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Sommario del 16/05/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI all’udienza generale: preghiera, opera dello Spirito in noi. Appello per la famiglia: il lavoro la sostenga
  • Il Papa a “Caritas Internationalis”: la nuova struttura vi rafforzerà. Il cardinale Maradiaga sull’impegno per le donne migranti
  • Il Papa ad Hollande: la Francia promuova solidarietà e giustizia nel rispetto delle sue tradizioni spirituali
  • Proiezione in Vaticano del film “Maria di Nazareth” alla presenza del Papa
  • Il cardinale Schönborn: tutta la Chiesa è sorretta dalla fede di Maria
  • Sessione della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla questione della Fraternità San Pio X
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Crisi Ue. Monti: siamo in piena emergenza. Grecia di nuovo al voto, la Spagna rischia l'uscita dai mercati
  • Al via all'Aja il processo a Mladic, accusato di crimini contro l'umanità
  • Mali: si aggrava la situazione umanitaria. L'impegno della Chiesa
  • "Save the children": un minore su 4 a rischio povertà in Italia
  • "Migramed 2012", convegno a Cagliari delle Caritas del Mediterraneo
  • “Fate risplendere la santità di Dio”: a Roma, un convegno su San Vincenzo Pallotti
  • "Good news day": la rivista "Città Nuova" propone otto giorni di buone notizie
  • Cinema: al via la 65.ma edizione del Festival di Cannes
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: i cristiani non sono perseguitati ma vittime del clima di guerra
  • Sud Sudan: appello dei vescovi cattolici e anglicani contro la guerra
  • Sud Sudan: le donne di Juba per un futuro di pace
  • Cina: inaugurato il museo dedicato al gesuita Matteo Ricci
  • Pakistan: contro le persecuzioni, Paul Bhatti lancia l’Università delle arti e delle religioni
  • Indonesia: nelle Molucche assaltato un quartiere cristiano
  • Laos: aumenta la repressione nei confronti delle comunità cristiane locali
  • Honduras: trovato morto il giornalista sequestrato
  • Paraguay: nell'anniversario dell'indipendenza la Chiesa invita a superare povertà e corruzione
  • Angola: i vescovi chiedono più attenzione per i poveri in un Paese ricchissimo
  • Tanzania: nella regione di Kagera 60 famiglie senza casa per le inondazioni
  • Rwanda: i vescovi preoccupati per la riforma del Codice penale
  • Canada: appello dei vescovi per la protezione dei cristiani in Nigeria
  • Sud Corea: la Caritas lancia una campagna speciale per l'Africa
  • Appello di Caritas Europa sul ricongiungimento familiare
  • Francia: i vescovi si preparano all’Incontro Mondiale delle Famiglie di Milano
  • Messico: l'addio allo scrittore Carlos Fuentes
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI all’udienza generale: preghiera, opera dello Spirito in noi. Appello per la famiglia: il lavoro la sostenga

    ◊   Un appello per la famiglia, affinché il lavoro la sostenga e l’aiuti ad “aprirsi alla vita”, ed una catechesi sulla preghiera. Questa l’udienza generale di Benedetto XVI, stamani in Piazza San Pietro. Il Papa, dopo essersi soffermato nelle scorse settimane sugli Atti degli Apostoli, oggi ha infatti iniziato a parlare della preghiera nelle Lettere di san Paolo. Il servizio di Giada Aquilino:

    È stata la Giornata internazionale delle Famiglie, istituita dall’Onu e celebrata ieri, ad offrire al Papa l’occasione per riflettere sul tema delle relative iniziative di quest’anno dedicate all’equilibrio fra la famiglia e il lavoro:

    “Quest’ultimo non dovrebbe ostacolare la famiglia, ma piuttosto sostenerla e unirla, aiutarla ad aprirsi alla vita e ad entrare in relazione con la società e con la Chiesa. Auspico, inoltre, che la Domenica, giorno del Signore e Pasqua della settimana, sia giorno di riposo e occasione per rafforzare i legami familiari”.

    Nella catechesi, soffermandosi sul senso della preghiera nelle Lettere di san Paolo, Benedetto XVI ha spiegato il significato di “dono” che essa riveste. Per l’Apostolo delle genti, infatti, è “frutto della presenza viva, reale, vivificante del Padre e di Gesù Cristo in noi, attraverso lo Spirito Santo”. È quindi “azione dello Spirito del Padre e del Figlio”. Esaminando in particolare la Lettera ai Romani, il Pontefice ha spiegato che nella preghiera “possiamo aprirci, mettere il nostro tempo a disposizione di Dio”. “Noi sperimentiamo, più che in altre dimensioni dell’esistenza e della vita cristiana, la nostra debolezza, la nostra povertà, il nostro essere creature, poiché siamo posti di fronte all’onnipotenza e alla trascendenza di Dio”. Più progrediamo nell’ascolto e nel dialogo con Dio, “perché la preghiera diventi il respiro quotidiano della nostra anima”, tanto più - ha aggiunto il Papa - percepiamo il senso del nostro limite, “non solo davanti alle situazioni concrete di ogni giorno, ma anche nello stesso rapporto con il Signore”. Cresce quindi in noi “il bisogno di fidarci e affidarci sempre più a Lui”:

    “È lo Spirito Santo che aiuta questa nostra incapacità, illumina la nostra mente e scalda il nostro cuore, guidando il nostro rivolgerci a Dio. Per San Paolo la preghiera è soprattutto l’operare dello Spirito Santo nella nostra umanità, per farsi carico della nostra debolezza e trasformarci da uomini legati alle realtà materiali in uomini spirituali”.

    Lo Spirito Santo, dunque, “ci cambia”, in quanto con questa presenza “si realizza la nostra unione a Cristo, poiché si tratta dello Spirito del Figlio di Dio, nel quale siamo resi figli”. Quindi san Paolo - ha notato Benedetto XVI - parla dello Spirito di Cristo e non solo dello Spirito di Dio: “non solamente Dio Padre si è fatto visibile nell’Incarnazione del Figlio, ma anche - ha detto - lo Spirito di Dio si manifesta nella vita e nell’azione di Gesù crocifisso, morto e risorto”. Dunque lo Spirito orienta il nostro cuore verso Gesù Cristo.

    Quindi un esame dei comportamenti dell’uomo quando, nella vita cristiana, lascia operare “lo Spirito di Cristo come principio interiore” di tutto il suo agire: “con la preghiera animata dallo Spirito - ha sottolineato il Papa - siamo messi in condizione di abbandonare e superare ogni forma di paura o di schiavitù, vivendo l’autentica libertà dei figli di Dio”. E’ lo Spirito Santo a “liberarci dalle contraddizioni che viviamo” e non la nostra volontà:

    “Con la preghiera sperimentiamo la libertà donata dallo Spirito: una libertà autentica, che è libertà dal male e dal peccato per il bene e per la vita, per Dio. La libertà dello Spirito, continua san Paolo, non s’identifica mai né con il libertinaggio, né con la possibilità di fare la scelta del male, bensì con il frutto dello Spirito che è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé. Questa è la vera libertà, poter realmente seguire il desiderio del bene, della vera gioia, della comunione con Dio e non essere oppresso dalle circostanze che ci guidano verso altre direzioni”.

    Se lasciamo operare in noi lo Spirito di Cristo, ha aggiunto Benedetto XVI, “il rapporto stesso con Dio diventa talmente profondo da non essere intaccato da alcuna realtà o situazione”. Comprendiamo allora che con la preghiera non siamo liberati dalle prove o dalle sofferenze, ma “possiamo viverle in unione con Cristo, con le sue sofferenze, nella prospettiva di partecipare anche della sua gloria”. Molte volte nella nostra preghiera – ha detto il Papa - chiediamo con fiducia a Dio di essere “liberati dal male fisico e spirituale”; tuttavia “spesso abbiamo l’impressione di non essere ascoltati e allora rischiamo di scoraggiarci”:

    “In realtà non c’è grido umano che non sia ascoltato da Dio e proprio nella preghiera costante e fedele comprendiamo con san Paolo che le sofferenze del tempo presente non ostacolano la gloria futura che sarà rivelata in noi”.

    Quindi “la preghiera non ci esenta dalla prova e dalle sofferenze”, ma “ci permette di viverle e affrontarle con una forza nuova, con la stessa fiducia di Gesù” nei giorni della sua vita terrena, quando offrì preghiere e suppliche a Dio:

    “La risposta di Dio Padre al Figlio e alle sue forti grida e lacrime non è stata la liberazione immediata dalle sofferenze, dalla croce, dalla morte, ma era un esaudimento molto più grande, una risposta molto più profonda. Attraverso la croce e la morte, Dio ha risposto con la risurrezione del Figlio, con la nuova vita. La preghiera animata dallo Spirito Santo porta anche noi a vivere ogni giorno il cammino della vita con le sue prove e sofferenze, nella piena speranza e fiducia in Dio che risponde come ha risposto al Figlio”.

    Inoltre la preghiera, sostenuta dallo Spirito di Cristo, non rimane mai chiusa in se stessa, ma “si apre alla condivisione dei gemiti, delle sofferenze del nostro tempo”: diventa così - ha spiegato il Pontefice - “intercessione per gli altri, canale di speranza per tutta la creazione, espressione di quell’amore di Dio che è riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato”.

    Proprio con l’auspicio ad aprirci nella preghiera “alla presenza e all’azione dello Spirito Santo”, che ci porta “ad aderire a Dio con tutto il nostro cuore e con tutto il nostro essere” perché lo Spirito di Cristo diventa “forza della nostra preghiera debole”, il Santo Padre ha invitato tutti ad avere “certezza di non essere soli”. Quindi Benedetto XVI si è congedato nelle varie lingue dai presenti in Piazza San Pietro: in italiano ha rivolto - tra gli altri - un saluto ai fedeli dell’arcidiocesi dell’Aquila e a quelli di Rocca Santo Stefano e alla Comunità cattolica Shalom, ricordando pure la celebrazione domani dell’Ascensione del Signore.

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    Il Papa a “Caritas Internationalis”: la nuova struttura vi rafforzerà. Il cardinale Maradiaga sull’impegno per le donne migranti

    ◊   All’udienza generale, Benedetto XVI ha salutato il cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis, presente in Piazza San Pietro con il comitato esecutivo dell’organismo caritativo. “La vostra presenza – ha detto il Papa – esprime la comunione con il Successore di Pietro e la vostra prontezza nel ricevere la nuova conformazione giuridica dell’organismo”, avvenuta nei giorni scorsi. Il Papa ha ringraziato per questo e si è detto certo che la nuova struttura “sosterrà e incoraggerà” l’impegno di Caritas Internationalis “a servizio dei più bisognosi”. Ieri, intanto, è stata presentata la mostra fotografica “Donne a rischio, immagini dal Nepal” incentrata sul traffico di essere umani, in particolare delle donne. Un’iniziativa realizzata proprio da Caritas Internationalis in sinergia con l’ambasciata Usa presso la Santa Sede. Nell’occasione, Alessandro Gisotti ha chiesto al cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga di soffermarsi sull’impegno di Caritas Internationalis per le donne migranti:

    R. – La povertà non fa perdere la dignità della persona. Tante volte i poveri vengono abusati per i bisogni materiali, ma non devono perdere questo orizzonte. Loro continuano ad essere persone con dignità e non si può abusare di loro!

    D. – C’è sicuramente anche un problema di interessi alla base di questi fenomeni di traffico di esseri umani…

    R. – Certamente. Tante volte le donne vengono sfruttate per la prostituzione, ingannate: si promette loro un lavoro e poi invece si ritrovano in una vera schiavitù, perché sono sottomesse in condizioni indegne e a subire abusi sessuali.

    D. – Ovviamente nella violazione della dignità della donna si viola la dignità della famiglia, dei bambini, perché la donna è il centro...

    R. – Soprattutto in una cultura dove la mamma è centrale, questo ferisce tutti. Noi tutti soffriamo per questi abusi, perché davvero la dignità della persona umana è il valore supremo della Dottrina sociale della Chiesa.

    D. – Oggi viviamo in un periodo di crisi economica, che porta purtroppo anche ad un chiudersi di fronte al migrante...

    R. – Sì… e pensare che anche la Vergine Maria fu migrante e il Signore Gesù e San Giuseppe! Quando abbiamo la fede cristiana sappiamo che dobbiamo aiutare tutti i migranti che sono fratelli, sorelle e non sono nemici. Non è gente che viene a toglierci i nostri lavori, ma viene a cercare dignità e lavoro.

    D. – E l’impegno di Caritas Internationalis è anche di informare, di far conoscere realmente qual è la situazione...

    R. – Sono programmi necessari da fare, perché a volte il mondo non ha coscienza di questo e dobbiamo far crescere la coscienza, trattandosi di un problema umano, di sofferenza, di un problema in cui il Signore Gesù ci chiede di essere presenti.

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    Il Papa ad Hollande: la Francia promuova solidarietà e giustizia nel rispetto delle sue tradizioni spirituali

    ◊   Benedetto XVI ha inviato un messaggio al nuovo presidente della Repubblica francese, François Hollande, in occasione della sua investitura. Nel telegramma, il Papa auspica che la Francia, tanto in Europa quanto nella comunità internazionale, “sia un fattore di pace e solidarietà attiva nella ricerca del bene comune, del rispetto della vita e della dignità di ogni persona e di tutti i popoli”. Il Papa prega inoltre che il presidente francese possa, con l’aiuto di Dio e “nel rispetto delle nobili tradizioni spirituali e morali del Paese”, “conseguire con coraggio gli obiettivi di edificazione di una società sempre più giusta e fraterna, aperta al mondo e solidale con le nazioni più povere”. Il Papa conclude il suo messaggio impartendo sul presidente Hollande e su tutti i francesi la sua benedizione apostolica. (A.G.)

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    Proiezione in Vaticano del film “Maria di Nazareth” alla presenza del Papa

    ◊   Alle ore 17.30 di questo pomeriggio, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, alla presenza di Benedetto XVI, avrà luogo la proiezione del film “Maria di Nazareth”, una co-produzione RaiFiction, Lux Vide, BetaFilm, Tellux, Bayerischer Rundfunk, Telecinco Cinema, per la regia di Giacomo Campiotti.

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    Il cardinale Schönborn: tutta la Chiesa è sorretta dalla fede di Maria

    ◊   Senza la fede la Chiesa non esiste e nella certezza di Maria in Cristo, tutta la Chiesa sopravvive. Così, il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza episcopale austriaca, ieri, nella Messa vespertina presso la chiesa romana di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci, in Roma. La riflessione presentata in occasione della presenza dell’immagine della Madonna pellegrina di Fatima e delle reliquie dei Beati Francesco e Giacinta, si colloca al centro del mese mariano. Il porporato ha sottolineato la centralità di Maria nella vita dell’uomo e la vivacità della Chiesa austriaca. Massimiliano Menichetti, con la collaborazione di Salvatore Cernuzio, (Zenit) ha intervistato lo stesso cardinale Schönborn:

    R. - Mi colpisce sempre la sua fede nella vita quotidiana, perché siamo tentati di dimenticare che la maggior parte della sua vita era la vita nascosta di Nazaret. La vita di San Giuseppe, di suo figlio Gesù, è la vita quotidiana di ognuno di noi, una vita lavorativa con tutte le difficoltà: immaginiamo che doveva comprare il legno, fare contratti, doveva pagare i suoi collaboratori perché un falegname non può lavorare solo. Poi, c’erano le difficoltà di una terra occupata dai romani: una situazione di ingiustizia, di povertà, di persecuzione, di oppressione. In mezzo a tutto ciò c'è il figlio di Dio, figlio di Maria. Anche per noi, concretamente, nella vita quotidiana, Maria sta con noi nelle sofferenze, nelle pene. Ciò che è grande in Lei è la fede senza esitazione. Penso che questo sia il messaggio centrale. Anche nei luoghi mariani: cosa impariamo a Lourdes, a Fatima, negli altri luoghi conosciuti o meno conosciuti? Che sempre si indirizza ai semplici. Bernadette non sapeva leggere e scrivere, era analfabeta; i bambini di Fatima, sono loro che danno il messaggio della Madonna, sono loro chiamati ad essere apostoli. Che insegnamento per noi, con tutto il nostro orgoglio per il successo, il progresso, la ricchezza! E adesso, nella crisi, vediamo dove sono i veri valori.

    D. - Così tanti pellegrini che si recano nei luoghi di Maria attestano che c’è speranza?

    R. - Assolutamente c’è speranza, perché la speranza non è una virtù della facilità, è la virtù dell’essere ancorato in Dio quando, come dice san Paolo, contro ogni speranza sperava! La speranza umana è una cosa bella, ma la speranza di fede è qualcosa di molto più grande e c’è speranza perché Dio c’è.

    D. - Guardando all’immagine di Maria, nella sua omelia lei ha ribadito: nella fede di Maria tutta la Chiesa è sopravvissuta…

    R. - Senza la fede la Chiesa non esiste e nella notte del Sabato Santo tutti erano nelle tenebre dell’apparente fallimento. Solo la Vergine, ci dice la tradizione, ha mantenuto la fede e dobbiamo pensare alla sofferenza terribile della morte reale di suo figlio. In questo mantenere la fede, tutta la Chiesa è sopravvissuta e sopravvivrà sempre nella fede.

    D. - Vuole affidarci un appello per quanto riguarda il suo Paese?

    R. - Un piccolo messaggio sulla Chiesa in Austria. Nei mass media c’è un’immagine unilaterale. E’ vero che ci sono difficoltà, proteste, ma c’è molta fede. Quando penso ai numerosissimi gruppi di preghiera di giovani - di cui non si parla - potrei dare una lunga lista! Quanti gruppi di preghiera esistono! Per questo voglio trasmettere un’altra visione, vorrei si sappia che la nostra Chiesa è viva.

    D. – Benedetto XVI nell’udienza generale di mercoledì scorso ha esortato i giovani a non abbandonare il Rosario quale preghiera semplice, ma efficace per un dialogo diretto con Maria. Quanto è importante il Rosario?

    R. – Per me il Rosario è la preghiera dei poveri perché quando sei stanco, quando sei esaurito, con la catena in mano sei sempre sicuro. Mi colpisce ogni volta nell’Ave Maria: “Adesso e nell’ora della nostra morte”. “Adesso”: sempre, nell’adesso della mia vita, c’è Maria. Si diceva tante volte: ah, queste vecchie donne che pregano il Rosario! Questo si diceva già nella mia gioventù, ma le vedo ancora oggi: non sono le vecchie di 50 anni fa, sono le vecchie di oggi e continuano a pregare! E chi disprezza le vecchie che pregano non ha capito niente del Vangelo.

    La statua della Madonna pellegrina di Fatima rimarrà nella chiesa di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci fino a domenica 20 maggio. Oggi, a celebrare la Santa Messa vespertina nella parrocchia più vicina a San Pietro sarà il cardinale maltese Prospero Grech.

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    Sessione della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla questione della Fraternità San Pio X

    ◊   Come anticipato da agenzie di stampa, oggi si è riunita la Sessione ordinaria della Congregazione per la Dottrina della Fede ed è stata discussa anche la questione della Fraternità San Pio X. In particolare è stato esaminato il testo della risposta di mons. Bernard Fellay, pervenuta il 17 aprile scorso, e sono state formulate alcune osservazioni che saranno tenute presenti nelle ulteriori discussioni tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X. In considerazione delle posizioni prese dagli altri tre vescovi della Fraternità San Pio X, la loro situazione dovrà essere trattata separatamente e singolarmente.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, all'udienza generale il Papa chiede che le famiglie siano sostenute dal lavoro e aiutate ad aprirsi alla vita: "La preghiera rende liberi".

    Manuel Nin firma un editoriale sull'Ascensione del Signore nella tradizione bizantina.

    In cultura, anticipazioni dal convegno internazionale “In ascolto dell’Africa. I suoi contesti, le sue attese, le sue potenzialità”, che si terrà il 16 maggio alla Pontificia Università Urbaniana: le conclusioni del cardinale prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Fernando Filoni, e l'intervento di Gianni Colzani, della facoltà di Missiologia dell’Urbaniana, sull'esortazione apostolica post-sinodale "Africae munus".

    Anticipiamo anche gli interventi che i cardinali Gianfranco Ravasi e Lluis Martínez Sistach, rispettivamente Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e arcivescovo di Barcellona, terranno in occasione del Cortile dei Gentili che si terrà nella città catalana il 17 e 18 maggio.

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    Oggi in Primo Piano



    Crisi Ue. Monti: siamo in piena emergenza. Grecia di nuovo al voto, la Spagna rischia l'uscita dai mercati

    ◊   L’Europa si interroga sul proprio futuro e guarda al presente con grande preoccupazione. La Grecia torna alle urne il 17 giugno: potrebbe essere un vero e proprio referendum sull'Euro. Il presidente della Commissione europea Barroso ha parlato di voto storico. Intanto, nel Paese è rischio panico: quello che si cerca di evitare è la corsa dei cittadini agli sportelli bancari per ritirare i propri depositi. Allarme anche dal premier spagnolo Rajoy: la Spagna rischia di uscire dai mercati con l'impossibilità di finanziarsi. Il presidente del Consiglio italiano Monti, da parte sua, ha sottolineato che l'Europa è nel pieno dell'emergenza: le prossime settimane saranno decisive. Il Fondo Monetario Internazionale comunque promuove la politica economica dell'Italia. Ma cosa accadrebbe, in termini pratici, se Atene uscisse dall'Euro? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Ugo Bertone, direttore di “Finanza e Mercati”:

    R. – Per la Grecia sarebbe un brutto shock dal punto di vista del debito da saldare, che salirebbe moltissimo, quindi ci sarebbe un momento molto difficile. Per altri Paesi, a partire dall’Italia, le difficoltà sarebbero altrettanto rilevanti, perché all’improvviso i mercati prenderebbero atto che l’Euro può anche cadere e che noi potremmo tornare, un domani, alla vecchia Lira: aumenterebbe quindi il nostro costo, rispetto alla comunità, per raccogliere denaro.

    D. – Ora la Grecia varerà un governo ad interim, che traghetterà il Paese verso nuove elezioni. Per antonomasia, un esecutivo ad interim potrebbe svolgere solo funzioni di quotidiana amministrazione, in questo caso però non sarà proprio così: ce la farà a reggere il peso della situazione venutasi a creare?

    R. – C’è un elemento, un dato sinistro: l’altro giorno, è scaduta una trance di debito in mano agli operatori più aggressivi - ove il governo, dotato di tutti i poteri, avrebbe probabilmente fatto opposizione a pagare quei soldi. La Grecia è così debole che ha dovuto pagare 500milioni delle residue riserve, che non arrivano a 2miliardi, e che rischiano di non essere sufficienti per le pensioni ed i salari. Credo che questo mese di debolezza aggraverà di molto i problemi della Grecia.

    D. – La cosa che fa più riflettere, è che anche in questa situazione l’Europa non si mostra unita: alcuni auspicherebbero l’uscita della Grecia, altri invece vorrebbero evitare questa ipotesi. Affrontare il problema in maniera così disomogenea, non è un fallimento per l’intera Unione Europea?

    R. – Assolutamente sì, non è possibile pensare di mettere d’accordo 27 teste su ogni problema, per combinare qualsiasi cosa. Soprattutto non è possibile quando si comincia a creare l’ostilità, il malumore, nei confronti del cugino ricco tedesco.

    D. – Quali sono i Paesi più a rischio, dopo la Grecia?

    R. – Entro l’anno – dice Nouriel Roubini, che ahimè ci prende spesso - dopo la Grecia toccherà al Portogallo, a Cipro e forse alla stessa Irlanda, che però può contare su una protezione da parte della City ben diversa; a quel punto la prima linea la si combatterà direttamente in Spagna. Ma tutti sono convinti almeno di una cosa: che la vera partita di sopravvivenza dell’Euro riguarda l’Italia.

    D. – Spagna ed Italia sono i primi due Paesi grandi dell’Unione che soffrirebbero di una crisi così importante...

    R. – Assolutamente sì, tra l’altro la situazione – al di là del condizionale – ormai è drammatica, perchè noi siamo sulla linea di resistenza, perchè si dice che un tasso di interesse reale superiore al 6% è insostenibile, oltre ai 5/6 mesi. Noi siamo leggermente sotto, la Spagna è sopra già di un mese abbondante, di questo passo il rischio collasso è veramente imminente.

    D. – Ieri, l’atteso incontro tra il nuovo presidente francese Hollande e la Merkel, a Berlino: Hollande è stato eletto con una buona percentuale di consenso, la Merkel è appannata invece dagli ultimi risultati elettorali, che hanno bocciato la sua politica di rigore. Questo sbilanciamento può portare in primo piano la crescita e lasciare in secondo piano il rigore?

    R. – Sì, probabilmente nell’agenda europea sì, e qualche cosa si potrà tirare fuori; ma purtroppo, per fare lo sviluppo e la crescita, o hai i capitali o lo fai sul debito. Noi non possiamo fare un nuovo sviluppo sul debito – il noi in questo caso è inteso come Europa, non solo come Italia – e per avere i capitali occorre avere la fiducia da parte del resto del mondo e bisogna aprire i propri forzieri, cosa che non stiamo facendo.

    D. – Questo vuol dire che, ad esempio, aprire le porte alla Cina potrebbe aiutare il destino dell’Europa?

    R. – Rovesciamo il discorso: la Cina ha appena dichiarato che ha interrotto gli acquisti di bond, BTP e di ogni altra carta europea. Loro, in questo momento, compaiono per comprare degli asset, per comprare il Porto del Pireo, infrastrutture, cose esistenti, piuttosto che case di moda o il Colosseo. In questo momento, loro come tutti gli altri ritengono che l’Europa abbia bisogno di dimostrare che ha voglia di crescere come continente, oppure di cambiare, di fare qualcosa di diverso. Non dimentichiamo che noi stiamo cominciando ad assaggiare la stessa medicina che abbiamo imposto ai Paesi asiatici - a metà anni ’90 - e siamo stati anche abbastanza “cattivelli“ all’epoca. Quindi, non stupisca se ora non sono tanto comprensivi nei nostri confronti.


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    Al via all'Aja il processo a Mladic, accusato di crimini contro l'umanità

    ◊   In primo piano oggi al Tribunale dell’Aja per l’ex Jugoslavia una delle pagine più drammatiche della storia del secolo scorso: la guerra in Bosnia, dal 1992 al 1995, un conflitto che provocò 100 mila morti e oltre 2 milioni di profughi. Alla sbarra Ratko Mladic, l'ex generale serbo-bosniaco catturato un anno fa dopo 16 anni di latitanza. Tra le accuse a Mladic soprattutto il massacro di Srebrenica, la località bosniaca dove nel luglio 1995 furono trucidati 8 mila musulmani. Molte altre le accuse a suo carico. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Andrea Rossini, giornalista e regista di "Osservatorio Balcani e Caucaso":

    R. – Mladic è accusato di aver partecipato ad una associazione criminale, il cui scopo era quello di rimuovere permanentemente i musulmani bosniaci e i croato-bosniaci dai territorio della Bosnia Erzegovina, che erano stati dichiarati territorio serbo. Inoltre, Mladic deve rispondere anche di crimini contro l’umanità – persecuzione, sterminio, deportazione e atti inumani – e per quanto riguarda soprattutto il lunghissimo assedio di Sarajevo è accusato anche di aver orchestrato una campagna di terrore nei confronti della popolazione di Sarajevo e quindi di violazione delle leggi di guerra. Un’altra accusa è quella dell’aver preso in ostaggio i caschi blu dell’Onu, durante il conflitto per cercare di impedire che avvenissero i bombardamenti sulle postazioni serbo-bosniache.

    D. – Di solito con un processo, qualunque sia la sentenza, si volta pagina sul passato: potranno le popolazioni dell’ex Jugoslavia veramente dimenticare quel periodo? Che cosa è rimasto?

    R. – Credo che l’apertura del processo dimostra che la giustizia internazionale c’è ed è uno dei meccanismi che possono aiutare a superare eventi tragici quali una guerra o quanto è avvenuto nel territorio dell’ex Jugoslavia negli anni Novanta. Al tempo stesso non bisogna sovradimensionare questo elemento: la giustizia è – appunto – uno degli elementi, ma poi ce ne sono molti altri che dovrebbero aiutare le società a elaborare il passato e a superarlo.

    D. – Le gravi accusa rivolte a Ratko Mladic pongono anche un grave interrogativo a tutta la comunità internazionale per quello che durante la guerra in ex Jugoslavia si poteva fare e non è stato fatto…

    R. – Diciamo che l’atteggiamento della comunità internazionale in Jugoslavia ha trovato la rappresentazione più drammatica nelle giornate del luglio del ’95 a Srebrenica. In quei giorni i caschi blu olandesi erano presenti, erano sul posto e le Nazioni Unite avevano dichiarato che quella era un’area protetta, dando un mandato alle truppe internazionali di difendere la popolazione assediata. Questo non è avvenuto e questo rappresenta una vergogna che col tempo non è stata cancellata!

    D. – Che cosa rimane di quelle guerre nel tessuto sociale di oggi dell’ex Jugoslavia: come vive la gente quel periodo non troppo lontano…

    R. – Proprio alcune settimane fa Sarajevo ha ricordato il ventennale dell’inizio dell’assedio con una cerimonia estremamente emozionante: è stato fatto un concerto per 11 mila sedie vuote, che ricordavano le vittime di quell’assedio. La memoria degli anni Novanta è fortemente presente nella vita quotidiana, anche perché potremmo dire che quasi ogni famiglia in Bosnia Erzegovina è stata toccata, in qualche modo, da quegli eventi e da quella guerra. Al tempo stesso, però, questa memoria procede su binari paralleli: possiamo vedere anche in questi giorni per l’apertura del processo Mladic i quotidiani e i media più diffusi nella Federazione di Bosnia Erzegovina, e quindi tra il pubblico prevalentemente bosniaco musulmano o croato bosniaco, sono ricchi di interviste alle vittime e di notizie; i media, invece, serbo-bosniaci hanno un atteggiamento molto diverso rispetto al raccontare questo processo, più scarno e che dimostra un atteggiamento e una memoria molto diversa di quegli anni e di quel tempo.


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    Mali: si aggrava la situazione umanitaria. L'impegno della Chiesa

    ◊   Difficile la situazione in Mali, in particolare nelle regioni del Nord dove le forze governative hanno perso praticamente il controllo, in seguito a mesi e mesi di proteste dei ribelli tuareg ma anche per il peso che, più di recente, hanno assunto le forze jihadiste. Dopo il colpo di Stato ad aprile, c’è attesa per la designazione ufficiale del nuovo presidente. Il periodo di governo ad interim affidato al già capo del parlamento maliano, Traoré, finisce il 22 maggio ma sembra non esserci accordo tra giunta militare e partiti sul possibile nuovo presidente. In questo contesto, è forte la preoccupazione per le condizioni della popolazione. Fausta Speranza ha raggiunto telefonicamente a Bamako, capitale del Mali, don Edmond Dembele, segretario della Conferenza dpiscopale dello Stato dell’Africa occidentale:

    R. – La situation humanitaire dans le Pays est assez alarmante…
    La situazione umanitaria nel Paese è realmente allarmante e questo soprattutto nel Nord del Paese, nelle regione in mano ad una serie di gruppi armati e precisamente le regioni di Kidal, de Gao e di Tumbutu. I raccolti dello scorso anno, il 2011, non sono stati molto buoni in tutto il territorio del Mali. A questa situazione difficile, si è aggiunta poi anche la guerra in queste regioni, e questo ha aggravato ulteriormente la situazione umanitaria. Le popolazioni di queste regioni soffrono un forte deficit alimentare e questo comporta problemi alla salute ma ci sono poi anche molti problemi riguardo all’acqua. Anche al Sud, i problemi legati alle carenze alimentari sono ormai palpabili già da qualche mese. Sull’insieme del territorio del Mali, quindi, la situazione umanitaria è molto grave, ma è ancor più grave nelle regioni del Nord.

    D. – Dopo il colpo di Stato, si può dire che c’è qualcuno che tiene le redini politiche del Paese o c’è un vuoto politico di fatto?

    R. – Oui, oui. Apres Le coup d’Etat de 22 mars dernier nous avons eu quelques jours…
    Dopo il colpo di Stato a marzo, abbiamo avuto per qualche giorno i militari che hanno assunto il comando del Paese, ma dopo circa 30-35 giorni il Paese ha riacquistato una sua stabilità politica: c’è un presidente ad interim che dirige attualmente il Paese e un nuovo governo è stato formato circa 3 settimane fa ed è già al lavoro. Attualmente, il Paese ha quindi un presidente e un governo che funziona. Ci potrebbe, però, essere qualche problema tra qualche giorno, perché il prossimo 22 maggio finirà il periodo ad interim dell’attuale presidente, ma la classe politica e la giunta militare non si sono ancora riusciti ad accordare sul nome sul presidente che dovrà proseguire la transizione, fino all’organizzazione di nuove elezioni democratiche, che vedranno la nomina del nuovo presidente e del nuovo governo. Ci troviamo quindi in questa situazione di attesa e tutti guardano alle mosse della classe politica per comprendere cosa deciderà di fare per superare questo momento di passaggio che viviamo ora.

    D. – Qual è l’impegno della Chiesa in aiuto alla popolazione e qual è la speranza della Chiesa per il Paese?

    R. – L’Eglise participe actuellement a la médiation…
    Attualmente la Chiesa partecipa alla mediazione, così come le altre confessioni religiose. L’arcivescovo di Bamako è molto favorevole all’incontro promosso dai leader religiosi ed è intervenuto, in diverse occasioni, sui mezzi di informazione e in particolare in televisione, per richiamare la popolazione e la classe politica alla pacificazione e per invitare gli uni e gli altri alla saggezza così da poter trovare delle soluzioni rapide alla crisi. La Chiesa è attiva sul terreno, e lo fa in accordo con le altre confessioni religiose nel quadro di una sorta di alleanza che riunisce tutti i leader religiosi. Questa alleanza dei leader religiosi è tenuta molto in considerazione e viene consultata, in diverse occasioni, da alcuni uomini politici e da membri della società civile per cercare di arrivare ad una soluzione per uscire dalla crisi. I vescovi del Mali, nella loro ultima sessione, tenutasi nell’aprile scorso, hanno rivolto un messaggio al Paese per richiamare la classe politica e l’insieme della società del Mali a cercare di superare gli avvenimenti dolorosi che viviamo per cercare di far fronte alla crisi che fa soffrire così tanto il popolo del Mali.

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    "Save the children": un minore su 4 a rischio povertà in Italia

    ◊   “Il paese di Pollicino” è il nuovo dossier curato da Save The Children, che denuncia come in Italia il 22,6% dei bambini sia a rischio povertà. L’Organizzazione affida quindi al governo Monti le sue proposte affinché si dimezzi la povertà minorile estrema e per tutto il mese di maggio lancia “Ricordiamoci dell’infanzia” una campagna in aiuto ai bambini a rischio. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    L’Italia dimentica i suoi figli. Un minore su 4, oggi, è a rischio povertà, che tra il 2006 e il 2010 ha colpito soprattutto i bambini. Questa situazione, denuncia Save The Children, non è frutto solo della crisi che si sta vivendo, ma viene da lontano. Matteo Rebesani, co-curatore del rapporto “Il paese di Pollicino”:
    "E’ una povertà che ha radici lontane, perché non è da oggi che gli adulti si dimenticano dei bambini. E’ da molti anni che l’Italia non investe sull’infanzia: l’1,4 del Pil contro una media del 2,3 e questa è una costante da molti anni. Questo fa sì che i servizi per i bambini in Italia siano molto scarsi".

    Mancano gli asili nido, scuole di qualità e spazi per il gioco e il movimento, necessari ad una crescita serena, denuncia l’organizzazione. Accanto a questo poi a gravare sulla vita dei bimbi il basso reddito familiare. Ancora Matteo Rebesani:

    "Purtroppo, crescendo e diventando adolescenti, vivono naturalmente condizioni ancora peggiori. Si sta diffondendo, ancora una volta e soprattutto al sud, ma non solo, anche al nord, la piaga dello sfruttamento del lavoro minorile. La crisi economica certo aggrava tutto questo, perché anche quei 50-60 euro che un ragazzo può raccogliere lavorando in nero in un bar, contribuiscono ad un bilancio familiare che altrimenti non consentirebbe di arrivare a fine mese".

    Sono diversi gli identikit dei bambini ad alto rischio povertà. Bimbi che vivono in famiglie numerose, bambini del sud e di origine stranera, ad aprire la lista coloro che vivono con un solo genitore:

    "Spesso è la donna, spesso a seguito di una separazione magari non facile, e che quindi non riesce a conciliare il proprio lavoro – quando c’è naturalmente – con la cura del figlio. E proprio su questo noi abbiamo fatto delle proposte concrete per cercare di andare incontro a queste mamme giovani e sole. Ci sono giovani coppie che subiscono il fatto che il mercato del lavoro impone loro spesso contratti precari o sottopagati, spesso i redditi di due giovani di 30-35 anni non sono sufficienti ad avere condizioni di vita accettabili".

    Save the Children articola quindi proposte concrete quali sgravi fiscali per ogni figlio a carico, i “Junior Voucher” per l’acquisto di beni essenziali per il bambino, l’utilizzo dei fondi europei per la creazione di nuovi asili nido, soprattutto dove mancano, nelle regioni del Sud Italia:

    "E poi interventi soprattutto per le mamme: aiutare, per esempio, creando un fondo di garanzia per le mamme, tutte quelle mamme con reddito basso che vogliono diventare imprenditrici, che hanno una capacità propria, un’idea propria, ma gli manca il credito per poterla mettere in atto. E poi vogliamo coinvolgere le imprese, non solo le istituzioni e non solo il pubblico, ma chiedere anche alle imprese, alle grandi ma anche alle piccole e medie imprese, di prevedere nei propri contratti con i propri dipendenti non solo gli asili aziendali, ma anche la possibilità – come si faceva una volta, forse molti anni fa – di attivare campi scuola estivi, di attivare la possibilità di corsi di formazione per i bambini, borse di studio per andare all’università. Tutte misure che permettano ai minori di famiglie con un reddito più basso di avere le stesse opportunità dei loro coetanei".

    Save the Children propone poi di ricorrere a strumenti esistenti ma finora totalmente inutilizzati. Rabesani:

    "Noi abbiamo scoperto in questa ricerca che esiste una legge sui diritti sportivi e commerciali, che destinava il 4 per cento di questi diritti – 35 milioni di euro, non tantissimi, ma comunque sempre 35 milioni di euro – per sostenere i giovani nello sport. Dal 2008 ad oggi questa legge non è stata applicata e quindi quello che noi chiediamo è che venga applicata da subito e che il 4 per cento dei diritti sportivi – quindi quelli delle squadre di calcio che certo non hanno problemi di soldi – possano essere destinati all’infanzia. Le risorse, andando a cercare nelle pieghe, si trovano, basta volerlo. Gli altri Paesi lo fanno!".

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    "Migramed 2012", convegno a Cagliari delle Caritas del Mediterraneo

    ◊   Al via oggi oggi a Cagliari 'Migramed 2012: dialogo tra le sponde', il terzo convegno internazionale delle Caritas del Mediterraneo. Tre giornate di confronto, promosse da Caritas italiana e dalla Caritas diocesana locale, per cercare strategie comuni, valutando gli effetti della "Primavera araba" in Nord Africa e Medio Oriente e il ruolo dell'Europa travolta dalla crisi economica e alle prese con l'emergenza umanitaria profughi. Su questi temi, Fabio Colagrande ha sentito Oliviero Forti, responsabile dell'Ufficio Immigrazione della Caritas italiana:

    R. - Da un lato abbiamo i movimenti del Nord Africa e del Medio Oriente che hanno avuto dei riflessi in termini di arrivi sulle nostre coste. Ancora oggi, stiamo affrontando la situazione in termini di accoglienza, perché, voglio ricordare ai radioascoltatori, che la rete delle Caritas diocesane garantisce tremila posti di accoglienza per coloro che sono giunti dalla Libia fino ad agosto dello scorso anno. Dall’altro lato, evidentemente in Italia c’è una crisi economica che non può essere sottovalutata anche nell’ottica di un corretto processo di integrazione di queste persone, perché come sappiamo, molte sono fuggite dalla guerra, ma molte altre sono venute per motivi economici. Quindi anche l’inserimento pone, in momenti di crisi, delle difficoltà che chiaramente solo qualche anno fa, non avevamo a riguardo.

    D. - Cagliari come sede di Migramed 2012 non è un caso; è stata scelta proprio perché è stata una Caritas impegnata in prima linea nell’accoglienza dei richiedenti asilo che arrivavano lo scorso anno dalla Libia...

    R. - Certamente. Questo è il terzo appuntamento di Migramed. Il primo è stato in Sicilia, il secondo per evidenti ragioni legate alla situazione di emergenza dello scorso anno, abbiamo dovuto tenerlo a Roma in forma ridotta. Quest’anno lo rilanciamo in una forma più allargata a Cagliari, alla presenza di tutti i Paesi del Mediterraneo, dal Marocco fino al Libano, passando per la Grecia, Spagna, Francia: un coinvolgimento ad ampio spettro, perché abbiamo tutti bisogno di capire cosa sta accadendo, e soprattutto quali saranno le prospettive nel medio e nel lungo periodo, perché le incognite, nonostante le primavere arabe sono molte, a partire dalla Libia: il ministro degli Esteri libico, solo qualche giorno fa, ricordava all’omologo ministro degli esteri italiano, come dalla Libia potrebbero riprendere a breve sbarchi e partenze. Abbiamo notizia di migliaia di persone pronte a lasciare il Paese per raggiungere le nostre coste.

    D. - Quanti sono i rifugiati dalla Libia giunti in Italia, dopo il conflitto dello scorso anno nel Paese nordafricano?

    R. - Sono certamente oltre 25 mila; a questi si aggiungono anche i circa 20 mila e qualcosa di più che sono giunti dalle coste tunisine, quindi cittadini tunisini. È evidente che per quanto riguarda la Tunisia, assistiamo a degli sbarchi: solo la settimana scorsa, a Mazara del Vallo, abbiamo avuto l’ennesimo sbarco da questo Paese nonostante gli accordi. Chiaramente un numero inferiore rispetto a quelli che avevamo visto solo un anno fa, però questo a dimostrazione del fatto che un po’ tutto il Nord Africa, ancora costituisce un serbatoio, sia in termini di persone che giungono da quei Paesi, sia di persone che transitano per quei Paesi come nel caso della Libia.

    D. - La Caritas italiana in occasione di Migramed 2012 ribadisce però, che purtroppo gli enti locali come le Caritas incaricate dell’accoglienza, hanno difficoltà perché le erogazioni di denaro statale sono in ritardo...

    R. - Colgo l’occasione anche per lanciare nuovamente un appello al nostro governo affinché intervenga quanto prima. Non ne farei più un problema solamente economico. Ma io partirei proprio dalla necessità di garantire a queste persone uno stato giuridico certo. Questa è - come dire - una condizione che fin dall’inizio di questa emergenza, quindi anche con il governo precedente, non è mai stata affrontata e risolta come si è chiesto da più parti: ovvero dare un permesso di soggiorno a queste persone. Il vantaggio quale sarebbe: da un lato, di emanciparle da una condizione di assoluta precarietà esistenziale, dall’altro chiaramente aiutare il nostro Paese in una fase di crisi - e richiamiamo qui la crisi economica - perché queste accoglienze costano molto. Quindi poter dare un permesso del genere, significa poter far uscire queste persone, e garantirgli quei processi di integrazione particolarmente necessari in questa fase.

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    “Fate risplendere la santità di Dio”: a Roma, un convegno su San Vincenzo Pallotti

    ◊   Al Centro di spiritualità pallottina “Cenacolo” di Roma è in corso il convegno sul tema “Fate risplendere la santità dal Dio”, tema scelto per i festeggiamenti del 50.mo anniversario della canonizzazione di Vincenzo Pallotti, avvenuta il 20 gennaio 1963. Le giornate di riflessione, che si concluderanno sabato, sono state organizzate dall’Istituto San Vincenzo Pallotti di Roma e affrontano il pensiero e la vita del Santo fondatore della Società dell’Apostolato Cattolico. Gina Maradei ha intervistato il direttore dell’Istituto, padre Jan Kupka:

    R. - Abbiamo scelto questo slogan come preparazione per le celebrazioni del 50.mo della canonizzazione di San Vincenzo Pallotti per risvegliare la consapevolezza della missionarietà, della santità e del significato della santità nella nostra vita. È chiaro che tutta la missionarietà dipende dalla identità personale di ogni persona coinvolta in questa missione. San Vincenzo Pallotti ci ha tracciato un cammino di santità che noi, nel nostro convegno, vogliamo riscoprire e trarre delle indicazioni anche per noi, per la vita di oggi. Il convegno ha un intento principale: fate risplendere la santità di Dio, però guardando al cammino di San Vincenzo Pallotti in confronto con la situazione di oggi.

    D. - Quale motivazione dovrebbe riscoprire, secondo lei, il fedele laico?

    R. - Il fedele laico deve riscoprire la sua identità nella Chiesa. Abbiamo inserito nel programma un tema sul pensiero di San Vincenzo Pallotti, sulla chiamata alla santità nel Concilio Vaticano II, cioè come risplende, come si vede questo pensiero del nostro Santo fondatore nell’insegnamento del Concilio Vaticano II. Così in questo modo mettiamo a fuoco l’attualità del suo insegnamento e nello stesso tempo possiamo dire la sua proposta di santità per oggi. In particolare, l’identità del laico per San Vincenzo Pallotti si rivela nella vita concreta in relazione con gli altri, cioè con i religiosi, con i sacerdoti, con tutti gli ecclesiastici, e il laico riceve identità se è in comunione con gli altri della Chiesa.

    D. - L’apostolato è vivo se c’è la carità, se si mette in pratica il comandamento dell’amore. Oggigiorno suona come una sfida in una società forse abituata più al calcolo, alla convenienza…

    R. - Pallotti partiva da una cosa molto, molto semplice: prendersi cura dell’altro, prendersi cura del prossimo. E perciò ha tracciato il cammino di santità su questo fondamento di carità. Voleva che in questo impegno nel vivere la carità nella vita quotidiana, risplendesse la carità di Gesù Cristo. Gesù ci ha chiamato per primi a vivere questa carità data come modello di vita da Dio Padre; Lui è venuto, Lui ha fatto vedere come si ama l’altro, cioè l’altra persona, come si ama il Padre Celeste. E quello che voleva Vincenzo Pallotti era proprio porre la carità come fondamento del cammino spirituale e del cammino di vita.

    D. - È prevista anche una visita alla casa natale del Santo e una Celebrazione eucaristica nella chiesa del Gesù a Frascati…

    R. - Abbiamo previsto un pellegrinaggio a Frascati, precisamente domani, giorno in cui San Vincenzo Pallotti ha celebrato la sua prima Messa nella Chiesa del Gesù. Ricordando questo momento, dobbiamo riscoprire la spiritualità sacerdotale oggi.

    D. - In vista delle celebrazioni per i 50 anni della sua canonizzazione, quali sono i prossimi appuntamenti?

    R. - In tutte le parti del mondo si fanno celebrazioni. Per esempio, in Polonia fanno un pellegrinaggio con le reliquie di San Vincenzo Pallotti da casa a casa, da chiesa a chiesa, in Brasile, in Germania e anche in Italia, sono previste conferenze, con il culmine delle celebrazioni intorno al 20 gennaio 2013.

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    "Good news day": la rivista "Città Nuova" propone otto giorni di buone notizie

    ◊   L’altruismo, la solidarietà, la legalità, sono mattoni importanti che costruiscono le nostre città e la convivenza umana: diamo voce e facciamo conoscere tutto il buono che c’è in mezzo a noi. E’ l’iniziativa lanciata dalla rivista “Città Nuova” che propone una “Good news day”, una “Giornata delle buone notizie” che, dal 13 maggio scorso e per un’intera settimana, dia spazio in tutti i mezzi di comunicazione al positivo. Ma come si colloca questa iniziativa nel quadro dell’attuale mondo dell’informazione? Adriana Masotti lo ha chiesto a Maddalena Maltese, giornalista di “Città Nuova”:

    R. – Il mondo non può essere raccontato solo dal punto di vista dei furbetti, dei dittatori sanguinari, dello spread, della crisi economica, ma la fotografia del mondo è fatta anche di altro. Da qui l’idea di lanciare una Giornata nazionale delle buone notizie, in cui raccontare, sicuramente accanto alle ingiustizie e ai disagi, anche la speranza e tutto il bene che costruisce il nostro Paese. Al di là dei tagli del welfare, ad esempio, la famiglia che mette in piedi un’associazione che coinvolge tante altre famiglie per i ragazzi con disagi, oppure quella città che dice di ‘no’ all’acquisto degli F35….

    D. – Ma che valore ha il fatto di fare spazio nell’informazione quotidiana anche per il positivo?

    R. - Ha valore perché racconta realmente una fotografia piena del nostro mondo, dove appunto le sciagure non possono uccidere la speranza, l’ottimismo, la voglia di fare, le energie positive.

    D. – Si tratta, dunque, di rappresentare la realtà nella sua interezza...

    R. – Assolutamente sì. Ci ha dato in questo senso un ottimo spunto anche il messaggio che il Papa ha lanciato per la 46.ma Giornata delle Comunicazioni sociali, dove sollecita a dare vita ad una conoscenza condivisa e autentica, in cui tutti diventiamo cercatori della verità, una verità che sicuramente ha tutte queste sfaccettature e che non è fatta di buonismo o di una glassa che addolcisce il nostro mondo o la realtà con cui ci troviamo a confrontarci. Indubbiamente, però, della Grecia, ad esempio, possiamo raccontare la fame, la fatica, ma dobbiamo avere anche il coraggio di raccontare le mense di solidarietà dei quartieri, quello che la gente sta facendo per aiutarsi, per uscire fuori da situazioni drammatiche. Non può essere unilaterale il racconto della realtà, ma deve avere spazio per tutte queste storie.

    D. – L’iniziativa, “Good news day”, chiede qualcosa ai fruitori dell’informazione e un impegno anche ai giornalisti. Di che cosa si tratta?

    R. – Ai nostri colleghi sicuramente chiediamo di avere il coraggio di tirar fuori dai cassetti quelle belle storie che tante volte sono state bloccate da un fatto scandalistico immediato di cui ci si doveva occupare, dai ‘no’ degli editori, da quelle emergenze che hanno preso il sopravvento… Quindi, con coraggio di usare la creatività e la professionalità per raccontare anche di tutte quelle persone, quei fatti, quelle aziende che danno veramente un contributo etico al nostro Paese. Ai lettori chiediamo di essere protagonisti, segnalando fatti, iniziative, persone che possano essere esempi di una cittadinanza attiva e partecipe, valorizzando quello che può migliorare la convivenza.

    D. – Già da tempo “Città Nuova” ha proposto ai suoi lettori il manifesto per un’informazione responsabile. Che cosa si vuole sollecitare attraverso questo manifesto?

    R. – Noi ci siamo resi conto che apparentemente possiamo avere una conoscenza illimitata del mondo, attraverso la rete, attraverso i tg, attraverso i giornali. In realtà, questo mondo che noi possiamo conoscere, alle volte si restringe su quello che a noi piace, su chi la pensa come noi, sull’avere una conferma di come noi la pensiamo. Invece, in questo manifesto dell’informazione vorremmo spingere tutti ad uscire dai propri ghetti informativi, ad allargare l’orizzonte di conoscenza, ad incontrarsi con i testimoni e a far sì che le parole, le immagini promuovano realmente la dignità dell’uomo e costruiscano sul serio giustizia e pace come il Papa ci invita a fare.

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    Cinema: al via la 65.ma edizione del Festival di Cannes

    ◊   Al via oggi a Cannes, la 65.ma edizione del Festival del Cinema. Primo film in concorso l'americano "Moonrise Kingdom". Da Cannes, il servizio di Luciano Barisone:

    La straordinaria varietà dei mondi possibili, un folto gruppo di cineasti famosi – da Matteo Garrone a David Cronenberg, da Michel Haneke a Walter Salles, da Carlos Reygadas a Leos Carax, da Ken Loach a Abbas Kiarostami - dagli esordienti in cerca di riconoscimento, un largo spettro di forme di cinema (dal classico allo sperimentale), l’indispensabile filtro dei sentimenti e delle emozioni, una forte tensione etica che sovrintende il tutto. Così, si presenta a prima vista, sfogliando il catalogo, la 65.ma edizione del Festival di Cannes, dove si passa dagli Stati Uniti degli anni '50 e '60 alla Francia contemporanea, dall’Egitto della "primavera araba" all’Italia dei reality show, dall’Africa della povertà e della violenza alle dinamiche contraddittorie dell’Europa.

    È un’impressione confermata dal primo dei film in concorso, “Moonrise Kingdom” dell’americano Wes Anderson, che apre oggi la manifestazione. Qui l’azione si svolge negli anni '60 su una piccola isola al largo della Nuova Inghilterra, fra la casa di una coppia di avvocati, un campo scout e una stazione di polizia. Protagonisti due adolescenti inquieti che problemi comuni spingono l’uno nelle braccia dell’altra : lui, orfano di entrambi genitori, passa da una famiglia in affido ad un'altra senza mai trovare il conforto di una voce amica; lei, figlia di genitori benestanti e distratti, sente il suo anticonformismo scambiato per un problema caratteriale. Si incontreranno per caso ad una recita parrocchiale e sarà il colpo di fulmine. Durante un’estate, funestata da una dei più devastanti uragani della storia americana, vivranno la più avventurosa delle educazioni sentimentali.

    Wes Anderson, già autore di film straordinari su bizzarri nuclei familiari, come “La Famiglia Tennenbaum” o “Le avventure acquatiche di Steve Zissou”, ci introduce qui in un mondo che ci ricorda i romanzi di formazione, con uno stile rapido e nervoso, traboccante di invenzioni, brillante nei dialoghi e interpretato da uno stuolo di star - da Bruce Willis a Frances McDormand, a Edward Norton, a Bill Murray - che si piegano con grande compostezza a ruoli di comprimari. Il senso del film è che da un piccolo mondo antico come quello si possano trarre indicazioni per il nostro presente. Alla fine l’amore è più forte di ogni cosa. Ma qui siamo negli anni '60 e i Beatles cantavano “All you need is love”. Però, forse qualcosa ancora oggi non è perduto. Per il momento siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Vediamo se i film dei prossimi giorni andranno in questa direzione.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: i cristiani non sono perseguitati ma vittime del clima di guerra

    ◊   "In Siria è prematuro parlare di odio religioso contro i cristiani. In un anno di conflitto gli estremisti islamici non hanno attaccato nemmeno una chiesa". Lo affermano fonti dell'agenzia AsiaNews in Siria, che correggono le notizie di attacchi mirati contro i cristiani pubblicate in questi giorni dai media occidentali. Le fonti spiegano che "l'aggressione contro padre George Louis, parroco della chiesa greco cattolica di San Michele di Qara e la cacciata delle famiglie dal villaggio di Al Borj Al Qastal, sono fatti molto gravi. Tuttavia sono frutto del clima di guerra, violenza e assenza di legge di cui è vittima il Paese. A tutt'oggi le relazioni fra cristiani e musulmani sono uno dei pochi aspetti positivi in un clima di violenza efferata". Lo scorso 11 maggio a Qara alcuni uomini armati hanno aggredito padre George Luis nella sua abitazione, per estorcergli del denaro. Essi hanno colpito il religioso fino a tramortirlo e lo hanno legato e imbavagliato per evitare che desse l'allarme. Solo dopo diverse ore padre George è riuscito a chiamare uno dei suoi parrocchiani per chiedere aiuto. Lo stesso giorno ad al-Borj al- Qastal, i miliziani del Free Syrian Army avrebbero cacciato 10 famiglie cristiane e occupato le loro abitazioni. Finora è ancora incerto se essi siano stati espulsi o abbiano abbandonato le abitazioni di propria volontà. Un situazione simile si è verificata a Homs a fine marzo. I media occidentali hanno riportato la cacciata di oltre 50mila cristiani dalla città in mano ai ribelli islamici, ma la notizia è stata smentita dalla locale comunità dei gesuiti, che hanno invece parlato di un esilio volontario per sfuggire alle violenze. "Diversi giornali italiani e internazionali - continua la fonte - hanno bollato i fatti di questi giorni come un atto di persecuzione nei confronti dei cristiani, ma non considerano che, a parte la capitale e poche altre città, tutta la Siria è ormai una sorta di terra senza legge, infestata da criminali senza scrupoli che colpiscono chiunque si trovi indifeso. E in questo periodo la maggior parte della popolazione, cristiana e musulmana è in balia di queste bande. Per evitare reazioni violente che potrebbero essere strumentalizzate dai gruppi ribelli più radicali, l'esercito e la polizia siriana non intervengono". In oltre un anno di conflitto, i cristiani siriani hanno subito pochi attacchi a carattere persecutorio, simili a quelli condotti dagli islamisti in Iraq e in Egitto. E ciò nonostante la presenza di estremisti islamici, anche stranieri, sul territorio attribuibili. Le fonti spiegano che il vero scontro religioso è fra alawiti e sunniti, come dimostrano i recenti fatti avvenuti a Tripoli, nel nord Libano. "Ai posti di blocco - raccontano - sia i ribelli che l'esercito regolare trattano con rispetto la minoranza cristiana. Una loro persecuzione getterebbe discredito sul regime di Assad che ha fatto della tolleranza religiosa uno dei baluardi del suo governo. Ciò vale anche per i ribelli che cercano l'appoggio degli Stati occidentali". Le fonti notano che in un anno di guerra civile nessuna chiesa è stata bersaglio di attacchi da parte degli estremisti islamici o del regime. Finora gli islamisti hanno espresso solo minacce verbali accusando le minoranze di appoggiare il regime. Tuttavia, molti cristiani sostengono la visione dei ribelli e nel 2011 hanno partecipato insieme ai musulmani alle manifestazioni contro Assad. A tutt'oggi, gli unici danni ai luoghi di culto sono frutto di bombardamenti e scontri fra esercito e miliziani e non di attacchi mirati. Per le fonti, in questo clima di caos e violenza, chiunque potrebbe attaccare un monastero, un convento, una chiesa o un religioso senza essere punito. "Situazioni ben peggiori - affermano - si registrano in Iraq, Turchia, Egitto e anche in Giordania, dove si assiste a uno strisciante sentimento anticristiano radicato nella società e spesso fomentato dalle stesse istituzioni". (R.P.)

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    Sud Sudan: appello dei vescovi cattolici e anglicani contro la guerra

    ◊   I vescovi cattolici e anglicani (episcopali) del Sud Sudan chiedono alla comunità internazionale una posizione “più equilibrata” sul conflitto che oppone il loro Paese al Sudan. Nel messaggio, pubblicato al termine dell’incontro che si è tenuto a Yei dal 9 all’11 maggio, si afferma: “crediamo sia importante per i nostri amici nella comunità internazionale, assumere una posizione più equilibrata. ‘Equilibrata’ non vuol dire criticare entrambe le parti allo stesso modo, ma avere piuttosto una visione ampia e a lungo termine elaborata dopo un approfondito studio, e cercare di fare pressione dove serve per portare una pace giusta e duratura”. Nel documento, giunto all’agenzia Fides, viene tracciato per sommi capi il processo che ha portato all’indipendenza del Sud Sudan, favorito dalla comunità internazionale. L’atteggiamento dell’Onu e delle maggiori potenze riguardo alle recenti tensioni tra Juba e Khartoum sul controllo delle aree di frontiera, ricche di petrolio, di Heglig (chiamata Panthou dai sud-sudanesi) e di Abyei, ha però deluso la popolazione locale. “Viviamo a diretto contatto con le comunità del Sud Sudan, e quello che stiamo sentendo da loro ci preoccupa” scrivono i vescovi. “Sembra che il popolo del Sud Sudan stia perdendo la fiducia nella comunità internazionale. Abbiamo visto pure manifestazioni pubbliche contro le Nazioni Unite e il suo Segretario Generale, Ban Ki Moon. Allo stesso tempo, cominciamo a chiederci se la comunità internazionale capisca ancora le aspirazioni del popolo del Sud Sudan, così come delle comunità emarginate in Sudan”. Dopo che le truppe sud sudanesi avevano occupato Heglig, l’Onu aveva esercitato forti pressioni su Juba perché le ritirasse. Dopo il ritiro dei soldati sud sudanesi però l’aviazione di Khartoum ha continuato a colpire diverse zone di confine sud-sudanesi. I vescovi concludono affermando di “avere il sogno di due nazioni, che siano democratiche e libere, dove tutte le religioni, tutti i gruppi etnici, tutte le culture ed ogni lingua goda degli stessi diritti basati sulla cittadinanza. Sogniamo due nazioni in pace l’una con l’altra, che cooperino per fare il migliore uso delle risorse donate da Dio. Sogniamo che le persone non siano più traumatizzate, di bambini che possano andare a scuola, di madri che possano essere ricoverate in ospedale, della fine della malnutrizione e della povertà, e di cristiani e musulmani che possano recarsi in chiesa o in moschea senza paura. Il troppo è troppo. Non ci deve più essere guerra tra Sudan e Sud Sudan!”. (R.P.)

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    Sud Sudan: le donne di Juba per un futuro di pace

    ◊   Una zona cuscinetto per scongiurare il conflitto, le violenze, i bombardamenti e un nuovo futuro di guerra: è la richiesta alla base della petizione che le donne sud sudanesi hanno presentato alle Nazioni Unite e al Segretario generale della comunità internazionale. “In qualità di principali vittime, assieme ai bambini, delle violenze e atrocità che si accompagnano ai combattimenti in corso tra esercito di Khartoum e forze armate di Juba, le donne hanno voluto dire la loro – riferiscono all'agenzia Misna le giornaliste dell’emittente cattolica ‘Radio Bakhita’ – e hanno chiesto al Segretario Onu Ban Ki moon di comminare sanzioni a chi, dalle due parti della frontiera, dovesse violare una zona cuscinetto da ritenere “territorio neutro” fino a quando i negoziati tra i due Paesi non porteranno al raggiungimento di un accordo”. Il documento, che porta la firma di attiviste, politici e semplici cittadine è stato recapitato a Hild Johnson, rappresentante speciale dell’Onu in Sud Sudan e capo della missione internazionale Unmiss al termine di un corteo al quale hanno partecipato in centinaia. “Ad accompagnare il corteo era presente anche la banda dell’esercito, che ha suonato lungo il tragitto, attraverso le strade della città” racconta una missionaria comboniana presente all’evento, secondo cui “l’iniziativa ha raccolto tanta gente lungo il cammino. Tutti schierati per chiedere un futuro di pace”. (R.P.)

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    Cina: inaugurato il museo dedicato al gesuita Matteo Ricci

    ◊   È dedicato al missionario gesuita padre Matteo Ricci (1552-1610) il museo inaugurato il 13 maggio in Cina, grazie alla collaborazione tra le autorità civili e la Chiesa cattolica. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, il museo, la cui denominazione ufficiale è “Museo dello scambio culturale tra Cina e Occidente di Matteo Ricci”, si trova nella città di Zhao Qing, nella provincia del Guangdong, dove il missionario sbarcò nel 1583 assieme a padre Ruggieri. All’inaugurazione erano presenti il direttore ad interim dell’Istituto Ricci di Parigi e le autorità civili della provincia del Guangdong. Secondo don Gabriele Li Jia Fang, parroco della vicina parrocchia dell’Immacolata Concezione, “con questo museo, che si trova in una famosa località turistica, speriamo siano sempre di più le persone che possano conoscere le fede cattolica e la vita e le opere di questo grande missionario”. Oltre a manoscritti, vestiti, strumenti astronomici del gesuita, che ricordano il suo grande contributo dato alla Cina e al mondo intero, nel museo sono esposti anche oggetti e fotografie dei missionari, offerti dalla Chiesa locale. (G.M.)

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    Pakistan: contro le persecuzioni, Paul Bhatti lancia l’Università delle arti e delle religioni

    ◊   Istruzione e conoscenza sono la via per combattere ingiustizie sociali, emarginazione e violenze che colpiscono le vittime delle conversioni forzate in Pakistan. È quanto ha sottolineato Paul Bhatti, consigliere speciale del premier Gilani per l'Armonia nazionale, durante il seminario organizzato ieri a Islamabad dal suo dicastero e dal governo centrale, intitolato "Fermare le conversioni religiose forzate". Egli ha inoltre indicato due proposte per migliorare il livello di educazione nel Paese: fondare una università nella capitale dedicata allo studio delle Arti e delle religioni e dar vita a un Poli tecnologici nelle aree rurali, con "una quota speciale riservata ai membri delle minoranze". Paul Bhatti, fratello di Shahbaz, ministro federale per le Minoranze massacrato dagli estremisti islamici il 2 marzo 2011, continua il lavoro per lo sviluppo del Paese e il riconoscimento di pari diritti e opportunità fra musulmani e non in Pakistan. Durante l'incontro di ieri nella capitale, promosso con forza dal ministero per l'Armonia nazionale - riferisce l'agenzia AsiaNews - egli ha chiesto la collaborazione di intellettuali, filosofi e attivisti di tutte le fedi per contribuire allo sviluppo della nazione. Un ruolo particolare, aggiunge, è riservato alla Commissione per lo sviluppo della donna e al Consiglio per l'ideologia islamica, chiamati a "fornire suggerimenti e indicazioni utili". Invitando le autorità a "rivedere le leggi vigenti" sulle conversioni forzate, incapaci di porre un freno deciso al fenomeno, Paul Bhatti propone anche soluzioni concrete per "condurre i contadini poveri che appartengono alle minoranze" nell'alveo principale "dello sviluppo economico e sociale" mediante "soluzioni di lungo periodo". Per centrare l'obiettivo, egli assicura il proprio impegno di fronte alle banche - pubbliche e private - perché concedano "prestiti o piccoli crediti". Tuttavia, solo attraverso la conoscenza e l'istruzione sarà possibile conseguire uno sviluppo reale della nazione e di quanti sono relegati sinora ai margini della società. Il consigliere speciale del premier propone quindi di dar vita a "poli universitari tecnologici nelle aree agricole" con una "quota dedicata" agli studenti non musulmani; solo così sarà possibile "creare opportunità di lavoro e sviluppare l'economia delle classe oppresse della società". In tema di armonia interconfessionale, Paul Bhatti lancia infine l'idea di fondare a Islamabad l'Università per le belle arti e le religioni. Sarebbe la prima in assoluto in Pakistan e al suo interno, aggiunge il leader cattolico, "tutte le fedi religiose verranno insegnate con pari dignità e valore". Sarà un modo per promuovere l'obiettivo di una nazione "tollerante e di pace nella mappa del mondo". Infine, egli auspica "più seggi" dedicati alle minoranze al Senato, alla Camera e all'interno delle Assemblee provinciali. (R.P.)


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    Indonesia: nelle Molucche assaltato un quartiere cristiano

    ◊   Da tre giorni si susseguono scontri ad Ambon (Molucche) dove questa notte un gruppo di persone non ancora identificato ha incendiato abitazioni e motociclette in un quartiere a maggioranza cristiana. Fonti dell'agenzia AsiaNews raccontano che decine di famiglie hanno abbandonato le proprie case per paura di attacchi. In molti temono il coinvolgimento di gruppi estremisti islamici. Le violenze sono iniziate lo scorso 14 maggio mattina durante il Pattimura Day, giornata in memoria di Thomas Matulessy (1783 - 1817) eroe nazionale indonesiano nato ad Ambon, conteso fra cristiani e musulmani. Nella notte un gruppo di uomini ha attaccato la fiaccolata che dal villaggio Saparua sarebbe dovuta terminare nel centro di Ambon. Negli scontri sono rimaste ferite 44 persone. Ieri, il General Saud Usman Nasution ha sottolineato che le violenze sono state volutamente provocate da persone vicine ai movimenti radicali, ma ha escluso il coinvolgimento di terroristi islamici. Fra il 1999 e il 2001 nelle Molucche si è combattuta una guerra sanguinosa fra cristiani e musulmani. Migliaia le vittime delle violenze; centinaia le chiese e le moschee distrutte; migliaia le case rase al suolo; quasi mezzo milione i profughi. Nel febbraio del 2002 è stata sottoscritta una tregua fra i due fronti - nella zona cristiani e musulmani si equivalgono - firmata a Malino, nelle Sulawesi del Sud, attraverso un piano di pace favorito dal governo. (R.P.)

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    Laos: aumenta la repressione nei confronti delle comunità cristiane locali

    ◊   Nella Provincia di Savannakhet, in Laos, si va intensificando la repressione e l’abuso sulla libertà religiosa verso le comunità cristiane locali. Come si apprende dall’agenzia Fides, le autorità distrettuali di Phin hanno vietato la preghiera in casa e ordinato la rimozione delle croci appese alle pareti esterne delle abitazioni dei cristiani. L’11 maggio, due leader della Chiesa cristiana, il Pastore Bounlerd e il Pastore Adang, sono stati convocati in questura e interrogati per ore; le autorità hanno loro contestato l’utilizzo di alcune abitazioni come “chiese domestiche”, cioè come luoghi di culto dove i fedeli si riuniscono, leggono la Bibbia, pregano. Tali attività non sarebbero autorizzate. Per i Pastori, i fedeli si ritrovano in casa poiché non ci sono chiese nelle vicinanze e i simboli, come la croce, vengono esposti come quelli di tutti gli altri credenti. Prima di essere rilasciati, gli hanno dato un’ultima consegna: fermare la diffusione del messaggio cristiano in Laos. La repressione era iniziata 8 mesi fa nel distretto di Saybuli, con la chiusura di alcune storiche chiese. (G.M.)

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    Honduras: trovato morto il giornalista sequestrato

    ◊   Indossava un’uniforme dei ‘cobras’, corpo speciale della polizia, con una benda rossa sul volto il cadavere di Alfredo Villatoro, il giornalista rapito il 9 maggio a Tegucigalpa mentre si recava in redazione presso l’emittente radiofonica ‘Rhn’, la più seguita del Paese, dove ogni mattina, da 20 anni, presentava il bollettino di notizie di cui era coordinatore. La notizia del ritrovamento del corpo di Villatoro, con ferite di proiettili alla testa, - riferisce l'agenzia Misna - è giunta ieri sera, appena due ore dopo che il presidente della Repubblica, Porfirio Lobo, aveva dichiarato da San Pedro Sula che la sua famiglia aveva ricevuto un video che dimostrava che era ancora vivo. “E’ un affronto diretto allo Stato…occorre una strategia che ci consenta di capire da dove viene la minaccia” ha detto il portavoce del ministero della Sicurezza, Hector Iván Mejía, convinto tuttavia che quello di Villatoro sia stato un sequestro, ma che la situazione sia sfuggita di mano ai suoi rapitori. E’ in ogni caso troppo presto per avere certezze: “Abbiamo tre o quattro ipotesi” ha aggiunto. Anche l'arcivescovo di Tegucigalpa, il cardinale Rodriguez Mariadaga, aveva rivolto nei giorni scorsi un forte appello per la sua liberazione. Il rapimento di Villatoro era seguito al ritrovamento del cadavere di un altro giornalista, Erick Martínez Avila, rinvenuto in un canale di scolo a Guasculile, nel Distrito Central (sud dell’Honduras). Dall’insediamento alla presidenza di Lobo, nel gennaio 2010, sono 23 gli operatori dell’informazioni uccisi nel Paese centroamericano, almeno una decina hanno subito attentati e tre hanno lasciato il Paese. (R.P.)

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    Paraguay: nell'anniversario dell'indipendenza la Chiesa invita a superare povertà e corruzione

    ◊   La celebrazione del Te Deum per i 201 anni dell’Indipendenza del Paraguay è stata contrassegnata da una nota singolare: è stato impedito alle persone di entrare nella cattedrale e nella piazza antistante, sebbene tale disposizione non sia stata ufficialmente motivata da nessuno. Dinanzi a tutte le principali autorità del governo, lunedì scorso, l'arcivescovo coadiutore di Asuncion, mons. Edmundo Ponziano Valenzuela Mellid. ha descritto un Paese molto lontano rispetto a quello cui si era riferito poco prima il Presidente Lugo nel suo discorso alla nazione pronunciato prima di entrare in cattedrale, dinanzi alle sole autorità. Mons. Valenzuela Mellid ha ricordato che la Conferenza episcopale del Paraguay, in occasione del Bicentenario, aveva chiesto di "superare la povertà, il sottosviluppo e l'emarginazione in cui vive il Paese con politiche pubbliche volte a far fronte alle situazioni urgenti della nazione". L’arcivescovo ha detto che “la Chiesa chiede di superare l'impunità e la corruzione che hanno invaso il Paese, e ciò ha a che fare con la necessità di una riforma del sistema giudiziario”. Inoltre ha ricordato quello che c'è ancora da fare: “la riforma agraria, la lotta contro il latifondismo, il recupero delle terre di cui alcuni si sono impossessati in modo illecito, la protezione dell'ambiente”. Mons. Valenzuela ha esortato i presenti a ringraziare Dio per il Paese e a pregare per il suo futuro, sicuri che la grazia di Dio non verrà mai meno. Ai partiti politici ha chiesto di superare attriti e conflitti di ogni genere, mettere da parte gli interessi personali o di gruppo, per costruire una volontà politica per il bene comune del Paese. Infine l'arcivescovo ha chiamato tutti a costruire una nazione, una grande famiglia, uniti sotto la stessa bandiera degli ideali di pace, giustizia, libertà, unione ed uguaglianza, che Gesù Cristo ha riassunto nel comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. (R.P.)

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    Angola: i vescovi chiedono più attenzione per i poveri in un Paese ricchissimo

    ◊   “È necessario creare un osservatorio sulla povertà in Angola, in modo da effettuare un monitoraggio delle politiche di lotta contro la povertà, di verificare i risultati di queste politiche e il loro impatto effettivo sulla vita dei cittadini”. È la proposta lanciata da mons. Filomeno Vieira Dias, vescovo di Cabinda e responsabile le Comunicazioni Sociali della Conferenza episcopale angolana. Secondo quanto riferisce il quotidiano “O Apostolado”, anche l’arcivescovo di Malanje, mons. Luis Maria Perez de Onraita Aguirre, ha osservato che la lotta alla povertà rimane una sfida per il Paese. L’arcivescovo, in un incontro con i responsabili politici dell’area di Malanje, ha sottolineato che mentre la capitale Luanda è in pieno sviluppo, le aree rurali dell’Angola sono lasciate prive di risorse. Mancano in particolare investimenti per le infrastrutture stradali, per le scuole e per gli ospedali. L’Angola è uno dei principali produttori di petrolio dell’Africa, oltre a disporre di diverse altre risorse. È uno Stato quindi ricchissimo, ma la ricchezza è mal distribuita. Lo sfruttamento del petrolio oltretutto provoca gravi danni ecologici, come denunciato da mons. Vieira Dias. Il vescovo di Cabinda ha espresso preoccupazione per la sorte della fauna marittima, danneggiata dai riversamenti di petrolio dai pozzi offshore, e per il disboscamento della foresta di Mayombe da lui definita “un polmone, un supermercato e una farmacia per le popolazioni locali”. (R.P.)

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    Tanzania: nella regione di Kagera 60 famiglie senza casa per le inondazioni

    ◊   Almeno 60 famiglie della Regione di Kagera, in Tanzania, hanno perso la propria casa a causa delle inondazioni che, come riporta l’agenzia Fides, sono state le peggiori verificatesi negli ultimi 50 anni. Alcuni nuclei familiari sono stati accolti temporaneamente negli edifici scolastici; non risultano vittime e non mancano gli aiuti, compresi quelli alimentari e di biancheria. Gli abitanti della Regione erano stati allertati sull’approssimarsi di pesanti piogge, che sono durate ininterrottamente quattro giorni. Assieme a Mwanza, Kigoma, Kilimanjaro, Pemba, Unguja e Tanga, il territorio di Kagera è uno di quelli più gravemente colpiti dal fenomeno. Secondo gli esperti, queste perturbazioni sarebbero state provocate dall’aumento della bassa pressione dell’Oceano Indiano. (G.M.)

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    Rwanda: i vescovi preoccupati per la riforma del Codice penale

    ◊   La Conferenza episcopale del Rwanda (Cepr) guarda con preoccupazione alla riforma del Codice penale del Paese: è quanto informa una nota pubblicata dalla Cepr al termine della sua Assemblea ordinaria svoltasi nei giorni scorsi a Kigali. In particolare, i vescovi temono che la nuova normativa possa provocare una recrudescenza dei casi di aborto: il nuovo Codice, infatti, autorizza l’interruzione volontaria di gravidanza se una donna rimane incinta in seguito ad una violenza, se è vittima di un matrimonio forzato, se ha avuto rapporti con un congiunto fino al secondo grado di parentela o se la gravidanza mette seriamente in pericolo la sua vita o quella del bambino. Diversamente, la pena è variabile dai 2 ai 20 anni di prigione. Ma l’aborto volontario, scrive la Cepr, “è contrario non solo alla cultura, ma anche ai valori della popolazione ruandese”. L’Assemblea ordinaria ha poi trattato anche il problema della formazione: “I presuli – si legge nella nota – hanno esaminato la situazione dei Seminari maggiori del Paese ed hanno deplorato il fatto che essi non siano provvisti a sufficienza di personale docente”. Per migliorare la situazione, la Cepr si è detta pronta ad investire energie per trovare formatori ad alto livello e in numero sufficiente, a partire già da quest’anno. Sempre nell’ambito dell’educazione, i vescovi rwandesi si sono soffermati sul progetto di legge riguardante l’organizzazione ed il funzionamento dell’insegnamento prescolare, primario e secondario. Attraverso tale proposta, dovrebbe essere introdotto un Sistema educativo di base della durata di 9 anni: i precedenti 6 anni di educazione primaria verrebbero quindi sostituiti da un’istruzione base di 9 anni, che comprende 6 anni di istruzione primaria e altri 3 anni equivalenti alla scuola media inferiore o scuola secondaria. Ma secondo la Cepr tale progetto può essere ancora migliorato e ed per questo che tutti i responsabile dell’insegnamento che operano nelle strutture ecclesiastiche sono stati invitati a comunicare le loro osservazioni al Ministero dell’Istruzione. L’agenda dell’Assemblea ha poi portato sul tavolo i preparativi del Forum internazionale dei giovani che si terrà a Kigali il 14 novembre, organizzato dalla Comunità di Taizé: i preparativi dell’evento sono a buon punto, hanno detto i vescovi, ribadendo poi che bisogna chiedere allo Stato di garantire la sicurezza dei partecipanti. Inoltre, la Cepr ha ricevuto la visita di mons. Xavier Rambaud, vicario episcopale dell’arcidiocesi di Parigi, che ha espresso l’auspicio di poter migliorare la cooperazione tra le Chiese dei due Paesi, in particolare nel campo dell’educazione dei giovani. Infine, i vescovi rwandesi hanno salutato la rappresentate del Catholic Relief Service residente nel Paese, Jennifer Nazaire, che ha concluso il suo mandato. (I.P.)

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    Canada: appello dei vescovi per la protezione dei cristiani in Nigeria

    ◊   Un appello per la protezione della comunità cristiana in Nigeria è stato lanciato nei giorni scorsi dall’episcopato cattolico canadese, mentre nel Paese africano non sembra arrestarsi l’ondata di odio che vede soprattutto come epicentro la regione settentrionale. È stata Jos, il capoluogo dello Stato federale di Plateau, nella Nigeria settentrionale, a essere nuovamente teatro nei giorni scorsi di un attacco a un villaggio dove sono state uccise sette persone appartenenti a una famiglia cristiana. Il clima di forte tensione fa da sfondo a una lettera che il presidente della Commissione per i diritti umani della Conferenza episcopale del Canada mons. François Lapierre, ha indirizzato all’Alta Commissione della Repubblica federale della Nigeria in Canada. Nella lettera – riporta L’Osservatore Romano - si fa riferimento ad alcune dichiarazioni dell’arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale in Nigeria, Ignatius Ayau Kaigama, che denunciano la situazione e sottolineano la necessità di garantire maggiore sicurezza alla popolazione cristiana. Nella lettera mons. Lapierre richiama, in particolare, l’intervista rilasciata il 30 aprile dall’arcivescovo all’associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre in cui aveva espresso “grave preoccupazione” per la mancanza di protezione della comunità cristiana, specialmente nel nord del Paese. A tale riguardo mons. Kaigama osservava che nella regione settentrionale a fronte di un alto numero di attacchi contro i cristiani si registrano pochi arresti di colpevoli. Secondo quanto emerso, questi attacchi avrebbero una cadenza quasi giornaliera, con i cristiani come obiettivo principale. Nell’intervista, il presidente dei vescovi nigeriani denunciava: “Il motivo per cui nessuno abbia ancora identificato i colpevoli supera ogni immaginazione. Noi paghiamo le tasse e abbiamo il diritto di sentirci protetti e sapere cosa sta succedendo”. La lettera di mons. Lapierre prosegue richiamando il documento World Summit Outcome del 2005, approvato dall’Assemblea Generale dell’Onu con la risoluzione 60/1, che contiene un paragrafo dedicato alla “Responsabilità di proteggere”. L’articolo 138, in particolare, contempla quattro tipi di reati: genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità. La responsabilità di impedire tali crimini è innanzitutto dei singoli Stati nei confronti dei propri cittadini e il compito principale della comunità internazionale è aiutare gli Stati ad adempiere le proprie responsabilità. Il presule canadese conclude esprimendo vicinanza alla comunità cristiana in Nigeria richiamando il Presidente nigeriano Goodluck Jonathan all’ “l’urgente necessità di assicurare protezioni adeguate per i tanti cristiani che chiamano casa il vostro Paese”. (L.Z.)

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    Sud Corea: la Caritas lancia una campagna speciale per l'Africa

    ◊   La Caritas coreana ha deciso di inviare con urgenza 250mila dollari alle nazioni africane colpite dalla siccità. L'invio di beni di prima necessità è già iniziato, e l'organizzazione cattolica ha lanciato una colletta urgente fra la popolazione per raccogliere quanto più denaro possibile da inviare nelle zone colpite dal dramma. Il leader del Team di sostegno della Caritas coreana, la signora Shin, dice all'agenzia AsiaNews: "Non possiamo aspettare di vedere i bambini che muoiono di fame, per fare qualcosa". Al momento, spiega ancora, "in Africa settentrionale più di 12 milioni di persone affrontano una scarsità di cibo molto preoccupante. Il problema principale di quest'anno è stata la scarsità di pioggia, che ha fatto diminuire la produzione di cereali. Inoltre, l'aumento dei prezzi dei generi alimentari in tutto il mondo rischia di far diminuire ancora le razioni interne, che vengono vendute all'estero invece che alla popolazione". Non bisogna poi dimenticare, continua, "le rivolte della primavera araba, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalle proprie nazioni. Niger, Burkina Faso, Senegal e Chad sono state invase da profughi che vengono da Libia, Costa d'Avorio e Mali: al momento circa 12 milioni di persone sono in difficoltà e vivono con un pasto scarso al giorno. Servono fondi prima che inizi l'austerità di primavera: dobbiamo aiutarli prima che sia tardi". Insieme alle Caritas di altre nazioni, la Corea ha già iniziato l'invio di cibo, acqua potabile e medicinali. La Shin lancia un ultimo appello ai cattolici di tutto il mondo: "La situazione è grave e urgente. Dobbiamo fare di tutto per aiutare a salvare la vita dei nostri fratelli e sorelle in Africa settentrionale". (R.P.)

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    Appello di Caritas Europa sul ricongiungimento familiare

    ◊   Per Caritas Europa, è “inaccettabile” che la Commissione europea stia chiudendo un occhio sul fatto che vari Stati membri dell’Ue non si sono ancora adeguati alla direttiva europea sul ricongiungimento familiare. Lo rivela una dichiarazione congiunta resa pubblica ieri a Bruxelles dall’organismo e da 19 altre Ong. Secondo il comunicato, ripreso dall'agenzia Zenit, la Commissione è al corrente della situazione già dal 2008 quando un rapporto di valutazione aveva richiamato l’attenzione sul mancato recepimento della direttiva. Per questo, si legge nella dichiarazione, Caritas Europa chiede alla Commissione europea di avviare procedure di infrazione contro gli Stati membri che non si stanno ancora adeguando alle vigenti norme europee. Si tratta in particolare – prosegue il comunicato – per quanto riguarda le agevolazioni ai fini dell’ingresso, dei requisiti eccessivi per il ricongiungimento familiare, la proporzionalità delle misure di integrazione e delle condizioni materiali aggiuntive, e delle prove requisite per i beneficiari di protezione internazionale. “Caritas Europa considera la famiglia un valore inalienabile che corrisponde alle esigenze più profonde e alla dignità della persona”, si legge. “Inoltre, il ricongiungimento familiare è un diritto tutelato dall’articolo 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’uomo e dall’articolo 7 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Ue”, ricorda il comunicato. Quindi, Caritas Europa chiede alla Commissione europea e agli Stati membri di affrontare i seguenti 8 punti: rimuovere gli ostacoli pratici al ricongiungimento familiare; rendere i tempi di attesa e la durata delle procedure il più breve possibile; valutare la proporzionalità e l’accessibilità alle misure di integrazione per il ricongiungimento familiare; trasformare uguaglianza e proporzionalità nei principi guida di qualsiasi condizione materiale o abitativa; i beneficiari di protezione sussidiaria devono godere delle stesse norme favorevoli dei rifugiati; chiarire che il limite di età minima per gli sposi dovrebbe essere la maggiore età e rivalutare come combattere i matrimoni forzati; chiarire la definizione di membri familiari e di parenti a carico che hanno diritto al ricongiungimento familiare sulla base di proporzionalità e non-discriminazione; garantire l’accesso al permesso di soggiorno per lavoro autonomo/indipendente. (R.P.)

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    Francia: i vescovi si preparano all’Incontro Mondiale delle Famiglie di Milano

    ◊   “Ripensare il lavoro e la festa deve permettere di ritrovare i fondamenti di una vita familiare aperta, ben inserita nella società e nella Chiesa”: è quanto afferma mons. Jean-Luc Brunin, vescovo di Havre e presidente del Consiglio Famiglia e società della Chiesa francese. In un’intervista pubblicato sul sito web della Conferenza episcopale del Paese, il presule si sofferma sul settimo Incontro mondiale delle famiglie, che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno, alla presenza di Benedetto XVI, sul tema “La famiglia, il lavoro, la festa”. Tale evento, continua mons. Brunin, “sarà un’occasione per ritrovare il senso della festa in famiglia non come un momento individuale, ma come un tempo rigeneratore e rifondatore dei legami tra le diverse generazioni delle famiglie”. “La famiglia è una cellula-base della comunità umana – ribadisce il presule francese – E questo Incontro mondiale è importante dal momento che la famiglia viene acclamata come ideale desiderato, ma indebolito e contestato come modello culturale sorpassato”. Per questo, dichiara mons. Brunin, tali incontri sono necessari “per riaffermare a livello mondiale l’attaccamento della Chiesa cattolica alla famiglia, luogo insostituibile di umanizzazione e di costruzione delle persone nella loro dimensione di uomini, di cittadini e di credenti”. Di qui, la sottolineatura forte che “attaccare la famiglia significa correre il rischio di creare un profondo squilibrio che poi provoca effetti collaterali su tutta la società”. Per questo, afferma il presule, “non si può impunemente indebolire la cellula basilare della società”, poiché è in seno ad essa che “la persona può apprendere una vita sociale armoniosa attraverso l’esperienza dell’attenzione, della condivisione, della gratuità e della riconciliazione”. Infine, mons. Brunin ribadisce il sostegno che la Chiesa offre a tutti coloro che “si impegnano per la riuscita di una vita familiare”, un sostegno portato avanti attraverso “la cura della carità pastorale e un autentico impegno nella tradizione cristiana concernente la vita coniugale e familiare”. (A cura di Isabella Piro)

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    Messico: l'addio allo scrittore Carlos Fuentes

    ◊   “Un grande della letteratura” titola a tutta pagina il quotidiano messicano “El Universal” all’indomani della scomparsa di Carlos Fuentes, uno degli scrittori latinoamericani più noti e letti nel mondo. La notizia - riferisce l'agenzia Misna - è stata diffusa ieri sera dal presidente Felipe Calderon con un messaggio sul social network Twitter. Fuentes è morto all’età di 84 anni in un ospedale alla periferia sud di Città del Messico, dove era stato ricoverato per problemi cardiaci. Figlio di un diplomatico, affascinato dalla rivoluzione cubana e dai movimenti guerriglieri di sinistra ma senza perdere mai spirito critico e indipendenza, Fuentes era divenuto un riferimento essenziale nel panorama della letteratura in lingua spagnola. Tra i romanzi premiati con riconoscimenti internazionali si ricordano “La regione più trasparente” (1958), “La morte di Artemio Cruz” (1967) e “Il Gringo vecchio” (1985). Fuentes raccontava problemi e ingiustizie sociali con uno stile letterario innovativo e per certi versi sperimentale. Imprescindibile nella sua esperienza il senso di appartenenza a una cultura meticcia, depositaria dei valori della tolleranza e del rispetto delle minoranze. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 137

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.org/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Barbara Innocenti.