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Sommario del 01/03/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Esercizi spirituali in Vaticano: meditazioni sul tema "Dio è amore"
  • Il Papa: riconoscere il contributo delle donne allo sviluppo della società
  • Colletta per la Terra Santa: accorato appello a sostenere i cristiani del Medio Oriente
  • I quattro grandi Dottori della Chiesa orientale al centro delle prediche di Quaresima in Vaticano
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nord Corea: moratoria nucleare in cambio di aiuti Usa. Plaudono Russia e Cina
  • Russia: ultimi giorni prima delle presidenziali
  • No Tav, mons. Nosiglia: isolare gli estremisti, ma ascoltare la gente
  • Vertice europeo. Van Rompuy: primi frutti dalle misure anticrisi
  • Venti anni d'indipendenza della Bosnia ed Erzegovina. Mons. Sudar: il Paese resta diviso
  • Lavoro e valori religiosi: Flaminia Giovanelli sul contributo del Cristianesimo
  • Allarme ILO: pericolo recessione anche per Cina e Paesi asiatici
  • Ad un anno dalla Primavera araba: le riflessioni di padre Pizzaballa e del ministro Riccardi
  • Il cardinale Bagnasco interviene a Londra: l’economia salvaguardi la persona
  • L'obiezione di coscienza tra etica e politica in un Convegno a Roma
  • La teoria del "gender": l'obiettivo è negare la differenza tra maschi e femmine
  • La morte di Lucio Dalla. Il suo rapporto con la fede: intervista con padre Bertuzzi
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Bolivia: i vescovi difendono il cardinale Terrazas attaccato dalle autorità
  • Libia: mons. Martinelli colpito dalla solidarietà a Sirte tra cristiani e musulmani
  • Gmg Rio 2013. Il cardinale Rylko: grande collaborazione tra Chiesa e governo
  • Premio Niwano per la pace alla guatemalteca Tuyuc Velásquez
  • Terra Santa: per la Quaresima pellegrinaggio di personalità cristiane dell'India
  • Nord Irlanda: nuovo appello dei leader delle Chiese cristiane sulla riforma del welfare
  • El Salvador: avviato un progetto per combattere il morbo di Chagas
  • L’Onu esorta gli Stati africani a combattere il crimine organizzato
  • Fao e Ifad a sostegno delle cooperative rurali per aumentare la sicurezza alimentare
  • Appello Onu alla Fifa: sì a hijab speciale per donne islamiche
  • Uganda: nuovo programma di cure della Chiesa per i malati di Aids
  • Consiglio delle Chiese: l'arcivescovo di Canterbury su religione e diritti umani
  • Spagna: messaggio dei vescovi per la Giornata della Vita
  • Italia: sciopero dei lavoratori migranti, "Basta discriminazioni"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Esercizi spirituali in Vaticano: meditazioni sul tema "Dio è amore"

    ◊   La quarta mattina di esercizi spirituali per la Quaresima in Vaticano ha toccato il tema “Dio è amore”. L’autore delle meditazioni, il cardinale arcivescovo di Kinshasa, Laurent Monsengwo Pasinya, ha proposto oggi a Benedetto XVI e ai membri della Curia Romana – riuniti nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo apostolico – due riflessioni: la prima sul binomio “penitenza e riconciliazione”, la seconda su “l’amore dei fratelli”. Nel pomeriggio, la terza meditazione in programma ha per titolo “La Vergine Maria, Madre dei credenti, modello di comunione con il Padre e il Figlio”.

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    Il Papa: riconoscere il contributo delle donne allo sviluppo della società

    ◊   “Perché sia adeguatamente riconosciuto in tutto il mondo il contributo delle donne allo sviluppo della società”: è questa l’intenzione di preghiera generale di Benedetto XVI per il mese di marzo. Il Papa torna dunque a sottolineare con forza il contributo del “genio femminile” alla vita della Chiesa e della società. Su questa intenzione di preghiera, Alessandro Gisotti ha intervistato Chiara Amirante, fondatrice del Movimento “Nuovi Orizzonti”:

    R. – Penso che sia una grande intuizione del nostro Santo Padre quella di riproporre l’attenzione alla dignità proprio della donna, perché in questo tempo più che mai il ruolo della donna viene – direi – non sottovaluto, ma di più… Ritrovare quel genio femminile che già Giovanni Paolo II ci aveva ricordato, ribaltare il genio femminile della donna, riscoprire la sua profondità: oggi siamo passati – mi sembra – dalla complementarietà alla competizione fra uomo e donna. Importante è riscoprire quanto l’uomo, con le sue caratteristiche, possa essere un dono d’amore per la donna e viceversa. Se c’è qualcosa di cui il mondo - penso - abbia un bisogno veramente incredibile è proprio l’amore!

    D. – Quale contributo specifico può dare la donna cristiana alla società dei nostri tempi?

    R. – Ciò che caratterizza la donna è proprio questa capacità particolare, questa attenzione verso gli ultimi, questa propensione verso la solidarietà, questa particolare capacità di accoglienza. Invece la situazione attuale della donna è veramente drammatica, senza parlare poi di tutto quello che è il mercato del sesso, della pornografia: se pensa soltanto ad alcuni dati statistici che ci riferiscono che sono 320 milioni di ragazzi e ragazze abusati dalla sessualità. Dati, questi, che non possono lasciarci indifferenti e che ci ricordano l’importanza di ridare alla donna il suo giusto posto, di ritrovare la sua dignità e non ridurla, ormai troppo spesso, a oggetto di piacere e di desiderio.

    D. – L’amore è un mistero, ce lo ricorda anche nel suo ultimo libro: la donna quasi naturalmente è portata a vivere questo mistero d’amore…

    R. – La donna in questo ci aiuta un pochino a ricordare la centralità dell’amore nella vita della famiglia, nella vita della società e nella vita della Chiesa. Abbiamo un modello per eccellenza che è Maria, che non solo si è lasciata raggiungere da questo mistero d’amore di un Dio che ci ha amato pazzamente e che ci ama pazzamente, ma lo ha vissuto anche perfettamente. (mg)

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    Colletta per la Terra Santa: accorato appello a sostenere i cristiani del Medio Oriente

    ◊   La Congregazione per le Chiese Orientali ha lanciato un accorato appello a sostenere la comunità cristiana della Terra Santa nella tradizionale Lettera indirizzata ai vescovi di tutto il mondo per la Colletta del Venerdì Santo. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Il messaggio, a firma del cardinale prefetto Leonardo Sandri, invita tutte le comunità ecclesiali a promuovere particolari iniziative di preghiera e di carità fraterna a favore dei cristiani di questa regione nella consapevolezza delle sofferenze che stanno vivendo: “Per i discepoli di Cristo” di tutto il Medio Oriente – si legge nel testo – “le ostilità sono il pane quotidiano che alimenta la fede e talora fanno risuonare l’eco del martirio in tutta la sua attualità. L’emigrazione cristiana è acuita dalla mancanza di pace, che tenta di impoverire la speranza, mutandosi nella paura di essere soli davanti ad un futuro che sembra non esistere se non come abbandono della propria patria”. Il cardinale Sandri, sulla scia degli appelli di pace e solidarietà lanciati dal Papa, chiede ai cristiani di tutto il mondo di sostenere i tanti progetti della Custodia di Terra Santa, dal restauro dei luoghi di culto, alle opere in favore dei giovani e delle famiglie più povere, scuole, centri di assistenza sanitaria, necessità abitative, luoghi di aggregazione, borse di studio.

    Il porporato quindi continua: “Quanta fede scopriamo nei giovani, desiderosi di testimoniare le beatitudini, amando i loro Paesi nell’impegno per la giustizia e per la pace con i mezzi della non violenza evangelica. Quanta orgogliosa fede, quanta fermezza, ci viene trasmessa da chi proferisce le parole di riconciliazione e di perdono, sapendo di dover rispondere in tal modo alla violenza e talora al sopruso. Abbiamo il dovere di restituire il patrimonio spirituale ricevuto dalla loro millenaria fedeltà alle verità della fede cristiana. Lo possiamo e lo dobbiamo fare con la nostra preghiera, con la concretezza del nostro aiuto, con i pellegrinaggi”.

    “L’anno della Fede, nel cinquantesimo del Concilio Ecumenico Vaticano II – sottolinea ancora il messaggio - fornirà motivazioni singolari per muovere i nostri passi verso quella Terra, peregrinando ancor prima col cuore tra i misteri di Cristo in compagnia della Santa Madre del Signore. Il prossimo Venerdì Santo, attorno alla Croce di Cristo, ci sentiremo insieme a questi nostri fratelli e alle sorelle: la solitudine che talora si affaccia fortemente nella loro esistenza sia vinta dalla nostra fraternità. Ed essi possano proclamare nella serenità del corpo e dello spirito che ‘Gesù è il Signore’ (At 11,20), affinché ‘la porta della fede’ (At 14,27) continui a spalancarsi proprio da quella Terra ad assicurare il perdono e la bontà di Dio per l'intera famiglia umana”.

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    I quattro grandi Dottori della Chiesa orientale al centro delle prediche di Quaresima in Vaticano

    ◊   Il 9 marzo prossimo il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, inizierà nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano, le prediche per la Quaresima. Le meditazioni prenderanno spunto da alcuni Padri della Chiesa e si svolgeranno sul tema “Ricordatevi dei vostri capi e imitatene la fede” (Ebrei 13, 7). “In preparazione all'anno della fede indetto da Benedetto XVI (12 ottobre 2012 - 24 novembre 2013), le quattro prediche di Quaresima – spiega un comunicato della Prefettura della Casa Pontificia - si propongono di attingere slancio e ridare freschezza al nostro credere, mediante un rinnovato contatto con i ‘giganti della fede’ del passato. Ci metteremo ogni volta alla scuola di uno dei ‘quattro grandi Dottori della Chiesa orientale’ – Atanasio, Basilio, Gregorio Nazianzeno e Gregorio Nisseno – per vedere cosa ognuno di essi dice a noi oggi a proposito del dogma di cui è stato il campione; rispettivamente: la divinità di Cristo, lo Spirito Santo, la Trinità e la conoscenza di Dio”. Le altre prediche si terranno il 16, 23 e 30 marzo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In rilievo, nell'informazione internazionale, la Corea del Nord che ha accettato una moratoria sul nucleare.

    I giorni della locusta: in cultura, storia e attualità dell'editoria religiosa in un libro-intervista di Maria Trigila a don Giuseppe Costa, diretore della Libreria Editrice Vaticana.

    Un articolo di Rossella Fabiani dal titolo "Duecento anni di cultura ridotti in cenere": migliaia di libri e documenti di valore inestimabile distrutti nel rogo dell'Istituto d'Egitto.
    Giampaolo Mattei ricorda Lucio Dalla.

    Un articolo di Roberto Cutaia dal titolo "Compagni di viaggio lungo la Quaresima": con Rosmini e Benedetto XVI in cammino nel periodo più forte dell'anno liturgico.

    Al fianco dei cristiani in Terra Santa: nell'informazione vaticana, la Lettera della Congregazione per le Chiese Orientali in occasione della tradizionale colletta.

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    Oggi in Primo Piano



    Nord Corea: moratoria nucleare in cambio di aiuti Usa. Plaudono Russia e Cina

    ◊   Stop ai test nucleari, al lancio di missili a lungo raggio, e all’arricchimento dell'uranio nella Corea del Nord. L’annuncio arriva da Pyongyang che ha deciso la moratoria in cambio di aiuti alimentari da parte degli Stati Uniti, con un primo invio di 240 mila tonnellate di assistenza nutrizionale. “Un primo passo nella direzione del dialogo e della pace” è il commento del segretario di Stato americano Clinton che si impegna anche a sospendere le sanzioni una volta ripresi i colloqui a sei. Plaudono alla decisione anche Russia e Cina. Soddisfazione dall’Aiea, l’agenzia dell’Onu per l’energia atomica, che si dice pronta ad inviare nel Paese i suoi osservatori. Per un commento Cecilia Seppia ha sentito Fabrizio Battistelli, segretario generale di Archivio Disarmo:

    R. – Potrebbe anche essere la volta buona. Non è anche privo di significato il fatto che il regime di Pyongyang abbia accettato di mettere sul tavolo un aiuto, con queste caratteristiche, che richiama direttamente la situazione di crisi interna. Già questa, in qualche modo, è una concessione politica. Inoltre, potrebbe probabilmente essere il primo passo per un’iniziativa che agli Stati Uniti conviene da tutti i punti di vista - non escluso quello economico – ma che ha certamente un riflesso strategico complessivo positivo per il mondo. Vorrebbe dire bloccare questa proliferazione nucleare che può sempre rappresentare un tentazione come arma, talvolta di ricatto, per Paesi che sono esclusi dalla capacità legale di detenere l’arma atomica.

    D. – Tra l’altro, Pyongyang ha anche aperto all’invio, da parte dell’Aiea, di nuovi osservatori che possano realmente verificare l’adempimento di questa moratoria…

    R. – Sì. Questa è sempre una decisione positiva, anche se non sarebbe la prima volta che si accettano le ispezioni e poi si cerchi di imbrigliarle...

    D. – Il segretario di Stato americano, Clinton, ha espresso un parere positivo. Lo ha definito: “Un modesto primo passo nella giusta direzione”. Gli Stati Uniti, però, si sono anche detti ancora profondamente preoccupati e, di certo, staranno a guardare attentamente, anche per giudicare le azioni del governo, perché, forse, questa decisione sottolinea anche un cambio di rotta della nuova leadership assunta dal figlio di Kim Yong-Il…

    R. – Potrebbe essere che sia in atto un modesto ampliamento di alcune libertà interne, compresa una cauta apertura in campo economico, verso consumi ed investimenti...

    D. – Tra l’altro, l’arsenale balistico nord-coreano è davvero imponente e fa paura non soltanto a tutta l’area nord-asiatica ma al mondo intero…

    R. – Sì. In passato è accaduto che armi e tecnologie – soprattutto nord-coreane – transitassero anche in altre zone critiche del pianeta, come in Medio Oriente, e quindi ci fosse anche una proliferazione tecnologica che certamente contribuisce a destabilizzare in particolare le aree di crisi. Si tratta, quindi, di un vantaggio complessivo se le Nazioni Unite e chi, al suo interno, ha più potere, capacità tecniche, finanziarie ed economiche – come gli Stati Uniti – provvede, in qualche modo, a realizzare uno scambio. Il burro al posto dei cannoni!

    D. – Washington si è anche impegnata, una volta ripresi i colloqui a sei, a dare priorità allo stop alle sanzioni contro Pyongyang. Quindi, forse, è una mossa strategica…

    R. – Sì, sicuramente. Potrebbe essere un vantaggio reciproco. E’ quello che, tecnicamente, viene definito “un gioco a somma positiva”, ossia un gioco nel quale tutti vincono. Se il regime sposta le sue priorità dal ricatto nucleare e da aspirazioni assolutamente anti-storiche di rivincita o comunque di intimidazione – per esempio verso la Corea del Sud – ad un miglioramento del tenore di vita dei propri abitanti, sarebbe sicuramente un vantaggio per tutti. (vv)

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    Russia: ultimi giorni prima delle presidenziali

    ◊   La Russia a pochi giorni dalle elezioni presidenziali di domenica prossima. I sondaggi danno nettamente favorito il premier Putin, nonostante le numerose contestazioni di piazza su un eventuale suo ritorno alla più alta carica dello Stato. Ma qual è il rischio che queste consultazioni si risolvano in un referendum pro o contro Putin? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Aldo Ferrari, docente alla Ca’ Foscari di Venezia e responsabile delle ricerche su Caucaso e Russia dell’Ispi, l’Istituto di Politica Internazionale:

    R. – Nel giro di pochi mesi si è passati dalla percezione di una Russia sostanzialmente stabile, magari non esaltante dal punto di vista politico e culturale, ad un Paese invece in subbuglio, che vuole reagire all’ineluttabilità di avere Putin non solo per altri 6 anni ma, probabilmente, per altri 12. E’ vero che si andrà a votare per Putin o contro Putin, ma soprattutto per vedere se è possibile dare alla Russia una possibilità di sviluppo diverso da quello che pareva ormai preordinato in via definitiva. E’ un momento delicato, oltre che interessante.

    D. – Siamo abituati a guardare alla Russia come uno dei protagonisti della scena internazionale, ma sul fronte interno quali sono le problematiche?

    R. – La mia personale opinione è che tra i grandi Paesi dello scenario internazionale la Russia sia quello che rischia di più rispetto a tutti gli altri, perché è un Paese in bilico non solo politicamente, ma che non riesce rinnovarsi economicamente, che continua a contare soltanto sull’esportazione di gas e petrolio; è un grande Paese di elevata cultura, di elevata tecnologia, ma che non produce automobili o computer, non produce sostanzialmente nulla: questa stasi economica – solo parzialmente corretta dalla ricchezza energetica – pregiudica sostanzialmente il futuro del Paese. Ricordiamo che la Russia inoltre conosce una crisi demografica impressionante; ha un livello di corruzione altissimo ed è bloccato a livello politico, oltre che economico. Se la Russia non riuscirà in tempi anche abbastanza brevi a correggere queste debolezze strutturali, rischia davvero di passare dai primi posti dello scenario internazionale a una realtà di sostanziale marginalizzazione e declino. Da questo punto di vista, credo che le lezioni vadano intese non solo come un referendum pro o contro Putin, ma come una chance per la Russia di individuare un percorso politico, economico e sociale differente, molto più adatto alle sue necessità.

    D. – Sarebbe, secondo lei, il momento per Mosca di stringere più concretamente i rapporti con gli altri grandi del mondo? Per alcuni osservatori la Russia è ancorata – vedi la crisi siriana – su posizioni vetero-sovietiche…

    R. – Forse vetero-sovietiche non è l’aggettivo più corretto, ma d’altra parte esprime la realtà di una posizione politica estera ancorata ad interessi nazionali, il che rimane effettivamente legata alla tradizione sovietica, vale a dire l’affermazione di interessi distinti da quelli occidentali e in alleanza con la Cina: la Cina che, peraltro, se dal punto di vista politico sembra essere un partner affidabile per la Russia, dal punto di vista economico è invece un rivale poderoso che la sta soppiantando completamente in contesti come quello dell’Asia centrale, per esempio. Da questo punto di vista la Russia dovrebbe probabilmente anche modificare alcuni aspetti della sua politica estera, ma si tratta di elementi strettamente collegati alla percezione che la leadership russa ha di se stessa e del proprio interesse internazionale. Se non avviene un mutamento profondo in questo ambito, anche nella politica estera i riflessi saranno assai limitati. (bf/mg))

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    No Tav, mons. Nosiglia: isolare gli estremisti, ma ascoltare la gente

    ◊   Riaperta al traffico l'Autostrada Torino-Bardonecchia, bloccata da lunedì mattina per le proteste del movimento “No Tav” che si oppone alla realizzazione della ferrovia ad alta velocità Torino-Lione nella Val di Susa. Ieri sera, violenti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine con un numero imprecisato di feriti. Stamani, il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, ha ribadito che “la violenza non sarà tollerata”. Sulla drammatica situazione nella valle piemontese, Luca Collodi ha intervistato l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia:

    R. – Innanzitutto desidero esprimere la mia vicinanza a Luca Abbà che in questo momento è in gravi condizioni all’ospedale. Mi auguro che possa guarire presto e per questo prego Dio, per lui, per i suoi famigliari, che gli sono accanto, e per quanti condividono la sua sofferenza. Poi, credo che quanto sta accadendo in tutta Italia, da parte di gruppi che contestano la Tav, vada oltre il puro, complesso e spinoso problema che interessa la Val di Susa, il Piemonte, e segnali un disagio sociale più vasto, che sta crescendo in seguito anche alle difficoltà che derivano dalla crisi economica che stiamo attraversando. Credo che proprio dentro questo contesto più ampio si inseriscono frange che fanno della violenza e della lotta contro lo Stato il loro obiettivo, strumentalizzando la questione vissuta in Val di Susa. Mi permetto di rivolgere un forte invito ai cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà che abitano in Val di Susa affinché operino per abbassare la tensione che genera contrapposizioni, scontri violenti, isolando gli estremisti e riaffermando le proprie ragioni ma attraverso quelle vie legali, pubbliche, che la nostra democrazia offre.

    D. – La sensazione è che emerga proprio l’assenza della mediazione della politica…

    R. – Credo che per un po’ di tempo, certamente, c’è stata questa mancanza, questo pendolarismo ondeggiante della politica tra il sì e il no, almeno in certe forze politiche. Ma mi pare che da un certo tempo in avanti, in questi ultimi anni, la politica ha cercato la mediazione e pur di fronte a valutazioni differenti circa la positività o meno dell’opera, sia per lo più contraria a ogni forma di comportamenti violenti e illegali che poi si ritorcono di fatto contro quanti manifestano pacificamente e legittimamente. La cosa più negativa sarebbe che la politica e le istituzioni non manifestassero posizioni chiare e concordi contro ogni forma palese o larvata di legittimazione della violenza. La cosa più positiva da parte della politica resta l’impegno di sostenere un serio e continuo dialogo con la popolazione locale che è quella più interessata e coinvolta nell’opera, nel tentativo, certamente difficile, ma non impossibile, di mediare di fronte a una situazione complessa.

    D. – In questa situazione quale, invece, può essere il ruolo della Chiesa piemontese?

    R. – Riconosco, e va riconosciuto da tutti, alla Chiesa locale di Susa, al suo vescovo, come agli organismi regionali, che hanno assunto una posizione di grande equilibrio. Credo che sia compito della Chiesa proprio quello di richiamare tutti a trovare vie di soluzioni a problemi complessi, nell’attenzione alle varie posizioni in causa ma favorendo sempre il rispetto della legalità, il dialogo non teorico sui principi ma su fatti, su problemi, su esigenze concrete della gente, con uno spirito aperto al confronto basato sul reciproco ascolto e sulla collaborazione libera da posizioni di puro stampo ideologico, ovviamente.

    D. – Questa vicenda pone un’altra riflessione e cioè la difficoltà tra un potere nazionale ed un potere europeo e un sentire locale che non coincidono per niente, non è l’unico caso...

    R. – Ha ragione, non è ’unico caso, perché succede ed è successo in tante parti che i programmi nazionali e sovranazionali a volte confliggono con quelli locali. Allora in questo caso è necessario che si attivino tutte quelle vie democratiche perché si giunga a soluzioni che non passino sulla testa della gente senza averla ascoltata e per quanto possibile ne accolgano le osservazioni, le indicazioni. Mi pare che in Val di Susa è da oltre 20 anni che ci si trova di fronte a questo problema per raggiungere un punto di incontro che salvaguardasse l’habitat e la salute dei cittadini e desse risposte appropriate alle varie obiezioni sollevate dalla popolazione. A questo punto, però, esiste una decisione che gli organi preposti dello Stato hanno preso e credo che alla fine bisognava che qualcuno dovesse decidere per non trascinare in avanti all’infinito un problema del genere. Questa decisione può essere certamente in modo legittimo contestata ma con metodi democratici e civili, privi di ogni forma di violenza, sia verso i lavoratori che operano nel cantiere, sia verso le forze dell’ordine, che devono far rispettare la legge a tutti nel territorio. Tuttavia resta sempre decisivo che l’opera, se si farà, dovrà corrispondere a tutte quelle garanzie che le popolazioni locali hanno più volte espresse e documentate nelle diverse sedi istituzionali. (bf)

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    Vertice europeo. Van Rompuy: primi frutti dalle misure anticrisi

    ◊   Vertice dell’Eurogruppo oggi pomeriggio a Bruxelles. In agenda i possibili stimoli per la crescita e la firma dell’accordo di rigore di bilancio, “fiscal compact”. Secondo indiscrezioni di stampa, la Merkel, che ha incontrato il premier italiano Monti prima del vertice, potrebbe accettare un aumento del fondo salva-Stati. Intanto lo spread Btp-Bund scende sotto i 320 punti base e il presidente della Ue, van Rompuy, sottolinea il caso dei tassi italiani per affermare che “le misure prese dai Paesi stanno dando i loro frutti”. Da parte sua il presidente della Commissione Europea, Barroso, ricorda il dramma della disoccupazione. E resta difficilissima la situazione in Grecia. Al parlamento di Atene ha parlato in questi giorni il presidente del Parlamento Europeo, Schulz. Della delegazione in visita ufficiale in Grecia ha fatto parte anche la vicepresidente dell’europarlamento, Roberta Angelilli, che ha incontrato anche le parti sociali. Fausta Speranza l’ha intervistata:

    R. - Mi ha colpito soprattutto la rabbia dei ragazzi perché in Grecia la disoccupazione giovanile ha sforato il 50 per cento. I giovani vedono come unica via d’uscita quella di andare fuori dalla Grecia. Questo chiaramente è un grosso peccato e un torto che si fa a un’intera generazione.

    D. - In televisione le immagini che passano sono quelle delle barricate, proteste, auto bruciate, banche assaltate… Forse ci sono anche altre forme di protesta più costruttive che lei ha intercettato in Grecia?

    R. - Ci sono prevalentemente forme di protesta costruttive. Sono soltanto frange residuali quelle radicali che appunto bruciano i cassonetti, che assaltano i negozi, le banche… Sono veramente una minoranza.

    D. - Parliamo del ruolo della politica. Gli incontri istituzionali che avete fatto al parlamento greco e con le altre parti politiche hanno dato frutti?

    R. – Io direi di sì perché i greci e soprattutto il parlamento greco vogliono uscire dall’isolamento internazionale. Anche la visita ufficiale del parlamento europeo è stata un modo per tendere la mano al popolo greco, che vuole l’Europa dalla sua parte ed è pronto anche a fare sacrifici e a fare sacrifici duri, che d’altro canto sta anche già facendo, e vuole accompagnare questo periodo necessario di austerity con riforme e anche con un progetto di sviluppo, di crescita, che dia una boccata di ossigeno all’occupazione.

    D. – Qual è il ruolo del parlamento europeo in questa fase della crisi greca?

    R. – Il ruolo del parlamento Ue è importante perché il parlamento forse ha le idee più chiare del Consiglio e della Commissione europea su quello che bisogna fare. Noi diciamo sì all’austerità, ai tagli, soprattutto degli sprechi; sì a manovre di bilancio all’insegna del rigore. Ma noi vogliamo dare una speranza al popolo europeo e quindi ribadiamo che c’è bisogno anche di un progetto di crescita. Le nostre proposte sono gli eurobond, i project bond: cioè obbligazioni che possono raccogliere risorse finanziarie per realizzare grandi progetti infrastrutturali, reti materiali e immateriali che possano produrre nuova occupazione e possano produrre crescita. Inoltre sarebbe necessaria la tassazione sulle transazioni finanziarie: non dobbiamo criminalizzare né le banche né il sistema finanziario, ma il sistema finanziario - un certo sistema finanziario - ha fatto la sua parte, in senso negativo, per creare questa crisi e quindi è giusto che anche le banche paghino una tassa infinitesimale per loro che però potrebbe portare a circa 60 miliardi di euro l’anno aggiuntivi, anche questi da destinare a infrastrutture ricerca e posti di lavoro. (bf)

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    Venti anni d'indipendenza della Bosnia ed Erzegovina. Mons. Sudar: il Paese resta diviso

    ◊   Oggi ricorre il 20.mo anniversario dell’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina dall’ex Jugoslavia sancita da un referendum il 3 marzo 1992. In seguito alla decisione, la guerra già in atto nei Balcani colpì anche il Paese provocando numerose vittime e compromettendo la convivenza tra musulmani, cattolici e ortodossi. Oggi l’anniversario ripropone le divisioni tra la Federazione croato-musulmana e la Repubblica serbo-bosniaca, le due entità create dagli accordi di Dayton nel 1995. Sul valore della ricorrenza Eugenio Bonanata intervistato mons. Pero Sudar, ausiliare e vicario generale dell’arcidiocesi di Sarajevo:

    R. – Purtroppo non si vive e non si considera come un fatto che ci unisce, ma un fatto che ancora ci divide. Si deve trovare un altro modo per mobilitare tutte le forze positive per appoggiare la Bosnia ed Erzegovina e il suo futuro. Le forze politiche non si sono ancora messe d’accordo per far funzionare le istituzioni da cui dipende la vita quotidiana della gente. Si può affermare che, purtroppo, la guerra – una guerra senza le armi, ma una guerra che danneggia, che impoverisce, che fa paura alla gente – continua e non si riesce ancora a trovare questo sbocco verso il quale indirizzare il nostro futuro.

    D. – A chi fa comodo un Paese diviso?

    R. – Tutti coloro che non vogliono vedere tutto il male che è stato commesso, i crimini di guerra, le politiche che hanno spinto questa povera gente a combattere gli uni contro gli altri, perdendo così anche quel poco che avevano. Accanto a questi, ci sono poi anche le forze internazionali che hanno i loro interessi e che hanno imposto gli Accordi di Dayton come una soluzione che non può trasformare questo Paese – come è strutturato adesso - in un Paese moderno, democratico, capace di integrarsi a livello europeo. Qui ci sono in realtà due Paesi, ci sono le strutture di due Paesi, che dovrebbero invece funzionare come uno Stato, e ci sono poi 10 cantoni, che sono a loro volta dei piccoli Stati. Questo è un Paese che non riuscirebbe a pagare la propria amministrazione anche se fosse un Paese ancora più ricco. Poi, politicamente, non è governabile.

    D. – Nei giorni scorsi, Benedetto XVI ha inviato un messaggio alla Chiesa locale, chiedendo di impegnarsi per evitare l’esodo dei cattolici dalla Bosnia: voi che tipo di risposta potere dare a questo appello?

    R. – Prima di tutto dobbiamo – secondo me – proseguire in quella che è stata la nostra scelta fin dall’inizio: impegnarci per la convivenza in questo Paese. Senza impegnarsi nella convivenza, senza impegnarsi affinché tutti possano vivere in pace e in prosperità insieme, noi non riusciremo ad essere fedeli al Vangelo. Impegnandoci in questa opzione, noi cerchiamo di creare uno spazio, di far sì che i cattolici trovino la propria sicurezza e quindi comprendano il senso e il perché devono rimanere. Certamente dobbiamo cercare di fare quello che è possibile per la Chiesa: ma la Chiesa non può sostituire uno Stato, la Chiesa non può aprire nuovi posti di lavoro, la Chiesa non può garantire la sicurezza o fare politica.

    D. – Che ruolo ha la componente musulmana sulla strada del dialogo?

    R. – Non è facile dirlo in breve. Ci sono le forze che sono aperte al dialogo e queste son la maggioranza in Bosnia ed Erzegovina: non è certo facile neppure per loro riuscire a difendere tutto questo dopo una guerra come quella che si è vissuta in Bosnia. Io sono ottimista…

    D. – Altro elemento di preoccupazione è la povertà…

    R. – I dati ufficiali dicono che la disoccupazione è al 43%; di quelli che lavorano, la maggioranza non riceve i salari. In un Paese così, bisogna prima di tutto dire che tutti sono vittime e che tutti sono discriminati dall’ingiustizia, dalla povertà e dell’insicurezza della vita e del futuro. (mg)


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    Lavoro e valori religiosi: Flaminia Giovanelli sul contributo del Cristianesimo

    ◊   Concludiamo oggi il nostro approfondimento a partire dalla pubblicazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro dedicata al rapporto tra occupazione e religioni, intitolata "Convergenze: lavoro dignitoso, giustizia sociale e tradizioni religiose". Dopo aver riflettuto sul contributo di valori dell’Islam e dell’Ebraismo, Fausta Speranza parla di punti fermi in tema di lavoro per la tradizione della Chiesa cattolica con Flaminia Giovanelli, sotto-segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace:

    R. – Per il cattolicesimo, il lavoro è un punto di riferimento essenziale per la vita in pienezza della persona e anche delle comunità. E’ un tema classico, come suol dirsi, della dottrina sociale della Chiesa. Infatti, basta pensare che il Magistero sociale “moderno” nelle Encicliche, nei vari documenti dei Papi ha avuto origine proprio dal richiamo di Leone XIII alla condizione drammatica dei lavoratori della fine dell’Ottocento. Poi, Giovanni Paolo II, lavoratore lui stesso da giovane – come amava ricordare molto spesso – dedicò un’Enciclica, la “Laborem Exercens”, completamente al problema del lavoro, nella quale definì il lavoro la chiave della questione sociale. Tutto questo per dire che l’apporto del cattolicesimo a questa problematica è particolarmente ricco. Secondo me, l’essenziale sta nel fatto che il lavoro è visto come collaborazione per l’uomo all’opera creatrice di Dio, e questo possiamo dirlo perché il nostro Dio è un Dio personale che si è incarnato in Gesù Cristo ed ha lavorato nella bottega del padre come falegname!

    D. – E guardando alle Sacre Scritture?

    R. – Certo, sono molto ricche anche le Sacre Scritture di riferimenti al tema del lavoro. Basti pensare, ad esempio, a Gesù che collaborava nella bottega di falegname del padre, oppure al fatto che ha scelto tutti gli Apostoli tra i lavoratori: erano tutti pescatori che lasciarono immediatamente le reti per seguirlo. Però hanno continuato a fare i pescatori, tant’è vero che dopo la risurrezione, Gesù li ha trovati che stavano pescando. Poi, San Paolo, che diceva che era un punto d’onore lavorare con le proprie mani per non avere bisogno di nessuno: diceva: “Chi non lavora, neppure mangi”.

    D. – Qual è l’impegno della Chiesa cattolica, oggi, in un periodo in cui l’urgenza del lavoro si propone a livello globale?

    R. – Certamente, questi richiami all’importanza del lavoro come realizzazione della persona, come mezzo anche per dare un’identità alla persona, vengono richiamati spessissimo. A parte i discorsi che il Papa fa il 19 marzo, quando va a visitare fabbriche e luoghi del lavoro, i richiami sono innumerevoli: anche la “Caritas in Veritate” va citata tra i pronunciamenti più solenni. Però, ci sono sicuramente esempi di vescovi che sono vicini ai lavoratori anche nei momenti in cui i posti di lavoro sono così in pericolo … Del resto, la Chiesa italiana – perché è l’esempio che mi è più vicino – lavora tantissimo in questo senso. Pensiamo, per esempio, al “Progetto Policoro”, nato per aiutare a creare uno spirito imprenditoriale nei giovani del Sud. E ora, con la crisi economica, vediamo che sta trovando applicazioni anche nel Nord Est, anche nel Centro Italia, a Roma. Poi ricordo che il Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace ha organizzato nel 2011 un grande convegno sulla “Mater et Magistra”. La terza giornata è stata dedicata alle “buone pratiche”, cioè a far conoscere delle iniziative buone nei vari continenti secondo i principi della Dottrina sociale della Chiesa. Ne è uscito un panorama ricchissimo di iniziative che sono state promosse proprio per dare lavoro: essenzialmente, erano iniziative di formazione o di promozione di lavoro. Ricordo, ad esempio, che abbiamo sentito un imprenditore delle Filippine che costruisce cucine ma, appunto, secondo i criteri di condivisione dei profitti: ecco, per fare esempi concreti… (gf)

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    Allarme ILO: pericolo recessione anche per Cina e Paesi asiatici

    ◊   Nei prossimi dieci anni il mondo dovrà rispondere alla sfida urgente di creare almeno 600 milioni di posti di lavoro. Lo rende noto l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) di Ginevra, che nell’analisi sulle tendenze globali dell’occupazione 2012 rileva la lentezza dei sistemi economici ad avviare politiche di rilancio dell’economia. Particolarmente a rischio sono le economie dei Paesi in via di sviluppo e quelle dei Paesi di nuova industrializzazione. Stefano Leszczynski ha intervistato Raymond Torres, direttore dell’Institute for Labour Studies dell’Ilo:

    R. - The increase of the number of people who have been without work ...
    La crescita del numero di persone che sono rimaste senza lavoro per più di un anno è l’informazione più drammatica che si ricava dalla nostra analisi. Quando le persone restano escluse dal lavoro per più di un anno, tendono a demoralizzarsi, lasciano il mercato del lavoro o ne vengono escluse, e ciò rende molto difficile un loro reintegro occupazionale. In effetti, la crescita nell’ambito di quella che noi chiamiamo disoccupazione a lungo termine, rappresenta un peso che riduce le possibilità di una ripresa economica nel futuro. Il secondo dato grave è associato al primo e riguarda la disoccupazione giovanile, che non è soltanto una tragedia dal punto di vista del mondo del lavoro, ma rappresenta anche un fattore di forte tensione sociale. Una situazione che si sta diffondendo in molti posti dall’Europa al Nord Africa, e paradossalmente anche in Cina, dove - nonostante la crescita economica sia energica - c’è un alto tasso di disoccupazione giovanile. In Cina ogni anno entrano nel mercato del lavoro circa 6milioni di giovani, che per la maggior parte non trovano un’occupazione corrispondente alle loro capacità.

    D. - La disoccupazione è spesso una conseguenza della crisi economica che stiamo sperimentando a livello globale. Tuttavia, c’è il paradosso delle economie emergenti che continuano a crescere, mentre le economie di vecchia industrializzazione perdono terreno. Perché questo squilibrio?

    R. - This is a crisis which originated in developped countries; it originated in ...
    Questa è una crisi che ha avuto origine nei Paesi sviluppati e nel loro sistema finanziario, in associazione ad un eccesso di finanza, alla deregulation finaziaria e in estrema sintesi questo significa che il sistema finanziario invece di incanalare il credito verso i canali dove sarebbe stato più utile e più produttivo per l’economia e la società, ha incanalato queste risorse laddove erano meno produttive o di dubbio utilizzo e oggi stiamo pagando i costi di questa scelta. Ed è un costo doppio, perché da un lato è associato all’errata allocazione delle risorse nelle economie avanzate cui va aggiunta l’assenza di politiche creditizie, dall’altro rappresenta un costo perché i governi nel 2009 e per certi versi nel 2010 hanno tentato di contrastare questa situazione con la spesa pubblica e con il rilancio dell’economia attraverso gli incentivi aumentando così il debito pubblico. Una situazione che oggi è tanto criticata dai mercati finanziari, ma che di fatto è stata prodotta dagli eccessi dei mercati finanziari che si sono verificati prima. Le economie emergenti non hanno questo tipo di sistema finanziario deregolamentato e dunque non hanno sofferto gli stessi effetti, anche se la crisi nelle economie emergenti deriva dal fatto che le importazioni da parte delle economie avanzate sono diminuite e quindi hanno un problema strutturale al momento perché, - soprattutto quelli che hanno puntato sulle esportazioni nelle proprie strategie di sviluppo – non potendo esportare come prima devono ristrutturare l’economia per aumentare la domanda interna.

    D. - E’ il caso della Cina? C’è un pericolo recessione cinese?

    R. - It is a challenge also for China, because China has only partly managed to ...
    E’ una sfida anche per la Cina, perché la Cina è riuscita a ristrutturare solo parzialmente la propria economia per sostenere una maggiore domanda interna, maggiori investimenti interni, i consumi e lo sviluppo delle aree rurali e così via. Questo in parte è stato fatto, ma non in maniera sufficiente per compensare la riduzione delle esportazioni della Cina verso i Paesi sviluppati, quelli che hanno per l'appunto dovuto ridurre le importazioni. Quindi in effetti c’è un pericolo anche per la Cina perché questi milioni di giovani che ogni anno entrano sul mercato del lavoro sono sempre più scontenti in quanto anche durante il periodo di forte crescita c’era la sensazione che i profitti della crescita non fossero equamente distribuiti, le diseguaglianze in Cina sono aumentate moltissimo e ovviamente le autorità cinesi hanno ora come obiettivo primario quello che loro definiscono ‘una maggiore armonia’, che poi significa una redistribuzione della ricchezza in maniera migliore di quanto non sia stato fatto in passato.

    D. - Quasi tutti i governi europei hanno puntato su misure di austerità per combattere la crisi. E’ la risposta giusta per contrastare questa crisi o no?

    R. - Look at what happened in Greece: two austerity plans and still ...
    Guardiamo a quanto accaduto in Grecia. Due piani di austerità e un debito pubblico, un deficit, che continua a crescere. Guardiamo a quello che è accaduto in Spagna, all’inizio del 2011 si è puntato sull’austerità e alla fine del 2011 il deficit pubblico è quasi identico a quello che era inizialmente. Quindi, l’austerità da sola non serve a promuovere la ripresa. Credo che ci sia una sempre maggiore coscienza di ciò e che i Paesi europei si stiano accorgendo che innanzitutto devono avere delle politiche di bilancio rigorose per ridurre il deficit dove è troppo elevato, ma devono farlo con molta prudenza, mantenendo l’occupazione e successivamente devono avere una strategia di crescita, che è quella che manca attualmente. Non c’è abbastanza dibattito circa il tipo di strategia europea di crescita da adottare per il futuro e ci sono elementi che possono essere mobilitati con grande velocità attraverso l’impiego dei fondi strutturali Ue per sostenere l’occupazione in Europa, una maggiore iniziativa di crescita in Europa, come nel settore dell’"economia "verde", e anche fare in modo che i salari non calino, ma crescano insieme alla produttività soprattutto nei Paesi in cui vi sia uno spazio di manovra in tal senso, come in Germania o in Olanda.

    D. - Questo per quanto riguarda le responsabilità dei governi. Ma quali dovrebbero essere le responsabilità dei sindacati e delle imprese?

    R. - Trade unions and enterprises are discovering a new role. ...
    Sindacati e imprese stanno scoprendo nuovi ruoli. Tradizionalmente c’è sempre stata una sorta di contrasto negli interessi perseguiti dalle due parti, ma adesso il loro nuovo ruolo comune è quello di rammentare ai governi, che sono spinti dal sistema finanziario ad attuare determinate politiche, che l’economia reale è importante, che l’occupazione è assolutamente centrale. Quindi, c’è questo nuovo ruolo per le imprese e i sindacati di impegnarsi nel dialogo sociale, questa volta insieme ai governi, con lo scopo di aprire nuovi spazi d’azione e fare in modo che la situazione del lavoro migliori molto in fretta perché c’è sempre meno tempo per agire.

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    Ad un anno dalla Primavera araba: le riflessioni di padre Pizzaballa e del ministro Riccardi

    ◊   La primavera araba ha inaugurato una nuova stagione di democrazia. I pareri dei molti intervenuti al convegno organizzato dalla comunità di Sant’Egidio, ad un anno dalla famosa rivoluzione, sono stati piuttosto concordi: Paesi come Tunisia, soprattutto, ma anche Egitto, Libia, sono usciti da dittature e si stanno avviando verso la rinascita democratica. Certo non senza difficoltà e non esente dai pericoli rappresentati dall’estremismo islamico. C’è ancora molto da fare – hanno detto esponenti laici e religiosi del mondo arabo, cristiani e musulmani – ma il processo ormai è in atto. L’importante è che i sistemi politici dei Paesi in transizione si basino sulla pluralità e sulla diversità. Ad aprire i lavori, il ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione, Andrea Riccardi, per il quale la primavera araba è stata una grande sorpresa della storia:

    “Io credo che oggi l’islam si trovi dinanzi ad una grande sfida, che è la sfida della costruzione della democrazia. Credo, ad esempio, che i media abbiano avuto un ruolo decisivo nella rivoluzione e nella primavera araba: i media hanno portato, nel mondo arabo, il gusto della differenza delle opinioni e del dibattito. Penso anche ai giornalisti morti recentemente in Siria, al ruolo delle televisioni arabe e di quelle occidentali. La vera sconfitta del fondamentalismo radicale, oggi, è stata la primavera araba, ma questa non è un’esperienza conclusa. E’ un’esperienza che, in Tunisia, ha avuto dei risultati, in Egitto vedremo, in Siria è ancora più drammatica ed in Libia abbiamo avuto la fine di Gheddafi, anche se non si è raggiunta ancora una situazione stabile. Ci troviamo quindi davanti ad un fenomeno complesso. Diverso fu il 1989 nell’Europa dell’Est. Oggi, nel mondo arabo, sta avvenendo un processo cui guardiamo con interesse, con simpatia ed anche con preoccupazione. Speriamo che il futuro non sia segnato da nuove dittature di altro segno”.

    Riccardi ha anche chiesto di non lasciare solo il popolo siriano:

    “La comunità internazionale non deve dimenticare la Siria: il mondo arabo ha una responsabilità in proposito, c’è anche una responsabilità da parte dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite. Dobbiamo stare vicino e dobbiamo dire chiaramente che non si esce con questi metodi, che sono duri e violenti. Sono, però, anche impressionato dalla forza di questo popolo, che continua le sue proteste nonostante i tanti morti e la dura repressione”.

    Tra i partecipanti all’incontro di oggi, padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa. Sinora la primavera araba non ha avuto un impatto forte su Israele e Palestina, ha sottolineato, aggiungendo come i Paesi che ne sono stati coinvolti debbano ora costruire un concetto nuovo di nazione. Il religioso francescano ha poi parlato dei suoi timori al microfono di Francesca Sabatinelli:

    R. – In questo momento la Siria mi spaventa molto, perché è il luogo dove le diversità etniche e religiose sono più forti che in qualsiasi altro Paese. Il rischio è quello di arrivare ad una guerra civile, che questa convivenza serena, che c’è sempre stata tra i diversi gruppi religiosi, esploda per motivi che non sono innanzitutto religiosi, con conseguenze molto gravi che potrebbero segnare in maniera negativa e indelebile il rapporto tra le comunità religiose. In Egitto la situazione è completamente diversa, si tratta di costruire un nuovo modello di nazione che sta emettendo i primi “vagiti” di modelli democratici, con tutte le paure e le involuzioni, i salafiti e così via ... che sono parte integrante, sicuramente. Credo che però l’Egitto abbia anche gli anticorpi per reagire nel tempo a questa situazione.

    D. – Che cos’è che l’Occidente non capisce di ciò che sta accadendo in Siria?

    R. – L’Occidente, innanzitutto, non capisce che l’elemento religioso è determinante. L’Occidente mette da parte l’esperienza religiosa come una questione privata, vuole parlare solo di politica, di sviluppo, senza tenere presente che la persona integrale, e i popoli nella loro integralità, hanno anche questo elemento pubblico con il quale devono fare i conti. E poi, soprattutto, gli occidentali dovrebbero imparare ad essere meno cinici, a guardare meno gli interessi economici per l’Occidente, ma interrogarsi nel lungo termine, insomma: il bene di quei popoli è anche interesse dell’Occidente.

    D. – Sembra per tutti necessaria una responsabilità condivisa tra cristiani e musulmani, perché sono le religioni che dovrebbero cercare di promuovere il dialogo e il consenso. In questo momento, visto l’andamento della “Primavera araba”, questo si può considerare possibile?

    R. – All’interno di tutte queste società, anche in maniera diversa, perché cambiano da Paese a Paese, ci sono fermenti positivi, disposti e aperti al dialogo all’interno di tutti i movimenti religiosi, islamici e cristiani. Ci si deve confrontare non sul terreno dei princìpi, perché lì non ci si può incontrare, ma sui problemi del territorio, sulla convivenza tra le persone, convivenza comune che poi tocca aspetti della vita comune. Quindi come devono essere espressi, concretamente, diritti come la scuola, l’educazione … sono aspetti molto concreti e determinanti perché sono luogo concreto di incontro e di dialogo e di costruzione, anche, del modello di nazione.

    D. – La rivoluzione araba avrebbe dovuto dare la possibilità ai popoli di autodeterminarsi. Lei vede questi segnali?

    R. – I cambiamenti non sono mai veloci. Non si passa da regimi dittatoriali, che per 40 anni hanno bloccato ogni forma di dialettica interna, ad una democrazia piena. Quindi ci vorranno passaggi culturali, lenti ma necessari. Quello che è importante, in questa primavera araba, è che questo processo è iniziato, anche se sarà lungo e lento. Ci sono sempre gli integralismi in agguato, perché quelli che in una realtà così complessa vogliono dare risposte semplici, ovviamente, possono sempre trovare il grande consenso. Integralismi con tutte le loro conseguenze: persecuzioni, instabilità sociale e così via. Ma non sono il grosso della popolazione e non bisogna enfatizzarli più di tanto.

    D. – I cristiani sono la parte più fragile?

    R. – I cristiani sono la parte più fragile, sicuramente. Da un lato sono membri effettivi di quei Paesi, ma sono anche un po’ diversi perché non appartengono alla maggioranza islamica: sono un po’ il criterio di lettura dei cambiamenti che stanno avvenendo in quei Paesi. (gf)


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    Il cardinale Bagnasco interviene a Londra: l’economia salvaguardi la persona

    ◊   “L’uomo e il suo vero bene hanno un primato anche nell’attività economica”, perché “il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo”: è quanto affermato ieri dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, nel suo discorso a Londra alla “London School of Economics”, su invito della Italian Society. Su questo intervento dell’arcivescovo di Genova, Alessandro Gisotti ha intervistato l’economista Flavio Felice, direttore dell’Area internazionale di ricerca “Caritas in Veritate” della Pontificia Università Lateranense:

    R. - Il discorso di Bagnasco mette veramente al centro della questione un tema fondamentale per tutto il magistero sociale della Chiesa e che è divenuto particolarmente rilevante oggi, in seguito anche alle vicende economiche e politiche che stanno segnando l’Europa, ma non soltanto l’Europa. Il riferimento centrale del cardinal Bagnasco è alla persona, all’idea di persona.

    D. – Persona, non individuo: l’individualismo - è stata la denuncia del cardinale Bagnasco – ha fatto sì che ci sia oggi perfino un lusso che non si vergogna davanti alla miseria più tragica. Questa è una vera e propria perversione dell’economia…

    R. – Mi consenta di dire che si tratta di una perversione della società: l’economia poi è una dimensione del vivere sociale. Chi ostenta il lusso di fronte a situazione di estrema miseria non è un pervertito dall’economia, non é una persona che è stata corrotta da un sistema economico, ma è corrotta da una cultura, corrotta da una prospettiva antropologica, che è diversa da quella che proponiamo come dottrina sociale della Chiesa. Io vorrei far riferimento a Benedetto XVI e alla sua “Caritas in Veritate”: possiamo dire che Benedetto XVI sembrerebbe che ci ripeta in continuazione – e noi lo ritroviamo in traccia nel discorso del cardinale Bagnasco – che il mercato nudo e crudo semplicemente non esiste. Il motivo di critica non è dato dai concetti economici, bensì dal riduzionismo materialistico e il cardinale Bagnasco lo dice in modo chiaro: una sorta, appunto, di riduzionismo materialistico che finisce per negare la dimensione integrale dello sviluppo umano; e, d’altro canto, invece, favorisce un’idea di economia e di sviluppo considerato unicamente da un punto di vista ingegneristico, quantitativo.

    D. – In definitiva il cardinale Bagnasco ha ribadito, citando proprio il Papa: la questione sociale, la questione sociale è questione antropologica…

    R. – Appunto, è una questione puramente antropologica. Ripeto: il mercato è un sistema di relazioni, un sistema istituzione. Non è un caso, in effetti, che il cardinale Bagnasco ci parla del modello personalista relazionale: il mercato noi lo possiamo intendere come un luogo nel quale si scontrano gli interessi, ovvero un processo relazionale mediante il quale ciascuno comprende di poter soddisfare le proprie aspettative solo ricorrendo alla soddisfazione delle aspettative altrui. (mg)

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    L'obiezione di coscienza tra etica e politica in un Convegno a Roma

    ◊   "L’obiezione di coscienza come diritto umano". Questo l’argomento del convegno promosso ieri a Roma dal centro studi Tocqueville-Acton, dalla Fondazione Novae Terrae e dalla Rubbettino editore. Un tema, tra etica e politica, tornato all’attualità delle cronache dopo la decisione del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, di obbligare tutte le strutture ospedaliere, comprese quelle cattoliche, a fornire gratuitamente contraccettivi e prodotti abortivi. Il servizio di Michele Raviart:

    L’annuncio di Barack Obama ha imposto al dibattito pubblico statunitense una questione, quella dell’obiezione di coscienza, che in America è strettamente legata alla libertà religiosa. Obbligare le assicurazioni sanitarie a garantire gratuitamente l’accesso ai contraccettivi e all’aborto significa, per un cittadino americano, un’ingerenza indebita del governo federale su scelte personali e un attacco al primo emendamento della Costituzione. Ed il parziale passo indietro dell’amministrazione non è stato giudicato sufficiente da chi si oppone a questo aspetto controverso della riforma sanitaria, primi tra tutti i vescovi americani, guidati dal cardinale arcivescovo di New York, Timothy Dolan. Ecco la riflessione del prof. Robert Royal, presidente del "Faith and Reason Institute" di Washington, intervenuto al convegno:

    "Tutti i nostri vescovi sono d’accordo che questa è una minaccia alla libertà religiosa. Anche gli evangelici, gli ebrei, i musulmani e i laici si trovano d’accordo con loro. Io sono ottimista, perché negli Stati Uniti in questi giorni c’è stata questa reazione, misurata, ma allo stesso tempo forte, che dice: 'Dobbiamo risolvere la questione della libertà prima dei dettagli di questo provvedimento sulla salute'”.

    Nel Vecchio Continente, il diritto all’obiezione di coscienza è stato sancito dal Consiglio d’Europa nel 2010, come ha ricordato al convegno l’onorevole Luca Volonté, capogruppo del Partito popolare europeo. Ma se è vero che “nessuna persona può essere costretta ad eseguire un aborto”, non mancano i rischi di aggirare le normative esistenti. La riflessione del prof. Francesco D’Agostino dell’Università di Roma "Tor Vergata":

    "L’attacco che oggi viene fatto all’obiezione di coscienza cerca di porre gli obiettori in una situazione di emarginazione sociale, ad esempio, dicendo ai giovani che vogliono studiare medicina, 'se siete obiettori all’aborto non potete studiare ginecologia'. Questo attacco all’obiezione è molto subdolo, perché apparentemente, salva la legislazione sull’obiezione di coscienza, ma nel concreto, pone tali handicap a coloro che vorrebbero pubblicamente dichiararsi obiettori da indurli a cambiare strada".

    L’obiezione di coscienza è il risultato di millenni di tensione tra etica e politica. Dall’Antigone di Sofocle, lacerata tra la legge degli dèi e la legge del re, a San Tommaso d’Aquino ed Henry Thoreau, la legittima disobbedienza alle leggi giudicate ingiuste è ormai uno degli indicatori più significativi del rapporto tra cittadini e potere. Ancora il giurista D’Agostino.

    "Uno Stato che accetta di riconoscere l’obiezione di coscienza, è uno Stato che rinuncia alla propria onnipotenza, e accetta che alcuni cittadini si possano autoregolamentare in modo diverso. L’obiezione di coscienza va difesa - oltre che per i valori che gli obiettori portano avanti - perché si trova pienamente in linea con una logica di limitazione del potere statale contro ogni tentazione assolutistica che il potere porta inevitabilmente con sé".

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    La teoria del "gender": l'obiettivo è negare la differenza tra maschi e femmine

    ◊   La teoria del "gender" che vorrebbe negare la differenza tra maschi e femmine, e che si sta diffondendo in diversi Paesi, è al centro oggi di un incontro organizzato dall’Associazione Scienza e Vita a Savona. Secondo tale teoria, criticata anche dal movimento femminista negli Stati Uniti, femminilità e mascolinità sarebbero costruzioni sociali indotte, dalle quali occorre liberarsi per stabilire un’autentica eguaglianza tra gli esseri umani. Ma “il rispetto delle differenze non equivale ad una finta e impossibile omogeneità” spiega Giulia Galeotti, autrice del libro “Gender-Genere. Chi vuole negare la differenza maschio-femmina? L’alleanza tra femminismo e Chiesa cattolica”. Paolo Ondarza l'ha intervistata:

    R. - La teoria del "gender" sostiene che tra uomini e donne non esistano differenze biologiche iscritte nella natura, ma che la mascolinità e la femminilità, siano tutte costruzioni sociali indotte. Il problema di questa ideologia è che è stata inizialmente presentata come una sorta di “eleganza del linguaggio.” La parola “genere” è stata presentata come un sostituto meno volgare e più “politicamente corretto” della parola “sesso”. In realtà, la prima ad averla formulata fu nel 1949 Simone De Beauvoir che disse: “Donne non si nasce, lo si diventa”. E questa fu ovviamente un mantra per di tutto il femminismo degli anni ’70: aveva infatti una portata estremamente positiva visto che la discriminazione che vivevano le donne non era qualcosa di legato alla biologia femminile. Quindi, l’ideologia del gender, che è subentrata successivamente e con altre finalità, ha avuto buon gioco ad appropriarsi un po’ di questo retaggio di discriminazione nei confronti delle donne. Quindi è stata presentata come una via per emancipare, in qualche modo, le donne.

    D. - Dire che la femminilità e la mascolinità sono costruzioni sociali indotte, equivale a relativizzare una differenza oggettiva tra maschi e femmine. Quindi a dire anche che la natura in un certo senso è irrilevante...

    R. - Esatto. Questa ideologia si presenta come una via di emancipazione. Nonostante noi donne abbiamo ottenuto delle grandissime conquiste, ancora oggi la discriminazione femminile è una realtà anche in Occidente. Quindi la forza dell’ideologia del gender è di legare in qualche modo la discriminazione, ai caratteri che sarebbero di mera costruzione. Se la femminilità è costruita dal ruolo che socialmente la società dà alle donne, allora questo ruolo deve essere decostruito e solo in questo modo la società sarà composta da essere umani finalmente uguali, finalmente con gli stessi diritti e con le stesse potenzialità.

    D. - Secondo la teoria del gender quanti sono i generi?

    R. - I generi possono essere infiniti, nel senso che separandoli dalla natura, non ha più senso nemmeno parlare di categorie. Confinare un’identità dentro un genere è già sentito come una via di discriminazione, di ingabbiamento.

    D. - Cosa è successo in quei Paesi dove la teoria del gender ha preso piede?

    R. - Facciamo l’esempio della Spagna, il caso a noi più vicino. Oggi nel Codice Civile spagnolo non si parla più di madri e di padri, si parla di genitore A e genitore B. Quindi questa è già una prima applicazione reale della teoria che è sotto gli occhi di tutti. Oggi in Australia, nel passaporto, accanto alle caselle che indicano “maschio” e “femmina”, esiste una terza casella, una casella di neutro. E questa è una novità intervenuta molto recentemente, dopo che alcuni transessuali hanno chiesto la possibilità di non essere “etichettati” come maschi o come femmine. Il problema è che questa ideologia è penetrata già a livello di Unione Europea e a livello di organizzazioni internazionali, un po’ come un “sottomarino”, senza presentarsi ufficialmente. Se noi andiamo a vedere, è già penetrata fino alla radice, perché la parola “sesso” è stata già sostituita dalla parola “genere”. Questa sostituzione linguistica, non potrà non avere degli effetti nel lungo periodo.

    D. - E allora come rispondere a questa teoria?

    R. - Sul piano scientifico ormai non ci sono più dubbi: la mascolinità e la femminilità, ci dicono gli scienziati, sono iscritti nel Dna della persona umana. Per rispondere a questa teoria e smontarla, occorre partire da un concetto elementare per chiunque si occupi di diritto o di filosofia, che è capire cosa sia effettivamente il principio di uguaglianza. Il principio di uguaglianza non richiede di fingere che tutti gli uomini siano uguali; il principio di uguaglianza ci dice che tutte le diverse voci di cui è composta la società devono avere pari diritti. (bi)

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    La morte di Lucio Dalla. Il suo rapporto con la fede: intervista con padre Bertuzzi

    ◊   Lutto nel mondo della musica per la scomparsa questa mattina di Lucio Dalla, morto per un attacco cardiaco a Montreaux, in Svizzera, dove si trovava per una serie di concerti. Musicista e poeta, l’artista bolognese avrebbe compiuto il 4 marzo 69 anni. Innumerevoli i suoi brani di successo, a partire da “4 marzo 1943”, a “Caruso”, inciso in una trentina di versioni in tutto il mondo, a “Come è profondo il mare”, a “Futura”, alla filastrocca “Attenti la lupo” record assoluto di vendite. Personalità eclettica e profonda, cosi come emerge in questa intervista realizzata nel 2000 da padre Vito Magno, dove Lucio Dalla parla del suo rapporto con le fede:

    R. – Io sono cristiano, sono cattolico, credo in Dio e professo la mia fede continuamente, nel senso che è uno dei miei punti fermi e una delle poche certezze che ho, che non mi proibisce di immaginare, di sperimentare anche possibilità che non contrastano con la mia certezza religiosa, ma che fanno parte della mia struttura di uomo contemporaneo.

    D. – Considerando le sue canzoni degli ultimi anni i critici parlano di un Dalla diverso e anche un po’ convertito…

    R. – Non sono un convertito, perché credo in Dio da quando sono bambino e credo che siano valori assolutamente umani. La ricerca della libertà, la ricerca dell’equilibrio e la ricerca della ricerca, il continuo meccanismo di credere, è quello che fa la differenza tra l’uomo e le macchine. Per cui io credo nella libertà, nella tolleranza, nel riconoscimento di tutte le confessioni, perché credo che sia importante e che una società come la nostra, che va verso una società più complessa, più enigmatica, come quella delle macchine, abbia bisogno di fede. Naturalmente credo in Dio perché è il mio Dio, è il Dio che riconosco negli uomini, nell’umanità, è il Dio che riconosco nei poveri, nella gente che ha bisogno di aiuto, e che io considero gli uomini del domani. Rispetto con grande fascino la decisione di Cristo di nascere povero, di nascere in mezzo alla gente diseredata, perché è la gente del futuro. Io credo che dopo 2000 anni, anche oggi, la gente diseredata, i migranti, la gente del Terzo Mondo, sia la gente del futuro.

    D. – Tempo fa lei ha cantato alcuni Salmi. Cosa la colpisce di questi componimenti poetici dell’Antico Testamento?

    R. - La cosa che mi ha colpito dei Salmi è la grande forza dirompente delle parole. Noi abbiamo oggi, in una società che si sta trasformando praticamente da società della parola a società dell’immagine, uno scadimento della forza protettiva della parola e credo che i Salmi siano l’opposto di questa mancanza di energia. Nei Salmi la parola è dinamite pura, è proprio costruzione, la fondazione della parola stessa. Quindi mi sono avvicinato ai Salmi in maniera laica, da artista, per avere la conferma della grandissima esistenza, a livello di comunicazione, della forza del credere.

    D. - E’ interessante addentrarsi nella Sacra Scrittura. Lei teme di farlo?

    R. – Mi manca la conoscenza teologica e storica per farlo. Però sento con l’intensità dell’artista o comunque dell’uomo che è abituato a guardare anche cosa c’è sotto i sassi, per intuire le cose che si muovono sopra la nostra testa e dentro la nostra anima, che il mistero è ancora un mistero. Per cui mi sembra che in un’epoca di computer, di macchine, di conoscenza umana che sempre più, con un’escalation e con un’accelerazione impressionante, va diventando totale, questo mistero sia un mistero destinato a scoprirlo solamente chi viaggia nell’anima e non nella conoscenza scientifica. (bf)

    Sulla personalità di Lucio Dalla, Antonella Palermo ha raccolto la testimonianza di padre Giovanni Bertuzzi, domenicano, direttore del Centro San Domenico a Bologna, che conosceva bene il cantante:

    R. – Sì, in convento lo conoscevamo tutti perché abitava qui vicino e frequentava la nostra chiesa. Quando era a Bologna, veniva sempre qui da noi, a Messa, ed era vicino anche a diversi domenicani. Lo abbiamo quindi sempre avuto vicino. Partecipava anche ad una missione popolare della nostra comunità, perché sentiva l’appartenenza non solo come cristiano ma anche come cattolico e veniva qui a vivere i Sacramenti nella nostra chiesa.

    D. – Come lo ricorda, lei?

    R. – Lo ricordo come una persona molto disponibile, aperta, gioviale. Io, comunque, lo conoscevo fin da ragazzo perché sono bolognese e lo conoscevamo prima ancora che io entrassi in convento; allora, lui qui faceva parte di una leggendaria “dixie band”, quel gruppo jazz a cui appartenevano anche Renzo Arbore e Pupi Avati: loro hanno incominciato a suonare insieme – lui suonava il clarinetto – e ha sempre avuto una grande sensibilità musicale. Io l’ho apprezzato sempre forse più come musicista che come cantante, ma aveva anche una gran voce: questo sì!

    D. – Ricorda qualche aneddoto, qualche episodio particolare di quei tempi?

    R. – Già allora noi lo apprezzavamo, eravamo suoi fans come bolognesi: lui, Gianni Morandi e Francesco Guccini … C’è un aneddoto che posso raccontare: io celebravo la Messa, un giorno, era una Messa per gli studenti, con degli studenti che cantavano durante la Messa. E a questa Messa partecipava anche Lucio Dalla e gli studenti che cantavano avevano, secondo me, stonato abbastanza … Alla fine, in sacrestia, dissi: “Guardate che, se cantate così, Lucio Dalla non vi scrittura!”. E invece, arrivò Lucio Dalla in sacrestia: era stato colpito dalla voce di uno di questo studenti e lo chiamò a cantare in un suo disco rimasto famoso, perché lui, alla fine di questo disco, ha fatto eseguire da questo mio studente il canto “Vieni, vieni Spirito d’amore”, quel canto famoso… Questo è un episodio abbastanza curioso, perché io non avevo riconosciuto questo talento musicale in questo studente, mentre lui era rimasto colpito dalla sua voce.

    D. – Padre Bertuzzi, che fede aveva Dalla? Come era maturato questa ricerca di spiritualità?

    R. – L’impressione che ho avuto è che avesse una fede molto spontanea: si sentiva appartenente alla Chiesa cattolica come praticante… Una fede spontanea, in una vita che è sempre stata molto movimentata, anche un po’ anarchica. Così come aveva una sensibilità musicale, aveva anche una sensibilità religiosa che gli faceva sentire la presenza di Dio nella natura e la presenza di Dio nella sua vita.

    D. – Come si esprimeva questa sua spiritualità?

    R. – L’esprimeva con la pratica religiosa comune cattolica; l’esprimeva con molta generosità e disponibilità nei confronti degli altri. Non c’era alcuna difficoltà a comunicare con lui: appena lo si incontrava, ti salutava con grande affabilità e ci teneva a stabilire un rapporto di dialogo con tutti. Quello che mi ha sempre colpito in lui è che non aveva alcuna riservatezza o altezzosità per quello che era, un cantante famoso; quello che mi ha sempre colpito è stata la sua semplicità e la sua umiltà. Per esempio il padre Michele Casali, che è stato il fondatore del Centro San Domenico, che adesso io dirigo, mi diceva che la famosa canzone “Caro amico ti scrivo” l’aveva composta con lui in parlatorio: era andato a parlare con lui, perché si vedevano molto spesso… praticamente l’ha composta insieme a questo mio confratello! (mg)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Bolivia: i vescovi difendono il cardinale Terrazas attaccato dalle autorità

    ◊   La Segreteria generale della Conferenza episcopale boliviana (Ceb) ha manifestato il suo disappunto per le dichiarazioni del vicepresidente dello Stato Plurinazionale della Bolivia, che si è espresso contro il cardinale Julio Terrazas Sandoval, arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra e presidente della Conferenza episcopale, tentando di dividere la Chiesa. Ciò è avvenuto in occasione dell'incontro con il cardinale richiesto da un gruppo di politici dell'opposizione. La Segreteria generale della Ceb chiarisce, nella nota pervenuta all’agenzia Fides, che l’incontro fa parte di un ampio programma di incontri ordinariamente realizzati dal Cardinale come presidente della Conferenza episcopale. La missione dei Pastori è ascoltare e assistere tutte le persone che vengono da loro, è scritto nel testo. Per i Pastori non ci sono differenze di persone per l'ideologia o il partito, la razza o la situazione sociale: tutti sono figli di Dio che aspettano una parola di incoraggiamento. “Siamo sempre stati aperti, e lo saremo anche in futuro, a parlare con chiunque ne fa richiesta. Questo viene dimostrato dalla pronta risposta alla richiesta della riunione fatta dal Presidente Evo Morales e dai suoi ministri con il cardinale ed i vescovi in una delle loro Assemblee ordinarie”. Il comunicato si conclude con il sostegno al cardinale Terrazas: "Con l'occasione si conferma l'adesione e la solidarietà al nostro Pastore, il cardinale Julio Terrazas. Come egli stesso ha ripetutamente osservato, la Chiesa continuerà a servire la popolazione, assicurando l'unità e il bene comune di tutti i boliviani". La tensione fra autorità e Chiesa cattolica ultimamente si è riaccesa per l’appoggio delle autorità religiose ai diversi problemi sociali che vive il Paese, come è il caso delle richieste dei disabili. (R.P.)

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    Libia: mons. Martinelli colpito dalla solidarietà a Sirte tra cristiani e musulmani

    ◊   “Sono rimasto profondamente colpito dalla serietà professionale e dalla testimonianza che rendono ogni giorno le infermiere filippine e indiane nell’ospedale di Sirte” dice all’agenzia Fides mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, che si è recato qualche giorno fa a visitare la piccola comunità cattolica di Sirte. “Sono rimasto positivamente impressionato dal clima di solidarietà che ho scoperto: bisognerebbe scrivere un libro sull’amicizia profonda tra queste persone, musulmani e cristiani, che hanno vissuto la guerra insieme. Nell’ospedale viene pubblicato un piccolo giornale in inglese e in arabo, i cui articoli riflettono il desiderio e la prospettiva della riconciliazione” afferma mons. Martinelli. Il vicario apostolico aggiunge che “nell’area di Tripoli la situazione è un po’ più tranquilla. Si nota uno sforzo da parte di tutti per le prossime elezioni. Stanno inoltre tornando gli espatriati e i membri delle comunità straniere che erano fuggiti a causa della guerra. Tutti stanno portando il loro contributo per costruire la nuova Libia. I servizi pubblici funzionano, anche se non in maniera ottimale. Da qualche giorno ad esempio è ripresa la distribuzione della posta. Se vogliamo ricostruire la Libia, è essenziale trovare il modo di riconciliarsi” sottolinea il vicario apostolico. “Certo, purtroppo c’è stata tanta distruzione e tanta sofferenza, sia a Sirte sia a Misurata. Da un lato c’è una sofferenza profonda di coloro che, nel contesto degli ultimi sviluppi politici, hanno perso la propria terra. Dall’altro esiste un cammino di riconciliazione che presenta aspetti prodigiosi” conclude mons. Martinelli. (R.P.)

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    Gmg Rio 2013. Il cardinale Rylko: grande collaborazione tra Chiesa e governo

    ◊   Prosegue, a Rio de Janeiro, la visita del presidente del Pontificio Consiglio per i Laici (Pcl), cardinale Stanislaw Rylko, per fare il punto sulla preparazione della Giornata Mondiale della Gioventù che verrà ospitata dalla città brasiliana dal 23 al 28 luglio 2013. Secondo quanto riferisce l’arcidiocesi di Rio, il cardinale si è detto certo che “la Gmg stupirà il popolo brasiliano con i tantissimi giovani che arriveranno da tutte le parti del mondo, in particolar modo dall’America Latina e dal Brasile. La Gmg è una manifestazione della Chiesa giovane, piena di entusiasmo e di zelo missionario”. Secondo il presidente del Pcl - riferisce l'agenzia Sir - “il Comitato organizzatore sta portando avanti un gran lavoro, con competenza ed entusiasmo, soprattutto per quello che riguarda la preparazione pastorale”. “Desidero ringraziare, a nome del Papa, Rio de Janeiro e il Brasile per il grande dono che fanno alla Chiesa univerale ospitando la Gmg 2013” ha dichiarato il cardinale Rylko. Secondo il presidente della Conferenza episcopale brasiliana, il cardinale Raymundo Damasceno, “il presidente del Pcl è rimasto colpito dalla collaborazione in atto tra la Chiesa, il Governo locale e quello nazionale, per organizzare la Gmg”. L’arcivescovo di Rio, mons. João Tempesta Orani ha confermato la disponibilità delle istituzioni “per quel che compete la mobilità, la viabilità e la sicurezza così da rendere Rio de Janeiro una città ancora più sicura per i giovani partecipanti”. Oggi il cardinale Rylko presiederà una messa nel santuario di Cristo Redentore del Corcovado e, in serata, parteciperà ad veglia di adorazione. (R.P.)

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    Premio Niwano per la pace alla guatemalteca Tuyuc Velásquez

    ◊   E' la guatemalteca Rosalina Tuyuc Velásquez la vincitrice del 29mo premio Niwano per la pace. Rosalina Tuyuc Velásquez, 55 anni, è un'attivista per i diritti umani, in particolare per la difesa delle tradizioni Maya. Presidente, in gioventù della Catholic Masculine and Feminine Labor Action di San Juan Comalapa, sua città natale, tra le montagne del Guatemala centrale, dove si parla ancora il Kakchiquel, un dialetto Maya. Alla difesa e alla promozione dei discendenti dell'antico popolo, la vincitrice del Premio di quest'anno ha dedicato la sua attività culturale e politica. Autrice di numerose pubblicazioni, dedicate in particolare allo sfruttamento e alle violenze contro le donne, la Tuyuc Velásquez è stata anche fondatrice dell' Instance of Mayan Unity and Advise (IUCM), vicepresidente della Commissione parlamentare per le comunità indigene, presidente della Commissione parlamentare per le donne, I minori e le famiglie, cofondatrice dell'Associazione politica delle donne Maya in Guatemala, membro della Commissione nazionale per gli accordi di pace. Nella comunicazione che motiva la scelta della Tuyuc Velásquez - riferisce l'agenzia AsiaNews - la Fondazione Niwano evidenzia come sia la prima volta che viene premiato un difensore delle tradizioni religiose indigene. "In Guatemala la popolazione indigena è stata sistematicamente esclusa", la "saggezza della fede tradizionale è stata ignorata" e "le donne sono state vittima di molte forme di violenza (anche sessuali ed economiche), razzismo e discriminazione. Ma allo stesso tempo sono fonte di forza e determinazione. Rosalina Tuyuc Velásquez mostra la via per un futuro più giusto e privo di discriminazioni e per una nuova cultura di pace". Il premio Niwano è dato dalla Niwano Peace Foundation, fondata nel 1978 per contribuire alla costruzione di un mondo di pace in campi quali religione, filosofia, cultura, scienza. Grazie a donazioni di miliardi di yen, la fondazione organizza attività culturali e scambi internazionali. La Fondazione è legata all'opera di Nikkyo Niwano, figura di rilievo della spiritualità giapponese, che nel 1938 ha fondato l'organizzazione buddista laica Rissho Kosei Kai. Il movimento mira a un rinnovamento dell'insegnamento del buddismo amida e unisce profonda spiritualità, impegno sociale, promozione della pace, dialogo tra le religioni. Tra i vincitori delle passate edizioni ci sono l'aricescovo brasiliano Helder Camara, il pastore Philip A. Potter, segretario del Consiglio mondiale delle Chiese, il cardinale Paulo Evaristo Arns, il villaggio Neve Shalom fondato insieme da palestinesi e israeliani e il principe giordano El Hassan bin Talal, promotore della Lettera dei 138 saggi islamici al Papa. La premiazione di svolgerà a Tokyo il 10 maggio. Rosalina Tuyuc Velásquez riceverà una medaglia e 20 milioni di yen. (R.P.)

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    Terra Santa: per la Quaresima pellegrinaggio di personalità cristiane dell'India

    ◊   Una delegazione di personalità cristiane indiane conclude oggi un pellegrinaggio in Terra Santa per celebrare l'inizio della Quaresima. Giunto il 26 febbraio su invito del ministero israeliano del Turismo e della Custodia francescana di Terra Santa, il gruppo ha toccato i principali luoghi sacri della Terra Santa. La delegazione - riferisce l'agenzia AsiaNews - comprende il cardinale Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana e della Federazione delle conferenze episcopali asiatiche; il cardinale Mar George Alencherry, arcivescovo maggiore di Ernakulam-Angamaly dei siro-malabaresi; mons. Soosa Pakiam, arcivescovo di Trivandrum; Joshua Mar Nicodemos, metropolita della Chiesa ortodossa siro-malankarese; Filipe Neri Ferrao, patriarca delle Indie orientali e arcivescovo di Goa e Daman; il rev. Godwin Nag, presidente delle Chiese evangeliche luterane unite (Uelci) in India. In questi primi giorni, i religiosi hanno visitato il Santo Sepolcro e celebrato l'eucarestia sul monte Sion. Poi, hanno avuto un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, che ha loro parlato delle comunità cristiane presenti, del loro rapporto con le altre comunità religiose e della condizione attuale. Infine, hanno discusso dei pellegrini indiani e di come la Custodia francescana, insieme al ministero del Turismo, possono migliorare e intensificare i flussi delle visite. Ogni anno in Terra Santa giunge più di un milione di pellegrini da tutto il mondo. Negli ultimi anni, l'incremento si è fatto notevole soprattutto grazie ai pellegrini asiatici, in particolare indiani. Nella prima parte del 2010 sono stati 1,6 milioni, il 39% in più rispetto al 2009. La Terra Santa ospita anche una nutrita comunità indiana di oltre 5mila persone, per lo più emigrate per motivi di lavoro. Di questi, circa 3mila sono cattolici. (R.P.)

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    Nord Irlanda: nuovo appello dei leader delle Chiese cristiane sulla riforma del welfare

    ◊   “La nostra principale preoccupazione come leader delle Chiese è quella di chiarire le ricadute sul popolo dell‘Irlanda del Nord delle riforme al welfare sociale che passano attraverso Westminster”. E’ il cardinale Sean Brady, arcivescovo cattolico di Armagh e Primate d‘Irlanda, a spiegare così le ragioni che da diversi mesi vedono uniti tutti i leader cristiani nord irlandesi nel farsi portavoce dei “più poveri” e delle preoccupazioni con cui l’Irlanda del Nord sta guardando alle riforme del welfare avviate dal governo. Ieri sera le Chiese cristiane si sono fatte promotrici di un incontro-discussione al quale hanno partecipato il segretario di Stato per l’Irlanda del Nord Hon Owen Paterson e il ministro per lo sviluppo sociale Nelson McCausland. I leader cristiani coinvolti nell’iniziativa erano - oltre al cardinale Brady - l’arcivescovo anglicano Alan Harper, il moderatore della Chiesa presbiteriana Ivan Patterson, il presidente della Chiesa metodista Ian Henderson e il presidente del Consiglio irlandese delle Chiese Richard Clarke. “Vogliamo sfidare con rispetto - ha detto ieri sera il cardinale Brady - coloro che detengono l‘autorità nella società civile ad agire con giustizia e mostrare compassione verso i più bisognosi. Coloro che hanno meno possibilità di sostenere i tagli, non dovrebbero essere quelli più colpiti. “Vogliamo esprimere la nostra preoccupazione - ha detto il cardinale - per le conseguenze potenzialmente drammatiche e negative per alcuni dei più vulnerabili nella nostra società e per l‘intera economia in Irlanda del Nord”. L‘Institute for Fiscal Studies per esempio ha già affermato che dopo Londra, sarà l’Irlanda del Nord la regione più colpita da queste riforme. La perdita dei benefici sociali è stimata per un totale di circa 600 milioni di euro entro il 2015, coinvolgendo pertanto decine di migliaia di persone in tutti i settori della società. “Come leader delle Chiese - ha quindi aggiunto l’arcivescovo - abbiamo chiesto come tale politica possa funzionare in un momento di recessione economica e di aumento della disoccupazione”. “In particolare abbiamo espresso preoccupazione per le implicazioni” che la Riforma può avere sulla “povertà infantile in Irlanda del Nord”, Paese dove già si registra un aumento del livello di povertà infantile. “Abbiamo fatto un appello speciale al Segretario di Stato - ha sottolineato il cardinale - perché venga data garanzia che qualsiasi riforma introdotta sia accompagnata da misure protettive per arginare l‘aumento della povertà infantile in Irlanda del Nord”. (R.P.)

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    El Salvador: avviato un progetto per combattere il morbo di Chagas

    ◊   E’ partita la campagna annuale promossa dall’organizzazione umanitaria spagnola Manos Unidas sul diritto alla salute per tutti. Grazie al supporto di Manos Unidas, a febbraio, in El Salvador, la Ong locale Fundación Salvadoreña de Desarrollo y Vivienda Mínima (Fundasal), ha avviato il progetto “Migliorare l’habitat per combattere il morbo di Chagas”. Avviato nel 2009, il programma è volto a migliorare le condizioni di precarietà e insalubrità delle abitazioni e delle infrastrutture di base nei villaggi del municipio e del dipartimento di Santa Ana, una comunità rurale molto povera di El Salvador, per combattere la diffusione dell’insetto vettore della malattia. Dopo una serie di studi, è stata riscontrata un’alta incidenza di Chagas tra gli abitanti di Santa Ana, Ahuachapán e Sonsonate. A Santa Ana è addirittura superiore al tasso di Aids. L’educazione e la presa di coscienza da parte delle famiglie sulla malattia, le cause, le conseguenze e le forme di prevenzione, sono una parte determinante di questo progetto. Fundasal è impegnata anche a migliorare le abitazioni delle famiglie più svantaggiate con pareti nuove, strutture igienico sanitarie in gesso all’interno o all’esterno delle abitazioni, apertura di varchi per le finestre e le porte, coperture di rinforzo, separazione degli ambienti, pavimenti in cemento. Si tratta del primo progetto del genere avviato a El Salvador, e ha avuto un grande impatto nella zona. Oltre a coinvolgere le famiglie, è servito anche a consapevolizzare le autorità e i leader sociali della regione sulla gravità del problema. Il morbo di Chagas è una di quelle malattie definite dimenticate o trascurate, che non ricevono particolare attenzione da parte delle autorità sanitarie. Ogni anno milioni di persone vengono contagiate e i morti sono decine di migliaia. La pandemia ha una prevalenza nelle regioni rurali più povere dell’America Latina. (R.P.)

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    L’Onu esorta gli Stati africani a combattere il crimine organizzato

    ◊   Il Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha lanciato un appello ai governi degli Stati del continente affiché "compiano l'atteso salto di qualità nella lotta al crimine organizzato transnazionale, traffico di droga e pirateria". In un comunicato emesso dal Palazzo di Vetro si rileva che, per quanto riguarda i governi dell'Africa occidentale, essi "dovrebbero essere sostenuti dagli organismi comunitari regionali e, in senso lato, dall'intera comunità internazionale, principalmente in relazione a condivisione delle informazioni, prevenzione, svolgimento delle indagini, applicazione della legge e sorveglianza delle frontiere". Nel comunicato del Segretario generale dell'Onu, inoltre, si sostiene che è "opportuno rafforzare l'efficacia delle operazioni per il mantenimento della pace nella regione, integrando le unità specializzate nelle missioni Onu, per completare gli sforzi delle forze di polizia degli Stati e delle agenzie incaricate dell'applicazione della legge". (R.G.)

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    Fao e Ifad a sostegno delle cooperative rurali per aumentare la sicurezza alimentare

    ◊   Organizzazioni rurali, associazioni di produttori e cooperative efficienti sono decisive per ridurre la fame e la povertà nei Paesi più poveri. Lo documenta uno studio realizzato dalla Fao e dall'Ifad, le due agenzie dell’Onu dedicate a combattere la fame nel mondo, intitolato "” (Buone pratiche nell’impiantare istituzioni rurali innovative per incrementare la sicurezza alimentare). Lo studio pubblicato nell', presenta trentacinque casi di buone pratiche istituzionali, in diverse regioni del mondo, che hanno permesso ai piccoli produttori di rispondere meglio alla crescente domanda di cibo sui mercati locali, nazionali e internazionali, riuscendo al tempo stesso a migliorare le proprie condizioni economiche, sociali e politiche. "Per essere pienamente produttivi i piccoli contadini, i pescatori, i pastori, le popolazioni forestali dei Paesi in via di sviluppo hanno estremo bisogno di servizi al momento completamente assenti nelle aree rurali", affermano nell’introduzione al libro il direttore Generale della Fao, José Graziano da Silva, e il presidente dell'Ifad, Kanayo F. Nwanze. alimentare". (R.G.)

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    Appello Onu alla Fifa: sì a hijab speciale per donne islamiche

    ◊   Un appello dell’Onu che aprirà dibattito nel mondo dello sport. Wilfried Lemke, consulente per lo Sport del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha scritto al presidente della Fifa, Sepp Blatter, chiedendo alla Federazione internazionale calcio di consentire alle donne islamiche che praticano questa attività sportiva di poter indossare uno speciale hijab. Una richiesta che promuove il diritto – sostenuto dalla Confederazione asiatica calcio – per le calciatrici islamiche di indossare “un copricapo sicuro e con l'apertura a velcro nelle competizioni regolate dalla Fifa''. L'hijab era stato proibito dalla Fifa nel 2007 per motivi di sicurezza. Secondo Lemke, la rimozione del divieto ''farebbe cadere una barriera che impedisce a donne e ragazze di partecipare a incontri di calcio e sarebbe un esempio positivo''. Onu e Federazione asiatica calcio sono infatti convinti che i copricapo di nuovo modello eliminano i potenziali rischi di gravi incidenti. (R.G.)

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    Uganda: nuovo programma di cure della Chiesa per i malati di Aids

    ◊   Saranno più di 22mila i malati di Aids che la Conferenza episcopale dell’Uganda provvederà a curare, a partire da oggi: dal 1° marzo, infatti, la Chiesa di Kampala lancia un nuovo progetto denominato “Act – Programma di trattamento e cura dell’Aids” – che verrà messo in atto negli ospedali di undici distretti, due dei quali appartengono alla Chiesa anglicana. Tra i nosocomi destinatari del progetto, ci sono quelli di Kampala, Buikwe e Mpigi. Il nuovo piano di lavoro segue un progetto lanciato circa otto anni fa, in vista di un rafforzamento del sistema sanitario e che ha portato aiuto ai malati di Aids nei 18 ospedali del Paese. Presentando “Act” alla stampa, il presidente dei vescovi ugandesi, l’arcivescovo John Baptist Odama, ha ribadito l’impegno della Chiesa per ridurre nuovi contagi e per mantenere in vita madri e figli colpiti dal virus Hiv. In un anno, il programma “Act” ha l’obiettivo di mantenere 22.656 pazienti in terapia anti-retrovirale, assistere 34mila donne in gravidanza, prevenendo la trasmissione del virus madre-figlio sia nella fase prenatale che dopo il parto, curare almeno 1.741 madri già affette da Aids e prevenire le infezioni pediatriche. (I.P.)

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    Consiglio delle Chiese: l'arcivescovo di Canterbury su religione e diritti umani

    ◊   “La religione contribuisce con un nucleo dottrinale ai principi fondamentali dell’universalità e della libertà”: è quanto ha detto ieri l’arcivescovo di Canterbury, l’anglicano Rowan Williams, visitando la sede del Consiglio ecumenico delle Chiese (Wcc) a Ginevra. Per l’occasione, l’arcivescovo Williams ha tenuto una conferenza sul tema “Diritti umani e fede religiosa”: in essa, l’esponente anglicano ha osservato come oggi i diritti umani siano visti solo come un codice giuridico basato su rivendicazioni individuali. Importante è, invece, basarsi su un approccio alternativo che tenga conto degli aspetti culturali e comunitari dell’interazione umana, approccio che è parte integrante del credo religioso. “Penso – ha detto l’arcivescovo di Canterbury – che questa visione debba essere usata per cercare di comprendere i diritti in un contesto non di rivendicazioni individuali, ma di riconoscimento reciproco fra esseri umani”. In questo senso, ha ribadito l’esponente anglicano, la religione spiega il motivo per cui “i diritti umani sono universali”, ovvero perché “la natura dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, richiede sia l’uguaglianza che una visione astratta dei diritti, indipendentemente dai sistemi politici e sociali”. Poi, il rev. Williams ha fatto un esempio di come il linguaggio religioso sulla dignità umana sia servito ad approfondire l’impegno nella difesa dei diritti umani: “Nel secolo scorso – ha detto – la Chiesa in Sudafrica o nella Repubblica federale tedesca era forse il contesto più significativo in cui l’universalità e la non negoziabilità della vita umana poteva essere affermata e difesa”. Infine, l’arcivescovo di Canterbury ha sottolineato che la religione gioca un ruolo cruciale nel dibattito sui diritti umani, anche garantendo che lo stesso linguaggio dei diritti “non si allontani troppo dalla strada del riconoscimento del sacro”. (I.P.)

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    Spagna: messaggio dei vescovi per la Giornata della Vita

    ◊   “Amare e curare tutta la vita umana”: è questo il tema scelto dalla Chiesa spagnola per la Giornata per la Vita che si celebra il 26 marzo. In un lungo messaggio, redatto dalla Commissione episcopale per la famiglia e la difesa della vita, i vescovi iberici spiegano la scelta del tema: “Con esso vogliamo promuovere una cultura a favore della famiglia e della vita”, evitando che “la cultura della morte promuova nella legislazione attacchi contro la vita, presentati come se fossero manifestazioni di progresso o dimostrazioni di umanità”. Come il granello di senape descritto nel Vangelo di Marco, ribadisce la Conferenza episcopale spagnola (Cee), “la vita umana nascente racchiude in sé la speranza di una pienezza piena di promesse”. Per questo, “ogni vita umana appare unica, irripetibile e insostituibile. Il suo valore non si può misurare in relazione a nessun oggetto, né compararsi con un’altra persona. Ogni essere umano è un valore assoluto”. Di qui, la sottolineatura forte che la Chiesa spagnola fa al fatto che “tutti gli esseri umani sono uguali nel diritto alla vita”. E tale uguaglianza, prosegue il messaggio, “è la base di tutta l’autentica relazione sociale che, per essere vera, deve fondarsi su verità e giustizia, riconoscendo e tutelando ogni uomo ed ogni donna come persona e non come una cosa della quale si può disporre”. Inoltre, grazie all’incarnazione di Cristo, ricorda la Cee, “la fede cristiana rivela all’uomo il valore incalcolabile della vita” e ciò implica che “la vita umana, nella sua grandezza e dignità, debba essere rispettata e curata dal concepimento e fino alla morte naturale”. Forte, quindi, “il rifiuto assoluto” dell’aborto “diretto e volontario”, così come dell’eutanasia, della quale, scrivono i presuli, “in nessun caso si può accettare la legittimazione sociale”. “ Un essere umano - prosegue il messaggio – non perde mai la sua dignità, qualunque sia la sua condizione fisica o psichica. Tutte le persone malate meritano ed esigono un rispetto incondizionato e la loro vita non può essere valutata in base al criterio esclusivo della qualità o del benessere soggettivo”. Per questo “la morte non deve essere mai causata con un’azione o un’omissione, neanche con l’obiettivo di eliminare il dolore”. Ribadendo, poi, che “l’apertura alla vita è segno di apertura al futuro”, la Chiesa spagnola richiama l’attenzione sulla famiglia, definita “fondamentale nell’itinerario educativo della persona e nello sviluppo dei singoli e della società”. Di qui, l’appello a “politiche giuste che favoriscano l’istituzione familiare” e a “leggi che aiutino lo sviluppo di una cultura della vita per crescere nell’umanità”. Esprimendo infine soddisfazione per alcune decisioni dell’Unione Europa – come il divieto a brevettare farmaci derivati da embrioni umani, se i procedimenti seguiti possono distruggere gli embrioni stessi, o il no a procedure eutanasiche sia attive che omissive – i presuli ribadiscono l’importanza del rispetto per l’essere umano nella sua integrità. (I.P.)

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    Italia: sciopero dei lavoratori migranti, "Basta discriminazioni"

    ◊   Una serie di manifestazioni ed eventi, cortei, dibattiti, convegni, letture e musica in tutta Italia. L'appuntamento di oggi, 1° marzo è lo ‘sciopero dei migranti’, che per la terza edizione adotta lo slogan "un giorno senza di noi”. Un chiaro riferimento a quanto ormai i quasi 5 milioni di immigrati presenti in Italia siano diventati colonna portante dell’economia e della società italiana, contando, stando ai dati dell’istat, per l’11% del Pil italiano. Operai, braccianti, infermieri, muratori, imprenditori, colf, badanti e molto altro. I migranti si apprestano a tingere di giallo, colore che vuole ricordare la neutralità del movimento e il rifiuto del razzismo, le piazze italiane, per uno sciopero si dovrebbe più propriamente definire "mobilitazione". Lo scopo è accendere i riflettori sul silenzioso e quotidiano lavoro di individui, che spesso senza diritti e tutele, contribuiscono al benessere dell’Italia, contraccambiati con atteggiamenti di diffidenza e discriminazione. La novità del 2012 è la distribuzione di un copri-passaporto, che riporterà
    il primo e l'ultimo articolo della Carta mondiale dei migranti sulla libera circolazione delle persone, firmata lo scorso anno a Gorèe, isola del Senegal. “La data del primo marzo – si legge nell’appello alla mobilitazione della Rete nazionale dei comitati per il Primo marzo – è diventata così un punto di riferimento importante. È ora di fare chiarezza e dire che il razzismo non è solo un fenomeno culturale, ma si appoggia su leggi e provvedimenti amministrativi che considerano i migranti come braccia da sfruttare o nemici da combattere”. Le parole d'ordine di quest'anno sono: abrogazione della legge Bossi-Fini, la cancellazione del contratto di soggiorno per lavoro e la chiusura di tutti i Centri di Identificazione ed Espulsione in Italia e in Europa; per la cittadinanza immediata ai bambini nati in Italia; per dire no al permesso a punti e a nuove tasse sul rinnovo del permesso di soggiorno; per una regolarizzazione generale di chi non ha un permesso di soggiorno". (M.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 61

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.org/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.