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Sommario del 25/05/2012
Il Papa concede l'Indulgenza plenaria a chi partecipa all'Incontro delle Famiglie a Milano
◊ Benedetto XVI concede l’Indulgenza plenaria ai fedeli che parteciperanno a qualche funzione durante l’Incontro Mondiale delle Famiglie che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno. Lo afferma un decreto della Penitenzieria Apostolica, pubblicato oggi. L’indulgenza - che potranno ottenere anche quanti, impossibilitati a recarsi a Milano, saranno uniti spiritualmente all’evento - richiama l’esperienza del perdono all’interno della famiglia: una dimensione fondamentale del vivere familiare. Ascoltiamo in proposito la testimonianza di Pietro Savarese, che assieme alla moglie e alle due figlie di 1 e 3 anni, partirà da Roma per partecipare al raduno di Milano. L’intervista è di Debora Donnini:
R. – In un certo senso posso dire che noi siamo ancora sposati perché, appunto, ci perdoniamo, ci riconciliamo. Questo è un po’ il segreto del matrimonio ma anche di qualsiasi relazione sociale: riuscire a voler bene all’altro per come è. Il problema è che questa è una cosa che viene dall’Alto, non è una cosa dell’uomo. Per me, e anche per mia moglie, a volte è difficile accettarci per come siamo. Per questo, dicevo, è un dono di Dio e quindi è un’ottima notizia questa dell’Indulgenza plenaria, perché io posso perdonare mia moglie solo se, a mia volta, mi sento perdonato da Dio per quello che sono. Quindi è un’ottima notizia veramente, ringraziamo il Santo Padre …
D. – Lei e sua moglie avete entrambi 31 anni, portate avanti anche un gruppo del dopo-Cresima. Questa è un’esperienza importante, anche per voi, come coppia?
R. – Sì, è un’esperienza veramente bella che facciamo, in un certo senso, anche per gratitudine per tutto quello che dalla Chiesa abbiamo ricevuto, anche seguiamo un cammino di fede … Questa del dopo-Cresima è un’esperienza che ci consente, una volta alla settimana, di stare con i ragazzi, di aiutarli nei loro problemi, di pregare insieme a loro, studiare le Scritture … Quindi ci aiuta molto non solo ad aiutare loro, ma anche come famiglia: è una cosa che si fa anche con i figli e quindi è un’esperienza che veramente ci fortifica come coppia.
D. – Ci sono anche momenti in cui pregate insieme e in qualche modo cercate di trasmettere la fede, ma anche forse insegnate a perdonare, anche ai figli, anche se ancora piccoli?
R. – Certo, anche da piccoli hanno bisogno di essere educati alla fede. La domenica mattina facciamo le Lodi, preghiamo tutti insieme come famiglia. E’ molto importante per i bambini: è normale che vedano i genitori litigare – sarebbe strano il contrario - ma è molto importante che vedano poi una riconciliazione, che ci sia, appunto, un perdono. Anche per dare loro la speranza che tra di loro possono perdonarsi, perché questo non è un problema che riguardi solo gli adulti: ogni essere umano pensa sempre di avere ricevuto un torto …
D. – Quale parola vi aspettate da Benedetto XVI in occasione di questo incontro per le famiglie in un momento storico in cui la famiglia vive molti attacchi?
R. – Andiamo lì, naturalmente, per stare vicini al Santo Padre, fargli sentire che le famiglie cristiane sono con lui. Più che altro, però, penso che sia una testimonianza proprio per la società: che la famiglia cristiana non è né un modello decadente che non vale nulla, né è una realtà che non esiste più. Ci saranno migliaia di famiglie da tutto il mondo, sarà veramente una bellissima festa per dimostrare proprio questo: la bellezza di questo modello della famiglia cristiana. Se guardiamo la società in cui viviamo, i divorzi e le separazioni stanno aumentando sempre più. Perché? Proprio per l’assenza di perdono. Ma non perché la gente sia cattiva e quindi vuole separarsi o divorziare, ma perché non ha ricevuto questo perdono dall’Alto, non lo conosce. Allora noi andiamo lì proprio per far conoscere che c’è una possibilità di volersi bene per quelli che siamo. Naturalmente, ci attendiamo una parola, un aiuto da lui che è il capo della Chiesa, che ci conforti nei nostri problemi, nelle nostre difficoltà di tutti i giorni, che possa darci una speranza. Anche perché oggi non è facile vivere come una famiglia cristiana in una società che si è scristianizzata, e quindi aspettiamo veramente con ansia una parola forte del Santo Padre.
D. – Ieri proprio il Papa, nel discorso ai vescovi italiani, ha detto che la nuova evangelizzazione ha bisogno di persone adulte nella fede, quindi che approfondiscano l’esperienza della fede. Voi sentite, come famiglia, che avete una missione nella Chiesa?
R. – Sì. Ogni cristiano ha una missione: quella, appunto, di mostrare questa speranza che viene dall’amore di Gesù Cristo per ogni uomo. Questo che ha detto il Santo Padre è fondamentale perché, appunto, invita a riscoprire anche la propria fede, le proprie radici, il proprio battesimo. A volte il cristiano ha questo seme piantato dentro di sé che però ancora non è germogliato, non è venuto fuori come una pianta. E allora, veramente penso che sia importante per tutti - per ogni cristiano, per ogni famiglia cristiana - dare testimonianza e mostrare che c’è una possibilità di essere felici su questa terra, conoscendo Gesù Cristo.
Benedetto XVI riceve il premier ceco: impegno a un dialogo costruttivo tra Stato e Chiesa
◊ Il Papa ha ricevuto stamani il primo ministro della Repubblica Ceca, Petr Nečas. Nel corso dei cordiali colloqui, informa una nota della Sala Stampa vaticana, dopo aver ricordato il viaggio apostolico del Papa nella Repubblica Ceca nel 2009, sono stati passati in rassegna alcuni temi di comune interesse. “Circa il disegno di legge sui beni ecclesiastici, attualmente all’esame della Camera dei Rappresentanti – informa il comunicato – si è auspicato che il processo legislativo si concluda con equità, in modo da rispettare effettivamente il contributo che la Chiesa Cattolica offre all’intero Paese”. Le due parti, conclude la nota, “hanno confermato la volontà di regolare tramite un Accordo le relazioni tra lo Stato e la Chiesa e il proposito di mantenere un dialogo regolare e costruttivo ai diversi livelli istituzionali”.
Oggi pomeriggio, alle ore 16, il primo ministro ceco, Petr Nečas, partecipa alla celebrazione eucaristica nella Basilica romana di Santa Prassede, dove viene inaugurato l’Anno Giubilare dei Santi Cirillo e Metodio. L’Anno è inaugurato dal cardinale Dominik Duka, arcivescovo di Praga e presidente della Conferenza episcopale ceca, e da mons. Jan Graubner, arcivescovo di Olomouc. Sempre oggi, alle ore 20, si svolgerà un concerto nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove la traduzione in lingua veteroslava dei due fratelli evangelizzatori del mondo slavo fu approvata e autorizzata dal Papa Adriano II nell’anno 867. Le celebrazioni sono patrocinate dal primo ministro ceco, Petr Nečas, dal cardinale Peter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (Ccce), dalla Conferenza episcopale ceca in collaborazione con il Ministero della Cultura della Repubblica Ceca e la città di Zlín.
Vaticano. Padre Lombardi: individuata una persona in possesso illecito di documenti riservati
◊ Rispondendo a delle domande della stampa, padre Federico Lombardi ha affermato che “l’attività di indagine avviata dalla Gendarmeria" sulla diffusione di documenti riservati vaticani "secondo istruzioni ricevute dalla Commissione cardinalizia e sotto la direzione del Promotore di Giustizia, ha permesso di individuare una persona in possesso illecito" di tale materiale. “Questa persona – ha aggiunto il direttore della Sala Stampa vaticana - si trova ora a disposizione della magistratura vaticana per ulteriori approfondimenti”.
Ior: il Consiglio vota la sfiducia al presidente Gotti Tedeschi
◊ Ieri, informa la Sala Stampa vaticana, il Consiglio di sovrintendenza dello Ior, l’Istituto per le Opere di Religione, “ha adottato all’unanimità un voto di sfiducia del presidente”, Ettore Gotti Tedeschi, “per non avere svolto varie funzioni di primaria importanza per il suo ufficio”. Il Consiglio, si legge nel comunicato, ha “adottato una mozione di sfiducia” del presidente Gotti Tedeschi ed “ha raccomandato la cessazione del suo mandato quale presidente e membro del Consiglio”. I membri del Consiglio, si legge ancora, “sono rattristati per gli avvenimenti che hanno condotto al voto di sfiducia, ma considerano che quest’azione sia importante per mantenere la vitalità dell’Istituto”. Il Consiglio, prosegue la nota, guarda adesso avanti al processo di “ricerca di un nuovo ed eccellente presidente, che aiuterà l’Istituto a ripristinare efficaci ed ampie relazioni fra l’Istituto e la comunità finanziaria, basate sul mutuo rispetto di standards bancari internazionalmente accettati.” Oggi si riunisce la Commissione cardinalizia per trarre le conseguenze della delibera del Consiglio e decidere i passi più opportuni per il futuro.
Il dicastero per la pastorale dei migranti partecipa all'incontro del Consiglio d'Europa sui Rom
◊ Si è concluso oggi a Skopje, nella ex-Repubblica Yugoslava di Macedonia, il terzo Incontro del Comitato ad hoc per le questioni Rom del Consiglio d'Europa. All’appuntamento ha partecipato il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e Itineranti. Patricia Ynestroza ha intervistato padre Gabriele Bentoglio, sottosegretario del dicastero, presente a Skopje, chiedendogli un bilancio dell’incontro:
R. - Questo incontro è stato molto importante, perché ha affrontato alcune dichiarazioni importanti, come quella sull’antiziganismo e la violenza razzista, approvate dal Consiglio dei ministri a febbraio di quest’anno. Questo terzo incontro ha affrontato tre temi molto importanti. Il primo quello della casa; il secondo, l’educazione; e, il terzo, il rapporto con le autorità locali a livello nazionale, ma anche e soprattutto a livello delle municipalità, perché è lì che poi si gioca il rapporto delle comunità Rom con le istituzioni governative.
D. - Quali questioni sono state più al centro dell’attenzione in questo incontro?
R. - In particolare è stato sottolineato il tema dell’educazione in maniera forte. Partendo dal discorso della formazione scolastica e constatando in modo particolare il fatto che i ragazzi Rom o non frequentano per nulla la scuola dell’obbligo o molto presto finiscono per assentarsi, per non frequentarla e quindi non concludono il percorso scolastico con una formazione, anche minima, di base che consente poi l’accesso al mondo del lavoro e l’ingresso in una società che richiede sempre più persone qualificate professionalmente. Ora si raccomanda al Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa un’attenzione particolare a queste tre dimensioni: la questione abitativa per i Rom, la questione educativa per i ragazzi, le ragazze e i bambini Rom e, infine, il rapporto con le autorità locali e in particolare con le municipalità.
◊ Il Papa ha ricevuto stamani, in successive udienze, il cardinale João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, con il Segretario del medesimo Dicastero e mons. Joseph William Tobin, Arcivescovo tit. di Obba. Nel pomeriggio, riceverà in udienza il cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.
In Nigeria, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Lagos in Nigeria presentata dall’Ecc.mo Card. Anthony Olubunmi Okogie in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico e ha nominato Arcivescovo di Lagos, S.E. Mons. Alfred Adewale Martins, trasferendolo dalla Sede di Abeokuta.
Il Santo Padre ha nominato Membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche l'Illustrissimo Professore Gert Melville, Docente di Storia Medievale all'Università di Dresden Repubblica Federale di Germania.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Decreto della Penitenzieria Apostolica: indulgenze in occasione del settimo Incontro mondiale delle famiglie.
Nell'informazione internazionale, sulla Giornata per la coesione del continente, un articolo di Pierluigi Natalia dal titolo "Le Afriche che non si uniscono".
In cordata per recuperare l'identità perduta: in cultura, l'arcivescovo Jean-Louis Bruguès, segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica, su Luigia Tincani e il ruolo dell'educazione per una vera ricostruzione della persona.
Un articolo di Edoardo Aldo Cerrato dal titolo "Il segreto di un sorriso perenne": nell'ascesi dell'umiltà la radice del leggendario buon umore di san Filippo Neri.
Nell'informazione religiosa, gli interventi dell'arcivescovo di Santiago del Cile, monsignor Ricardo Ezzati Andrello, del segretario aggiunto della Conferenza episcopale del Paraguay, Roque Costa Ortiz, e del gesuita messicano, Alex Zatyrka, all'assemblea semestrale dell'Unione superiori generali,che ha analizzato le prospettive della missione della vita consacrata in America Latina e nei Caraibi.
Il cardinale Antonio Maria Vegliò sulla condizione delle donne nelle migrazioni forzate.
Il riformatore della Chiesa: Herman Geissler, della Congregazione per la Dottrina della Fede, sull'opera dello Spirito Santo.
Crisi economica: l'Europa s'interroga su come far ripartire la crescita
◊ Meno tasse e più sviluppo. Questo è lo slogan che, di fronte al perdurare della crisi, sta raccogliendo sempre più consensi in Europa. Dopo un primo momento di sacrifici, l’obiettivo è ora quello di far ripartire la macchina economica, consentendo a privati, famiglie e imprese di ravvivare il mercato. Tutto questo, mentre è sempre forte la preoccupazione di un’uscita dall’Euro della Grecia e le Borse reagiscono in maniera altalenante alla situazione. Ma in quale modo è possibile favorire oggi la crescita? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Angelo Stefano Baglioni, docente di Economia Monetaria all’Università Cattolica di Milano:
R. – Il primo punto è cercare di alleggerire la pressione fiscale. Per fare questo, bisogna spezzare la spirale creata dal raggiungimento di ambiziosi target di bilancio; recessione, mancato raggiungimento degli obiettivi e quindi ulteriori strette fiscali. Per spezzare questo circolo vizioso, bisogna rendersi conto che in una fase di recessione non si possono rispettare rigidamente i target di bilancio prefissati. Ci sono poi alcune iniziative che si possono intraprendere per alleggerire il carico fiscale. Ad esempio: i famosi Eurobond sarebbero uno strumento decisivo per ridurre l’onere degli interessi per gli Stati che, come l’Italia, pagano elevati tassi di interesse sul debito pubblico e questo potrebbe consentire un alleggerimento della pressione fiscale.
D. – In pratica, la ricetta è far circolare di più il denaro, mettendo più soldi in tasca ai privati ed alle imprese...
R. – Sì. Alleggerire la pressione fiscale vuol dire questo. Bisogna cercare anche di ridurre la spesa, naturalmente. Tagliare qualche spreco e qualche spesa della pubblica amministrazione in modo da avere poi i margini per ridurre la pressione fiscale o, quantomeno, per non aumentarla.
D. – La Germania ha, in Europa, una florida situazione economica. Qual è la differenza tra la situazione tedesca e le situazioni depresse di altri Paesi europei, Italia compresa?
R. – La Germania ha vissuto, negli scorsi 10-15 anni, un processo molto forte di ristrutturazione del suo sistema industriale. Ha tenuto bassi i salari ed ha aumentato la produttività. Si presenta quindi molto competitiva sui mercati internazionali.
D. – E quale potrà essere il ruolo delle banche che, tra l’altro, qualche mese fa hanno avuto dalla Banca Centrale Europea un prestito di oltre 500 miliardi di Euro?
R. – Il ruolo delle banche dovrebbe essere quello di finanziare maggiormente le imprese e le famiglie. Questo, purtroppo, non sta avvenendo: quei soldi che sono stati erogati dalla Banca Centrale Europea vengono momentaneamente usati per sostituire e rimborsare le obbligazioni che le banche avevano emesso. La banca, quando queste obbligazioni vengono a scadenza, anziché emettere altre obbligazioni – che sarebbe molto costoso - utilizza i soldi che ha avuto in prestito dalla Bce all’1 per cento. I soldi sono stati usati dalle banche anche per acquistare titoli di Stato, lucrando sulla differenza tra il rendimento dei titoli di Stato di alcuni Paesi – come l’Italia – e, appunto, quell'1 per cento, che è il costo del finanziamento della Bce. La Banca Centrale Europea ha fatto queste operazioni con l’esplicita finalità di far andare questi soldi alle imprese. Ma questo, finora, non è avvenuto e la Banca Centrale Europa continua a sostenere che è un processo lento. Personalmente sono un po’ scettico, ma comunque staremo a vedere.
Afghanistan: visita a sorpresa di Hollande, ritiro delle truppe entro il 2012
◊ In Afganistan, il neopresidente francese Francois Hollande, ha confermato, come annunciato in campagna elettorale, il ritiro delle truppe entro il 2012. Il capo dell’Eliseo, in una visita a sorpresa, parlando ai militari francesi dispiegati nella provincia nord-orientale di Kapisa, ha sottolineato che la decisione appartiene alla “sovranità della Francia” e che il ritiro sarà coordinato con le forze della Nato. Intanto, sul terreno non si arresta la violenza. Tre bombe in diverse zone del Sud hanno ucciso complessivamente tre persone e ne hanno ferite nove. Massimiliano Menichetti ha parlato del rientro in patria dei soldati francesi con Pietro De Carli, esperto di cooperazione per diversi anni a Kabul ed autore del libro “Afghanistan nella tempesta. La farsa della ricostruzione”, edito dal Gruppo "Albatros Il Filo":
R. - Diciamo che c’è un processo che va in questa direzione, tant’è che anche dal Vertice della Nato di Chicago è stata presa la decisione che entro il 2015, comunque, la Comunità internazionale lascerà l’Afghanistan, anche se lo sosterrà economicamente. L’esito fallimentare di quest’operazione, che si è protratta in questo decennio, ha portato purtroppo a questo risultato: al momento questa è l’unica via di uscita che la Comunità internazionale ha intravisto, anche se con maggior gradualità rispetto alla Francia. Il pericolo, comunque, è che l’Afghanistan - anziché stabilizzarsi - ricada nuovamente in una guerra civile.
D. - In uno scenario come quello afghano, però, molte comunque sono state delle iniziative che hanno puntato alla ricostruzione, anche se di questo non se ne è parlato molto. E’ così?
R. - Sì, in effetti non c’è stata molta divulgazione su ciò che è stato fatto. E penso a tutti i progetti di emergenza umanitaria che sono stati fatti dalle Nazioni Unite, nei quali tutti i Paesi della Comunità internazionale sono intervenuti; penso alla cooperazione italiana e agli interventi nel settore della sanità, delle scuole; penso alle petizioni fatte dagli afghani per chiedere che la cooperazione italiana rimanesse in alcune zone a sostenere le cliniche in aree remote; penso alla bandiera italiana che sventola ancora sul tetto di una clinica al fianco di quella afghana, laddove la cooperazione italiana ha ricostruito un ospedale che era stato distrutto da un terremoto. Quindi, quando l’approccio è avvenuto in questi termini, c’è stato un rapporto di solidarietà che si instaura e diventa forte; quando, invece, la presenza è soltanto di tipo militare - nonostante tutti gli sforzi e nonostante tutta la buona volontà - è purtroppo difficile raggiungere degli obiettivi.
D. - Una ricostruzione che, in un certo qual modo, non è stata cosi: anzi il contrario, dunque…
R. - La ricostruzione del Paese non ha ottenuto gli impegni finanziari che erano stati presi. E’ stato, invece, prevalente l’impegno militare: io in Afghanistan sono stato dal 2003 fino al 2007 e noi abbiamo gestito dei progetti di cooperazione in nove province dell’Afghanistan. Qui c’era la possibilità di fare ancora delle cose… Poi la ricostruzione non è avvenuta, gli sforzi finanziari dei Paesi della Comunità internazionale si sono concentrati sull’impegno militare: questo non ha prodotto quei risultati di fiducia e quelle aspettative che il Paese si attendeva per il miglioramento delle proprie condizioni di vita. Purtroppo è accaduto questo!
D. - In questo scenario il governo Karzai perde - diciamo - credibilità, torna ad affermarsi la strategia del terrore dei talebani e la popolazione è sempre più in difficoltà. Come se ne esce?
R. - Quando Lakhdar Brahimi, rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Afghanistan - dal 2001 al 2004 - tentò di portare alla Conferenza anche i talebani, per cercare di uscire con un progetto che fosse di riconciliazione nazionale effettiva, ci fu l’opposizione dell’allora Amministrazione americana, che impedì che ciò avvenisse. Poi questo discorso è stato ripreso negli anni, ultimamente, anche lo stesso presidente Obama lo ha riproposto. Però mentre allora erano perdenti e quindi sarebbe stato possibile anche che buona parte dei talebani aderisse a questo progetto; oggi è più difficile, anche se probabilmente è l’unica soluzione: se non si tratta con il nemico, non si riuscirà mai ad evitare lo scontro e il conflitto. Karzai avrebbe bisgono - ancora una volta - di aiuti economici per la ricostruzione: però quello che ha chiesto al Vertice Nato sono i soldi per finanziare il proprio esercito. Purtroppo questo non è uno scenario di prospettiva positiva per l’Afghanistan.
D. - A pagare le spese di tutto questo è la popolazione afghana?
R. - La popolazione ha avuto grandi aspettative: alle prime tornate elettorali hanno partecipato in massa, sfidando le minacce dei talebani; anche le donne - il 70 per cento delle donne - che come sappiamo non potevano uscire di casa, né lavorare e né studiare, sono uscite e sono andate a votare. C’era una grande aspettativa di cambiamento per questo Paese! Purtroppo, soprattutto con la riproposizione dei "signori della guerra" al potere, la ripresa del traffico dell’oppio che è riesploso e ha raggiunto il 90 per cento della produzione mondiale dell’eroina, e la corruzione, è ritornata in auge una situazione che purtroppo ha avvilito il Paese. Teniamo conto che l’Afghanistan ha un tasso di povertà, sottosviluppo, e mortalità che lo relega al 173.mo posto nella graduatoria di 178 Paesi: 32 milioni di abitanti, la metà dei quali con una età inferiore ai 15 anni... Indici, questi, che danno idea di un Paese stremato dalla guerra che non finisce mai e che ha conosciuto soltanto conflitti, guerre e distruzioni. E’ un Paese interamente distrutto: strade, ponti… E’ un Paese che non sa ancora che cos’è la pace!
D. - Che cosa bisognerebbe fare concretamente?
R. - Bisognerebbe che tutte le nazioni della regione venissero coinvolte: anche il Pakistan, che ha permesso ai talebani, nel proprio territorio, di riorganizzarsi ancora oggi; un Paese che vive anche di appoggi dell’Occidente. Voglio dire quindi che bisogna coinvolgere tutti i Paesi in una strategia che veda una rinascita economica della regione più in generale e in questa ottica anche dell’Afghanistan, togliendo spazio alle forze pericolose del terrorismo fondamentalista islamico.
Scontri in Sudan: riprendono i negoziati tra Nord e Sud
◊ Nord e Sud Sudan torneranno al tavolo delle trattative martedì 29 maggio. Dopo quasi un anno di conflitto a bassa intensità tra Khartoum e Juba, i leader dei due Paesi hanno accolto l’invito dell’Unione Africana a riallacciare il dialogo per risolvere le numerose controversie che li separano. All’inizio del mese anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva esercitato pressioni sui due governi minacciando pesanti sanzioni se non fossero giunti ad un cessate il fuoco e non avessero rilanciato le trattative. Sui temi al centro dei negoziati l'intervista di Stefano Leszczynski a Giovanni Sartor dell’Ong Mani Tese e portavoce della Campagna italiana per il Sudan:
R. – Diciamo che i termini della questione continuano ormai da alcuni mesi e riguardano le problematiche legate all’indipendenza del Sud Sudan. Nel momento in cui il Paese è diventato indipendente, è emersa tutta una serie di questioni relative ad esempio alla gestione del petrolio: il fatto che la maggior parte dei pozzi di petrolio si trovano in Sud Sudan mentre gli oleodotti ed i porti da cui esportare il petrolio sono nel Nord; il tema dei confini, che non sono ancora stati esattamente definiti dagli accordi di pace precedenti tra i due Paesi; la regione di Abyei, che resta una regione-cuscinetto tra i due Stati. Ed inoltre il problema della cittadinanza o non cittadinanza delle persone dei rispettivi Paesi che si trovano nel Paese opposto: vi sono ancora molti sud-sudanesi in Nord Sudan come anche nord-sudanesi in Sud Sudan e, al momento, non c’è una norma che dà, a queste persone, uno status diverso da quello di stranieri.
D. – Nonostante questi negoziati debbano riprendere tra pochissimi giorni, in particolare il 29 maggio, i diplomatici occidentali esprimono un certo scetticismo per quanto riguarda un buon avvio di queste trattative. E’ lecito essere scettici o si tratta comunque di un segnale incoraggiante?
R. – A nostro avviso si tratta sicuramente di un segnale incoraggiante, con la consapevolezza che il curriculum delle trattative tra i due Paesi, in questo ultimo periodo – ormai è passato quasi un anno dall’indipendenza del Sud – non lascia molto ben sperare. Queste questioni sono sul tappeto già da molto tempo e non è mai emersa, da parte degli interlocutori, la volontà di risolvere davvero queste cose. Una ripresa delle trattative, quindi, è certamente positiva perché prevede un cessate il fuoco e, dal punto di vista dei civili, ad esempio, è un elemento davvero importante e fondamentale. Che queste trattative abbiano un esito positivo nel breve periodo, è chiaro che resta problematico, è un dubbio molto forte.
D. – L’Unione africana è mediatore nella crisi tra il Sudan ed il Sud Sudan. Il fatto che questi due Paesi abbiano deciso, almeno ufficialmente, di tornare al tavolo delle trattative, è effettivamente dovuto ad un cambio di regime dell’Unione africana rispetto alle crisi a livello regionale o siamo ancora di fronte ad un’Unione africana che non riesce ad imporsi?
R. – In questo caso teniamo conto dell’impegno di Thabo Mbeki, che è il mediatore e che, certamente, è una figura di primo piano a livello non solo africano ma internazionale, ed è anche ex presidente del SudAfrica. Da questo punto di vista, devo dire che l’Unione Africana sta mettendo il naso un po’ su tutte le crisi africane ed è anche riconosciuta dalla comunità internazionale con un ruolo primario di mediazione e di conciliazione tra le diverse posizioni. Che poi questo impegno porti a degli effettivi e reali risultati, secondo noi è ancora un po’ da provare. Bene l’impegno e positivo è il fatto che ci sia più coinvolgimento, che anche la comunità internazionale appoggi una mediazione africana per i conflitti africani, ma sono ancora da valutare i risultati concreti e reali ottenuti sul terreno da questo lavoro di mediazione.
Giornata per l'Africa. Una missionaria: insegna al Nord del Mondo pazienza e solidarietà
◊ L’Africa ha bisogno di “pace durevole”, democrazia e “rispetto dei diritti umani fondamentali” specie per le donne e i bambini: è quanto scrive il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel messaggio per l’odierna Giornata per l’Africa. Dalle Nazioni Unite anche l’appello ai leader del continente a impegnarsi affinché tutti gli africani possano avere un futuro migliore. Per una testimonianza su cosa l’Africa può dare al resto del mondo, Alessandro Gisotti, ha intervistato suor Petra Urietti, consigliere della Congregazione delle Suore di San Giuseppe, da 20 anni missionaria in Africa:
R. – Personalmente, penso che l'Africa mi abbia dato un "mazzetto" di punti esclamativi ed un grande mazzo di punti interrogativi. Di fronte a tante cose belle, belle come natura, come sentimenti e come feste, ci sono chiaramente dei punti esclamativi, uno stupore. Secondo me l’Africa è una gigantografia di tante cose e di tanti sentimenti. Bisognerebbe avere un cuore un po’ come una fisarmonica per infilarci dentro tutte queste cose. Quest’esperienza dello stare, del veder ad esempio germinare un bambino nella pancia di una mamma, vederlo nascere e poi crescere! Quando ti trovi in un Paese da tanti anni vedi proprio questo. Per me l’impressione è sempre quella di raccogliere punti esclamativi e molti punti interrogativi.
D. – Tra i punti interrogativi c’è sicuramente la sua forte esperienza con i bambini e con le madri, in cui purtroppo la morte si mescola con la vita...
R. – Sì, di sicuro. Probabilmente quella di "consegnare", "riconsegnare" un figlio morto ad una madre è una delle esperienze più dure. Credo sia veramente la cosa più lacerante in assoluto. Una volta, era arrivato un bambino, anche in buona salute e poi, per pratiche tradizionali, questo bambino si è ritrovato, di punto in bianco, in fin di vita... Allora, tu arrivi lì impacciato e non sai bene come comportarti anche di fronte a certe cose. Puoi intervenire nella misura in cui ti è possibile farlo. Spesso ci si trova di fronte anche ad una mancanza di mezzi quali medicine o strumenti e quindi sì, sono state esperienze molto dure. Allo stesso tempo, però, questa lotta, così naturale, tra la vita e la morte - che non trovo più nella nostra società – mi ha anche dato molto.
D. – Il Nord del mondo si sente e si autodefinisce in crisi ormai da lungo tempo. Quale lezione arriva dall’Africa e dal Sud del mondo?
R. – Per tanti aspetti l’Africa ci insegna che con la crisi si può vivere. Penso che noi siamo presi dal panico: molta energia la sprechiamo in panico ed in affanno, cosa che ci fa disperdere energie. L’Africa è abituata tutti i giorni a fare chilometri e chilometri per recuperare l’acqua, le persone sono abituate ad alzarsi al mattino e a chiedersi che cosa mangeranno quel giorno, ad andare a procurarsi dei mezzi di sussistenza, a piegare la testa dinanzi a certi soprusi, a provare a rialzarla e a rimetterci la vita per altri soprusi. Secondo me, l'Africa è maestra di pazienza, con le sue spalle grandi, e di solidarietà. A mio avviso in una crisi, piccola o grande che sia, dalla crisi personale e famigliare a quella comunitaria e mondiale, penso che la lezione che ci viene data dall’Africa è che è la solidarietà che ci darà una via per superare quella situazione. Mettere tutti la spalla sotto questo cesto pesante e provare ad alzarlo insieme!
L'Africa sempre più nell'orbita d'interesse della Turchia
◊ L’Africa è ormai da anni al centro dell’interesse economico e politico delle potenze globali e regionali. Tra i protagonisti di investimenti e di iniziative politiche nel continente c’è anche la Turchia, particolarmente impegnata sul fronte della crisi somala. Davide Maggiore ha chiesto a Federico De Renzi, esperto di Turchia e collaboratore della rivista "Limes", quali sono le motivazioni dell’attenzione di Ankara per il continente africano:
R. – Sono ascrivibili essenzialmente al nuovo dinamismo che la politica estera turca ha iniziato ad avere dal 2003-2005, ispirata più o meno direttamente dal lavoro dell’attuale ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, il quale già allora delineava la posizione internazionale della Turchia che essendo appunto il centro dell’Eurasia ed uno degli snodi principali tra Africa, Asia ed Europa era vista come naturale guida nuova nell’area: a Oriente, da un lato, e a Sud dall’altro.
D. – Quali sono gli obiettivi di questo accresciuto protagonismo turco nel continente africano?
R. – Soprattutto quello di presentarsi come modello politico. E’ innanzitutto ben vista da molti Paesi dell’Africa subsahariana non solo in quanto Paese islamico moderato o comunque Paese islamico moderno e modernizzatore, ma soprattutto come Paese non colonizzatore. Quindi, l’obiettivo è di proporsi come competitor nei riguardi di altre potenze che sono viste come neocolonizzatrici o neoimperialiste – su tutte, la Cina. La Turchia in Africa, non solo nella ex dimensione ottomana come può essere, appunto, il Corno d’Africa, ma nell’Africa in generale e particolarmente nell’Africa islamica, potrà giocare un ruolo quantomeno di esempio di crescita economica, quindi di politiche economiche per rimodellare o comunque assestare le potenzialità dei Paesi dell’Africa subsahariana.
D. – Quanto pesa l’elemento culturale e religioso islamico in questo processo, e che ruolo può giocare l’islam turco nel continente africano?
R. – L’islam turco nel continente africano, e particolarmente nel Corno d’Africa, gioca un ruolo fondamentale, come modello conciliatore di modernità, crescita economica, stabilità politica e tradizione. Questo anche, appunto, alla luce dell’appartenenza ad un islam non estremista, un islam molto sincretico perché nella stessa Africa subsahariana le varie forme di islam presenti sono molto legate – come del resto in Turchia o in Iran o nella stessa Asia centrale – a forme mistiche. E’ un islam per certi versi molto pragmatico, non è un islam dottrinale. Questo aspetto è fondamentale soprattutto per la creazione di strutture statali più stabili, particolarmente nel Corno d’Africa.
D. – Non dobbiamo dimenticare che Istanbul ospiterà anche la prossima Conferenza internazionale sul futuro della Somalia. Qual è l’agenda della Turchia per quanto riguarda la Somalia?
R. – Quella, il primo giugno prossimo, di dare voce al più grande numero possibile di interlocutori, cosa che non è successa a Londra, il 23 febbraio. La Turchia dà un segnale, con questa Conferenza. Da un punto di vista politico, certamente è un’iniziativa autocefala, potremmo dire, quindi non legata a decisioni di Paesi terzi; in particolar modo, può essere vista quasi come un’azione complementare, forse, a quella degli Stati Uniti e della comunità internazionale. La volontà della Turchia è quella di fare una sua politica. La Turchia in questo senso sta facendo da un lato il suo interesse nazionale proponendosi come un attore privilegiato e sciolto da legami terzi, e dall’altro – appunto – quello di sollecitare indirettamente la comunità internazionale per avere una soluzione sul tavolo.
Il cardinale Bagnasco: non enfatizzare le divisioni nella Chiesa
◊ Bisogna non enfatizzare e costruire le cose. Lo ha affermato il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, nel commentare le notizie apparse sui giornali su possibili divisioni nella Chiesa. Il cardinale ha parlato in conferenza stampa alla fine dell’assemblea dei vescovi in Vaticano. Alessandro Guarasci:
Il male è dentro tutti noi, ma bisogna evitare di generalizzare. Il cardinale Angelo Bagnasco:
“In questo siamo tutti chiamati alla responsabilità. Non si tratta di occultare la realtà nel bene o nel male, sempre presente, ma si tratta anche di non eccedere o enfatizzare, qualche volta, o non vedere solamente il male dimenticando il bene”.
E sulla vicenda di Ettore Gotti Tedeschi, il presidente dello Ior sfiduciato ieri dal Consiglio di Sovrintendenza dell'Istituto, il cardinale Bagnasco ha richiamato alla “trasparenza” e sottolineato che “tutti gli attori in gioco ai vari livelli vogliono questo e perseguono questo”. D’altronde l’economia deve servire al bene comune:
“L’economia, la finanza, la politica e via discorrendo tutte le varie espressioni, devono rapportarsi in modo equilibrato, in ordine, a quella sintesi che noi chiamiamo 'bene comune' che è lo scopo della giustizia, e come la giustizia è lo scopo della politica e della società”.
Massima collaborazione poi con le autorità civili sui casi di abusi di chierici nei confronti di minori.
Padri agostiniani aggrediti e malmenati nella chiesa romana di Santa Rita
◊ Vile aggressione alla comunità degli Agostiniani nella parrocchia romana di Santa Rita a Tor Bella Monaca. Questa notte tre malviventi hanno preso in ostaggio i religiosi e picchiato selvaggiamente due di loro, ora ricoverati al vicino Policlinico di Tor Vergata. Questa mattina il vescovo ausiliare per il settore est della capitale, mons. Giuseppe Marciante, si è recato in visita al nosocomio per esprimere la sua vicinanza alla comunità agostiniana. Al microfono di Davide Dionisi la testimonianza del priore, padre Pietro Bellini:
R. - Sono entrati nella comunità tre malviventi, ci hanno sequestrato con le armi, hanno malmenato il parroco e un altro confratello, ci hanno costretti ad aprire la cassetta di sicurezza che avevamo e se ne sono andati. Avevano una pistola, un fucile a canne mozze e dei bastoni. I due confratelli che sono stati malmenati ora sono ricoverati in ospedale.
D. - Come stanno i due confratelli al momento?
R. - Stanno abbastanza bene, al di là di qualche ammaccatura e la paura…
D. - La vostra è una parrocchia che possiamo definire di prima linea per la realtà sociale in cui si trova. Il tessuto sociale di Tor Bella Monaca è un tessuto con un elevato tasso di delinquenza …
R. - Sì, la cronaca parla spesso di Tor Bella Monaca, ma io vorrei dire - anche a nome di tantissime persone che collaborano con la parrocchia - che non si meriterebbe il nome e la fama che ha sui quotidiani, sulle cronache quotidiane…. C’è tanta buona gente, ma ovviamente, essendo un quartiere disagiato, certe cose purtroppo succedono.
D. - Cosa cercavano i malviventi, padre Pietro?
R. - Evidentemente cercavano soldi. Stiamo celebrando la Patrona della parrocchia, Santa Rita, e ci sono dei festeggiamenti popolari. Evidentemente hanno seguito un po’ le serate che abbiamo organizzato e hanno pensato che avessimo dei soldi. Probabilmente erano stranieri e debbo dire non rumeni, perché hanno parlato in una lingua che non era rumena, ma erano stranieri.
D. - Il sistema di sicurezza adesso è stato potenziato intorno alla parrocchia, dopo questo vile attacco?
R. - Proprio in questi giorni dovevamo allestire un sistema di videosorveglianza, ma non abbiamo fatto in tempo! Tutto questo ci solleciterà a farlo immediatamente… Le forze dell’ordine sono comunque sempre presenti; abbiamo anche una postazione della Protezione Civile che ospitiamo all’interno della parrocchia per rendere lo spazio un poco più sicuro. Abbiamo un oratorio, dove normalmente vengono 3-400 bambini ogni giorno e soprattutto nel pomeriggio, e quindi vorremmo creare un’isola sicura e normalmente lo è!
D. - Padre Pietro, in passato avete subito attacchi del genere?
R. - In questa forma di rapina vera e propria, no, piccoli furti, spesso…
D. - Pensa che questa sia un’escalation negativa, quindi?
R. - No, speriamo sia stato un caso unico e che non si ripeterà. Lo speriamo. Certo è stato un episodio forte perché si è trattato di una rapina a mano armata, credo simile a quelle rapine che fanno nelle ville. Hanno usato lo stesso sistema: ci hanno sequestrati tutti in una stanza e poi hanno usato anche molta violenza gratuita.
I cattolici italiani verso “Todi 2”, al via il manifesto per il rinnovamento della politica
◊ “La buona politica per tornare a crescere”: è il titolo del Manifesto che verrà presentato lunedì prossimo in vista dell’incontro dei cattolici italiani, “Todi 2”, in programma ad ottobre. Il documento, pubblicato ieri, è stato elaborato dal “Forum delle persone e delle associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro”. In calendario anche una manifestazione in giugno per sostenere con forza la costrzione degli "Stati Uniti d'Europa". Luca Collodi ha chiesto un commento sugli intenti di questo Manifesto a Natale Forlani, portavoce del Forum di Todi:
R. – Intanto, andare oltre l’unità di intenti – pur importante e fondamentale – intorno ai valori che possiamo definire irrinunciabili, ossia quelli che caratterizzano, per definizione, l’unità dei cattolici intorno ai messaggi fondamentali della Dottrina sociale, ma cercare di fare una progettazione comune: parlare della famiglia, dell’importanza di sostenerla ma abbiamo anche bisogno di identificare, nel contesto dato, cosa è possibile e necessario fare per sostenere le famiglie. Questo vale anche nel campo dell’economia come in quello delle relazioni sociali: bisogna far fronte a nuovi bisogni, quali la mobilità del lavoro e il lavoro di cura degli anziani, che sono due fenomeni che stanno diventando man mano sempre più importanti ma che non trovano risposte dallo Stato. Il primo punto, quindi, è costruire una progettazione sociale, ed il secondo è farla diventare elemento d’innovazione delle rappresentanze.
D. – Il manifesto di Todi punta a creare un’azione intellettuale per arrivare ad un progetto di cultura politica e, quindi, alla formazione di una nuova classe dirigente. E’ così?
R. – Sì, questa è la sintesi precisa. Quando diciamo ‘produrre cultura politica’ vuol dire che andiamo oltre alla mera manifestazione convegnistica dell’adesione ai valori. Ci mettiamo in campo proprio per organizzare proposte. Questa scelta vuol dire che non siamo indifferenti, anche rispetto alla formazione dei partiti. Avremo a che fare con un periodo di trasformazione del ruolo dei partiti che coinvolgerà i contenuti dell’azione ed il modo di fare rappresentanza. Se si è in campo con proprie idee, con proprie proposte e con propri uomini si può incidere profondamente su questi cambiamenti. Questo non vuol dire che il Forum si propone di diventare un partito, ma di influenzare i cambiamenti ed i partiti certamente sì.
D. – Che soluzioni offre il manifesto sulla crisi economica?
R. – Noi diciamo due cose molto dirette. Il cambiamento economico non è dovuto soltanto ad un’emergenza legata ai vari spread, ai buoni del tesoro ed agli attacchi speculativi: certo, questa è una cosa che dobbiamo fronteggiare, ma dobbiamo anche fare in modo che le risorse sane del Paese abbiano un peso molto più alto di quanto abbiano oggi. Noi abbiamo un’industria esportatrice importante, che però non è in grado, da sola, di risollevare il nostro Paese in termini di crescita economica complessiva e di occupazione. Dobbiamo avere questo disegno di liberazione e di risorse, poca burocrazia, bisogna favorire, in maniera graduale ma costante, le famiglie, i lavoratori e chi investe, creare una base per attrarre investimenti cooperando fortemente tra rappresentanze del lavoro e rappresentanze dell’imprenditoria.
D. – Dopo la presentazione del manifesto di Todi, in autunno si andrà verso una ‘Todi 2’?
R. – Sì. A valle del manifesto faremo una raccolta di adesioni di persone e di associazioni in maniera massiccia nel territorio. La ‘Todi 2’, che sarà rivolta al tema del rinnovamento della politica, sarà la conseguenza di questo lavoro sul territorio che faremo nei prossimi mesi.
D. – La nuova classe dirigente che vi proponete di formare quali contenitori potrà usare per la propria azione politica?
R. – Credo che con la prospettiva che abbiamo di fronte rispetto al rinnovamento dei partiti – stiamo parlando delle organizzazioni e delle rappresentanze che si mettono in campo per governare il Paese o le nostre comunità locali -, questi contenitori dovranno trasformarsi in maniera consistente. Per prima cosa dovranno essere più sobri: spendere meno ed essere più concreti, ossia creare un rapporto, tra le promesse che la rappresentanza fa e la sostenibilità di queste promesse, più vicino al passato, quando si è promesso di tutto e di più nella consapevolezza di non poterlo mantenere. Inoltre, delle ‘forme-partito’ più partecipate ed anche variegate nell’organizzare la rappresentanza: oggi a pesare è l’opinione pubblica, i sondaggi, il web, ma contano anche le organizzazioni radicate nel sociale e gli amministratori. Tutte queste dimensioni fanno la buona politica, ed un partito le deve saper organizzare in maniera snella e flessibile. Se c’è quindi un problema di trasformazione del ruolo dei partiti, andrà assecondato. Poi c’è un problema di contenuti: il tema della famiglia non viene assunto da tutte le formazioni nello stesso modo, e quindi ci sarà un problema di non indifferenza rispetto ai contenuti della politica che questi contenitori porteranno avanti.
D. – Voi, al riguardo, vi proponete di appoggiare i partiti esistenti o guardate a movimenti e alla formazione di liste civiche, ossia a qualcosa di alternativo?
R. – Ci proponiamo di costruirci attorno delle persone che vogliano impegnarsi in politica, dei politici che aderiscano profondamente ai contenuti ed ai valori che portiamo avanti nel manifesto e che ci accingiamo anche a tradurre in proposte. Sarà quello il nostro riferimento. Vedremo come le organizzazioni partitiche si andranno a ripensare nei prossimi mesi e come risponderanno.
D. – Chiederete la riforma dell’attuale legge elettorale?
R. – Sì. Da tempo abbiamo posto il tema della ricostruzione, tramite il voto di preferenza, un legame più diretto tra il cittadino ed il candidato. C’è, sostanzialmente, la necessità di ripensare e di rimediare ai danni che si sono verificati negli ultimi anni con candidati nominati a vario titolo dalla segreteria dei partiti. C’è una critica di fondo a quest’impostazione, ossia che i sistemi proporzionali puri hanno sempre creato instabilità, ma credo che ormai l’ingegneria istituzionale – tramite strumenti quali la fiducia costruttiva o i premi di maggioranza per le forze che si mettono insieme con un programma condiviso – abbia ampliamente supplito a questo tipo di critiche.
Settimana europea contro il cancro: crescono le speranze di guarire
◊ Inizia oggi la Settimana Europea contro il cancro: un evento che terminerà il 31 maggio in concomitanza con la Giornata mondiale senza tabacco. Oggi, la ricerca scientifica della medicina oncologica è arrivata a terapie sempre più mirate. Il prof. Francesco Schittulli, presidente nazionale della Lega italiana per la lotta contro i tumori, spiega, al microfono di Eliana Astorri, l’importanza dei risultati raggiunti:
R. – Stiamo parlando della malattia che è la più antica e la più crudele che abbia colpito l’uomo. Una malattia della quale conosciamo già molto grazie all’era che stiamo vivendo, che è l’era post-genomica: con la decodificazione del nostro Dna, a partire dal 2000, sappiamo come è fatto il nostro corpo. E abbiamo anche la possibilità di sezionare strato per strato qualunque nostro organo. Questo ci porta a far sì di poter meglio conoscere le eventuali lesioni che possano annidarsi nel nostro corpo. Una malattia tipicamente occidentale, una malattia tipicamente legata anche al benessere e allo stato sociale; una malattia ambientale su base genetica. Che significa questo? Che è l’ambiente che va a modificare, ad alterare, a mutare i nostri geni e a distanza di tempo, con tappe multiple, a poter sviluppare cancro. Ma l’ambiente è tutto ciò che è esterno all’uomo; ma l’ambiente viene fatto dall’uomo: è l’uomo che produce, che modifica l’ambiente. Quindi, in un certo senso, è l’uomo stesso che determina lo sviluppo di questa malattia che è sì, ancora al secondo posto come incidenza, ma direi che è sempre più mortale rispetto alle malattie cardiocircolatorie. E questa la dice lunga sull’impegno che tutta l’Europa – ma io dire, tutto il pianeta – è obbligato, anche da un punto di vista morale, etico, a perseguire. Perché noi dobbiamo cercare di passare il testimone della vita e non della morte e non della sofferenza, alle nuove generazioni.
D. – Il tumore è una malattia sempre più curabile?
R. – E’ una malattia non più soltanto curabile, come tutte le altre malattie, ma è una malattia guaribile e la guaribilità del cancro, che 30 anni fa era attestata intorno al 40% oggi, invece, ha superato il 60%. E abbiamo una guaribilità che registriamo nel 61% dei casi. Ma oggi già noi potremmo, nel nostro Paese, l’Italia, garantire una guaribilità dell’80% dei casi, se ponessimo nelle condizioni ogni cittadini, ogni persona, a sottoporsi a controlli periodici, regolarmente, ed effettuati nelle strutture sanitarie.
D. – Qual è l’ostacolo da superare, attualmente, per combattere e sconfiggere il cancro?
R. – Oggi noi abbiamo da combattere i cosiddetti big killers che sono rappresentati dal tumore al polmone, al colon retto, alla prostata, alla mammella per quanto riguarda i due sessi. Il big killer numero uno per la donna è rappresentato in effetti dal tumore alla mammella: un tumore che aumenta di anno in anno, però paradossalmente di anno in anno sta diminuendo la mortalità. Questo è dovuto al fatto che evidentemente ci si ammala di più e si muore di meno, perché oggi disponiamo di una tecnologia diagnostica avanzata. E’ vero che la ricerca arriverà a darci la pillola, a scoprire la molecola che, somministrata soprattutto agli individui, alle persone con maggiori rischi, potrà non far sviluppare questa malattia. Ma oggi noi abbiamo la possibilità di prevenire il cancro: lo si previene con la diagnosi precoce, lo si previene con la prevenzione primaria, cioè con corretti stili di vita. Una corretta alimentazione, la lotta al tabagismo e alla cancerogenesi ambientale professionale, la stessa regolare attività fisica impedisce – o rallenta – lo sviluppo di un cancro.
Come cambia il modo di amare nel tempo delle nuove tecnologie: convegno al Vicariato di Roma
◊ Domani mattina, il Vicariato di Roma ospiterà il convegno “Clikk@more”, un insieme di riflessioni sui sentimenti al tempo della rete. Ad aprire i lavori sarà il professor Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici e dell’Istituto di terapia cognitivo interpersonale, organizzatore dell’evento. Obiettivo degli interventi in programma, tra cui quello di don Maurizio Mirilli, direttore del Servizio diocesano per la pastorale giovanile, che ha promosso il convegno, è di offrire spunti sull’impatto che le nuove tecnologie hanno sul modo di concepire l’amore e i rapporti fra persone. Sarà presente anche la dott.ssa Maria Beatrice Toro, che parlerà di legami familiari liquidi e loro effetti sull’infanzia. Sul tema dell’appuntamento, Gina Maradei ha intervistato la dott.ssa Michela Pensavalli, psicologa e psicoterapeuta:
R. – Il convegno nasce come un momento di riflessione. E’ una sfida a capire se oggi è possibile potersi rilanciare in relazioni affettive stabili e durature e non in relazioni che durino poco tempo e che siano prevalentemente tecno-mediate.
D. - “Scusa se non ti chiamo più amore” è, oltre al tema del suo intervento, il titolo del libro che lei ha scritto insieme al prof. Cantelmi. Cosa significa?
R. – E’ un libro che rappresenta una sorta di piccolo vademecum alla comprensione del nostro modo di amare. Noi abbiamo uno specifico stile affettivo, così li abbiamo chiamati; stile affettivo fobico, stile affettivo depressivo o abbandonico, stile affettivo perfezionistico, che può essere anche di tipo ossessivo. Quindi, riconoscendo il nostro modo di amare, a partire dalle nostre prime relazioni con i genitori e con le figure significative, possiamo capire i nostri intralci per amare qualcuno autenticamente, dove è possibile migliorarci e verso quale direzione possiamo andare per far funzionare meglio le relazioni di coppia.
D. – Al tempo di Internet chi è, principalmente, che si rifugia negli amori virtuali?
R. – Sono persone che prevalentemente hanno difficoltà nella "vita off line" ad avere relazioni paritarie e soddisfacenti. Il "retomane" può esserlo "per azione" e, quindi, le classiche persone che adescano attraverso la Rete qualcuno e quindi sono spesso malintenzionati, o intenzionati per fini commerciali, ad esempio; oppure le persone retomani per fuga, quelle persone che vivono una dimensione affettiva insoddisfacente e che quindi compensano all’interno del mondo tecno-mediato quello che manca nella loro vita reale e queste sono le persone verso cui prevalentemente noi rivolgiamo l’attenzione nei nostri studi psicoterapeutici.
D. – Oggi perché non ci si sofferma più sulle proprie emozioni, è solo questione di ritmi frenetici che la vita ci impone?
R. - Abbiamo difficoltà ad emozionarci perché le emozioni sono troppo a portata di mano e paradossalmente c'è questo viverle senza mediazioni, senza sforzo, senza mediazioni dovute alla nostra intenzionalità, cioè il mettere la testa, il cuore, il rischio, il pericolo di sporcarsi le mani in una relazione dove l’altro ci stia ad osservare. Questo non è così semplice oggigiorno; c’è molta confusione e la tecno-mediazione, cioè il computer, la digitalità, il cellulare sono tutti mezzi per agevolare la relazione ma in realtà creano anche parecchi equivoci e non è così facile poi sentire l’autenticità dall’altra parte dello schermo.
D. - Cosa c’è bisogno di riscoprire, allora?
R. – Sicuramente c’è bisogno di avere coraggio, avere coraggio di entrare e di stare nel conflitto, avere coraggio di rinunciare agli schemi di perfezione che viviamo oggi, avere coraggio di essere testimoni autentici per i nostri figli e quindi abbandonare anche gli schemi troppo lontani da noi di una perfezione che non riusciamo poi a portare avanti giorno dopo giorno; quindi essere ogni giorno un po’ più vicini alla verità di ciò che noi siamo davvero dentro, anche mostrando i nostri difetti, che sono perlopiù le cose che spesso invece mettiamo a tacere in una forma di narcisismo sfrenato che esalta solo e soprattutto gli aspetti positivi che ognuno di noi ha.
Al Teatro dell'Opera di Roma, l'Attila di Giuseppe Verdi
◊ Va in scena questa sera al Teatro dell’Opera di Roma, con repliche fino al 5 giugno, un nuovo allestimento di “Attila”, opera giovanile di Verdi diretta da Riccardo Muti, che da sempre ama e molte volte ha affrontato questo sanguigno e risorgimentale titolo verdiano. Regia, scene e costumi sono affidati a Pier Luigi Pizzi che rilegge l’opera allontanandosi dalla tradizione storica e rivalutando il re degli Unni nella sua dimensione lirica, drammatica ed eroica. Il servizio di Luca Pellegrini:
Un coro di vergini e fanciulli accompagna Papa Leone, che gli è apparso in sogno come un “immane veglio” mentre gli afferra la chioma imponendogli di arretrare perché “or chiuso è il varco: questo de’ numi è il suol”: è il famosissimo incontro tra il re degli Unni dalla pessima fama, Attila, e l’anziano vescovo di Roma che, secondo tradizione, salvò la città eterna dal saccheggio. Lo spirito dello scontro di civiltà, della tutela dalla sacralità dell’Urbe, al pari, come vuole ogni melodramma, di affetti non corrisposti, animano tutta l’opera giovanile di Verdi. Che Pier Luigi Pizzi disegna e allestisce con la sua eleganza notissima, ma anche qualche aggiornamento nella visione usuale e risorgimentale della storia. Perché tra Unni e Romani, sembra rivalutare certamente i primi:
R. - E’ assolutamente così e tutto questo passa più che attraverso gli Unni, attraverso il personaggio di Attila, che io non dico che voglio riabilitare, perché ci ha già pensato Verdi e anche Solera che ha lavorato con lui. Basta leggere attentamente il libretto, basta sentire la musica per capire che è tutto tranne che un barbaro: è un uomo di grandi sentimenti, di grande nobiltà, è l’unico tra gli altri vari personaggi dell’opera che mantenga coerentemente dal principio alla fine un senso della fedeltà, della lealtà, è un vero guerriero, è un vero politico ed è perfino in grado di avere una crisi spirituale quando il sant’uomo che è Leone lo ferma alle porte di Roma e lui che ha anche un momento naturale di sfida di fronte a questo avvertimento divino, però poi cede, sente che c’è una forza più grande di lui e a questa si inchina. Ce n’è abbastanza per fare di questo personaggio un personaggio di grande statura.
D. - E come ha immaginato l’arrivo misticheggiante e arcano di Papa Leone che intima ad Attila di fermarsi e desistere dai suoi bellicosi propositi?
R. – Anni fa, quando lo feci al Maggio Musicale Fiorentino, Leone arrivava in un campo di grano. Era un’immagine molto bella di grande serenità, piena di luce, in questo caso, data una lettura più concettuale che io do a quest’opera, è un uomo alonato di luce ed è solo sulla scena insieme con Attila: cioè, si può credere che Attila sta dentro la sua visione e non è in una situazione realistica. Quindi è proprio uno scontro tra questi due personaggi: Attila, il re, e quest’uomo che rappresenta la divinità in qualche modo.
Nigeria: missione di pace di una delegazione cristiano-musulmana
◊ Una delegazione di alti dirigenti musulmani e cristiani sta svolgendo in questi giorni una visita in Nigeria, dove negli ultimi mesi un aumento della violenza ha minacciato le relazioni tra le due comunità religiose soprattutto nella zona settentrionale del Paese. La delegazione è guidata dal rev. Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc), e dal principe Ghazi bin Muhammad di Giordania, presidente del “Royal Aal Al-Bayt Institute for Islamic Thought”. “Oltre a svolgere indagini dirette sulla situazione e sui fattori che generano le tensioni attuali - si legge oggi in un comunicato del Wcc ripreso dall'agenzia Sir - la delegazione con la sua presenza sta esprimendo ai leader politici e religiosi in Nigeria, le preoccupazioni della comunità internazionale sulla violenza”. Secondo il segretario generale del Wcc, "la partecipazione congiunta di leader cristiani e musulmani in questa visita è destinata non solo a incoraggiare la fine della violenza, ma anche a servire come esempio di cooperazione interreligiosa per la promozione della pace e l‘armonia tra persone di diverse religioni”. "Siamo qui, grazie a Dio - afferma il Principe Ghazi - per capire con umiltà dai nigeriani la loro esperienza e le sfide che hanno per difendere l’armonia, l’unità, la pace e la sicurezza del loro grande Paese, e per vedere se e dove le voci internazionali e gli istituti religiosi possono essere di qualche aiuto". Il comunicato del Wcc ricorda che l‘idea di articolare una cooperazione tra cristiani e musulmani in risposta a situazioni di violenza emerse per la prima volta nel 2007 in occasione della stesura del testo “A Common World”. Nel novembre 2010, un gruppo di circa 60 leader religiosi si incontrò per una consultazione cristiano-musulmana a Ginevra, in Svizzera, presso la sede della Wcc e lì fu raggiunto un accordo per lavorare in modo più cooperativo in situazioni di conflitto, evidenziando la necessità di "trovare il modo di disimpegnare la religione" dal ruolo di creare conflitto e di "re-impegnarla verso la risoluzione dei conflitti". A tal fine, la riunione raccomandò la mobilitazione di un gruppo di lavoro congiunto in caso di crisi e qualora “cristiani e musulmani si trovano in conflitto". Il 23 e il 24 maggio, la delegazione ha visitato Kaduna e Jos nella Nigeria settentrionale, zone fortemente colpite dalla violenza perpetrata dal gruppo militante “Boko Haram”. I delegati si sono incontrati con funzionari governativi, leader religiosi, capi tradizionali e le famiglie delle vittime di violenza per acquisire una conoscenza diretta della situazione. Al termine della visita, si terrà una conferenza stampa. Domani, la delegazione presenterà una relazione congiunta su quanto ha visto e vissuto e identificherà le aree e i progetti in cui cristiani e musulmani possono lavorare insieme. (R.P.)
Egitto: i Fratelli musulmani parlano di vittoria alle presidenziali. Scarsa affluenza alle urne
◊ I Fratelli Musulmani sostengono che il loro candidato alle prime elezioni presidenziali libere in Egitto, Mohamed Mursi, andrà al ballottaggio contro Ahmed Shafiq, l'ex premier dell'era Mubarak. Citano percentuali che oscillano tra il 25 e il 30% per Mursi e tra il 22 e il 23% per Shafiq. Ma c’è chi sottolinea che è troppo presto per parlare di risultati. I seggi per le prime elezioni presidenziali in Egitto dopo le dimissioni di Hosni Mubarak si sono chiusi ieri alle 21. Le operazioni per lo spoglio delle schede sono in corso e, secondo l’agenzia Fides, fonti locali sottolineano che i risultati si sapranno probabilmente solo domani o domenica, per il momento quelli che vengono annunciati sono il frutto di voci, più o meno consistenti”. “Il dato certo riguarda l’affluenza alla urne”, sottolineano fonti dell'agenzia Fides. “Su circa 50 milioni di aventi diritto al voto ha votato solo la metà, circa 25 milioni di elettori, che possono essere poco rappresentativi di una popolazione di ben 86 milioni di abitanti. Viene messo in luce che ha fatto impressione vedere che nelle lunghe file degli elettori in attesa di andare a votare c’erano pochi giovani, pur essendo l’Egitto un Paese giovane. E soprattutto dal momento che proprio i giovani sono stati i protagonisti della rivolta dell’anno scorso che ha portato alla cacciata di Hosni Mubarak. (A cura di Fausta Speranza)
‘Africa e diaspora’: vertice a Johannesburg nella Giornata mondiale dell’Africa
◊ “L’Africa e la sua diaspora devono unirsi in modo che le nostre sterminate risorse e capacità tese allo sviluppo possano portare prosperità al continente ma anche benefici al resto del mondo. E’ giunta l’ora di unirci, oggi o mai più”: sono parole del presidente della Commissione dell’Unione Africana (UA), Jean Ping, riportate dall’agenzia Misna. Ping ha lanciato tale appello alla vigilia del primo Vertice mondiale della diaspora africana, che si tiene oggi a Johannesburg (Sudafrica) in coincidenza con la Giornata mondiale dell’Africa, una ricorrenza che celebra la nascita, il 25 maggio 1963, dell’Organizzazione per l’Unità Africana, trasformatasi nel 2002 in Unione Africana. Gli statuti dell’Ua parlano di diaspora e di una sorta di “sesta regione dell’Africa”. Per diaspora l’Unione Africana intende “tutti quei cittadini di origine africana che vivono fuori dal continente e che sono desiderosi di essere coinvolti nello sviluppo dell’Africa”. “D’ora in poi ci impegneremo per allacciare rapporti con tutti i nostri fratelli e sorelle che vivono in altre parti del mondo per affermare la nostra identità collettiva, per rafforzare la solidarietà panafricana e per unire tutte le forze nella costruzione di un’Africa e di un mondo migliori”, ha sottolineato Maite Nkoana-Mashabane, ministro sudafricano per le Relazioni internazionali e la cooperazione. A Johannesburg sono attesi i capi di Stato e di governo di una sessantina di Paesi, dell’Africa, dell’America e dei Caraibi. Dal primo Vertice mondiale della diaspora africana l’Ua si aspetta l’adozione di una serie di progetti, tra cui un Programma di volontariato della diaspora, per “consentire il contributo diretto, effettivo e rapido delle comunità africane residenti all’estero allo sviluppo dell’Africa” affinché “il termine di grande famiglia africana possa trasformasi dalle parole ai fatti”. Stesso appello a unire gli sforzi è giunto dal Parlamento panafricano che si riunisce in questi giorni a Midrand, sempre in Sudafrica. Ogni anno migliaia di africani, per lo più giovani, lasciano i Paesi di origine in cerca di un futuro migliore in Europa o negli Stati Uniti. Tra loro ci sono anche laureati e professionisti che scelgono di esercitare la propria attività all’estero: è la cosiddetta ‘fuga dei cervelli’, un fenomeno che penalizza il continente pur garantendo attraverso le rimesse un gettito finanziario di grande importanza. (F.S.)
Primavera araba: se dovesse fallire, a rischio le minoranze religiose
◊ Se le rivoluzioni avviate dalla Primavera araba falliscono, vi saranno forti rischi per le minoranze etniche e religiose in Medio Oriente: è quanto emerge dal nuovo rapporto “Popoli in pericolo”, (“Peoples under threat”), appena pubblicato dall'Ong “Minority Rights Group” (Mrg), focalizzato sulla situazione delle minoranze in Medio Oriente. “Se il 2011 sarà ricordato come l'anno della Primavera araba, il 2012 potrebbe diventare l'anno delle rivoluzioni inacidite” dice in una nota inviata all'agenzia Fides Mark Lattimer, direttore esecutivo di Mrg. “I grandi cambiamenti in Medio Oriente e Nord Africa, se da un lato aumentano le speranze per la democratizzazione, rappresentano per le minoranze etniche e religiose un evento pericoloso quanto la violenta disgregazione dell'Unione Sovietica e della ex Jugoslavia”, ammonisce. Il Rapporto nota che Siria, Libia, Egitto, Yemen, Sud Sudan sono tra gli Stati dove le comunità di minoranza sono più a rischio di omicidi di massa. Appena si apre uno spazio politico e uno spiraglio di libertà, rivendicazioni etniche e settarie vengono esacerbate e, in tali dinamiche, “le minoranze costituiscono spesso un capro espiatorio” spiega Mrg. In Siria, dove il governo è dominato dagli alawiti, le comunità di sciiti e alawiti sono in pericolo se il conflitto si intensificherà, mentre anche i cristiani sono profondamente preoccupati per la possibilità di attacchi dei militanti sunniti. In Libia, ex ribelli continuano a detenere oltre 6.000 persone arrestate durante e dopo il conflitto armato: detenuti senza accusa né processo, per metà migranti subsahariani o libici neri, molti dei quali sono stati torturati fino alla morte. In Egitto, nota il Rapporto, si segnala che un crescente numero di cristiani copti lascia il Paese in seguito a intimidazioni e attacchi contro le chiese. Il successo politico dei Fratelli Musulmani e dei partiti salafiti è visto con preoccupazione anche da altre minoranze religiose, come sciiti e baha'i. In Yemen, agli scontri fra tribù sunnite e al-houthi si aggiungono le proteste di migliaia di manifestanti della comunità akhdam, che si lamenta per emarginazione e razzismo. Forti pericoli, inoltre, si notano in Sud Sudan, dove si è e sviluppata una violenza intercomunitaria su larga scala nell'area di Jonglei, che colpisce circa 120.000 persone, mentre negli ultimi mesi migliaia di profughi dal Sudan sono fuggiti in Sud Sudan, per i bombardamenti del governo sudanese sulle comunità che abitano i monti Nuba o nell’area del Nilo Azzurro. “Le differenze etniche e religiose, fra musulmani e non musulmani, fra arabi e non arabi, sono tutte espressioni di una diversità interna, spesso sottovalutata in Medio Oriente, che potrebbero diventare linee discriminanti per omicidi di massa” avverte Mark Lattimer. (R.P.)
Mali: caos a Bamako. Al confine con il Burkina Faso 25 morti per scontri interetnici
◊ Situazione confusa in Mali, dopo l’annuncio da parte del Coordinamento delle Organizzazioni Patriottiche del Mali (Copam, una sigla che riunisce i sostenitori dei golpisti) di voler “investire” come Presidente, il capitano Amadou Haya Sanogo, il capo della Giunta militare che aveva preso il potere con il colpo di Stato del 22 marzo. In realtà - riferisce l'agenzia Fides - la cerimonia di “investitura”, prevista il 24 maggio, non c’è stata. Haya Sanogo non ha finora preso una posizione ufficiale sull’annuncio del Copam. Il capo dell’ex Giunta militare si è visto riconoscere le prerogative di ex Capo dello Stato dall’accordo del 20 maggio, sottoscritto dai militari golpisti, dalle autorità ad interim di Bamako e dalla Cedeao (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale). L’accordo prevede un periodo di transizione di un anno con Dioncounda Traoré come Presidente. Questi si trova attualmente in Francia per cure mediche, dopo essere stato aggredito nel palazzo presidenziale da alcuni sostenitori del Copam il 21 maggio. Non si sa quando rientrerà in Mali. Nel frattempo un fatto inquietante si è verificato in un villaggio maliano al confine con il Burkina Faso. Almeno 25 allevatori di etnia Peuls, originari del Burkina Faso, sono stati uccisi a Sari (Mali centrale) nel corso di scontri con agricoltori maliani di etnia Dogon. Il massacro, che ha origine nell’atavico scontro tra agricoltori e pastori, è però un segnale di allarme sulla debolezza delle autorità del Mali, che dopo aver perso il controllo del nord del Paese (in mano a diversi gruppi armati), non sembrano essere in grado di garantire la sicurezza nemmeno nelle aree ancora sotto la loro potestà. Vista l’instabilità dell’area, diverse centinaia di Peuls originari del Burkina Faso sono rientrati in patria. (R.P.)
Congo. Nel Kivu si combatte da aprile: il governo minimizza
◊ Le violenze in corso da inizio aprile in Nord Kivu sono guerra a tutti gli effetti anche se il governo di Kinshasa sta cercando di minimizzare o oscurare la realtà: a sottolinearlo, da Rutshuru a Goma, il capoluogo della turbolenta provincia del Nord-Kivu (nord-est), sono missionari e fonti della società civile contattate dall’agenzia Misna. “Qui in alcune parrocchie di Rutshuru, località a una decina di chilometri dal confine con l’Uganda, – dice una fonte che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza – ci sono almeno 400 famiglie sfollate”. Da ieri non si sente più sparare ma la gente continua a essere molto preoccupata. Ad accrescere i loro timori contribuisce senz’altro la confusione circa l’identità delle forze che combattono e la vera causa del riaccendersi delle violenze”. Agli scontri tra l’esercito regolare delle Fardc e militari disertori confluiti nel nuovo Movimento del 23 marzo (M23) si aggiungono violenze commesse dai ribelli delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr) e da milizie Mayi Mayi in azione sia nel Nord-Kivu che nel Sud-Kivu. Difficile avere notizie certe. Si parla di un centinaio di persone uccise in più villaggi dei territori di Masisi e Walikale, ma non c’è conferma. Stesse discordanze sui dati su sfollati e rifugiati nei paesi frontalieri. Per l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) da fine aprile oltre 80.000 persone sono scappate dagli scontri; di queste almeno 40.000 sarebbero sfollati interni. Circa 9.000 congolesi sono stati registrati in Rwanda. Scappano anche in Uganda: nella sola giornata di martedì, l’Unhcr ha censito un migliaio di nuovi ingressi sul territorio ugandese. A Goma, capoluogo provinciale al confine con il Rwanda, dal punto di vista della sicurezza la situazione è meno ‘grave’ rispetto a quella dei piccoli villaggi dei territori di Rutshuru e Masisi. “Qui – racconta una fonte della Misna che conosce bene la zona – sono arrivati migliaia di sfollati, accolti da parenti, amici e nelle parrocchie, ma è difficile sapere con precisione quanti siano”. Il conflitto che colpisce zone a forte vocazione agricola, come il Masisi, ha già causato un aumento dei prezzi delle foglie di manioca e dei fagioli, alla base della alimentazione locale”. “La popolazione prova paura ma soprattutto rabbia. Rabbia nei confronti del potere che rilascia false dichiarazioni, nega la gravità del conflitto o peggio ancora sostiene che la situazione è sotto controllo”, aggiunge l’interlocutore della Misna, denunciando anche “l’inutilità della Monusco (la missione Onu che conta 20.000 uomini) presente ovunque ma che non fa nulla di concreto per tutelare i civili” e “l’inazione delle innumerevoli Organizzazioni non governative che non stanno portando l’assistenza umanitaria di cui la popolazione ha bisogno”. La stessa fonte sottolinea che ufficialmente i combattimenti in corso sono presentati come conseguenza diretta della caccia al generale Bosco Ntaganda, capo dell’ex gruppo ribelle del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (Cndp) ricercato dalla Corte Penale Internazionale, Cpi, tra la gente cresce il sentore che “non sia quella l’unica o la vera ragione della guerra”. Per fonti locali della società civile, giornalisti e osservatori, ci sono elementi che comproverebbero il coinvolgimento del Rwanda nella nuova ondata di scontri nella ricca provincia mineraria, già teatro di un conflitto per il controllo sul ricco sottosuolo. “Apparentemente siamo di fronte a uno Stato nello Stato. Ufficiali delle Fardc, del Cndp e altri signori della guerra delle varie milizie dettano legge, ciascuno a modo suo. Il Nord-Kivu è diventato una vera giungla”, scrive il quotidiano congolese Le Potentiel, denunciando un “ritorno in forza sul terreno dei ribelli hutu ruandesi” e “l’occupazione di vaste aree della provincia da parte di popolazioni ruandesi che fanno affari nello sfruttamento e nella vendita del coltan”. (F.S.)
Somalia: ancora un giornalista ucciso. Migliaia di sfollati a Mogadiscio
◊ Un giornalista dell’emittente Radio Shabelle è stato ucciso ieri mattina a Mogadiscio da un gruppo di uomini armati mentre tornava a casa dal lavoro. Lo rendono noto i mezzi di informazione somali sottolineando che l’uomo, Ahmed Ado Anshur, è il sesto giornalista che perde la vita in Somalia dall’inizio dell’anno. Ancora un volta, particolarmente colpita risulta l’emittente Radio Shabelle, una delle poche voci indipendenti che riportano notizie dal Paese in preda ad un lungo conflitto. “La situazione nella capitale si sta deteriorando rapidamente. Nelle ultime ore sono migliaia gli sfollati arrivati dal corridoio di Afgoye dove le truppe di Amisom e i militari somali stanno conducendo da due giorni un’offensiva contro al Shabaab” hanno detto all'agenzia Misna fonti sul posto. In città si sentono risuonare colpi d’arma da fuoco, dopo settimane di relativa calma. “La tensione è alle stelle – riferiscono gli interlocutori – e potrebbe peggiorare nelle prossime ore”. (R.P.)
Cina: a Sheshan migliaia di pellegrini per la Giornata di preghiera voluta dal Papa
◊ Migliaia di pellegrini da Shanghai, ma anche da altre parti del Paese, si sono radunati ieri al santuario della Madonna di Sheshan per celebrare la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, voluta da papa Benedetto XVI. Nella sua Lettera ai cattolici cinesi del 2007, il Pontefice ha indetto la Giornata in concomitanza con la festa di Maria, Aiuto dei cristiani, il 24 maggio, che coincide con la festa del santuario mariano nazionale. In un ambiente umido e piovoso, ieri mattina padre Taddeo Ma Daqin, vicario generale di Shanghai, ha guidato la processione dei fedeli, portando la statua della Madonna dalla chiesetta a mezza collina fino alla grande basilica in cima al colle. Qui, padre Ma Daqin ha presieduto l'eucarestia, insieme a circa 40 sacerdoti della diocesi. Il canto è stato sostenuto dalla corale dei seminaristi di Sheshan. Alla messa hanno partecipato almeno 3.500 fedeli. Joseph, un cattolico di Shanghai racconta ad AsiaNews che "padre Ma, con la sua parola calda e profonda ci ha commossi tutti. Ha spiegato la Preghiera a Nostra Signora di Sheshan, scritta da Benedetto XVI per questa speciale occasione". Per tutto il pellegrinaggio e durante la messa è piovuto a dirotto, ma il clima umido e afoso non ha fermato i fedeli che, incuranti del tempo, hanno continuato a pregare. In passato, nella festa di Nostra Signora di Sheshan, giungevano fino a 200mila pellegrini da tutte le regioni della Cina. Dal 2008, da quando il Papa ha designato quel giorno come Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina, il governo non permette alle altre diocesi (oltre a Shangai) di giungere fino a Sheshan. Per questo, molte diocesi celebrano la Giornata nei santuari locali più vicini con messe, adorazioni eucaristiche, veglie. Quest'anno, nella provincia dello Shanxi vi è stata anche la consacrazione di una nuova chiesa. (R.P.)
India: nel Kashmir integralisti islamici danno fuoco a una chiesa cattolica
◊ Un attacco "pianificato", con il chiaro obiettivo di "terrorizzare a morte la comunità cristiana. Il chief minister del Jammu e Kashmir deve intervenire per garantire sicurezza ai fedeli e ai luoghi di culto". Così Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), commenta all'agenzia AsiaNews il rogo appiccato alla chiesa cattolica Holy Family di Srinagar, due giorni fa. Del tutto distrutta l'entrata principale, ma l'intervento tempestivo di una guardia di sicurezza ha evitato che l'incendio degenerasse. Le telecamere hanno ripreso i due attentatori, ma avendo agito di sera, la loro identità è ancora sconosciuta. Tutte le comunità cristiane della valle del Kashmir hanno espresso solidarietà a quella cattolica. I filmati mostrano due uomini approfittare della temporanea assenza della guardia di sicurezza della chiesa. In quei momenti, gli aggressori hanno gettato benzina e altro materiale infiammabile sulla porta d'ingresso, per poi appiccare il fuoco. Per fortuna, la guardia è tornata in tempo per fermare l'incendio, prossimo a dilagare all'interno: l'intera struttura dell'edificio è in legno. Padre Mathew Thomas, parroco della Holy Family, racconta ad AsiaNews: "Quanto accaduto ci preoccupa molto. Guardando i video, si capisce che si tratta di un attacco premeditato, e che i due aggressori conoscevano bene quanto accade in chiesa. Alla fine di gennaio, la mia moto è stata bruciata, non abbiamo scoperto il motivo, né chi fossero i colpevoli: è chiaro che anche allora, l'obiettivo era la chiesa. Ancora due volte, la Madonna ha interceduto per noi. Possa proteggerci e salvarci sempre". "Quanto accaduto - sottolinea il presidente del Gcic - non è un caso isolato. Penso alla persecuzione subita dal pastore anglicano CM Khanna per aver battezzato giovani musulmani, o alla coppia arrestata mentre era al mercato. Con questi gesti, la comunità musulmana cerca di intimidire la minoranza cristiana. Ma i cristiani a Srinagar non sono nemmeno 400 persone: mi appello a Omar Abdullah, chief minister, un musulmano che ha studiato in istituti cristiani. Deve proteggere tutta la popolazione di Srinagar, anche le minoranze". Il capo del governo del Jammu e Kashmir (unico Stato indiano a maggioranza musulmana) ha frequentato la Burn Hall School, prestigioso istituto cattolico diretto da padre Jim Borst, missionario olandese, da anni accusato di proselitismo. (R.P.)
Afghanistan: i talebani attaccano le scuole femminili per costringerle alla chiusura
◊ Oltre 120 studentesse e 3 insegnanti sono rimaste intossicate nel secondo attacco registrato a distanza di mesi in Afghanistan ad opera dei radicali conservatori del nord del Paese. Secondo la polizia afghana e i funzionari scolastici, un tipo di materiale tossico non identificato è stato utilizzato per contaminare l’aria delle classi delle studentesse, lasciandone decine prive di sensi nella provincia di Takhar. Le forze di sicurezza nazionali, il National Directorate of Security (Nds), sostengono che i talebani, contrari all’istruzione femminile, stiano cercando di creare il panico nelle scuole con l’obiettivo di chiuderle entro il 2014. Fonti del Ministero dell’Istruzione locale hanno riferito che ultimamente ne sono state già chiuse 550 in 11 province dove i Talebani hanno forti appoggi. Lo scorso mese, sempre nella provincia di Takhar sono rimaste avvelenate 150 studentesse dopo aver bevuto acqua infetta. Dal 2001, quando i talebani sono stati rovesciati dalle forze afghane appoggiate dagli Stati Uniti, tre milioni di ragazze sono tornate a frequentare la scuola. Sotto il dominio dei ribelli, le donne non potevano lavorare nè studiare. Purtroppo attacchi periodici contro studenti, insegnanti e edifici scolastici si verificano ancora, in particolare nelle aree più conservatrici del sud e dell’est del Paese, dove i talebani sono più forti. (R.P.)
America Latina: incontro in Argentina sul traffico di esseri umani
◊ Il traffico di esseri umani è stato il tema del XXVII Incontro delle “Diocesi di Frontiera", che dal 21 al 23 maggio, ha riunito i rappresentanti di diocesi di Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, nella città di Gualeguaychú, in Argentina. Nel testo conclusivo dell’incontro, riportato dall’Agenzia Fides, si legge che “il traffico di esseri umani è finalizzato allo sfruttamento commerciale della persona per scopi sessuali, di lavoro o per il furto e la vendita di organi. Prende forma dalla criminalità organizzata e ha una struttura ‘imprenditoriale’, gestisce una grande mobilità di persone e considera l'essere umano come un bene trasferibile e di mercato, secondo la legge della domanda e dell'offerta. La sua crescita allarmante si riflette in un movimento annuale di denaro che supera quello del traffico delle armi, e la rende la seconda attività criminale più redditizia al mondo dopo il traffico di droga”. I vescovi spiegano molto chiaramente che “la tratta significa coinvolgere una persona, spostarla, costringerla, venderla, minacciarla, violentarla, usarla e scartarla. Si parla di violenza fisica, psicologica, con l'inganno o il ricatto, a volte con l'intervento di parenti o persone con le quali la vittima è emotivamente legata. Il turismo sessuale infantile opera sia nella cosiddetta zona del triplice-confine come nelle principali città e assicura adolescenti e bambini per le prestazioni sessuali degli stranieri. In molti casi sono venduti ad altri Paesi in America e in Europa occidentale, secondo le ripetute denunce dell'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro e delle organizzazioni della società civile che si battono valorosamente contro questi crimini”. Dopo aver richiamato questa tragica realtà, il documento propone i valori cristiani come segno di speranza e l'impegno della Chiesa a lottare contro questa situazione difficile. Infine il documento, firmato il 23 maggio, esprime l'impegno di tutti i partecipanti a far conoscere questa terribile situazione, a denunciare i casi, a promuovere la famiglia come primo centro di protezione, a lavorare al fianco di coloro che già sono impegnati sul campo e a manifestare insieme questo impegno. (F.S.)
Haiti: allarme colera. Pesante il bilancio dall'inizio dell'anno
◊ Sono 132 i morti e 13.000 i contagiati per l’epidemia di colera che colpisce Haiti dall’inizio dell’anno, secondo cifre diffuse dall’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dell’Onu (Ocha). Dati che si uniscono a quelli forniti a metà maggio del ministero della Pubblica sanità e della popolazione (Mspp) di Port-au-Prince secondo i quali dallo scoppio dell’epidemia – nell’ottobre 2010 – le vittime sono state 7000 su oltre 540.000 casi documentati. Il responsabile delle operazioni dell’Ocha, John Ging - riferisce l'agenzia Misna - ha sottolineato la necessità di un approccio più efficace all’emergenza da parte delle agenzie di cooperazione e delle autorità, insieme a un maggiore impegno dei Paesi donatori: “E’ inaccettabile che si stiano perdendo vite” ha detto, perché nell’ultimo anno sono mancati i fondi per la prevenzione e l’assistenza sanitaria. Al termine di una missione di tre giorni nel Paese caraibico, che attende l’imminente stagione degli uragani, Ging ha visitato un Centro di trattamento del colera gestito da Medici Senza Frontiere (Msf) che gli hanno manifestato “profonda preoccupazione” per l’evoluzione della malattia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Who) ha avvertito che il numero dei casi potrebbe arrivare a superare le 200.000 unità nel corso del 2012. Migliorare le difficili condizioni di centinaia di migliaia di haitiani che non hanno acqua potabile né servizi igienici “è la priorità” per prevenire nuovi focolai, ha evidenziato l’Ocha. In merito ai senza tetto provocati dal terremoto del 2010, Ging ha esortato i donatori a mantenere i loro impegni “fino a quando ciascuno dei 400.000 sfollati non abbia trovato un’alternativa alla miseria degli accampamenti”. (R.P.)
Bolivia: no dei vescovi al progetto di legge sulle unioni omosessuali
◊ I vescovi della Bolivia oppongono un fermo rifiuto al progetto di legge presentato di recente all’Assemblea legislativa che vuole legalizzare le unioni omosessuali (“Uniones de convivenza”) nel Paese. Per i vescovi il provvedimento è una “grave minaccia alla famiglia”, così come intesa dalla saggezza dei popoli originari della Bolivia, dalla tradizione culturale della società boliviana e dal pensiero cristiano. In questo senso si esprime un comunicato diffuso in margine della loro Assemblea plenaria, nel quale i presuli ricordano che il matrimonio per sua natura e finalità non può essere che “l’unione tra un uomo e una donna” aperta alla vita. Proprio “in quanto struttura sociale fondamentale e insostituibile, basata sulla natura dell’uomo – sottolinea con forza la nota - essa non può essere modificata né dalla Chiesa né dallo Stato”. Infatti, “l’unione omosessuale e il matrimonio non hanno la stessa rilevanza per il bene comune”, data l’incapacità della prima “di dare la vita, assicurare lo sviluppo pieno dei figli e garantire la continuità della società”. Non riconoscere l’accesso allo status matrimoniale alle coppie omosessuali, precisano i vescovi della Bolivia, non implica peraltro “né l’emarginazione né l’esclusione di queste persone” in quanto “ogni essere umano, come figlio di Dio, merita di essere rispettato nella sua dignità e nei suoi diritti fondamentali”. Di qui, in conclusione, l’appello al popolo boliviano “a difendere i principi del matrimonio e della famiglia come istituzioni, che attraverso la convivenza armonica, la procreazione e l’educazione dei figli, promuovono l’autentica felicità umana e contribuiscono alla stabilità e alla continuità della società”. (L.Z.)
Francia: i rosari ufficiali del Santuario di Lourdes vengono realizzati in Terra Santa
◊ E’ il Rosario ufficiale del Santuario di Lourdes, è realizzato dai cristiani di Terra Santa in partenariato solidale con l’Ordine del Santo Sepolcro ed è accompagnato da un certificato di autenticità. L’idea è del rettore del santuario di Lourdes, padre Horacio Brito, che ha voluto promuovere la preghiera del Rosario nel ricordo di Santa Bernadette, con un pensiero speciale per le popolazioni del Medio Oriente. I rosari con l’imprimatur del Santuario di Lourdes, si legge in un comunicato stampa dello stesso santuario, vengono confezionati da una famiglia di Betlemme che utilizza legno d’ulivo, tagliato, pulito preparato e assemblato insieme ad una medaglietta che ricorda le apparizioni della Vergine a Bernadette. Padre Brito, attraverso questa iniziativa vuole anche ricordare le parole di Bernadette “Non conoscevo che il rosario”, insistendo sul fatto che questa preghiera popolare permette di rivisitare i misteri della vita di Cristo e di restare spiritualmente in comunione con “l’altro mondo” per mettere meglio in pratica il Vangelo, affinché i cuori si aprano all’amore di Dio e in Lui alla fraternità universale. I rosari sono disponibili alla Librairie des Sanctuaires Notre-Dame de Lourdes, 1 avenue Monseigneur Théas – 65108 Lourdes Cedex, oppure possono essere richiesti per corrispondenza sul sito www.lourdes-editions.com. (T.C.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 146