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Sommario del 21/05/2012
◊ “L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare”. Con queste parole Benedetto XVI, nel suo discorso del 2005 alla Curia Romana, avvertiva della confusione che poteva nascere da una particolare interpretazione del Concilio Vaticano II. Oggi, quando la Chiesa si prepara a celebrare i 50 anni di quell’assise, inaugurata l’11 ottobre 1962 da Giovanni XXIII, è stato presentato nella Sala Marconi della Radio Vaticana il libro “Le ‘chiavi’ di Benedetto XVI per interpretare il Vaticano II”, scritto dal cardinale Walter Brandmüller, dall’arcivescovo Agostino Marchetto e da mons. Nicola Bux, edito da Cantagalli. Il servizio di Giada Aquilino:
“Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile”? Era il 22 dicembre 2005 e Benedetto XVI, otto mesi dopo la sua elezione, poneva questa domanda pronunciando un articolato discorso alla Curia Romana, in occasione degli auguri natalizi. “Tutto dipende - disse il Papa - dalla giusta interpretazione del Concilio o, come diremmo oggi, dalla sua giusta ermeneutica”, quindi dalla corretta chiave di lettura e di applicazione. Negli anni, due ermeneutiche contrarie, spiegò infatti il Pontefice, “si sono trovate a confronto”: una ermeneutica della discontinuità, della rottura, e una ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità. L'una - aggiunse - “ha causato confusione”, l'altra “ha portato frutti”. Tali modalità di interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, a 50 anni dal suo avvio, vengono prese in esame nel libro “Le ‘chiavi’ di Benedetto XVI per interpretare il Vaticano II”, del cardinale Walter Brandmüller, dell’arcivescovo Agostino Marchetto e di mons. Nicola Bux. Conversando coi giornalisti, a proposito dell’accettazione del Vaticano II, con la questione aperta della Fraternità Sacerdotale San Pio X, il porporato ha auspicato che riesca “il tentativo del Santo Padre di unificare la Chiesa”: proprio “la storicità di ogni Concilio - ha aggiunto - è il punto di partenza di una conversazione fruttuosa con i lefebvriani”. Gli ha fatto eco il segretario emerito del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti: mons. Marchetto ha sottolineato come ci debba “essere un’accettazione del Concilio da parte di coloro che vogliono riunirsi nella Chiesa”. Quali dunque le chiavi per interpretare il Vaticano II nella visione di Benedetto XVI? Le parole dell’arcivescovo Agostino Marchetto:
R. - La prima "chiave" era stata già delineata prima che il cardinale Ratzinger diventasse Papa: siamo nella linea dell’interpretazione, dell’ermeneutica della riforma nella continuità. Il Papa, nel suo famoso discorso del 22 dicembre 2005, aggiunge che l’altra interpretazione ha creato confusione e difficoltà, quella cioè della rottura e della discontinuità. Allora, il Santo Padre ci ha dato la chiave della corretta interpretazione del Concilio, che aveva preoccupato già Paolo VI. Un’altra chiave che adesso si è aggiunta - ed era anche implicita - è quella della visione alla luce dell’Anno della Fede. L’altra chiave di interpretazione del Concilio, quindi, è la fede: dobbiamo tenere presente che non si può capire la Chiesa se non si vede con gli occhi della fede, se non accettiamo la presenza dello Spirito, in modo particolare, per esempio, durante un Concilio ecumenico. Noi, con questo libro, cerchiamo di far vedere che c’è anche una base scientifica a sostegno di tale interpretazione del Santo Padre.
D. - Lei ha citato l’Anno della Fede. Nell’ottobre del ’62, l’apertura del Concilio Vaticano II: quest’anno è il 50.mo anniversario. La celebrazione avviene in coincidenza con l’Anno della Fede e con il Sinodo per la nuova evangelizzazione: che coincidenza è?
R. – L’evangelizzazione ha vari significati: io ricordo, per esempio, che la prima evangelizzazione - anche in territori in cui non c’è libertà religiosa - è la carità. Proprio recentemente ho studiato il Decreto “Ad gentes” e sono rimasto impressionato dalla bellezza, dalla bontà, dalla profondità di questo documento, proprio nella linea dell’evangelizzazione intesa con vari nomi. C’è la testimonianza, c’è la buona notizia. Questo documento va inserito negli altri documenti della Chiesa che dicono qualcosa per l’evangelizzazione: per esempio il dialogo interreligioso, la libertà religiosa. Ho trovato uno studio molto bello di Joseph Ratzinger, di quando ancora non era cardinale, che affrontava proprio questo tema, quello di mettere insieme l’evangelizzazione con altri documenti approvati dal Concilio.
D. – Torniamo all’ermeneutica della discontinuità, della rottura, e all’ermeneutica della riforma: oggi quale prevale in seno alla Chiesa?
R. – Purtroppo, devo dire, prevale quella della rottura. Anzi, direi che si è presa coscienza che non solo la frangia estrema - di quella che era la maggioranza in Concilio - ma anche i movimenti tradizionalistici dicono la stessa cosa. Anche per loro c’è stata una rottura. Quindi, c’è ancora molto lavoro da fare.
D. – Qual è allora il contributo della lettura offerta dal Papa?
R. – Per esempio, il cardinale Brandmüller presenta il Vaticano II con un background di tutti i Concili ecumenici. Poi aggiunge anche la specificità del Vaticano II, certamente nella linea della tradizione. Da parte mia, sottolineo la continuità tenendo presente che il rinnovamento è passato verso il consenso ed il dialogo, quindi è un rinnovamento nella continuità. Bisogna tenere insieme i due bandoli della matassa, perché questa è la Chiesa cattolica ed il Concilio è un’icona della Chiesa cattolica: bisogna camminare insieme nella visione della nostra realtà del mondo di oggi, ma tenendo anche presente la nostra fedeltà al patrimonio e l’aspetto - che è fondamentale - della continuità.
Benedetto XVI pranza con i cardinali: insieme con il Signore nella lotta contro il male
◊ Un momento conviviale per ringraziare innanzitutto il Signore: con questo spirito, Benedetto XVI ha pranzato stamani, in Vaticano, con i membri del Collegio cardinalizio in segno di gratitudine per gli auguri da loro espressi nella duplice ricorrenza dell’85.mo compleanno e del settimo anniversario dell’elezione alla Cattedra di Pietro. In un breve discorso a braccio, il Papa ha confidato ai porporati i sentimenti con i quali ha vissuto i suoi primi sette anni di Pontificato. L’indirizzo d’omaggio al Papa è stato rivolto dal cardinale decano Angelo Sodano. Il servizio di Alessandro Gisotti:
I cardinali sono “i miei amici”: con queste parole semplici e affettuose, Benedetto XVI ha ringraziato i membri del Collegio cardinalizio in un’occasione conviviale che ha offerto al Papa l’opportunità di riflettere sui suoi primi sette anni di Pontificato e sul suo 85.mo compleanno:
“Ringraziamento innanzitutto al Signore, per i tanti anni che mi ha concesso, anni con tanti giorni di gioia, splendidi tempi, ma anche notti oscure. Ma in retrospettiva si capisce che anche le notti erano necessarie e buone, motivo di ringraziamento”.
Il Papa ha quindi sottolineato che anche nel mondo di oggi abbiamo bisogno di una “Ecclesia militans”, di una Chiesa che si impegni a sconfiggere il male:
“Vediamo come il male vuol dominare nel mondo e che è necessario entrare in lotta contro il male. Vediamo come lo fa in tanti modi, cruenti, con le diverse forme di violenza, ma anche mascherato con il bene e proprio così distruggendo le fondamenta morali della società”.
Quindi, ha citato il suo amato Sant’Agostino per il quale tutta la storia è una “lotta tra due amori”, “amore di se stesso fino al disprezzo di Dio, amore di Dio fino al disprezzo di sé nel martirio”:
“Noi stiamo in questa lotta e in questa lotta è molto importante avere degli amici. Io sono circondato dagli amici del Collegio cardinalizio: sono i miei amici e mi sento a casa, mi sento sicuro in questa compagnia di grandi amici che stanno con me e, tutti insieme, con il Signore”.
Il Papa ha così ringraziato i cardinali “per la comunione delle gioie e dei dolori”. E ha avuto infine parole di incoraggiamento per tutti:
“Andiamo avanti, il Signore ha detto: ‘Coraggio! Ho vinto il mondo’. Siamo nella ‘squadra’ del Signore, quindi nella ‘squadra’ vittoriosa”.
Il Papa nomina mons. D'Errico nunzio apostolico in Croazia
◊ Benedetto XVI ha nominato nunzio apostolico in Croazia l’arcivescovo Alessandro D'Errico, finora nunzio apostolico in Bosnia ed Erzegovina e in Montenegro.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ La preghiera unisce terra e cielo: al Regina Caeli il Papa ricorda le vittime dell'attentato di Brindisi e quelle del terremoto in Emilia Romagna.
Il pranzo del Pontefice con il Collegio cardinalizio.
Fede, solidarietà e lavoro per un nuovo modello di società: nell'informazione religiosa, la prolusione del cardinale presidente Angelo Bagnasco, in apertura dei lavori dell'assemblea generale della Conferenza episcopale italiana.
E ora priorità alla crescita: in rilievo, nell'informazione internazionale, le indicazioni scaturite dal vertice del G8 a Camp David.
Disgelo lento: in cultura, la prefazione di Gerald P. Fogarty al libro di Luca Castagna "Un ponte oltre l'oceano. Aspetti politici e strategie diplomatiche tra Stati Uniti e Santa Sede nella prima metà del Novecento".
Un articolo di Lucetta Scaraffia dal titolo "Yves Klein in volo con santa Rita": il pittore francese dedicò tutta la sua attività artistica alla donna di Cascia di cui il 22 maggio ricorre la memoria liturgica.
I sacramenti e la gloria: Inos Biffi sulla vittoria sul tempo nell'Eucaristia.
Davanti all'incipit di Raffaello: Antonio Paolucci riguardo alla mostra - al braccio di Carlo Magno in Vaticano - "Meraviglie dalle Marche".
Anche nel restauro prevenire è meglio che curare: Pierfrancesco Pacini, presidente dell'Opera della Primaziale pisana, su una due giorni di studi sulle cattedrali e le fabbricerie europee.
◊ E’ di sette morti e di oltre 5000 sfollati il bilancio, ancora provvisorio, del terremoto di ieri in Emilia, dove nelle ultime 24 ore si sono registrate almeno 100 scosse di assestamento. La macchina dei soccorsi, intanto, continua a lavorare incessantemente. La Caritas, attraverso la rete delle parrocchie delle varie diocesi, è impegnata nel coadiuvare la Protezione civile nell’opera di assistenza agli sfollati. Amedeo Lomonaco ha intervistato mons. Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana:
R. – La prima visita, che ho fatto ieri, è stata per rendere visibile, proprio fisicamente, la presenza della Caritas, tramite la presenza del direttore, che ha portato la vicinanza e la solidarietà della Chiesa italiana. Si è tessuta, praticamente, la rete delle relazioni - tramite l’affidamento al direttore della Caritas di Reggio Emilia, delegato regionale - affinché possa coordinare in modo particolare Ferrara, Modena, Bologna, Carpi e tutta la delegazione e affinché si possa capire meglio la situazione: rilevare quali siano i bisogni, capire dove siano in questo momento le persone, puntare soprattutto all’unità della comunità, attivare poi delle azioni di prossimità sul territorio.
D. – E’ stata già allestita una tendopoli?
R. – Voglio rassicurare che la tendopoli allestita a Finale Emilia è soprattutto in prospettiva precauzionale: lì non ci vanno gli sfollati, in quanto la loro casa è crollata – purtroppo, gli organi di comunicazione cercano quasi di enfatizzare il fatto – ho parlato questa mattina con il parroco di Finale Emilia e mi ha confermato che si tratta di una tendopoli precauzionale.
D. – Come sta reagendo la popolazione a questa grave emergenza?
R. – Con un atteggiamento di fiducia, perché la rete della solidarietà, la rete soprattutto della carità in Italia, è sempre stata all’altezza, specialmente manifestando la buona volontà di tutti.
Tra i comuni più colpiti dal terremoto che ha scosso l’Emilia Romagna, c’è il piccolo centro di Sant’Agostino, nella diocesi bolognese. Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza del parroco, don Gabriele Porcarelli:
R. – Stiamo vivendo come persone che devono affrontare un momento difficile, unico nella vita, nel quale però certamente non possiamo fermarci perché dobbiamo andare avanti, ricominciare, e dare speranza a tutti, soprattutto ai più piccoli, ai nostri bambini. Noi che siamo più grandi abbiamo il compito di ricostruire con le nostre forze, le nostre capacità, il nostro ingegno tutto quello che sarà possibile ricostruire, anche nel giro di poco tempo.
D. – Un parroco in un piccolo centro è davvero sempre un punto di riferimento. In questo momento, forse ancora di più…
R. – Sempre e comunque, perché poi la gente ti saluta, ti chiama, chiede una parola, ti sente vicino, ti vede perché cammini con loro sulle strade, vede che condividi con loro le fatiche. Tu stesso sei stato segnato! Le nostre chiese sono state segnate molto di più delle nostre case e la gente sente molto questo senso dell’appartenenza alla propria chiesa, alla propria parrocchia. Per cui, vedere le chiese così, o lesionate o addirittura completamente crollate per loro è un grande dolore personale, familiare. Infatti, molti di loro sono legati alla vita ecclesiale e per questo tutti si sentono anche feriti: è stata ferita, in qualche modo, anche la fede che vede nei luoghi della celebrazione i segni dell’appartenenza, la Casa del Signore.
D. – Evidentemente, c’è prima di tutto la grande sofferenza per le vittime e poi il pensiero, la solidarietà per i feriti …
R. – Noi abbiamo pagato il prezzo più importante, con i quattro deceduti nelle nostre aziende del territorio. Anche se non sono abitanti di Sant’Agostino, però a Sant’Agostino lavoravano. Essendo avvenuto nel corso della notte, la mattina presto tutti pensano che le aziende siano vuote; invece, ci sono aziende che fanno turni continui. Per questo loro erano sul posto di lavoro e svolgevano il loro lavoro come molto spesso è capitato e capiterà ancora. Qui si ricorda soltanto di un terremoto raccontato, scritto nelle carte del 1500: quindi chi poteva essere pronto ad una cosa di questo genere?
D. – La Chiesa con quale spirito, e con quali iniziative concrete, anche, si sta facendo prossima alla popolazione?
R. – Intanto, noi ci siamo. Siamo sul territorio come sacerdoti: nella parrocchia di Sant’Agostino abbiamo la scuola materna che è anche la scuola materna del paese, è l’unica scuola. So che tutti i parroci, anche qui intorno, si sono resi disponibili, sono presenti. Due parroci hanno perso la chiesa perché è completamente crollata e quindi sono in una situazione difficoltà più loro che non la gente …
D. – In tutto questo dolore, in questa sofferenza c’è un messaggio di speranza, di forza che magari le ha dato qualche fedele?
R. – Sicuramente il messaggio di forza è che tutti ci siamo sentiti molto più vicini, molto più uniti; tutti ci salutiamo, chiediamo informazione di tutti, abbiamo avuto la possibilità – come accade nel nostri paesi – di sapere tutto subito, anche delle persone anziane ammalate; abbiamo provato a stringerci tutti, per esserci il più vicini possibile. I messaggi di solidarietà arrivati da tutti sono stati un segno molto bello. Il cardinale Caffarra ha telefonato, ieri sera, prima di partire, perché questa mattina è a Roma per l’assemblea plenaria della Conferenza episcopale. Io ho sentito molto l’appoggio, l’aiuto, la vicinanza di tanti. E questo, secondo me, è un bellissimo segno. E’ chiaro che adesso dobbiamo ripartire con le nostre gambe e dobbiamo farlo insieme, perché da soli è una cosa impensabile.
Brindisi, funerali di Melissa. Lutto cittadino e vertice in Prefettura. Le parole di mons. Talucci
◊ Momenti di commozione questa mattina alla riapertura della scuola Morvillo Falcone di Brindisi nel giorno del funerale di Melissa Bassi, a Mesagne, morta sabato scorso nell’esplosione di una bomba di fronte all’istituto professionale. Migliorano, pur restando critiche le condizioni di Veronica Capodieci, la più grave delle cinque ragazze ferite nella deflagrazione. Mentre prosegue la caccia all’uomo immortalato dalle telecamere nel momento in cui azionava a distanza l’ordigno, questa mattina in Prefettura a Brindisi si è tenuto il vertice con i ministri dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, e della Giustiza, Paola Severino, il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, e il capo della Polizia, Antonio Manganelli. “Non ci sono indagati, non possiamo escludere nulla – ha detto la Cancellieri – le indagini si concentrano sul Salento”. Oggi, un minuto di silenzio viene osservato in tutte le Università italiane. Alle esequie nella Chiesa matrice di Mesagne nel pomeriggio, alle 16.30, è atteso il premier Monti di rientro dagli Stati Uniti: a celebrarle l’arcivescovo di Brindisi Ostuni, mons. Rocco Talucci. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. - Penso che possiamo dire soltanto parole di fede in un momento in cui i giovani sono tanto sconcertati da non voler nemmeno sentire parole né delle istituzioni né della politica. Ieri sera, ci siamo preparati al funerale di oggi con una veglia volontaria, preparata dalla pastorale giovanile e non meno di 500 giovani erano in piazza.
D. - La risposta dei giovani di Mesagne alla violenza è stata, ieri, una veglia di preghiera: è un gesto, questo, che fa molto riflettere…
R. - Fa riflettere anche noi educatori, perché se i giovani vengono lasciati sono o in preda alla paura o alla rabbia…
D. - Ieri mattina, alla Messa a Mesagne era presente anche il padre di Melissa: la comunità ecclesiale è vicina alla famiglia, la sostiene nel dolore?
R. - Molto vicina, ma devo dire, come sempre, con molta discrezione. I sacerdoti di Mesagne - anche tutti i feriti sono di Mesagne - sono molto vicini sia con visite in ospedale, sia con visite alle famiglie. Il parroco è vicino al papà di Melissa, il cappellano ospedaliero è vicino alla mamma, perché è stata ricoverata per un malore ed è ancora in ospedale e fino a ieri era in stato di incoscienza. Il cappellano le fa giungere tutta la vicinanza dei giovani e degli amici della figlia. Sono presenze di amore, presenze silenziose che necessariamente non fanno cronaca, né devono farla… In definitiva chi è vicino ora con amore alla famiglia, lo farà in continuità anche dopo.
D. - Intanto, proseguono le indagini per quello che è stato definito ieri dal Papa “un vile attentato”, “un brutale atto di violenza”…
R. - Sono forti le parole del Papa, di paternità e di giustizia insieme. Forti nel senso della speranza, ma forti anche nel senso della giustizia proprio perché definisce questo attentato “brutale”. Per quanto riguarda le indagini, si sta parlando di balordi che si saranno organizzati e quindi, se questa lettura venisse confermata, potremmo dirci liberi da omicidi di mafia o di terrorismo. Comunque, l’effetto non cambia perché non si è trattato di un raptus, ma è stato un atto scientificamente e tecnicamente preparato, voluto e telecomandato. C’è anche da dire che, se verrà acclarata la responsabilità di balordi o di fanatici, scoprire che siamo liberi dal peso della mafia sarà un motivo di grande consolazione, pur rimanendo il dolore per un male che si compie.
Yemen. Grave strage alla parata militare, circa cento i morti
◊ Un attentatore suicida con indosso una uniforme militare si è fatto esplodere questa mattina nella capitale yemenita Sanaa, tra i soldati di un battaglione del governo uccidendo un centinaio di militari. L’attacco terroristico si è verificato durante le prove di una parata convocata per il 22.mo anniversario dell'unificazione del Paese. L’attentato sarebbe stato rivendicato da al Qaeda, ma molti elementi restano poco chiari. Come ci conferma Farian Sabahi, decente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Torino e autrice per Bruno Mondadori di una Storia dello Yemen. L’intervista è di Stefano Leszczynski:
R. - Sì, indubbiamente la situazione è poco chiara. Addirittura, a Sana’a mi dicono che i morti siano ben superiori a quelli dichiarati dalla agenzie stampa e potrebbero essere oltre 200. La causa di questo gravissimo attentato potrebbe essere la vendetta da parte dei jihadisti, contro cui le forze militari dello Yemen hanno compiuto un’operazione nel sud del Paese. Potrebbero, quindi, essere stati loro: tra l’altro, in questa operazione contro i jihadisti nel Sud del Paese ci si sono anche delle forze militari occidentali. Ma potrebbe anche trattarsi di un pericoloso colpo di coda dell’ex presidente Saleh, che è stato estromesso e non vuole permettere una transizione democratica del Paese.
D. - Come mai scegliere questo momento, proprio alla vigilia di un’importante festività nazionale?
R. - Domani, 22 maggio, ricorre l’anniversario dell’unificazione, avvenuta nel 1990 tra nord e sud proprio ad opera dell’ex presidente Alì Abdullah Saleh, che aveva approfittato della dissoluzione dell’impero sovietico e del fatto che Mosca non potesse più esercitare la propria influenza sullo Yemen meridionale. Alì Abdullah Saleh era riuscito in un’impresa importante unificando il Paese, ma nel 1994 c’è stata la guerra civile fomentata dall’Arabia Saudita. Quello, però, rimane un risultato importante, anche perché una delle sfide dello Yemen è proprio la secessioni che il sud ha minacciato in questo anni. Quindi, se il Paese si dovesse sfaldare per un motivo o per l’altro, questo sarebbe un fallimento Abd Rabbo Mansour, che è l’attuale presidente.
D. - La crisi yemenita non è soltanto un affare interno, forte anche l’implicazione internazionale da parte di altri Stati, in particolare da parte degli Stati Uniti in questo momento…
R. - Sì, gli Usa, sono stati tirati dentro in Yemen con l’attacco alla nave militare Cole, al largo delle acque di Aden, già negli anni Novanta. Poi, dopo l’11 settembre 2001, il presidente Alì Abdullah Saleh si era dichiarato alleato degli Stati Uniti nella guerra al terrorismo e aveva chiesto e ottenuto da Washington aiuti militari che però avevano preso il sopravvento su tutto il resto, rispetto anche agli aiuti economici. Con quegli aiuti militari, il presidente Alì Abdullah Saleh era riuscito a reprimere il dissenso interno, quindi con la complicità dell’Occidente. Le ingerenze straniere rimangono e oggi sono le ingerenze straniere americane a permettere agli uomini del clan di Saleh di rimanere al potere, perché si tratta di figli e nipoti di Saleh che hanno combattuto a fianco degli americani e che sono gli alleati di Washington nella lotta al terrorismo.
Vertice Nato, si discute di Afghanistan. Critiche al piano Usa sulla fame presentato al G8
◊ In una Chicago blindata, si chiude oggi il vertice della Nato, che vede la presenza dei capi di Stato e di Governo di 60 Paesi. Al centro delle discussioni, la messa a punto finale dei piani per il disimpegno in Afghanistan, con il trasferimento della responsabilità per la sicurezza alle forze di Kabul entro la metà del prossimo anno, per centrare poi l'obiettivo del ritiro delle forze di combattimento dell'Alleanza entro la fine del 2014. Un summit che giunge a 24 ore dal G8 di Camp David, in cui i grandi della Terra hanno discusso della crisi economica e della sicurezza alimentare. Proprio su quest’ultimo fronte, ha fatto molto discutere la proposta di un piano, a firma Obama, chiamato “Nuova Alleanza”. Il servizio di Salvatore Sabatino:
Un investimento nel settore dell’agricoltura del valore di tre miliardi di dollari in un accordo tra 45 società, da colossi internazionali a società africane, per sconfiggere la fame in sei Paesi, per un totale di 50 milioni di persone coinvolte. Questi i termini del piano, presentato dal presidente Obama a margine del G8 di Camp David, che ha visto il parere favorevole dei grandi della Terra. Una battaglia, quella contro la malnutrizione, che è anche un “imperativo di sicurezza”. A sostenerlo con forza è lo stesso capo della Casa Bianca, che aggiunge: “Abbiamo visto come un aumento dei prezzi degli alimenti può far scivolare milioni di persone in povertà, creando rivolte che possono costare vite e tradursi in instabilità”. Un piano certamente importante, dunque, quello proposto dal presidente statunitense, verso cui però sono state mosse numerose critiche. L’economista Riccardo Moro, docente di Politiche dello Sviluppo presso l’Università di Milano:
R. - Credo sia molto buona l’idea di avere un’iniziativa che catalizzi anche risorse finanziarie in favore dell’agricoltura. Qualche perplessità, invece, devo esprimerla sul fatto che utilizzare indiscriminatamente tecnologie - quelle cosiddette moderne - possa in realtà spiazzare i piccoli produttori in favore dei grandi produttori internazionali, con fenomeni anche di appropriazione della terra da parte delle grandi compagnie e con dei risultati che alla fine potrebbero determinare un maggior accesso al cibo, immediato, ma con delle fatiche certamente più consistenti nel medio-lungo periodo.
D. - Anche perchè bisogna sottolineare che il numero di persone coinvolte dal piano di Obama è molto ridotto…
R. - Cinquanta milioni di persone coinvolte fa pensare a grandi numeri. In realtà, noi abbiamo un numero di malnutriti nel mondo che è intorno al miliardo.
Fecondazione eterologa: attesa per domani sentenza della Consulta sul divieto
◊ Si attende per domani il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legittimità del divieto di fecondazione eterologa, previsto dalla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita. I quindici giudici della Corte Costituzionale dovranno verificare la corrispondenza dell'articolo 4, comma 3, della legge 40 con le garanzie costituzionali, su istanza del Tribunale di Firenze che ha già sollevato il dubbio di legittimità del divieto. Debora Donnini ha chiesto una riflessione a Lucio Romano, presidente di Scienza e Vita:
R. - La riflessione può essere portata su di un piano giuridico, su di un piano etico e su un piano biomedico. Per quanto riguarda la riflessione in ambito bioetico, è evidente che col ricorso alla fecondazione artificiale eterologa si dà luogo a una scissione dell’ unità parentale, che si declina nella dimensione genetica e nella dimensione sociale. Questo vuol dire che sia per quanto riguarda la paternità scissa fra dimensione genetica e paternità sociale, sia per quanto riguarda la scissione della maternità genetica, sociale e gestazionale qualora si sia dato ricorso alla donazione di ovociti, la dimensione della realtà familiare viene comunque a presentare una notevole diversificazione, perché si assiste alla compresenza di più soggetti, alcuni dei quali evidentemente devono essere assolutamente tutelati dall’anonimato. Questo contempla anche delle problematiche di ordine psicologico a carico del concepito, del neonato che evidentemente nel passare degli anni avrà una possibilità di essere messo a conoscenza dell’esistenza di un terzo soggetto che è intervenuto nel processo di fecondazione. Credo che questi siano problemi rilevantissimi non solo per quanto riguarda l’affetto familiare, ma ancor più per la tutela assoluta dei diritti del concepito.
D. - Da un punto di vista medico, dal punto di vista della salute, ci sono dei rischi connessi prettamente alla questione della fecondazione eterologa?
R. - Ci sono dei rischi che sono riconosciuti a livello internazionale, tant’è che la Società americana di medicina per la riproduzione ha cercato - già dal 2008 - di normare la procedura della donazione sia di spermatozoi sia di ovociti, limitando il numero dei donatori, che poi - tra virgolette - donatori in senso volontaristico lo sono, ma che vengono comunque retribuiti per quanto riguarda questa che definiamo una donazione particolare. Abbiamo, infatti, dei dati su come non si possa dar luogo a donazioni che superino 25 nati dallo stesso donatore in una popolazione di circa 800 mila persone per quanto riguarda gli spermatozoi, e per quanto riguarda gli ovociti non più di 6 donazioni. E’ evidente che questa criteriologia sicuramente non tutela del tutto perché, mantenendosi l’anonimato, non potremo mai sapere se questi donatori saranno donatori seriali presso diversi centri e non solo: saranno in circolazione fratelli e sorelle per via paterna o per via materna sotto l’aspetto biologico del donatore e della donatrice, e potrebbe portare evidentemente dei gravissimi problemi per quanto riguarda l’incontro tra consanguinei. Questo è riportato nella letteratura internazionale.
D. - Domani, è prevista la sentenza della Corte costituzionale sulla legittimità del divieto di fecondazione eterologa previsto dalla legge 40…
R. - L’essenza di tutta la legge 40 era ed è evidentemente quella di tutelare il concepito, in un equilibrio di valori e in un equilibrio di tutele che si riferiscono anche ai genitori con sterilità. Questo è un problema di grande delicatezza, che vuole stare a dimostrare come la legge 40 prendeva e prende in considerazione tutti i soggetti coinvolti - in primis i diritti del concepito. Un’eventuale modifica a questo equilibrio relativa all’articolo inerente al divieto alla fecondazione artificiale eterologa vanificherebbe le finalità della legge 40 e da un lato si ritornerebbe ad una situazione di "far west" procreatico e dall’altro evidentemente non si tutelerebbe più né il concepito, né tanto meno il nucleo familiare. La Legge 40 è una legge dello Stato, è una legge laica e non è assolutamente una legge aggettivabile come cattolica. A tutti è ben noto come la posizione della Chiesa sia quella di una opposizione, con rilevante criticità, nei confronti di qualsiasi tecnica che porti all’estraniazione della coppia nel processo procreativo e unitivo.
"Famiglie vive, storie di Vangelo": 12 testimonianze di vita quotidiana che comunicano speranza
◊ “Non bisogna aver paura della notte, finché ci sono fuochi accesi che illuminano e riscaldano”. Questo detto, attribuito a Paolo VI, dice il senso del libro di Aurelio Molè: “Famiglie vive, storie di Vangelo”, pubblicato di recente dall’editrice Città Nuova e presentato al Salone del Libro di Torino. 12 le storie raccontate, vissute da altrettante famiglie. Nella prefazione il card. Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che ha patrocinato il libro, sottolinea il valore della testimonianza per la vita della Chiesa perché: “le esperienze parlano con il linguaggio dei fatti che è più persuasivo di quello delle idee!” E’ questa, dunque tra le altre, la nota originale del libro? Adriana Masotti lo ha chiesto all’autore stesso:
R. – Sì, perché oltre alla teologia, agli studi sulla famiglia, alla pastorale c’è anche tutto un altro settore, che è il settore della testimonianza. Questo è – per così dire – un testo di teologia narrativa che è tipico della famiglia, perché la famiglia sottolinea proprio la vita, l’accoglienza della vita, la comunicazione attraverso la vita quotidiana. Quindi, la spiritualità della famiglia si comunica anche attraverso le storie, le esperienze.
D. – Le testimonianze che lei ha raccolto sono state raccontate durante il Congresso internazionale sul tema: “La famiglia cristiana soggetto di evangelizzazione” del 2010. Ne ha scelte 12: in base a quali criteri?
R. – Sono state scelte, intanto, per diversità di ambito e per internazionalità, per cui sei sono italiane e sei sono di altri Paesi europei e di altri continenti; sono di varie associazioni, movimenti, di varie diocesi … Il criterio è stato anche quello narrativo, quindi storie che in qualche modo potessero interessare, potessero essere imitabili … Per esempio, c’è una storia che parla di formazione delle coppie, un'altra di famiglie impegnate nella missione, oppure di famiglie impegnate nell’educazione cristiana, oppure nell’accoglienza, oppure nella carità; o ancora in corsi di preparazione al matrimonio, ecc… Da ognuno c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire e sempre qualcosa da imparare.
D. – Si tratta di storie vissute in Italia, Francia, Argentina, Messico e altri Paesi ancora, da famiglie appartenenti a contesti diversi. Ma c’è qualcosa in comune tra tutti questi racconti?
R. – Diciamo intanto che nascono tutte dalla vita quotidiana e anche dall’esigenza di fare qualcosa per la propria famiglia e per gli altri, e la cartina di tornasole che le illumina tutte è sempre, naturalmente, la luce del Vangelo. Un Vangelo che è proprio a misura di famiglia, che può essere vissuto parola per parola, perché il Vangelo – trasversalmente – è anche un codice educativo che prepara a tutte le varie fasi della vita che dovremo affrontare.
D. – Può farci qualche esempio delle testimonianze che ha scelto?
R. – Sì, per esempio, i coniugi Rosatti di Trento non riuscivano a trovare un modo per educare a tavola i loro figli. Allora, hanno provato con il gioco e hanno inventato una specie di gioco dell’oca per imparare come stare a tavola, e i bambini hanno imparato le regole della buona educazione a tavola facendo il gioco. Da allora, il gioco è diventato il loro cavallo di battaglia: per feste di compleanno, per coinvolgere i loro amici ed i genitori, fino anche alla trasmissione della fede. E quindi, hanno inventato un metodo di gioco applicato al catechismo che ha coinvolto tante famiglie e ha permesso ai bambini di imparare la fede attraverso un metodo giocoso e gioioso. Oppure, molto bella anche l’esperienza in Argentina dove vari movimenti convocati dal vescovo di Buenos Aires, hanno creato decine di consultori di famiglie e ci sono tantissime famiglie che si rivolgono a questi centri per aiuto spirituale, per aiuto a problemi di coppia, per aiuto a problemi psicologici o di alcolismo … Quindi, dalla collaborazione sul territorio tra le varie realtà presenti è nata un’esperienza che è stata poi d’esempio e che si è trasmessa ad altre diocesi dell’Argentina.
D. – E’ molto bello anche quello che racconta una famiglia italiana sulla preghiera: una preghiera adatta ad ogni stanza della casa …
R. – Questa è la famiglia Guggi che ha inventato un proprio metodo per fare in modo che qualsiasi ambiente della casa sia adatto alla trasmissione della fede. Quindi: la fede non è demandata solo alla parrocchia, ma la famiglia è il soggetto di evangelizzazione dei propri bambini. In ogni ambiente, in ogni momento della giornata si può sperimentare che la casa è dimora di Dio, quindi si può pregare in salotto, si può pregare in cucina, si può pregare la sera; ma anche in bagno, anche nel ripostiglio … Quindi hanno “sviluppato” delle brevi liturgie domestiche con preghiere, gesti, segni molto semplici, adatti ai bambini, con cui possono penetrare il mistero della presenza di Dio nella vita quotidiana.
D. – Che cosa si augura che le famiglie possano ricavare dalla lettura di queste pagine?
R. – Dalla lettura di queste pagine spero che le famiglie possano ricavare un’ispirazione, un esempio, una strada, un possibile percorso che anche loro possono intraprendere; e possano in qualche modo rinnovare o ritrovare la loro vocazione a coppia, l’unicità della loro famiglia, intraprendendo azioni che abbiano il timbro del Vangelo, sia a livello personale, sia a livello della società.
Il dramma del nucleare a teatro: in Italia l'opera "Three Mile Island"
◊ Prima esecuzione italiana, questa sera, al Teatro India di “Three Mile Island”, opera multimediale coprodotta da Istituzione Universitaria dei Concerti, Accademia Filarmonica Romana e il Centro per l’Arte e la Tecnologia dei media di Karlsruhe, che racconta l’incidente che colpì nel 1979 una delle maggiori centrali nucleari degli Stati Uniti. Nel pomeriggio di oggi, alle 17.30, nel foyer del Teatro si tiene una tavola rotonda sul tema “La cortina di Fumo. Incidenti e contaminazioni nucleari: quali informazione?” con la partecipazione della Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi e testimonianze da Fukushima. Il servizio di Luca Pellegrini:
Un tentativo sicuramente originale per raccontare a teatro, con la musica di Andrea Molino e la drammaturgia di Guido Barbieri, il primo grave incidente avvenuto in una centrale nucleare, quello che all’alba del 28 marzo 1979, a causa del surriscaldamento di un reattore della centrale nucleare di Three Mile Island, nello stato della Pennsylvania, creò paura, panico, danni, accuse e responsabilità, una débâcle per la natura e per l’uomo. Una verità tenuta nascosta per quasi trent’anni e che il giornalista tedesco Karl Hoffmann ha scoperto e rilanciato in un’intervista televisiva fatta allo scomparso Ignaz Vergeiner, un meteorologo dell’Università di Vienna, che redasse un rapporto sconvolgente: la nube tossica fuoriuscita dalla centrale dopo l’incidente era letale. Abbiamo chiesto al giornalista tedesco come questo fatto di cronaca è diventato uno spettacolo:
R. - Anzitutto, doveva essere qualcosa di diverso: il personaggio di cui stiamo parlando - Ignaz Vergeiner, uno scienziato che ha rivelato una verità su quell’incidente Three Mile Island - voleva fare insieme a me, che lo sconoscevo da quasi trent’anni, un documentario su questa sua verità. Poi, si è ammalato e abbiamo capito che non ce l’avrebbe fatta a fare questo suo ultimo viaggio in America per fare quel lavoro, che poi è diventato spettacolo. Dopo la sua morte, l’idea del reportage è rimasto nel cassetto e insieme si è creato poi questo spettacolo, che è un’altra forma di rappresentazione, sempre sullo stesso tema, quello cioè di dire la verità su una cosa che non si deve nascondere.
D. - Che cosa insegnano ancora oggi questi fatti, che molti di noi hanno dimenticato?
R. - E’ la prima volta e devo dire che rende i contenuti giornalisti estremamente visibili, intensi ed importanti. Credo che il pubblico, già nella prima di Karlsruhe, aveva capito con grande forza quello che era il contenuto e la verità di Ignaz Vergeiner, quel filone etico, che è all’interno di questa storia: una verità negata, una verità chiara che poi per motivi politici, sociali e anche semplicemente per dimenticanza, alcune cose vengono messe all’oblio e poi alla fine rimangono solo le vittime, che rimangono sole. Si spera che questa eredità dello scienziato Ignaz Vergeiner porti ad una nuova discussione su quello che era successo 30 anni fa. Almeno questa è la speranza che abbiamo.
La crisi siriana arriva in Libano
◊ Scontri fra gruppi pro e contro il regime siriano di Bashar Al Assad si sono verificati ieri a Beirut in seguito all’uccisione di una personalità religiosa nel nord del Libano. Lo riferiscono i media libanesi riportando gli inviti alla calma del governo, che ha annunciato l’apertura di un’inchiesta sulla morte di Sheikh Ahmad Abdel Wahed, noto per le sue posizioni critiche nei confronti di Damasco. Wahed è stato ucciso ieri insieme al suo autista apparentemente per non essersi fermato a un posto di blocco dell’esercito nella città di Koueikhat, nella regione settentrionale di Akkar. Subito dopo la diffusione della notizia sulla sua morte, gruppi di manifestanti hanno bloccato diverse arterie stradali sia ad Akkar che a Beirut e nella valle della Bekaa. Nella capitale libanese gruppi opposti si sono però scontrati facendo anche uso di armi automatiche, due persone sono state uccise e diverse altre ferite. In queste ore l’esercito sta riaprendo le strade e le autostrade bloccate dai dimostranti. Secondo l’agenzia di stampa ufficiale Nna, il primo ministro Najib Mikati ha presieduto un consiglio di sicurezza straordinario facendo poi dichiarazioni in cui ha richiamato alla calma. Un messaggio fatto proprio anche dal capo dell’opposizione ed ex primo ministro Saad Hariri sebbene non siano mancate dichiarazioni forti e di senso opposto di altri esponenti politici. I fatti di ieri hanno seguito scontri a intermittenza che nelle ultime due settimane hanno coinvolto alcuni quartieri di Tripoli con un bilancio di un decina di vittime. Anche in questo caso gli scontri hanno interessato gruppi pro e contro Assad. Stretto tra Siria e Israele, il Libano ha storicamente risentito delle vicende dei paesi vicini e in particolare della Siria. La crisi in corso da più di un anno oltreconfine ha portato in Libano migliaia di profughi siriani ma ha anche riacceso antiche rivalità all’interno del suo ricco e complesso mosaico religioso ed etnico. (R.P.)
Mali: sarà il presidente Traoré a guidare un anno di transizione
◊ Dioncounda Traoré continuerà a guidare lo Stato del Mali anche oltre la scadenza costituzionale di 40 giorni che termina domani. Come riporta l’agenzia Fides, l’ex presidente del Parlamento che era divenuto Presidente ad interim con gli accordi del 12 aprile, rimarrà in carica per un periodo di transizione fissato in 12 mesi. La decisione, dopo il colpo di Stato di marzo che aveva rovesciato il presidente Amadou Toumani Touré, è arrivata dall’accordo raggiunto a Bamako tra i militari golpisti e i mediatori della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas-Cedeao). L’accordo deve però essere accettato dai partiti maliani. “Oggi e domani un gruppo di partiti e di associazioni della società civile sono riuniti per decidere se accettare l’accordo raggiunto dalla Cedeao con la giunta militare” riferisce don Edmond Dembele, segretario della Conferenza episcopale del Paese. L’intesa firmata ieri sembra concedere infatti diversi benefici ai militari golpisti che hanno già ottenuto una legge di amnistia, votata tre giorni fa dall’Assemblea Nazionale. “Il capo della Giunta militare, Amadou Sanogo, ha ottenuto lo status di ex Capo dello Stato, con tutti i benefici del rango” aggiunge don Dembele. Per quanto riguarda il Nord del Paese, controllato da una serie di gruppi armati, egli afferma che “è ormai operativo un corridoio umanitario per l’invio di derrate alimentari e medicinali alle popolazioni”. “Sul fronte negoziale ci si aspetta un’accelerazione nel processo di mediazione con i gruppi armati che controllano l’area”. La scorsa settimana il Presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, incaricato della mediazione in Mali dalla Cedeao, ha già preso contatto con i movimenti del Nord. (G.M.)
Sud Sudan: la Chiesa sostiene l'accoglienza dei rimpatri dal nord
◊ Sono 3.600 i sud sudanesi rimpatriati nel giro di una settimana da Khartoum (Sudan) a Juba (Sud Sudan). Lo afferma l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (Iom) che ha organizzato un apposito ponte aereo per permettere ai cittadini originari del Sud Sudan ma residenti in Sudan da decenni (alcuni sono nati lì) di rientrare nelle zone di origine dopo che il governo di Khartoum ha deciso la loro espulsione. Le tensioni tra Sudan e Sud Sudan sono all’origine di questa decisione, anche se le autorità di Khartoum affermano che gli espulsi sono persone in situazione irregolare, prive di permesso di soggiorno, dopo l’indipendenza del Sud Sudan, sancita nel luglio 2011. Nelle prossime settimane - riporta l'agenzia Fides - sono previsti altri voli per finire di rimpatriare le circa 12.000 persone accolte nel centro di Kosti, a circa 300 km da Khartoum, che è il principale campo di transito dei sud sudanesi in attesa di essere trasferiti in Sud Sudan. L’arrivo di un così alto numero di persone rischia di mettere a dura prova le strutture di accoglienza del neonato Stato. La Chiesa cattolica apporta il suo contributo di solidarietà: la Caritas di Juba ad esempio, ha inviato 16 volontari per costruire rifugi per accogliere nel campo di Kapuri oltre mille persone provenienti da Kosti. (R.P.)
Egitto: appello dei vescovi per le prossime presidenziali
◊ Appello dei vescovi agli egiziani di ogni credo e appartenenza politica ad esercitare il proprio diritto di voto alle prossime elezioni presidenziali del 23 maggio. L’invito dei presuli è contenuto nel comunicato reso noto al termine dell’Assemblea della Conferenza episcopale d’Egitto si è svolta al Cairo dall’8 al 10 maggio, al seminario copto-cattolico di Méadi. Il testo, reso pubblico da anba Kyrillos William, nella sua veste di amministratore della Chiesa copto-cattolica, a nome del presidente della Conferenza episcopale il patriarca Antonios Naguib, enumera, come si legge sul portale terrasanta.net, quattro temi principali. La conferenza episcopale spera di vedere il prossimo presidente del Paese guidare la nazione sulla via della democrazia, della libertà d’espressione e dell’uguaglianza tra gli egiziani, sul piano dei diritti come su quello dei doveri. L’episcopato invita inoltre i cattolici a consacrare l’intero prossimo anno, a partire da ottobre, allo studio del tema Fede e Parola di Dio, come risposta alle raccomandazioni del Sinodo del 2010. I vescovi annunciano anche la loro intenzione di dotarsi presto di un ufficio stampa capace di seguire e far conoscere la posizione della Chiesa cattolica d’Egitto attraverso tutti gli strumenti di comunicazione sociale disponibili: stampa, Internet, notizia audio e video. Per raggiungere questo obiettivo i vescovi hanno creato un comitato ristretto che, in collaborazione con la Commissione episcopale per l’informazione, studierà i passi necessari per la rapida creazione di questo servizio. Infine un’esortazione rivolta ai responsabili, ai pastori e ai fedeli della Chiesa cattolica, perché sostengano i fratelli della comunità copto-ortodossa nelle loro preghiere a Dio perché conceda loro un buon pastore, che succeda allo scomparso patriarca Shenuda III, che sia capace di guidarli in questi momenti delicati, per il bene della loro Chiesa e della nazione egiziana. (T.C.)
Napoli: 40 mila giovani neocatecumenali per l'annuncio di Cristo al mondo
◊ "Annunciate Cristo ad un mondo spesso ostile e violento". Questa la consegna del cardinale Crescenzio Sepe ai 40 mila giovani del Cammino Neocatecumenale riuniti ieri nella bellissima cornice di Piazza Plebiscito a Napoli, alla presenza degli Iniziatori del Cammino, Kiko Argüello, Carmen Hernández e Padre Mario Pezzi, di vari parroci e viceparroci della Campania e di Presbiteri che accompagnavano i giovani. Sono stati anche presenti all’incontro il vescovo di Acerra, Mons. Salvatore Giovanni Rinaldi, e il vescovo di Aversa, mons. Angelo Spinillo. Durante la giornata i giovani, provenienti da tutte le regioni del Centro-Sud Italia e da alcuni altri Paesi d’Europa, con chitarre, striscioni e canti hanno percorso le varie strade della città, convergendo ordinatamente verso la piazza, cuore di Napoli, riempiendola come non mai. L’evento, che idealmente richiama la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid e prepara la prossima di Rio, ha avuto un carattere vocazionale. Nel contesto di una celebrazione della Parola, Kiko ha rivolto ai giovani un forte annunzio, perché “la potenza del kerigma – ha detto – arriva al cuore delle persone e ha il potere di cambiare la loro vita”. “Qui davanti a voi – ha detto ai giovani – oggi ci sono tre angeli e tre donne, sei persone in dialogo”. Ed ha parlato del dialogo tra l’angelo del male ed Eva, che accoglie la sua parola (mangia il frutto dell’albero) e si lascia sedurre, finendo schiava della paura della morte, del peccato. Ha presentato un altro dialogo: quello tra l’Arcangelo Gabriele e la Vergine Maria, la nuova Eva: anche Maria accoglie l’annuncio dell’angelo e diviene Madre di Dio, di una vita nuova, celeste. Il terzo dialogo, infine, tra un altro “angelo” (“angelo” in greco significa “inviato”), colui che annuncia la buona notizia, e una nuova donna, ognuno presente nell’assemblea, tra coloro che ascoltano. “Ecco – ha sottolineato – io sono oggi questo angelo per voi e voi siete questa donna. Ho una buona notizia per voi: Dio vi ama, vi ha creato perché vi ama, perché vi vuole liberare dalla schiavitù nella quale ogni uomo vive per il peccato originale. E voi, liberamente, potete rispondere di sì o di no”. Ed ha chiamato i giovani alla verità e alla libertà. Alla verità che è l’amore mostrato da Dio nel suo Figlio sulla croce, perché solo chi ama è libero davvero, solo colui che è stato liberato dalla paura della morte può donarsi all’altro, fare della sua vita un dono per l’altro. Dopo il canto il Vangelo, il cardinale nell’omelia ha notato come questo evento fosse una prosecuzione dell’anno giubilare appena concluso: “La città di Napoli ha voluto aprire le sue porte per accogliere Cristo. Oggi accoglie voi, e con voi accoglie il Cammino Neocatecumenale”. Alcune brevi parole di Carmen e di Padre Mario, hanno preceduto le chiamate: Kiko ha chiesto se tra i presenti, tutti chiamati da Dio all’amore, qualcuno sentisse un invito particolare del Signore a consacrare la sua vita a Cristo e li ha invitati a venire sul palco, prima i ragazzi e poi le ragazze. In uno scenario “commovente” – come ha notato il Prefetto della città, Andrea De Martino, presente all’incontro – circa 200 giovani si sono inginocchiati davanti al cardinale Sepe per ricevere la sua benedizione e dare la propia disponibilità a prepararsi ad entrare in un seminario. Dopo i ragazzi, Kiko ha chiesto se anche qualche ragazza sentisse questa chiamata del Signore, con un’attenzione speciale all’evangelizzazione dell’Asia, della Cina: cento giovani si sono presentate sul palco per ricevere la benedizione. A conclusione Kiko ha chiesto se vi fossero anche dei giovani, ragazzi e ragazze, che si offrivano a pregare il rosario ogni giorno, davanti a SS.mo Sacramento, per alcune “Missio ad gentes” d’Europa: si tratta di nuclei familiari (3 o 4, normalmente con numerosi figli) che sono chiamati dai vescovi per farsi presenza cristiana, chiesa viva, in quartieri e zone di città d’Europa completamente secolarizzate. Sono state consegnate corone del rosario a gruppi di 60 giovani di Napoli e Campania a cui sono state affidate le “Missio ad gentes” di Nizza, Marsiglia e Losanna. Altre “Missio” (Lione, Albi, Tolone...), sono state affidate ad altre regioni d’Italia. L’assemblea ha vissuto tutto l’evento con un’attenzione e una partecipazione grande. Anche da Piazza Plebiscito si poteva percepire come c’è davvero una gioventù nuova che permette alla Chiesa e alla società di guardare avanti con fiducia, con speranza. (Da Napoli, don Ezechiele Pasotti)
Myanmar: violenze dell'esercito contro le donne della minoranza kachin
◊ La “Kachin Women Association” (Kwa), associazione delle donne kachin con sede in Thailandia, continua a segnalare stupri compiuti dai militari su donne appartenenti alle minoranze etniche. L’organizzazione “Christian Solidarity Worldwide” (Csw), che nei mesi scorsi ha visitato la zona del Nord Myanmar, ha documentato diversi casi tra cui un caso di stupro contro una donna kachin avvenuto all'interno di una chiesa dove si era rifugiata. In particolare il caso di Sumlut Roi Ji, donna kachin stuprata e poi scomparsa, è stato portato davanti alla Corte Suprema in Naypidaw, nuova capitale del paese. La Corte ha però respinto tutte le accuse contro l'esercito birmano. Una portavoce della Kwa ha dichiarato: “Il messaggio della Corte Suprema è chiaro: l'esercito birmano può violentare e uccidere impunemente le donne di minoranze etniche”. Organizzazioni non governative e gruppi che difendono i diritti umani continuano a lanciare l’allarme sui crimini perpetrati dall'esercito birmano contro le minoranze etniche, in particolare sui kachin. “Se il processo di riforme avviato dal Presidente Thein Sein è autentico – afferma Csw – l'esercito deve smettere di compiere violenze sui civili. La comunità internazionale deve tenere alta la pressione sul presidente Thein Sein per far progredire il processo di pace con le minoranze etniche”. Numerosi casi di violenze compiute dai militari sulle donne e sui civili kachin sono riportati anche nel rapporto diffuso alla fine di marzo dalla Ong “Human Rights Watch”, titolato “Miserie non dette: abusi in tempo di guerra e sfollamento forzato nello stato birmano Kachin”. A partire dal conflitto scoppiato a giugno 2011, gli sfollati kachin nello stato sono circa 75.000. Sulle violenze e gli abusi sui civili, che diverse Ong denunciano a carico dei militari, la Fides ha raggiunto un sacerdote birmano che nei giorni scorsi si è recato nell’area di confine fra Cina e Myanmar e ha visitato i campi profughi nella diocesi di Myitkyina, interessata, insieme alla diocesi di Banmaw, dalla violenza. Il sacerdote, che per motivi di sicurezza chiede l’anonimato, conferma: “I bombardamenti continuano in modo indiscriminato. I militari non fanno differenza: per loro tutti i kachin sono ribelli. I rifugiati raccontano di violenze indicibili, abusi e stupri computi sui civili innocenti. La tregua non c’è perché la situazione è al centro di un gioco politico. Oggi la pace è davvero un'urgenza”. (R.P.)
Indonesia: ancora attacchi degli integralisti islamici contro i cristiani di Bekasi
◊ Una folla di estremisti islamici ha colpito di nuovo la casa di preghiera della comunità protestante Hkbp Filadelfia (Christian Protestant Batak Church) a Bekasi, periferia di Giakarta (West Java), nonostante la presenza della polizia schierata a difesa del luogo di culto cristiano. L'assalto - riporta l'agenzia AsiaNews - è avvenuto ieri mattina, mentre i fedeli si riunivano per le celebrazioni domenicali. Lo scorso 17 maggio, in concomitanza con la festa dell'Ascensione di Gesù, il luogo di culto era stato oggetto di un attacco, da parte di fondamentalisti. Testimoni locali riferiscono che ieri - all'arrivo dei fedeli - un gruppo di estremisti ha bloccato l'accesso alla "chiesa di strada", obbligando le persone ad abbandonare i motocicli e compiere l'ultima parte del tragitto verso il luogo di culto a piedi. Le forze di polizia si sono schierate attorno al perimetro dell'edificio, per consentire il regolare svolgimento della funzione; tuttavia, una folla composta da circa 400 elementi ha "circondato" l'area e ha iniziato ad inveire contro gli esponenti della minoranza religiosa. All'interno del gruppo fondamentalista non vi erano soltanto uomini, ma anche donne e bambini. Dopo le intimidazioni, si è passati alle vie di fatto. La folla ha cominciato a scagliare acqua di fogna, olio usato, fango, uova marce, bastoni e altri oggetti contundenti. Un attacco "brutale", aggravato dalla presenza di un nugolo di "infiltrati" che ha superato il cordone degli agenti e colpito "dall'interno" i fedeli della comunità cristiana. Raggiunto dall'agenzia AsiaNews, il reverendo Palti H. Panjaitan Sth - capo della comunità protestante Hkbp Filadelfia - ha sottolineato che "ciò che più ci spaventa, è che il numero di poliziotti era così esiguo se raffrontato alla folla inferocita". Egli aggiunge che "è evidente che gli agenti non hanno la forza di respingere gli assalitori" e nulla possono fare giornalisti, attivisti o legali che si battono a difesa dei diritti umani. (R.P.)
Allarme del radicalismo islamismo a Sumatra: a maggio chiuse 17 chiese
◊ Nella provincia di Aceh, nel nord dell’isola indonesiana di Sumatra, sono state chiuse 17 chiese nel solo mese di maggio. Dopo diverse manifestazioni di protesta anticristiana, davanti al palazzo del Governo, gruppi islamici radicali si stanno rafforzando e procedono senza tregua con pressioni e intimidazioni; questo, ancora di più a seguito dell’elezione a governatore del leader Zaini Abdullah, avvenuta il 9 aprile. La chiusura delle chiese viene giustificata riferendosi ad un controverso accordo che i cristiani furono costretti a firmare nel 2001. Nel documento, riferisce l’agenzia Fides, si afferma che nella provincia può esservi una sola chiesa e quattro cappelle. Il numero di chiese era però aumentato negli anni successivi, grazie ad accordi stipulati con l’Interfaith Forum Harmony, che aveva dato il benestare a nuove strutture, considerato l’aumento dei cristiani ad Aceh, che attualmente sono 12mila. I militanti, fra i quali membri del “Fronte dei difensori dell’Islam” hanno avuto la meglio. “In questa provincia è in vigore la sharia, la legge islamica” spiega padre Romanus Harjito, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Indonesia. “La vita per i fedeli cristiani è molto difficile lì. Il punto è che gli episodi legati ai gruppi islamici radicali sono tollerati dal governo centrale. In tali casi - continua - c’è il mancato rispetto della Pancasila, la legge fondamentale dei cinque principi che è alla base della convivenza fra comunità religiose in Indonesia”. (G.M.)
Nepal: appello alla convivenza pacifica di indù, cristiani e musulmani
◊ "Fermare subito le violenze fra gruppi etnici e lavorare per la pace nel Paese". È l'appello di cristiani, buddisti, indù e musulmani ai leader tribali che da 25 giorni bloccano il Nepal per chiedere più tutele nelle nuova costituzione che verrà approvata il 27 maggio. I leader religiosi - riporta l'agenzia AsiaNews - invitano le minoranze tribali ed etniche al rispetto reciproco e sottolineano la necessità di favorire un clima di riconciliazione dopo 11 anni di guerra civile. In vista della data di consegna della nuova costituzione, tutti i gruppi etnici del Paese stanno cercando di piegare a proprio vantaggio la futura configurazione dello Stato. Da oltre una settimana a Kathmandu si registrano scontri con feriti fra minoranze tribali favorevoli al federalismo e indù contrari alla partizione dello Stato secondo le etnie. In totale la polizia ha arrestato più di 50 persone. Ieri, migliaia di tribali, fra cui i Newar della valle di Kathmandu, hanno iniziato uno sciopero generale che potrebbe estendersi a tutto il Paese. Per evitare nuovi scontri fra gruppi etnici, il governo ha dispiegato l'esercito nel centro della capitale e nelle aree più a rischio. Oggi, Baburan Bhattarai, Primo ministro nepalese, ha annunciato lo stato di allerta e prorogato a tempo indeterminato la chiusura delle scuole e di molti uffici pubblici. In alcune città si sono formati gruppi di sicurezza multi-etnici che collaborano con la polizia. Mons. Anthony Sharma, arcivescovo di Kathmandu, sottolinea che a causa dello sciopero generale, migliaia di persone patiscono la fame. Nelle regioni occidentali alle pendici dell'Himalaya interi villaggi hanno terminato le scorte di cibo, medicinali e acqua potabile. "La violenza settaria non ha senso - afferma il prelato - e non ha mai portato nulla di buono. In questo momento storico le persone di fedi differenti dovrebbero essere più tolleranti e non combattere fra loro". Dello stesso parere è Nazrul Hussein, leader dell'Islamic Federation of Nepal. Egli sottolinea che "da secoli le diverse culture del Paese vivono in armonia. Tale convivenza è possibile solo attraverso un dialogo pacifico fra i vari gruppi etnici, che deve essere sostenuto anche dai politici. (R.P.)
Cina: per l’Ascensione una nuova chiesa e il primo sacerdote dopo 60 anni
◊ Due i momenti importanti di festa che si sono celebrati nella diocesi di Hainan, isola della Cina, il 17 maggio, solennità dell’Ascensione: è stata consacrata la nuova chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù ed è stato ordinato il primo sacerdote dopo 60 anni. Come riporta l’agenzia Fides, erano presenti oltre 600 fedeli alla cerimonia presieduta da mons. Gan Jun Qiu, vescovo della diocesi di Guang Zhou. Un legame particolare unisce don Zhang, è questo il nome del nuovo ordinato, alla nuova chiesa; ancora seminarista, era stato mandato nella diocesi di Hainan per svolgere il tirocinio pastorale prima dell’ordinazione. Nel corso della sua permanenza, si è dato da fare per la costruzione di una nuova chiesa, che oggi sorge su un terreno donato dalle autorità locali alla comunità cattolica. Per i fedeli, che hanno sostenuto e finanziato il progetto tramite donazioni personali, si tratta di un “disegno di Dio” mentre, secondo il parroco, la duplice celebrazione “è stata un grande impulso per la nostra evangelizzazione del futuro”. Fino a trenta anni fa, la diocesi aveva un solo sacerdote, una religiosa e disponeva come luogo di culto solo di una chiesa molto vecchia; oggi, si contano otto chiese, due sacerdoti e due religiose. (G.M.)
I vescovi cileni esortano lo Stato a prendersi carico degli anziani indigenti
◊ In vista dell'odierno discorso alla Nazione del Presidente Sebastian Pinera, i vescovi cileni hanno scritto una lettera per chiedere al Capo dello Stato di affrontare quella che chiamano la “catastrofe umanitaria” che tocca gli anziani indigenti nel Paese. La missiva, firmata da mons, Manuel Camilo Vial, vescovo di Temuco e presidente della Caritas cilena, ricorda che in Cile “più di 550mila persone anziane vivono con meno di 60mila pesos al mese (pari a circa 100 euro) di reddito proprio”, al netto quindi dei magri sussidi statali. Il presule richiama inoltre l’attenzione sulla penosa mancanza di strutture di sostegno alle persone non auto-sufficienti. “Allo stato attuale - denuncia - se si esclude una struttura a Punta Arenas, non esiste una sola casa di riposo pubblica”. Delle 36mila persone anziane vulnerabili in situazione di dipendenza grave o media, solo 9mila hanno un posto letto in una casa di riposo, mentre su 128mila con una situazione di dipendenza leggera o autosufficienti bisognose di aiuto soltanto 19mila beneficiano di programmi di assistenza pubblici o privati. Gli anziani più indigenti possono quindi contare solo sugli aiuti delle organizzazioni benefiche come la Caritas, l’Hogar de Cristo o la Fondazione Las Rosas, che tuttavia – evidenzia la lettera - incontrano sempre più difficoltà a sostenere i costi elevati e non riescono a fare fronte a tutti i bisogni. Per i vescovi si tratta di una “catastrofe umanitaria invisibile”, ma destinata presto ad esplodere e che richiede quindi misure urgenti da parte della politica, tanto più che la popolazione cilena continua ad invecchiare: “È un debito che abbiamo come Paese, un’ingiustizia inaccettabile nell’attuale congiuntura di sviluppo economico del Cile”, affermano. L’auspicio dei presuli cileni è quindi che nel discorso presidenziale di oggi, gli anziani non siano ancora una volta dimenticati e che venga al più presto varata una nuova politica che “tuteli i loro diritti e conceda loro le condizioni minime per potere invecchiare con dignità”. (L.Z.)
Cile: la visita del vescovo a Freirina stempera la tensione sociale
◊ La visita del vescovo di Copiapó, mons. Gaspar Quintana, che il pomeriggio di sabato scorso si è recato nel comune di Freirina dove, insieme al parroco, padre Franklin Gonzalez, al vicario della zona, padre Mario Campillay, ed a padre Mauricio Arancibia, ha incontrato i leader locali per conoscere più dettagliatamente i motivi della protesta in atto, ha contribuito a portare la calma e maggiore serenità, anche se il conflitto non è stato ancora risolto. Nella Messa celebrata il 1° maggio, il vescovo aveva chiesto la revisione del salario minimo ed aveva parlato della grave situazione della zona di Freirina, dove manca l'acqua, la qualità dell'aria è compromessa e c’è un problema di rispetto dell'ambiente. Secondo quanto riferito dal parroco della zona, padre Franklin Gonzalez, durante la sua visita del 19 maggio, il vescovo ha ribadito l'importanza di rispettare la dignità delle persone e il loro diritto a vivere in un ambiente con aria pura e acqua pulita e abbondante, oltre a discutere le strade da percorrere per ristabilire il dialogo con le autorità. Nella nota inviata all'agenzia Fides dalla Conferenza episcopale del Cile si legge che, secondo padre Franklin, la richiesta principale della comunità è che l'impianto industriale che contamina aria e acqua con le sue esalazioni, “venga fermato fino a quando non si risolve il problema”, in quanto non si può continuare con l’emanazione di cattivi odori “che fanno soffrire la gente, perché non si può sopportare l'aria contaminata. La gente è stanca di questa situazione e le autorità sono assenti – prosegue il parroco - la popolazione è ancora in attesa di una risposta. L'unica cosa che chiediamo è una migliore qualità della vita”. Il conflitto aveva avuto nei giorni scorsi momenti di alta tensione, che hanno provocato degli scontri con i Carabinieri, con persone ferite ed arrestate, della cui situazione si è interessato il vescovo durante la visita del 19 maggio. (R.P.)
Panama: la Chiesa media nello sciopero dei medici
◊ Il fallimento dei colloqui tra il governo di Panama e le associazioni mediche ed amministrative che lavorano nel settore della sanità, potrebbe portare ad un prolungamento dello sciopero dei lavoratori del settore sanitario, e perfino al coinvolgimento di altre categorie di lavoratori, secondo quanto hanno riferito alla stampa i dirigenti sindacali. I leader del personale amministrativo e i medici della "Caja del Seguro Social" (Fondo di previdenza sociale) che portano avanti il dialogo con il governo, avendo come mediatore la Chiesa cattolica, hanno dichiarato che non c’è stato consenso fra gli scioperanti, ma che si continuerà a dialogare ancora oggi. "Resta la volontà di dialogo, ma non è stato raggiunto il consenso" ha detto ai giornalisti, dopo la riunione, il mediatore della Chiesa cattolica, il sacerdote Eusebio Muñoz. Il dialogo ha come sede la Casa di Esercizi spirituali Monte Alberna nella capitale di Panama, e vede la partecipazione dei lavoratori e dei medici in sciopero, delle autorità sanitarie e della Chiesa cattolica. Padre Muñoz ha riferito che le parti cercano di presentare proposte sul primo punto del dialogo, vale a dire sulle ritorsioni contro chi ha scioperato. “L'aspirazione della Chiesa è che possiamo risolvere questo punto urgente per ottenere l’atteso ripristino dei servizi sanitari negli ospedali” ha detto padre Muñoz. Dal 14 maggio il sistema ospedaliero del Fondo di previdenza sociale e il Ministero della Salute sono semi-paralizzati da uno sciopero organizzato a turni per chiedere il rispetto dei diritti sindacali, migliori condizioni di lavoro (compresi mezzi e forniture per la cura dei pazienti) e per gli altri servizi. (R.P.)
Malta: lettera pastorale di mons. Grech sul ruolo della famiglia
◊ Rafforzare il ruolo della famiglia nella società. È quanto chiede mons. Mario Grech, vescovo di Gozo, nella lettera pastorale dedicata alla famiglia e diffusa ieri per presentare l’Incontro mondiale delle famiglie che si terrà a fine mese a Milano. Nella lettera dal titolo “Strengthening the family”, il vescovo tocca molte questioni di attualità tra cui la recente introduzione del divorzio nella legislazione di Malta (decretata un anno fa per referendum). Proprio a questo proposito il presule scrive: “A Malta, in questi ultimi anni, si sono lentamente ma inesorabilmente seminati dubbi su quello che rappresenta la famiglia, la sua missione e il suo ruolo nella società. La verità circa la natura e l‘identità della famiglia è divenuta superflua. Molto è stato detto e fatto in modo efficace per indebolire la famiglia come cellula fondamentale della società. L‘introduzione del divorzio nella legislazione sul matrimonio a Malta è il caso più eclatante. Ma non è l‘unico”. Ciò che preoccupa il presule è la diffusione di una “mentalità individualista” in cui “i ‘diritti’ dell‘individuo hanno messo in ombra i ‘diritti’ della famiglia. In un contesto simile, è indispensabile che la famiglia riacquisti il suo status di istituzione”. Da qui l’appello del vescovo affiché le famiglie si uniscano in associazione. Nella lettera vengono elencate anche le questioni che richiedono un intervento: “Prima di tutto - scrive mons. Grech - è essenziale avere una chiara e non ambigua definizione della famiglia. Per famiglia noi intendiamo una società naturale di persone costruita su una relazione tra uomo e donna, fondata sull’indissolubile vincolo coniugale”. “Ciò significa - prosegue il vescovo - che la ‘famiglia’ non può mai essere usata per indicare un mero riconoscimento giuridico delle persone che vivono sotto lo stesso tetto o di accordi analoghi. Dal momento che la famiglia è l‘unità primaria e indispensabile della società, ne consegue che alla famiglia debba essere debitamente accordato uno status privilegiato da parte dello Stato. Nessun altro tipo di relazione tra le persone - insiste il vescovo - deve essere identificato con la famiglia”. Nella lettera il presule parla anche della famiglia come “il santuario in cui è concepita la vita umana e matura”. Da qui “il rispetto assoluto nei confronti della vita umana dal suo inizio al suo termine naturale” e un no deciso all’aborto e all’eutanasia. La lettera si conclude con un appello alle famiglie perché non rimangano nell’“ombra” ed intervengano “nella sfera pubblica come protagonisti per fare sentire la propria voce e difendere la famiglia. È indispensabile che la famiglia sia riconosciuta come soggetto e interlocutore in modo che, in un continuo dialogo con lo Stato, contribuisca al consolidamento del bene comune”. (R.P.)
Campagna di Medici con l’Africa Cuamm contro la mortalità nel parto
◊ Promuovere il diritto delle mamme africane a un parto gratuito e sicuro. È l’obiettivo dell’iniziativa “Prima le mamme e i bambini”, dei volontari di Medici con l’Africa Cuamm, da oggi fino a domenica nelle piazze italiane, per rafforzare la solidarietà e l’impegno nei confronti di un continente ancora in difficoltà. L’occasione, riferisce l’agenzia Misna, è la Giornata Mondiale per l’Africa che ricorre venerdì, nel 49° anniversario della nascita dell’organizzazione dell’Unione Africana. Secondo le stime di quest’ultima, in Italia per ogni 100mila bambini che nascono muoiono 12 mamme; in Sud Sudan, i decessi sono 2054, circa 170 volte di più. Saranno decine i punti informativi nelle piazze, cui ci si potrà rivolgere per aderire alla Campagna di aiuti e partecipare al concorso fotografico che consente di vincere una visita ad uno dei progetti di Medici con l’Africa Cuamm. L’Organizzazione non governativa è stata fondata nel 1950 ed è oggi presente in Angola, Etiopia, Mozambico, Sudan, Tanzania, Uganda e Sierra Leone. (G.M.)
Padre Virginio Rotondi, "l’uomo del Sì" nel 100.mo della nascita
◊ "L’uomo del Sì all’amore di Dio". Con queste parole il Movimento Oasi ricorderà domani, martedì 22 maggio, i 100 anni dalla nascita del suo fondatore, il gesuita padre Virginio Rotondi. La festa si svolgerà presso la Cappella “Maria, Ancilla Domini”, dove riposano le sue spoglie mortali, presso la sede del Movimento sulla via dei Laghi, vicino Roma. Sarà una giornata di gioia, scrivono il Movimento Oasi e l’Istituto secolare “Ancilla Domini” da lui fondati, che si aprirà con la concelebrazione di una Santa Messa, presieduta dal vescovo Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo, delegato al Pontificio Consiglio della Cultura. E proseguirà con alcune testimonianze a ricordo di padre Rotondi, educatore, evangelizzatore e grande comunicatore, la cui attività apostolica si sviluppò per circa 40 anni, a partire dagli anni cinquanta fino alla sua morte, avvenuta il 13 aprile 1990. Indelebile il ricordo che ha lasciato nella memoria e nella vita spirituale di migliaia di giovani, a cui dedicò gran parte della sua vita, non solo in Italia, ma anche in Brasile, Spagna, Portogallo e molte altre nazioni. Semplice, ma esigente la spiritualità proposta dal Padre, contraddistinta da una generosità assoluta, al servizio per amore di Dio e dei fratelli. Nel segno di un "Sì a Dio, sempre, comunque e dovunque, come Maria". Padre Rotondi raggiunse una grande notorietà in Italia grazie anche alla sua intensa attività di comunicatore, giornalista e scrittore. Molti ricordano probabilmente le rubriche radiofoniche sulla Rai: “Tre minuti per te” e “Ascolta, si fa sera”, una rubrica ecumenica che negli anni ’70 padre Rotondi coordinò con successo, insieme al pastore metodista Mario Sbaffi ed al rabbino Elio Toaff. O la sua rubrica settimanale sul quotidiano romano Il Tempo, intitolata “Così, semplicemente”, in un ideale colloquio con i lettori a cui rimase fedele per 17 anni fino alla fine della sua vita. In uno dei suoi scritti si legge: “Il mondo si sta raffreddando, stretto dal ghiaccio del proprio egoismo; chiunque tu sia, qualunque sia il cammino per il quale il Signore vorrà farti passare, passa dando un poco di amore". (P.C.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 142