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Sommario del 15/05/2012
Il programma della visita del Papa a Milano per il raduno mondiale delle famiglie
◊ La Sala Stampa vaticana ha reso noto il programma ufficiale della visita che Benedetto XVI compirà a Milano dal primo al 3 giugno prossimi, in occasione del settimo Incontro mondiale delle famiglie.
Il Papa atterrerà alle 16 di venerdì primo giugno allo scalo di Milano-Linate e alle 17.30 sarà in Piazza Duomo per rivolgere un primo discorso alla cittadinanza. La giornata sarà chiusa dal concerto offerto in onore del Papa al Teatro alla Scala, con inizio alle 19.30. Il giorno dopo, alle 10, Benedetto XVI terrà una meditazione durante la celebrazione dell’Ora media nel Duomo milanese, seguita dalla venerazione delle reliquie di San Carlo. Quindi, alle 11.15, si sposterà allo Stadio Meazza di San Siro per incontrare i ragazzi cresimandi e concludere con la recita dell’Angelus. Nel pomeriggio alle 17, sarà la volta dell’incontro con le autorità nella sede dell’arcivescovado, quindi – alle 20.30 – il Papa e le famiglie partecipanti al raduno mondiale si abbracceranno idealmente alla “Festa delle testimonianze”, che inizierà alle 20.30 nel Parco di Bresso.
Nello stesso luogo, domenica 3 giugno, Benedetto XVI presiederà alle 10 la Messa, conclusa dalla recita dell’Angelus, quindi nell’arcivescovado si intratterrà a pranzo con i cardinali, i vescovi e alcune famiglie. Ultimo impegno della trasferta milanese sarà verso le 16.30, con il saluto ai membri della Fondazione Famiglie 2012 e agli organizzatori della visita, nella Sala del Trono dell’arcivescovado. La partenza dell’aereo papale da Milano-Linate per il rientro a Roma è prevista per le 17.30. (A cura di Alessandro De Carolis)
◊ Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Kumasi (Ghana), presentata da S.E. Mons. Thomas Kwaku Mensah, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato nuovo Arcivescovo di Kumasi S.E. Mons. Gabriel Justice Yaw Anokye, trasferendolo dalla sede di Obuasi. S.E. Mons. Gabriel Justice Yaw Anokye è nato il 27 maggio 1960 a Emenaa, arcidiocesi di Kumasi. Ha studiato filosofia al Seminario Regionale St. Peter, Cape Coast. Ha conseguito la licenza in Teologia Biblica presso le Facultés Catholiques a Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo, e il Dottorato in "Storia delle Religioni e Antropologia religiosa" a Parigi, frequentando l'Institut Catholique, la Sorbona e l'Università dello Stato Paris IV. È stato ordinato sacerdote il 16 luglio 1988 e incardinato nell’allora diocesi di Kumasi. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale, Cappellano dei movimenti giovanile e Vice-Direttore del Centro Pastorale Major Domo nella Bishop's House (1989-1992); Professore al Seminario Regionale St. Peter a Pedu, Cape Coast (1992-1994); a Parigi per studi superiori dal 1994 al 1999; Professore e Vice-Rettore al Seminario Regionale St. Peter (1999-2002). Il 30 ottobre 2003 è stato nominato Vescovo titolare di Celle di Mauritania e Ausiliare dell’arcidiocesi di Kumasi. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 17 gennaio 2004. Il 26 marzo 2008 è stato nominato Vescovo della diocesi di Obuasi.
Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Calicut (India) S.E. Mons. Varghese Chakkalakal, finora Vescovo di Kannur, e contemporaneamente lo ha nominato Amministratore Apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della diocesi di Kannur. S.E. Mons. Varghese Chakkalakal è nato a Malapallipuram, in diocesi di Kottapuram, il 7 febbraio 1953. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso il St. Joseph’s Seminary a Mangalore. È stato ordinato sacerdote per la diocesi di Calicut il 2 aprile 1981. Dopo l’ordinazione sacerdotale è stato: Vice-parroco nella parrocchia di Lourdu Matha, Pallikunnu (1981-1982); Vice-parroco nella parrocchia di S. Antonio, Pakkom (1982-1984); studente al St Joseph’s Pontifical Institute, Alwaye (1984-1986); Vice-parroco in tre parrocchie: Chalil, West Hill, Ezhimala (1986-1987); studente presso la Pontificia Università Urbaniana in Roma, dove ha conseguito la Laurea in Diritto Canonico (1987-1991); Parroco a Perinthalmanna e Chali (1991-1992). Dal 1992 è stato Professore di Diritto Canonico e Teologia Morale al St. Joseph’s Seminary, Mangalore. Il 5 novembre 1998 è stato nominato primo Vescovo di Kannur (India) ed ha ricevuto la consacrazione episcopale il 7 febbraio del 1999.
Il Santo Padre ha nominato Vescovo di San Jose (Filippine) S.E. Mons. Roberto Calara Mallari, finora Vescovo titolare di Erdonia ed Ausiliare dell’arcidiocesi di San Fernando. S.E. Mons. Roberto Calara Mallari è nato a Masantol, nell’arcidiocesi di San Fernando, Pampanga, il 27 marzo 1958. Ha frequentato il Seminario minore Mother of Good Counsel Seminary, Del Pilar, San Fernando, e il Seminario maggiore San Carlos Seminary, Guadalupe, Makati, nell'arcidiocesi di Manila. È stato ordinato sacerdote il 27 novembre 1982 per l’arcidiocesi di San Fernando. Dopo un anno come Vice-parroco, è stato per diversi anni Direttore Spirituale nel Seminario Mother of Good Counsel Seminary della sua arcidiocesi. Dal 1994 al 1997 è stato Direttore della Commissione arcidiocesana per la Famiglia e la Vita. Nel 1998 è stato nominato Parroco della parrocchia di Our Lord’s Ascension a San Fernando. Dal 2000 è anche Segretario Esecutivo della Commissione Episcopale per la Famiglia. Il 14 gennaio 2006 è stato eletto Vescovo titolare di Erdonia ed Ausiliare di San Fernando. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 27 marzo dello stesso anno.
Mons. Fisichella: dietro la crisi economica mondiale c'è una crisi di valori e di fede
◊ Tante sono le iniziative in tutto il mondo dedicate a Maria in questo mese di maggio. Iniziative che guardano già all'ormai prossimo Anno della Fede, indetto dal Papa per ottobre. In questo contesto, il presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, mons. Rino Fisichella, ha celebrato ieri una Messa nella chiesa romana di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci, in occasione dell'arrivo dell’immagine della Madonna pellegrina di Fatima e delle reliquie dei Beati Francesco e Giacinta. Nell'omelia, mons. Fisichella ha sottolineato che dietro l'attuale crisi economica c'è in realtà una crisi di fede. Ascoltiamo mons. Fisichella al microfono di Massimiliano Menichetti:
R. – La crisi di fede è quella che ci preoccupa di più. E’ una crisi che, come è solito dire Papa Benedetto XVI, è drammatica. Purtroppo questa crisi ha portato con sé, come conseguenza, una profonda incertezza nell’uomo stesso. E se porta incertezza nell’uomo, la crisi, ancora di più, diventa e si trasforma per molti versi in quelle forme di indifferenza, di individualismo, che sono spesso presenti nella società contemporanea, da cui purtroppo non si devono neanche escludere le diverse forme di cinismo, che essendo prive di ogni criterio etico e morale hanno portato a quella grande crisi finanziaria ed economica che attanaglia il mondo intero.
D. – In questo contesto, nel prossimo mese di ottobre, si apriranno l’Anno della Fede e il Sinodo dei vescovi, che avrà per tema la nuova evangelizzazione. Qual è la sfida?
R. – A mio avviso sarà proprio quella di far comprendere che ci sono dei cerchi concentrici, per così dire, verso cui porre l’attenzione della nuova evangelizzazione. Innanzitutto, a noi cristiani - questo è un messaggio che viene continuamente, e sarà così anche per l’Anno della Fede – perché riprendiamo coscienza e consapevolezza della responsabilità che abbiamo come credenti. Ravvivare quindi in noi la fede, ma ravvivare anche il senso di essere profondamente evangelizzatori. Poi, l’altro cerchio un po’ più grande, è quello di rivolgerci a tutti coloro che sono purtroppo diventati indifferenti, sono diventati agnostici o sono quelli che dicono troppo facilmente “sono cristiano, ma non praticante”, senza rendersi conto della grave contraddizione, del paradosso che viene messo in essere con questa espressione, perché il cristiano per sua stessa natura è colui che partecipa, è colui che vive della vita della comunità cristiana, della vita della Chiesa. Poi, il terzo cerchio, se questi altri primi due cerchi maturano nella consapevolezza e nella responsabilità, è dato a quanti sono ancora più lontani, ma desiderano probabilmente trovare ancora delle persone che sono capaci di annunciare l’amore di Dio.
D. – Lei ha sottolineato che "non è un caso" se siamo cristiani, cosa vuol dire?
R. – Innanzitutto c’è l’azione della grazia di Dio che ha agito in noi. Non dimentichiamo che se noi siamo cristiani è perché c’è la Chiesa che trasmette la fede, i nostri genitori l’hanno trasmessa. “Non è un caso” vuol dire anche che dobbiamo, da una parte, essere riconoscenti alla grazia di Dio che ci ha scelti, ci ha eletti per questa grande missione; dall’altra dobbiamo essere anche riconoscenti a chi ci ha trasmesso la fede, e questo deve diventare per noi un monito, che io lo esprimo con queste parole: questa generazione, la mia generazione, la sua generazione, sarà capace ugualmente di trasmettere la fede a chi verrà dopo di noi?
D. – Nella sua omelia, davanti all’immagine della Madonna di Fatima, ha ribadito che la Madonna ci invita a rimanere fissi con lo sguardo verso Cristo. E’ questo il senso del mese mariano, delle apparizioni di Fatima?
R. – Noi, tante volte, ricordiamo di Fatima soltanto quelle espressioni che vanno nei segreti di Fatima, ma Fatima porta con sé invece un messaggio anche molto esplicito, ed è l'invito alla penitenza, cioè l'invito alla conversione. Non dimentichiamo che le prime parole di Gesù, l’annuncio di Gesù, la prima predicazione di Gesù, riguarda proprio questo tema importante: "convertitevi e credete al Vangelo". Quindi, il messaggio che proviene dalla Vergine di Fatima ci riporta al cuore stesso del Vangelo. Poi chiedendo la Madonna ai tre pastorelli di Fatima se volevano donare la propria vita, chiede anche a noi di essere consapevoli della grande scelta della fede cristiana, che è quella di assumere in pienezza la responsabilità di essere annunciatori del Vangelo. Non dimentichiamo che è un annuncio che non sempre è semplice, è facile, soprattutto in diversi contesti del mondo di oggi, ma è un richiamo che ci porta ad annunciare la speranza, ci porta ad annunciare l’amore. E non dimentichiamo, ugualmente, che in diverse parti del mondo, diverse forme di martirio sono richieste ai cristiani ancora oggi.
La statua della Madonna pellegrina di Fatima rimarrà nella chiesa di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci fino a domenica 20 maggio. Oggi, a celebrare la Santa Messa vespertina nella parrocchia più vicina a San Pietro sarà il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza episcopale austriaca.
Il cardinale Amato: Santa Ildegarda di Bingen, esempio di virtù anche per i nostri giorni
◊ Il 10 maggio scorso, Benedetto XVI ha esteso alla Chiesa Universale il culto liturgico in onore di Santa Ildegarda di Bingen, monaca tedesca professa dell'Ordine di San Benedetto, vissuta nel XII secolo in Germania. Su questa figura femminile straordinaria, canonizzata de facto, Roberto Piermarini ha intervistato il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi:
R. - In realtà Ildegarda era considerata santa da secoli. Recentemente, lo stesso Papa Benedetto XVI aveva dedicato alla badessa renana due catechesi e aveva iniziato dicendo: «Anche in quei secoli della storia, che noi abitualmente chiamiamo Medioevo, diverse figure femminili spiccano per la santità della vita e la ricchezza dell'insegnamento. Oggi vorrei iniziare a presentarvi una di esse: santa Ildegarda di Bingen, vissuta in Germania nel XII secolo»?
D. - E allora: chi era Ildegarda di Bingen e perché questo riconoscimento ufficiale della sua santità?
R. - Diciamo subito che il caso di Ildegarda di Bingen è molto singolare almeno per due motivi. Il primo riguarda il momento storico particolare, in cui non si era ancora definitivamente concluso il passaggio dalla canonizzazione vescovile a quella pontificia. Di conseguenza i primi passi compiuti per la canonizzazione, subito dopo la morte della badessa renana (1179), risentono ancora di un clima di transizione. Il secondo motivo è dato dalla radicata e comune convinzione della santità di Ildegarda di Bingen, convinzione che non si è praticamente mai interrotta fino ai nostri giorni e che fa riferimento a una canonizzazione de facto della mistica renana, pur non essendo ella de iure mai stata proclamata santa. Le fonti biografiche; sia quelle coeve sia quelle successive alla morte, parlano chiaramente di lei come "sancta" o "beata". La convinzione della sua santità fu ulteriormente rafforzata dalla venerazione riservata alla sua tomba e alle sue reliquie, e anche dal culto liturgico a lei tributato, con l'approvazione delle autorità ecclesiastiche, non solo a Magonza, ma successivamente anche a Treviri, Spira e Limburg e in tutto l'Ordine Benedettino. In seguito, e fino ai nostri giorni, il suo nome si ritrova riportato sia nei martirologi locali, sia in quelli ufficiali della Chiesa Romana, e sempre accompagnato dall'appellativo di "santa". Inoltre, oltre ai tre papi, che avevano la chiara intenzione di procedere alla canonizzazione di Ildegarda di Bingen - e cioè Gregorio IX, Innocenzo IV e Giovanni XXII - non mancano sommi pontefici che la designano con l'appellativo di "santa", come Clemente XIII, Pio XII e, come abbiamo già visto, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Tale convinzione comune e generalizzata ha fatto ritenere implicitamente non necessaria o del tutto superflua oppure già acquisita una procedura specifica per la canonizzazione di Ildegarda di Bingen, comunemente ritenuta già canonizzata.
D. - Come si è proceduto per regolarizzare questa situazione?
R. - Benedetto XVI, constatando l'esistenza da tempo immemorabile di una solida e costante fama sanctitatis et miraculorum, ha proceduto alla cosiddetta canonizzazione equipollente, secondo la legislazione di Urbano VIII (1623-1644), in seguito definitivamente teorizzata da Prospero Lambertini, poi papa Benedetto XIV (1740-1758). Nella canonizzazione equipollente «il Sommo Pontefice comanda che un Servo di Dio - che si trova nel possesso antico del culto e sulle cui virtù eroiche o martirio e miracoli è costante la comune dichiarazione di storici degni di fede [...] - venga onorato nella Chiesa universale con la recita dell'ufficio e la celebrazione della messa in qualche giorno particolare, senza alcuna sentenza formale definitiva, senza aver premesso alcun processo giuridico, senza aver compiuto le consuete cerimonie». Tale canonizzazione equipollente di Ildegarda di Bingen ha avuto luogo con la decisione di Papa Benedetto XVI, del 10 maggio 2012. Esempi di "canonizzazioni equipollenti" vengono elencati da Prospero Lambertini nel capitolo XLI del libro I del suo opus magnum. Egli cita, ad esempio, i casi dei santi Romualdo, Norberto, Bruno, Pietro Nolasco, Raimondo Nonnato, Giovanni Maria de Matha e Felice di Valois, Margherita regina di Scozia, Stefano re di Ungheria, Venceslao duca di Boemia, Gregorio VII e Gertrude la Grande.
D. - Cosa ci può dire della sua vita?
R. - Ildegarda di Bingen nacque nel 1098 a Bermersheim in una famiglia di nobil e ricchi possidenti terrieri. All'età di otto anni fu accettata in qualità di "oblata" nella clausura femminile agganciata alla badia benedettina di Disibodenberg, dove prese il velo intorno al 1115, emettendo quindi la sua professione monastica nelle mani del vescovo Ottone di Bamberga. Nel 1136, Ildegarda ormai trentottenne fu nominata "magistra", orientando la sua spiritualità sulla radice benedettina dell'equilibrio spirituale e della moderazione ascetica. Intorno al 1140 si intensificarono le sue esperienze mistiche e le sue visioni, descritte e interpretate poi con l'aiuto del monaco Volmar nello Scivias e negli altri suoi scritti. Nell'incertezza iniziale sull'origine e sul valore delle sue esperienze e visioni, ella si rivolse in cerca di consiglio, intorno al 1146, a Bernardo di Chiaravalle, da cui ebbe piena approvazione, e tra il novembre 1147 e il febbraio 1148, tramite il vescovo Enrico di Magonza e l'abate Kuno di Disibodenberg, al papa Eugenio III, allora a Treviri, dal quale ottenne praticamente una conferma pontificia delle sue visioni e dei suoi scritti. In seguito all'aumento numerico delle monache, dovuto soprattutto alla grande considerazione attribuita alla sua persona, e in presenza di alcuni contrasti con i vicini monaci benedettini di Disibodenberg, intorno al 1150 fu possibile a Ildegarda fondare, anche utilizzando i suoi beni familiari e il supporto economico della ricca famiglia von Stade, un proprio monastero sul Rupertsberg, alla confluenza del fiume Nahe con il Reno, nei pressi di Bingen, dove si trasferí insieme a venti monache, tutte di estrazione nobiliare. Nel 1165, sia a causa del grande numero di richieste di ingresso, sia soprattutto per permettere anche alle candidate non nobili di accedere alla vita monastica benedettina, Ildegarda fondò ad Eibingen, sulla riva opposta del Reno, un nuovo monastero, utilizzando e ristrutturando un vecchio edificio, già appartenuto agli agostiniani, e insediando in esso una priora per la comune amministrazione. Di entrambi i monasteri, del Rupertsberg e di Eibingen, ella rimase l'unica badessa: pur risiedendo normalmente a Rupertsberg, si recava due volte la settimana in barca al monastero di Eibingen per assicurare alle sue due fondazioni unità di indirizzo spirituale, di direzione amministrativa e di governo.
D. - Cosa dire della santità di Ildegarda?
R. - In Ildegarda esiste estrema consonanza tra i suoi insegnamenti e la sua vita reale. All'inizio della sua prima opera, lo Scivias, Ildegarda vede il timor di Dio come sommo ideale monastico secondo la Regula Benedicti. Al timor Domini si accompagnano le altre virtù, particolarmente importanti nella vita monastica, come l'umiltà, l'obbedienza, la castità, insieme alle colonne portanti di ogni credente, che sono la fede, la speranza e la carità. Dopo il timor Domini c'è la discretio, la moderazione, che non è frutto dello sforzo umano ma dell'aziohe divina nell'uomo: «Il parlare discreto consiste nel fatto che i monaci nelle principali consultazioni comuni si esprimano "modice ac breviter" e che nella loro convivenza fraterna si rivolgano vicendevolmente parole che vogliano essere comprese come espressioni di amore che siano orientate all'affetto fraterno». Come autrice degli scritti sulle sue visioni, come badessa della comunità di suore benedettine, come personalità di spicco in frequente contatto con i personaggi del suo tempo, ella divenne sempre più di dominio pubblico. Per cui tutti, consorelle e persone esterne, potevano verificare la coerenza tra le sue parole e i suoi comportamenti. Fu questa virtuosità concreta che spinse Teodorico di Echternach a comporre la Vita Sanctae Hildegardis, che fu stesa proprio con l'intenzione di rendere nota la vita esemplare e santa di Ildegarda. E in questa biografia appare il suo edificante atteggiamento anzitutto nel monastero, con le virtù della carità verso tutti, della verginità, dell'umiltà, della modestia, del silenzio, della pazienza. Ella bruciava di carità e di zelo. In modo particolare ella praticò la virtù dell'umiltà, sperimentata non solo nelle forme e nei gradi dell'articolo 7 della Regola benedettina, ma anche nell'accettazione devota della debolezza fisica e della sofferenza, che la resero capace di ricevere i doni straordinari della grazia. Prima ancora che all'esterno, la sua vita era devota e gradita a Dio nel nascondimento prima del monastero di Disibodenberg e poi in quello proprio di Rupertsberg. Il benedettino Guiberto di Gembloux (1124-1214) in una lettera al suo amico Bovo esprime le sue impressioni su Ildegarda e le sue monache dicendo, tra l'altro, che nel monastero c'è una tale concentrazione di virtù, tra la madre che abbraccia le sue figlie con tanta carità e le figlie che si sottomettono alla madre con tanta riverenza, che a stento si riesce a discernere se in questo zelo reciproco sia la madre a superare le figlie o viceversa.
◊ Venerdì scorso il Gruppo Benetton ha rilasciato una Nota in cui - con riferimento all’utilizzo della immagine di Benedetto XVI nella campagna di comunicazione ‘UNHATE’ – ribadiva “il proprio dispiacere per aver così urtato la sensibilità di Sua Santità Benedetto XVI e dei credenti” e assicurava che “ha garantito e mantenuto che tutte le immagini fotografiche della persona del Santo Padre sono state ritirate dal proprio circuito commerciale e si impegna a non compiere in futuro alcun ulteriore utilizzo dell’immagine del Santo Padre senza una previa autorizzazione della Santa Sede” e concludeva che “il Gruppo Benetton porrà inoltre i suoi buoni uffici affinché cessi l’ulteriore utilizzazione dell’immagine da parte di terzi, su siti internet o in altre sedi”.
Come si ricorderà, il 16 novembre scorso era comparso in vari luoghi, anche in formato gigante appeso al Ponte di Castel Sant’Angelo, un fotomontaggio che ritraeva il Papa e un Imam egiziano in atto di baciarsi. Si trattava di un’immagine evidentemente provocatoria, inserita nel quadro di una campagna di comunicazione sostenuta dal Gruppo Benetton, che suscitò immediate e vivaci proteste. La Santa Sede pubblicò lo stesso giorno una dura dichiarazione, annunciando che avrebbe vagliato i passi da fare per tutelare adeguatamente l’immagine del Santo Padre da un simile abuso. In seguito alle proteste, Benetton ritirò in breve tempo le immagini dalla circolazione.
Dato che pochi hanno notato il Comunicato del Gruppo Benetton di venerdì scorso, e fra questi la maggior parte non ne ha compreso il motivo a distanza di alcuni mesi dal fatto, è giusto spiegare che esso rappresenta la conclusione, in base ad un accordo transattivo, del confronto fra i legali della Santa Sede – avvocati Giorgio Assumma e Marcello Mustilli - e quelli del Gruppo, confronto che ha avuto luogo, come era stato annunciato, ed era rimasto aperto finora.
Il Gruppo Benetton riconosce dunque ancora una volta pubblicamente di aver urtato la sensibilità dei credenti, riconosce che l’immagine del Papa va rispettata e può essere usata solo previa autorizzazione della Santa Sede.
La Santa Sede non ha voluto chiedere risarcimenti di natura economica, ma ha voluto ottenere il risarcimento morale del riconoscimento dell’abuso compiuto e affermare la sua volontà di difendere anche con mezzi legali l’immagine del Papa. Invece di un risarcimento economico è stato chiesto ed ottenuto dal Gruppo Benetton un atto di liberalità – limitato, ma effettivo – nei confronti di un’attività caritativa della Chiesa.
Si chiude così, anche dal punto di vista legale, un episodio molto spiacevole, che non avrebbe dovuto avvenire, ma dal quale si spera di ricavare una lezione di doveroso rispetto per l’immagine del Papa - come di ogni altra persona -, e della sensibilità dei fedeli.
◊ Un “fatto positivo”, che “corrisponde a quanto era stato auspicato”. Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha risposto così ai giornalisti che gli domandavano un commento sulla vicenda dell’ispezione alla tomba di Enrico De Pedis, eseguita ieri presso la Basilica romana di Sant’Apollinare. I particolari nel servizio di Alessandro De Carolis:
La notizia del ritrovamento di altre ossa nella cripta di Sant’Apollinare – lanciata dalle agenzie nel primo pomeriggio – è quella che fa scattare il sensazionalismo dei media, a caccia di un titolo a effetto fin lì negato dalla rapida conferma sull’identità della salma riferita dalle autorità: quello ben conservato nella tomba aperta dopo oltre 20 anni è senza alcun dubbio il corpo di Enrico De Pedis, il noto criminale della Banda della Magliana ucciso nel 1990. Poi – mentre emerge il fatto che la Basilica romana ospita un cimitero pre-napoleonico e che dunque i resti dell’ossario nei pressi della tomba del De Pedis potrebbero datare qualche centinaio d’anni, riducendo quindi lo spazio ad altre speculazioni – giunge il commento della Santa Sede attraverso le parole di padre Lombardi, che conferma il “fatto positivo” dell’ispezione condotta dalla magistratura. Ispezione – soggiunge il direttore della Sala Stampa vaticana – che “corrisponde a quanto era stato auspicato, affinché vengano compiuti tutti i passi possibili per lo svolgimento e la conclusione delle indagini”. Anche il cardinale vicario, Agostino Vallini, esprime il personale “piacere” per un atto investigativo che aiuta “a superare – afferma – i problemi e i sospetti”, anche in relazione alla scomparsa di Emanuela Orlandi.
L’ispezione di ieri avrà dunque un seguito. Gli esperti dovranno esaminare i resti ossei rinvenuti accanto alla tomba di De Pedis e in alcune cassette poste nella cripta. Un lavoro che richiederà alcuni giorni, durante i quali la salma di Enrico De Pedis continuerà a riposare nella Basilica di Sant’Apollinare, da dove verrà traslata per volontà della famiglia, che ha annunciato di volerla custodire nella cappella di famiglia al Cimitero del Verano. E sul “trasferimento della salma in altro luogo” si sofferma anche padre Lombardi, al termine della sua breve conversazione con i cronisti. “Come è stato anche auspicato – ha detto il portavoce della Santa Sede – si procederà in accordo con i familiari e secondo i loro desideri. Per parte sua, la magistratura può continuare a contare sulla piena collaborazione delle autorità ecclesiastiche”.
Un gruppo di ambasciatori presso la Santa Sede in visita allo Ior
◊ Questa mattina, un gruppo di circa 35 ambasciatori presso la Santa Sede ha compiuto un’ampia visita presso lo Ior. Alle 10, gli ambasciatori sono stati accolti nel Salone dell’Istituto per le Opere di Religione dal capo del protocollo, mons. Fortunatus Nwachukwu. Poi, mons. Peter Bryan Wells, assessore della Segreteria di Stato, ha rivolto loro alcune parole introduttive, spiegando il significato della visita nella linea di una piena trasparenza da parte della Santa Sede per quanto riguarda le attività economiche che si svolgono in Vaticano. Ha preso quindi la parola il direttore generale dello Ior, Paolo Cipriani, che ha svolto una lunga relazione di circa un’ora, molto dettagliata, sulla missione dell’Istituto, la struttura, le attività e i servizi svolti, rispondendo anche a diverse domande dei presenti, in particolare sulla rispondenza dello Ior agli standard più esigenti per quanto riguarda la lotta contro il riciclaggio. Successivamente, gli ambasciatori hanno compiuto una visita ai diversi uffici e locali dello Ior per essere infine invitati ad un lunch. Un secondo gruppo di ambasciatori visiterà lo Ior fra qualche giorno, in modo tale che tutto il Corpo diplomatico presso la Santa Sede possa avere adeguata informazione su un istituto di cui si parla molto, spesso in modo ciritico e non obiettivo, ma che sta svolgendo la sua attività con un altissimo livello di professionalità, di trasparenza e di rispetto dei criteri etici più esigenti nel campo dell’economia. In precedenza, anche un gruppo di benefattori americani aveva compiuto una visita analoga.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Il diritto di Dio: in prima pagina, l'arcivescovo Rino Fisichella sui perché di un Anno della fede.
In rilievo, nell'informazione internazionale, l'accordo per una zona commerciale comune tra Cina, Giappone e Corea del Sud.
Un crocevia di vita: in cultura, Giovanni Paolo II e la sapienza della Croce nell'intervista di Silvia Guidi al cardinale Georges Marie Martin Cottier.
Quanto è fragile la libertà: la conclusione del libro di Louis Godart "La libertà fragile. L'eterna lotta per i diritti umani".
Un articolo di Oddone Camerana dal titolo "Se comincia a traballare l'impalcatura del processo": volere spiegare tutto con la genetica porta a un revisionismo giuridico che sanziona quello che si è e non ciò che si fa.
Per non dimenticare i "cittadini trasparenti": Laura Gotti Tedeschi su un convegno alla Cattolica dedicato alla cura delle persone colpite da gravi lesioni cerebrali.
Figurine digitali: Cristian Martini Grimaldi sui piccoli narcisismi quotidiani.
Quanto fu anti-israeliana la sinistra in Italia: Paolo Mieli sul "Corriere della Sera".
I consacrati, esperti di comunione: nell'informazione vaticana, il cardinale Joao Braz de Aviz sui carismi della Chiesa.
Conflitto in Siria: a rischio contagio tutto il Medio Oriente
◊ Ancora violenze in Siria: cinque i civili rimasti uccisi stamattina; quattro, tre giovani e una donna, sono morte in una esplosione nella città di Banias, una bambina di sei anni ha invece perso la vita nella regione di Damasco. Intanto, il conflitto rischia di espandersi. L’esercito libanese presidia l’area di Tripoli, nel nord del Paese, dove ieri vi erano stati sei morti, in scontri tra sunniti e alawiti. Sui rischi di regionalizzazione del conflitto siriano, Stefano Lesczynski ha sentito Antonio Ferrari, esperto dell’area, già inviato speciale del Corriere della Sera:
R. - Sono mesi che sta avvenendo qualcosa di estremamente preoccupante, soprattutto nell’alto Libano, nella zona di Tripoli, dove è forte la componente sunnita e dove storicamente c’era sempre stato un rapporto di buon vicinato tra sunniti e alawiti (gli alawiti sono quella minoranza che ha il potere in Siria e che sostiene il presidente Assad e il suo entourage). Si sa di penetrazioni di gruppi radicali islamici - già da alcuni anni e più precisamente quando ci fu quella campagna spaventosa all’interno dei campi palestinesi, nei quali si erano inserite alcune correnti jihadiste vicine ad Al Qaeda - ed è proprio Al Qaeda, assieme a un certo tipo di propaganda salafita, che da tempo si sta muovendo in Libano, che potrebbe innescare questo parallelo pericolosissimo con quanto sta accadendo in Siria.
D. - Tutte le autorità siriane si sono dimostrate molto preoccupate per le ricadute sul Libano: hanno ragione?
R. - Purtroppo sì, la preoccupazione è fondata. Non dimentichiamo che per il Libano - al di là di tutti i problemi che ci sono stati nel passato - la Siria era comunque un polmone importante sia dal punto di vista economico che dal punto di vista commerciale. Non dimentichiamo poi che ci sono almeno un milione di libanesi imparentati con siriani e quindi è chiaro che c’è un legame molto stretto. Può essere un legame molto stretto anche quello tra estremisti che tentano di condizionare i sunniti libanesi e creare in Libano quella specie di retrovia per poter rifornire e condizionare anche gli estremisti che lavorano in Siria.
D. - Abbiamo visto che la comunità internazionale si sta rivelando del tutto inadeguata nel fronteggiare la crisi siriana. Questi incidenti in Libano possono essere considerati come un primo indizio di un possibile allargamento a livello regionale del conflitto?
R. - Purtroppo, i segnali ci sono tutti. Però, dobbiamo essere molto chiari e spiegare perché la comunità internazionale è molto scettica nell’affrontare la situazione siriana - e in prospettiva quella libanese - molto duramente e magari anche con un coinvolgimento di tipo non soltanto diplomatico ma anche militare. Siria significa Iran, significa Hezbollah in Libano, che sono sempre e comunque addirittura forze più potenti dell’esercito regolare libanese. Significa anche un certo legame con Hamas, anche se adesso si è abbastanza sbrecciato, e significa soprattutto che sta sulla testa di Israele. Io, anzi, nel silenzio di Israele sulla vicenda siriana, vedo una nota di cinico realismo perché, tutto sommato, Assad può riservare meno sgradite sorprese a Israele di quanto potrebbero provocare estremisti sunniti se un giorno andassero al potere.
◊ In Algeria, i partiti di opposizione – e in particolare quelli islamici – contestano i risultati delle legislative del 10 maggio, che hanno visto una nettissima affermazione del partito Fln del presidente Abdelaziz Bouteflika. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha lodato lo “svolgimento pacifico” delle consultazioni. In un comunicato, il numero uno del Palazzo di Vetro ha invitato “il governo algerino e tutti i partiti politici a cooperare in modo inclusivo e pacifico per contribuire alla messa in opera delle riforme politiche e istituzionali e rinforzare il processo democratico nel Paese”. Sulla situazione, Davide Maggiore ha chiesto un commento all’arcivescovo di Algeri, mons. Ghaleb Bader, intervenuto al Convegno “In ascolto dell’Africa”, in corso alla Pontificia Università Urbaniana:
R. – Queste elezioni erano attese, erano l’alternativa a tutto quello che è successo intorno a noi. Si temeva un cambio - poteva succedere di tutto - ma visti i risultati vedo che il Paese piuttosto ha preferito la continuità e la stabilità. Noi come Chiesa, come cristiani, siamo tutti stranieri, quindi rispettiamo quello che il popolo ha scelto, quello che l’Algeria vuole per sé. Accettiamo le scelte del popolo e andiamo avanti anche noi, come Chiesa.
D. – Lei ha fatto cenno a quello che è accaduto nello scorso anno nella regione, quella che è nota come “primavera araba”. La Chiesa algerina come ha vissuto questi sommovimenti nei Paesi vicini, con che spirito?
R. – Sempre nel rispetto, nell’accettare la scelta del popolo. Visto che noi non siamo algerini, ci teniamo a seguire quello che succede alla fine e a rispettare quello che il popolo ha scelto, quindi, abbiamo vissuto tutto questo nel rispetto ma anche nell’augurio che questa gente arrivi ad avere quello che tutto il mondo vorrebbe: ovvero, un po’ più di libertà, un po’ più di lavoro, di rispetto della persona umana, della dignità dell’uomo.
D. – La Chiesa algerina è una Chiesa antica e tuttavia oggi è una piccola minoranza nel Paese. Cosa significa essere cristiani in questo contesto?
R. – Significa quello che vuol dire per ogni cristiano: vivere la nostra fede dovunque noi siamo, perché non possiamo vivere in un ghetto. Cerchiamo di vivere la nostra fede in contatto con la gente, cercando di metterci in ascolto di questa gente, metterci al loro servizio, cercando di essere in dialogo con tutta la popolazione.
D. – Il dialogo interreligioso è appunto una grande sfida per la Chiesa algerina…
R. – Il dialogo, il vivere con l’altro è la nostra missione, visto il nostro numero. Siamo quindi in contatto quotidiano con la gente e questo ci mette in dialogo con loro. Vivendo insieme siamo già in dialogo: qualche scambio, qualche domanda, qualche ricerca comune è il risultato del vivere insieme, soprattutto come minoranza in mezzo a un oceano di credenti di altre religioni.
D. – In che modo la Chiesa algerina cerca di mantenere viva la tradizione che le viene dai grandi Santi e Padri della Chiesa dei primi secoli?
R. – E’ una sfida enorme: pretendere come pastori di essere i successori di un Sant’Agostino, di un San Cipriano, è un po’ presuntuoso, ma cerchiamo di vivere la nostra fede e di dare una testimonianza vera, sincera della nostra fede. Sant’Agostino, Santa Monica, San Cipriano, Perpetua e Felicita sono la nostra Chiesa e noi cerchiamo di mantenere viva la fiamma della fede anche in questo Paese, anche in una situazione difficile come quella di oggi.
Medici Senza Frontiere: Tg italiani distratti sulle crisi umanitarie
◊ Nel corso dell’anno passato, solo il 10% dei servizi dei telegiornali italiani della fascia serale, quindi i più seguiti, era dedicato a contesti di crisi, a conflitti e a emergenze umanitarie e sanitarie. Lo denuncia Medici senza frontiere (Msf) nell’ottavo Rapporto “Le crisi umanitarie dimenticate dai media 2011”, realizzato in collaborazione con l'Osservatorio di Pavia. Servizio di Francesca Sabatinelli:
Per tutto il 2011, i Tg italiani, del servizio pubblico e non – quindi Rai, Mediaset e La7 – hanno ignorato importanti conflitti, emergenze umanitarie e sanitarie. Nei servizi giornalistici non si è mai parlato di crisi umanitarie decennali, come quella in Congo, non si è parlato della malnutrizione in Somalia e neanche della pandemia di Hiv, tralasciata persino in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids. L’organizzazione punta l’indice contro l’assenza di notizie, ma anche contro la qualità di quelle date, come in occasione dell’arrivo sulle coste italiane di migranti in fuga da Libia, Tunisia ed Egitto. Kostas Moschocoritis, direttore generale Medici senza frontiere Italia:
"Chi ha parlato di più sull’immigrazione, sulle 1.391 notizie uscite l’anno scorso, sono stati i politici: per il 65%, hanno parlato loro. Solo per un misero 14% hanno parlato gli stessi migranti, della loro vita, dei loro problemi. Un altro esempio: sul Bahrein, durante la 'primavera araba', sono state date 24 notizie: sette di queste si riferivano al Gran Premio di Formula 1, quando la maggior parte avrebbe dovuto riferirsi ai pazienti che venivano arrestati nelle cliniche e negli ospedali quando vi si recavano per essere curati dopo essere stati feriti durante le dimostrazioni".
Chiunque lavori nell’informazione sa che gli operatori di Medici senza frontiere, ma anche quelli di molte altre organizzazioni, sono molto attenti ai rapporti con le redazioni, tenute costantemente aggiornate. Perché quindi questa assenza di risposta?
"C’è una percezione errata circa il fatto che gli italiani non si interessino di questi contesti. Ma è una visione miope, perché quale contribuente italiano, ad esempio, non vuole sapere come si sono spesi i suoi soldi in Libia, nei campi di detenzione del regime Gheddafi, che erano stati costruiti con i soldi degli italiani? E perché gli italiani non dovrebbero essere interessati alla pandemia di Hiv, una malattia che tocca milioni di persone nel mondo? Noi siamo convinti, anche attraverso i nostri sostenitori – e non solo di Medici senza frontiere, ma anche di altre organizzazioni – che la gente è interessata. La filosofia secondo cui gli italiani non sarebbero interessati alle crisi, alle emergenze, è completamente miope e, direi, provinciale".
Oggi, Medici senza frontiere chiede di accendere i riflettori soprattutto sulla condizione dei rifugiati del Mali, Paese colpito dalla siccità e dall’insicurezza alimentare. Msf, inoltre, lancia un appello per la Siria e chiede alle parti di rispettare l’integrità dei feriti e del personale sanitario:
"Da oltre due mesi, c’è una grave instabilità in Mali: oltre 160 mila persone sono fuggite in Niger, in Mauritania e in Burkina Faso. Le condizioni nei campi profughi sono molto precarie: non ci sono né acqua, né cibo a sufficienza e per di più sta arrivando la stagione delle piogge, che renderà tutto il sistema di assistenza ai rifugiati molto, molto problematico. Quella per i rifugiati maliani è per noi una grande preoccupazione. Dopodiché, proprio oggi, abbiamo lanciato un appello per la Siria, per avere l’autorizzazione a lavorare in questo Paese dove, purtroppo, i pazienti, i medici e le strutture sanitarie non sono affatto rispettate dagli attori del conflitto. E’ estremamente difficile inviare personale, ed è molto insicuro. In questo momento, avere un bisturi in mano in Siria è quasi come avere in mano un kalashnikov, perché le strutture sanitarie non sono affatto rispettate: la gente viene arrestata quando si reca in ospedale con ferite dopo una dimostrazione o dopo un incidente.
“Senza mai restare a guardare” è l’applicazione gratuita per Android e iPhone, che Msf offre per permettere di essere aggiornati in tempo reale sulle crisi dimenticate e sulle emergenze umanitarie in cui l’organizzazione è presente.
Rapporto dell'Osservatorio nazionale: le famiglie italiane fanno sempre meno figli
◊ La famiglia in Italia è la meno sostenuta in Europa: così il ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi, alla presentazione stamani a Roma del Rapporto biennale dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia. Dal Rapporto emerge che il numero delle famiglie in Italia è in crescita - oggi sono 23,4 milioni e diventeranno 25,6 nel 2030 - ma saranno nuclei sempre più piccoli, con sempre meno figli e meno componenti. La tendenza è che anche le donne immigrate faranno sempre meno figli. Ha partecipato all'incontro stamani, tra gli altri, il prof. Pierpaolo Donati, uno dei componenti del Comitato tecnico scientifico dell’Osservatorio. Il servizio di Fausta Speranza:
In Italia, c’è una domanda fortissima di politiche per la famiglia: lo afferma il ministro Andrea Riccardi che della famiglia sottolinea il ruolo:
"Io lo credo e l’esperienza di questi mesi me lo conferma con molta forza: la famiglia è il maggior ammortizzatore sociale disponibile. Anzi, la famiglia riesce a farsi carico di situazioni di difficoltà e disagio di vario genere".
L’assistenza c’è ma il meccanismo è opposto a quello che dovrebbe essere:
"Il sistema Italia si caratterizza per l’esistenza di una sussidiarietà alla rovescia: sono le famiglie che compensano la mancanza di welfare pubblico, dedicato specificatamente alle problematiche familiari".
Riccardi conferma il recupero di fondi per gli anziani annunciato venerdì scorso:
"Si tratta di fondi europei recuperati - sarebbero andati perduti - e ci dice qualcosa anche su questa Europa che noi tante volte vediamo come una madre arcigna, mentre in realtà, soprattutto l’Europa, ci presenta una serie di occasioni e opportunità che spesso noi non cogliamo".
In relazione all’Europa, il ministro dice:
"In Italia, in confronto alla media europea, siamo indietro per quello che riguarda il sostegno delle famiglie".
E la raccomandazione del ministro Riccardi è ad ampio raggio:
"Tale Rapporto inserisce il discorso famiglia in un contesto che è più largo e cioè nel discorso della crisi di un universo relazionale in occidente. Non isoliamo il discorso della famiglia, noi dobbiamo cominciare a fare un discorso sulla crisi della cultura della famiglia e sulla crisi della cultura dell’essere insieme in Europa Occidentale. Il messaggio veicolato ai giovani oggi è: per affermarsi bisogna puntare su di sé, bisogna essere soli, non bisogna avere legami stabili".
A sottolineare il peso della crisi economica è il prof. Pierpaolo Donati:
"Crediamo che questo sia il momento più difficile che le famiglie italiane attraversano da anni a questa parte, nonostante ci siano state anche delle fasi della storia italiana di grande difficoltà per il Paese. Ma è proprio l’analisi della famiglia che ci dice quanto il tessuto sociale dell’Italia si stia logorando".
Donati dice senza mezzi termini che negli ultimi 30 anni in Italia si sono fatti praticamente solo Rapporti, nessuna vera azione strategica. E poi sottolinea che nel Rapporto 2011-2012 non ci sono solo i dati:
"Nel Rapporto, è presente una documentazione molto originale, perché i dati che vengono presentati sono elaborazioni che non sono accessibili altrove frutto di molte ricerche. Ma c’è anche un insieme di proposte rivolte al legislatore e agli amministratori, perché questo è previsto nello statuto dell’Osservatorio attuale".
“La situazione in Italia è difficile ma si può ancora agire”, afferma il ministro Riccardi, che lancia un messaggio forte ai partiti: “Investire sulla famiglia non rende a medio termine – spiega – e i partiti non sanno più ragionare a lunga scadenza ma piuttosto solo in funzione della rielezione”. La raccomandazione è quella di avere una visione del futuro:
"Non solo siamo tutti più isolati, ma la vita è pensata in modo individuale: questo è il nodo culturale antropologico".
Dunque, si deve parlare di famiglia ma si deve anche affrontare un nodo antropologico. E qui l’appello è per tutti.
Servizi sanitari in tempo di crisi: la salute degli italiani a rischio
◊ La salute degli italiani a rischio per la crisi economica. In 424 pagine del Rapporto Osservasalute, coordinato dall’Università Agostino Gemelli di Roma, emerge una fotografia allarmante sui fattori di rischio in aumento e sulla diminuita risposta dei servizi socio-sanitari a livello regionale. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Walter Ricciardi, direttore dell’Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo cattolico, coordinatore della ricerca alla quale hanno lavorato 175 esperti di sanità pubblica, clinici, demografi, matematici, statistici ed economisti:
Depressioni e prescrizione di antidepressivi in aumento, ma anche suicidi spie di un malessere sociale che va oltre il dato economica e con il rischio emulazione del gesto estremo amplificato dai media. Non tutto si spiega con il minor reddito, ma certo la crisi viene minando la salute degli italiani come ci spiega il prof. Ricciardi:
R. – Per una serie di motivi comportamentali e pratici, la salute degli italiani è a rischio. Faccio alcuni esempi. Gli italiani non comprano più cibi salubri, probabilmente perché costano troppo, e si rifugiano nel cibo-spazzatura. Gli italiani non si muovono più perché fare sport e far fare sport ai figli costa. Quindi, praticamente, la stragrande maggioranza degli italiani non fa più attività fisica. Invece, le cattive abitudini come il fumo e l’alcol continuano. La combinazione di questo aumento di fattori in futuro porrà a rischio la salute degli italiani.
D. – Nel Rapporto, c’è una denuncia che preoccupa molto: in dieci anni è più che quadruplicato il consumo di antidepressivi. Ma questo si può spiegare solo con difficoltà economiche?
R. – No, direi che i motivi sono diversi, anche perché questo aumento è cominciato già prima della crisi, però si sta intensificando ulteriormente. I motivi sono diversi. Uno è che probabilmente sia le persone che i medici sono più aperti: le persone nel dichiarare e i medici nel diagnosticare patologie come la depressione, che prima magari erano un po’ stigmatizzate. Invece, in questo modo escono fuori e questo porta i medici a prescrivere farmaci antidepressivi e i pazienti, le persone, a prenderli. Non c’è dubbio però che la crisi economica e forse il disagio, l’incertezza e la precarietà stiano ulteriormente accelerando questo percorso e i problemi di salute mentale - sia minori come le depressioni, sia maggiori come quelli che portano al suicidio - stiano aumentando.
D. – Diminuisce anche la prevenzione da parte del Servizio sanitario nazionale…
R. - Sì perché, di fatto, non c’è quasi nessuna Regione - si contano veramente sulla punta delle dita di una mano - che spende quel 5% che dovrebbe essere speso in prevenzione. Invece, con questa crisi finanziaria, soprattutto nelle regioni del centro-sud che sono in piano di rientro, addirittura si riduce, quindi si taglia ulteriormente in prevenzione. Questa è una scelta miope, perché è chiaro che la prevenzione per avere risultati ha bisogno di tempi medio-lunghi. Il fatto di non farlo adesso significherà scaraventare sulle spalle di chi verrà, non dopo di noi, ma su noi stessi, tra 5-6-7 anni, un carico di malattie che sarà difficilissimo da gestire.
D. – Ci sono proposte nel Rapporto?
R. – Sì, la proposta è innanzitutto acquisire consapevolezza di questa situazione, quindi non è con banali risparmi ragionieristici che si risolvono i problemi della salute dei cittadini. Il sistema non ha bisogno di nuove risorse perché i circa 110 miliardi di euro che vengono stanziati per la sanità in Italia sono più che sufficienti, però bisogna organizzarsi per spenderli meglio, per canalizzarli e per raccordarli meglio con quelle che sono le esigenze dei cittadini. Naturalmente la prevenzione – non la prevenzione generica ma la prevenzione specifica contro le malattie oncologiche, contro le malattie cardiovascolari, contro il diabete – è necessaria perché altrimenti noi avremo nel prossimo futuro milioni di cittadini con problemi e non avremo i servizi sanitari per assisterli.
Convegno a Milano sulla tradizione cristiana, valore forte in una fase di crisi
◊ All’Italia occorre una cultura condivisa per sopperire a quella mancanza di visione che sembra caratterizzare l’oggi. E la tradizione cristiana può tornare a dare il suo contributo alle tante attese dell’Italia. E’ il messaggio partito dal Convegno milanese inaugurato ieri alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che cerca di individuare quale contributo da parte dei cattolici è ancora possibile oggi per una nuova unità del Paese. Il servizio da Milano di Fabio Brenna:
Riprendendo il Messaggio di Benedetto XVI in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia, il cardinale Dionigi Tettamanzi ha notato come il Risorgimento venne identificato come un moto contrario alla Chiesa e al cattolicesimo. In realtà, esso costituì il naturale sbocco di uno sviluppo identitario nazionale cui, sottolineava il Papa, il cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale attraverso l’opera ella Chiesa, delle sue istituzioni educative e assistenziali, fissando modelli di comportamento, raffigurazioni istituzionali, rapporti sociali, ma anche mediante una ricchissima attività artistica. Ecco allora che, anche oggi, he il cattolicesimo italiano può tornare a fornire quel contributo che diede allora per l’unità di Italia.
Un contributo che secondo il prof. Andrea Riccardi, ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione, prende le forme oggi di una visione di futuro: la capacità cioè di coniugare il senso del passato con l’indicazione per il futuro. Occorre però, ha concluso Riccardi, una cultura condivisa che nella libertà sia riferimento a un pluralismo intenso e mobile. Questo è il quadro che occorre a una nazione diventata plurale etnicamente e religiosamente, dove bisogna riprendere a parlare di politica, ha detto, con profondità storica e con speranza per il futuro.
Al via nelle chiese francesi di Roma i concerti de "Le cinque perle del Barocco"
◊ L’Institut français - Centre Saint-Louis organizza a Roma la terza edizione del Festival “Le cinque Perle del Barocco”, dedicata quest’anno al tema “Storie Sacre”. Dopo l’anteprima di questa sera con musiche di Bach, in programma nell’Aula Magna del Pontificio Istituto di Musica Sacra, dal 18 al 25 maggio si potranno seguire sette concerti a ingresso gratuito nelle cinque chiese francesi di Roma, con un’offerta di rare e preziose musiche sacre barocche. Il servizio di Luca Pellegrini:
Sono cinque i luoghi che raccontano una storia e parlano del legame sempre vivo tra Roma e la Francia: sono le chiese francesi di Roma, le cinque perle dell’architettura che danno il nome a una rassegna di musica barocca di grande raffinatezza e prestigio. Saranno le magnifiche cornici che accoglieranno musiche sacre legate alle più famose storie della Bibbia e ai Santi della Chiesa, scritte dai più grandi artisti dell’epoca barocca, ma anche riscoperte e rivisitate dai migliori gruppi musicali francesi di oggi. Un viaggio musicale, ma anche spirituale, che attraversa le frontiere, le epoche, i linguaggi artistici. Alessandro Stella, direttore artistico della rassegna, illustra sedi e programmi della manifestazione:
“E’ un Festival nato innanzitutto per valorizzare proprio questo grande patrimonio costituito dalle cinque chiese francesi di Roma che sono San Luigi dei Francesi, Trinità dei Monti, notissime, e tre chiese forse meno note, delle quali anche un paio normalmente chiuse: questo Festival sarà un’occasione per poterle visitare - sono Sant’Ivo dei Bretoni, San Nicola dei Lorenesi e i Santi Andrea e Claudio dei Borgognoni. Quest’anno abbiamo voluto declinare nei sei concerti nelle chiese un tema centrale che è quello delle storie sacre. Abbiamo dedicato innanzitutto due concerti uno agli Oratori di Giacomo Carissimi e l’altro a una grande histoire sacrée di Marc-Antoine Charpentier. Poi, ci saranno due concerti, uno dedicato alla figura della Maddalena, l’altro dedicato alla figura di Giuditta. Ci sarà un omaggio a San Luigi, Luigi IX di Francia, nella chiesa di San Luigi, dove fra l’altro potremmo ascoltare musiche di Melani e di Corelli che a San Luigi lavorarono come maestro di cappella e capo dell’orchestra. Infine, ci sarà un concerto dedicato alla settimana mistica, ovvero un viaggio ideale, dalla riflessione sul peccato alla contemplazione della gloria del Paradiso”.
Francia: Francois Hollande giura da presidente
◊ La Francia ha ufficialmente un nuovo capo di Stato. Francois Hollande è diventato questa mattina il settimo presidente della Quinta Repubblica, il secondo socialista dopo Francois Mitterrand. Nel pomeriggio la nomina del primo ministro, Jean-Marc Ayrault. La Francia ''ha bisogno di essere pacificata, riunificata'', ha detto il neopresidente dopo aver notato che davanti all'Eliseo, ad attenderlo per la cerimonia di insediamento, c'era una folla di un migliaio di persone divise tra sostenitori del presidente uscente Nicolas Sarkozy e suoi elettori. Dopo un colloquio faccia a faccia, nel quale sono stati fra l'altro trasmessi i codici e le procedure per l'utilizzo dell'arma nucleare francese, Sarkozy ha lasciato il palazzo presidenziale con un saluto cordiale al nuovo inquilino. Nel discorso di investitura, Hollande ha insistito sulla diversità della sua presidenza, che vuole riunire laddove ci sono state divisioni e spaccature, e ha garantito che non farà "tutto da solo": proporrà ''un nuovo patto'' ai partner europei che unisca crescita a riduzione dei deficit. (G.A.)
Eurozona: pil a zero nel primo trimestre. Paesi Ocse: disoccupazione per 11 milioni di giovani
◊ Nel primo trimestre del 2012, crescita zero del Pil tanto nell'eurozona quanto nell’Unione a 27. A rivelarlo i dati di Eurostat: l'ufficio statistico europeo rende noto che, rispetto al primo trimestre dell’anno scorso, la crescita del Pil è stata pari a 0 nell’Unione monetaria a 17 e di +0,1% nell’Ue a 27. Nel corso del primo trimestre 2012, si segnala, il Prodotto interno lordo degli Stati Uniti è invece cresciuto dello 0,5% rispetto al periodo precedente. Nel confronto con lo stesso lasso di tempo del 2011, gli Usa sono cresciuti del 2,1%. Il dato Eurostat rispecchia le previsioni economiche pubblicate dalla Commissione europea venerdì scorso, che parlavano di leggera recessione nel primo trimestre 2012 e di “graduale ripresa nella seconda metà” di quest’anno. Contemporaneamente alle rilevazioni rese note a Bruxelles, l’Istituto di statistica italiano (Istat) ha annunciato che il dato congiunturale del Pil nel primo trimestre di quest’anno, pari a -0,8%, è il peggiore da tre anni a questa parte. Ad aggravare la situazione, il declassamento deciso da Moody’s per 26 banche italiane: l’Abi oggi parla di giudizio “irresponsabile”, di un’“aggressione all'Italia, alle sue imprese, alle sue famiglie, ai suoi cittadini”. Per quanto riguarda la crisi greca, dall'Eurogruppo è arrivata l'indicazione che il Vecchio Continente vuole mantenere Atene nell'eurozona, con un richiamo alla responsabilità per i politici ellenici. E in attesa dell'incontro di oggi tra il neo presidente francese Francois Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel, la priorità dei Ventisette sembra rimanere il rilancio della crescita. In queste ore, poi, resi noti anche i dati Ocse in vista del G20 che si svolgerà il 17 e il 18 maggio in Messico: i disoccupati di età compresa tra i 15 e i 24 anni sono quasi undici milioni nei Paesi dell'area; lo scorso marzo il tasso di disoccupazione giovanile è salito al 17,1%, vicino al picco del 18,3% toccato nel novembre 2009. (G.A.)
Siria. La denuncia di Gregorios III Laham: "Paese nel caos, cristiani in fuga"
◊ “Un Paese nel caos. Ad approfittarne sono banditi e criminali, stranieri infiltrati anche nelle fila dell’opposizione. Rapimenti, abusi, furti e violenze si ripetono contro i cristiani che stanno fuggendo. Scene che purtroppo abbiamo imparato a conoscere nel vicino Iraq”. Nel giorno in cui i ministri degli Esteri dell’Ue hanno approvato un nuovo pacchetto di sanzioni, il 15°, contro il regime di Bashar al Assad, a parlare all'agenzia Sir è il patriarca greco-melkita di Antiochia, Gregorios III Laham. Il duplice attentato dello scorso fine settimana a Damasco, che ha provocato oltre 50 vittime e centinaia di feriti, è per il patriarca “un atto di crudeltà senza precedenti che è costato la vita a tante persone innocenti. Violenze provocate da elementi stranieri infiltrati nel nostro Paese. I siriani, di qualunque fede, in particolare cristiani e musulmani, hanno convissuto per secoli in questa terra. La situazione di caos in cui ci troviamo non fa che alimentare la tensione ed il terrore soprattutto nelle minoranze”. “Questi elementi violenti stanno trovando rifugio nei quartieri cristiani dopo che le forze di sicurezza siriane li avevano cacciati dalle loro postazioni. Molte famiglie cristiane stanno adesso lasciando le loro case” spiega Gregorios III citando l’esempio del villaggio di Qara dove in poco tempo sono arrivate, dalla zona di Homs, circa 600 famiglie. Nello stesso centro, il parroco della chiesa greco cattolica di San Michele lo scorso 11 maggio è stato aggredito da due uomini che lo hanno anche derubato di soldi ed oggetti personali. Diverse agenzie, tra cui Fides, riferiscono, inoltre, che uomini armati hanno espulso tutte le famiglie cristiane del villaggio di Al Borj Al Qastal, in provincia di Hama. “Tutta questa violenza deve essere fermata - ribadisce il patriarca - non è possibile andare avanti così. Non basta dire che è il Governo che la commette. Ci sono tanti luoghi controllati dall’opposizione e da persone armate se non banditi. I cristiani non sono sudditi del Governo, ma questo deve governare. Non si può assistere a tanta violenza in silenzio e nell’indifferenza del mondo. Se veramente si vuole ottenere la pace in Medio Oriente, e mantenere la presenza cristiana così vitale nella regione, è necessario risolvere il conflitto israelo-palestinese. L’Europa, prima di tutti gli altri Paesi della comunità internazionale, deve impegnarsi in questa direzione”. (R.P.)
Mali: a Bamako ancora stallo politico. Nel nord vessazioni degli islamisti
◊ Attesa in Mali per la designazione del nuovo Presidente della transizione. “I mediatori della Cedeao (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) sono stati 5 giorni a Bamako ma non sono riusciti a mettere d’accordo i diversi partiti per nominare il nuovo Presidente della transizione” dice all’agenzia Fides don Edmond Dembele, segretario della Conferenza episcopale del Mali. Il 22 maggio finisce il periodo di governo ad interim, avviato in base all’accordo del 6 aprile raggiunto dalla Giunta militare (che ha preso il potere con il golpe del 22 marzo) e dai partiti maliani, con la mediazione della Cedeao. Presidente ad interim è Dioncounda Traoré che ha nominato come Premier Cheick Modibo Diarra. “La Cedeao vorrebbe che Dioncounda Traoré continui ad essere il Presidente della transizione, ma la Giunta militare vorrebbe un’altra persona” dice don Dembele. La Cedeao ha minacciato di reintrodurre le sanzioni imposte contro i golpisti il 2 aprile e poi sospese dopo l’accordo del 6 aprile. “I mediatori della Cedeao dovrebbe ritornare oggi a Bamako” afferma don Dembele. “Ieri, i capi della giunta militare hanno tenuto una conferenza stampa nella quale hanno lanciato la proposta di tenere un grande raduno nazionale con tutte le forze sociali e politiche della nazione per designare il Presidente della transizione. Ma sembra che la Cedeao non sia favorevole a questa proposta. I leader religiosi cattolici, protestanti e musulmani, continuano a mediare per cercare di trovare una soluzione alla crisi” aggiunge il segretario della Conferenza episcopale del Mali. Per quanto riguarda il nord del Mali, in mano ad una serie di gruppi armati, don Dembele afferma che “lo scorso weekend lo Stato, insieme all’Alto Consiglio islamico e ad un’associazione di cittadini originari del nord che si trovano a Bamako, ha inviato viveri e medicinali alle popolazioni di Tomboctou, Gao e Kidal”. Nel nord sta aumentando la tensione sia per le divisioni tra i diversi gruppi armati che controllano l’area, sia per l’insofferenza della popolazione nei confronti delle vessazioni degli islamisti. “Un recente incontro tra i movimenti armati del nord per trovare un modo di gestire la regione sembra che sia fallito. Questo perché i gruppi hanno obiettivi diversi: c’è chi vuole imporre la sharia ed altri che lottano per l’indipendenza del nord. A Gao i giovani sono scesi in piazza per protestare contro l’imposizione della sharia che prevede la proibizione dei giochi (calcio e carte), della musica e della televisione”. In precedenza la distruzione di un importante santuario islamico a Tomboctou (gli islamisti sono infatti iconoclasti) aveva provocato le proteste della popolazione locale e delle associazioni musulmane: l’Alto Consiglio islamico ha formalmente condannato questo atto. (R.P.)
Sudan: il dramma degli espulsi, rifugiati e sfollati nel Sud Sudan
◊ Mentre Sudan e Sud Sudan rimangono sul piede di guerra, stanno arrivando a Juba decine di migliaia di sud sudanesi espulsi da Khartoum, perché privi dei permessi di soggiorno. Il 14 maggio è giunto nella capitale sud sudanese il primo gruppo di 164 persone, provenienti da Khartoum con un volo organizzato dall’Organizzazione Internazionale per i Migranti (Iom), su un totale di 12.000 persone che dovranno lasciare il Sudan nei prossimi giorni. In Sudan vivono centinaia di migliaia di sud sudanesi che hanno perso il lavoro e non hanno permesso di soggiorno dopo la proclamazione dell’indipendenza del Sud Sudan, nel luglio 2011. Tra loro vi sono pure diverse persone di ascendenza sud sudanese ma che sono nate nel nord Sudan e che quindi fanno fatica, in caso di espulsione, ad adattarsi a vivere nel loro nuovo Paese. Il Sud Sudan dovrà farsi carico della sistemazione di queste persone, trovando loro alloggi e lavoro. L’instabilità nella quale vivono alcune aree del Sud Sudan ha inoltre costretto alla fuga decine di migliaia di abitanti. Oltre agli sfollati interni, Juba deve farsi carico dei rifugiati provenienti dal Sud Kordofan, stato del nord Sudan ma la cui popolazione ha combattuto a suo tempo con i sud sudanesi contro il regime di Khartoum. Secondo fonti Onu sono 100.000 i rifugiati sudanesi accolti nel Sud Sudan. (R.P.)
Il cardinale Cottier: la "sapienza della croce" nell'esistenza di Giovanni Paolo II
◊ “La sofferenza è quel continente di cui nessun può dire di aver raggiunto i confini”. “Mediante la sofferenza è possibile progredire nel dono di sé e raggiungere il grado più alto dell’amore”: questi due pensieri del Beato Giovanni Paolo II sono stati richiamati dal cardinale George Cottier, teologo emerito della Casa Pontificia, nel suo discorso al convegno in corso oggi in Vaticano sul tema “La Sapienza della Croce nel pensiero e nella testimonianza del Beato Giovanni Paolo II” promosso dalla Università Lateranense. Il cardinale - riferisce l'agenzia Sir - ha svolto una lunga riflessione sulla spiritualità di Papa Wojtyla, segnata dalle vicende personali e familiari sin da giovanissimo con la perdita della madre quando aveva 9 anni, quattro anni dopo dalla morte del fratello maggiore che era medico, a 21 anni dalla scomparsa del padre “suo maestro spirituale”. “A quel punto il giovane Wojtyla si affida a Dio solo e mostrerà lungo tutto il corso della sua esistenza una grande e intensa attenzione a tutte le forme di sofferenza”, ha notato il relatore richiamando le fonti spirituali di questa predisposizione interiore: da un lato gli scritti di San Luigi Maria Grignon de Monfort (“Trattato della vera devozione a Maria”) e dall’altro quelli di San Giovanni della Croce. “Tutta la biografia del Beato Giovanni Paolo II è segnata dalla sofferenza e da una acuta sensibilità che Karol Wojtyla ha mostrato nei suoi confronti fin da giovanissimo”, ha proseguito il cardinale Cottier nel suo discorso sulla “Sapienza della Croce” nel Papa Beato. “Di fronte alla massa enorme di sofferenza dell’umanità, che a volte sembra smisurata e crudele, molti cedono e si ribellano - ha detto - perché alcune forme di sofferenza sono senza risposta. Negli insegnamenti di Papa Wojtyla però il dolore non è senza significato, anzi tramite la fede ci fa partecipi in maniera profonda al mistero stesso di Dio”. Il cardinale ha citato la visita fatta dal Papa, il giorno dopo l’elezione, all’allora mons. Deskur ricoverato al “Gemelli” di Roma per una grave malattia, durante la quale Giovanni Paolo II “si è rivolto ai malati, stupefatti di trovarselo in mezzo a loro, chiedendo la loro preghiera che mi dà - disse il Papa - una forza speciale per compiere meno indegnamente i compiti che mi sono affidati con questo ministero”. Ancora più eloquente, secondo il cardinale Cottier, “il dono della sua sofferenza a Dio e per la Chiesa all’indomani dell’attentato del 13 maggio 1981, le cui conseguenze si faranno sentire per tutta la vita del Papa e che lui offrirà come sacrificio per accompagnare la Chiesa all’ingresso del terzo millennio dell’era cristiana”. (R.P.)
Messico: documento della Chiesa in difesa dei bambini poveri
◊ Non è più sostenibile che i bambini muoiano o rimangano invalidi a causa della fame. E’ quanto emerge in un documento diffuso dall’arcidiocesi di Città del Messico, che propone alcune azioni per l’istituzione di un accordo nazionale per far fronte a questo dramma. Per risvegliare la consapevolezza sociale sui livelli di povertà e di disuguaglianza esistenti in Messico, la Chiesa cattolica ha appena pubblicato il suo secondo Rapporto nazionale “Dolor de la Tierra, Dolor de los pobres. ¡Actuemos ya!” nel quale mette in evidenza che “non è tollerabile che un quarto dei messicani convivano con la fame e la sete, e che i bambini non possano continuare a morire o a rimanere invalidi a causa della fame”. “Né - continua il documento - è possibile che ci siano comunità dove oltre il 90% degli abitanti sono poveri. Non si può continuare a seguire una politica di sviluppo sociale che non va oltre le emergenze senza pensare a quello che è indispensabile per il vivere quotidiano della gente”. La proposta dell’arcidiocesi è di dare vita ad “un accordo nazionale che stabilisca le priorità per far fronte alla povertà e alla disuguaglianza, promuovere la mobilitazione e la concentrazione su accordi a livello comunitario, regionale e nazionale”. Nel lavoro, coordinato dalla Caritas messicana, il responsabile della Commissione episcopale della Pastorale sociale, mons. Gustavo Rodríguez Vega, vescovo di Nuevo Laredo, ha sottolineato che “esistono situazioni che richiedono nuovi atteggiamenti e nuove azioni da parte nostra, che non possono essere rimandate oltre”. (R.P.)
Canada: intervento dei vescovi su libertà religiosa e di coscienza
◊ Riaffermare il diritto della religione di intervenire nella sfera pubblica; preservare buoni rapporti tra Stato e Chiesa; formare le coscienze secondo la verità obiettiva; tutelare il diritto all’obiezione di coscienza. È l’appello rivolto dai vescovi canadesi ai cattolici e a tutte le persone di buona volontà, credenti e non credenti, nella lettera pastorale sulla libertà di coscienza e di religione diffusa ieri a Ottawa. Preparato dalla Commissione permanente della Conferenza episcopale (Cecc), il documento esprime la preoccupazione dei vescovi per i segnali “inquietanti” che giungono dal mondo, ma anche dal Canada, sul fronte della libertà religiosa e di coscienza, due diritti fondamentali radicati nella “dignità unica della persona umana creata ad immagine di Dio”. Sulla libertà religiosa - affermano i vescovi canadesi - oggi non pesano solo le pesanti restrizioni e le persecuzioni in atto in tanti Paesi nel mondo, ma minacce “più sottili”: segnatamente un “relativismo aggressivo” diffuso dalla cultura dominante che vuole relegare la religione alla sfera privata. Se infatti, per un verso, esiste una “laicità legittima che distingue la religione dalla politica, la Chiesa dallo Stato”, ma è aperta alla partecipazione delle organizzazioni e comunità religiose nel dibattito pubblico, per altro verso, si sta affermando un “laicismo radicale” che, al contrario, vuole escludere la religione dall’arena pubblica ed impedirle di “partecipare al dibattito pubblico necessario alla vita civile”. Nella lettera il Consiglio permanente della Cecc spiega perché, invece, la libertà religiosa e di coscienza sono necessarie al bene comune in un Paese come il Canada, dove la diversità religiosa è la norma. Quando la libertà religiosa è minacciata, sottolineano i vescovi canadesi, “tutti gli altri diritti sono compromessi e la società ne soffre”. La libertà di coscienza – afferma ancora la lettera - è necessaria alla ricerca della verità e ad aderire alla verità una volta che questa è sufficientemente riconosciuta. Una verità che la Chiesa non vuole imporre, ma proporre in virtù del mandato conferitole da Cristo. Evidenziando che il diritto alla libertà religiosa comprende quello di vivere la propria fede pubblicamente, il documento della Cecc rileva che “i tentativi di rinchiudere l’espressione della fede nelle sacristie devono essere considerati come una grave limitazione a un diritto garantito”. Di qui, in conclusione, l’esortazione rivolta a tutti i canadesi a difendere questi due diritti fondamentali. (L.Z.)
America Latina e Caraibi: una famiglia su tre non ha una casa adeguata
◊ Una famiglia latinoamericana su tre risiede in abitazioni inadeguate, costruite con materiali precari o prive di servizi di base. Lo rivela uno studio della Banca Interamericana dello Sviluppo (Bid), ripreso dall’agenzia Misna. I Paesi in cui la situazione è più critica risultano essere Nicaragua, Bolivia, Perù e Guatemala, con casi particolarmente gravi in Brasile e Messico. Penalizzate soprattutto le grandi città. Nonostante i progressi degli ultimi anni, il 29% delle famiglie latinoamericane non ha accesso all’energia elettrica né ha a disposizione servizi igienici, si legge nello studio intitolato “Uno spazio per lo sviluppo: i mercati delle abitazioni in America Latina e Caraibi”. Per César Bouillon, coordinatore del rapporto, “la regione deve affrontare le cause e non i sintomi del problema, garantendo che il mercato offra soluzioni adeguate e convenienti, con titoli di proprietà e accesso ai servizi di base per far sì che la gente non sia costretta a vivere in zone marginali o in abitazioni informali”. Occorre quindi “mobilitare le risorse del settore privato per aumentare l’offerta di case. I governi - spiega Bouillon - non hanno i mezzi sufficienti per farlo da soli”: dovrebbero investire sette volte di più, ovvero destinarle il 7,8% del Prodotto interno lordo regionale. (G.A.)
Panama: 500 anni fa la prima diocesi del continente americano
◊ Sono partite a Panama le celebrazioni per il 500.mo anniversario della fondazione, in questo Paese, della prima diocesi nel Continente americano, con il nome di “Santa Maria la Antigua”. Ne dà notizia l'agenzia Fides. L'arcivescovo primate di Santo Domingo, il cardinale Nicolas de Jesus Lopez Rodriguez, ha presieduto domenica scorsa la celebrazione del 42.mo Incontro Eucaristico di Panama, che ha dato il via agli appuntamenti celebrativi in programma per un anno: la Messa, nello stadio Rommel Fernandez di Panama, ha visto la partecipazione di 20mila fedeli accomunati dallo slogan "Con Maria camminando nella speranza". Presenti l'arcivescovo di Panama, mons. José Domingo Ulloa Mendieta, il nunzio apostolico a Panama, mons. Andrés Carrascosa Coso, e i rappresentanti della locale Conferenza episcopale. Nella sua omelia, il cardinale Lopez Rodriguez ha sottolineato che "l'America Latina è una regione con una ricchezza culturale che permette l'approccio dei popoli, lasciando da parte la sofferenza vissuta, pur sempre ricordandola". La città di Santa Maria de la Antigua, che si trova nella zona della foresta al confine con la Colombia, fu la prima diocesi sulla terraferma, eretta da Papa Leone X con la bolla del 9 settembre 1513. (G.A.)
Ecuador: la tratta degli esseri umani colpisce più di seimila persone
◊ Ogni anno circa 800 mila persone in tutto il mondo sono vittime della tratta di persone, un business in crescita che si basa sulla schiavitù, l'inganno o la violenza, ha riferito Hiroshima Villalba, sottosegretario alle garanzie democratiche del Ministero degli Interni dell'Ecuador, mentre il Vice Ministro dell’Interno, Javier Cordoba, ha denunciato che in Ecuador le vittime sono più di 6 mila, e il 90% delle donne coinvolte subisce violenza sessuale. Queste dichiarazioni sono state fatte durante la presentazione dell'Incontro Internazionale sulla tratta di esseri umani, che si conclude oggi a Quito, con il titolo "Incontro sulla tratta delle persone e sul traffico illecito di migranti", a cui partecipano specialisti di Costa Rica, Messico, Colombia, Perù, Bolivia, Stati Uniti e Paraguay. Le autorità ecuadoriane hanno sottolineato che la Costituzione dell'Ecuador e il loro piano di sviluppo nazionale per il benessere, manifestano la volontà del Paese di ridurre questa pratica illegale. Il governo dell'Ecuador ha anche firmato con il Perù un protocollo di frontiera binazionale per fornire assistenza completa alle vittime e ai sopravvissuti della tratta. L'iniziativa mira a proteggere da questi crimini le donne, i bambini e gli adolescenti nelle aree di El Oro, Loja e Zamora, in Ecuador, e Tumbes, alla frontiera nord del Perù. Solo pochi giorni fa, il Vaticano ha insistito sull’importanza che Chiesa cooperi con le organizzazioni internazionali in materia di prevenzione, sostegno e riabilitazione delle vittime della tratta. "Mettiamo al servizio della lotta contro la tratta degli esseri umani tutta la nostra rete di religiosi nel mondo" ha dichiarato il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace durante la conferenza mondiale su questo flagello tenutasi in Vaticano. Egli ha insistito anche sul lavoro comune della Chiesa, dei governi, delle istituzioni e delle organizzazioni umanitarie a livello globale, per affrontare il problema in modo efficace. Nella dichiarazione finale dell’evento si legge: "il problema sta diventando sempre più drammatico e reale, ed è il secondo crimine più redditizio internazionale, dopo il commercio illegale di armi”. (R.P.)
Filippine: accuse dell’esercito alle religiose impegnate a Mindanao
◊ Due religiose filippine, impegnate per la pace, la difesa dei popoli indigeni e del patrimonio naturale di Mindanao, sono accusate dai militari di essere “comuniste e ribelli”, fiancheggiatrici del gruppo guerrigliero “New People’s Army” (Npa), che da decenni tiene in scacco con una insurrezione armata di matrice comunista il governo di Manila. Come appreso dall’agenzia Fides, le vittime di una campagna diffamatoria di alcuni ufficiali dell’esercito filippino sono suor Stella Matutina, monaca benedettina, e suor Julita Encarnacion, delle Suore dell'Assunzione di Maria. Le due religiose sono da tempo impegnate sull’isola di Mindanao in campagne di pace, giustizia, difesa dell’ambiente. Hanno criticato la vasta opera di sfruttamento minerario e delle risorse naturali, con cui multinazionali straniere, grazie ad accordi con il governo, depredano le ricchezze di Mindanao. Hanno denunciato la corruzione dei poteri locali. Sono a fianco dei popoli indigeni e hanno alzato la voce contro l’impunità degli omicidi che attraversano l’isola, anche nel caso dell’uccisione del missionario padre Fausto Tintorio, del Pime. Hanno coordinato attività e manifestazioni della società civile e delle comunità cristiane a Mindanao. Ma, sopratutto, sono considerate “nemiche dell’esercito”, perchè hanno denunciato la campagna di repressione compiuta dai militari nell’operazione contro-insurrezionalista “Oplan Bayanihan”, avviata dal governo Arroyo e confermata dal governo di Benigno Aquino. L’operazione prevede un massiccio stanziamento militare a Mindanao per contrastare i ribelli dell’Npa e scovarne i leader. Tali operazioni, però – denunciano le suore – implicano spesso abusi di potere, violazioni dei diritti umani, azioni violente contro civili e indigeni, uccisioni extragiudiziali di leader e attivisti locali, soprattutto attraverso le milizie paramilitari create e guidate dall’esercito. Le suore hanno anche promosso una petizione per il ritiro del contingente militare, affermando che “finchè le Forze Armate delle Filippine continuano a servire gli interessi delle grandi compagnie, la loro cosiddetta pace porterà solo più caos e sofferenze alle comunità povere”. Suor Julita Encarnacion fa parte di una associazione che riunisce numerosi missionari, chiamata “Missionari rurali delle Filippine”. Suor Stella ha creato nella diocesi di Mati il gruppo “Benedettini per la Pace” ed è la segretaria dell’Ong “Panalipdan Mindanao”, organizzazione di “difensori e avvocati dell’ambiente, del Creato e del patrimonio di Mindanao”. In passato, con altri due membri del movimento, suor Stella è stata arrestata e interrogata per otto ore. I militari del 28° Battaglione di Fanteria, stanziato a Davao orientale, hanno detto che “suor Stella è una suora mascherata, in verità è un membro dell’Npa”. Gli stessi leader del Battaglione avevano accusato anche padre Tentorio di essere membro dell’Npa. Padre Angel Calvo, missionario Clarettiano da 40 anni a Mindanao, ricorda a Fides che “accusare preti, suore e missionari di essere ribelli comunisti era pratica comune ai tempi della Legge Marziale, per tutti coloro che criticavano il regime. Ora i tempi e il contesto sono molto diversi, gli accusatori sono certo leader militari locali. Ma i missionari non si spaventano, continuano a difendere i valori del Vangelo, i poveri e i deboli”. (R.P.)
Hong Kong: il cardinale Tong invita 800 neo battezzati alla testimonianza cristiana
◊ La formazione e la testimonianza della fede, il sostegno vicendevole per riaccendere la fede nella famiglia della Chiesa, sulle orme delle prime comunità cristiane: è l’incoraggiamento del cardinale John Tong Hon, vescovo di Hong Kong, rivolto a 800 neo battezzati della diocesi durante l’Incontro di benvenuto ai neofiti svoltosi di recente. Secondo quanto riferisce Kong Ko Bao (il bollettino diocesano in versione cinese ripreso dall'agenzia Fides), quest’anno ci sono stati 3.400 battezzati durante la Santa Pasqua. Il cardinale Tong ha evidenziato che “in vista dell’Anno della Fede, dei 50 anni del Concilio Vaticano II e dei 20 anni della pubblicazione del nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, ci viene offerta l’opportunità di ripercorrere l’insegnamento del Concilio e il Catechismo per un maggiore impegno nell’evangelizzazione”. Inoltre il cardinale ha sottolineato che “l’attiva partecipazione alla vita della comunità, e l’adesione all’Associazione cattolica sono il modo migliore per vivere la fede”. Durante l’incontro, due rappresentanti dei neo battezzati hanno portato dei doni ai catechisti che li hanno seguiti lungo il cammino di fede che li ha portati al battesimo, in segno di gratitudine e anche come impegno a dare continuità a questo cammino. (R.P.)
Save the Children: in Italia un bambino su quattro è a rischio povertà
◊ In Italia un minore su quattro, il 22,6%, è a rischio povertà, un dato che è il più alto degli ultimi 15 anni - con una crescita del 3,3% rispetto al 2006 - e che ha uno ‘spread’, un differenziale rispetto agli adulti a rischio povertà, dell'8,2% (gli over 18 in condizione di forte disagio economico sono infatti il 14,4% della popolazione italiana). A rivelarlo è Save the Children, che in occasione del lancio della sua campagna "Ricordiamoci dell'infanzia" rende noto il nuovo dossier "Il paese di Pollicino". L'Italia, secondo lo studio, è agli ultimi posti in Europa per finanziamenti a favore di famiglie, infanzia e maternità con l'1,3% del Pil contro il 2,2% della media Ue. Mentre purtroppo vanta altri primati negativi - dall'evasione fiscale alla corruzione - che negli anni hanno sottratto risorse preziose alle centinaia di migliaia di minori che ne avrebbero avuto diritto e bisogno. Se la povertà minorile dunque è costantemente aumentata negli anni e molto più di quella degli adulti, dal 2006 al 2010, cioè in coincidenza con l'esplosione della crisi economica, è in notevole aumento anche l'intensità della povertà passata dal 28,1% del 2006 al 35,1% del 2010 (+7%), mentre nelle famiglie senza minori è cresciuta nello stesso arco di tempo di appena un punto e mezzo (dal 25,1% al 26,7%) e avrebbe conosciuto anzi una leggera flessione dal 2008 (-1,5%), come documenta il dossier. "La prima cosa da fare per arrestare questo trend pericolosissimo è varare subito un piano nazionale di lotta alla povertà minorile", spiega Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia. Le misure proposte si fondano su quattro pilastri: interventi per le famiglie in condizioni disagiate, servizi per il sostegno della genitorialità, misure a favore del lavoro femminile e per promuovere la conciliazione fra lavoro e famiglia e infine la previsione di una valutazione di impatto sull'infanzia di ogni nuovo provvedimento legislativo. (G.A.)
I vescovi della Repubblica Ceca: nessuna alternativa alla famiglia
◊ “Non c’è alternativa all’istituzione familiare”. Lo ribadiscono i vescovi cechi e moravi nella lettera pastorale scritta in occasione del VII Incontro mondiale delle famiglie, che si celebrerà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno prossimi. I presuli, riferisce l’Agenzia Sir, sottolineano che la famiglia è il luogo in cui si aderisce al “senso di responsabilità”. Inoltre - aggiungono - “la libertà, la giustizia e la tolleranza” della nostra società civile dipendono dal livello di educazione che i genitori danno ai propri figli. “L’individualismo e il desiderio di profitto personale che caratterizzano i nostri tempi rendono fragili le famiglie”, scrivono i vescovi, spiegando che le prime vittime di questo atteggiamento sono i bambini che sentono la mancanza di esempi positivi di comportamento. Nonostante tale tendenza, i membri della Conferenza episcopale della Repubblica Ceca guardano con speranza alle recenti statistiche secondo cui il 90% dei cittadini del Paese considerano come “il più grande valore della loro vita” trovare il partner ideale per una relazione durevole. I vescovi apprezzano quindi tutti coloro che “non hanno paura di sposarsi e avere figli”. “La famiglia diventa feconda - concludono - se c’è equilibrio tra lavoro e riposo, se c’è tenerezza e amore, impegno e altruismo”. Sollecitate infine iniziative e preghiere a sostegno della famiglia. (G.A.)
Slovenia: per i vescovi è "cristianofobia" l'incendio alla croce di Strugnano
◊ “Un atto pubblico di incitamento, di promozione dell‘odio e dell‘intolleranza religiosa attraverso la denigrazione dei simboli religiosi del cristianesimo”, “un tentativo di stigmatizzare i cristiani nella nostra società ed un insulto intenzionale dei sentimenti religiosi”. Con queste parole la Commissione Giustizia e Pace della conferenza episcopale slovena ha definito l‘incendio “cristianofobico” della croce di Strunjan - Strugnano, avvenuta lo scorso 10 maggio per opera di Dean Verzel, un artista che, già dieci anni fa, aveva compiuto lo stesso gesto per il quale era stato perseguito penalmente, ma assolto. La croce era stata eretta, in seguito ad un voto, nel 1600 dai marinai e dai pescatori per essere protetti in mare. L’anno scorso gli abitanti del luogo l’avevano ristrutturata nel quadro delle attività in preparazione ai festeggiamenti del 500° anniversario delle apparizioni della Madonna, che si svolgono quest’anno. “Dato che la stessa persona dieci anni fa aveva già incendiato la stessa croce - si legge nella dichiarazione firmata da mons. Marjan Turnšek, arcivescovo metropolita di Maribor e presidente della Commissione - riteniamo che si tratti con tutta evidenza di un‘azione morale e giuridica infamante all‘interno dello spazio culturale sloveno”. Da qui l’invito alle autorità nazionali competenti “a verificare al più presto possibile la presenza di elementi costitutivi di reato e la responsabilità degli autori dell‘atto, sulla base del Codice penale e delle disposizioni della Costituzione della Repubblica di Slovenia e della Legge sulla libertà religiosa, che condannano inequivocabilmente l‘incitamento all‘odio e all‘intolleranza religiosi”. Per il 17 maggio, nella parrocchia dell‘Apparizione di Maria a Strunjan-Strugnano, è prevista una celebrazione di riconciliazione dal titolo “Sotto la croce: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!”. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 136