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Sommario del 31/05/2012
Festa della Visitazione di Maria. Il Papa chiude il mese di maggio nei Giardini Vaticani
◊ Questa sera, nella Festa della Visitazione di Maria, il Papa, come da tradizione, chiude nei Giardini Vaticani il mese di maggio. Il cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano guiderà la processione e la recita del Santo Rosario dalla Chiesa di Santo Stefano degli Abissini alla Grotta della Madonna di Lourdes. Poi, alle 21.00, Benedetto XVI raggiungerà la Grotta rivolgendo la sua parola ai presenti. Ma ripercorriamo alcune riflessioni pronunciate dal Papa in questi anni in occasione della chiusura del mese dedicato a Maria. Il servizio di Debora Donnini:
Maria e la cugina Elisabetta. Sono le due figure al centro del Vangelo di oggi, Festa della Visitazione. Negli anni la riflessione di Benedetto XVI ripercorre, con diverse sfaccettature, questo straordinario momento di incontro fra Elisabetta che in tarda età aspetta un figlio e Maria che corre verso la cugina in Giudea. La Vergine ha appena ricevuto l’annuncio dell’Angelo, “ha creduto” e “ha risposto con fede, accettando con coraggio il progetto di Dio per la sua vita e accogliendo così in sé la Parola eterna dell’Altissimo”:
“Rivolgendoci oggi alla 'piena di grazia', le chiediamo di ottenere anche a noi, dalla Provvidenza divina, di poter pronunciare ogni giorno il nostro 'sì' ai disegni di Dio con la stessa fede umile e schietta con cui Lei ha pronunciato il suo. Ella che, accogliendo in sé la Parola di Dio, si è abbandonata a Lui senza riserve, ci guidi ad una risposta sempre più generosa e incondizionata ai suoi progetti, anche quando in essi siamo chiamati ad abbracciare la croce”. (Discorso del 31 maggio 2011)
La fede di Maria, dunque, al centro, ma anche il suo viaggio “in fretta verso la regione montuosa, in una città della Giudea”, come ricorda il Vangelo di Luca. Benedetto XVI lo definisce “un autentico viaggio missionario”. “La nostra, come singoli e come Chiesa – sottolinea - è un’esistenza proiettata al di fuori di noi”. Maria quindi raggiunge e dà aiuto alla cugina Elisabetta che “diventa così il simbolo di tante persone anziane e malate” . Maria , che si era definita serva del Signore, “serve il Signore che incontra nei fratelli”, ma il vertice della sua carità consiste nel far incontrare Cristo:
“Gesù è il vero e unico tesoro che noi abbiamo da dare all’umanità. È di Lui che gli uomini e le donne del nostro tempo hanno profonda nostalgia, anche quando sembrano ignorarlo o rifiutarlo. È di Lui che hanno grande bisogno la società in cui viviamo, l’Europa, il mondo intero”. (Discorso del 31 maggio 2010)
Elisabetta al vedere Maria sente che il bambino nel suo grembo esulta di gioia e chiama “beata” sua cugina. A loro volta le parole di Elisabetta accendono in Maria un cantico di lode, il Magnificat che il Papa definisce “un’autentica e profonda lettura ‘teologica’ della storia”, una lettura che anche noi dobbiamo continuare ad imparare da Lei:
"L’anima mia magnifica il Signore. Maria riconosce la grandezza di Dio. Questo è il primo indispensabile sentimento della fede; il sentimento che dà sicurezza all’umana creatura e la libera dalla paura, pur in mezzo alle bufere della storia”. (Discorso del 31 maggio 2008)
Dunque “Maria ‘vede’ con gli occhi della fede l’opera di Dio nella storia. Per questo è beata , perché ha creduto”:
“La sua fede Le ha fatto vedere che i troni dei potenti di questo mondo sono tutti provvisori, mentre il trono di Dio è l’unica roccia che non muta e non cade. E il suo Magnificat, a distanza di secoli e millenni, resta la più vera e profonda interpretazione della storia, mentre le letture fatte da tanti sapienti di questo mondo sono state smentite dai fatti nel corso dei secoli”. (Discorso del 31 maggio 2008)
Nel 2009 la conclusione del mese mariano cade alla Vigilia di Pentecoste. E il Papa traccia, dunque, il legame fra Maria e lo Spirito Santo. La fede della Vergine spinge anche noi “a riconoscere la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, ad ascoltare le sue ispirazioni e a seguirle docilmente”:
“Nella Pentecoste, la Vergine Madre appare nuovamente come Sposa dello Spirito, per una maternità universale nei confronti di tutti coloro che sono generati da Dio per la fede in Cristo. Ecco perché Maria è per tutte le generazioni immagine e modello della Chiesa, che insieme allo Spirito cammina nel tempo invocando il ritorno glorioso di Cristo: 'Vieni, Signore Gesù' (cfr Ap 22,17.20)”. (Discorso del 30 maggio 2009)
◊ La precarietà del lavoro “minaccia” spesso la famiglia lungo l’arco della sua vita, eppure non c’è famiglia che abbia dignità senza lavoro. E’ una delle affermazioni centrali del cardinale Dionigi Tettamanzi contenute nell’intervento con il quale, questa mattina, ha aperto la seconda giornata del Congresso internazionale di Milano. Intanto, la città e l’intera regione lombarda si preparano ad accogliere Benedetto XVI, che da domani pomeriggio a domenica presiederà gli eventi principali del settimo Incontro mondiale delle famiglie. Il servizio del nostro inviato a Milano, Alessandro De Carolis:
Come si coniugano oggi famiglia e lavoro in una prospettiva di fede? Quando l’urgenza, o addirittura in qualche caso l’emergenza, di avere un impiego è questione di riuscire a farcela o essere schiacciati? Domanda cruciale di questi tempi per rispondere alla quale il cardinale Dionigi Tettamanzi ha sviluppato una serie di riflessioni a cavallo tra le antiche parole della Bibbia e il più moderno magistero sociale della Chiesa, quello affermato nella Caritas in veritate di Benedetto XVI:
“La questione non è solo economica, perché il lavoro è inserimento attivo nel tessuto della società, è partecipazione responsabile all’edificazione della città: se ne viene esclusa, la famiglia è come mutilata, emarginata, deturpata da una ferita che può portarla a vergognarsi, a nascondersi, a prediligere sentieri male illuminati e trascurare gli spazi aperti e luminosi in cui la gente si incontra, intesse relazioni, entra in una vita di comunione”.
Ed è quanto succede in molte zone del mondo strozzate dalla mancanza di lavoro. I giovani disoccupati, ha citato il cardinale Tettamanzi, oggi lo sono nell’80% dei Paesi sviluppati e nei due terzi di quelli emergenti. Di fronte a questo scenario, “mi chiedo – ha proseguito il porporato in uno scroscio di applausi – le cosiddette leggi del mercato - che danno molto a qualcuno perché la sua attività movimenta enormi capitali a beneficio di molti – non devono forse essere, loro stesse, regolate? Regolate perché il mercato sia per l'uomo e non l'uomo per il mercato”. Di qui, alcuni orientamenti di carattere pratico, perché chi lavoro – ha detto – sia aiutato dal sistema lavorativo a “non sacrificare i valori più profondi della vita familiare con un impegno lavorativo esclusivo e totalizzante”:
“Chi è impegnato nella politica e nel sindacato deve saper obbedire a logiche non solo di ‘efficienza economica’, ma anche di ‘efficacia umana’, come la coltivazione di rapporti interpersonali più significativi nell'ambito della famiglia e del più ampio tessuto sociale”.
In questo modo, verrebbero salvaguardati in un contesto di armonia gli aspetti dell’amare e del lavorare, che “assieme al fare festa – ha asserito il porporato – sono davvero gli elementi essenziali di una vita familiare”:
“Il tempo del lavoro, infatti, inevitabilmente differenzia e divide; quando invece si riposa e si fa festa, le stesse disuguaglianze sociali appaiono attenuate: si familiarizza, si condivide, si comunica (...) Sì, abbiamo bisogno – e oggi ancora più di ieri – di un tempo di festa vissuto da tutta la famiglia, perché esso è importante, è indispensabile sotto il profilo sociale ed educativo”.
Nella seconda parte della sessione plenaria del Congresso, ha preso la parola il sociologo cileno, Pedro Morandé Court, che ha dato continuità alle parole del cardinale Tettamanzi cercando di individuare, in un tempo di diffusa provvisorietà, ciò che può offrire opportunità di rilancio.
La mattinata era stata aperta da una breve riflessione del cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, che ha ribadito la necessità di dare non solo sostegno ma prima ancora “dignità” all’istituto familiare. C’è bisogno, ha auspicato, di una cultura che “guardi con particolare stima alla famiglia fondata sul matrimonio”. E dopo il presidente dei vescovi italiani, hanno offerto una bella testimonianza di vita familiare alla luce del Vangelo due coniugi, Elisabetta e Riccardo, con due figli, uno dei quali adottato in Vietnam, appartenenti alla Comunità di Sant’Egidio. Nonostante l’apparente deficit di futuro che sembra gravare su tante famiglie, hanno detto, la nostra vita insieme – hanno assicurato – si nutre di un “senso di profonda fiducia in Dio”. Dall’essere cristiani, hanno raccontato, abbiamo imparato che la famiglia è “spazio di gratuità, in cui sviluppare una “cultura dei legami umani” e dove alimentare una “riserva di umanità”, anzitutto avendo rispetto e amore per gli anziani. Parole che anticipano ciò che sarà tra due giorni quando le famiglie radunate a Milano si racconteranno al Papa e il Papa a loro.
Incontro mondiale delle famiglie: l'impegno della comunità "Nomadelfia" e dell'Unitalsi
◊ Al piano inferiore del grande complesso di "Fieramilanocity", del capoluogo lombardo, sono dislocati gli stand della “Fiera della famiglia”, uno spazio espositivo di 8 mila metri quadrati dove associazioni italiane e internazionali che lavorano a sostegno delle famiglie spiegano a chiunque si fermi il loro tipo di missione. Fra loro, c’è anche lo stand di “Nomadelfia”, la comunità fondata negli anni Quaranta del Novecento da don Zeno Saltini, dove la legge che vige è quella della fraternità. L’inviato a Milano, Alessandro De Carolis, ha chiesto a Paolo, un giovane “nomadelfo”, il perché della sua presenza all’Incontro delle famiglie:
R. – "Nomadelfia" porta l’esperienza di famiglie che vivono la loro scelta di essere famiglia come Sacramento, sicuramente, come tutte le famiglie cristiane; è una famiglia che è aperta all’accoglienza di figli in disagio familiare: tutte le famiglie di "Nomadelfia" sono aperte all’accoglienza di minori in disagio familiare. E’ una famiglia che è aperta ad altre famiglie perché vive in gruppi di famiglie. Tre o quattro famiglie che condividono la vita di tutti i giorni per potersi aiutare e per creare relazioni migliori tra le famiglie stesse.
D. – Tu sei un giovane che sta costruendo la sua vita; in questi tempi, spesso senti parlare di famiglia in crisi. Che esperienza fai, invece, a "Nomadelfia"?
R. – La mia esperienza personale – io sono il primo figlio di 13 fratelli, tra nati e rinati nel matrimonio – è quella di una famiglia "allargata" da tanta gioia, tanti impegni… sicuramente la gioia è più grande, perché Dio è amore e Dio porta questa gioia anche nella famiglia. E se sappiamo affidarci a Dio, poi tutto diventa più facile: anche vivere i rapporti familiari, superare le crisi che ci sono, sicuramente però nell’ottica di una vita vissuta per gli altri, in un rapporto continuo con Dio.
D. – Voi crescete, a "Nomadelfia", alla quotidiana scuola di don Zeno, che è il vostro fondatore. Secondo te, se oggi fosse qui, al raduno di Milano, in mezzo a queste migliaia di famiglie, cosa potrebbe dire loro?
R. – Don Zeno proporrebbe alle famiglie sicuramente di unirsi, di formare un popolo cristiano che sia un segno vero della presenza di Cristo in terra. Chiederebbe di essere coerenti con il messaggio cristiano; chiederebbe un’integrità di vita e sicuramente questa potrebbe essere una grande testimonianza per questo mondo che ha perso le basi su cui poggiare le gambe, per cui tutto diventa fluido e niente è più stabile. "Nomadelfia" è un piccolo popolo – siamo quasi 300 persone – che però ha a suo fondamento basi solide: il Vangelo e la Parola di Dio.
Il Congresso internazionale sulla famiglia si sposta oggi da Milano in varie città e diocesi della Lombardia. In provincia di Lecco, in particolare, si svolge nel pomeriggio una tavola rotonda dal titolo “Famiglia, lavoro e mondo della disabilità”. Tra le associazioni che si occupano di questo delicato aspetto figura l’Unitalsi, presente all’Incontro mondiale delle famiglie. Alessandro De Carolis ne ha parlato con Gabriella Zanco, da molti anni volontaria ed ex responsabile di sezione dell’Unitalsi:
R. – L’Unitalsi come progetto ha l’assistenza ai disabili, ma non dimenticando le famiglie che sono con i disabili perché dobbiamo sempre fare mente locale che ogni disabile ha alle spalle una famiglia che condivide le sue aspettative, i suoi dolori e le sue gioie. Per cui mi è sembrato giusto che l’Unitalsi fosse presente all’incontro delle famiglie proprio per dare un segno tangibile della sua missione.
D. – Soprattutto in Occidente si parla tanto di disgregazione di valori e questo potrebbe andare a scapito della sensibilità verso gli ammalati all’interno di una famiglia. Che esperienza avete su questo punto?
R. – Per quanto riguarda le famiglie che hanno un disabile, hanno difficoltà enormi, perché si trovano a volte da sole ad affrontare una situazione che non pensavano. Chi accetta la disabilità del proprio figlio o del proprio parente in casa ha una riconquista dei valori della famiglia del sostegno reciproco, dell’aiuto, non solamente sostegno economico, ma morale, e affrontano insieme tutte le difficoltà della vita quotidiana. Un discorso a parte, invece, bisogna farlo per quelle famiglie che con un evento drammatico si trovano ad affrontare una situazione difficile e che non trovano al loro interno la forza di poterla affrontare. Ecco che poi allora abbiamo famiglie che si disgregano, abbiamo situazioni familiari di una madre sola con un figlio disabile e al riguardo l’Unitalsi ha costituito e fondato case famiglia proprio per andare incontro anche a situazioni familiari difficili.
D. – Che cosa vi aspettate da questo Incontro mondiale delle famiglie dal vostro punto di vista?
R. - Ci aspettiamo che la società - ma per la società non intendo solamente le istituzioni pubbliche, ma anche la società delle persone – non si "faccia carico" dei disabili, ma dell’idea che i disabili non sono un peso per la società: sono persone che hanno da dire cose diverse rispetto ai normodotati.
Il cardinale Bagnasco: le famiglie di tutto il mondo pronte ad abbracciare il Papa a Milano
◊ Sull’attesa del Papa a Milano in occasione dell’Incontro mondiale delle famiglie, Antonella Palermo ha intervistato il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco:
R. – Lo aspettiamo con grande gioia e con grande gratitudine, proprio per il dono della sua presenza e della sua parola. Troverà un popolo di famiglie che lo aspettano, che gli vogliono bene, che si stringerà attorno a lui, rappresentando tutte le famiglie delle Chiesa cattolica nel mondo, ma anche la famiglia che universalmente è presente nel mondo e che è - in se stessa - la base fondamentale, il nucleo insostituibile e ineguagliabile della società e dell’umanità: grembo di vita, grembo di educazione umana, di educazione religiosa e cellula fondamentale del vivere civile.
D. – L’incontro si svolge in un momento difficile per la Chiesa: cosa si sente di dire?
R. – Il Popolo di Dio ha un istinto della fede, un senso profondo e radicato della fede, e di grande amore verso il Santo Padre, Successore di Pietro, e per i vescovi che sono appunto i primi collaboratori e successori degli Apostoli. Il Popolo di Dio ha questo istinto: sa distinguere le varie cose del mondo degli uomini, le varie situazioni e sa guardare con fede e con amore alla Chiesa di Cristo, così come Gesù l’ha voluta e di cui il Santo Padre è il principio e il fondamento visibile. Si tratta quindi di alimentare la fede, come il Papa con l’Anno della Fede ci invita a fare. Dobbiamo avere lo sguardo di fede, dobbiamo guardare le cose con uno sguardo di fede: se c’è questo, non spaventa nulla.
Indagini in Vaticano. Padre Lombardi: interrogatorio di Paolo Gabriele la prossima settimana
◊ Nuovo incontro, stamani, di padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, sulle indagini relative al furto di documenti vaticani riservati. Padre Lombardi ha confermato che la prossima settimana, terminata l’istruttoria sommaria, comincerà la fase formale del procedimento, nella quale, su richiesta degli avvocati difensori, potrà essere interrogato Paolo Gabriele, aiutante di camera del Papa, accusato di aver sottratto i documenti riservati. Contribuiranno all’ampliamento delle indagini anche le risultanze sul materiale rinvenuto nell’abitazione dell’inquisito. I legali - secondo quanto riferito dal direttore della Sala Stampa vaticana - avrebbero pronta una richiesta di libertà vigilata o arresti domiciliari per il loro assistito che, almeno sino all’inizio della fase formale, rimarrà in camera di sicurezza. (G.L.V.)
◊ In Italia, il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Orvieto-Todi Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Benedetto Tuzia, trasferendolo dalla Sede titolare di Nepi e dall’incarico di Vescovo Ausiliare di Roma.
Nella Repubblica Dominicana, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di San Francisco de Macorís, presentata dall'Ecc.mo Mons. Jesús María De Jesús Moya, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Santo Padre ha nominato il Rev.do Mons. Fausto Ramón Mejía Vallejo, del clero della diocesi di La Vega e attuale Rettore dell'Università Cattolica Teologica di Cibao (UCATECI) in Santo Domingo, nuovo Vescovo di San Francisco de Macorís.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Milano attende il Papa: nell’informazione vaticana, il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano e il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, alla vigilia del settimo Incontro mondiale delle famiglie.
Il primo voto euro guidato: nell’informazione internazionale, Luca M. Possati riguardo al referendum sul fiscal compact in Irlanda.
Religioso Lucrezio: in cultura, Marco Beck su una nuova versione del “De rerum natura” che illumina molteplici aspetti inerenti al contenuto e allo stile.
Giustino e la vita nuova: sui segni caratteristici del cristianesimo, un testo inedito del vescovo Luigi Padovese - Vicario Apostolico dell’Anatolia -, ucciso il 3 giugno 2010 in Turchia, le cui omelie e scritti pastorali sono ora raccolti nel volume “La Verità nell’amore”, a cura di Paolo Martinelli e con prefazione del cardinale Scola.
Un articolo di Marcello Filotei dal titolo “Una sinfonia in salita”: la nona di Beetohoven al Teatro alla Scala per la Giornata mondiale delle famiglie.
Quella terza via tra la fuga e la vendetta: sull’importanza del perdono nella vita familiare, il saggio di Camillo Regalia apparso sulla rivista “Vita e Pensiero”.
Il bello degli inizi: Silvia Guidi sulla presentazione del nostro mensile “Donne, Chiesa, mondo”.
Perché è importante studiare il greco e il latino: sulla ricerca dell’equilibrio necessario fra tradizione e innovazione, l’articolo di Giandomenico Mucci pubblicato sul numero in uscita de “La Civiltà Cattolica”.
Nell’informazione religiosa, un articolo dal titolo "La chiesa in Ucraina e la questione della lingua": fa discutere un disegno di legge sull’utilizzo del russo presentato in Parlamento.
Terremoto in Emilia: allarme per i danni all'economia, si muove la macchina della solidarietà
◊ Le terra trema ancora in Emilia, ma la notte trascorre più tranquilla tra la popolazione e le migliaia di sfollati che affollano le tendopoli. Intanto, dal governo arrivano i primi provvedimenti, accolti con ottimismo da cittadini e imprese: tagli alla spending review, aumento di 2 centesimi delle accise sui carburanti, rinvio dei versamenti fiscali e dei mutui. La voglia di ripartire c’è ma la paura è tanta, confermano i tanti volontari attivi sul territorio. Il servizio di Gabriella Ceraso:
Sono state oltre 70 le scosse di terremoto registrate da stanotte in Emilia Romagna, la più forte intorno alle 6 con magnitudo superiore a 3 intorno a Finale Emilia l'ultima dopo le 13. La terra non si ferma, dunque, mentre il bilancio delle vittime fortunatamente si è arrestato da ieri a 17 persone. Il lavoro della Protezione Civile ora procede su due fronti. Il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli:
“Stiamo facendo una serie di sopralluoghi anche perché la priorità è quella di fornire la più elevata assistenza ad un numero crescente di persone, anche con una pressante offerta di strutture alberghiere”.
32 i campi montati nelle ultime ore, più altre 46 strutture coperte per gli sfollati, il cui numero è salito a circa 15mila. “La gente collabora, le tendopoli funzionano”, dicono i volontari delle Misericordie e della Caritas locale. Ma incertezza e scoraggiamento sono da combattere, cdice don Giorgio Palmieri, il parroco di San Felice sul Panaro che conta tre vittime del sisma:
“Ci sono quelli che sono molto disponibili e si prestano con grande generosità per l’organizzazione, ma aumenta la stanchezza, c’è molto caldo fra l’altro; i più piccoli sono evidentemente in condizione di maggiore fragilità. Non so, naturalmente, se le misure di governo basteranno; credo che si dovrà fare il possibile per far ripartire il tessuto economico, perché da questo dipendono tante altre cose”.
Ieri, dunque, dal governo un primo sostegno finanziario, fiscale e bancario ai terremotati, a cui si aggiunge, però, fondamentale – dicono le Acli – la solidarietà in arrivo da tutta Italia. A questo proposito abbiamo raccolto la testimonianza del presidente delle Acli regionali, Walter Raspa:
R. – Questa è una regione "sana", una regione che anche in questa occasione sa rispondere a queste tragedie. Abbiamo visto l’impegno delle istituzioni in prima fila, anche verso le imprese: sono stati fatti già degli accordi e dei protocolli di intesa con le aziende. Quindi si è mosso un po’ tutto l’apparato regionale. C’è, sì, il pericolo della crisi perché è chiaro che in questi giorni di non lavoro ci saranno delle crisi. Però abbiamo visto anche che verso queste imprese, verso queste fabbriche c’è tanta, tanta solidarietà. All’interno del mondo Acli si sono mosse subito tutte le presidenze regionali; addirittura anche dall’estero, dalla Svizzera … Come Acli abbiamo aperto un conto corrente dove tutto quello che sarà raccolto sarà devoluto per le parrocchie, per gli asili e per le famiglie degli operai morti. Inoltre, le Acli di Modena hanno attivato un accordo con la Coldiretti, una proposta per tutti i circoli Acli di acquistare un chilogrammo di quelle forme di formaggio che si sono rovinate.
D. – “E’ la solidarietà che ci costituisce come comunità”, ha detto il vostro presidente Andrea Olivero. Il 2 giugno, infatti, voi avete pensato proprio di trasformarlo in una giornata per la solidarietà …
R. – Sì. Crediamo che in questa giornata un po’ tutta l’Italia si debba riconoscere in questo ed esprimere tanta solidarietà, non solo a parole ma anche con i fatti, i gesti”.
Sierra Leone. Condanna di Charles Taylor: la testimonianza di un missionario saveriano
◊ La condanna a 50 anni dell’ex presidente liberiano Charles Taylor per i crimini di guerra avvenuti in Sierra Leone tra il 1991 e il 2002 è stata accolta nel Paese africano come un segno di speranza in un nuovo futuro. A ribadirlo è l’arcivescovo di Freetown, mons. Edward Tamba Charles, che auspica che venga fatta giustizia anche nei confronti degli altri protagonisti delle atrocità commesse durante la guerra. Per la giustizia internazionale i ribelli guidati da Taylor commisero eccidi, stupri e brutalità di ogni tipo contro la popolazione civile inerme. A padre Gerardo Caglioni, missionario saveriano per 12 anni in Sierra Leone, Stefano Leszczynski ha chiesto come si sia potuti arrivare a un tale livello di crudeltà:
R. – Io faccio difficoltà a dare una spiegazione a dei comportamenti del genere. C’era forse qualcosa che è intervenuta nell’economia della guerra, per cui ad un certo punto delle logiche di potere hanno fatto sì che l’uomo venisse distrutto. Ma la gente della Sierra Leone normalmente è gente pacifica, è gente che non ama la guerra. Quindi, queste cose sono state costruite attraverso elementi esterni: la manipolazione, l’indottrinamento, ma anche attraverso droghe che venivano somministrate a chi combatteva, che perdeva la propria personalità.
D. – Un’esperienza del genere su un’intera popolazione che possibilità di riscatto lascia al Paese?
R. – Una delle impressioni che io ho avuto vivendo in mezzo a questa gente è che volessero a tutti i costi dimenticare quello che hanno sperimentato.
D. – Secondo lei, la notizia della condanna di Charles Taylor può dare un buon contributo alla ripresa del Paese?
R. – Io penso e spero proprio di sì, anche perché è un piccolo segno della condanna di uno di quelli che ha gestito, e in qualche modo ha alimentato e sostenuto, questa guerra, attraverso il suo appoggio esterno, anche economico, morale, politico, militare. Certamente, questo atto della comunità internazionale dà sollievo alla comunità della Sierra Leone.
Allerta internazionale sulla crisi greca, Irlanda al voto sul fiscal compact
◊ L’economia sempre al centro dell’attenzione internazionale. Ieri sera, colloquio telefonico tra il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il premier italiano, Mario Monti, il presidente francese, Francois Hollande, e il cancelliere tedesco, Angela Merkel. In primo piano l’emergenza Grecia, la possibile uscita di Atene dall’euro e la tenuta del sistema bancario in Europa. Intanto, l’Irlanda oggi è alle urne per il referendum sul fiscal compact, il patto di stabilità; un voto decisivo per non mettere a rischio la ripresa economica. Ma quali le conseguenze in caso di aggravamento ulteriore della crisi greca? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Carlo Altomonte, docente di Economia dell’integrazione europea all’Università Bocconi di Milano:
R. - I Paesi del’Unione Europea hanno a disposizione degli strumenti per limitare il contagio che dalla Grecia dovesse propagarsi verso le altre economie, in particolare verso quelle periferiche. Questi strumenti sono quelli già utilizzati da novembre in poi: il finanziamento a lungo termine della Banca centrale, l’acquisto di titoli sul mercato secondario, in particolare italiani e spagnoli, e l’uso del Fondo salva Stati per ricapitalizzare il sistema bancario. Dobbiamo, però, dire che questa capacità di far fronte all’incendio, che dovesse arrivare dalla Grecia, è limitata, come a dire: “Se c’è un incendio, arrivano i pompieri e lo spengono finché hanno acqua”. Poi deve esserci un impegno successivo che è quello di lavorare strutturalmente alla casa europea.
D. - Far ripartire la casa europea vuol dire creare anche un’economia concorrenziale con le altre economie mondiali forti, prima di tutto quelle orientali?
R. - Ci sono tre soluzioni, che sono i tre vertici di un triangolo, perché in realtà sono tre problemi collegati tra di loro: la crescita economica, il sistema bancario e il debito. Questi aspetti, in questo momento, stanno andando nel senso sbagliato, perché le banche non prestano soldi all’economia, in quanto sono gravate da titoli di debito rischiosi. Per questo l’economia va male, ma il fatto che l’economia va male peggiora la rischiosità del debito e il cerchio si chiude in negativo. Dobbiamo interrompere questa spirale negativa e, per farlo, avendo tre problemi, dobbiamo usare evidentemente tre strumenti. Sulla crescita abbiamo già iniziato. Ci sarà un vertice europeo a fine giugno proprio su questi temi; in agenda innanzitutto le riforme, di cui il mercato del lavoro è una degli architravi. Ma evidentemente la crescita è solo una piccola parte. Non possiamo pensare di avere crescita domani, se facciamo delle riforme oggi. Ci vorranno dei mesi, se non degli anni, perché l’economia riparta da un punto di vista della crescita di lungo periodo. Quindi, dobbiamo fare in modo anche di trovare delle risposte di portata più breve. Dobbiamo dunque lavorare anche sul fronte delle banche, su meccanismi di vigilanza europea del settore bancario. Quindi direi che i temi sono tre: la crescita, sulla quale stiamo lavorando, le banche, sulle quali dobbiamo iniziare a lavorare subito, perché costituiscono un tema che ci darà delle risposte molto velocemente, e sullo sfondo, tutta la questione degli Eurobond, le obbligazioni europee, e quindi della messa in comune del debito pubblico. Francamente penso che questo sia un problema più di medio periodo.
D. - Oggi l’Irlanda vota con un referendum sul fiscal compact. È un trattato sostenibile dai Paesi europei, soprattutto quelli più in difficoltà?
R. - Il fiscal compact è un primo passo nella direzione degli Eurobond. E’ come se la Germania dicesse: “Vi do la mia carta di credito, ma vi impongo dei limiti su quello che volete spendere”. Senza fiscal compact, senza quindi un impegno, anche forte ed eventualmente anche costituzionale degli Stati, a frenare la spesa, mancano i presupposti politici per iniziare a parlare di Eurobond. Con il fiscal compact approvato, integrato poi necessariamente dalla crescita, che ormai tutti abbiamo capito essere necessaria, si apre poi la strada per discutere seriamente di Eurobond. Il fiscal compact da solo non basta, perché la sola austerità ha degli effetti talmente negativi sulla crescita in questa fase, da compromettere poi tutta la stabilità complessiva del sistema.
Guerriglia e narcotraffico in Colombia: le Farc liberano il giornalista francese Langlois
◊ “Sono stato trattato bene, bisogna continuare a racontare questo conflitto”. Sono le prime parole, dopo la liberazione, del giornalista francese 35enne Romeo Langlois rapito il 28 aprile scorso e rilasciato, ieri, dalle Farc in Colombia. L'uomo è stato scortato fino al villaggio di San Isidro poco distante da dove era stato prelevato, dopo uno scontro a fuoco tra esercito e guerriglieri, costato la vita a tre militari in missione antidroga. Le Farc, da febbraio, hanno dichiarato la cessazione dei rapimenti a scopo estortivo, ma da più parti si ribadisce che molti sarebbero ancora i rapiti in mano ai guerriglieri, sempre più concentrati sul narcotraffico. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Andrea Amato, giornalista esperto dell’area ed autore del libro: “L'impero della cocaina. Dalla Colombia all'Italia fino agli Stati Uniti: viaggio in presa diretta nel traffico dell'oro bianco”, edito da Newton Compton:
R. - Dal 2002 ad oggi le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (Farc) hanno realizzato 3600 sequestri; hanno sempre meno l’appoggio della popolazione dei campesinos, anche se la metà della popolazione colombiana vive in stato di povertà. Molti analisti sostengono che a loro ormai basta esserci: mentre lo Stato colombiano deve vincere, a loro basta resistere.
D. - “Niente più sequestri di civili per scopi estortivi”, così le Farc a febbraio: ma da più parti molto denunciano che molti sono ancora i rapiti nelle mani delle Farc. E’ così?
R. - Secondo me, sì. Hanno ancora altri ostaggi: grazie agli ostaggi e al terrore che incutono con questi rapimenti riescono ancora a mantenere il controllo di vaste aree della Colombia, soprattutto quella della giungla vicino al Venezuela.
D. - Proprio la zona di confine venezuelana presenta, poi, delle ombre…
R. - Tant’è che loro vivono sul confine tra Colombia e Venezuela e quando sono alle strette passano questo confine, senza che Chavez agisca e di fatto bloccando le forze regolari, l’esercito colombiano sul confine. Ufficialmente, Chavez non ha mai fatto endorsement verso le Farc, ma è noto a tutta la Comunità internazionale la sua simpatia verso i guerriglieri marxisti colombiani.
D. - Le Farc nascono nel 1964 e tutt’oggi si dicono dalla parte dei poveri, contro le classi ricche e contro l’ingerenza degli Stati Uniti d’America negli affari interni della Colombia…
R. - Esatto. Sono partite nel ’64: erano 48 campesinos sfruttati e vessati dai latifondisti colombiani, hanno letto Marx ed hanno imbracciato le armi per combattere l’esercito e lo Stato. Da lì sono arrivati a 30 mila soldati. Oggi la loro prima ed unica occupazione è il narcotraffico: negli anni Novanta, quando i Cartelli di Medellin, di Escobar e anche di Calì sono stati eliminati dalla polizia, con l’aiuto dei soldi delle forze americane, il narcotraffico è finito in mano ai guerriglieri: da una parte le Farc di sinistra e dall’altra le “Autodefensas unidas de Colombia” - paramilitari di destra, nati politicamente per combattere le Farc - e che a un certo punto si sono trovati con questo tesoro in mano che era il narcotraffico.
D. - La Colombia che cosa gestisce del narcotraffico?
R. - Partiamo dall’assunto che le piante di coca crescono solo in Colombia, Perù e Bolivia. Il 60 per cento della coca prodotta nel mondo, viene prodotta in collina e quindi la Colombia è ancora oggi il primo produttore di cocaina. Ha perso un po’ di egemonia nel traffico, a favore dei Cartelli messicani, soprattutto per il Nord America e quindi Stati Uniti e Canada, hanno assunto il controllo verso est, oltre l’Atlantico e in favore della ’ndrangheta. Si presume però che mille tonnellate di cocaina all’anno, il 60 per cento viene fatto in Colombia.
D. - Una realtà contrastata anche dagli Stati Uniti. Che impatto hanno avuto le strategie di lotta avviate da Clinton nel ’99?
R. - La strategia voluta da Clinton nel ’99 ha caricato nelle casse colombiane miliardi e miliardi di dollari. La Colombia si regge metà sul narcotraffico e l’altra metà sulla guerra al narcotraffico: senza la cocaina e la lotta alla cocaina probabilmente in questo Paese non ci sarebbe un’economia!
D. - Ma questo concretamente come impatta sulla popolazione? Che cosa succede?
R. - L’economia della cocaina è fortissima: un campesinos che coltiva un ettaro a banane, guadagna un millesimo di quello che guadagna coltivando coca; non solo, se le autorità trovano nell’ettaro più di 20 piante di coca, gli viene sequestrata la terra; se invece un campesinos si rifiuta di coltivare coca su ordinazione dei narcos, viene ucciso.
D. - Una realtà, quella del narcotraffico, che purtroppo coinvolge - fra i primi attori - anche l’Italia…
R. - La ‘ndrangheta calabrese controlla il 60 per cento del traffico mondiale di cocaina. E’ assolutamente il primo "player" di droga del mondo ed è soprattutto l’interlocutore più affidabile per i nacors sudamericane, per i colombiani. Non c’è mafia più accreditata in Sud America come la ‘ndrangheta.
D. - Cosa bisognerebbe fare in concreto?
R. - Bisognerebbe avere dei governi non collusi con i narcos e colpirli nella fase successiva ossia il riciclaggio di denaro: loro hanno questa montagna di soldi liquidi che riciclano con una facilità impressionante grazie anche agli Stati off-shore. Obama, nella sua prima campagna elettorale, aveva detto che avrebbe portato al centro del dibattito internazionale l’eliminazione dei paradisi fiscali e questa cosa - ad un certo punto - è scomparsa dall’agenda politica di Obama, ma anche di tutta la Comunità internazionale. Questo è semplicissimo, perché il paradiso fiscale interessa sia le mafie e i narcos per riciclare i loro soldi, ma anche magari al piccolo imprenditore per far sparire il nero, l’evasione fiscale che fa. Finché non si colpirà la malavita sudamericana, europea, nordamericana nel portafoglio, difficilmente si riuscirà a vincere questa guerra!
Giornata mondiale senza tabacco. Ban Ki-moon: "L'industria del tabacco è sempre più aggressiva"
◊ "Mentre i governi e la comunità sanitaria internazionale tentano di implementare misure efficaci per contenere il consumo di tabacco e proteggere la salute delle persone, gli sforzi di un'industria i cui prodotti uccidono le persone sono andati volontariamente nella direzione opposta". E' la dura accusa del segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, in un messaggio in occasione dell’odierna “Giornata mondiale senza tabacco”. I dati sono drammatici: ogni anno oltre 5 milioni e mezzo di persone nel mondo muoiono a causa del fumo, inoltre, il tabacco aggrava la povertà dei Paesi a basso reddito dove, tra l’altro, si fuma di più. Adriana Masotti ha intervistato Giacomo Mangiaracina, direttore della rivista scientifica “Tabaccologia”:
R.- L’industria sta avversando in ogni modo la Convenzione Quadro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per il controllo del tabacco. Sono delle norme restrittive, firmate da 174 Paesi, che vanno dalla pubblicità dei prodotti del tabacco, ai divieti e così via. Ora, l’industria del tabacco ha reclutato fior di avvocati che stanno contrastando fortemente in alcuni Stati, in alcune nazioni, questi divieti, da un lato mettendo in evidenza lo spauracchio che i divieti facciano diminuire i profitti, quando invece la ricerca scientifica dimostra che nei Paesi dove si applicano i divieti nei luoghi pubblici e di lavoro, i profitti aumentano, la gente ad esempio va anche con i bambini al ristorante e così via; dall’altro lato, l’industria del tabacco contrasta queste norme facendo valere gli accordi internazionali sul pubblico commercio. Quindi, in altre parole è una guerra tra avvocati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità vuole esortare le nazioni a fare prevalere invece le motivazioni che riguardano la salute dei cittadini.
D. – Proprio per tutelare la salute, anche l’Italia ha varato nel tempo diverse leggi per contrastare il fumo, ma c’è chi oggi lancia un allarme dicendo che i risultati sono scarsi, che ad esempio è in crescita il numero dei giovani che fumano. Nonostante i divieti, appunto, i fumatori non la smettono con questa cattiva abitudine. E’ così?
R. – La legislazione antifumo è stata una delle migliori cose che l’Italia abbia potuto approntare nel campo del controllo del tabagismo. Il punto è che le norme da sole non bastano, ci vuole dell’altro: ci vuole proprio attuare delle misure di prevenzione rivolte ai giovani, quindi nelle scuole; occorre creare un fondo nazionale per la lotta al tabagismo. C’è una proposta di legge, ormai da tre anni, che è quella di estendere il divieto di fumo in tutte le aree scolastiche, comprese quelle esterne. Bisognerebbe abolire i distributori automatici di sigarette, bisogna elevare fortemente il costo delle sigarette. L’obiettivo è quello di scoraggiare l’accesso ai prodotti del tabacco ai giovani. Quindi, altro che tesserina magnetica da infilare nel distributore automatico di sigarette: bisogna abolire i distributori automatici! Ma sembra che questo non possa essere fatto, perché esiste un’interferenza dell’industria del tabacco. 12 milioni di consumatori danno al tabaccaio, ipotizziamo, 3 euro al giorno, moltiplicando 3 euro per 12 milioni, per 365 giorni, fanno quasi 20 miliardi di euro. Ecco, questo è quanto gli italiani spendono per il tabacco. Ed è per questo motivo che noi da anni, come Università “La Sapienza”, Unità di Tabaccologia, lanciamo un progetto, oltre a promuovere la buona musica, non contaminata dal tabacco. Abbiamo organizzato una serata “no smoking jazz”. Abbiamo inserito anche un progetto che si chiama “Spegni il fumo e accendi la vita”, dove noi diciamo che con i soldi di uno, due, tre, quattro, cinque pacchetti di sigarette si possono sostenere, per esempio, dei progetti nei Paesi più poveri del mondo.
D. – C’è anche il problema della dipendenza da fumo, che è la più difficile da sconfiggere. Su questo fronte si potrebbe fare di più?
R. – Forse, questo è il fronte su cui si è fatto di più, nel senso che sono stati creati dei centri di terapia per il tabagismo, dove abbiamo formato gli operatori, cioè persone in grado di curare la dipendenza tabagica. Non ci sono più, quindi, i metodi antifumo, esiste la terapia del tabagismo. Consideriamo il tabagismo come una qualsiasi patologia, come l’ipertensione o il diabete.
D. – E’ considerato quindi una malattia sociale…
R. – Esatto, è una malattia sociale di larga diffusione ed è una patologia da dipendenza. Quindi va curata con personale specializzato. Esistono anche dei farmaci. L’unica cosa da fare oggi, per uscire dal fumo, è rivolgersi ad una lista di centri per il tabagismo certificati, che sono nel sito del Ministero della Salute.
D. – Nel suo messaggio, Ban Ki-moon ricorda che sono i poveri a fumare di più e che l’uso del tabacco sta aumentando più velocemente nei Paesi a basso reddito...
R. – Perché è lì che stanno investendo le compagnie del tabacco: laddove la gente non può mangiare, può almeno sognare. Quindi, si vendono sogni. Molte volte in Paesi poverissimi il tabacco è più reperibile rispetto all’acqua. Questo è un problema che si aggiunge, però, ad altri ancora più importanti, che sono le deforestazioni per fare posto alle piantagioni del tabacco. Quindi non solo il danno alla salute, ma anche il danno all’ambiente: deforestazioni e poi impoverimento dei terreni, perché dove coltivi tabacco per uno o due anni non puoi coltivare altro. Questo significa che con il miraggio del benessere le popolazioni povere, in realtà, si impoveriscono ancora di più.
Presentata la 56.ma edizione della Biennale di Venezia
◊ La Biennale di Venezia ha presentato, ieri, il Festival di Danza Contemporanea, il Festival di Musica Contemporanea e il Laboratorio Internazionale di Arti Sceniche - settori diretti rispettivamente da Ismael Ivo, Ivan Fedele e Àlex Rigola – con ricchi e interessanti programmi che si svolgeranno tra giugno e ottobre prossimi. Il presidente dell’istituzione Paolo Baratta guarda però oltre all’evento, pensando alla Biennale come luogo di confronto e di opportunità formative per i giovani. Il servizio di Luca Pellegrini:
Alla Biennale di Venezia si fa musica, si crea danza, si rappresenta teatro: durante l’anno la più importante e nobile istituzione culturale italiana pone la città lagunare al centro di un crocevia artistico di insuperabile eccellenza. Il presidente Paolo Baratta ha chiare le finalità di ogni settore e affida giustamente ai rispettivi responsabili compiti che non rientrano esclusivamente nell'ideare un bel programma o assemblare titoli di richiamo, pur necessari. “College” è una parola che risponde bene al dovere educativo e formativo della Biennale, come conferma il suo presidente:
R. - Noi vorremmo essere un luogo di apertura, nel quale si offre la conoscenza e nel quale si offrono strumenti per chi vuol conoscere facendo o, se è già avviato sulla strada dell’arte, dove essere cimentato alla realizzazione di qualcosa. Noi siamo per così dire il marciapiede che sta fuori delle strutture istituzionali dedicate all’insegnamento e quindi alla pedagogia e cerchiamo di far attraversare la strada ai ragazzi che escono. Quindi, c’è semmai una grande disponibilità e un grande impegno a fornire a dei ragazzi l’incontro con la grande qualità nell’arte, l’incontro fertile di lavoro con i maestri, per un incontro dal quale possano nascere le grandi idee del loro futuro, le rinunce e nello stesso tempo quegli "schiaffi educazionali" che solo un grande maestro ti dà, perché ti fa vedere ciò che fino a poco prima non sei riuscito a vedere. Questa è la pedagogia di un’istituzione che appunto offre il fare come strumento del conoscere.
D. - Ci può dire a quale punto si trova il dialogo con la Santa Sede per la sua partecipazione nel settore dell’arte?
R. - Ci sono stati vari colloqui nei quali sono state ipotizzate soluzioni che a mio avviso sono di altissima qualità per quanto riguarda gli spazi e le modalità. Siamo ancora in una fase di definizione e non so quali siano gli ulteriori passi compiuti dal gruppo che se ne occupa, in particolare dal cardinale Ravasi, che desidera così intensamente il cimento con l’arte. Stiamo lavorando tutti, ciascuno per la sua parte, perché questa iniziativa possa compiersi e realizzarsi nel modo migliore.
Siria: il cardinale Turkson chiede vie diplomatiche per evitare una guerra internazionale
◊ “Proteggere la popolazione è il primo dovere di un governo. Prego affinché il governo siriano ascolti l’inviato speciale dell’Onu Kofi Annan, che sta lavorando molto per cercare di portare la pace in Siria. Non possiamo rischiare di nuovo un’altra guerra internazionale come in Libia”. Lo ha dichiarato ieri all’agenzia Sir il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Il porporato ha parlato a margine della conferenza stampa che ha concluso il simposio “Nuove sfide per i cattolici costruttori di pace”, organizzato nella sede del dicastero vaticano insieme a Caritas internationalis, al Catholic Peacebuilding Network e al Kroc institute for international peace studies of University of Notre Dame (Usa). Il cardinale Turkson ha fatto riferimento al dolore del Papa per la recente strage di Hula, in cui hanno perso la vita 180 persone, tra cui molti bambini. “Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare un’altra guerra internazionale, ha sottolineato il cardinale ghanese, connazionale di Kofi Annan. Riferendosi all’espulsione degli ambasciatori siriani da alcuni Paesi occidentali, il porporato si è detto contrario perché “questo non è – ha detto - il momento di tagliare i legami diplomatici. Chi lavora nelle attività di mediazione conosce il grande valore di mantenere vivo il legame, altrimenti – si è chiesto - come si fa a mandare un messaggio forte al governo?”. “Credo sia buono mantenere i legami – ha quindi ribadito il cardinale Turkson - per incoraggiare il governo siriano a rispettare il punto di vista della comunità internazionale. Dobbiamo trovare una via diplomatica per la pace, perché le bombe, in tutte le guerre, uccidono indiscriminatamente militari e civili”. Il simposio, che ha riunito in Vaticano una cinquantina di personalità da diversi Paesi del mondo coinvolti in azioni di pace - tra cui Nigeria, Sri Lanka, Uganda, Somalia, Repubblica democratica del Congo, Colombia, Myanmar, Uganda, Filippine - s’inserisce nelle iniziative per il 50mo anniversario dell’enciclica di Giovanni XXIII “Pacem in terris”, che ci celebrerà nel 2013. “Scopo dell’incontro - ha precisato il cardinale Turkson - è stata la condivisione di metodi per contrastare la violenza, riconciliare i gruppi e costruire la pace, anche attraverso il dialogo interreligioso”. Michel Roy, segretario generale di Caritas internationalis, ha sottolineato “l’importanza di agire insieme a livello internazionale. Oggi più che in passato è necessario – ha osservato - che tutte le componenti della Chiesa lavorino uniti per promuovere la pace, che non deve essere imposta dall’alto ma nascere dalla base”. (R.G.)
La Croce Rossa internazionale in aiuto ai 5 mila sfollati nella zona di Homs in Siria
◊ Notizie preoccupanti per la situazione dei civili in fuga per il conflitto civile in Siria. La portavoce del Comitato internazionale della Croce Rossa, a Damasco, Rabab Al Rifai ha riferito all’agenzia Misna sulla critica situazione nel governatorato di Homs, dove l’organizzazione umanitaria sta portando aiuti. “Almeno 5mila sfollati, soprattutto donne e bambini provenienti in particolare dal villaggio di Taldo - ha detto - si trovano in questo momento a Burj el Kay, altro villaggio dell’area di Houla distante circa 5 chilometri dai luoghi in cui la settimana scorsa hanno perso la vita oltre cento persone”. Agli sfollati che “stanno alloggiando in scuole, in altri edifici pubblici oppure sono ospiti di conoscenti” stiamo fornendo – ha aggiunto Rabab Al Rifai - generi alimentari e di prima necessità, acqua potabile, altri generi di conforto e prodotti per neonati”. Composta da diversi villaggi, abitati sia da comunità sunnite che alawite, l’area di Houla sarebbe stata teatro – scrive l’agenzia Misna - di nuove violenze ancora oggi con l’esercito che, secondo fonti vicine all’opposizione, avrebbe fatto uso di artiglieria pesante. In seguito ai fatti di Houla, sui cui stanno indagando gli osservatori della comunità internazionale da più di un mese presenti in Siria nel tentativo di monitorare un cessate-il-fuoco mai realmente entrato in vigore, diversi Paesi – tra cui Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Turchia e Stati Uniti – hanno espulso i rappresentanti diplomatici di Damasco attribuendo al governo la responsabilità della strage di Houla dove sono state uccise 108 persone e fra queste decine di bambini. Una parte dell’opposizione (il Consiglio nazionale siriano) ha a sua volta chiesto all’Onu di autorizzare un intervento armato, mentre oggi l’Esercito siriano libero – che riunisce combattenti anti-regime – ha dato un ultimatum al governo perché fermi entro venerdì le operazioni militari minacciando rappresaglie. La Russia continua invece a sostenere il presidente siriano Bashar Al Assad – che oggi ha ordinato il rilascio di 500 prigionieri – e il piano di pace messo a punto dall’inviato speciale di Lega Araba e Onu, Kofi Annan. Nelle sue ultime dichiarazioni, Annan ha invitato tutte le parti in conflitto a compiere “passi importanti”, a far tacere le armi e avviare negoziati per una soluzione politica del conflitto. (R.G.)
Sahel: 3 milioni i bambini che patiranno la fame entro la fine dell’anno
◊ Sono 18 milioni le persone che patiranno la fame nei prossimi sei mesi nella fascia del Sahel, a sud del Sahara. Tra questi, 1 milione di bambini sotto i cinque anni rischia la vita e altri 2 milioni vanno incontro a gravi problemi di malnutrizione. Sono queste le stime del Coordinatore degli Affari umanitari dell’Onu, David Gressly, il quale – riferisce l’agenzia Misna – ricorda che è la terza volta dal 2005 che questa zona soffre una crisi alimentare, “la più grave, perché la gente non ha fatto in tempo a risollevarsi dai due precedenti shock causati dalla siccità e da scarsi raccolti”. Il Sahel, già colpito dal conflitto in Libia, dalle crisi in Mali e Guinea Bissau e dalle minacce terroristiche in Nigeria, versa in una tragica situazione aggravata dall’aumento dei prezzi dei cereali, più alti fino all’85% rispetto alla media degli ultimi 5 anni, e altri rincari sono previsti fino al prossimo agosto. Si guarda con fiducia alla prossima Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, prevista a Rio de Janeiro dal 20 al 22 giugno prossimi, che avrà tra i temi portanti anche quello della lotta alla povertà. Secondo il documento preparatorio stilato dalla Fao “fin quando non verranno sradicate fame e malnutrizione, che colpiscono una persona su sette nel mondo, non si potrà parlare di sviluppo sostenibile”. (A.C.)
Congo: 80mila sfollati per il conflitto nel Nord Kivu. I timori dei missionari
◊ Da circa due settimane gli scontri tra l’esercito nazionale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) e i ribelli del Movimento del 23 Marzo (M23) sono concentrati su tre colline: Mbuzi, Chanzu e Runyonyi, nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu), vicino al confine con Uganda e Rwanda, obbligando la popolazione civile alla fuga. Secondo il Commissario Onu per i Rifugiati, Antonio Guterres, sono quasi 80mila le persone che hanno lasciato i loro villaggi per sfuggire ai combattimenti. I ribelli affermano di aver disertato l’esercito e fondato un loro nuovo movimento armato perché, secondo loro, il governo non avrebbe mantenuto gli impegni presi in occasione di precedenti accordi. “Se si tratta di rivendicazioni politiche, occorre ricordare che il Cndp, da cui i ribelli del M 23 provengono, è stato riconosciuto come partito politico, addirittura membro della maggioranza presidenziale. È all’interno di quella piattaforma che i ribelli avrebbero dovuto presentare le loro rivendicazioni, senza prendere le armi” afferma un editoriale inviato all’agenzia Fides dalla Rete Pace per il Congo, costituita dai missionari che operano nel Paese. “Se si tratta di rivendicazioni militari (stipendi, logistica, riconoscimento di gradi), i ribelli di oggi erano stati integrati nell’esercito nazionale, in base agli accordi precedenti e, quindi, dovrebbero far riferimento ai vertici della gerarchia militare. In ogni caso, qualsiasi rivendicazione, anche se giusta, non legittima in assoluto il ricorso alle armi. È dunque lecito sospettare che, dietro certe rivendicazioni ufficiali del M 23, ci siano delle mire nascoste” continuano i missionari di Rete Pace per il Congo. In realtà, le motivazioni presentate dai militari disertori sono solo pretesti per non accettare il loro dispiegamento in altre circoscrizioni militari diverse dai due Kivu, in modo da continuare la loro attività di sfruttamento illegale delle locali risorse minerarie. “I vari rapporti del gruppo degli esperti dell’Onu per la Rdc denunciano, a più riprese, l’implicazione di certi ufficiali delle forze armate congolesi , tra cui ‘il generale’ Bosco Ntaganda e ‘il colonnello’ Sultani Makenga, in circuiti mafiosi dediti al contrabbando dei minerali del Kivu. Non è un segreto. Nemmeno è un segreto che il commercio clandestino dei minerali passi soprattutto per il Rwanda, oltre che per l’Uganda e il Burundi, come denunciato anche dai rapporti citati” concludono i missionari. (R.P.)
◊ La Chiesa in Cina piange la scomparsa di mons. Ermenegildo Li Yi, Vescovo di Changzhi (Lu'an) nella provincia di Shanxi (Cina Continentale). Il presule è morto il 24 maggio scorso, nella memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani, e giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina: aveva 88 anni. Mons. Li Yi era stato ricoverato in ospedale in condizioni precarie di salute, dalle quali non si è più ripreso. Nato il 13 novembre 1923 nella città di Changzhi, mons. Li Yi da ragazzo decide di dedicarsi alla vita consacrata e, dopo gli studi nel Seminario minore diocesano, nel 1943 entra nell’Ordine dei Frati Minori, emettendo i primi voti religiosi. Terminati gli studi filosofici e teologici nei Seminari maggiori di Jinan e di Hankou, viene ordinato sacerdote il 6 febbraio 1949 ad Hankou. Dopo l’ordinazione insegna in una scuola secondaria a Macau ed è assistente nella parrocchia di Wangde, dove si prende cura in particolare dei rifugiati provenienti dal Nord della Cina. Nel 1951 entra nell’Università di Tianjin come studente di storia e, finiti gli studi nel 1955, svolge il lavoro pastorale nella parrocchia di San Francesco. Nel 1958 viene nominato parroco di Laojunzhuang, nel distretto di Tuanliu, nella sua diocesi d’origine di Changzhi. All’inizio della Rivoluzione Culturale nel 1966 è ingiustamente condannato al carcere, dove rimane fino al 1985, quando gli viene permesso di riprendere il lavoro pastorale nelle chiese di An Yang e di Machang. Il 28 gennaio 1998 è ordinato vescovo per la diocesi di Changzhi. Nel 2003, durante le celebrazioni congiunte per il suo 80º compleanno e del 50º anniversario di ordinazione sacerdotale, scrive i seguenti versi: “Ho camminato per ottanta anni nei travagli / Al tramonto della vita sono stato nominato Pastore di Lu’an / Non ho più ambizioni nell’intimo del cuore / Eccetto di avere la luce Divina come barca per il mio cammino / Non ho nulla per ricambiare la grazia immensa ricevuta / Sono un debole anziano, ma pieno di coraggio / Con le mie forze, affronterò umiliazioni e dure prove / Sebbene inadatto, farò di tutto con cuore sincero”. La diocesi di Changzhi (Lu’an) conta più di 50.000 cattolici: ha una cinquantina di sacerdoti, la maggior parte dei quali giovani, e 60 chiese, di cui 28 nuove. La Diocesi ha un dispensario, una casa per gli anziani e una per bambini portatori di handicap. Il presule, amato dai fedeli e da quanti lo hanno conosciuto, rimarrà come fulgido esempio di sacerdote per il clero cinese e di pastore premuroso e zelante per i suoi fedeli.
Tibet: madre di tre figli si dà fuoco davanti a un monastero buddista
◊ Ieri una donna, conosciuta col nome di Rechok, si è data fuoco davanti al monastero di Jonang Dzamthang, a Barma, nel Tibet orientale. La giovane, di appena 30 anni e madre di tre figli, è deceduta immediatamente, e il suo corpo è stato portato all’interno del monastero dove si sono riunite molte persone per partecipare alla cerimonia di cremazione. Il suicidio della donna è il terzo in pochi giorni, dopo l’auto-immolazione di due giovani che si erano dati fuoco domenica scorsa a Lhasa, la capitale della Regione autonoma del Tibet. È stata immediata la reazione del governo di Pechino: le forze di sicurezza stanno prelevando centinaia di persone nella capitale e, come riferito dal sito Radio Free Asia, le autorità cinesi hanno finora ordinato l’arresto di almeno 600 tibetani e l’espulsione di tutti i turisti e i pellegrini che si erano radunati nella zona per celebrare la ricorrenza del Saga Dawa. (A.C.)
Senato Usa: Glendon nominata nella Commissione per la libertà religiosa internazionale
◊ La professoressa Mary Ann Glendon, già ambasciatrice degli Stati Uniti presso la Santa Sede e attuale presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, è stata nominata dal Senato americano nuovo membro della U.S. Commission on International Religious Freedom–Uscirf), la nota Commissione incaricata di segnalare ogni anno al Segretario di Stato i Paesi che hanno commesso gravi e sistematiche violazioni della libertà religiosa o comunque da tenere sotto osservazione. La nomina è stata resa nota nei giorni scorsi. Docente di Diritto all’Università di Harvard ed esperta di bioetica, diritto comparato, diritto costituzionale e diritti umani, la Glendon è una nota sostenitrice del movimento pro-vita statunitense. Nel 1995 è stata a capo della delegazione vaticana alla Quarta conferenza mondiale sulle donne a Pechino, dove la sua dichiarazione contro l'uso dei profilattici nella prevenzione dell'Aids suscitò vivo clamore. Nel 2002 è stata nominata dall’allora presidente George W. Bush membro del Consiglio presidenziale di Bioetica, prima di diventare dal 2008 al 2009 ambasciatrice degli Stati Uniti presso la Santa Sede. Intervistata dalla catena televisiva Ewtn la prof.ssa Glendon si è detta “profondamente onorata” del nuovo incarico “soprattutto in questo momento in cui la libertà religiosa in tutti i suoi aspetti ha un particolare bisogno di essere tutelata negli Stati Uniti e nel mondo”. E in effetti la sua nomina giunge in un momento particolarmente delicato su questo fronte anche negli Stati Uniti, dove il tema della libertà religiosa è da tempo al centro delle preoccupazioni dell’episcopato. All’attenzione dei vescovi – come è noto - sono in particolare le nuove direttive sanitarie che obbligano tutti i datori di lavoro, compresi gli enti religiosi (con qualche limitata eccezione) a prevedere la copertura assicurativa per la prescrizione e la somministrazione di farmaci abortivi e anti-concezionali e interventi di sterilizzazione, ma anche le leggi statali che legalizzano le unioni omosessuali o che pongono ostacoli alle agenzie cattoliche che si occupano di adozioni o di servizi caritativi e che vogliono rispettare i propri principi morali. Proprio su questi temi è intervenuta nei giorni scorsi la stessa Glendon con un duro articolo pubblicato sul “Wall Street Journal” contro la riforma sanitaria dell’Amministrazione Obama in quanto lesiva della libertà religiosa. In questo clima di tensione, tra l’altro, si inseriscono anche i ripetuti tentativi compiuti l’anno scorso al Senato di impedire il rinnovo del mandato della Commissione per la libertà religiosa internazionale i cui finanziamenti sono stati comunque drasticamente ridotti quest’anno. (A cura di Lisa Zengarini)
Nigeria: confermato il rapimento di un ingegnere italiano
◊ È stata confermata questa mattina dal Ministero degli esteri italiano la notizia del rapimento in Nigeria dell’ingegnere italiano della società torinese di costruzioni Borini & Prono, sequestrato lunedì scorso nello Stato di Kwara da un gruppo di uomini armati. La Farnesina ha subito attivato l’Unità di Crisi, tenendo in costante aggiornamento i familiari. L’uomo, di circa settant’anni, è stato rapito alle 17.30, mentre monitorava un progetto di drenaggio sulla strada di Ola-Olu. David Odey, direttore dell’agenzia nigeriana PM News, che per prima ha diffuso la notizia, afferma che non è ancora chiaro chi ci sia dietro il sequestro, ma “non è impossibile che si tratti del gruppo Boko Haram”. Già nel marzo scorso avevano perso la vita in Nigeria altri due ingegneri, l’italiano Franco Lamolinara e l’inglese Chris McManus, dopo una detenzione durata 10 mesi. (A.C.)
Myanmar: mons. Bo sulle sfide per il ritorno alla democrazia
◊ “Il viaggio di Aung San Suu Kyi in Thailandia è sicuramente un ulteriore passo avanti per la democrazia in Myanmar”. Ha così commentato l’arcivescovo di Yangon, mons. Charles Bo, in un’intervista ieri all’agenzia Misna, la notizia del primo viaggio all’estero della parlamentare birmana, leader dell’opposizione che è in questi giorni in Thailandia, dopo 24 anni di prigionia nel proprio Paese. “La strada da fare è ancora tanta, - ha aggiunto il presule - sicuramente però gli avvenimenti dell’ultimo anno hanno trasformato il Paese, lo hanno reso più libero. Si respira un’aria nuova che sa di speranza”. Mons. Bo in questi giorni si trova a Roma per partecipare alla conferenza “New Challenges for Catholic Peacebuilding” promossa dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e da Caritas Internationalis. “Da un anno – ha osservato l’arcivescovo di Yangon – il nuovo governo ha aperto quasi improvvisamente a una serie di riforme e di iniziative che stanno effettivamente cambiando il volto del Myanmar. Per la prima volta i giovani parlano liberamente di politica, la nostra gente prova sensazioni nuove, comincia a conoscere senso e significato della libertà”. Secondo monsignor Bo, i motivi di questa graduale apertura da parte del regime militare sono da attribuire alle sanzioni internazionali, alla presenza in Myanmar della stessa Aung San Suu Kyi e alla presa di coscienza del regime di non poter andare oltre. Tuttavia esistono ancora alcuni passi avanti da compiere su certe questioni delicate, tra le quali “il peso dei militari che controllano direttamente il 25% dei seggi parlamentari”, ma anche “il problema costituito da conflitti interni come quello con i ribelli Kachin per il quale sono in corso negoziati” e infine “la crescente influenza della Cina e i controversi progetti di costruzione di alcune dighe lungo il corso dell’Irrawaddy, fiume di vitale importanza per l’agricoltura e i commerci”. (A.C.)
India: ancora nessun colpevole per il rogo alla chiesa del Kashmir
◊ Nessuna novità nel caso del rogo che ha rischiato di distruggere la chiesa Holy Family di Srinagar (Jammu e Kashmir), gettando la comunità cattolica in preda alla paura. A oltre una settimana dall'incidente, la polizia non ha ancora identificato i colpevoli, nonostante il parroco padre Mathew Thomas abbia loro fornito i video delle telecamere di sorveglianza. "Le immagini - spiega all'agenzia AsiaNews - non sono chiare, ma la polizia ha la possibilità di migliorarne la qualità". Secondo Predhuman Joseph Dhar, un brahmino indù kashmiri (pandit) convertito al cattolicesimo, l'apparente poca attenzione riservata al caso dalle autorità è indice della condizione di "abbandono" in cui si trova la comunità cristiana nello Stato. Secondo Dhar, quest'ultimo episodio "deve spingere la Chiesa in India ad aprire gli occhi in modo definitivo sulla situazione in cui vive la comunità cristiana qui". Il Jammu e Kashmir, unico Stato a maggioranza islamica e dotato di una propria costituzione, non riconosce le autorità ecclesiastiche come soggetti statali. "Questo - spiega il cattolico ad AsiaNews - ha indotto la Chiesa a credere che avere tre istituti scolastici fosse sufficiente come 'missione'". Ma educare e far crescere una comunità, aggiunge "passa anche per altro. Significa incoraggiare e sostenere soprattutto la popolazione locale, non solo chi proviene da altre parti del Paese per lavorare nei loro istituti". Per Dhar, il rischio è che i cristiani diventino vittime della stessa pulizia etnica subita dai pandit agli inizi degli anni '90 dai fondamentalisti islamici. Nel 1990, lui stesso ha dovuto lasciare il lavoro (capo dell'Ufficio educativo del governo) e il Kashmir, per trasferirsi nel Jammu. "Non ho ricevuto alcun aiuto, e anzi, il mio esilio forzato è stato minimizzato da molti. Adesso, nemmeno in Jammu i cattolici si sentono più al sicuro; in Kashmir, sono ormai ridotti a zero. Lo stesso a Ladakh". È meno negativo mons. Peter Celestine Elampassery, vescovo di Jammu-Srinagar. "La situazione è tesa - ammette -, è vero. I cattolici qui sono una minoranza e hanno paura di altri attacchi, sono preoccupati, e si sentono feriti per questa aggressione diretta al cuore della comunità. Tuttavia, la Chiesa in India ci sostiene con forza, ed è con noi nella ricerca dei colpevoli". (R.P.)
Cristiani nepalesi: i diritti promessi dal governo non siano pura propaganda
◊ Il governo nepalese garantirà i diritti e la rappresentanza politica ai cristiani. E' quanto emerge da un accordo in sei punti siglato nei giorni scorsi dalla Nepal Christian Federation e autorità nepalesi. Il memorandum non soddisfa i leader cattolici e protestanti che hanno forti dubbi sulla reale applicazione. Esso sarebbe solo una manovra dei partiti politici per raccogliere consensi fra le minoranze in caso di una elezione dell'Assemblea costituente. Quella eletta nel 2008 - riferisce l'agenzia AsiaNews - si è sciolta il 28 maggio scorso dopo la mancata consegna della nuova costituzione. Al primo punto, il governo si impegna a garantire i diritti e lo sviluppo delle minoranze cristiane; il secondo riguarda invece la possibilità per cattolici e protestanti di festeggiare oltre al Natale, già considerata festa nazionale, altre festività religiose senza essere discriminati sul posto di lavoro. Al terzo punto, le autorità assicurano la protezione di chiese ed edifici legati al culto. Il quarto prevede per la prima volta la possibilità di una rappresentanza in parlamento per i cristiani, a tutt'oggi senza deputati. Il quinto e il sesto punto riguardano la creazione con le altre minoranze di un gruppo di azione a sostegno dei partiti politici e la promozione dei diritti dei cristiani nella futura costituzione. Chirendra Satyal, delegato delle Chiesa cattolica, sottolinea che "i cristiani e tutta la popolazione nepalese sono stanchi delle promesse dei politici e dei continui cambi di governo. La maggioranza dei cattolici e dei protestanti è scettica rispetto all'accordo firmato con le autorità". Chari Bahadur Gahatraj protestante e segretario della Nepal Christian Federation dà un ultimatum ai leader del governo maoista: "Durante la monarchia indù siamo sempre stati emarginati. Dal 2007 il Paese è una repubblica laica, ma il nostro status non è cambiato. Se i politici non rispetteranno l'accordo siamo pronti a prendere severe misure in merito". In Nepal vivono circa 150mila cristiani, di questi circa 8mila sono cattolici. Con il crollo della monarchia indù nel 2006 e la nascita di uno Stato laico ai cristiani è stata concessa una maggiore libertà di culto. Nonostante siano ancora frequenti le discriminazioni da parte degli indù, le conversioni sono in crescita. Secondo le stime della comunità cattolica di Kathmandu ogni domenica sono circa 200 i non cattolici che assistono alla messa nella cattedrale. I casi di conversione sono ostacolati dalla maggioranza indù, che ha ancora molta influenza nel Paese e sulle sue autorità. La costituzione provvisoria garantisce a ciascun cittadino il diritto di professare qualsiasi credo. Tuttavia da circa un anno il parlamento discute un nuovo codice penale che vieta il passaggio da una religione all'altra e la diffusione di materiale religioso, con pene che possono giungere fino a cinque anni di carcere. Dopo il fallimento dell'Assemblea costituente guidata dai maoisti il Nepal si trova ad affrontare un pericoloso caos economico, politico e istituzionale che rischia di condurre il Paese al collasso, con la possibilità di scontri etnici che potrebbero coinvolgere anche le minoranze religiose. Oggi la Corte suprema ha contestato i tentativi del governo maoista di indire nuove elezioni per il prossimo novembre. I partiti di opposizione premono invece per le dimissioni del Primo ministro Baburan Bhattharai. Egli sarebbe il quarto Premier a dimettersi dal 2009. (R.P.)
Pakistan: giudici sotto pressione per applicare la “legge sulla blasfemia”
◊ La questione della “blasfemia” è un “buco nero” per il sistema giudiziario in Pakistan. I giudici pakistani sono sotto pressione per condannare a morte le persone accusate in base alla “legge sulla blasfemia”, mentre gli avvocati sono riluttanti ad assumere le difese degli imputati, a causa delle intimidazioni. E’ la denuncia di Gabriela Knaul, Relatore speciale delle Nazioni Unite sull'indipendenza dei giudici e degli avvocati, a conclusione di una visita di 11 giorni in Pakistan, in cui ha esaminato il sistema giudiziario del Paese. La “Legge sulla blasfemia” consiste in due articoli del Codice penale (il 295b e 295c) che chiedono la pena di morte per chiunque insulti l’Islam, il suo libro sacro o il profeta Maometto. Della legge si abusa spesso per dirimere questioni personali o faide familiari. Vittime di false accuse sono spesso cristiani e altre minoranze religiose. Come riferito all'agenzia Fides, Gabriela Knaul ha rimarcato che “i giudici sono costretti a decidere contro gli accusati, anche senza prove a sostegno” e che temono “rappresaglie da parte delle comunità locali”. La rappresentante Onu - riferisce l'agenzia Fides - ha sollecitato il governo pakistano ad affrontare le sfide esistenti per garantire l'indipendenza del sistema giudiziario. Padre James Channan, direttore del “Dominican Center for Peace” a Lahore, conferma che “le pressioni dei gruppi radicali ci sono e influenzano i giudici nei tribunali di primo grado. Lo abbiamo visto, ad esempio, fra gli ultimi casi di blasfemia, nella storia di Asia Bibi. A volte i cristiani accusati vengono assolti nell’appello all’Alta Corte o alla Corte Suprema. Ma anche i giudici che assolvono i presunti blasfemi finiscono sotto tiro degli estremisti. Il problema centrale resta l’abuso della legge sulla blasfemia. Il governo, che verbalmente si è più volte impegnato a fermare tali abusi, dovrebbe passare ai fatti. La questione non è nuova, ma siamo felici che venga sollevata a livello delle Nazioni Unite. Speriamo che tale presa di posizione abbia un impatto e che nei tribunali pakistani sia garantita la giustizia”. Nel 2011 due importanti figure politiche che hanno criticato la legge sulla blasfemia sono state uccise: il musulmano Salman Taseer, ucciso da una delle guardie del corpo a gennaio 2011, e Shahbaz Bhatti, l'unico ministro cristiano nel governo federale, freddato da militanti a marzo 2011. (R.P.)
Repubblica Dominicana: l'opera della Chiesa con gli immigrati haitiani
◊ Il cardinale Nicolas de Jesus Lopez Rodriguez, arcivescovo di Santo Domingo, ha lanciato ieri, un appello perché il governo della Repubblica Dominicana regolarizzi la documentazione dei figli degli haitiani che sono nati nel Paese. L'arcivescovo ha chiesto anche alla Repubblica Dominicana e ad Haiti, di raggiungere degli accordi per contribuire a risolvere questo problema. Nella celebrazione dell’Eucaristia che ha concluso la quinta riunione sulla migrazione e la mobilità umana, cui hanno preso parte i delegati delle Conferenze episcopali di Stati Uniti, Messico e dei Paesi del Centro America e Caraibi, il cardinale Lopez Rodriguez ha segnalato che la migrazione haitiana è un problema che si ripropone da molto tempo. La Chiesa cattolica ha denunciato, in diverse occasioni, che la Repubblica Dominicana ospita un gran numero di immigrati haitiani che soffrono costanti violazioni dei loro diritti. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, durante l'Incontro, che ha avuto come tema centrale "La Chiesa patria di tutti", si è parlato dei principali problemi della zona al riguardo: violenza, diritti umani, deportati, migranti vittime della tratta di persone, rapporti di frontiera, ecc. Il sacerdote Mario Serrano, Segretario esecutivo della Commissione Nazionale della Pastorale della Mobilità Umana della Conferenza episcopale Dominicana, ha confermato che a questo Incontro hanno partecipato esperti nella materia, e il lavoro svolto ha aiutato a condividere le sfide e ad articolare le sinergie di lavoro comune, per costruire processi volti a sradicare povertà, disuguaglianza ed esclusione sociale che provocano l'esodo forzato della popolazione. In attesa del documento conclusivo, ricordiamo che nel 2011, la riunione dei vescovi dell’emisfero si è svolta in Costa Rica. Per l’occasione è stato pubblicato un documento nel quale i Presuli hanno affermato “di essere testimoni della grande sofferenza dei migranti, dei loro Paesi e regioni”. Gli episcopati avevano chiesto ai rispettivi Governi di promuovere leggi giuste per la tutela giuridica dei migranti. I vescovi avevano anche ricordato che gli immigrati sono coloro che cercano lavoro, asilo o rifugio, così come sono le vittime della tratta di persone, un problema che ogni giorno viene segnalato da numerosi episodi di violenza. (R.P.)
Perù: la Chiesa chiede di fermare il conflitto nella zona di Espinar
◊ La prelatura di Sicuani, a Cusco, in Perù, ha pubblicato un rapporto sulla situazione attuale nella provincia di Espinar, dove si riportano diversi atti di violenza causati dal conflitto tra la popolazione e la società mineraria Xtrata che hanno causato 2 morti e 22 feriti (7 poliziotti e 15 civili), tra cui il Sindaco e il Comandante della Polizia di Espinar. Il rapporto osserva che il conflitto è il risultato di molti eventi verificatisi nel passato, a partire dalla prima mobilitazione del 2000: da quella data la popolazione continua a denunciare i gravi danni arrecati all’ambiente dalla società mineraria. Il rapporto sottolinea anche la quantità sproporzionata di forze di polizia presenti (tra i 1.200 e 1.500 uomini) che generano un clima di maggiore tensione e di diffidenza verso la possibilità di un dialogo con il governo e la società mineraria. Dopo gli ultimi incidenti registrati giovedì scorso, il rapporto chiede l'intervento dell'ufficio della “Defensoria del Pueblo” (Organismo del governo per la tutela dei diritti del cittadino) per le indagini. La Prelatura territoriale, nel suo rapporto, sottolinea anche la carenza di infrastrutture e di altri servizi all'ospedale di Espinar, come un'ambulanza, apparecchiature per i raggi X, specialisti per curare i feriti. La richiesta urgente della Prelatura è che il governo tolga lo "Stato d'emergenza" (imposto dopo gli scontri del 24 maggio) che dà pieni poteri alle forze dell’ordine e mette la città sotto il controllo completo della polizia, per poter iniziare un dialogo fra le parti. La popolazione chiede l’intervento del governo perché realizzi uno studio della zona per quanto riguarda la protezione dell’ambiente, come nel caso di Conga di Cajamarca. Con un comunicato intitolato "Il Dialogo è la via per costruire la Pace", firmato da mons. Salvador Piñeiro García-Calderón, arcivescovo di Ayacucho e presidente della Conferenza episcopale peruviana, anche i vescovi del Perù hanno fatto sentire la loro voce su questo conflitto. Nel comunicato, di cui copia è stata inviata all’agenzia Fides, i vescovi ricordano che la violenza frena lo sviluppo e genera l'odio fra fratelli e che occorre costruire una cultura della pace. Inoltre la vita deve essere protetta e rispettata, sia dalla comunità come dalle autorità. Perciò i vescovi chiedono il dialogo fra le parti per risolvere il conflitto immediatamente. Alle Forze dell'ordine si raccomanda di compiere il loro dovere senza l'uso della violenza. Infine la Conferenza episcopale offre la disponibilità della Chiesa cattolica a farsi mediatrice per il dialogo. (R.P.)
Mauritius: la Chiesa ribadisce la sua opposizione al progetto di legge sull’aborto
◊ La Chiesa è contro l’aborto: lo ribadisce mons. Maurice Piat, vescovo di Port-Louis, nelle Mauritius, sottolineando così l’importanza della tutela della vita sin dal concepimento. La dichiarazione di mons. Piat arriva nel momento in cui il Parlamento nazionale si appresta a votare un progetto di legge sulla legalizzazione dell’aborto in alcuni casi specifici, ovvero quando la gravidanza comporta, per la donna, il rischio della vita o di conseguenze gravi e permanenti sulla sua salute fisica e mentale; in caso di malformazioni del feto; se la donna resta incinta dopo un’aggressione sessuale, oppure ad un’età inferiore ai 16 anni o, ancora, in caso di incesto. Tale normativa, spiega mons. Piat, potrebbe “danneggiare la società” ed ogni cittadino deve “sentirsi responsabile” di questa situazione, poiché ciascuno è chiamato a “proteggere la vita dei nascituri”. Quindi, il presule lancia un appello alla coscienza dei deputati, dei medici e degli infermieri perché mettano in pratica “la saggezza umana”. L’auspicio del vescovo di Port-Louis è quello che “la dottrina della Chiesa non venga imposta alla società”, ma che tutte le religioni siano “a favore della vita” e che “anche i non credenti la rispettino”. Non è la prima volta che mons. Piat esprime il suo parere sul progetto di legge relativo all’aborto; già in passato aveva ricordato la posizione della Chiesa. Questa volta, però, il presule si è sentito particolarmente chiamato in causa dal capo dell’opposizione del governo mauriziano: nei giorni scorsi, infatti, Paul Bérenger aveva lasciato intendere che cattolici ed anglicani erano d’accordo sulla legalizzazione dell’aborto in casi estremi, come una gravidanza extra-uterina o l’asportazione di un cancro all’utero. Con qualche emendamento, dunque – sempre secondo il capo dell’opposizione – il progetto di legge sarebbe stato approvato anche dalla Chiesa. Di qui, la puntualizzazione di mons. Piat. Intanto, il movimento denominato “Piattaforma per la vita”, anch’esso contrario all’aborto, ha organizzato alcune iniziative: una veglia di preghiera da tenersi nella notte del 2 giugno davanti alla Cattedrale di Saint Louis, una raccolta di firme contro la normativa, ed uno sciopero della fame della durata di un mese, nel caso in cui il Parlamento approvasse il progetto di legge. (I.P.)
Kenya: il cardinale Njue benedice il progetto di un nuovo Centro per la famiglia
◊ “La famiglia deve affrontare numerose sfide oggi: matrimoni omosessuali, aborti omosessualità, ma la Chiesa continuerà ad educare e a difendere la causa di una famiglia forte”. Con queste parole il cardinale John Njue, arcivescovo di Nairobi e presidente della Conferenza episcopale keniana, ha benedetto nei giorni scorsi il terreno su cui sorgerà un nuovo centro del “Worldwide Marriage Encounter” (Wme), il noto movimento cattolico internazionale di formazione permanente per la vita di relazione e di dialogo in coppia e nella comunità ecclesiale. Il Centro – riferisce l’agenzia cattolica di informazione africana Cisa - si chiamerà “Love Gardens” (Giardini dell’amore) e avrà un costo stimato in 100 milioni di scellini keniani, pari a quasi un milione di euro. Il progetto prevede tre fasi: la costruzione di una Chiesa intitolata a San Valentino, la costruzione del centro e anche una casa di riposo per persone anziane. Il cardinale Njue ha espresso parole di grande apprezzamento per l’iniziativa: “Faremo il possibile perché il vostro sogno diventi una realtà”, ha detto l’arcivescovo di Nairobi durante la cerimonia, sottolineando che con il sostegno che esso darà alle coppie il nuovo centro contribuirà a rafforzare le famiglie che, ha detto, sono fondamentali per una Chiesa forte e per una società stabile. Fondato nel 1968 dal prete spagnolo Gabriel Calvo, il Worldwide Marriage Encounter è oggi presente in una novantina di Paesi. In Kenya è stato introdotto nel 1978 dal Servo di Dio Card. Maurice Michael Otunga. (L.Z.)
India: è morto il missionario gesuita francese Pierre Ceyrac, voce degli ultimi nel Paese
◊ Si è spento ieri mattina all’età 98 anni a Chennai (Madras), nel Tamil Nadu, il missionario gesuita francese padre Pierre Ceyrac, conosciuto in Francia e in tutta l’India per il suo straordinario impegno umanitario a favore degli ultimi. Nato nel 1914 da una famiglia borghese di Corrèze, padre Ceyrac era entrato nella Compagnia di Gesù giovanissimo e nel 1937, ad appena 22 anni, quando era ancora uno studente gesuita, aveva deciso di partire come missionario in India, Paese al quale avrebbe dedicato il resto della sua vita. Ordinato sacerdote nel 1945 e diventato responsabile dell'Associazione degli studenti cattolici dell'India (Aicuf), dopo un incontro con il Mahatma Gandhi iniziò a denunciare il sistema delle caste e decise di impegnarsi per gli intoccabili, i senzatetto e i lebbrosi, stabilendosi definitivamente nel Paese nel 1952. A questo periodo risalgono diversi suoi progetti e iniziative a favore dei contadini poveri del Tamil Nadu. Dopo un incontro con Madre Teresa, iniziò a dedicare le proprie energie alla cura degli orfani. Diresse vari orfanotrofi e coordinò a numerosi programmi di assistenza ai prigionieri, ai poliomelitici e ai dalit. Dal 1980 al 1993, è stato in Thailandia insieme a un gruppo di volontari del Jrs, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, per assistere i rifugiati cambogiani fuggiti dal regime dei Khmer Rossi in Cambogia. Tornato a Chennai ha continuato a lavorare per i bambini orfani e anche per le vittime dello Tsunami. Per il suo eccezionale impegno umanitario è stato insignito di diversi premi. Tra questi, nel 2003, il Gran premio dell'Académie Universelle des Cultures, conferitogli dall’allora Presidente francese Jacques Chirac e nel 2008 la Legione d’Onore, la massima onorificenza della Repubblica Francese. Di lui si ricorda una frase che amava ripetere spesso e che ben rappresenta la sua straordinaria personalità e umanità: “Nella vita non voglio altro da Dio: che la gente sia felice”. I funerali di padre Ceyrac si terranno sabato 2 giugno. (L.Z.)
2012 Anno delle Cooperative: la nona economia del mondo occupa 100 milioni di persone
◊ L’importanza delle cooperative nel mondo fonte di lavoro per milioni di persone e di trasmissione di valori di solidarietà. Se ne è parlato ieri a Roma, in occasione dell’insediamento alla Farnesina del Comitato italiano per l'Anno internazionale delle Cooperative 2012 proclamato dall'Onu. Sono un miliardo i soci delle cooperative nel mondo che danno lavoro ad oltre 100 milioni di persone. A fornire dati aggiornati su questa vitale realtà associativa è stato Giuliano Poletti, presidente di Legacoop, intervenuto a nome dell'Alleanza delle Cooperative (Confcooperative, Legacoop, Agci). “Le prime 300 cooperative del mondo – ha ricordato Poletti - danno vita alla nona economia” del Pianeta. In Europa sono 160 mila le imprese cooperative, con 123 milioni di soci e 5,6 milioni di persone occupate. Riguardo l’Italia il movimento cooperativo italiano - ha riferito Poletti - è il principale tra i Paesi europei, con 12 milioni di soci, 1,2 milioni di lavoratori, e 127 miliardi di euro di fatturato. “Sono aziende diverse dalle altre e si propongono come infrastruttura di una società – ha sottolineato il presidente di Lecacoop - in cui il cittadino, la persona è protagonista''. ''Le cooperative e la cooperazione di credito continuano a dare ottima prova di sé anche in momenti difficili”, ha aggiunto il presidente dell'Associazione bancaria italiana (Abi) Giuseppe Mussari, sottolineando che “la formula cooperativa ha garantito negli ultimi 10 anni la migliore qualità in termini di sviluppo e di occupazione. Un esempio virtuoso – ha detto - che andrebbe mutuato anche in altri settori''. Per il Ministero dello Sviluppo Economico è intervenuto Giuseppe Tripoli, garante delle Piccole e Medie imprese (Pmi), affermando che ''la cooperazione non è un retaggio del passato” ma “rappresenta una forma straordinariamente moderna e attuale sia per i problemi economici che ci troviamo ad affrontare sia per le forme di welfare più moderne. Coesione, mutualità e rapporto con il territorio – ha ricordato Tripoli - sono le specificità principali che hanno consentito alla cooperazione di svolgere una funzione ampiamente anticiclica. Hanno sofferto, ma hanno tenuto e creato occupazione aggiuntiva in alcuni settori. Le cooperative – ha concluso il garante delle Pmi - rappresentano uno straordinario strumento di avvio dei giovani al lavoro''. (A cura di Roberta Gisotti)
Irlanda: al Congresso Eucaristico di Dublino uno spazio speciale per i giovani
◊ All’ormai prossimo Congresso Eucaristico internazionale di Dublino, dal 10 al 16 giugno, uno spazio speciale sarà riservato ai giovani. A loro è dedicato il “Magis Ireland Congress Programme”, un’iniziativa inserita nel programma dello Spazio Giovani “Chiara Luce”, che vuole offrire agli iscritti l’opportunità di capire meglio e approfondire i temi trattati durante le giornate del Congresso attraverso un percorso interattivo di conoscenza. “Approfondisci e vivi l’esperienza di Magis durante il Congresso Eucaristico Internazionale”, è il titolo del programma aperto a giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. Tra le iniziative in calendario, a partire dall’11 giugno, un giro delle chiese cristiane di Dublino per incontrare giovani di altre tradizioni cristiane con cui condividere la propria esperienza di fede; una giornata in una parrocchia della capitale irlandese, o con una comunità itinerante per conoscere altre realtà culturali; un incontro con giovani rifugiati; la visita a un gruppo di malati di Aids e, infine, nella giornata conclusiva, una giornata dedicata ai media per approfondire il tema della diffusione della “Parola”. L’obiettivo del Programma - spiega la coordinatrice Anna Keegan - è di “mostrare l’Eucaristia in azione, ricordandoci come la nostra vocazione cristiana ci chiede di servire gli altri. Inoltre – aggiunge - esso vuole mostrare che il Congresso non riguarda solo un gruppo di persone, ma va oltre l’evento per coinvolgere tutta la comunità e invitare tutti a partecipare”. Nello Spazio Giovani sono attesi oltre 2.500 giovani che parteciperanno anche a catechesi, veglie di preghiera, concerti e momenti ricreativi. (L.Z.)
Incontro Mondiale delle Famiglie: a Milano anche famiglie cristiane palestinesi
◊ Una piccola rappresentanza sarà all'Incontro Mondiale delle Famiglie di Milano, ma sono sempre meno numerose le famiglie cristiane palestinesi e molte sognano di emigrare per garantire un futuro migliore ai propri figli. Oggi le famiglie arabo-cristiane dei Territori palestinesi sono circa 15 mila, per un totale di 50 mila fedeli. Si tratta di famiglie che stanno vivendo, in questi anni, una situazione di crescente difficoltà, si legge sul portale www.terrasanta.net.. «I problemi che devono affrontare pur essendo collegati tra loro, sono di due ordini diversi – racconta Bernard Sabella, professore di sociologia all'Università di Betlemme e autore di molti saggi sui cristiani arabi –. Da una parte c’è l’occupazione israeliana, le cui conseguenze i palestinesi cristiani condividono con la maggioranza musulmana; dall’altra il numero dei cristiani arabi diminuisce costantemente in termini relativi, e questo mette a rischio la sopravvivenza stessa della loro comunità». Nella città di Gerusalemme, ad esempio, nel 1988 i cristiani erano 14.400, contro una popolazione di 353.800 ebrei e 125.200 musulmani. Venti anni dopo, nel 2009, il numero di cristiani è cresciuto di poco (14.500), mentre quello di ebrei (763.500) e musulmani (264.300) è addirittura raddoppiato. «L’occupazione è dura per tutti, cristiani e musulmani, e tutti nei Territori vivono i disagi della crisi economica e della disoccupazione – spiega Sabella –. Ma per la comunità cristiana le conseguenze sono peggiori, poiché la sua consistenza numerica è già limitata in partenza. Oggi, ad esempio, nella città vecchia di Gerusalemme le giovani donne cristiane in età da marito sono 109, mentre i giovani cristiani solo 85, poiché tanti sono emigrati all’estero per studiare o lavorare. Questo significa che molte ragazze cristiane sono destinate a rimanere nubili; e che il numero delle famiglie cristiane è destinato a diminuire». Un altro problema, poi, è legato al basso tasso di natalità proprio delle famiglie arabe cristiane. «I miei genitori hanno avuto otto figli – racconta Sabella -, io ne ho avuti tre. E i miei due figli sposati ancora non ne hanno. Le famiglie cristiane palestinesi stanno adottando tassi di crescita demografica occidentali; le giovani coppie alimentano aspettative tipiche della classe media europea, come il sogno di una buona istruzione per i figli e di un buon lavoro. Anche per questo il nostro tasso di natalità è diminuito e si attesta intorno all’1,5 o al 2 per cento; pur essendo positiva, si tratta di una percentuale inferiore a quella della più numerosa comunità musulmana. Il problema inoltre è che il tasso di emigrazione della comunità cristiana è dell’1 per cento all’anno». «In ogni caso uno dei problemi centrali è quello dell’instabilità politica – continua Sabella – se potessero immaginare una vita normale per i propri figli, molte famiglie cristiane rimarrebbero in Palestina. La situazione è migliore, invece, per i cristiani arabi che vivono in Israele. In una città come Haifa, ad esempio, i cristiani arabi vivono in pace con musulmani ed ebrei ed è possibile progettare il futuro». (T.C.)
Austria: istituita a Vienna una Piattaforma delle Chiese e delle comunità religiose
◊ Le comunità religiose riconosciute in Austria hanno fondato una "Piattaforma delle Chiese e delle comunità religiose". Lo ha riferito l'agenzia di stampa cattolica austriaca Kathpress ripresa dall’agenzia Sir. L'istituzione della piattaforma, avvenuta a Vienna il 24 maggio presso i locali della Conferenza episcopale austriaca, segna un ulteriore passo avanti nella collaborazione tra le comunità religiose soprattutto su temi di natura politica e giuridica. La piattaforma è aperta a tutte le 14 Chiese e comunità religiose riconosciute dallo Stato austriaco. L'incontro è stato dedicato ad uno scambio di opinioni sugli sviluppi politici e giuridici che hanno ripercussioni sulle comunità religiose. Oltre alle questioni sull'esercizio della libertà religiosa, i colloqui che si svolgeranno con cadenza periodica saranno dedicati anche al contributo che le Chiese e le comunità religiose possono offrire per la convivenza pacifica in Austria. All'incontro istitutivo della piattaforma hanno partecipato, tra gli altri, il segretario generale della Conferenza episcopale austriaca, Peter Schipka, il vescovo evangelico luterano, Michael Bünker, il presidente della Comunità di fede islamica, Fuat Sanac, il rabbino Schlomo Hofmeister per la comunità di religione israelita e il presidente della comunità buddista, Gerhard Weißgrab. (L.Z.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 152