioni concrete, dinanzi alle quali si inciampa per via delle pietre, delle obiezioni, delle riserve ed anche degli interessi. Le tappe di unione devono essere ordinate, coordinate, concordate e non è facile farlo, perché hanno radici in avvenimenti recenti, meno recenti, passati e antichi, e queste radici sono spesso non solo di interessi ma anche di cultura diversa. Il cammino, però, è aperto. Non c’è da disperare o da preoccuparsi: il cammino è aperto e credo che, man mano, si stiano realizzando una serie di iniziative e di cose di interesse generale. L’Europa, quando è stata fondata, rappresentava il 15 per cento del mondo. Oggi, rappresenta il sette per cento, e fra cinque o sei anni sarà il sei per cento. Fra 15 anni, sarà il tre per cento. O riusciamo ad essere uniti, forti della cultura, dell’economia e così via, o, se perdiamo tempo – o magari ci disperdiamo – scompariremo nel mare delle nuove realtà che stanno crescendo in tutto il mondo.
D. – L’Europa è stata un sogno innanzitutto politico. Però, quella economica è stata un po’ la via scelta per iniziare a costruire tutto l’edificio. A questo punto, il salto dall’Europa economica, monetaria e commerciale all’Europa politica si è davvero bloccato, come dicono in tanti?
R. – Il problema è che l’economia è diversa per ogni Paese, che è a sua volta diverso da tutti gli altri Paesi. Anche l’economia, quindi, prima di arrivare all’Europa politica, deve superare tanti traguardi, tante difficoltà, tante problematiche preesistenti. Non è che si può smontare e dire: “Da domani faremo la politica”, perché si demolirebbe tutto all’istante. L’Europa politica, verso la quale stiamo lentamente camminando, è una costruzione lunga e difficile ma possibile, nella misura in cui ci sarà la volontà di farlo. E credo che in questo momento tale volontà potrebbe anche essere rafforzata dinanzi ai pericoli che ciascun Paese corre e tutti gli altri Paesi europei insieme corrono, guardando a un futuro che vede crescere altre realtà, spesso non del tutto democratiche, che rischiano di crearci dei seri problemi. Credo che sarà proprio la preoccupazione relativa a questi seri problemi a indurre gli europei ad accelerare il cammino e a diminuire le gelosie, le difficoltà e le problematiche – a volte obiettive – che frenano e rallentano il cammino verso quel traguardo. Un traguardo che certamente si raggiungerà, ma ci vorrà molto tempo.
D. – Il mondo cambia, ma ci sono i valori, che sono ciò che ha "valore" per durare nel tempo. Quali valori si respiravano al parlamento europeo all’inizio e che, oggi, non possiamo dimenticare?
R. – Il primo valore era il desiderio di mutare il mondo, di creare un qualcosa che superasse la problematica delle guerre. In fondo, i primi 50 anni dello scorso secolo sono stati drammatici: due guerre mondiali, 12 dittature. L’Europa ha già creato una condizione diversa da quella: dalla seconda metà del secolo scorso non c’è stata alcuna guerra o dittatura ed è iniziato lo sviluppo. Questo è stato un risultato favoloso. C’è chi non riflette su queste cose, chi non le conosce. E poi nessuno, soprattutto la scuola o i media, le ricordano con chiarezza. Piuttosto, si fanno prendere dal problema della giornata e della settimana precedente, ma si tratta di cose fondamentali. Senza queste cose, il cammino ulteriore non si sarebbe potuto intraprendere.
D. – I padri fondatori dell’Europa avevano ben chiari i valori cristiani, le radici cristiane dell’Europa. Poi c’è stato il rifiuto di metterle per iscritto nero su bianco. Queste radici, però, riaffiorano?
R. – Sono permanenti. Le radici cristiane ci sono, che siano scritte o meno. Esse sono i valori di etica, di morale e di probità. E in tanti oggi li richiamano.
D. – Siamo, però, in un’epoca di estremismi...
R. – Gli estremismi rappresentano il male. Sono le grandi malattie della vita, che hanno determinato vicende drammatiche. Sono qualcosa che dovremo cercare di combattere in tutti i modi possibili per riuscire a realizzare quell’importante unità che può portare alla soluzione dei problemi. (vv)
Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
◊ Nella seconda Domenica di Quaresima, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù - condotti Pietro, Giacomo e Giovanni su un alto monte - si trasfigura davanti a loro, in dialogo con Elia e Mosè. Pietro chiede di restare in quel luogo, quando una voce esce da una nube dicendo: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».
Poi Gesù “mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti”.
Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
La Trasfigurazione è icona fissa della seconda domenica di Quaresima: Marco la descrive come un bagliore di splendore bianchissimo. Ma non trascura anche di notare che la scena ha spaventato i tre testimoni: quando ci si trova davanti a bagliori simili non resta che balbettare, perché quella luce è l’energia stessa di Dio, come ben sanno gli artisti e i mistici. L’ingenua proposta di Pietro di innalzare tre tende per prolungare la presenza di una simile teofania, non è presa in considerazione da nessuno. Perché invece bisogna scendere da quel monte e incamminarsi verso quella prova di umiliazione e sofferenza di cui Gesù sta parlando con insistenza. Ma senza essere preso troppo sul serio dai discepoli, perché non riescono a capire come dalla morte, paradossalmente, possa venire la vita. Rimuginano sulla parola risurrezione, senza venirne a capo. Ma un giorno capiranno che quella gloria sul monte era vera profezia, e che solo attraverso la morte sarebbe diventata verità e dono per tutti. Siamo in cammino con Gesù che va verso la sua sconfitta mortale; ma questa ce lo restituirà come “potenza di Dio e sapienza di Dio”, come dice Paolo ai Corinzi.
Cardinale Dolan: libertà religiosa sotto attacco negli Usa, questione non solo cattolica
◊ “Sgomento” è stato espresso in una lettera dal cardinale Timothy Dolan, presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, per il modo in cui l’amministrazione americana ha gestito il problema dell’obiezione di coscienza rispetto alla nuova riforma sanitaria. Nella lunga e articolata lettera il cardinale Dolan scrive all’episcopato americano, esortandolo a prepararsi per “i tempi difficili” che si prospettano. Elogiando l’unità dei vescovi statunitensi di fronte “alle intrusioni senza precedenti” e agli attacchi contro la libertà religiosa da parte del Department of Health and Human Services, il porporato ha ricostruito tutti i passaggi della vicenda, respingendo la possibilità che proprio questo dipartimento possa decidere il modo in cui si possa esercitare il ministero della Chiesa. “Come pastori, vorremmo spendere le nostre energie nell’attività nelle quali la Chiesa è impegnata: la cura dei malati, l’insegnamento ai giovani, l’aiuto ai poveri. Ma proprio perché pastori – ha aggiunto - sentiamo che i servizi affidati da Gesù sono in pericolo a causa di questa intrusione”. Pur esprimendo piena disponibilità al dialogo e al confronto, il cardinale Dolan ha ricordato l’invito del presidente Obama ad appianare le divergenze ma ha altresì riferito delle rigidità da parte della stessa amministrazione. “Non è una battaglia solo cattolica” ha sottolineato il porporato che ha ricordato come gli oppositori insistano nel ridurre la questione a “un problema di salute della donna” mentre è di libertà religiosa che si sta parlando: libertà religiosa “sotto-attacco” e che quindi va difesa. Pertanto – ha aggiunto- si metterà in campo tutto l’impegno possibile ricorrendo a strumenti legislativi e giudiziari. Intanto sono in preparazione sussidi liturgici da diffondere nelle parrocchie per far conoscere i termini della vicenda ovvero rendere obbligatoria l’assistenza alle pratiche abortive e la prescrizione di anticoncezionali anche in strutture ospedaliere amministrate da organizzazioni religiose. Sappiamo che “la libertà religiosa è la nostra eredità – ha sottolineato il cardinale Dolan - è il nostro patrimonio e la nostra ferma convinzione sia come fedeli cattolici che come americani”. (A cura di Benedetta Capelli)
Argentina. I vescovi si oppongono all’eliminazione dell’ora di religione dalle scuole statali
◊ “L’educazione religiosa alimenta il legittimo pluralismo e contribuisce allo sviluppo della società”: è quanto si legge in una nota diffusa dai vescovi della diocesi di Salta, nel nordovest dell’Argentina. Il documento, firmato tra gli altri dall’arcivescovo della città, mons. Mario Cargnello, arriva dopo che il governo locale ha stabilito di cancellare l’insegnamento della religione nelle scuole statali. Ma tale insegnamento, scrivono i vescovi, “costituisce un diritto per i genitori e per i loro figli e un dovere per gli Istituti di formazione, in funzione dello sviluppo integrale degli alunni”, poiché “le convinzioni religiose sono un fattore positivo nella vita personale e sociale”. Poi, i presuli precisano: “Non pretendiamo che a tutti i bambini vengano insegnati i contenuti della religione cattolica, ma vogliamo che tutti i bambini possano ricevere l’insegnamento della religione, oppure esserne esonerati, a seconda della decisione dei loro genitori”. Anche perché, continua la nota, il diritto a professare la propria fede, "a livello personale o comunitario, si esprime nei diversi ambiti senza ostacolare il funzionamento delle istituzioni né implicare un’imposizione o una negazione dei diritti a terzi”. In questo senso, si legge ancora nel documento, “è compito della scuola pubblica rispettare e trasmettere la cultura e l’identità di un popolo”. L’appello finale, dunque, è lanciato ai genitori, affinché “esercitino il loro legittimo diritto all’educazione integrale dei figli”. “Siamo convinti – concludono i vescovi di Salta – che un’educazione religiosa che promuove l’identità alimenti il legittimo pluralismo e contribuisca allo sviluppo della nostra società”. (I.P.)
Giornata europea della domenica senza lavoro
◊ “La domenica libera dal lavoro è una dimostrazione chiara e visibile che le persone e le nostre società non dipendono unicamente dal lavoro e dall'economia”. Questa l’idea di base della Giornata europea della domenica senza lavoro promossa, domani, dall’Alleanza europea per la domenica (l’European Sunday Alliance - Esa), network che riunisce associazioni ecclesiali, culturali e sportive, sindacati e organizzazioni della società civile di diversi Paesi dell’Unione Europea. Noi – scrivono gli organizzatori nell’appello pubblicato su "europeansundayalliance.eu" e ripreso dall’agenzia Sir - “crediamo che tutti i cittadini dell'Unione Europea abbiano diritto a godere di orari di lavoro decenti, cosa che per principio esclude il lavoro serale, notturno, nei giorni festivi e la domenica. La domenica dovrebbero essere operativi solo i servizi essenziali”. Per questo - affermano - “la legislazione e le pratiche attualmente applicate a livello comunitario e degli Stati membri devono tutelare maggiormente la salute, la sicurezza e la dignità di ogni persona e dovrebbero promuovere in modo più assertivo la conciliazione tra vita professionale e familiare”. Inoltre, “dovrebbe essere rafforzata la coesione sociale tra i cittadini europei”. A tal fine, la struttura invita i soci, i sostenitori e tutti i cittadini interessati “a mobilitarsi domenica 4 marzo per questa causa comune”. Piena libertà alle diverse “Alleanze” nazionali sulle azioni da intraprendere: tuttavia, i promotori auspicano “visibilità”, “idee innovative” e “progetti che riflettano la cultura locale e di conseguenza le tradizioni europee”. In questo modo, “l’idea della domenica senza lavoro potrà crescere di anno in anno”. Proprio nei giorni scorsi, padre Piotr Mazurkiewicz, segretario generale della Commissione episcopati Comunità europea (Comece) che aderisce all’Esa, in un’intervista all’agenzia Sir aveva richiamato i colloqui e i negoziati attualmente in corso per la revisione della Direttiva Ue sui tempi del lavoro (2003/88/EC), ribadendo la necessità che nella Direttiva “venga reinserito tra i giorni festivi e di riposo il riferimento diretto alla domenica, al momento eliminato”. La conciliazione tra tempi del lavoro e della famiglia, e la protezione della domenica sono questioni che tuttavia non riguardano solo l’Europa: “La Famiglia: il lavoro e la festa” è infatti il tema della settima edizione dell’Incontro mondiale delle famiglie, che si svolgerà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno prossimi. (L. Z)
I vescovi croati invitano ad aderire alla Giornata europea della domenica senza lavoro
◊ Rispettare la domenica come un giorno di riposo, da vivere in famiglia o da dedicare al volontariato, alle attività culturali e sociali, ma anche come giorno in cui celebrare e glorificare il Signore. È l’invito che la Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale croata lancia ai fedeli in vista di domenica prossima. In questo modo, la Chiesa di Zagabria aderisce alla campagna promossa dalla Alleanza Europea per la Domenica - il network che riunisce associazioni ecclesiali, culturali e sportive, sindacati e organizzazioni della società civile di diversi Paesi dell’Unione Europea - in favore della “Giornata europea della domenica senza lavoro”. In una lunga nota a firma del suo presidente, mons. Vlado Košić, la Commissione Giustizia e Pace chiede ai cittadini, soprattutto ai cristiani, di astenersi dallo shopping domenicale anche per rispetto nei confronti di coloro che sono costretti a lavorare in quel giorno, “lontani dalle loro famiglie”. Si tratta, scrivono i vescovi di Zagabria, “soprattutto di donne – madri, sorelle e figlie – e a causa della loro assenza, molte case restano vuote. Per questo, lo shopping domenicale è una forma di ipocrisia e di insensibilità nei confronti di queste persone”. Poi, la Chiesa croata ribadisce: “L’essere umano non è solo un produttore e un consumatore di beni e servizi. Nessun governo democratico deve disprezzarlo e nessun uomo d’affari del mercato europeo deve sfruttarlo”, perché “una persona afferma e sostiene se stessa attraverso il lavoro, ma è anche molto più di un lavoratore e di un consumatore”. Anzi, continuano i vescovi croati, “una persona è un essere spirituale, volto al trascendente ma anche alla cultura, allo sport, all’arte, all’impegno sociale e politico”. Se le si impedisce di relazionarsi con gli altri in uno stesso giorno, si legge ancora nella nota, “la si priva dei suoi diritti basilari come cittadino e come personale integrale, e nella società si verifica una riduzione della coesione sociale e della volontà di vivere insieme”. Ed è proprio questo, sottolinea la Chiesa della Croazia, “il significato ed il valore di un giorno in cui nessuno deve lavorare”. Tanto più che la domenica “è stata rispettata nel Paese anche durante il regime comunista” ed è quindi “giustificato aspettarsi che, con l’avvento della democrazia, tale rispetto diventi una regola, soprattutto in una nazione in cui il 90% dei cittadini si dichiara cristiano”. I presuli di Zagabria, inoltre, mettono in luce come il lavoro domenicale sia contrario alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, la quale stabilisce il riposo settimanale per i lavoratori e il rispetto della loro salute, sicurezza e dignità. Naturalmente, la Chiesa croata riconosce che alcuni servizi di interesse pubblico, come la sanità, devono essere forniti anche di domenica e nei festivi, così come sa che bisogna accettare la flessibilità degli orari di apertura dei negozi nelle zone turistiche. Tuttavia, continua la nota, ciò non deve servire a perpetrare lo sfruttamento dei lavoratori, spesso sottopagati e senza un giorno libero. Infine, i presuli di Zagabria sottolineano che, con il loro appello, “si vuole lottare per i diritti di tutti i cristiani, non solo dei cattolici, affinché possano celebrare il giorno del Signore partecipando alla Messa domenicale, perché la domenica è fatta per l’uomo e non l’uomo per la domenica”. Nelle ultime righe della dichiarazione, la Commissione Giustizia e Pace si dice fiduciosa della partecipazione dei fedeli alla “Giornata europea della domenica senza lavoro”, ribadendo che tale iniziativa sarà “una forte testimonianza di solidarietà nei confronti delle vittime della dittatura del profitto e, allo stesso tempo, un effettivo ed autentico segno di sacrificio Quaresimale per tutti i fedeli”. (I.P.)
Nigeria: circa 100 milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno
◊ Continua ad aumentare la povertà in Nigeria, dove quasi cento milioni di persone vivono con meno di un dollaro (0,75 euro) al giorno. I nigeriani che vivono in condizioni di povertà assoluta - che sono cioè in grado di soddisfare solo i bisogni più basilari di alimentazione, vestiario e di un riparo - sono aumentati fino al 60,9% nel 2010, rispetto al 54,7% del 2004. L’economia del Paese è in crescita, ma aumenta anche la povertà nonostante le riserve che rendono la Nigeria il principale produttore di petrolio del continente. In Nigeria – riporta l’agenzia Fides – la corruzione è molto comune e i politici, invece di concentrarsi sullo sviluppo di infrastrutture e sulla creazione di posti di lavoro per la popolazione, si sono dedicati per decenni a ricavare denaro dall’esportazione del petrolio, di cui si vendono più di due milioni di barili al giorno. Nonostante sia al settimo posto nel mondo per riserve di gas, che potrebbero essere utilizzate per produrre energia, il Paese genera elettricità sufficiente per una città europea di media grandezza. Oltre la metà dei suoi 160 milioni di abitanti vivono senza luce, mentre gli altri dipendono da costosi generatori alimentati a diesel, prodotto controllato da un piccolo gruppo di importatori. Secondo i dati dell’Ufficio nazionale di statistica, il nordest e il nordovest del Paese sono le regioni più povere, mentre il sudovest, dove si trova Lagos, registra tassi di povertà più bassi. (E. B.)
Costa d’Avorio: la lebbra continua a minacciare le zone povere del Paese
◊ In Costa d’Avorio, la lebbra minaccia ancora le zone più povere del Paese. L’agenzia Fides ricorda che nel corso della guerra civile – dal 2002 al 2007 – e a causa delle sommosse dello scorso anno, il programma sanitario per la lebbra è stato sottofinanziato e ha portato una perdita in termini di rilevazione e trattamento della malattia. Non essendo considerata una priorità sanitaria, il governo ha ridotto i finanziamenti al 30% del totale originale. Nonostante la disponibilità di farmaci, è difficile riuscire a monitorare i nuovi casi nelle zone più remote a causa della mancanza di infermieri qualificati e di mezzi di trasporto per raggiungere i villaggi. Tuttavia, qualche miglioramento si intravede. Infatti, secondo i dati del Ministero della sanità locale, nel 2011 sono stati registrati 770 nuovi casi contro gli 887 del 2009. La malattia viene definita “insidiosa e silenziosa” perché il periodo di incubazione può essere senza alcun disturbo e durare anche 20 anni, e sono troppi i casi scoperti in fase ormai avanzata. I sintomi, infatti, compaiono molto tardi, e quando la malattia viene registrata è molto difficile risalire alla fonte di contagio. Un altro problema è dato dal fatto che molta gente non ha possibilità di raggiungere gli ospedali per la distanza. La cura della lebbra è particolarmente irregolare nel nord del Paese, governato per un decennio dagli ex-ribelli delle "Forces Nouvelles", periodo durante il quale la maggior parte delle infrastrutture dello Stato sono state trascurate. Secondo gli operatori sanitari, molti infermieri hanno lasciato il nord per andare a lavorare al sud e molti malati di lebbra si vergognano di farsi curare perché la malattia spesso è associata ad una maledizione. La vergogna è legata anche allo stato di povertà. Infatti, la lebbra colpisce prevalentemente le zone più povere e remote del Paese, in parte a causa delle scarse condizioni igienico-sanitarie che favoriscono la diffusione dei batteri. Suor Pauline lavora in una clinica di Dimbokro, nella Costa d’Avorio sud centrale, e cura i malati di lebbra del villaggio di Chrétienko, a 5 km di distanza. In una sua dichiarazione, ha detto che i malati vanno incoraggiati e non compatiti in modo da aiutarli veramente a convivere con la loro pandemia. Rimanere mutilati è sempre doloroso, la gente deve lasciare le proprie case e fare di tutto per sopravvivere. (E.B.)
Cile: i Guanelliani al fianco dei disabili nell’Hogar san Ricardo
◊ Prosegue l’impegno dei missionari guanelliani in Cile al fianco dei disabili. L’Hogar San Ricardo, realizzato dai Servi della Carità nel 1960, oggi accoglie 150 disabili tra i 6 ed i 50 anni in forma residenziale e 50 ragazzi della Provincia di Batuco in modalità semiresidenziale. In un comunicato inviato all’Agenzia Fides, i missionari riferiscono che tra le novità è stato anche realizzato un video - visibile su You Tube - dedicato a questa realtà. “Dai nomi dei ragazzi alle attività proposte, il video - spiega nella nota il direttore, padre Nelson Jerez Silva - vuole mostrare dal laboratorio di musicoterapia, scrittura, cucina e giardinaggio all'arrivo settimanale del camion della provvidenza, con l’occorrente per il Centro, che necessita ad esempio di 800 pannoloni al giorno”. Nel filmato, sono anche visibili i danni causati dal terremoto del 27 febbraio 2011, l'impegno dei volontari italiani, la dignità della gente impegnata nelle piccole ristrutturazioni. In evidenza, ancora, il coinvolgimento dei ragazzi accolti nella gestione della casa, il rapporto con operatori e volontari. Da segnalare anche la casa di Renca per i malati oncologici, che dopo le quotidiane cure in ospedale rientrano al Centro per la cena e possono usufruire di un accompagnamento spirituale. Le immagini mostrano infine il reparto cucina, con pasti differenziati per ingredienti e consistenza fino a quelli somministrati con sonda e la formazione riservata a operatori e volontari nell'assistenza, tra l’altro, di bambini con gravi e medie disabilità che usano il solo “vocabolario degli occhi”. (E.B.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 63