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Sommario del 24/05/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • L'esclusione di Dio dalla società, cuore della crisi che ferisce l'Europa. Così il Papa ai vescovi italiani
  • Il Papa riceve due delegazioni, bulgara e macedone, per la festa dei Santi Cirillo e Metodio
  • Giornata di preghiera per la Chiesa cattolica in Cina nella memoria della Beata Vergine Maria Aiuto dei cristiani
  • Il cardinale Bertone invita i politici a dare sostegno reale ed efficace alla famiglia
  • Il cardinale Vegliò: ascoltare le voci coraggiose delle donne migranti
  • Intervento della prof.ssa Glendon: negli Usa violata la libertà religiosa
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • L'Ue si prepara all’uscita della Grecia dall’Euro, indebolito l'asse Parigi-Berlino
  • La Libia al voto il 19 giugno. L'Ue: preoccupante situazione dei diritti umani
  • Abusi su minori. Il prof. Cardia: lettura parziale del documento Cei da parte di alcuni media
  • Caritas e Unicef: la crisi colpisce gli aiuti umanitari, a pagare sono i più poveri
  • Condanne a morte, tortura e repressione. Le violazioni dei diritti umani nel Rapporto Amnesty 2012
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Vicario apostolico di Aleppo: forze straniere non vogliono la pace nel Paese
  • Mali: i sostenitori dei golpisti vogliono il capo della giunta come presidente di transizione
  • Elezioni in Egitto. Mons. Hanna: “Un evento storico scegliere liberamente il nuovo presidente”
  • Tunisia: chiesta la pena di morte per l’ex presidente Ben Ali
  • Repubblica Dominicana: incontro dei vescovi americani sull'immigrazione irregolare
  • Usa: si intensifica la mobilitazione della Chiesa in difesa della libertà religiosa
  • Vescovi europei: etica, spiritualità e politica per uscire dal disorientamento
  • Vietnam. In carcere 4 studenti cattolici: promuovevano libertà religiosa e tutela della vita
  • Nord Kivu. L’appello di Rete Pace per il Congo per la regione al confine con il Rwanda
  • Mozambico: un nuovo reparto di maternità per celebrare la Giornata dell’Africa
  • Nicaragua. Monito dei vescovi: no al riconoscimento legale delle unioni gay
  • Sud Corea. I vescovi sulle presidenziali: “Scegliete promotori di giustizia e di pace”
  • India: in Kerala nuove abitazioni della Chiesa destinate alle famiglie indigenti
  • Mongolia: le difficoltà di una Chiesa che cresce in un territorio difficile
  • Irlanda: i vescovi favorevoli ad una giornata nazionale di espiazione per gli abusi
  • Ucraina: a Sevastopol un incontro interreligioso sulla famiglia
  • Commozione ai funerali di Placido Rizzotto, sindacalista anti-mafia ucciso nel 1948
  • Festival di Cannes: ultimi film all'insegna dell'anticonformismo
  • Il Papa e la Santa Sede



    L'esclusione di Dio dalla società, cuore della crisi che ferisce l'Europa. Così il Papa ai vescovi italiani

    ◊   Il cuore della crisi, spirituale e morale, che ferisce l’Europa passa dall’esclusione di Dio, “grande sconosciuto” del nostro tempo. Così il Papa questa mattina nell’udienza ai vescovi italiani riuniti in questi giorni in Vaticano in assemblea plenaria. Compito della Chiesa, ha spiegato Benedetto XVI, è “introdurre gli uomini e le donne del nostro tempo alla relazione con Dio, garante della nostra felicità”. Il servizio è di Paolo Ondarza:

    E’ l’esclusione di Dio, il secolarismo, il cuore della crisi che ferisce l’Europa. Soprattutto nelle società di antica tradiaizone cristiana – constata il Papa incontando i vescovi italiani - l’uomo, oggi, pretende di avere identità compiuta semplicemente in se stesso, esclude Dio dal proprio orizzonte, gli è indifferente o lo relega nell’ambito soggettivo ad un fatto privato, intimo, marginalizzato dalla coscienza pubblica:

    “Il patrimonio spirituale e morale in cui l’Occidente affonda le sue radici e che costituisce la sua linfa vitale, oggi non è più compreso nel suo valore profondo, al punto che più non se ne coglie l’istanza di verità. Anche una terra feconda rischia così di diventare deserto inospitale e il buon seme di venire soffocato, calpestato e perduto”.

    Diminuzione della pratica religiosa, nella partecipazione all’Eucarestia e alla Confessione e mancato senso di appartenenza ecclesiale tra i battezzati sono solo alcuni dei segni di questa perdita di orientamento della società occidentale nella quale tuttavia non è assente il desiderio di Dio:

    “Non manca di riemergere, a volte in maniera confusa, una singolare e crescente domanda di spiritualità e di soprannaturale, segno di un’inquietudine che alberga nel cuore dell’uomo che non si apre all’orizzonte trascendente di Dio”.

    Da qui l’appello rivolto da Benedetto XVI ai vescovi italiani ad un rinnovato impulso che punti al cuore della fede e della vita cristiana:

    “In un tempo nel quale Dio è diventato per molti il grande Sconosciuto e Gesù semplicemente un grande personaggio del passato, non ci sarà rilancio dell’azione missionaria senza il rinnovamento della qualità della nostra fede e della nostra preghiera; non saremo in grado di offrire risposte adeguate senza una nuova accoglienza del dono della Grazia; non sapremo conquistare gli uomini al Vangelo se non tornando noi stessi per primi a una profonda esperienza di Dio”.

    La prima condizione per parlare di Dio – ha detto il Santo Padre ai presuli italiani – è parlare con Dio, diventare sempre più uomini di Dio, nutriti da un’intensa vita di preghiera e plasmati dalla sua Grazia. Occorre lasciarsi trovare e afferrare da Dio, per aiutare ogni persona ad essere raggiunta dalla Verità.

    “E’ dalla relazione con Lui che nasce la nostra comunione e viene generata la comunità ecclesiale, che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi per costituire l’unico Popolo di Dio”.

    Missione della Chiesa è dunque ricondurre l’uomo d’oggi spesso distratto ad un rinnovato incontro con Gesù cristo, via verità e vita. Questo lo scopo dell’Anno della Fede che – ha ricordato il Pontefice - inizierà l’11 ottobre prossimo: sarà l’occasione per guidare gli uomini e le donne del nostro tempo a comprendere che “compiere la volontà di Dio non è un limite alla libertà, ma è essere veramente liberi”.

    "Dio è il garante, non il concorrente, della nostra felicità, e dove entra il Vangelo – e quindi l’amicizia di Cristo – l’uomo sperimenta di essere oggetto di un amore che purifica, riscalda e rinnova, e rende capaci di amare e di servire l’uomo con amore divino".

    Ai vescovi Benedetto XVI ha affidato il compito di formare persone adulte nella fede, il cui riferimento fondamentale nella vita è Gesù Cristo. In questo cammino formativo il Papa ha indicato l’importanza del Catechismo della Chiesa Cattolica, a vent’anni dalla pubblicazione. Ricordando il 50.mo anniversario dall’inizio del Concilio Vaticano II, il Papa ne ha rimarcato l’obbiettivo, sempre attuale: trasmettere pura e integra la dottrina, in modo nuovo e in continuità con la tradizione millenaria della Chiesa:

    “Con tale chiave di lettura e di applicazione, nell’ottica non certo di un’inaccettabile ermeneutica della discontinuità e della rottura, ma di un’ermeneutica della continuità e della riforma, ascoltare il Concilio e farne nostre le autorevoli indicazioni, costituisce la strada per individuare le modalità con cui la Chiesa può offrire una risposta significativa alle grandi trasformazioni sociali e culturali del nostro tempo, che hanno conseguenze visibili anche sulla dimensione religiosa”.

    Benedetto XVI ha salutato il presidente dei vescovi italiani il cardinale Angelo Bagnasco, felicitandosi per la sua riconferma alla guida della Cei. Quest’ultimo ha ringraziato il Successore di Pietro per la sollecitudine manifestata nelle sue visite pastorali in Italia: l’ultima nella diocesi di Arezzo, Cortona Sansepolcro, la prossima a Milano per l’Incontro Mondiale delle Famiglie.

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    Il Papa riceve due delegazioni, bulgara e macedone, per la festa dei Santi Cirillo e Metodio

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto oggi in due udienze distinte una delegazione dalla Bulgaria, guidata dal neopresidente Rossen Plevneliev, e una dalla ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, con alla testa il presidente del governo, Nikola Gruevski. Come ogni anno, le due delegazioni sono state accolte in Vaticano in occasione della festa dei co-patroni d’Europa, Santi Cirillo e Metodio, che secondo il calendario giuliano ricorre oggi. I due Santi, fratelli nel sangue e nella fede, monaco il primo e vescovo il secondo, originari della città greca di Tessalonica che nel IX secolo faceva parte dell’Impero bizantino, furono i primi evangelizzatori dell’Europa orientale, in particolare delle regioni di Pannonia e Moravia, abitate dai popoli slavi per i quali Cirillo inventò un alfabeto (il cirillico, appunto) in cui tradurre la Bibbia. Dopo le udienze della mattinata, come di consueto il pellegrinaggio è proseguito verso la Basilica romana di San Clemente, dove è custodita la tomba di San Cirillo, morto a Roma proprio mentre recava in dono al Papa le reliquie di San Clemente, da lui recuperate in Crimea. Quest’anno, durante la cerimonia ufficiale, si è svolta l’accensione di due installazioni luminose, opera di due artiste bulgare, dal titolo “Il cammino della speranza” e “Il fuoco della speranza”, che simboleggiano la continuità della luce della fede e della spiritualità cristiana nei secoli. (A cura di Roberta Barbi)

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    Giornata di preghiera per la Chiesa cattolica in Cina nella memoria della Beata Vergine Maria Aiuto dei cristiani

    ◊   Si celebra oggi la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina istituita da Benedetto XVI in occasione della memoria della Beata Vergine Maria Aiuto dei Cristiani, particolarmente venerata nel Santuario mariano di Sheshan, nei pressi di Shanghai, raggiunto in questi giorni da numerosi di fedeli cinesi. Ce ne parla Sergio Centofanti.

    Il Papa esorta tutti i cattolici del mondo a pregare per la Chiesa in Cina: qui, “come altrove – afferma – Cristo vive la sua passione”. Per questo – aggiunge - “quei fedeli hanno diritto alla nostra preghiera, hanno bisogno della nostra preghiera”. Queste le parole di Benedetto XVI al Regina Coeli di domenica scorsa:

    “Ci uniamo in preghiera con tutti i cattolici che sono in Cina, perché annuncino con umiltà e con gioia Cristo morto e risorto, siano fedeli alla sua Chiesa e al Successore di Pietro e vivano la quotidianità in modo coerente con la fede che professano”.

    Nella Lettera alla Chiesa cattolica in Cina, scritta nel 2007, Benedetto XVI esprime la sua intensa gioia per la fedeltà dei cattolici cinesi a Cristo e alla Chiesa, “a volte anche a prezzo di gravi sofferenze”. Una testimonianza di fedeltà, ribadisce, offerta “in circostanze veramente difficili”. Ai fedeli chiede comprensione e perdono quando è necessario. Li invita a un dialogo “rispettoso e costruttivo” con il governo a cui lancia un forte appello a garantire “un’autentica libertà religiosa”. “Lo sappia la Cina - afferma il Papa - la Chiesa cattolica ha il vivo proposito di offrire … un umile e disinteressato servizio, in ciò che le compete, per il bene dei cattolici cinesi e per quello di tutti gli abitanti del Paese”.

    Sul significato della Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, ascoltiamo padre Angelo Lazzarotto, missionario del Pime e sinologo:

    R. – E’ un momento importante, non solo perché i cattolici cinesi hanno una particolare devozione alla Madonna, e a Sheshan vicino a Shanghai c’è un Santuario dedicato a lei dove da anni fanno processioni e pellegrinaggi proprio in questo giorno, ma questo è importante perché si tratta di un momento delicato, difficile per la Chiesa in Cina. Per cui è importante che tutta la comunità cattolica si stringa intorno ai fratelli e alle sorelle che credono in Gesù in quel Paese lontano.

    D. - Come vivono oggi i cattolici in Cina?

    R. – I cattolici in Cina vivono un momento di sofferenza perché sappiamo da 60 anni il regime comunista, pur tollerando le religioni e – dicono - la libertà di credere o non credere, però pone tante e tante difficoltà. Per cui, specialmente per i cattolici, c’è il grande problema di continuare a conservare e a difendere l’unità con la Chiesa universale e con il Santo Padre, con il Successore di Pietro. Il governo cinese vorrebbe avere una Chiesa cattolica che non abbia bisogno di guardare a Roma per gestirsi ma che possa fare tutto all’interno con le proprie autorità e che quindi il governo può controllare: questo specialmente nella scelta dei vescovi ed è un problema cruciale in questo tempo.

    D. – Lei ha scritto un libro sul futuro della Chiesa in Cina di prossima pubblicazione. Qual è il futuro della Chiesa in Cina?

    R. – Io spero e prego che questo momento di difficoltà, di crisi, di sofferenza, porti alla risurrezione, a una crescita nuova, perché pur avendo la Chiesa subito traumi - anche proprio recentemente con la scomunica di due vescovi ordinati senza l’approvazione del Papa -, i cattolici sono fedeli e vogliono restare in unità con la Chiesa universale. Sappiamo che Dio è onnipotente, quello che non possiamo noi, Lui lo può fare. E io sono convinto che questo sia un momento che prepara a una più grande espansione della Chiesa in Cina, per il bene del mondo.

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    Il cardinale Bertone invita i politici a dare sostegno reale ed efficace alla famiglia

    ◊   “Pur nelle attuali difficoltà economiche, rimane imperativo un sostegno reale ed efficace della famiglia”. Lo ha detto il cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone, intervenuto nel pomeriggio, presso la Sala della Lupa di Palazzo Montecitorio, al convegno “Famiglia, fattore per la crescita”. Promosso dall’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà, l’evento è stato organizzato in occasione dell’incontro Mondiale delle Famiglie, che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno. Al centro del suo discorso, l’invito al Legislatore a “tutelare la famiglia”, a garantire ai genitori di trasmettere ai figli i propri valori morali e a “promuovere maggiori agevolazioni” per i figli che si prendono cura dei genitori, anziani o malati. Il servizio di Debora Donnini:

    “Possiamo realisticamente dire che senza famiglia non c’è futuro!”. Il discorso del cardinale Bertone parte dalla famiglia quale comunità naturale, fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, che da sempre la Chiesa presenta quale luogo privilegiato “del patto fra le generazioni”. Ci sono però “alcuni fattori problematici della società odierna” come il primato dell’individuo e “la netta separazione fra pubblico e privato come se la persona non fosse sempre la stessa”. Lo sguardo del porporato è rivolto all’ormai prossimo Incontro mondiale della Famiglie a Milano dal titolo “La famiglia: il lavoro e la festa”. Il lavoro “è da proteggere”, sottolinea, e la sua perdita “va ben oltre la perdita dello stipendio” perché questa è accompagnata da crisi esistenziali che “minacciano gli equilibri familiari”. Lavoro-riposo-festa sono anche “fattori di crescita sociale” e lo stesso riposo, come il lavoro, “deve poter godere di alcuni requisiti umanizzanti ed etici per potenziare il benessere sociale”.

    La riflessione del cardinale Bertone si concentra sulla famiglia, che, afferma, “non è un bene a disposizione della nostra volontà, così da poter essere de-strutturato o, addirittura, manipolato secondo il mutare degli eventi o delle sensibilità del momento, attraverso quelle che potremmo definire anche a livello di pensiero “maggioranze variabili”. Quindi il porporato rileva che in Europa la riflessione giuridica contemporanea ha archiviato, forse troppo rapidamente, il pensiero “naturale” in favore del solo “positivismo giuridico”, accettando il quale si tralascia ogni riferimento alla dimensione naturale dell’esistenza umana e “si corre il rischio concreto di perdere quella originale capacità di equilibrio e di discernimento che sempre era garantita anche dal semplice buon senso”. Il cardinale Bertone fa riferimento al discorso di Benedetto XVI al Parlamento tedesco dove si sottolinea, tra l’altro, come in Europa “vasti ambienti cercano di riconoscere solo il positivismo” come “fondamento comune per la formazione del diritto”. Ma la ragione positivista quando si ritiene la sola cultura sufficiente riduce l’uomo. Bisogna invece tornare “a spalancare le finestre" e a vedere la vastità del mondo. E quindi il cardinale Bertone sottolinea che le parole del Papa possono aiutarci a vedere questo particolare momento di crisi “non solo come momento di prova per tutti” ma anche come “promessa di qualcosa di nuovo, quasi a riportare ancora una volta la centro del pensiero, del diritto, e pure dell’azione politica la dignità naturale della persona umana”.

    Il porporato si richiama all’Esortazione apostolica “Familiaris Consortio” di Giovanni Paolo II. Alla famiglia, cellula fondamentale della società, comunione d’amore basata sul matrimonio e “unità dei due”, ricorda, “è affidata da Dio non soltanto l’opera della creazione” ma la costruzione stessa della storia.

    La famiglia è dunque “il luogo privilegiato in cui si acquisiscono i valori fondamentali della solidarietà”. “Il riconoscimento della legge naturale è un invito pressante per il Legislatore a tutelare la famiglia”, sottolinea richiamandosi anche all’invito di Benedetto XVI ad “una rinnovata ecologia dell’uomo che riconosca la centralità della persona nella cornice più ampia degli esseri viventi”. E ancora il porporato si rifà all’articolo 29 della Costituzione italiana che parla di famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”, che è dunque antecedente lo Stato e quest’ultimo, sottolinea il cardinale Bertone, “non concede, né stabilisce, né autorizza, ma riconosce ciò che è già in esistenza”. Buone strutture familiari sono dunque “la garanzia più efficace per una società stabile e solidale”. E ancora il porporato si richiama all’art. 31 della Costituzione dove si afferma tra l’altro: “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”. Il sostegno alla famiglia, dunque, “richiama la necessità di misure economiche e di interventi legislativi e regolamentari ad hoc”, sottolinea il porporato. Pur apprezzando il numero dei provvedimenti fin qui adottati, per il cardinale Bertone “è auspicabile che l’ordinamento giuridico proceda nel tutelare la famiglia in quanto tale, nella sua funzione di istituto finalizzato al bene umano comune. Pur nelle attuali difficoltà economiche, rimane imperativo un sostegno reale ed efficace della famiglia”.

    Il discorso del cardinale Bertone affronta anche la questione dei diritti dei genitori nell’educazione dei figli. E’ fondamentale che lo Stato “garantisca loro la possibilità, in particolare nel campo etico e religioso, di trasmettere ai figli i propri valori morali”. E dunque fondamentale il diritto alla libertà religiosa che assicura il rispetto del credo dei genitori e “non obbliga nessun bambino ad insegnamenti contrari a tali convinzioni”. “Questo vale, aggiunge, anche per quell’aspetto essenzialmente umano che è, ad esempio, l’educazione sessuale, che non può limitarsi ai semplici fattori biologici, ma deve includere – per essere veramente una formazione umana – aspetti etici in vista di un esercizio integrale della responsabilità”.

    Ma c’è anche il diritto dei bambini “ad avere un padre e una madre per potersi relazionare, fin dalla primissima infanzia, con due figure complementari”. Rilevando la complessità dell’argomento, il segretario di Stato sottolinea un aspetto che emerge dalle discussioni sull’adozione: “non ogni desiderio di avere figli è un diritto. Il bene del bambino è centrale rispetto a qualsiasi provvedimento in merito. Tale principio sussiste anche nel regolare i tristi casi di separazione delle coppie”.

    C’è anche un riferimento, nel suo discorso, al vincolo fra le generazioni. La politica ha il compito di “promuovere maggiori agevolazioni per i figli che si prendono cura dei genitori, anziani o malati, riconoscendo il loro impegno come un contributo essenziale per il bene comune”.

    E ancora, a proposito del ruolo delle donne bisogna evitare il pericolo che “possano, proprio perchè madri, essere penalizzate in ambito lavorativo” e far sì che il lavoro sia strutturato in modo che la donna non debba pagare la sua promozione a danno della famiglia nella quale ha come madre un ruolo insostituibile.

    Il dovere dell’azione politica che mira a “tutelare e sostenere la famiglia” come cellula fondamentale della società è “un compito che esalta la politica stessa”. Quando, infatti, l’impegno per il bene comune è animato dalla carità, dice richiamandosi alla Caritas in veritate, come ogni impegno per la giustizia si inscrive “in quella testimonianza della carità divina che, operando nel tempo, prepara l'eterno”.


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    Il cardinale Vegliò: ascoltare le voci coraggiose delle donne migranti

    ◊   Rafforzare l’impegno per difendere i diritti delle donne migranti: così, il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del dicastero per i Migranti e gli Itineranti, al Convegno “Costruire ponti di opportunità: donne e migrazione”, tenutosi oggi al Centro Studi americani di Roma. L’evento, promosso dall’ambasciata Usa presso la Santa Sede, è stato seguito per noi da Alessandro Gisotti:

    Superano ogni ostacolo e pregiudizio, sopportano abusi e violenze. Lo fanno per i loro figli, sono le donne migranti. A loro e al loro straordinario coraggio è stato dedicato il Convegno “Donne e migrazione” che al Centro Studi Americani ha visto la presenza di numerose personalità istituzionali, ecclesiali e non, impegnate ad “umanizzare” il fenomeno dell’immigrazione. Introducendo i lavori, l’ambasciatore americano presso la Santa Sede, Miguel H. Diaz, ha sottolineato la necessità innanzitutto di “ascoltare” le donne migranti, le loro sofferenze come le loro speranze. Un tema, quello dell’ascolto, che ha contraddistinto l’intervento del cardinale Antonio Maria Vegliò:

    “Una di loro ha detto: abbiamo bisogno di integrarci nella società (…) cercate soluzioni per i nostri figli. Non parlate, ma fate cose pratiche. Noi non chiediamo assistenza psicologica, ma di incontrare persone che si preoccupano realmente di noi”.

    Il presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e degli Itineranti ha affermato che “la comunità ecclesiale è chiamata ad accompagnare le donne” immigrate con “affetto e cura, riservando un’attenzione speciale a quante sono state ferite nella dignità e private dell’innocenza”. Ed ha citato l’impegno, in questo senso, di “Talitha Kum”, la Rete internazionale della Vita Consacrata contro la tratta delle persone che opera in ben 82 Paesi. Il cardinale Vegliò non ha infine mancato di avvertire la particolare responsabilità che tutti noi abbiamo perché le donne migranti abbiano un lavoro dignitoso:

    “Una particolare responsabilità spetta al consumatore che deve essere consapevole delle condizioni in cui sono coltivati o fabbricati i prodotti che acquista. L’introduzione di etichette commerciali e di codici di condotta potrebbe contribuire ad assicurare condizioni di lavoro decenti”.

    Dal canto suo, Martina Liebsch, direttore per le politiche di “Caritas Internationalis” ha denunciato che oggigiorno il traffico di persone è più facile che il traffico di droga e di armi. Soprattutto in questa situazione di grave crisi economica, ha poi aggiunto, abbiamo bisogno di una cultura della cooperazione che sconfigga la cultura della paura. Ed ha sottolineato come Caritas sia impegnata, in particolare con i giovani, ad accrescere la consapevolezza della piaga delle nuove schiavitù di cui sono spesso vittime le donne. Al Convegno, è intervenuta anche Farah Pandith, rappresentante speciale del Dipartimento di Stato americano per i rapporti con le comunità musulmane.

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    Intervento della prof.ssa Glendon: negli Usa violata la libertà religiosa

    ◊   “Una flagrante violazione della libertà religiosa”: così, in un articolo pubblicato sul Wall Street Journal, la prof.ssa Mary Ann Glendon interviene sulla riforma sanitaria voluta dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. In particolare, il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali fa riferimento ad una norma di legge che renderebbe obbligatorio, anche per gli organismi cattolici, il pagamento di eventuali spese per contraccettivi, aborti e sterilizzazioni dei propri dipendenti. “L’obiettivo principale di tale norma – scrive la Glendon – non è tutelare la salute delle donne; si tratta, piuttosto, del tentativo di coscrivere le organizzazioni religiose nell’agenda politica”. Quindi, il presidente dell'Accademia pontificia ribadisce che, contrariamente alle insinuazioni dei mass media, la preoccupazione riguardo a tale questione non è solo di “una minoranza cattolica”, bensì “di tutte le fedi”, perché “è in gioco la missione di tutte le Chiese, compresa quella cattolica, di fornire servizi sociali, come la sanità e l’istruzione, a tutti, senza distinzione di credo, e di farlo senza compromettere le proprie convinzioni”. Non solo: “Ad un livello più profondo – continua la Glendon – si sta assistendo ad un attacco contro quelle istituzioni della società civile che rappresentano ammortizzatori importanti tra i cittadini e uno Stato plenipotenziario”.
    Se, infatti - ribadisce l'ex ambasciatrice Usa presso la Santa Sede - le strutture religiose che forniscono educazione, assistenza medica e servizi sociali vengono “costrette a diventare strumenti di amministrazione politica, il governo finisce per consolidare un monopolio su tali servizi essenziali”. E ciò significa tentare di “ridurre la religione ad un’attività privata”. Riferendosi, poi, alla causa intentata da 43 organismi cattolici contro il governo di Washington, per tentare di fermare l’entrata in vigore della norma di legge in questione, la prof.ssa Glendon scrive: “In tutto il Paese, cattolici e non cattolici stanno chiedendo ai giudici di respingere un assalto senza precedenti alla capacità del singolo e dei gruppi religiosi di praticare la propria fede, senza essere costretti a violare le personali e più profonde convinzioni morali”. E conclude: “Se la norma non verrà cambiata, essa farà decadere la libertà religiosa dal suo posto preminente tra le libertà più amate da tutto il Paese”. (A cura di Isabella Piro)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Per parlare al mondo di un Dio sconosciuto: Benedetto XVI all'assemblea generale della Conferenza episcopale italiana.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, il Mali, dove ancora non decolla il piano di transizione per il ripristino della normalità democratica.

    In cultura, riguardo alla presentazione, domani, di due volumi sulla collezione di fotografie della Biblioteca Apostolica Vaticana, gli interventi del prefetto monsignor Cesare Pasini, di Anna Maria Voltan e di Barbara Jatta.

    Cosa siamo disposti a fare per denaro?: Giulia Galeotti recensisce il libro di Aravind Adiga "L'ultimo uomo nella torre".

    Nell'informazione religiosa, un articolo di Silverio Nieto Nunez, diretolre del Servizio giuridico civile della Conferenza episcopale spagnola, dal titolo "Nell'orizzonte della libertà": la Corte di Strasburgo tutela l'autonomia della Chiesa nella scelta dei docenti di religione.

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    Oggi in Primo Piano



    L'Ue si prepara all’uscita della Grecia dall’Euro, indebolito l'asse Parigi-Berlino

    ◊   L'Ue vuole che la Grecia resti nell'Euro, a patto che rispetti gli impegni presi. E intanto si prepara anche a gestire le conseguenze di una sua uscita dall'Eurozona. Questo, in sintesi, il messaggio lanciato ieri ad Atene dal vertice Europeo. Molti analisti puntano sul fatto che non sembra diffusa la consapevolezza che quel passo segnerebbe con molte probabilità la fine dell’Euro. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Carlo Altomonte, docente di Economia dell’Integrazione Europea presso l’Università Bocconi di Milano:

    R. – L’uscita possibile, anche se mi auguro non probabile della Grecia dall’Euro - perché alla fine dipende dal loro percorso democratico - sarebbe a mio avviso contenibile nel breve periodo, attraverso l’uso di vari strumenti che abbiamo già – la Banca Centrale Europea e il fondo salva Stati – ma manderebbe il segnale che questo Euro non è irreversibile, come invece si percepiva. Quindi, a quel punto, per salvare nel medio periodo l’Euro sarebbe necessario davvero un passo avanti nel percorso di integrazione.

    D. – Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale, continua a lanciare allarmi sull’effetto domino, allarmi che però non vengono ascoltati...

    R. – Io ho la sensazione che evidentemente ci si stia preparando a tagliare questo effetto domino, quindi a togliere la pedina che dalla Grecia poi si sposterebbe sugli altri Paesi. I Paesi staranno in qualche maniera predisponendo dei piani di emergenza al riguardo. Per cui da questo punto di vista, penso che tale effetto domino possa essere in qualche modo controllato. Il problema è che non possiamo dirlo apertamente, perché se facciamo sapere ai cittadini greci che noi ci stiamo convincendo che loro usciranno, è razionale per i cittadini greci andare in banca e prendere i loro Euro, ma se fanno così la Grecia non arriverà al 17 giugno, uscirà prima dall’Euro.

    D. – Per uscire fuori da questa situazione si rende necessario, a questo punto, il varo degli “Eurobond”, ossia la trasformazione dei debiti pubblici dei Paesi membri, almeno per una parte rilevante, in debito europeo. La Germania, però, continua ad essere fortemente contraria. L’indebolimento della Merkel sul piano internazionale, secondo lei, può cambiare le carte in tavola?

    R. – Sì, ma non sul tema “Eurobond”, nel senso che non è vero che gli Eurobond sono la soluzione alla crisi in questa fase. Gli Eurobond sono la soluzione nel medio periodo, ma richiedono modifiche costituzionali, modifiche dei trattati, non possono avvenire nello spazio di due mesi. Quello che serve in questa fase è un meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie a livello europeo, una ricapitalizzazione delle banche a livello europeo, un meccanismo di supervisione delle banche a livello europeo e un’assicurazione sui depositi bancari a livello europeo. In pratica, devo essere sicuro che i miei soldi in banca resteranno garantiti, non perché me li garantisce l’Italia, ma perché me li garantisce l’Europa. Questo spegnerebbe nel breve periodo la crisi ed eviterebbe l’effetto domino. Di questo ieri si è parlato e ci sono buone possibilità per il raggiungimento di un accordo. Volutamente a questa cosa non è stata data troppa enfasi. Continuiamo ufficialmente a parlare di Eurobond, ma sappiamo che in realtà la storia è un’altra.

    D. – Sul fronte degli equilibri interni europei c’è da constatare la nuova alleanza tra Francia e Italia, mentre l’asse Parigi-Berlino sembra sempre più debole. Questo vuol dire che è finito il momento del rigore spinto?

    R. – Sì, quello penso di sì. La Merkel anche su questo ha fatto importanti aperture, anche nei confronti della Grecia. Tornando sul tema della soluzione Eurobond piuttosto che al meccanismo di salvaguardia delle banche, evidentemente qualunque di queste soluzioni coinvolgerebbe la Germania e quindi la messa in comune di garanzie e o di debito da parte dei cittadini tedeschi. Al momento la Germania è restia, come sappiamo, su entrambe le opzioni, ma l’isolamento internazionale della Merkel, anche nei confronti degli Stati Uniti - non dimentichiamoci che il presidente Obama ha un fortissimo interesse, anche politico, che l’Europa non crei problemi all’economia americana, in funzione della sua rielezione - questo isolamento potrebbe in qualche modo ammorbidire la posizione della leader tedesca.

    D. – Quest’asse invece tra Monti e Hollande, come lo definisce?

    R. – Storicamente la posizione italiana è sempre stata di compromesso tra un rapporto conflittuale che c’è stato in passato tra Francia e Germania. Fino a ieri eravamo alleati dei tedeschi sul fronte dell’austerità, perché comunque all’austerità non possiamo derogare, dall’altro lato, evidentemente, quando questa austerità dovesse essere troppo rigida, facciamo un’asse con Hollande per portare avanti le posizioni compromesse. Quindi, l’Italia è sempre stata strumentale tra Francia e Germania a creare le posizioni di compromesso su cui l’Europa è andata avanti. Per cui non mi stupisce vedere Monti "a braccetto" con la Merkel a febbraio e Monti "a braccetto" con Hollande, per così dire, oggi. L’importante è che questi tre continuino a parlarsi. E’ da questo “trialogo” e non dal dialogo che nasce la soluzione europea alla crisi.


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    La Libia al voto il 19 giugno. L'Ue: preoccupante situazione dei diritti umani

    ◊   La Libia del dopo Gheddafi si appresta ad andare al voto il 19 giugno prossimo per la scelta dei componenti dell’Assemblea Nazionale. Grande l’attenzione internazionale per questo importante appuntamento, in particolare dell’Europa, che invierà una nutrita squadra di osservatori. Nell'ultimo rapporto annuale sulle relazioni con i Paesi vicini, Bruxelles afferma di voler concludere un accordo a lungo termine con le nuove autorità di Tripoli. Tuttavia nel documento si esprime anche preoccupazione per la situazione dei diritti umani in Libia, in particolare per gli sfollati interni, le minoranze etniche e gli immigrati dall'Africa sub-sahariana. Giancarlo La Vella ha parlato della questione con Luciano Ardesi, esperto di nord-Africa:

    R. - Naturalmente il fatto che le milizie locali rimangano in gran parte ancora armate e la costituzione di un esercito nazionale sia ancora in fase progettuale fa sì che i conflitti e le tensioni e le violenze - che sono naturali dopo ciò che ha vissuto il Paese con la caduta di Gheddafi - si ripetano in continuazione. Ci sono molte persone in prigione, che non hanno avuto un processo, senza prospettive che questo si celebri in misura equa o secondo gli standard internazionali. Questo è un motivo di preoccupazione che dovrebbe essere tra le priorità del nuovo parlamento e del nuovo governo.

    D. - È come se l’idea di unità fosse ancora lontana, e prevalessero ancora quelle divisioni tribali che hanno sempre caratterizzato il tessuto sociale libico?

    R. - Certo, oggi il quadro della situazione rimane questo. Le tensioni interetniche e intertribali sono forti e vengono esaltate proprio dal fatto che lo stesso Gheddafi, aveva per 40 anni, manovrato queste diversità, queste differenze, tenendole unite solo con la sua autorità e talvolta anche con la violenza e la repressione. È chiaro che in questo momento, queste identità si stanno manifestando, in maniera talvolta anche violenta, proprio per la presenza delle milizie armate. E anche questo costituirà il banco di prova del nuovo parlamento e del nuovo governo: ricostruire un’identità ed un’unità nazionale che è andata a pezzi dopo la caduta del colonnello.

    D. - Quello che manca nella nuova Libia sembra essere il dialogo con il resto della comunità internazionale. È auspicabile che questo avvenga, soprattutto con l’Europa?

    R. - Sicuramente l’Europa dovrà ristabilire delle relazioni normali con la Libia, ma chiedendo anche, in contropartita, che il Paese si adegui a tutti gli standard internazionali, al rispetto dei quali sono chiamate tutte le Nazioni del mondo. C’è però anche un fatto di reciprocità; anche l’Europa deve assumersi alcune delle responsabilità nel sostegno dato in passato al regime di Gheddafi. Poi, nell’intervento armato, sotto l’egida della Nato, sono stati compiuti dei bombardamenti indiscriminati che hanno fatto numerose vittime civili. Credo che sarebbe giusto un risarcimento morale ed anche materiale per questi episodi, risarcimento che, tra l’altro, i familiari delle vittime stanno reclamando. Questo rapporto di reciprocità, una normalizzazione della situazione, anche dal punto di vista della giustizia, e dei diritti umani sarebbe opportuna.


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    Abusi su minori. Il prof. Cardia: lettura parziale del documento Cei da parte di alcuni media

    ◊   Continua il dibattito sulle Linee guida presentate dalla Conferenza episcopale italiana circa l’atteggiamento e le misure da adottare nel contrasto di eventuali reati sessuali commessi a danno di minori da parte di chierici. Un documento che ha suscitato delle polemiche nella stampa laica per l’assenza, a carico dei vescovi italiani, di un’obbligatorietà giuridica di sporgere denuncia qualora vengano a conoscenza di casi di molestie contro i minori. A chiarire la portata del documento della Conferenza episcopale italiana è il prof. Carlo Cardia, docente di diritto ecclesiastico presso l’Università di Roma Tre. L’intervista è di Stefano Leszczynski.

    R. – Il primo punto che io sottolineerei è che questo documento – le Linee guida della Conferenza episcopale – comportano un impegno totale della Chiesa italiana nell’affrontare quello che è un dramma e che è, usando proprio le parole di Benedetto XVI, “uno scandalo nello scandalo”: la pedofilia e gli abusi sui minori sono già di per sé uno scandalo, ma nella Chiesa lo sono ancora di più. Noi vediamo che queste Linee guida propongono qualcosa di più di una linea meramente giuridica e le cito soltanto due fatti. Il primo è che la Chiesa e i vescovi in prima persona sono impegnati, oltre i doveri giuridici, ad andare incontro alle vittime e alle loro famiglie per far tutto quello che è possibile per riparare alla drammaticità delle situazioni. Quindi un intervento di sostegno e di aiuto attivo della Chiesa e dei vescovi nei confronti delle vittime. Il secondo punto, che non è stato sottolineato, è che vi è una durezza giusta e sacrosanta nei confronti di coloro che si rendano colpevoli di questi abusi nell’allontanarli sempre e comunque da qualsiasi rapporto con i minori e quindi nell’evitare anche la possibilità, la potenzialità, del ripetersi del reato e della colpa, perché stiamo parlando della Chiesa. Questi aspetti, per esempio, non sono stati messi in rilievo, perché si è data una lettura – io credo – un po’ parziale, un po’ affrettata di questo documento.

    D. – Quindi, in sostanza, c’è stato un rafforzamento sia di quello che è l’impegno morale in campo civile e in campo pastorale, sia un rafforzamento di quelli che sono gli obblighi secondo il diritto canonico, il diritto della Chiesa?

    R. – C’è stato un rafforzamento ed una presa di responsabilità diretta dei vescovi, perché ai vescovi è chiesto di mettere in atto immediatamente queste misure di sostegno e di intervento punitivo o comunque preventivo per il futuro. Anche con riferimento a quello che è stato scritto sui giornali circa l’obbligatorietà della denuncia, bisogna essere più precisi: il fatto che non vi sia l’obbligo della denuncia deriva soltanto dal fatto che questo scaturisce dalla legislazione italiana, ma non vuol dire affatto che i vescovi non possano denunciare i reati. Questo lo ha messo bene in luce mons. Crociata, quando ha detto piuttosto che nella prassi ordinaria, nella maggioranza dei casi – perché bisogna anche distinguere i casi più gravi da quelli minori – vi è la prassi di denunciare anche all’autorità giudiziaria. In ogni caso, oltre questa prassi, vi è l’obbligo di una piena collaborazione dei vescovi - e quindi di tutti coloro che sono in qualche modo a conoscenza del fatto - con l’autorità giudiziaria che si occupa della materia. Si aggiunge infine che le vittime, naturalmente, non devono mai essere non solo distolte, ma nemmeno condizionate dal proporre l’azione necessaria a livello civile e penale.

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    Caritas e Unicef: la crisi colpisce gli aiuti umanitari, a pagare sono i più poveri

    ◊   L’attuale crisi mondiale sta colpendo le principali organizzazioni umanitarie con pesanti conseguenze sulle popolazioni povere del pianeta. La solidarietà della gente non manca ma le difficoltà negli aiuti si fanno sentire. Ne risente anche la rete delle Caritas? Sergio Centofanti lo ha chiesto a Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale della Caritas italiana:

    R. – Se devo dare uno sguardo a livello internazionale, ascoltando anche i miei colleghi delle altre Caritas, direi certamente di sì; la causa principale è legata al ridursi dei finanziamenti, soprattutto da parte dei governi e delle agenzie collegate. Quindi, il segnale che è arrivato anche dai recenti incontri della Caritas Internationalis e della Caritas Europa è un segnale di forte preoccupazione perché molte Caritas, soprattutto del Nord Europa, che potevano garantire flussi consistenti di fondi a progetti in tutto il mondo, stanno riducendo queste dinamiche che duravano da anni. Quindi, in questo momento c’è un venir meno, un ridursi in modo abbastanza consistente di questi fondi. D’altro canto, però, bisogna dire che aumenta la solidarietà dal basso, la solidarietà della gente: probabilmente, vivendo anche sulla propria pelle una povertà crescente o osservandola da vicino, in qualche modo aumenta il tasso di solidarietà di molte persone. E’ un dato più qualitativo, questo, però mi sembra importante segnalarlo.

    D. – Quali sono i settori più colpiti?

    R. – Dal punto di vista economico, certamente c’è un ridursi delle entrate ordinarie. Quindi, se sulle grandi emergenze – anche per la forte ripresa mediatica – la solidarietà non manca, da tutti i punti di vista, però l’ordinarietà, quindi le povertà ordinarie in Italia, in Europa e nel mondo, le progettualità sulla povertà estrema, sulla povertà dimenticata, vivono della difficoltà crescente a ricevere il finanziamento, se paragonato – evidentemente – a quello che succedeva fino a qualche anno fa, in particolare fino al 2008.

    D. – Sono tante le emergenze oggi in Italia e nel mondo. Quali sono le aree che in questo momento esigono maggiore attenzione?

    R. – In Italia e in Europa, certamente questo tema della crisi ci sta mettendo in forte difficoltà. Le richieste che arrivano ai nostri centri di ascolto, alle nostre Caritas diocesane e parrocchiali e a tutti i servizi collegati, sono crescenti e riguardano moltissimo anche gli italiani, anche i giovani; quasi sempre la richiesta poi, in fondo, è quella del lavoro. Quindi, persone con grandissima dignità, persone anche mai viste prima, persone per cui stiamo anche intervenendo con azioni ad hoc, mirate, fuori quindi dagli interventi ordinari di contrasto alla povertà. Se invece do uno sguardo più europeo e internazionale, certamente il dato più preoccupante in questo momento è quello relativo alla fame nel Sahel, quindi di tutta l’Africa subsahariana, soprattutto quella occidentale a sud del Sahara – Niger, Mali, Burkina Faso in particolare, ma poi, purtroppo, anche l’area che va dal Senegal fino sostanzialmente al Sudan – con la fortissima siccità che sta comportando una enorme carestia: si parla ormai di quasi 13 milioni di persone colpite. Oltre a questo, ci sono certamente tutti gli altri fronti, come i cosiddetti conflitti dimenticati, le emergenze dimenticate … Quindi, tutti fronti di cui si parla molto poco ma che certamente giungono fino a noi con richieste pressanti e continue.

    Di fronte all’attuale crisi, l’Unicef ha lanciato una campagna di raccolta fondi: ascoltiamo il presidente di Unicef Italia, Giacomo Guerrera, al microfono di Sergio Centofanti:

    R. - Noi abbiamo lanciato una campagna di civiltà: “Vogliamo zero”. Vogliamo zero mortalità infantile. Ancora oggi, nel mondo, muoiono ogni giorno 22 mila bambini per malattie facilmente prevenibili perché il dramma è proprio questo. Noi possiamo fare qualcosa; tutti noi possiamo fare qualcosa. Noi abbiamo lanciato questa campagna perché contiamo sulla generosità degli italiani, che hanno sempre partecipato alle nostre iniziative, e lo possono fare in maniera molto semplice, mandando un sms da un telefono mobile al 45505, oppure telefonando da un telefono fisso. In questo modo, è possibile aiutare questi milioni di bambini che purtroppo ancora muoiono. Abbiamo ottenuto dei successi, questo va detto, e gli ascoltatori lo devono sapere. In una generazione siamo riusciti quasi a dimezzare la mortalità infantile; quindi possiamo fare sicuramente di più, e possiamo ottenere dei risultati, carichi di questa esperienza.

    D. - L’Unicef sta risentendo della crisi mondiale riguardo alle donazioni?

    R. - L’Unicef, come tutte le organizzazioni, subisce un contraccolpo dalle situazioni che si verificano quotidianamente. La crisi, naturalmente è la prima causa, poi ci sono degli eventi che accadono, come il terremoto che ha colpito il nostro Paese. La solidarietà degli italiani, verrà indirizzata anche verso questa raccolta di fondi che è importante, per carità, però noi siamo una nazione ricca, una nazione che ha delle possibilità, e non possiamo dimenticare questi bambini.

    D. -Quali sono le aree che, per l’Unicef, destano maggiore preoccupazione?

    R. - Le aree che destano maggiore preoccupazione sono sicuramente le aree dove vi sono le cosiddette “emergenze nascoste”. Il dramma nasce quando un’emergenza, che è portata all’attenzione dei media, improvvisamente perde la visibilità: si passa dalla prima pagina all’ultima. Mi riferisco al Corno d’Africa, al Sahel, al Congo, ad Haiti, alla stessa Libia, dove siamo riusciti a rimandare a scuola un milione e 200 mila bambini. Ma ci sono ancora molti problemi determinati dalle popolazioni che sono state costrette ed emigrare nei Paesi vicini.

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    Condanne a morte, tortura e repressione. Le violazioni dei diritti umani nel Rapporto Amnesty 2012

    ◊   La libertà di espressione è negata in almeno 91 paesi. In 101 si registrano maltrattamenti e torture, in 21 sono state eseguite condanne a morte e oltre 18mila prigionieri si trovano nei bracci della morte. Sono alcune delle violazioni contenute nel rapporto annuale di "Amnesty International", che sottolinea come il 2011 sia soprattutto stato un anno di proteste senza precedenti, manifestazioni che hanno dato vita ad un movimento globale spontaneo di persone, che hanno trascorso giorni e settimane in strada dimostrando che il cambiamento è possibile. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Da una parte il 2011 è stato segnato dal coraggio di popolazioni che si sono attivate per pretendere libertà, dignità e giustizia, e che sono riuscite a ottenere, in alcuni casi, importanti risultati. Dall’altra, lo scorso anno, è stato anche segnato dall’inasprimento della repressione dei governi in tutti i Paesi "contagiati" dal virus della protesta. Molto grave la situazione in Siria. Christine Weise, presidente di Amnesty Italia.

    “In Siria ormai abbiamo contato più di novemila persone morte durante e dopo le proteste, persone che sono state uccise. Decine di migliaia sono le persone che vengono torturate. E’ un attacco contro la popolazione civile che ha tutti i criteri di un crimine contro l’umanità, perché la tortura, usata in maniera massiccia come si sta facendo adesso in Siria, è un crimine contro l’umanità. Noi abbiamo documentato come il regime di Assad osservi le manifestazioni in tutto il mondo davanti alle ambasciate, vendicandosi poi sui genitori, rimasti in Siria, dei manifestanti all’estero. Insomma, stanno veramente attuando una strategia di repressione fortissima. Per quanto riguarda le violazioni commesse da parte dell’opposizione, Amnesty International ancora non le ha documentate. E’ ovvio che con il tempo si stia formando un’opposizione che sta cercando di armarsi. Su questo vigileremo e Amnesty International, come sempre imparziale, documenterà anche le violazioni dall’altra parte”.

    Nonostante gli importanti passi avanti fatti, in Egitto, così come Tunisia, si registrano ancora violazioni soprattutto contro le donne. In vista delle elezioni parlamentari in questi due Paesi, Amnesty ha chiesto ai partiti di impegnarsi a difendere i diritti delle donne senza però ricevere risposta. Particolarmente preoccupante poi ciò che sta accadendo in Libia, dove è ancora diffusa la tortura e dove in alcuni casi è accertato che sia stata mortale:

    “Lo stesso nuovo governo sostiene di non essere in grado di controllare la situazione. E’ un problema di milizie che agiscono in varie zone del Paese, e che effettivamente non sono sotto il controllo del governo. Quindi, il primo compito importante del governo deve essere proprio quello di controllare le azioni di queste milizie e di garantire la sicurezza per le persone della società civile. C’è anche un altro fatto: diverse minoranze etniche, che sono sospettate globalmente di essere sostenitrici di Gheddafi, adesso subiscono dei fortissimi attacchi razzisti, non solo di discriminazione, ma di vera e propria persecuzione violenta”.

    Nel 2011, milioni di persone sono scese in piazza in Nord Africa e poi nel mondo intero, da Mosca a Londra, da Atene fino a Dakar, Kampala, Phnom Penh e Tokyo. In molti di questi Paesi, però, esponenti dell’opposizione hanno subito violazioni e sono stati ridotti al silenzio. E in molti casi l’opinione internazionale si è voltata dall’altra parte di fronte alle violazioni dei diritti dei manifestanti:

    “Nel Bahrein si è svolto il Gran Premio di Formula 1 e intanto il regime, che si vuol sempre dimostrare molto aperto e molto moderno, continua invece a reprimere la popolazione. In Azerbaigian sabato sera ci sarà la finale del concorso della canzone europea Eurovision. L’Italia è tornata a partecipare dall’anno scorso, dopo venti anni di assenza. Quindi, vi andrà anche una nostra artista. Dunque, si accendono i fari di tutta l’Europa sull’Azerbaigian e su Baku, che cerca di dimostrarsi un Paese moderno, un Paese europeo, ma che contemporaneamente reprime le manifestazioni: mette in prigione i blogger e i giornalisti. In questi giorni, alcune manifestazioni sono state represse con la violenza e i media europei ne stanno parlando pochissimo”.

    Il fallimento delle leadership, documentato dalla brutalità o dall’indifferenza con le quali i dirigenti politici hanno risposto alle proteste, ha indebolito fortemente il consiglio di sicurezza dell’Onu, rendendolo inadeguato rispetto al suo ruolo. Amnesty chiede di intervenire duramente, e non solo per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani in Siria.

    “Quarantamila persone sono state uccise negli ultimi mesi del conflitto in Sri Lanka e non sono intervenuti per niente. Quindi, non è solo il Nord Africa per cui abbiamo chiesto, e chiediamo, che il Consiglio di Sicurezza abbia una guida forte anche nella tutela dei diritti umani, ma anche per altri casi importanti, come appunto lo Sri Lanka, o come i territori occupati da Israele, dove c’è stata una commissione di analisi, e dove, però, non c’è stata una presa di posizione forte per quanto riguarda i crimini contro l’umanità che sono stati documentati”.

    Tra le richieste che Amnesty rivolge ai governi, ancora una volta, quella di arrivare entro l’anno ad un accordo per un Trattato sul commercio di armi:

    “Sono 500 mila le persone che ogni anno muoiono con l’uso delle armi. La Siria, l’Egitto, la Libia sono stati tra i migliori clienti, anche dell’Italia, per quanto riguarda la vendita di armi. Quindi, è importantissimo che questo trattato finalmente sia firmato e contenga una 'regola d’oro' per quanto riguarda la tutela dei diritti umani”.

    L’Italia, oltre ad essere implicata nel commercio di armi, è tra l’altro rea di aver dato una risposta poco umanitaria alle rivolte arabe. Aveva i mezzi per salvare le vite di coloro che fuggivano attraversando il Mediterraneo, è la denuncia di Amnesty, ma ha preferito concentrarsi sul contenimento dei flussi migratori. Al governo Monti si chiede poi di adoperarsi per inserire il reato di tortura nel codice penale e di fare chiarezza sui rapporti tra Italia e Libia. Riccardo Noury, portavoce Amnesty Italia:

    R. - Resta un fatto inaccettabile e grave che l’Italia sia tra i non molti Paesi che non prevedono il reato di tortura. Questo ha delle ripercussioni concrete, che abbiamo visto già nei processi che sono andati in appello: penso a quello di Bolzaneto per la tortura commessa nei confronti delle persone detenute in quel centro di transito. La sentenza di appello dice che ci sono stati casi di tortura, ma ammette di non avere nel codice penale le parole per dirlo. Il Codice penale non solo non ha la parola per definire la tortura, ma non ha neanche le pene e le sanzioni. Questo vuol dire prescrizione e getta anche una macchia sull’esito dei processi per casi di decesso, in custodia, o comunque nelle mani delle forze di polizia, che sono avvenuti dopo Genova e sui quali ci sono ancora delle inchieste in corso.

    D. – Che tipo di collaborazione vi aspettate da Monti?

    R. – Ci vengono dei segnali di preoccupazione su due temi. Il primo è la cooperazione con la nuova Libia in tema di migrazione. Ci sono accordi che sono stati raggiunti recentemente con le nuove autorità libiche, i cui contenuti non sono pubblici. Continuiamo a chiedere di conoscerne il contenuto, con la preoccupazione che con le autorità libiche non sia possibile fare alcun accordo in materia di immigrazione, se non a scapito della difesa dei diritti umani delle persone coinvolte: migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Ci preoccupa un secondo aspetto, che è quello dei rom. Il Consiglio di Stato, nel novembre 2011, aveva giudicato illegittimo lo stato d’emergenza decretato dal governo Berlusconi nel 2008, che ha prodotto violazioni dei diritti umani ai danni dei rom, in particolare centinaia di sgomberi forzati a Roma, Milano e altrove. Sembrava un segnale importante, c’era stata una dichiarazione di rispetto di quella sentenza, ma recentemente il governo Monti ha presentato ricorso in Cassazione, adducendo ragioni tecniche. L’effetto è stato duplice: da un lato, il Consiglio di Stato ha sospeso la propria sentenza; dall’altro, le amministrazioni, che non aspettavano altro, hanno riavviato i lavori dell’emergenza nomadi, in particolare l’amministrazione romana, dando nuova esecuzione al suo piano nomadi.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Vicario apostolico di Aleppo: forze straniere non vogliono la pace nel Paese

    ◊   "Ci sono forze straniere che non vogliono la pace in Siria. Il Paese è ormai preda di guerriglieri provenienti da Tunisia, Libia, Turchia, Pakistan e altri Stati islamici. Armi e denaro passano attraverso i confini e alimentano questa spirale di violenza". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews mons. Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico di Aleppo. "I Paesi occidentali non fanno nulla di concreto per fermare il conflitto - sottolinea - essi non hanno a cuore il destino del popolo siriano, che oltre alla guerra fra esercito e ribelli subisce anche l'embargo economico". Mons. Nazzaro racconta che in tutto il Paese iniziano a scarseggiare medicinali, carburante, gas. Nelle province più colpite dagli scontri, manca tutto ed è difficile per la popolazione sopravvivere, soprattutto se si protrarrà ancora questa situazione di tensione. Il vescovo spiega che gli estremisti islamici continuano a sparare e compiere attacchi e non hanno alcun interesse a cercare una via d'uscita dal conflitto. "Chi finanzia queste milizie? - si chiede il prelato - dopo l'imposizione del cessate il fuoco lo scorso 12 aprile, vi sono stati continui attacchi mirati contro l'esercito che purtroppo risponde con altrettanta crudeltà". Da circa tre settimane i militari di Assad bombardano la città di Rastan situata fra Homs e Hama, principali roccaforti dei ribelli islamici. Fonti dell'opposizione parlano di 33 morti negli ultimi due giorni. Nella zona si segnalano anche soprusi ai danni della comunità cristiana. Lo scorso 10 maggio nel villaggio di Al Borj Al Qastal, a pochi chilometri da Hama, dieci famiglie sono state espulse da guerriglieri stranieri che hanno utilizzato le abitazioni per scopi militari. Ieri alcuni hanno fatto ritorno, dopo che la zona è tornata sotto il controllo dell'esercito siriano. Mons. Nazzaro conferma che la lotta per il controllo del Paese è fra alawiti, minoranza religiosa sciita a cui appartengono gli Assad, ed estremisti sunniti. Gli scontri si concentrano soprattutto nelle aree dove è più numerosa la presenza di miliziani con nazionalità straniera. In questi giorni il conflitto fra le due fazioni religiose ha varcato il confine con il Libano. A Beirut si sono verificati diversi scontri fra le due comunità, che hanno costretto l'esercito ad intervenire. Oggi centinaia di sciiti hanno bloccato le strade a Beirut e nella valle della Bekaa, al confine con la Siria, per protestare contro il rapimento ad Aleppo di 14 pellegrini libanesi di ritorno dall'Iran. Nelle province non dominate dai Fratelli musulmani, la situazione è più tranquilla e il dissenso nei confronti del regime è ancora pacifico. "Ho da poco terminato la visita pastorale nelle mie parrocchie - spiega il vescovo - i cristiani non hanno problemi e dove possono cercano di aiutare le locali comunità islamiche. I musulmani, sunniti e sciiti siriani, li rispettano e non hanno alcuna ragione di attaccarli". Intanto, a Damasco il parlamento frutto delle prime elezioni del 7 maggio ha tenuto oggi la sua prima seduta. I deputati hanno giurato di ''difendere gli interessi del popolo e la democrazia'' nei quattro anni del loro mandato. Boicottate dai partiti dell'opposizione, le votazioni sono state vinte dalla coalizione dominata dal partito Baath, legato al regime di Assad, che si è aggiudicato 183 dei 250 seggi. (R.P.)

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    Mali: i sostenitori dei golpisti vogliono il capo della giunta come presidente di transizione

    ◊   Si complica la crisi politico-istituzionale del Mali dopo l’annuncio da parte dei sostenitori dei militari golpisti dell’investitura del capo della giunta militare, il capitano Amadou Haya Sanogo, come Presidente della transizione, al posto di Dioncounda Traoré. Quest’ultimo era appena stato nominato Capo dello Stato del periodo di transizione della durata di 12 mesi, con l’accordo firmato il 20 maggio. Traoré era stato ferito il 21 maggio nel corso di un assalto da parte di un gruppo di sostenitori della giunta militare che aveva preso il potere con il golpe del 22 marzo. Su pressione della comunità internazionale, e in particolare della Cedeao (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale), i militari golpisti avevano apparentemente acconsentito a cedere il potere con l’accordo del 20 maggio. Traoré ha lasciato il Mali ufficialmente per una serie di esami clinici in Francia, “programmati da tempo”, come ha affermato un portavoce. L’assalto al palazzo presidenziale è stato guidato dal Coordinamento delle Organizzazioni Patriottiche del Mali (Copam) che è la stessa sigla che ha organizzato l’incontro dei sostenitori della giunta militare durante il quale è stato proposto di affidare la Presidenza al capitano Sanogo. La confusione politica a Bamako allontana pure la soluzione della crisi nel nord del Paese, in mano a diversi gruppi, di cui uno secessionista e diversi altri di stampo islamista. L’instabilità nel nord del Mali ha creato, secondo l’Ufficio Onu per gli affari umanitari (Ocha), 147.000 sfollati interni e 200.000 rifugiati maliani negli Stati confinanti. (R.P.)

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    Elezioni in Egitto. Mons. Hanna: “Un evento storico scegliere liberamente il nuovo presidente”

    ◊   Seconda giornata di voto, in Egitto, che dovrà scegliere il nuovo presidente. Si tratta delle prime elezioni dopo la fine del regime di Hosni Mubarak, elezioni per le quali c’è grande attesa in termini di credibilità e trasparenza. “Un evento storico, particolare, per l’Egitto che, forse per la prima volta nella sua storia, si trova a scegliere liberamente il suo presidente”, ha dichiarato all'agenzia Sir mons. Botros Fahim Awad Hanna, vescovo ausiliare copto-cattolico di Alessandria. “In passato - ha aggiunto - le elezioni presidenziali erano in qualche modo pilotate, quasi una formalità. Il fatto che il popolo ora possa scegliere tra un novero di oltre dodici candidati nel segreto dell’urna credo sia un frutto della rivoluzione di piazza Tahrir”. Accanto al sentimento di soddisfazione, però, anche qualche perplessità: “Non siamo ancora abituati alla democrazia, permane una certa preoccupazione tra la gente perché il futuro è ignoto. La paura si sente soprattutto tra le minoranze che temono che gli islamisti vadano ad occupare tutti i centri di potere dell’Egitto e, quindi, anche la presidenza. Con una deriva integralista è a rischio l’identità stessa dell’Egitto”. Riguardo al voto dei cristiani, mons. Hanna ha precisato che nessuna indicazione è giunta, ma solo l’invito a tenere in considerazione “i valori fondamentali per la scelta del candidato”. Ingente lo schieramento di forze di sicurezza e, con loro, anche 14.500 giudici e 65mila impiegati pubblici; allo scopo di monitorare il voto sono presenti anche 49 organizzazioni locali e 3 straniere, tra cui il Carter Centre dell’ex presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter. (G.M.)

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    Tunisia: chiesta la pena di morte per l’ex presidente Ben Ali

    ◊   Il procuratore del tribunale militare di Kef ha chiesto ieri sera la pena di morte per l’ex presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali, che dal 14 gennaio 2011, quando la rivoluzione pose fine ai suoi 23 anni di potere, si trova in esilio in Arabia Saudita con la moglie e il figlio. La pena di morte è ancora presente nell’ordinamento tunisino, anche se non viene applicata da molto tempo, tanto che il governo di Tunisi starebbe per dire sì alla sua abolizione. Ben Ali è ritenuto il regista della sanguinosa repressione operata dalla polizia nelle città di Tala, Kasserine e Kairouan, in cui morirono una ventina di persone, ricordate oggi in Tunisia come “i martiri della rivoluzione”. Assieme all’ex presidente sono alla sbarra 22 coimputati, colpevoli di essere gli esecutori materiali della strage e per i quali il procuratore ha chiesto “pene massime” non meglio specificate. (R.B.)

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    Repubblica Dominicana: incontro dei vescovi americani sull'immigrazione irregolare

    ◊   I delegati delle Conferenze episcopali di Stati Uniti, Messico e dei Paesi del Centro America e Caraibi, si incontrano la prossima settimana nella Repubblica Dominicana per analizzare l'impatto dell'immigrazione clandestina nella regione. L'incontro - come riferisce una nota della Conferenza episcopale degli Stati Uniti - si svolgerà dal 28 al 30 maggio e "studierà come lavorare insieme per agire positivamente sull’emigrazione" in questa regione. Una parte fondamentale di questo dialogo sarà dedicata, tra le altre cose, al trattamento dei migranti nei Paesi di destinazione e di transito, all'impatto della partenza nelle loro comunità e "alle implicazioni di queste realtà nel lavoro pastorale della Chiesa". Alla fine dell'evento è prevista la pubblicazione di una dichiarazione con delle raccomandazioni per la cooperazione regionale tra i governi su questo tema. La delegazione statunitense sarà guidata dall'Arcivescovo di Los Angeles, mons. José H. Gomez, come presidente della Commissione per le migrazioni della Conferenza episcopale, cui si affiancherà il vescovo di Little Rock, Arkansas, mons. Anthony B. Taylor. Tra quanti hanno confermato la loro partecipazione ci sono, oltre ai vescovi della Repubblica Dominicana, sede dell'evento, l'arcivescovo Rafael Romo Muñoz di Tijuana (Messico), mons. Alvaro Ramazzini (Guatemala), mons. Gregorio Rosa Chavez (El Salvador), mons. Arturo Gonzalez (Cuba), mons. Yves Pean (Haiti), mons. Pedro Hernandez (Panama), mons. Jose Grullon (Republica Dominicana), mons. Angel San Casimiro (Costa Rica), l'arcivescovo Pablo Varela (Panama), e i vescovi Maurus Muldoon e Juan José Pineda (Honduras).Secondo i dati raccolti dall'agenzia Fides, la violenza contro gli emigrati è quella che segna il maggior numero di morti nel Centro America: solo nel Messico, negli ultimi 4 anni ci sono stati 80 mila emigranti sequestrati e uccisi dai gruppi criminali. (R.P.)

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    Usa: si intensifica la mobilitazione della Chiesa in difesa della libertà religiosa

    ◊   Si intensifica la mobilitazione della Chiesa degli Stati Uniti in difesa della libertà religiosa. Ai sempre più frequenti interventi e iniziative, anche legali, intraprese dai vescovi in queste settimane, con riferimento in particolare all’applicazione della riforma sanitaria, si aggiunge la “Fortnight for Freedom” (Due settimane per la Libertà), indetta dalla Conferenza episcopale (Usccb) dal 21 giugno al 4 luglio, Festa dell’indipendenza. 15 giorni di preghiere, riflessioni, catechesi e manifestazioni per mobilitare la comunità cattolica e richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla difesa di questo principio fondamentale, oggi sempre più minacciato negli Stati Uniti. Ad inaugurare la mobilitazione – riferisce l’agenzia Cns - sarà una Messa presieduta nella basilica dell’Assunzione di Baltimora dall’arcivescovo della città mons. William Lori, mentre le Messa conclusiva, il 4 luglio, sarà concelebrata dal cardinale Donald Wuerl nella Basilica dell'Immacolata Concezione di Washington con mons. Charles J. Chaput, arcivescovo di Philadelphia, che svolgerà l’omelia. La Liturgia sarà seguita in diretta dalla catena televisiva cattolica Ewtn. L’iniziativa sarà accompagnata da un documento dell’apposita Commissione episcopale per la libertà religiosa che offre una serie di “esempi concreti” di violazione della libertà religiosa, riguardanti anche le agenzie caritative che si occupano di assistenza alle donne immigrate e che subiscono ostacoli alle loro attività in quanto non garantiscono l’accesso alle pratiche abortive o ai contraccettivi. È inoltre prevista l’apertura di uno speciale sito www.fortnight4freedom.org con vario materiale informativo sulla libertà religiosa, comprese citazioni dei Padri Fondatori, del Concilio Vaticano II, del Beato Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI e uno studio esplicativo sulla “Dignitatis Humanae”, la Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa. Nel sito poi sono segnalate alcune delle iniziative in programma nelle varie diocesi. La giornata conclusiva, il 4 luglio, sarà segnata dal suono a distesa delle campane per ricordare come la libertà religiosa abbia sempre avuto un posto centrale nella storia, nell’ordinamento giuridico e nella cultura degli Stati Uniti. Al tema della libertà religiosa sarà dedicata la prossima sessione primaverile dei vescovi americani prevista a metà giugno ad Atlanta. (L.Z.)

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    Vescovi europei: etica, spiritualità e politica per uscire dal disorientamento

    ◊   “Il contributo dell’etica e della spiritualità verso un ordine economico sostenibile” è stato il tema dell’incontro che si è svolto ieri sera a Bruxelles, nella sede e per iniziativa della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) , in collaborazione con la Commissione Chiesa e società della Conferenza delle Chiese europee (Cec). A confrontarsi sul tema sono intervenuti mons. André-Joseph Léonard, arcivescovo della diocesi di Bruxelles-Malines, ed Edy Korthals Altes, ambasciatore emerito dei Paesi Bassi, moderati dal segretario della Comece, mons. Piotr Mazurkiewicz. La questione di fondo che ha orientato le riflessioni, posta dal segretario della Comece, è se “una delle ragioni soggiacenti alle tante crisi dell’Europa oggi (economica, sociale, politica, demografica...) non sia la mancanza di spiritualità”. “Assistiamo al fallimento del sistema neo-liberista”, ha precisato l’ambasciatore Korthals Altes, “ma la crisi è più profonda, e ha le sue radici in una società disorientata, in cui si vivono relazioni distorte tra l’uomo, la natura e i beni, a causa della perdita del senso del trascendente”. Questo ha in sé “fattori etici evidenti: assenza di moralità e integrità anche e soprattutto nell’élite politica ed economica”, ma ci sono anche “fondamenti spirituali che occorre riconsiderare, ritrovando la relazione creativa con le origini della nostra esistenza”. Per recuperare il senso della trascendenza “è necessario da un lato che le Chiese cristiane compiano un’autocritica per capire se ciò che dicono riflette la loro essenza più profonda e se il loro linguaggio può essere compreso e, dall’altro lato, che si aprano alla cooperazione con coloro che si dicono non-credenti o non-religiosi per affrontare insieme la crisi e trovare impegni per un futuro sostenibile”, ha spiegato Altes. “Quando la ricerca del profitto e le leggi del mercato sono sacralizzate - ha detto mons. André-Joseph Léonard - c’è un problema. Invece il bene comune è ugualmente lontano dal collettivismo e dall’individualismo; esige sacrifici da parte dell’individuo, senza annullarlo, perché implica la ricerca della valorizzazione di ciascuno”. “La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è stata una pietra miliare perché ha rappresentato da parte della politica il riconoscimento - e non la concessione - di diritti pre-esistenti. Allo stesso modo, esiste un ordine ideale, sotteso alla realtà, che occorre riconoscere e che precede l’ordine politico, economico, sociale” ha affermato l’arcivescovo di Bruxelles-Malines. In questa ricerca, “la spiritualità, che è apertura alla trascendenza ha un ruolo fondamentale”. Mons. Léonard ha inoltre precisato: “Esistono tanti tipi di spiritualità, ma la spiritualità cristiana ha la specificità di credere in un Dio incarnato” in cui dimensione trascendente e dimensione dell’esistenza umana s’incontrano. E nel dibattito ha ribadito che “la fede deve essere contemporaneamente rivolta a Dio e all’uomo, in maniera distinta, ma profondamente unita”. “Se fossimo in grado di mantenere la sfera verticale, riconosceremmo altri valori, oltre alla sfera materiale e saremmo in grado di sviluppare un modello economico e di sviluppo più maturo”, gli ha fatto eco l’ambasciatore Altes. (R.P.)

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    Vietnam. In carcere 4 studenti cattolici: promuovevano libertà religiosa e tutela della vita

    ◊   Condannati al carcere per “propaganda contro lo Stato”: è la sorte di 4 studenti cattolici, processati oggi da un tribunale di Hanoi per un reato che il Codice Penale punisce con pene detentive fra 3 e 20 anni. Duong Van Dau, Tran Huu Duc, Chu Manh Son e Hoang Phong, tutti fra i 23 e i 25 anni, provengono dalla piccola comunità cattolica nella provincia di Nghe An ed erano stati arrestati lo scorso anno con l’accusa di essere dei “sovversivi”, per aver distribuito volantini contro il regime comunista. Tali volantini, riferisce una fonte di Fides, promuovevano la libertà di religione e di espressione, la lotta all’aborto, la donazione di sangue, gli aiuti a orfani e vittime di catastrofi naturali. Dopo un’udienza di mezza giornata, il tribunale ha inflitto pene detentive di tre anni e sei mesi a Duong Van Dau, tre anni e tre mesi a Tran Huu Duc, e tre anni a Chu Manh Son, disponendo inoltre per loro gli arresti domiciliari per i successivi 18 mesi. Al quarto imputato, Hoang Phong, è stata comminata una pena detentiva di 18 mesi, poi sospesa. Un ampio schieramento di poliziotti armati ha presidiato oggi l’ingresso al tribunale, dove si sono assiepati centinaia di sostenitori, in maggioranza cattolici, che dimostravano solidarietà ai quattro accusati. Associazioni locali e Ong internazionali come Human Rights Watch hanno condannato il processo ad attivisti, mandati in carcere “solo per aver espresso le proprie idee”. Secondo il Rapporto annuale 2012 di Amnesty International, diffuso quest’oggi, in Vietnam, proseguono gravi restrizioni alla libertà di espressione e di associazione. Gli individui più a rischio, denuncia Amnesty, sono gli attivisti pro-democrazia e quanti promuovono riforme sui diritti del lavoro, o domandano diritti delle minoranze etniche e religiose. Per accusarli, e per scoraggiare il pacifico dissenso, le autorità usano, in particolare, l'articolo 79 del Codice penale (“sovversione dello stato”) e l'articolo 88 (“propaganda contro lo stato”). Nel 2011 hanno avuto luogo nove processi, per circa 20 dissidenti, e 18 uomini sono stati arrestati, fra i quali 13 attivisti cattolici. (R.P.)

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    Nord Kivu. L’appello di Rete Pace per il Congo per la regione al confine con il Rwanda

    ◊   I missionari della Rete Pace per il Congo lanciano l’allarme sull’intensificarsi degli scontri armati nel Nord Kivu, regione orientale della Repubblica Democratica del Congo al confine con il Rwanda, tra l’esercito nazionale e i militari fedeli al generale Bosco Ntaganda, colpito da un mandato d’arresto internazionale nel 2006 per l’impiego in guerra di bambini soldato. Rete Pace ha spiegato all’agenzia Fides l’attuale situazione dell’area, dove è da poco comparso un nuovo gruppo, denominato Movimento del 23 Marzo in omaggio agli accordi di pace firmati a Goma, appunto, il 23 marzo 2009, e guidato dal colonnello Sultani Makenga. Questo movimento dichiara di essere indipendente da Ntaganda e rivendica l’avvio di nuove trattative con il governo di Kinshasa. Contemporaneamente, nell’area sono aumentati anche gli attacchi delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda che, approfittando dei disordini, nell’ultimo mese hanno massacrato circa 250 persone. Il Rwanda ha, perciò, offerto la propria collaborazione nella ricerca di una soluzione pacifica per il Nord Kivu, proponendosi come mediatore tra il governo congolese e il nuovo movimento, ma ciò ha fatto nascere il sospetto che dietro questa nuova formazione ci sia proprio Kigali, interessata a mantenere la propria presenza nella regione, ricca di coltan, cassiterite, oro, petrolio e gas metano. Rete Pace per il Congo conclude affermando che adottare nel Nord Kivu una soluzione che sia esclusivamente militare sarebbe estremamente insufficiente, nonché molto pericolosa per la popolazione locale. (R.B.)

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    Mozambico: un nuovo reparto di maternità per celebrare la Giornata dell’Africa

    ◊   Dei 10 paesi in cui il 60% delle morti materne sono collegate con la gravidanza e il parto, 5 sono africani: Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Etiopia e Tanzania. In occasione della prossima Giornata dell’Africa, l’organizzazione cattolica spagnola Manos Unidas desidera dare una connotazione positiva a questo evento: la presentazione dei primi bambini nati nel reparto di maternità del centro di salute di Estaquinha, nella regione di Sofala, a nord del Mozambico. L’obiettivo è di garantire continuità al programma Esmabama, operativo dal 2003 nella missione di Estaquinha, una delle 4 in cui è già in atto, che offre assistenza sanitaria totale nella regione. Grazie a questo progetto è stato possibile istituire un nuovo centro, completamente operativo, che ha a disposizione tutti i mezzi necessari per curare le malattie più frequenti della zona come malaria, tubercolosi, malattie respiratorie, diarrea e Aids. Con il nuovo reparto di maternità il programma sanitario è completo. In molte zone rurali dell’Africa essere madre comporta per molte donne rischi per la propria salute e per quella dei propri figli. L’istituzione di un reparto come quello di Estaquinha, insieme alla preparazione del personale qualificato, alla formazione della donna e alla gravidanza sotto controllo, costituiscono la chiave per permettere alle donne una gravidanza sicura. Esmabama contribuisce anche alla scolarizzazione dei bambini della zona, alla produzione agricola e al miglioramento delle condizioni di salute della popolazione. (R.P.)

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    Nicaragua. Monito dei vescovi: no al riconoscimento legale delle unioni gay

    ◊   La Chiesa in Nicaragua non accetterà l’eventuale riconoscimento delle unioni omosessuali nel Nuovo Codice di Famiglia attualmente all’esame del Parlamento. Lo ha dichiarato martedì a una conferenza stampa il segretario della Conferenza episcopale mons. Silvio Báez, commentando una proposta in tal senso presentata la settimana scorsa dall'ex guerrigliero sandinista Omar Cabezas, oggi procuratore per i diritti umani, e sostenuta dai movimenti omosessuali. "Dio ha creato l'essere umano maschio e femmina a sua immagine e somiglianza, affidandogli il compito di riprodursi per assicurare la continuità dell'umanità", ha affermato il presule ripreso da diversi quotidiani locali. "Questa è la nostra visione cristiana, che difendiamo e offriamo umilmente alla società”. Mons. Baez ha quindi esortato i fedeli ad "essere vigili” perché il nuovo codice non tocchi “punti sensibili della nostra società", affermando che la Chiesa “rifiuterà sempre l’introduzione di leggi che sono in contrasto con valori sacri come la famiglia". Sull’argomento è intervenuto nuovamente ieri il presidente dei vescovi mons. René Sándigo: “La famiglia – ha dichiarato - ha il diritto al rispetto della propria identità e questa [l’unione tra persone dello stesso sesso] è una forma di famiglia amorfa e che non risponde alle condizioni base per essere inquadrata nel concetto tradizionale di famiglia”. A sostegno della posizione della Chiesa c’è la Costituzione del Nicaragua, in vigore dal 1987, che riconosce solo il matrimonio o una stabile unione di fatto tra un uomo e una donna. (L.Z.)

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    Sud Corea. I vescovi sulle presidenziali: “Scegliete promotori di giustizia e di pace”

    ◊   Seguire, come criteri di scelta, chi opera per la giustizia, l’equità e la pace. Queste le indicazioni dei vescovi sudcoreani alla popolazione a sette mesi dalle elezioni presidenziali che si svolgeranno nel mese di dicembre e che, ricordano i presuli, sono un appuntamento importante non solo per il bene del singolo, ma anche “per la promozione della giustizia sociale e del bene comune”. In un messaggio firmato dal segretario esecutivo della Conferenza episcopale, padre Thaddaeus Lee Ki-shelf, e fatto pervenire all’agenzia Fides, si mettono in guardia gli elettori dalle “promesse vuote” e dalle “parole seducenti” e si esorta a ricercare la saggezza, come insegna il Deuteronomio: “Scegliete uomini saggi, intelligenti, e con esperienza da ognuna delle vostre tribù, e io li costituirò vostri capi” (Dt 1,13). La campagna elettorale, che entra ora nella sua fase più “calda” spazia, per quanto riguarda la politica interna, dal tema della crescita economica a quello relativo al disagio sociale; sul fronte della politica estera, affronta la questione dei rapporti con la Corea del Nord. Alle elezioni l’attuale presidente in carica, Lee Myung Bak, non potrà ripresentarsi perché la Costituzione vieta la possibilità di un secondo mandato, perciò i conservatori puntano su una donna, Park Geun Hye, figlia dell’ex dittatore militare Park Chung Hee; il partito democratico dell’Unificazione all’opposizione, invece, non ha ancora scelto il proprio candidato. (R.B.)

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    India: in Kerala nuove abitazioni della Chiesa destinate alle famiglie indigenti

    ◊   Il prossimo 27 maggio, domenica di Pentecoste, mons. Mar Joseph Perumthottam, arcivescovo di Changanassery, nello Stato indiano del Kerala, benedirà l’inizio dei lavori di tre palazzine, per un totale di 21 appartamenti, destinate alle famiglie più povere. Il progetto che, come riporta l'agenzia AsiaNews, dovrebbe costare 12 milioni di rupie (circa 170mila euro), è stato finanziato grazie al libero contributo di 2.400 famiglie dell’arcidiocesi; le nuove strutture sorgeranno sul terreno di proprietà della chiesa St. Mary di Athirampuzha, di rito siro-malabrese. “Lo scopo fondamentale è di assistere, insieme a tutta la comunità, i ragazzi, per aiutarli a fare delle scelte nuove e creative per il loro futuro”, spiega padre Mani Puthiyidam, ideatore del progetto. “Per questo – continua - i ragazzi andranno a scuola alla St. Aloysius o alla St. Mary, entrambe gestite dalla Chiesa”. Gli ospiti delle nuove case pagheranno un affitto simbolico e potranno restarvi per 15 anni, periodo in cui la Chiesa si impegna a educare i loro figli, con lo scopo di renderli autosufficienti. Trascorso questo periodo, la famiglia occupante lascerà il posto a un’altra. Ciascun appartamento sarà dotato di due camere, cucina, sala da pranzo e terrazzo; il piano terra ospiterà una cappella e una cucina comune, che servirà a radunare le famiglie durante le festività. “Abbiamo già ricevuto 50 richieste che dovremo valutare per selezionare chi ha davvero bisogno - aggiunge padre Puthiyidam - chiederemo una piccola cifra di affitto per far sentire queste famiglie partecipi del progetto”. Eretta nel 1887, l’arcidiocesi di Changanassery ha una popolazione di circa 9,4 milioni di abitanti, di cui 385mila cattolici. (G.M.)

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    Mongolia: le difficoltà di una Chiesa che cresce in un territorio difficile

    ◊   La Chiesa in Mongolia cresce costantemente, ma lentamente e tra molte difficoltà: questa la “fotografia” scattata da padre Kuafa Hevré, parroco della Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di Ulan Bator. In una nota diffusa da “Aiuto alla Chiesa che soffre”, il missionario racconta: “Oggi in Mongolia l’annuncio della fede avviene solo all’interno delle Chiese; i giovani fino a 16 anni non possono frequentare il catechismo senza il consenso scritto dei genitori e i sacerdoti non indossano l’abito talare in pubblico, perché non devono essere riconosciuti come esponenti del clero”. “La nostra è una Chiesa tormentata – continua padre Hevré – e la sfida più grande è abituarsi alla percezione che in molti hanno della Chiesa cattolica: una realtà straniera». La Costituzione mongola, infatti, risalente al 1992, riconosce formalmente il diritto alla libertà religiosa, ma ogni gruppo di fedeli deve essere registrato, previa autorizzazione del consiglio comunale. Una registrazione che permette al governo di limitare il numero dei luoghi di culto e quello dei sacerdoti, considerato anche il fatto che la maggioranza della popolazione è buddista. Malgrado le difficoltà, però, padre Hervé, insieme ad altri 69 sacerdoti ed al vescovo, mons. Wenceslao Selga Padilla, non si lascia abbattere e si appresta a festeggiare, il prossimo luglio, il ventesimo anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra Mongolia e Santa Sede. Dal 1992 la comunità cattolica è cresciuta, “lentamente ma costantemente”, afferma il parroco di Ulan Bator, ed i circa 800 cattolici – su un totale di due milioni e 700mila abitanti - dispongono di quattro parrocchie: tre nella capitale ed una a Darhan. “Entro quest’estate – conclude il religioso – vogliamo inaugurarne altre tre”, perché “sotto molti aspetti il nostro lavoro è appena agli inizi: dobbiamo ancora insegnare alle persone il valore di una relazione personale con Dio”. (I.P.)

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    Irlanda: i vescovi favorevoli ad una giornata nazionale di espiazione per gli abusi

    ◊   I vescovi dell’Irlanda sono in linea di principio favorevoli all’idea di una Giornata nazionale di espiazione in cui la Chiesa, le istituzioni e tutta la società civile irlandese possano chiedere perdono per gli abusi e le violenze inflitte in passato nelle istituzioni residenziali della Chiesa. Lo ha detto il portavoce della Conferenza episcopale, citato dall’agenzia Cns, commentando la proposta avanzata domenica da una ex vittima, Christopher Heaphy. Parlando della sua esperienza personalem durante una Messa celebrata in occasione del terzo anniversario della pubblicazione del “Ryan Report” della Commissione di inchiesta governativa sugli abusi, Heaphy, che ha oggi 67 anni, ha sottolineato l’opportunità di indire una Giornata speciale in cui tutti i colpevoli chiedano perdono alle vittime che ancora vivono le conseguenze del trauma subito. Tra questi - ha sottolineato – non c’è solo la Chiesa, ma tutte le istituzioni statali e lo stesso popolo irlandese che “chiusero gli occhi” di fronte a quanto stava accadendo in questi istituti. Heaphy ha aggiunto che la Chiesa irlandese, dovrebbe, da parte sua, fare di più per aiutare le vittime: “Essa ha il dovere morale di chiedere scusa, perdono e di sanare le ferite di chi ha sofferto gli abusi”, ha detto, esprimendo l’auspicio che la celebrazione di liturgie riparatorie e di riconciliazione adeguatamente preparate possano servire a guarire chi è sopravvissuto alle violenze. E con questo spirito la Chiesa irlandese si sta preparando a celebrare il prossimo Congresso Eucaristico Internazionale di Dublino a giugno. Proprio per sottolineare la ferma determinazione a continuare il difficile cammino di guarigione, di rinnovamento e di riparazione proposto due anni fa da Papa Benedetto XVI, durante la cerimonia di apertura dell’evento sarà inaugurata la “Pietra della guarigione” in memoria delle vittime. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Ucraina: a Sevastopol un incontro interreligioso sulla famiglia

    ◊   “Il ruolo della Chiesa nel buon esito della formazione della famiglia come cellula fondamentale della società e di un’unione benedetta da Dio” è, come riferisce l'agenzia Sir, una delle questioni affrontate nel corso della tavola rotonda che si è svolta martedì a Sevastopol. Il meeting, cui hanno partecipato cattolici, ortodossi, protestanti e musulmani, è stato organizzato su iniziativa dell’Associazione famiglie numerose della città e s’inserisce nel quadro delle celebrazioni della Settimana internazionale della famiglia. Tutti i rappresentanti si sono espressi in maniera unanime sulla questione di proibire l’aborto per legge, altro tema al centro del dibattito, così come si è parlato della prevenzione dei conflitti nel matrimonio tra due persone di credo diversi e dell’educazione religiosa all’interno delle scuole, che i presenti hanno ritenuto vada introdotta solo su “base opzionale”. A tale proposito, padre Yurii Zymynskyi, della Chiesa cattolica, ha ricordato l’esempio della Polonia, in cui lo studio dei fondamenti della religione cristiana è stato introdotto come materia obbligatoria suscitando le proteste di alcuni giovani. La tavola rotonda si è conclusa con l’appello alle giovani famiglie a mantenere vivo l’amore reciproco e a prendersi cura del proprio coniuge come dono di Dio. (G.M.)

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    Commozione ai funerali di Placido Rizzotto, sindacalista anti-mafia ucciso nel 1948

    ◊   “Placido è stato un vincitore. Coloro che l'hanno assassinato sono i veri perdenti, agli occhi di Dio, e della società umana. Ricordiamo un figlio indimenticato e indimenticabile di questa terra, cui siamo grati per la sua attività politica e sindacale a favore dei più deboli e contro il sopruso mafioso”. Sono le parole pronunciate dall’arcivescovo di Monreale, Salvatore Di Cristina che, stamani, nella gremita chiesa madre di Corleone, alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha celebrato i funerali di Stato di Placido Rizzotto, il sindacalista della Cgil socialista, sequestrato e ucciso dalla mafia nel ‘48. L’identità delle spoglie di Rizzotto, rinvenute nel 2009 in un cimitero di mafia, è stata accertata due mesi fa. “I sacrifici di coloro che hanno perso la vita per mano della mafia hanno dato i loro frutti. Anche la vicenda di Placido Rizzotto fa parte della memoria condivisa di questo Paese”, ha detto il presidente della Repubblica, che ha consegnato alla sorella del sindacalista, Giuseppina, la medaglia d’oro al merito civile alla memoria. “C’è sempre bisogno della presenza dello Stato – ha aggiunto Napolitano - Non abbiamo mai pensato che la mafia fosse finita. Finirà, ma non è ancora finita”. “Come te, altri uomini in tutta la Sicilia - ha dichiarato il nipote omonimo del sindacalista – coltivavano il sogno di libertà e riscatto delle condizioni dei contadini. Nel rispetto delle leggi dello Stato, chiedevate terra, diritti e lavoro. 42 sindacalisti: voi, siete stati uccisi perché volevate avere anche l’orgoglio di guardare negli occhi i figli della povera gente”. “Ho un sogno - ha detto Rizzotto – si deve riscrivere la storia di questi sindacalisti uccisi, per i quali chiediamo giustizia e verità. Oggi da Corleone, nel nome di Placido, non passi mai più la mafia”. (Da Palermo, Alessandra Zaffiro)

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    Festival di Cannes: ultimi film all'insegna dell'anticonformismo

    ◊   Lo stereotipo e la bizzarria caratterizzano gli ultimi film della Competizione ufficiale al 65.mo Festival di Cannes, suscitando le reazioni più disparate nel pubblico, nella stampa e fra gli addetti ai lavori. Fra le opere più convenzionali e prevedibili vanno inclusi “On the road” di Walter Salles e “Killiing them softly” di Andrew Dominik. Fra quelle più anticonformiste, curiose e sostanzialmente coraggiose, “Holy motors” di Léos Carax e “Post tenebras lux” di Carlos Reygadas. Il regista brasiliano, che già aveva deliziato le platee di tutto il mondo con “I diari della motocicletta”, affronta qui una delle sue sfide più ardue, adattando un testo letterario di fronte al quale sono naufragate le ambizioni di autori ben più esperti di lui, quel “Sulla strada” di Jack Kerouac scritto negli anni Cinquanta e diventato da allora un libro-culto di più di una generazione. Mostrando un rispetto pressoché filologico nei confronti del romanzo, Walter Salles cerca di riprodurre quel ritmo incalzante e impaziente della scrittura, quella febbre di vivere che ne animava i personaggi, e lo fa con un’attenzione quasi maniacale nella scelta degli interpreti e degli ambienti, nei colori della fotografia, nei ritmi delle musiche. Ma tutto questo perfezionismo nuoce all’originalità della forma cinematografica, ed il film finisce per diventare una copia conforme del libro. Una bella copia, ma pur sempre una copia. Se a Salles si può tuttavia perdonare la mancanza di ispirazione, tanta è la sua devozione all’opera letteraria, è assolutamente imperdonabile quell’Andrew Dominik, che ci aveva affascinato con “L’assassinio di Jessie James per mano del codardo Robert Ford”, e che qui si fa prendere la mano da una descrizione volgare e violenta dell’America della crisi dei ‘subprime’ dal punto di vista della criminalità mafiosa. Mescolando la banalità del male con disincantate analisi della situazione economica mondiale e dettagliate violenze con dialoghi a sfondo sessuale di oscena evidenza, “Killing them softly” vorrebbe dare un taglio realistico a strutture di genere decisamente codificate, ma finisce per annoiare profondamente. Ben differente è lo sconcerto enigmatico che provoca “Post tenebras lux”, ambientato nel Messico contemporaneo dove convivono, senza compenetrarsi, l’universo arcaico degli indios e la ricchezza sfrontata della classe dirigente. Da sempre tormentato dal conflitto fra peccato e redenzione, Carlos Reygadas non lavora in termini di narrazione lineare. Il suo film è un accumularsi di situazioni collegate le une alle altre dalla tentazione e dal pentimento. I salti temporali sbalzano lo spettatore dallo sguardo di una bambina su una notte di tempesta alla presenza del male nelle forme di un’animazione pop, dall’ossessione pornografica della società contemporanea all’immersione nella natura primordiale, dalla ricerca del perdono tramite la confessione pubblica dei propri peccati all’illuminazione che precede l’abbandono del mondo terreno. L’impressione è quella di un film potente e sconclusionato che ancora lavora la mente e di cui lo spettatore non si libererà facilmente. L’opera più bizzarra di tutte è peraltro “Holy motors”, che accompagna, nel corso di una giornata, una bizzarra figura chiamata a interpretare vari personaggi. Guidato attraverso Parigi a bordo di una limousine, l’uomo rivive tutte le possibili situazioni che il cinema affascinato dalla bellezza del gesto ha messo in scena fin dalle sue origini per riprodurre il mondo nelle sue rappresentazioni immaginarie. Attraverso abilissimi travestimenti egli è, volta per volta, una povera mendicante, un ninja da videogioco, un assassino prezzolato, un vecchio morente, una figura mostruosa dei bassifondi, un amante deluso, un padre di famiglia. Il refrain è quello della vita, vissuta e rivissuta, del desiderio e dell’ebbrezza di esistere. Ma Carax non lascia lo spettatore al sottile piacere dell’affabulazione: ogni abbandono, nel suo film, è interrotto dal sorriso beffardo dell’invenzione, così che l’emozione si scioglie nella risata e l’allegria si stempera nella consapevolezza della finitudine dell’essere umano. (Da Cannes, Luciano Barisone)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 145

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Barbara Innocenti.