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Sommario del 19/05/2012
Benedetto XVI ai laici cattolici: seguite logica del dono, economia e politica bisognose di gratuità
◊ Andare avanti con l’impegno “personale e associativo, testimoniando il Vangelo del dono e della gratuità”. Questa l’esortazione di Benedetto XVI ai circa ottomila membri della Federazione organismi cristiani servizio internazionale volontario (Focsiv), del Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic) e del Movimento cristiano lavoratori (Mcl), incontrati stamani in Aula Paolo VI. Il servizio di Giada Aquilino:
Un incoraggiamento “a proseguire con costanza nell’impegno in favore dei fratelli”, evidenziando “le ingiustizie” e testimoniando “i valori su cui si fonda la dignità della persona”, promuovendo “forme di solidarietà che favoriscano il bene comune”. Questo il senso delle parole di Benedetto XVI alle tre realtà ecclesiali incontrate stamani in Vaticano: il Meic che, ha ricordato il Papa, quest’anno festeggia gli 80 anni di fondazione - essendo nato nel '32-'33 con il nome di Movimento laureati di Azione Cattolica - e che attraverso l’impegno culturale e formativo vuole contribuire all’educazione di cristiani laici maturi che partecipino al bene comune della società. E poi la Focsiv, la più grande Federazione di organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana presente in Italia - con 65 organizzazioni e oltre 60 mila persone tra aderenti e sostenitori - che quest’anno celebra il 40.mo anniversario di fondazione. Stesso traguardo anche per il Movimento Cristiano Lavoratori, associazione a carattere sociale, di solidarietà e volontariato, che promuove l'affermazione dei principi cristiani nella vita, nella cultura, negli ordinamenti, nella legislazione. Tre importanti associazioni ecclesiali, ha spiegato il Pontefice, accomunate storicamente dalla “sapiente opera del Servo di Dio Paolo VI”, a cui va il “ricordo riconoscente per l’impulso dato”.
Gli anniversari - ha aggiunto il Santo Padre - sono “occasioni propizie per ripensare al proprio carisma con gratitudine e anche con sguardo critico, attento alle origini storiche e ai nuovi segni dei tempi”:
“Cultura, volontariato e lavoro costituiscono un trinomio indissolubile dell’impegno quotidiano del laicato cattolico, che intende rendere incisiva l’appartenenza a Cristo e alla Chiesa, tanto nell’ambito privato quanto nella sfera pubblica della società. Il fedele laico si mette propriamente in gioco quando tocca uno o più di questi ambiti e, nel servizio culturale, nell’azione solidale con chi è nel bisogno e nel lavoro, si sforza di promuovere la dignità umana”.
Tre ambiti con un comune denominatore che, per il Papa, è il “dono di sé”. L’impegno culturale, soprattutto quello scolastico ed universitario, “teso alla formazione delle future generazioni”, va oltre la trasmissione di nozioni tecniche e teoriche: implica infatti “il dono di sé con la parola e con l’esempio”. Il volontariato, “risorsa insostituibile della società”, comporta “non tanto il dare delle cose, ma il dare se stessi in aiuto concreto verso i più bisognosi”. Infine il lavoro, che “non è solo strumento di profitto individuale, ma momento in cui esprimere le proprie capacità spendendosi, con spirito di servizio, nell’attività professionale, sia essa di tipo operaio, agricolo, scientifico o di altro genere”.
Ma per i membri dei movimenti, ha sottolineato il Papa, tale missione ha una connotazione particolare, “quella cristiana”:
“La vostra azione deve essere animata dalla carità; ciò significa imparare a vedere con gli occhi di Cristo e dare all’altro ben più delle cose necessarie esternamente, donargli lo sguardo, il gesto d’amore di cui ha bisogno. Questo nasce dall’amore che proviene da Dio, il quale ci ha amati per primo, nasce dall’intimo incontro con Lui”.
Dunque, è la logica del dono, “una logica spesso bistrattata”, che - ha detto il Pontefice ai presenti in Aula Paolo VI - “voi valorizzate e testimoniate”:
“Donare il proprio tempo, le proprie abilità e competenze, la propria istruzione, la propria professionalità; in una parola, donare attenzione all’altro, senza aspettare contraccambio in questo mondo. E vi ringrazio per questa grande testimonianza. Così facendo non solo si fa il bene dell’altro, ma si scopre la felicità profonda, secondo la logica di Cristo, che ha donato tutto se stesso”.
Un “amore gratuito”, quello citato da Benedetto XVI, di cui si fa esperienza innanzitutto in famiglia:
“Quando ciò non accade, essa si snatura, entra in crisi. Quanto viene vissuto in famiglia, il donarsi senza riserve per il bene dell’altro è un momento educativo fondamentale per imparare a vivere da cristiani anche il rapporto con la cultura, il volontariato e il lavoro”.
Un concetto affrontato nell’Enciclica Caritas in veritate, in cui il Papa ha voluto “estendere il modello familiare della logica della gratuità e del dono a una dimensione universale. La sola giustizia - ha proseguito - non è infatti sufficiente. Perché vi sia vera giustizia è necessario quel di più che solo la gratuità e la solidarietà possono dare”. Senza la gratuità “non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia”. Ma la gratuità, ha precisato, “non si acquista sul mercato, né si può prescriverla per legge”:
“E, tuttavia, sia l’economia, sia la politica hanno bisogno della gratuità, di persone capaci di dono reciproco”.
Il Santo Padre ha infine evidenziato l’affermazione da parte delle tre realtà ecclesiali “della necessità di continuare a camminare sulla via del Vangelo, nella fedeltà alla dottrina sociale della Chiesa e nella lealtà verso i Pastori”. Il Movimento ecclesiale di impegno culturale, ha spiegato, “è chiamato ad un rinnovato servizio nel mondo della cultura, segnato da sfide urgenti e complesse, per la diffusione dell’umanesimo cristiano: ragione e fede - ha aggiunto - sono alleate nel cammino verso la Verità”. La Federazione organismi cristiani di servizio internazionale volontario “continui a confidare soprattutto nella forza della carità che viene da Dio portando avanti il suo impegno contro ogni forma di povertà e di esclusione, in favore delle popolazioni più svantaggiate”. Il Movimento cristiano lavoratori “sappia portare luce e speranza cristiana nel mondo del lavoro, per conseguire anche una sempre maggiore giustizia sociale. Inoltre - ha concluso - guardi sempre al mondo giovanile, che oggi più che mai cerca vie di impegno che sappiano coniugare idealità e concretezza”.
In vista dell’udienza del loro incontro di stamattina con Benedetto XVI, la collega della nostra redazione in lingua spagnola, Patricia Ynestroza, ha intervistato i responsabili della Focsiv, del Mec del dell’Mcl. Al presidente della Focsiv, Gianfranco Cattai, ha chiesto anzitutto di descrivere i propri sentimenti alla vigilia dell’udienza con il Papa:
R. – L’emozione è quella di poter ricordare, insieme con il Papa, che proprio 40 anni fa, il 19 maggio, i nostri padri fondatori hanno avviato quest’esperienza sulle onde del Concilio Vaticano II. Hanno quindi messo in piedi i nostri organismi, quelli pionieri nella solidarietà internazionale, e costituito la Federazione che ora il Papa – che, peraltro, ha lanciato dei messaggi formidabili rispetto alla Dottrina sociale della Chiesa, attinenti allo sviluppo dei Paesi più poveri, e mi riferisco alla ‘Caritas in veritate’ – riceve. Ed è veramente un grande piacere e ci dà davvero una grande soddisfazione.
D. – Ci può parlare di quello che è l’obiettivo principale della Focsiv?
R. – La Focsiv è una federazione che mette insieme 65 associazioni, che hanno radici nelle varie parti dell’Italia, da Catania fino a Trieste. “Hanno radici” significa che sono conosciute dalle comunità locali, sono espressione delle comunità locali come anche delle Chiese locali. Sono impegnate in 80 Paesi del Sud del mondo in quelli che noi definiamo progetti o relazioni di partenariato di solidarietà, per dare delle risposte di speranza, delle risposte ai diritti ed ai bisogni essenziali della vita, per camminare insieme con uomini e donne di buona volontà di queste realtà per darsi una risposta di futuro.
D. – Carlo Costalli, presidente del Movimento dei cristiani lavoratori: quali aspettative nutre dal vostro incontro con Benedetto XVI?
R. – Siamo particolarmente grati per questo dono del Santo Padre. Il fatto che Sua Santità voglia incontrarci è un’occasione eccezionale, proprio per i nostri 40 anni. E’ un motivo di speranza e di riflessione per quello che abbiamo fatto.
D. – Ci può parlare dell’obiettivo del Movimento?
R. – Sì. Si tratta di un movimento d’ispirazione cristiana, particolarmente attento al mondo del lavoro. Il nostro agire è sempre legato alla ricerca di un’ispirazione interna alla Dottrina sociale della Chiesa. Lavoriamo nel campo della formazione, dei servizi alla persona, della preparazione sindacale. Lavoriamo per preparare quadri dirigenti per impegnarsi nel sociale e nel politico, partendo da una forte ispirazione cristiana che, come ho detto, fa riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa.
D. – Carlo Cirotto, presidente del Movimento ecclesiale per l’impegno culturale. Cosa le suggerisce questo incontro con il Pontefice?
R. – E’ una grande emozione. Il nostro Movimento, quest’anno, compie 80 anni. E’ stato fondato nel 1932, a Cagliari, ed è stato benemerito sia nella vita della Chiesa e sia in quella della nazione.
D. – Qual è l’obiettivo del vostro Movimento, pensando anche ai vostri 40 anni?
R. – L’obiettivo è quello già indicato nel nome, ossia l’impegno di una carità intellettuale: nel senso di mettersi a servizio della cultura per poterla fermentare di Vangelo. Questo Movimento è composto da intellettuali, da gente che si interessa quantomeno di cultura, ed è interessata ad elaborare la cultura per scopi evangelici.
Altre udienze, rinunce e nomine. Sollevato dalla diocesi di Trapani mons. Miccicchè
◊ Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, un gruppo di presuli della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti d'America (di Riti orientali). Nel pomeriggio è in programma l’udienza con il cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi. Ieri, il Pontefice ha ricevuto mons. Mieczysław Mokryzcki, Arcivescovo di Lviv dei Latini.
In Angola, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Malanje in Angola, presentata per raggiunti limiti di età da S.E. Mons. Luis María Pérez de Onraita Aguirre. Al suo posto, il Papa ha nominato Mons. Benedito Roberto, C.S.Sp., finora Vescovo di Sumbe (Angola).
Sempre in Angola, il Papa ha nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Luanda il Rev.do P. Zeferino Zeca Martins, S.V.D., finora Superiore Provinciale della Società del Divin Verbo e Professore di Diritto all’Università Cattolica di Luanda, assegnandogli la sede titolare vescovile di Tanaramusa. Il Rev. do P. Zeferino Zeca Martins, S.V.D., è nato l’8 marzo 1966, a Cacolo, provincia di Lunda Norte, diocesi di Dundo. È entrato nella Congregazione del Verbo Divino nel 1988. Ha svolto gli studi di Filosofia nel Seminario Maggiore a Luanda e quelli teologici presso l’Università di Comillas in Spagna, dove ha conseguito anche la Licenza in Diritto Civile. Ha emesso la sua professione perpetua a Madrid il 1º ottobre 1994 ed è stato ordinato sacerdote il 6 agosto 1995. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Cappellano degli immigrati a Madrid in Spagna; Rettore della comunità degli alunni di Teologia e Superiore religioso nel distretto di Madrid; Rettore della Casa centrale della sua Congregazione in Angola; Superiore Provinciale e Professore di Diritto all’Università Cattolica di Luanda.
In Italia, il Pontefice ha sollevato dalla cura pastorale della diocesi di Trapani S.E. Mons. Francesco Miccichè ed ha nominato Amministratore Apostolico ad nutum Sanctae Sedis della medesima diocesi S.E. Mons. Alessandro Plotti, Arcivescovo emerito di Pisa. S.E. Mons. Alessandro Plotti è nato a Bologna l’8 agosto 1932. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdote il 25 luglio 1959, dopo aver conseguito la Laurea in Teologia Dogmatica presso l’Università Gregoriana e in Teologia Pastorale all’Università Lateranense. Nell’ottobre 1960 è stato nominato Vice Parroco della parrocchia romana dei Ss. Urbano e Lorenzo a Prima Porta e ha svolto tale incarico fino al novembre del 1961, quando è stato chiamato come Assistente Ecclesiastico degli studenti alla Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università Cattolica del Sacro Cuore in Roma. Nel 1972 è stato nominato Vicario Economo della parrocchia di Santa Lucia, di cui è diventato Parroco il 15 novembre 1973, assumendo inoltre l’incarico di Prefetto della XXXII prefettura nel settore ovest del Vicariato di Roma. Il 23 dicembre 1980 è stato eletto alla Chiesa titolare di Vannida con l’ufficio di Vescovo Ausiliare di Roma. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 6 gennaio 1981. Il 7 giugno 1986 è stato promosso alla guida dell’arcidiocesi di Pisa e vi ha rinunciato il 2 febbraio 2008.
◊ "La nuova pubblicazione di documenti della Santa Sede e di documenti privati del Santo Padre non si presenta più come una discutibile – e obiettivamente diffamatoria - iniziativa giornalistica, ma assume chiaramente i caratteri di un atto criminoso". Lo afferma in una nota la Sala Stampa Vaticana, che prosegue: "Il Santo Padre, ma anche diversi dei suoi Collaboratori e dei mittenti di messaggi a Lui diretti, hanno visto violati i loro diritti personali di riservatezza e di libertà di corrispondenza".
Dunque, afferma ancora la nota, "la Santa Sede continuerà ad approfondire i diversi risvolti di questi atti di violazione della privacy e della dignità del Santo Padre – come persona e come suprema Autorità della Chiesa e dello Stato della Città del Vaticano – e compirà i passi opportuni, affinché gli attori del furto, della ricettazione e della divulgazione di notizie segrete, nonché dell’uso anche commerciale di documenti privati, illegittimamente appresi e detenuti, rispondano dei loro atti davanti alla giustizia. Se necessario - conclude - chiederà a tal fine la collaborazione internazionale".
Concluso il Cortile dei Gentili a Barcellona. Interviste con i cardinali Ravasi e Sistach
◊ Un’eccezionale cerimonia para-liturgica nella Sagrada Familia, composta da letture, commenti, teologia e poesia, ma soprattutto del dialogo musicale, ha caratterizzato ieri sera la chiusura del "Cortile dei Gentili" di Barcellona dedicato al tema “Arte, bellezza e trascendenza”. Anche quest’incontro della struttura vaticana dedicata al dialogo con i non credenti era promosso dal Pontificio Consiglio della cultura. Dal capoluogo catalano il nostro inviato, Fabio Colagrande:
(cori dalla Sagrada)
L’architettura come “pentagramma di armonie”. Questa definizione, attribuita a Goethe, ha trovato conferma nella spettacolare serata conclusiva del Cortile catalano, celebrata in una Sagrada Familia - “segno visibile del Dio invisibile” - colma in ogni ordine di posto. In scena va quel dialogo tra Parola, teologia, poesia e musica che racchiude il senso di un incontro dedicato al confronto fra diversamente credenti sullo sfondo della bellezza come via al trascendente. “Il ritratto che il Vangelo ci offre di Gesù è quello di un uomo in dialogo” chiarisce subito il card. Ravasi, esplicitando il Cortile come "spazio aperto". Ma è il teologo Santiago del Cura a denunciare “l’amputazione estetica del pensiero teologico”, troppo sbilanciato sul versante cognitivo. Poi Armand Puig i Tarrech, massimo conoscitore del capolavoro di Gaudí, descrive la Basilica come l’animo cristiano del popolo catalano, plasmato in pietra e offerto a tutti, in un gesto precursore dello stesso Cortile. E dopo l’esibizione dei poeti si apre il "gaudio stereofonico": 615 coristi, distribuiti in corrispondenza delle quattro facciate della chiesa, intrecciano le loro voci tra le volte a parabola della Sagrada, confermando l’idea di Benedetto XVI che la musica sia un linguaggio universale della bellezza, capace di unire fra loro gli uomini di buona volontà.
Dunque, nella Basilica, che si fa mappa di un mondo alla caccia delle grandi risposte, l’uomo cerca nel bello, che rimanda al buono, una soluzione a una crisi antropologica, di valori, sfociata nella crisi economica. Fuori, nella città catalana, resta il ricordo di un evento che ha stimolato e provocato, e che si conclude in nome della musica, in un incrocio di voci giovani e adulte che, intonando l’Alleluia di Händel, restituiscono l’armonia delle differenze e dunque la bellezza dell’unità e del dialogo.
Al termine della celebrazione il nostro inviato, Fabio Colagrande, ha avvicinato uno dei presenti, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, chiedendogli quale significato abbiano avuto le due giornate a Barcellona, concluse con un'invocazione di dialogo tra musica e trascendente:
R. - Essendo il tema quello della bellezza, l’aver concluso, attraverso questa sorta di esperanto universale che è la musica ha fatto sì che si scoprisse il significato ultimo e simbolico del Cortile dei Gentili: quello, cioè, di fare in modo che le voci diverse potessero, incontrandosi, dare un messaggio comune e ascoltare un’eco che viene, forse, dall’infinito e dall’eterno, che naturalmente i credenti riescono a decifrare con un nome e invece gli altri riescono ad interpretare come una ricerca che non ha mai fine.
D. - L’intreccio tra l’architettura sacra con quella sonora dei cori cosa le ha suggerito?
R. - Sicuramente sappiamo che nel Medioevo, ad esempio, c’erano persino delle cattedrali o dei chiostri che venivano costruiti su una sorta di "alfabeto" musicale, cioè sulla scala musicale. C’era quindi, già spontaneamente, l’intreccio tra la musica che è voce, che tocca l’orecchio, e dall’altra parte la musica che diventa, invece, pietra e che tocca lo sguardo. Qui, abbiamo avuto questa possibilità in un intreccio che poi, alla fine, è un intreccio di armonia e di grandezza e, ancora una volta, di fede e di arte.
D. - Qual è il messaggio di queste due giornate alla Barcellona secolarizzata e, potremmo dire, al nostro mondo secolarizzato?
R. - Nell’interno di un tessuto culturale, in cui domina sicuramente il colore che non è quello della religione, della spiritualità o della ricerca interiore, è di certo l’aver come inflitto una sorta di spina nel fianco. La spina crea certamente un po’ di fastidio e di inquietudine però, al tempo stesso, come accade per la grande arte, crea un’inquietudine che è una tensione verso la pienezza. E noi speriamo che questo sguardo verso l’alto, che introduce certamente il Cortile dei Gentili, possa essere idealmente uno sguardo che, da domani, si levi verso l’alto, verso l’altro, verso l’infinito e l’eterno anche qui, in una città secolare come Barcellona e come lo sono tante nostre metropoli.
D. - La ferita che si fa "feritoia", che lei ha descritto in queste giornate a Barcellona, è un tema che ha accomunato un po’ le diverse sessioni di questo Cortile dei Gentili catalano. Cosa significa?
R. - Significa che, da un lato, l’arte è ferita e quindi, come tale, non lascia dormire nell’indifferenza o nel grigio. Dall’altra parte, però, questa ferita non è aperta sul vuoto ma è aperta sul cuore dell’uomo, e i credenti dicono anche sul cuore di Dio. Si tratta, cioè, di uno spiraglio aperto verso qualche domanda più profonda e più radicale. Diciamolo con un termine essenziale: è uno spiraglio verso la domanda sul senso della vita.
Anche l'arcivescovo di Barcellona, il cardinale Lluís Martínez Sistach, al microfono di Fabio Colagrande, sottolinea l'importanza di dare risalto nella vita quotidiana alla bellezza, che avvicina l'anima a Dio:
R. – Io credo sia molto necessario, perché la vita è difficile e con la crisi economica lo è ancora di più. Ma la bellezza porta tante cose, e soprattutto porta anche a Dio. In questo momento di necessità, abbiamo bisogno di tante cose, ma abbiamo ancora più bisogno di Dio.
D. – Qual è il senso di quanto accaduto alla Sagrada Familia?
R. – Io penso sia accaduto quello che Gaudí pensava e desiderava quando progettava questo tempio, con la gloria a Dio, con la bellezza del canto della Parola… Si è parlato di Dio, si è parlato della bellezza, si è parlato dell’uomo e della donna. Si è parlato di tante cose importanti che contraddistinguono la nostra vita. Ringraziamo Dio per questo dono che ci ha fatto Antonio Gaudí, per questa Basilica e per il Cortile dei Gentili.
Libertà di coscienza e di religione: l'editoriale di padre Lombardi
◊ La libertà di religione palesemente impedita da leggi e la libertà di religione sottilmente osteggiata dal relativismo. Sono le due facce di una medaglia che coinvolge milioni di credenti nel mondo, in massima parte cristiani. Tra le più recenti prese di posizione in difesa della libertà religiosa vi è quella dell’episcopato canadese, che lega il diritto a professare una fede a quello della libertà di coscienza. Lo sottolinea padre Federico Lombardi nel suo editoriale per “Octava dies”, il settimanale d’informazione del Centro Televisivo Vaticano:
I vescovi canadesi hanno pubblicato un’importante lettera pastorale “sulla libertà di coscienza e di religione”. E’ un altro richiamo, di valore non solo locale, all’importanza di temi che sono diventati cruciali per la testimonianza e l’impegno dei credenti e della comunità della Chiesa nel nostro tempo. Sappiamo bene quanto il Papa li abbia richiamati e approfonditi nei suoi interventi, come i messaggi per la Giornata della Pace e i discorsi al Corpo diplomatico.
I versanti principali della questione sono due. Anzitutto quello della violazione esplicita dei diritti. Uno studio recente ha messo in luce che “più del 70% dei Paesi del mondo impongono restrizioni giuridiche o amministrative che in pratica annullano i diritti dei credenti individuali o di certi gruppi religiosi” (The Pew Forum on Religion and Public Life). Un altro rapporto afferma che “oggi più del 75% delle persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani” (Aiuto alla Chiesa che soffre). Ma vi è anche il versante delle insidie più sottili, dovute a un relativismo che diventa così aggressivo da dirigersi – come ricordava il Papa – “contro le persone che dicono di sapere dove si trova la verità o il senso della vita”. Questo secondo versante è sempre più sensibile nelle società occidentali e non è un caso che, oltre all’intenso dibattito oggi in corso negli Stati Uniti soprattutto nel campo della sanità, si aggiunga ora il documento canadese, che affronta il tema con equilibrio, profondità e larghezza di orizzonti. Mira a riaffermare il diritto della religione a intervenire nella sfera pubblica, a preservare le corrette relazioni fra Chiesa e Stato, a formare le coscienze alla verità oggettiva, a proteggere il diritto all’obiezione di coscienza.
I credenti e la Chiesa non cercano altro che il bene comune, devono poterlo fare senza che la loro coscienza e la loro fede subisca violenza. Questa è la posta in gioco, che nel nostro tempo deve fare i conti con situazioni culturali e sociali diverse e nuove. Il Papa ci aiuta a lavorare in profondità, in dialogo aperto e costruttivo con il nostro tempo. I suoi grandi discorsi alla Westminster Hall di Londra e al Parlamento di Berlino ne sono esempi luminosi. Continuiamo su questa strada.
Padre Rupnik: l’arte al servizio della nuova evangelizzazione
◊ Nei giorni scorsi, Benedetto XVI ha nominato l’artista e teologo gesuita padre Marko Ivan Rupnik membro del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. Un’indicazione di quanto la cultura sia importante per il rinnovato impegno di annuncio del Vangelo. Al microfono di Alessandro Gisotti, padre Rupnik si sofferma proprio sull’arte al servizio della nuova evangelizzazione:
R. - L’arte - più di altre espressioni - esprime il nesso tra la vita e la creatività umana. Oggi, io penso, che la questione - soprattutto in Europa - è veramente una questione della vita: a livello intellettuale, della ragione, del concetto, è evidente che la filosofia che abbiamo elaborato negli ultimi secoli, non è stata quella che ha portato alla vita vera e che ha custodito la vita. Certamente, l’arte esprime molto più incisivamente il rapporto tra l’uomo e la vita; anche oggi l’arte penso che esprima un dramma, ma proprio per questo motivo è importante che si cominci di nuovo a cercare un’arte che possa esprimere quella vita che i cristiani ricevono nel momento del Battesimo. Io penso che, se si vuole fare un’arte spirituale come gli antichi, bisogna prima cominciare una vita spirituale.
D. - Per secoli e secoli, la Chiesa ha evangelizzato attraverso l’arte: forse questa via della bellezza - almeno nella percezione comune - si è un po’ persa ultimamente?
R. - E’ evidente che la bellezza si è persa attraverso diversi romanticismi, idealismi: la bellezza è l’amore realizzato, e l’amore realizzato è il Cristo pasquale! Perciò la bellezza, in qualche modo, è il dramma della vita che però si risolve nella Risurrezione ed addirittura attinge nell’eskaton, in una prospettiva assolutamente vittoriosa della luce. Ma penso che bisogna - anche oggi, come era abbastanza familiare nel primo millennio - fare una distinzione tra l’arte come tale - che dovrebbe suscitare ammirazione - e l’arte che suscita devozione, venerazione, ovvero, l’arte che si trova nell’ambito della liturgia, nell’ambito della celebrazione. Allora, penso che noi possiamo cominciare un dialogo con gli artisti e cominciare a tessere uno spazio artistico, che non è detto che deve essere esattamente la pala dell’altare; abbiamo tanti spazi della Chiesa che sono spazi pastorali: cortili, aule di catechismo che sembrano scuole… invece noi dobbiamo far vedere che la nostra fede non può essere ridotta alla scuola. E’ la vita!
D. - I giovani e la nuova evangelizzazione: oggi forse i ragazzi sono più attratti da un film o da un videoclip, piuttosto che da una pittura o da una scultura ovvero dal grande, immenso, patrimonio di ricchezza culturale della Chiesa…
R. - Noi dobbiamo preparaci per un tempo che non è lontano, in cui assisteremo ad un totale rigetto dell’immagine digitale, dell’immagine televisiva, quella dei film, perché questa immagine sta per raggiungere una tale saturazione, che la gente non ce la farà più. Allora, noi dobbiamo aiutare i giovani a dirigersi verso un’immagine spirituale, cioè un’immagine che direttamente comunica, o indica, o mette in relazione con Dio. Queste immagini odierne sono praticamente tutte immagini sensuali, con un forte accento dei sensi, della sensualità, della superficie dell’immagine e non della comunicazione di qualcosa che va al di là dell’immagine. Ho visto in diverse famiglie cristiane, serie, questa cosa che mi ha consolato molto: accanto ad Internet, al computer, in stretta vicinanza, c’è anche qualche immagine veramente spirituale.
D. - L’Anno della fede si avvicina sempre più: come l’arte può anche aiutare questa importante, grande, iniziativa voluta così fortemente da Benedetto XVI…
R. - Noi ci siamo abituati ad una fede molto “ideal pensata”, quasi come se tutto si racchiudesse dentro una dottrina. Invece, la fede è in primo luogo un atteggiamento relazionale: c’è una relazione reale, personale, con un Dio personale. Allora, non si può relazionare solo con il cervello. Anzi, con la ragione non si creano le relazioni, i concetti non riescono a trasmettere né la vita né l’amore; mentre l’arte, che coinvolge la materia, che coinvolge l’immagine, il corpo, aiuta a comprendere che si tratta di una realtà integra. Se entrerà di nuovo un po’ l’arte, già purificata, già più spirituale nelle Chiese, entreranno i fedeli a vedere ciò che stiamo celebrando.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Economia e politica hanno bisogno di gratuità: Benedetto XVI a tre associazioni di laicato cattolico.
In prima pagina, il tragico attentato presso una scuola di Brindisi.
Con Aristotele contro il relativismo: in cultura, Antonio Russo su come Cornelio Fabro si è confrontato con il pensiero di Franz Brentano.
Per il sud della Francia inseguendo la luce: Sandro Barbagallo su come Bonnard divenne un maestro per l'arte contemporanea.
Nel ripostiglio di Guccini: Francesco Maria Valiante sul "Dizionario delle cose perdute" del cantautore romagnolo (la laurea ad honorem conferitagli dall'American University of Rome).
Un articolo di Silvia Guidi dal titolo "Rusteghi belli e infedeli": si chiude al Teatro Quirino di Roma una fortunata tournée goldoniana.
Un articolo di Giuseppe Fiorentino dal titolo "Frastuono gioioso": "Our Sunday Visitor" alla scoperta della musica leggera d'ispirazione cattolica.
◊ Sarebbe stato attivato con un telecomando a distanza l’ordigno che questa mattina è esploso a Brindisi davanti l’istituto professionale per la moda Morvillo-Falcone uccidendo una ragazza e ferendone gravemente un’altra, ora in fin di vita. 6 i feriti. La bomba, costituita da tre bombole a gpl, si trovava in un cassonetto. Ancora ignota la matrice. Sgomento e angoscia tra gli abitanti della città. Unanime la condanna del mondo politico. Il presidente Napolitano fa appello alla vigilanza e al fermo e concorde contrasto nei confronti di ogni focolaio di violenza eversiva. “Non daremo tregua agli attentatori” commenta il capo della polizia Manganelli. Paolo Ondarza:
L’Italia è sconvolta per un “atto contro la convivenza civile”, come lo definisce il presidente Napolitano. Un atto studiato per uccidere. L’ordigno, piazzato in un cassonetto di fronte all’istituto femminile Morvillo Falcone, è stato attivato alle otto di questa mattina quando le ragazze entravano a scuola. Sull’attentato l’ombra della Sacra Corona Unita: al vaglio degli inquirenti gli alibi di noti pregiudicati della zona. L’attentato contro la scuola dedicata al giudice Falcone e a sua moglie uccisi insieme alla scorta esattamente 20 anni fa dalla mafia, potrebbe essere legato ad una serie di episodi dei giorni scorsi come l’arresto di 16 persone in un’operazione della polizia contro la criminalità organizzata. La scuola aveva vinto inoltre un concorso sulla legalità e proprio oggi era previsto nel brindisino il passaggio della Carovana antimafia. “Coincidenze che fanno riflettere” – spiega il ministro della giustizia Severino – che parla di fatto anomalo. Il ministro dell’Interno Cancellieri riferirà martedì prossimo in Senato e intanto spiega “nessuna certezza sulle matrici dell’attentato”. “Mai una mente criminale – dice il governatore della Regione Puglia Vendola – aveva ordito in Italia una strage di ragazzini''. In tal senso dolore e preoccupazione sono espressi dall’Unicef: “le scuole – si legge in un comunicato- devono essere considerate aree di pace, protette e sicure. Sdegno dai sindacati che per mercoledì, anniversario dell’uccisione di Falcone, hanno organizzato fiaccolate in tutta Italia.
Al microfono di Francesca Sabatinelli, ecco ora la testimonianza di un testimone oculare dell’attentato, il giornalista Fabio Mollica del sito web “Brindisi Report.it”, giunto pochi istanti dopo sul luogo della tragedia:
R. – Io abito a cinquanta metri dalla scuola dell’attentato. Quando sono arrivato, praticamente dopo due minuti dalla doppia esplosione, c’erano le ragazze ancora per terra. C’erano pezzi e brandelli di vestiti fumanti, perché hanno preso fuoco. C’erano libri dappertutto, pezzi della cupola di plastica, del bidone, dentro cui erano state sistemate le due, forse tre, bombole. C’erano dappertutto i pezzi di queste bombole di gas che erano volate a 40-50 metri lontano dal punto in cui erano state sistemate… Una scena ovviamente bruttissima, sangue dappertutto…. Ti lascio immaginare le urla delle amiche e degli amici, dei professori, dei genitori che erano ancora lì.
D. – Si stanno facendo molte ipotesi, e certezze non ce ne sono. E’ un attentato dalle modalità strane: vengono colpiti dei ragazzi, degli adolescenti…
R. – E’ tutto molto strano, perché, anzitutto, la “Sacra Corona Unita”, che è la quarta mafia di Italia, da ormai 15-20 anni non è più quella di un tempo. Questo lo sa tutta Italia, lo sa tutto il mondo: si vive bene, c’è il turismo. La Puglia è completamente cambiata rispetto a quella che era un tempo. La seconda stranezza: l’attentato fatto con le bombole. La terza, perché una scuola? Non c’erano avvisaglie nel territorio. Era un periodo tranquillissimo, fatta eccezione per cose di poco conto avvenute, ma nulla che lasciasse prevedere qualcosa del genere. La mafia non ha mai colpito i ragazzini, le scuole. Non si era mai arrivati ad un livello del genere. Ecco perché tutto suona molto strano e francamente tutte le ipotesi – a mio avviso – restano aperte.
D. – Nella zona, negli ultimi giorni, ci sono state delle operazioni importanti della Polizia, che hanno portato all’arresto di molti esponenti della “Sacra Corona Unita”. Ci sono stati attentati intimidatori contro esponenti dell’Associazione antiracket…
R. – La settimana scorsa, la Polizia ha portato a termine un’operazione con 16 arresti. Noi qui, però, abbiamo vissuto momenti molto, molto peggiori, in cui le bombe del racket scoppiavano ogni giorno, in cui c’erano omicidi e guerre di mafia. Recentemente, è vero, in un paese in provincia di Brindisi - Mesagne - era stata incendiata l’auto del presidente dell’Associazione antiracket, però da lì a poter dire che le cose sono collegate, ce ne passa. C’è un’enormità in mezzo dall’incendio di un’auto di notte a un attentato di mattina, davanti ad una scuola. Ecco perché suona tutto molto strano e, secondo me, non bisogna correre con le ipotesi.
D. – Mollica, Brindisi è sconvolta, come reagisce?
R. – Brindisi è sconvolta, ma sta reagendo. Il sindaco ha già dichiarato il lutto cittadino per lunedì prossimo, pur non essendo la ragazza deceduta e l’altra in fin di vita di Brindisi, ma della provincia di Mesagne. Le associazioni dei commercianti hanno dichiarato che terranno abbassate le saracinesche e che terranno i negozi chiusi oggi pomeriggio e alle 18.30 ci sarà una manifestazione, nata quasi spontaneamente, in Piazza Vittoria. Voglio aggiungere che nella frazione di Tuturano, una frazione di Brindisi, alle 10 di questa mattina si sarebbe dovuta tenere una conferenza stampa della Carovana antimafia e domani la stessa Carovana antimafia si sarebbe spostata su Mesagne: sia a Tuturano che a Mesagne ci sono due immobili confiscati alla “Sacra Corona Unita”.
L'arcivescovo della città di Brindisi, Rocco Talucci, si è immediatamente recato in ospedale per portare conforto ai ragazzi vittime dell’attentato. Sul posto lo ha raggiunto telefonicamente Francesca Sabatinelli:
R. – Lo sgomento delle famiglie e della scuola è grande. Vi è una incredulità che si tocca con mano, ma purtroppo c’è anche un’evidenza che si vede e si tocca. Il mio sguardo triste è quello posato sulla vittima, sull’unica vittima. Ho avuto modo di entrare, con il permesso della polizia, nella camera mortuaria: una ragazza distesa sul lettino di morte, annerita dall’incendio, dice da un lato l’impotenza e dall’altro un vigore vile di una violenza premeditata che non tocca le cose, né tocca le persone così, senza volerlo, ma è un piano premeditato, a un’ora di ingresso scolastico, gettando panico tra migliaia di giovani ai quali noi stiamo vicini come educatori. Quindi, una grande vigliaccata che avvilisce. Anche le forze dell’ordine sono al lavoro; gli insegnanti sono sbigottiti. E’ un abbattimento che non ha confronti. Noi dovremmo saper dire ancora oggi ai giovani di avere speranza in una città che nel passato è stata provata, ma che oggi si sta recuperando. Questo episodio, questa tragedia è stata voluta e premeditata.
D. – Eccellenza, lei alla cittadinanza ha chiesto una reazione democratica e civile, perché non ci si può far contagiare dal clima criminoso …
R. – Intanto, io ho rivolto un invito agli autori perché abbiano, nel vedere una giovane morta e altri feriti, un forte pentimento, perché possano recuperare una dignità, per quel residuo che possono avere. Per il resto, dico a tutti i giovani: siate uniti intorno ai valori, non fatevi scoraggiare da violenze che non possono mai costruire. E dico anche al mondo degli adulti: diamo vicinanza e forza e coraggio ai nostri giovani, perché recriminazioni, vendette e atti inconsulti non hanno senso. Dovremo sapere essere all’altezza del compito, anche in questo momento così grave. Oggi, conto di fare visita anche alla famiglia della vittima, della ragazza morta, per poter portare il nostro conforto della fede e di tutta la comunità.
La notizia della tragedia ha sconvolto in un baleno tutta la Puglia e l'Italia. Ecco il commento a caldo del presidente dei vescovi pugliesi e arcivescovo di Bari, Francesco Cacucci, al microfono di Luca Collodi:
R. - Certamente lascia sconcertati, anche perché non sembra che in Puglia ci siano stati degli attentati così gravi in passato o nel periodo degli attentati terroristici diffusi in tutta Italia. Sconcerta anche perché il riferimento della scuola è a Morvillo e Falcone. In questo momento, abbiamo bisogno non soltanto di comprendere di più, ma soprattutto di capire che il valore della vita non può non essere ritenuto al primo posto di fronte a qualsiasi bisogno di chiarezza o a qualsiasi visione ideologica. Abbiamo bisogno, soprattutto come cristiani, di sottolineare che a nessuno è lecito andare contro la vita, anche per le motivazioni ideali che possono riempire il cuore dell’uomo.
D. - Al di là della matrice, non si tratta secondo lei di un attentato alla speranza ed alla verità?
R. - Nei periodi di crisi, è facile che emergano anche reazioni folli, questo è anche comprensibile. Non sono, però, assolutamente accettabili. Nei periodi di crisi, però, non serve alimentare il catastrofismo: il bisogno di richiamare alla sobrietà non solo nella vita personale e nell’uso dei beni, ma alla sobrietà nelle parole, nelle espressioni, credo debba coinvolgere tutti a cominciare dai responsabili della cosa pubblica, fino a coinvolgere anche i mass media.
D. - Colpire dei giovani significa colpire la ricerca di un futuro migliore?
R. - Credo che sia questo, forse, il segnale più preoccupante. I giovani non hanno molta voce in capitolo nella nostra società. Ma che i giovani diventino anche oggetto di attentato, questo è veramente un segnale che deve preoccupare tutti. L’attenzione ai giovani deve essere, ancora una volta, prioritaria nell’ambito della nostra società e questo episodio lascia davvero molto più tristi.
Un “atto orribile e vile”, che invita il Paese a reagire alla “provocazione”: questa la presa di posizione della Santa Sede alla notizia giunta da Brindisi. Le parole del direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi:
L’attentato avvenuto questa mattina a Brindisi è un fatto assolutamente orribile e vile, tanto più degno di esecrazione in quanto avvenuto nei pressi di una scuola, contro giovani del tutto innocenti. Siamo sgomenti, e mentre preghiamo per le vittime e siamo vicini alle loro famiglie ci dobbiamo augurare che non solo la città colpita, ma tutto il Paese riesca a reagire con decisione alle tentazioni di violenza e alle provocazioni terroristiche.
Il futuro dell'Afghanistan al centro del vertice Nato di Chicago
◊ Al via domani a Chicago il 25.mo summit della Nato, che vedrà la partecipazione di capi di Stato e di governo provenienti da circa 60 Paesi. Uno dei punti cruciali del vertice riguarderà la “exit strategy” dall’Afghanistan delle forze armate straniere prevista per la fine del 2014, data entro la quale verrà lasciata totalmente la responsabilità della sicurezza all’esercito afghano. Tante le preoccupazioni, soprattutto riguardanti il momento di forte instabilità che sta vivendo il Paese. Salvatore Sabatino ha chiesto un commento a Luca Lo Presti, presidente della Fondazione Pangea Onlus, che da anni opera in Afghanistan e che nei prossimi giorni inaugurerà a Kabul una casa di accoglienza per mamme e bambini:
R. – Il punto di vista di Fondazione Pangea è abbastanza privilegiato, giacché noi lavoriamo proprio con le persone, con le donne in particolare, nei quartieri di Kabul e fuori città. E quanto possiamo osservare in questo momento è un ritorno della paura dei regimi totalitari o di un’escalation di violenza, simile a quella che ci fu nell’intervallo di tempo tra i sovietici e i talebani, quindi la guerra civile.
D. – Il fatto che Karzai non si ricandiderà alle prossime elezioni presidenziali, secondo lei influirà ulteriormente sulla stabilità del Paese?
R. – La mia opinione è che Karzai non abbia mai influito in maniera particolare sulla stabilità del Paese. E’ un uomo che è stato scelto dalle forze internazionali, dagli americani, in maniera specifica. E se non si candida è perché qualche gioco sulla scacchiera, proprio del grande gioco – perdonate il bisticcio di parole – che coinvolge l’Afghanistan come pezzo importante e non come una pedina, è stato deciso da vertici molto più in alto di lui.
D. – Ovviamente a pagare il prezzo più alto di tutta questa situazione è la popolazione afghana. Ricordiamo che dal 2001 al 2011 ci sono stati circa 12 mila morti tra i civili, una situazione dunque davvero drammatica ...
R. – Una situazione drammatica. I numeri li ha citati, ma occorre ricordare anche la difficoltà dell’emancipazione verso il diritto, verso quello che è stato enunciato, proprio con l’inizio di questo conflitto, che doveva portare ad un riconoscimento e parliamo nello specifico dei diritti delle donne, dato che Pangea di questo si occupa. Per cui la grande preoccupazione è che il risultato non è stato raggiunto. Pangea ha un ottimo progetto per cui oggi seimila donne sono imprenditrici e questo per noi è un risultato importante, ma le donne in Afghanistan sono ovviamente molte di più. C’è tanto da fare e la preoccupazione teniamo a precisare – abbiamo fatto anche un appello alle potenze in questo summit di Chicago – è proprio che non dimentichino quelli che erano gli obiettivi per il rispetto dei diritti umani, con il riconoscimento delle donne come soggetto all’interno della società civile.
D. – Tra l’altro la prossima settimana lei sarà in Afghanistan per inaugurare un altro bellissimo progetto ...
R. – E' un pezzo in più per quello che riguarda il nostro lavoro. Inaugureremo “Casa Pangea Afghanistan”, che è la casa per i bambini che sono figli di quelle mamme che già noi accogliamo all’interno di questa struttura, per fare corsi di diritti umani, igiene sanitaria. E per di più apriremo anche un nuovo ambulatorio di ginecologia.
Domani il “Lifeday 2012” con il lancio dell’iniziativa europea “Uno di noi”
◊ Migliaia di persone si riuniranno domani in aula Paolo VI, in Vaticano, per il “Lifeday 2012” organizzato dal Movimento per la vita. L’evento prevede la diretta televisiva e un collegamento bidirezionale con Piazza San Pietro. Tanti temi si intrecciano in questa manifestazione del popolo della vita: la premiazione dei partecipanti al Concorso scolastico europeo, i 34 anni della legge 194 sull’aborto e l’avvio dell’iniziativa europea “Uno di noi” per chiedere, attraverso un quesito sottoposto all’adesione popolare, di estendere “la protezione giuridica della dignità, del diritto alla vita e dell’integrità di ogni essere umano fin dal concepimento in tutte le aree di competenza dell’Ue”. Su questa iniziativa Debora Donnini ha chiesto un commento al presidente del Movimento per la Vita italiano, Carlo Casini:
R. - È un’iniziativa assai importante, perché consentita dal Trattato di Lisbona che - allo scopo di avvicinare i cittadini europei all’Europa in un momento di sfiducia e di aumentare il tasso di democrazia in Europa - ha istituito la possibilità per un milione di cittadini appartenenti ad almeno sette Stati, di chiedere alle istituzioni europee un atto giuridico, normalmente una legge europea, che essi ritengono necessaria per l’attuazione dei Trattati. Siccome, nei Trattati è già scritto che la dignità umana è il fondamento dell’Unione Europa, noi chiediamo che nell’attuazione di questo principio si riconosca che questa dignità comincia dal concepimento. E quindi che l’Unione Europea, nelle sue attività, si ispiri a questo criterio: parlo dell’Unione Europea non dei singoli Stati, lì vige un principio diverso. L’Unione Europea, ad esempio, non può comandare di abolire le leggi sull’aborto, ma può comportarsi nella sua azione in materia di sanità pubblica, di aiuto allo sviluppo, di ricerca scientifica in coerenza con il principio che la dignità umana deve essere riconosciuta fin dal concepimento.
D. - Quindi, se si raggiunge il milione di firme in almeno sette Stati, cosa succede: questo è vincolante oppure no?
R. – Le raccolte di firme sono previste già dalle leggi di vari Stati, ma qui l’aspetto più caratteristico è che producono un effetto giuridico. L’Unione Europea non è obbligata a fare quello che si chiede, ma è obbligata a discuterne, in modo adeguato e ad alto livello, prima davanti alla commissione esecutiva e poi attraverso l’audizione in contraddittorio tra comitato organizzativo - o comunque rappresentanti di coloro che hanno raccolto le firme - e le istituzioni europee, in particolare ancora una volta la commissione e il parlamento, in una discussione dalla quale deve venir fuori l’opportunità o meno di accogliere, o comunque avviare, un processo legislativo in tutto o in parte, oppure anche di respingere ma per lo meno si discute.
D. - Una delle richieste è anche quella di porre fine al finanziamento di attività che presuppongono la distruzione di embrioni umani nei settori della ricerca, nei programmi di riduzione delle nascite e così via...
R. - È proprio così. Devo dire che, tra l’altro, per quanto riguarda la ricerca scientifica il discorso è di straordinaria attualità perché è proprio in discussione ora un programma “Horizon”, che prevede anche il finanziamento - sia pure in modo indiretto ma comunque certo - di ricerche distruttive sull' embrione umano.
D. - In Italia, fra l’altro, si registra un "inverno" demografico che sta causando non pochi problemi economici. Dall’istituzione della legge 194, nel 1978, fino ad oggi, si contano quasi cinque milioni e mezzo di aborti...
R. - Questo è un dato certo, ma purtroppo è una cifra largamente inferiore alla realtà, perché questa riguarda il numero degli aborti conosciuti, quelli legali. Poi ci sono quelli ignoti, non eseguiti in ospedale e con il passare degli anni l’aborto dovuto all’impiego di pillole varie, la pillola del giorno dopo, quella dei cinque giorni dopo. Una volta ho domandato a un economista famoso: “Ma scusi, lei sostiene che l’aborto è causa di crisi economica?”. Provi a pensare - ha risposto - come sarebbe diversa la situazione, se cinque milioni e mezzo di esseri umani, invece di essere uccisi, oggi ci fossero: non ci sarebbe il problema delle pensioni, e sarebbe risolta una grande quantità di problemi.
D. - C’è poi il Concorso scolastico europeo. In che cosa consiste?
R. - L’iniziativa è nata da una manifestazione che si fece nel 1987 con Madre Teresa di Calcutta e Chiara Lubich. L’evento terminò con la firma di un documento. Per portarlo in Europa, si immaginò un concorso i cui vincitori consegnassero questo documento al presidente del parlamento europeo, cosa che avvenne. La cosa fu così bella che abbiamo pensato di rifarlo tutti gli anni. Anche qui, il filo conduttore è il diritto alla vita e l’Europa, ma utilizzando argomenti di attualità. Ad esempio: cade il muro di Berlino, il vero concetto di libertà. Viene proclamato l’anno internazionale della donna, Conferenza di Pechino, e noi meditiamo sul rapporto tra il genio femminile e la vita - il titolo fu “La donna protagonista”. Il Concorso prevede che gli studenti delle scuole medie e superiori e delle università, eventualmente, meditino sull’argomento proposto in varie forme, come il tema, un’opera grafica, una produzione di video.
D. - Quanti saranno i vincitori?
R. - Quest’anno, sono esattamente 253. Il premio consiste nell’andare a Strasburgo a seguire un seminario che culmina con un dibattito tra questi ragazzi che hanno vinto il concorso, che preparano un documento. Alla fine si vota elettronicamente all’interno dell’aula del parlamento stesso e poi il documento viene mandato ai parlamentari europei.
D. - Domani, all’iniziativa partecipa, oltre al Movimento per le Vita, il Forum delle Associazioni familiari, Retinopera, ma anche molti movimenti e nuove comunità. E' importante questa presenza?
R. - È essenziale. Noi vogliamo essere soltanto un motorino di avviamento. Poi, si deve mettere in moto la grande macchina. Allora, il segno dell’unità del mondo cattolico è manifestata da questa presenza, non solo dalla parola del Santo Padre, ma anche appunto dalla presenza delle associazioni, dei leader che, aderendo a questa nostra iniziativa, ci daranno certamente una mano molto importante, nel segno dell’unità.
Le Caritas del Mediterraneo propongono permesso di soggiorno Ue per limitare gli sbarchi
◊ “Un permesso di soggiorno europeo” per motivi di lavoro per limitare gli sbarchi. E’ la proposta partita dall'edizione 2012 di "Migramed", meeting delle Caritas dei Paesi del Mediterraneo conclusosi ieri sera a Cagliari. In Europa, ci sono 4 milioni di posti di lavoro disponibili: ecco perché, secondo gli organizzatori, occorre fare una determinazione complessiva dei flussi, valutando le presenze necessarie nei 27 Stati. Si tratta di “un’opportunità che, se condivisa, aiuterebbe a redistribuire il peso tra tutti i Paesi, non sono su quelli che si affacciano sul Mediterraneo, pesantemente colpiti dalla crisi economica”, spiega Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas Italiana. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. - Innanzi tutto, abbiamo ribadito la necessità, anche per il futuro, di avere occasioni di confronto e scambio perché sono di grande utilità, soprattutto in occasione di questa emergenza nordafricana e mediorientale. Poter ascoltare la voce dei colleghi dei Paesi del Mediterraneo su cosa sta accadendo, soprattutto su quali siano i percorsi di uscita da questa crisi, per noi è di grande utilità. Si cercherà insieme di trovare le formule, sia per sostenere questi Paesi in transizione dal punto di vista politico ed economico, sia per cercare di fare pressione sui Paesi della sponda Nord, che chiaramente hanno un ruolo fondamentale nelle dinamiche migratorie di questa vasta area.
D. - Da Migramed, arriva anche la proposta di un permesso di soggiorno europeo per motivi di lavoro, basato sulla valutazione complessiva dei flussi di immigrati necessari a coprire i posti disponibili in Europa..
R. - Certamente. C’è stata una sollecitazione in tal senso dal collega tedesco, che ci ha raccontato di un mercato di lavoro europeo capace di assorbire almeno quattro milioni di persone, che dovrebbero andare a occupare altrettante posizioni lavorative al momento scoperte. Quindi, occorrerebbe provare a implementare una politica europea, soprattutto sul fronte dei flussi: è certamente una sfida che va affrontata.
D. – Una condivisione del problema sgraverebbe i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, coinvolgendo tutti e 27 gli Stati dell’Unione nella gestione degli sbarchi...
R. - Certamente: tutti gli Stati dell’Unione, ognuno ovviamente secondo le proprie capacità di assorbimento relative al mercato del lavoro. Non solo: è necessaria una riflessione congiunta, partendo dalla situazione dei singoli Paesi di arrivo, ma anche quelli di partenza. Da qui occorrerebbe realizzare accordi bilaterali: oggi si fanno già, ma quasi esclusivamente a livello di politiche nazionali. Sono i singoli Stati che oggi decidono gli accordi con i Paesi di partenza e di transito. Ecco, vorremmo un’Europa più unita e più presente in questo senso.
D. - Parlava di quattro milioni di posti di lavoro disponibili in Europa. Un dato che in un momento di crisi è positivo. Di che tipo di occupazioni si tratta?
R. - Le più diverse. Sappiamo che la realtà economica dei 27 Paesi dell’Unione è fortemente diversificata. Se pensiamo alla sponda Sud, ovvero Italia, Grecia, Spagna, ci sono alcuni settori oggi non coperti: il settore della cura, del lavoro stagionale, dell’agricoltura. Se pensiamo al Nord Europa, pensiamo a lavori più qualificati. Quindi anche su questo, la riflessione deve partire dalla valutazione delle singole realtà.
D. - Quindi, sarebbe l’Europa a decidere le modalità di ingresso e di accesso al mondo del lavoro all’interno dei Paesi membri?
R. - Questo è il nostro auspicio. Oggi, purtroppo, non è così. Siamo stati spesso critici sul fatto che oggi gli accordi europei riguardano soprattutto le politiche restrittive di controllo, di contrasto all’immigrazione irregolare. Questo è un tema importante ma non deve essere l’unico tema, anzi.
D. - Siamo in apertura della stagione dei grandi sbarchi. Come passare dalle parole ai fatti?
R. - Abbiamo appreso purtroppo, che il dispositivo di accoglienza a Lampedusa non è assolutamente pronto per eventuali afflussi straordinari come quelli dello scorso anno. Avendo appreso, nello stesso contesto del Migramed, dalla collega libica che ci sono movimenti che nelle prossime settimane potrebbero portare numeri al momento non definiti verso Lampedusa, questo chiaramente determina non poca preoccupazione. Noi comunque ci siamo come lo scorso anno, e cercheremo di fare la nostra parte sull’isola garantendo, dove possibile, almeno la prima accoglienza.
D. - Per coinvolgere maggiormente i Paesi dell’Unione Europea come intendete muovervi?
R. - Chiaramente noi possiamo fare solo un’attività di lobbying sulle istituzioni e sugli altri Paesi. L’auspicio è di poter contare, nel prossimo futuro, su un intervento più visibile e più concreto.
◊ Tre giorni d’incontri interculturali e di amicizia, per conoscere meglio le comunità straniere che vivono da lungo tempo a Roma. E’ questo l’obiettivo della manifestazione “ Piazza Vittorio incontra – La questione di Dio oggi. Le culture dal mondo a Roma”, che si sta svolgendo in questi giorni nella capitale. L’iniziativa, iniziata giovedì scorso e che si concluderà questa sera, è stata promossa dall’Ufficio diocesano per la Pastorale universitaria e ha visto la presenza di tutte le comunità sudamericane, africane, asiatiche ed Europa dell’est, che da anni popolano l'antica piazza. Marina Tomarro ha intervistato padre Luciano Panella, tra gli organizzatori della tre giorni:
R. - Diciamo che non è la piazza che va in Chiesa ma è la Chiesa che va in piazza. La Chiesa intesa ovviamente come persone, che partecipano alla realtà ecclesiale. In queste serate, si sono avute anche delle bellissime testimonianze dei vari gruppi etnici della Polonia, del latino-America, dei filippini: persone che sono la Chiesa. Accompagnati anche da noi come missionari, come sacerdoti e come parroci, hanno fatto di questa piazza un areopago dove si fa l’annuncio di Dio, dove si ascolta Dio ascoltano le esperienze degli altri.
D. - In che modo, oggi, si educa all’interculturalità, in un momento anche così particolare per l’Italia?
R. - Credo che lo abbia detto molto bene un nostro missionario in Madagascar: attraverso l’accoglienza, le cose semplici, manifestando quell’amore che non è fatto di interesse ma è fatto di passione per l’uomo. Se c’è questa dimensione di accoglienza, la gente lo percepisce. Dio non è un concetto: Dio si è incarnato nella storia, ha camminato con le persone, ha accolto, ha perdonato, ha amato. Dai frutti riconoscerete se l’albero è buono o meno. Ritengo, quindi, che la cosa fondamentale sia l’accoglienza.
Ma ascoltiamo la testimonianza di una famiglia polacca, che da oltre venti anni vive a piazza Vittorio. Taddeus e sua figlia Anna Maria:
R. - Penso che questa sia un’occasione per conoscerci, una delle varie possibilità per farlo, per noi che veniamo da così tante nazioni. Conoscere l’altro è sempre una ricchezza enorme, e per noi all’inserimento qui, in Italia, è corrisposto anche un punto d’appoggio per la nostra religiosità. Questo inserimento nella Chiesa, quindi, ci ha aiutato anche a inserirci nella società italiana. Inoltre, c’è anche l’apertura alle altre culture ed alle altre nazioni.
D. - Annamaria, tu sei nata in Italia. Quanto è importante, per te, essere anche polacca?
R. - Sì, sono nata a Roma, ma forse la prima lingua che ho imparato è stata quella polacca, perché i miei genitori parlano soprattutto in polacco, a casa. E questo soprattutto perché, vivendo qui, imparo l’italiano a scuola e con gli amici. Per mantenere, quindi, questa doppia cultura e questa doppia lingua, a casa parliamo in polacco. E’ molto importante, secondo me, mantenere le proprie origini perché è una grandissima fortuna: in questo periodo, con la globalizzazione e tutto il resto, ci sono questi grandi scambi culturali. Quello che dovremmo vedere, a mio avviso, è anche la vera origine e la bellezza di questa interculturalità e di questa diversità, che però poi va a confluire nella fratellanza e nel fatto che nella nostra diversità siamo anche tutti uguali, perché siamo tutti fratelli e siamo tutti uguali dinanzi a Dio.
Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
◊ Nella Solennità dell’Ascensione del Signore, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Gesù invita i discepoli ad andare in tutto il mondo per proclamare il Vangelo a ogni creatura. “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato”. Dopo queste parole, i discepoli vedono Gesù ascendere in cielo:
“Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”.
Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del carmelitano, padre Bruno Secondin, docente emerito di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
L’ascensione di Gesù non è raccontata da Marco per sottolineare la nostalgia del Maestro, ma per mostrare come si trovano i discepoli dopo che Gesù ha concluso la sua presenza diretta fra loro. Hanno davanti il mondo intero, e devono proclamare il Vangelo a tutti. Un compito immenso, che spaventava quel gruppetto di discepoli senza tanta competenza, se non un’esperienza intensa di tre anni col Maestro, conclusa con la tragedia della sua morte in croce. Quei pochi incontri con Gesù risorto, per quanto suggestivi, potevano bastare per farli audaci predicatori nel mondo intero? Nell’affidare un compito così difficile, Gesù parla di segni che accompagneranno la predicazione: simili a quelli che essi hanno visto già presenti nell’attività di Gesù. Ma non sono l’essenza, solo contorno, quasi provocazione per l’attenzione. Saranno servitori della Parola e la gente dovrà credere alla Parola. Solo questa è fonte di salvezza vera e decisiva: chi l’accoglierà e ad essa si affiderà sarà salvo. Proprio in questa Parola viva ed efficace Gesù continuerà ad essere protagonista con i missionari, Vangelo annunciato e sua stessa efficacia. Non facciamo sfoggio dei segni, ma riconosciamo il Signore con noi e saremo salvi.
Congo: i vescovi chiedono regole rigorose sul controllo dei “minerali di guerra"
◊ “Sostenete regole ferme sulla trasparenza delle compagnie minerarie che operano nel mio Paese”. È l’appello lanciato da mons. Nicolas Djomo Lola, vescovo di Tshumbe e presidente della Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), di fronte al Congresso degli Stati Uniti. Mons Djomo Lola ha testimoniato di fronte alla sottocommissione servizi finanziari della Camera sulla politica monetaria internazionale e del commercio. La Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (Usccb) - riferisce l'agenzia Fides - ha sponsorizzato l’audizione di mons. Djomo Lola, che rientra nell’ambito della discussione parlamentare sui costi e le conseguenza della legge 111-203, il cui articolo 1502 introduce delle norme per impedire la commercializzazione dei minerali che finanziano i gruppi armati congolesi. La normativa stabilisce che le imprese statunitensi che sono registrate presso la Sec (l’autorità di controllo della Borsa americana) dovranno dichiarare se utilizzano dei minerali che sono presenti allo stato naturale nelle zone di conflitto della Rdc o in Paese vicino. In questo caso dovranno inviare alla Sec un rapporto sui provvedimenti da loro attuati per stabilire l’origine e la tracciabilità di questi minerali. Le audizioni congressuali sono volte a stabilire la validità delle norme attuative delle legge, proposte dalla Sec. “Parlo non come un uomo d'affari o un esperto finanziario, ma come un leader religioso che è profondamente turbata dalla terribile violenza e la sofferenza che ha dominato la vita nel Congo orientale dal 1996," ha affermato mons. Djomo Lola. “Questa violenza ha distrutto famiglie, villaggi e comunità. Una delle principali motivazioni della violenza è lo sfruttamento illecito dei minerali attuato dai diversi gruppi armati nel Congo orientale”. Secondo il Catholic Relief Service (Crs), che ha coordinato il viaggio di mons. Djomo Lola negli Usa, il presidente della Conferenza episcopale congolese ha espresso la speranza che la Securities and Exchange Commission (Sec) pubblicherà regole rigorose per garantire che le imprese e i consumatori non partecipano, inavvertitamente o meno, ad commercio che ha portato alla sofferenza ed alla morte di migliaia di persone. “La Chiesa in Congo confida che la comunità imprenditoriale può e si unirà a noi per proteggere la vita e la dignità umana del popolo congolese, conducendo un commercio internazionale rispettoso delle regole, trasparente e responsabile. Siamo sicuri che non vogliono contribuire alla miseria che ha afflitto il Congo orientale per anni” ha concluso mons. Djomo Lola. (R.P.)
Mali: si attende la mediazione della Cedeao per rilanciare la fase di transizione
◊ “Si attende l’arrivo dei mediatori della Cedeao (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) quest’oggi. Nel frattempo le attività politiche sono sospese. Speriamo che la loro presenza permetterà di sbloccare la situazione negoziale tra i militari e i partiti politici” dice all’agenzia Fides don Edmond Dembele, segretario della Conferenza episcopale del Mali. “Mancano soli quattro giorni alla fine del periodo di interim di 40 giorni, e nulla è ancora chiaro sul proseguimento della fase di transizione che dovrebbe portare il Mali fuori dalla crisi scaturita con il golpe del 22 marzo” ricorda don Dembele. Il 22 maggio finisce il periodo di governo ad interim avviato in base all’accordo del 6 aprile raggiunto dalla giunta militare (che ha preso il potere con il golpe del 22 marzo) e dai partiti maliani, con la mediazione della Cedeao. Presidente ad interim è Dioncounda Traoré che ha nominato come Premier Cheick Modibo Diarra. Il nord del Mali continua a rimanere nelle mani di diversi gruppi armati. Il Presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, che guida la mediazione della Cedeao ha inviato alcuni suoi emissari per prendere contatto con questi gruppi. Il Ministro degli Esteri del Burkina Faso ha spiegato che lo scopo dei colloqui è quello di arrivare al più presto ad un accordo tra il governo di transizione e i movimenti armati, che preservi l’integrità del territorio nazionale maliano, la sicurezza e i diritti umani. (R.P.)
Sud Sudan: la lunga strada dei rifugiati
◊ Una delegazione di Aiuto alla Chiesa che Soffre ha visitato nei giorni scorsi il vicariato apostolico di Gambella - capitale dell’omonima regione dell’Etiopia occidentale - che accoglie numerosi profughi sud-sudanesi. «Se qualcuno dubita dell’esistenza del maligno, dovrebbe venire qui e osservare quanto sta succedendo» commenta padre Andrzej Halemba, responsabile internazionale delle sezioni Africa e Asia di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs). Nella prefettura apostolica, che confina con il Sud Sudan, si sono già rifugiate quasi 30mila persone. E ogni giorno ne arrivano di nuove, in maggioranza donne e bambini. «Facciamo il possibile per aiutarli – afferma il vicario apostolico, mons. Angelo Moreschi – e tutte le volte che il governo lo permette, inviamo a quella povera gente assetata, un camion cisterna». Per i rifugiati l’acqua ha un valore incommensurabile, così come l’assistenza spirituale offerta dai sacerdoti. Numerosi sud-sudanesi sono infatti cristiani che, dopo tanta strada, possono finalmente trovare il conforto della Parola di Dio e assistere alla Messa nelle tre cappelle del vicariato costruite per loro. Le aspettative, però, non sono incoraggianti. Il presidente sudanese Omar al-Bashir sembra intenzionato a muovere guerra contro il Sud Sudan. E secondo gli esperti uno scontro bellico tra i due Paesi porterebbe a conseguenze ben più gravi della guerra civile che, dal 1985 al 2005, ha causato oltre due milioni di morti. «Se non ci sarà pace – dichiara Eva Maria Kolmann, del dipartimento informazione di Acs – anche la prossima generazione non conoscerà altro che la paura, la morte, la violenza o la miseria dei campi profughi». Da Gambella, la Kolmann racconta scene di tragica quotidianità. Un bambino che gioca con il copertone di una bicicletta, mentre altri piccoli si nascondono in mezzo ai cespugli. Le madri che guardano i propri figli, sedute su pezzi di stoffa o sulla nuda terra. E una donna che lava i pochi stracci portati con sé e li stende ad asciugare su un ramo. Non è semplice documentare la realtà: le macchinette non sono gradite e pattuglie dell’esercito controllano che i passanti non si avvicinino per nessun motivo ai rifugiati che riposano ai lati della strada. «Siamo riusciti a rubare qualche scatto dall’interno della jeep – spiega – ma non eravamo autorizzati a scendere dalla macchina». Una delle poche immagini riprende una madre, esausta e denutrita, che si ripara sotto a un albero con i suoi otto bambini. Il termometro segna 40 gradi e nelle settimane precedenti ci sono stati giorni ben più caldi. Molti profughi devono camminare per più di 200 kilometri sotto il sole cocente prima di raggiungere un posto tranquillo. «Come avrà fatto quella donna – si chiede la Kolmann – ad affrontare quel lungo viaggio, e con otto bambini?». (R.P.)
Usa: il commento dei vescovi sulle direttive sanitarie
◊ “Le questioni ancora in sospeso dovrebbero essere risolte per aumentare e non per diminuire il livello di libertà religiosa nel Paese”: è ancora netto il giudizio che proviene dall’episcopato cattolico negli Stati Uniti in merito alle politiche delle autorità statali che promuovono la diffusione delle pratiche abortive. A prendere posizione sul tema – come riferisce L’Osservatore Romano - sono stati il consigliere generale della Conferenza episcopale, Anthony Picarello, e il consigliere generale aggiunto, Michael Moses, in una nota inviata al Department of Health and Human Services (Dhhs), guidato da Kathleen Sebelius. Si tratta di commenti relativi alla circolare (Hhs mandate) che prevede che i piani assicurativi di tutti i datori di lavoro, comprese le istituzioni e le organizzazioni religiose, coprano sia la prescrizione sia la somministrazione di farmaci abortivi e gli interventi di sterilizzazione (considerati come «servizi di prevenzione per la salute delle donne»), ponendo in essere una pesante limitazione alla libertà di coscienza. Nella nota si ribadisce che l’episcopato ritiene il mandato «ingiusto e illegittimo, perché implica un elemento di coercizione governativa contro la coscienza, che crea un problema di libertà religiosa». In particolare i due rappresentanti della Conferenza episcopale analizzano alcune proposte formulate e diffuse nei mesi scorsi dal Dhhs, che avrebbero come obiettivo quello di offrire nuove condizioni per «venire incontro» alla situazione degli istituti e delle organizzazioni religiose che fanno obiezione alle direttive sanitarie. Proposte che vengono giudicate, tuttavia, non idonee a fornire un contributo risolutivo e che pongono ancora problemi morali e legali: esse «si sommano a una formulazione dell’esenzione estremamente stretta e intrusiva che divide le comunità “abbastanza religiose” da quelle che non lo sono». Tra le proposte vi è, ad esempio, quella che metterebbe a carico di «amministrazioni o agenzie indipendenti» il costo della copertura dei piani sanitari, che riceverebbero pertanto finanziamenti appositi, evitando dunque a scuole, ospedali, associazioni, enti religiosi e alle agenzie assicurative che osservano i principi morali e religiosi, di sopportare gli oneri economici per servizi che contrastano con il proprio credo. Sulle nuove proposte, in particolare, l’amministrazione Obama ha avviato una consultazione pubblica, per raccogliere pareri e commenti, che si concluderà il 19 giugno. «Ciò che è moralmente discutibile», si osserva nella nota, è continuare a prevedere l’inclusione nei piani assicurativi privati di una serie di coperture per la somministrazione e l’utilizzo di contraccettivi e interventi di sterilizzazione. Le proposte, si sottolinea al riguardo, «non cambiano il fatto che i sistemi contraccettivi siano inclusi nel mandato come servizi di prevenzione, come già stabilito in un precedente regolamento dell’agosto 2011». In un intervento, il cardinale arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, Timothy Michael Dolan, ha spiegato che «le autorità statali non possono forzare gli americani ad agire come se la gravidanza fosse una malattia da prevenire a tutti i costi». (I.P.)
Honduras: dopo l'ultima rivolta la Chiesa condanna il sistema carcerario
◊ “Grazie a Dio i detenuti si sono arresi perché stavano per uccidersi…Abbiamo toccato il fondo. Fino a quando resteremo in queste condizioni deplorevoli?”. Mons. Romulo Emiliani, vescovo ausiliare di San Pedro Sula e responsabile della pastorale carceraria dei vescovi dell’Honduras, lo ha detto ai giornalisti appena uscito ieri, dal carcere della seconda città del Paese dove una nuova sommossa, l’ennesima nel giro degli ultimi mesi, ha provocato una vittima e almeno 11 feriti. Con la mediazione del vescovo - riferisce l'agenzia Misna - i reclusi ammutinati mercoledì notte hanno accettato di consegnarsi ieri alla polizia: la rivolta, ha aggiunto il presule, è dovuta a faide interne. “Nel carcere c’è una lotta di potere su come devono essere gestite certe cose, questo ha causato lo scontro che non è stato così grave, poteva essere peggiore perché tutti erano sul piede di guerra per difendere i propri territori”. Sta di fatto, ha detto ancora il vescovo, che il penitenziario locale – così come la stragrande maggioranza di quelli ospitati sul territorio nazionale – non riunisce le condizioni adeguate a garantire la riabilitazione e la sicurezza a causa del sovraffollamento e delle strutture fatiscenti ed è urgente costruirne un altro, perché quello attuale “è una bomba a orologeria”. Negli ultimi tre mesi si sono contati sommosse e incidenti nei penitenziari dell’Honduras: l’ultima rivolta a San Pedro Sula, 200 km a nord di Tegucigalpa, è avvenuta il 29 marzo e si è conclusa con 13 vittime. La più grave tragedia carceraria della storia del Paese risale invece al 14 febbraio, quando un incendio ha devastato il penitenziario di Comayagua, 75 km a nord della capitale, uccidendo 359 detenuti. Un incidente in un carcere considerato una ‘prigione modello’ nel panorama nazionale, “prodotto da una grave negligenza strutturale in un istituto che non ha piani di evacuazione in caso di incendi o terremoti” aveva detto in quell’occasione all'agenzia Misna mons. Emiliani, missionario clarettiano di origine panamense, da sempre impegnato per la promozione e il rispetto dei diritti umani e della giustizia sociale. “Il sistema carcerario dell’Honduras conta 12.000 reclusi, anche se il massimo che i Centri di reclusione possono contenere sono 8000. Oltre al sovraffollamento la giustizia è lenta: si stima che oltre la metà dei detenuti sia in attesa di giudizio. Comayagua era considerato il carcere migliore di tutto il Paese, ma ospitava almeno il doppio dei detenuti per cui era stato concepito” aveva aggiunto il presule, dipingendo uno scenario confermato di recente anche da una delegazione della Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh). (R.P.)
Brasile: emergenza per migliaia di famiglie per lo straripamento dei fiumi
◊ Il rio Negro, principale affluente del rio delle Amazzoni in Brasile, ha superato il suo limite storico raggiungendo il livello di 29,78 metri a causa delle forti inondazioni che stanno danneggiando 77.348 famiglie nello Stato Amazzonico (nord). Le piogge hanno creato particolare allerta in 52 dei 62 municipi dello Stato, colpendo circa 350 mila persone. Il río Negro del Brasile è il più lungo del mondo di acque nere e il secondo principale in volume di acqua, solo dopo quello delle Amazzoni. A causa delle forti piogge che continuano a cadere dall’inizio del mese di maggio, il livello del río Negro è di 12,46 metri, un centimetro in più rispetto al precedente record delle inondazioni del 2009. I due municipi più gravemente danneggiati sono Careiro de Váreza e Anamá, quasi completamente inondati. Nella capitale Manaos, sono state soccorse oltre 18 mila persone. Decine di fiumi - riferisce l'agenzia Fides - sono straripati in diversi punti, costringendo l’evacuazione delle popolazioni costiere. Il Servizio Geologico Brasiliano ha riferito che la situazione potrebbe aggravarsi, visto che si prevede che il livello del río Negro possa superare i 30 metri. Oltre ai danni alla popolazione, gravi conseguenze ci saranno anche per l’agricoltura. Le autorità hanno anche lanciato un allarme per l’eventuale diffusione di malattie come diarrea, vomito e mal di testa, portate dalla spazzatura o dai residui organici che arrivano con l’acqua dei fiumi. (R.P.)
Indonesia: i cristiani di Bekasi nel mirino degli estremisti islamici
◊ Una folla di estremisti islamici ha attaccato la casa di preghiera della comunità protestante Hkbp Filadelfia (Christian Protestant Batak Church) a Bekasi, periferia di Jakarta (West Java). L'assalto è avvenuto giovedì scorso in concomitanza con le celebrazioni per la festa dell'Ascensione di Gesù; oltre 300 persone hanno partecipato alla spedizione e nemmeno l'intervento delle forze dell'ordine è servito a contenere le volenze. Inoltre, nei primi giorni della scorsa settimana un gruppo di facinorosi ha bloccato un giornalista cristiano della zona, attaccandolo con brutalità, e già nel febbraio scorso gli estremisti locali hanno disturbato le celebrazioni religiose con altoparlanti e urla. Nell'assalto di ieri, gli assalitori hanno lanciato pietre ed altri oggetti, intonando slogan e insulti contro i cristiani che hanno dovuto interrompere - dopo soli cinque minuti - le celebrazioni in programma per la festa dell'Ascensione. I fedeli hanno abbandonato il luogo di culto e sono tornati a casa per motivi di sicurezza. Raggiunto dall'agenzia AsiaNews, il reverendo Palti H. Panjaitan Sth - capo della comunità protestante Hkbp Filadelfia - ha spiegato che il "problema" dello svolgimento delle funzioni e della libera espressione del culto persiste dal 2006. La comunità è nata nell'aprile del 2000, quando un gruppo di cristiani di etnia Batak ha deciso di fondare una comunità propria e indipendente. Poiché non era disponibile una "casa di preghiera", in un primo momento le funzioni si sono svolte nelle case private, ma la crescita continua dei fedeli - oggi 1500 - ha reso necessaria la costruzione di un vero e proprio luogo di culto e dato il via a una guerra giudiziaria. Dopo tre anni di contese e battaglie legali relative ai permessi di costruzione (il famigerato Imb), il Tribunale amministrativo del West Java ha riconosciuto i diritti legittimi dei cristiani alla realizzazione di una chiesa; anche la Corte suprema ha sostenuto la decisione. Tuttavia, il progetto è stato più volte interrotto e rischia di essere accantonato a causa dell'ostinata opposizione delle autorità di Bekasi - incuranti della legge - e delle pressioni della frangia estremista islamica locale. E come ai fedeli della Yasmin Church (Yc) a Bogor, nel West Java, ai cristiani della Hkbp Filadelfia non resta altra possibilità - al momento - se non quella di celebrare riti e funzioni per strada, all'aria aperta, o in case private. Con il rischio, come in questo caso, di essere vittima di attacchi e offese. (R.P.)
Pakistan: appello per la giovane cristiana rapita e costretta a convertirsi all'islam
◊ Chiede giustizia la famiglia di Mary Salik (nome di fantasia per ragioni di sicurezza) giovane cristiana di 14 anni, rapita lo scorso 4 maggio ad Ali (Faisalabad, Punjab) e costretta a convertirsi all'islam. L'autore del rapimento - riferisce l'agenzia AsiaNews - è lo zio della ragazza, che ha abbracciato l'islam circa un anno fa e da all'ora ha chiuso qualsiasi contatto con la famiglia di origine. Egli ha sequestrato la giovane per farla sposare con il figlio Kashif. Il matrimonio si è celebrato lo scorso 7 maggio. Il padre della ragazza, dice ad AsiaNews, che "mia figlia ha solo 14 anni e dalla nascita soffre di problemi di cuore e non può fare lavori pesanti. Dopo la conversione mio fratello sta complottando contro la nostra famiglia e ha rapito Mary con l'inganno". Subito dopo il sequestro, il padre della giovane cristiana si è rivolto alla polizia locale e chiesto l'immediato rilascio della figlia, ma gli agenti si sono rifiutati di riconsegnare Mary alla sua famiglia. Secondo la polizia, la ragazza si è convertita di sua volontà e hanno presentato come prova una dichiarazione scritta in cui la giovane afferma di "essere matura e di aver abbracciato l'islam senza costrizioni o minacce". Per riavere indietro la figlia, il genitore ha deciso di trovare una mediazione con l'aiuto di alcuni personalità influenti della zona e ha depositato una petizione contro gli agenti di polizia. Padre Bonnie Mendes, sacerdote e attivista pakistano ex segretario della Commissione nazionale di giustizia e pace, sottolinea i soprusi subiti dalla comunità cristiana. "Anche se siamo liberi di pregare - afferma - e di praticare il nostro culto, veniamo minacciati quando tentiamo di difendere i nostri diritti". Il sacerdote denuncia il problema dei casi di conversione forzate all'islam di giovani cristiane, che insieme alla legge sulla blasfemia sono una delle più gravi violazioni delle libertà religiosa a danno delle minoranze. Per padre Mendes il caso di Mary è contro gli insegnamenti dell'islam. Infatti, chi desidera convertirsi ha bisogno dell'iddat, periodo di discernimento che deve durare almeno tre mesi. Tuttavia, a causa dell'ignoranza, dell'analfabetismo e dell'ingiustizia sociale, la maggior parte dei musulmani non tiene conto di questa regola. Ogni mese tra le 25 e le 30 giovani subiscono simili soprusi, per un totale annuale di circa 300 conversioni e matrimoni forzati. Ragazze indù - ma anche cristiane - che vengono strappate alla famiglia anche ragazzine e consegnate nelle mani dei mariti/aguzzini. Di recente ha fatto scalpore la decisione della Corte suprema pakistana che ha costretto tre giovani donne indù a tornare con i propri mariti musulmani, nonostante il desiderio delle giovani di ritornare con la propria famiglia. Le giovani erano state rapite in febbraio, costrette a convertirsi all'islam e a sposarsi con uomini islamici. Lo scorso 26 marzo Rinkle Kumari, una delle ragazze, aveva espresso ai giudici della Corte il desiderio di ritornare dalla sua famiglia. Davanti al tribunale essa ha affermato che "in questo Paese c'è giustizia solo per i musulmani, agli indù la giustizia è negata. Uccidetemi qui, ora, in tribunale. Ma non rimandatemi alla Darul-Aman [una scuola coranica]... ci ammazzeranno". Anche le altre due giovani, Lata e Asha, avevano espresso, invano, il desiderio di ricongiungersi con i propri familiari. (R.P.)
Laos: centinaia di donne in Cina, vittime del traffico di vite umane
◊ Negli ultimi due anni centinaia di ragazze laotiane sono entrate clandestinamente in Cina, vittime innocenti e inconsapevoli del traffico di vite umane. La maggior parte di loro proveniva dalle province settentrionali del Laos e gli sforzi profusi per salvarle si sono rivelati "in gran parte" inutili. È quanto riferisce Radio Free Asia (Rfa) ripresa dall'agenzia AsiaNews, citando fonti governative a Vientiane che - dietro anonimato - confermano la gravità del fenomeno. Anche il Dipartimento di Stato Usa, nel rapporto 2011 sul Traffico di persone, afferma che la nazione del Sud-est asiatico è una "fonte" per schiavisti senza scrupoli, che avviano donne e ragazzine al racket della prostituzione e costringono uomini, donne e bambini - senza distinzioni - al lavoro forzato nelle fabbriche, in casa, nei campi e nell'industria della pesca. Il rapporto del governo statunitense spiega che i laotiani - senza distinzione di sesso o età - sono vittime del lavoro forzato in Thailandia, Malaysia e Cina; in particolare, donne e ragazzine "vengono smerciate" oltreconfine, dove vengono "costrette a sposare uomini cinesi". E anche se il governo di Vientiane ha compiuto "sforzi significativi" per contrastare il fenomeno, resta il fatto che ancora oggi il Laos non soddisfa gli "standard minimi" nella lotta per sradicarlo a fondo. Il funzionario governativo interpellato da Rfa conferma che "centinaia di famiglie delle province al confine con la Cina, si sono rivolte alle autorità per chiedere aiuto nella ricerca delle figlie scomparse nel nulla". Con molta probabilità le giovani sono state condotte oltrefrontiera con la prospettiva di un lavoro o di sposare un ricco uomo cinese. La maggior parte di queste giovani sono originarie di Louang Namtha, Oudomxay, Bokeo e Phongsaly e appartengono alla minoranza etnica khmu. L'unità laotiana chiamata a contrastare il traffico di vite umane qualche successo lo ha ottenuto, sottraendo le ragazze a una condizione di schiavismo. Tuttavia, la loro ricerca in Cina è "in larga parte infruttuosa" per due motivi di fondo: la burocrazia cinese e la vastità del territorio. Inoltre, molti funzionari impiegati nella prevenzione lamentano "risorse scarse" e "mancanza di personale" adatto per numero e adeguatamente formato. Secondo i dati ufficiali del governo di Vientiane, relativi al 2010, sono state avviate 20 indagini relative a traffico di vite umane, che coinvolgerebbero 47 persone di cui 33 sono stare poi condannate a pene detentive variabili. Nell'anno precedente, invece, non si è registrata alcuna condanna. (R.P.)
Filippine: missionari e società civile al lavoro per la pace a Mindanao
◊ E’ dietro l’angolo una storica opportunità per un accordo di pace definitivo nelle Filippine del Sud. Per questo missionari, organismi interreligiosi, associazioni della società civile stanno intensificando il lavoro di sensibilizzazione a tutti i livelli. Lo dice all’agenzia Fides padre Angel Calvo, missionario Clarettiano, da 40 anni a Mindanao (Filippine Sud), impegnato nell’Interreligious Solidarity Movement for Peace che ha organizzato un seminario a Zamboanga City, con rappresentanti del governo e del movimento guerrigliero islamico Milf (“Moro Islamic Liberation Front”), per sviscerare possibilità e conseguenze della “Dichiarazione di Principi” in 10 punti, siglata nelle scorse settimane dal governo e dai ribelli. Padre Calvo spiega a Fides: “Il processo di pace sta avanzando a grandi passi. La società civile sostiene fortemente gli sforzi di pace e l’équipe dei negoziatori. E’ il momento giusto, bisogna coinvolgere il più possibile le comunità locali, rendendole partecipi dei contenuti dell’accordo e dello sforzo di pace. Vogliamo che la Dichiarazione di principi abbia il massimo sostegno popolare: ciò che è mancato in passato e che ha fatto naufragare gli accordi precedenti”. Il missionario nota che “c’è stata una tregua fra esercito e ribelli. Poi si è trovato un accordo di massima sui principi e su alcuni punti caldi, come la creazione di una nuova entità politica. Ora c’è un’opportunità storica di firmare un accordo di pace, dato che il Presidente Benigno Aquino è molto deciso e anche l’altra parte è propensa. Bisogna cogliere l’attimo: sta crescendo un sostegno qualificato nella società civile ed è necessario siglare un accordo il più presto possibile”. Fra i segnali positivi, anche il nuovo “Internal Peace and Security Plan” (Ipsp) reso noto dalle Forze Armate delle Filippine, che in tal modo collaboreranno attivamente alla pace. Le Forze Armate hanno anche reso noto di aver avviato, all’interno del percorso di formazione dei militari, anche ad alti livelli, seminari per diffondere l’approccio del “peace building” e della “risoluzione pacifica dei conflitti”. Intanto il Senato delle Filippine ha approvato nei giorni scorsi una risoluzione che annulla le attuali liste elettorali nella Regione Autonoma Musulmana di Mindanao. Le liste erano state denunciate come manomesse, false, frutto di corruzione e manovre politiche dei clan locali per assicurarsi voti. Le elezioni nella Regione, previste per agosto 2012, saranno quindi rimandate e non è escluso che si attenda la definizione della “nuova entità politica”, indicata nella Dichiarazione Governo –Milf, che dovrebbe sostituirla. (R.P.)
Cina: pellegrinaggio di cattolici sordomuti e non vedenti al santuario di Xia Men
◊ In vista della Giornata Mondiale di Preghiera per la Chiesa in Cina, che si celebrerà il prossimo 24 maggio, anche i fedeli sordomuti e non vedenti stanno vivendo in maniera intensa il mese mariano. Secondo quanto riferito all’agenzia Fides da Faith di He Bei, un gruppo di parrocchiani sordomuti e non vedenti della cattedrale della diocesi di Wen Zhou, della provincia di Zhe Jiang, ha compiuto il pellegrinaggio nel santuario mariano di Xia Men – Villaggio del Rosario, accompagnato da sacerdoti, religiose e fedeli laici. I fedeli hanno preso parte alla celebrazione eucaristica, alla recita del Rosario, alla Via Crucis e alla recita della preghiera del Papa per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Chiesa in Cina. Inoltre, sono stati affettuosamente accolti dai sacerdoti e dalle suore del santuario, che hanno presentato loro la storia, la costruzione e l’attualità del famoso luogo di culto. Nell’omelia, il sacerdote li ha incoraggiati, ha dato loro come esempio di vita cristiana perché, nonostante diversamente abili, vivono in modo profondo la loro fede. (R.P.)
Australia: dal 15 giugno l'Ordinariato personale per gli ex anglicani convertiti al cattolicesimo
◊ Dopo l’Inghilterra e gli Stati Uniti, anche la Chiesa cattolica australiana avrà il suo Ordinariato personale per accogliere gli anglicani che hanno deciso di abbandonare la Comunione anglicana e di convertirsi al cattolicesimo secondo quanto stabilito dalla Costituzione apostolica di Benedetto XVI “Anglicanorum Coetibus”. L'Ordinariato di Nostra Signora della Croce del Sud, posto sotto il patronato di Sant’ Agostino di Canterbury, sarà eretto 15 giugno 2012. L’iniziativa ha avuto una “buona accoglienza” da parte della comunità cattolica australiana, ha detto mons. Peter Elliot, vescovo ausiliare di Melbourne al settimanale diocesano di Sydney, ripreso dall’agenzia Cns, ricordando che il percorso di questi ex-anglicani “non è stato facile”. Il presule, delegato dalla Conferenza episcopale australiana e dalla Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede a seguire il processo di ammissione degli ex anglicani australiani nella Chiesa cattolica, esorta i fedeli cattolici australiani “a tendere la mano” a questi uomini e donne che hanno scelto di unirsi a Roma. Per mons. Elliot occorre comunque evitare trionfalismi e “rispettare le sensibilità degli anglicani che non decidono di compiere questo passo”. (L.Z.)
Napoli: incontro di migliaia di giovani per ridare speranza all’Europa
◊ Nel pomeriggio di domani, solennità dell’Ascensione, oltre 30.000 giovani del Cammino Neocatecumenale si riuniranno a Napoli in Piazza del Plebiscito, per un incontro con gli iniziatori del Cammino, Kiko Argüello e Carmen Hernández, accompagnati da don Mario Pezzi, sotto la presidenza del cardinale Crescenzio Sepe e con la partecipazione di altri presuli della Campania. I giovani provengono da tutto il Centro-Sud Italia, con rappresentanze da altri Paesi dell’Europa (Croazia, Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo, Albania e Malta). E’ un evento squisitamente religioso, fatto di canti, di ascolto della Parola di Dio, dell’annuncio della Buona Notizia del Vangelo, fatto da Kiko e dalla predicazione del cardinale Sepe. Durante l’incontro Kiko farà una chiamata vocazionale: metterà cioè i giovani davanti al mistero dell’amore di Dio, che li ha voluti, li ha creati singolarmente con una vocazione e una missione personale. Kiko chiederà se tra i presenti ci sono alcuni che sentono la chiamata a dare la propria vita a Cristo ed essere formati come presbiteri, a servizio della Chiesa; se ci sono ragazze che sentono di offrire la propria vita consacrandola a Dio. I 30.000 giovani, che animeranno il pomeriggio di domani, fanno tutti parte di Comunità neocatecumenali dove, in un cammino di iniziazione cristiana, stanno scoprendo tutta la bellezza e la ricchezza del proprio battesimo, della propria fede cristiana, tutta la gioia di sentirsi figli di Dio oggi. E’ il frutto di un lavoro pastorale che procede nella direzione giusta: il Cammino Neocatecumenale ha sostenuto e sostiene la famiglia all’interno di una comunità cristiana, la quale riscopre la propria fede. In questo modo la famiglia risponde al dono e alla bellezza della fede, aprendosi alla vita con coraggio e questa apertura alla vita salva la Chiesa e la società di oggi. Il Cammino Neocatecumenale, frutto della riscoperta del catecumenato fatta dal Concilio Vaticano II, è iniziato in Campania nel 1974, ed è presente in quasi 200 parrocchie, con oltre 650 comunità (40 parrocchie e 200 comunità nella sola Diocesi di Napoli). E’ stato riconosciuto dalla Chiesa come “un itinerario di formazione cattolica, valida per la società e i tempi odierni” (Giovanni Paolo II), ed è una “modalità di attuazione diocesana dell’iniziazione cristiana e dell’educazione permanente della fede”, come afferma lo Statuto del Cammino, approvato definitivamente dalla Santa Sede nel 2008. La presenza di tanti giovani provenienti da diversi paesi dell’Europa, accolti in un luogo così significativo come Piazza del Plebiscito, davanti ad un’Europa che invecchia e perde i suoi valori è un grido di speranza: Cristo dà senso vero e pieno alla vita dell’uomo; solo così questi uomini nuovi costruiscono una società nuova, che guarda avanti con fiducia. E’ un contributo che il Cammino dà alla nuova evangelizzazione. Le Parrocchie che lo accolgono e che lo fanno secondo le indicazioni volute dalla Santa Sede ed approvate nello Statuto, senza decurtazioni o interpretazioni personali, riscoprono in esso uno strumento prezioso, certamente non unico, per ravvivarle e renderle veri centri di fede, vere sorgenti di vocazioni. La Parrocchia, perché il Cammino “è una modalità diocesana di iniziazione cristiana”, riscopre un “dono di Dio per la sua Chiesa” (Benedetto XVI) per rianimare la sua missione. Le comunità non sono dei gruppi “in più” nella Parrocchia. Sono una risposta al processo di secolarizzazione in atto oggi nel mondo. Il Beato Giovanni Paolo II lo ha detto espressamente: “In una società secolarizzata come la nostra, dove dilaga l’indifferenza religiosa e molte persone vivono come se Dio non ci fosse, sono in tanti ad avere bisogno di una nuova scoperta dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, specialmente di quello del battesimo. Il Cammino è senz’altro una delle risposte provvidenziali a questa urgente necessità”. (Da Napoli, don Ezechiele Pasotti)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 140