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Sommario del 14/05/2012
Il Papa a Sansepolcro: necessario impegno dei cristiani per una nuova etica pubblica
◊ Alla sfiducia verso l’impegno politico e nel sociale, i cristiani sono chiamati a contrapporre l’impegno e l’amore per la responsabilità. Con questo pensiero Benedetto XVI si è rivolto nel tardo pomeriggio di ieri alla città di Sansepolcro. In questa località che festeggia il millenario dalla fondazione, il Papa è giunto in anticipo sul programma per via dell’annullamento, causa maltempo, della precedente tappa al Santuario della Verna. Davanti agli abitanti di Sansepolcro, il Pontefice ha lanciato un forte appello a guardare in alto per orientarsi nel quotidiano e a riscoprire le radici cristiane. Il servizio del nostro inviato, Paolo Ondarza:
Mille anni sono passati dalla fondazione di Sansepolcro da parte dei santi pellegrini Egidio ed Arcano, reduci da Gerusalemme con il desiderio di edificare una città nella quale i discepoli di Cristo potessero essere il motore della società. Un borgo costruito sul progetto teologico della giustizia e della pace: cammino che, grazie al supporto del carisma benedettino prima e dei monaci camaldolesi è continuato per generazioni.
Visitando la concattedrale, in sosta di fronte all’Eucarestia, al Volto Santo - capolavoro della scultura lignea di epoca carolingia - e incontrando la cittadinanza che lo ha abbracciato nella medievale piazza Torre di Berta, Benedetto XVI ha auspicato che questo millenario possa contribuire alla riflessione e alla riscoperta delle radici cristiane affinché i valori evangelici continuino a fecondare la società. Forte l’appello all’impegno civico dei cristiani:
“Oggi vi è particolare bisogno che il servizio della Chiesa al mondo si esprima con fedeli laici illuminati, capaci di operare dentro la città dell’uomo, con la volontà di servire al di là dell’interesse privato, al di là delle visioni di parte. Il bene comune conta di più del bene del singolo, e tocca anche ai cristiani contribuire alla nascita di una nuova etica pubblica”.
Alla sfiducia verso l’impegno politico e nel sociale i cristiani – ha detto il Santo Padre – sono chiamati a contrapporre l’impegno e l’amore per la responsabilità, animati dalla carità evangelica, che chiede di non rinchiudersi in se stessi, ma di farsi carico degli altri:
“Ai giovani rivolgo l’invito a saper pensare in grande: abbiate il coraggio di osare! Siate pronti a dare nuovo sapore all’intera società civile, con il sale dell’onestà e dell’altruismo disinteressato. E’ necessario ritrovare solide motivazioni per servire il bene dei cittadini”.
“Un richiamo a guardare in alto, a sollevarsi dalla quotidianità, per dirigere gli occhi al Cielo, in una continua tensione verso i valori spirituali e verso la comunione con Dio che – ha detto il Santo Padre – non aliena dal quotidiano, ma lo orienta e lo fa vivere in modo ancora più intenso”. Sansepolcro è chiamata oggi a raccogliere una sfida: conciliare passato, presente e futuro:
“La sfida che sta davanti a questo antico Borgo è quella di armonizzare la riscoperta della propria millenaria identità con l’accoglienza e l’incorporazione di culture e sensibilità diverse”.
Un mandato a cui la cittadinanza non mancherà di rispondere vista la storica apertura missionaria che la caratterizza. In proposito il Papa ha evidenziato i frutti di collaborazione e le opere di carità partite da questo borgo, gemellato con Gerusalemme, in favore dei più bisognosi in Terra Santa. Infine un appello alla diocesi:
“Memori del passato e attenti al presente, ma anche proiettati verso il futuro, voi cristiani della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro sapete che il progresso spirituale delle vostre comunità ecclesiali e la stessa promozione del bene comune delle comunità civili richiedono impegno per un inserimento sempre più vitale delle vostre parrocchie ed associazioni nel territorio”.
Il maltempo, causa dell’annullamento della visita al Santuario francescano della Verna, non ha offuscato la gioia dei tanti biturgensi accorsi per salutare il Papa che ha ricambiato dicendo: “Nonostante il brutto tempo il nostro cuore è pieno di luce e di gioia”.
Il discorso del Papa per La Verna: per essere davvero cristiani, bisogna conformarsi a Gesù
◊ A causa del maltempo, Benedetto XVI non ha potuto recarsi ieri pomeriggio al Santuario della Verna, dove San Francesco ricevette le Stimmate. Tuttavia, è stato pubblicato il discorso che il Papa avrebbe pronunciato nell’occasione. Un intervento, tutto incentrato, sul Mistero della Croce e sulla conformazione a Cristo che deve portare ad una profonda trasformazione del proprio essere. Il servizio di Alessandro Gisotti:
La Croce di Cristo “riassume le sofferenze del mondo, ma è soprattutto segno tangibile dell’amore, misura della bontà di Dio verso l’uomo”. E’ quanto sottolinea il Papa nel discorso che aveva preparato per la visita al Santuario francescano della Verna. Si sofferma dunque sulla straordinaria esperienza del Poverello d’Assisi che unì la “contemplazione del Crocifisso con la carità verso gli ultimi”. E osserva che la “contemplazione del Crocifisso è opera della mente, ma non riesce a librarsi in alto senza il supporto, senza la forza dell’amore”. Per avere efficacia, soggiunge riecheggiando San Bonaventura da Bagnoregio, “la nostra orazione ha bisogno delle lacrime, cioè del coinvolgimento interiore, del nostro amore che risponda all’amore di Dio”. Altrettanto necessaria, soggiunge, è l’umiltà, “porta di ogni virtù”. Non è infatti “con l’orgoglio intellettuale della ricerca chiusa in stessa – avverte – che è possibile raggiungere Dio, ma con l’umiltà”.
La contemplazione del Crocifisso, dunque, “ha una straordinaria efficacia, perché ci fa passare dall’ordine delle cose pensate, all’esperienza vissuta”. Ed è questo proprio l’esperienza che San Francesco fece alla Verna. Un’esperienza, rileva il Papa, che dice anche a noi che “non basta dichiararsi cristiani e neppure cercare di compiere le opere del bene”. “Occorre – ribadisce – conformarsi a Gesù, con un lento, progressivo impegno di trasformazione del proprio essere, a immagine del Signore, perché, per grazia divina, ogni membro del Corpo di Lui, che è la Chiesa, mostri la necessaria somiglianza con il Capo, Cristo Signore”. E anche “in questo cammino”, prosegue, si parte “dalla conoscenza di se stessi, dall’umiltà di guardare con sincerità nell’intimo di sé”. Il Papa non manca dunque a esortare i pellegrini che salgono alla Verna a “portare l’amore di Cristo”. E alla famiglia francescana ricorda che “la vita consacrata ha lo specifico compito di testimoniare, con la parola e con l’esempio di una vita secondo i consigli evangelici, l’affascinante storia d’amore tra Dio e l’umanità, che attraversa la storia”.
E parlando del ministero di quanti sono consacrati al Signore, il Papa afferma che “è l’amore per Cristo alla base della vita del Pastore, come pure di quella del consacrato; un amore che non ha paura dell’impegno e della fatica”. E conclude esortando a portare “questo amore all’uomo del nostro tempo, spesso chiuso nel proprio individualismo” diventando così “segno dell’immensa misericordia di Dio”.
Il cardinale Betori: il Papa in Toscana ha invitato a ridare speranza ai giovani
◊ L'entusiasmo visto per le strade e alle celebrazioni ci dice che "la gente ama questo Papa". L'affermazione è dell'arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, che al termine della visita di Benedetto XVI ha tracciato un bilancio delle ore passate dal Pontefice in Toscana, facendosi interprete dei sentimenti di gratitudine della Chiesa locale. L'intervista è del nostro inviato, Paolo Ondarza:
R. - Come hanno dimostrato le grandi folle che lo hanno circondato, la gente ama questo Papa, lo vuole ascoltare, e quindi è doveroso da parte nostra una grande gratitudine nei suoi riguardi per il dono che ci ha fatto nel venire tra di noi.
D. - Si è trattato della prima visita di Benedetto XVI in Toscana. In effetti, i pellegrini provenienti anche da altre città erano numerosi. Che valore può avere questa presenza di massa?
R. - Innanzi tutto direi, da parte del Papa, un ritorno a una frequentazione che gli è stata sempre abituale fin da giovane. Poi, la presenza del Papa tra noi significa anche poter misurare il grado di capacità di dialogo della Chiesa di oggi con la gente di Toscana. Certo, anche tra noi l’avanzata del secolarismo ha le sue manifestazioni. Ma c’è un sottofondo di interesse, di amicizia tra la gente e la Chiesa, che quando incontra figure autorevoli come il Papa emerge dal profondo delle coscienze e diventa un fatto visibile.
D. - La visita ha avuto senz’altro un carattere locale, ma il richiamo è stato nazionale...
R. - Direi che era inevitabile che uno sguardo sulla situazione della Toscana portasse il Santo Padre a uno sguardo sulla situazione dell’intero Paese. Peraltro, proprio la storia dell’Umanesimo, che trae le suo origini in questi nostri posti, era un’occasione per dire che un tempo, da radici di fede, è nata una civiltà che ha posto l’uomo al centro e che dunque, oggi, le stesse radici di fede possono riportare un’attenzione alla persona umana, oltre alle disfunzioni di un progresso che ha messo da parte l’uomo per ricercare altre finalità. È interessante notare come, tra tutte le cose che il Papa ha detto a Sansepolcro, quella che abbia raccolto un irrefrenabile applauso da parte della gente sia stato l’accenno ai giovani: c’è una forte responsabilità nel momento in cui il Papa ci chiama al fatto che la parola che pronunciamo e la testimonianza che diamo sia effettivamente un messaggio di speranza per le nuove generazioni.
D. - Il ritratto che viene fatto dell’Italia, come un ritratto di disaffezione a certi valori, non risponde completamente alla verità: la speranza è molto viva e lo si vede da queste reazioni...
R. - La presenza di così tanta gente, la reazione ai passaggi fondamentali del discorso del Papa, l’affetto mostrato verso la sua figura, ci dicono che se noi come il Santo Padre offriamo parole, gesti di speranza, noi siamo ancora in grado di far risorgere questa società: che è una società ferita, ma non è una società abbattuta.
D. - “Nonostante il brutto tempo, il nostro cuore è pieno di luce e di gioia”, ha detto Benedetto XVI. Purtroppo però è saltato l’incontro a La Verna...
R. - Da qualche battuta nel dialogo con lui, ho colto che questo era forse l’appuntamento che egli aspettava di più e che quindi speriamo possa quanto prima rinnovare tra noi.
Il Papa ricorda l'impegno missionario di padre Cenci, scomparso all'età di 68 anni
◊ In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, il Papa esprime cordoglio per la morte improvvisa di padre Massimo Cenci, sotto-segretario del Pontificio Consiglio per l’Evangelizzazione dei Popoli, avvenuta venerdì scorso, all’età di 68 anni. Nel testo indirizzato al cardinale prefetto di “Propaganda Fide”, Fernando Filoni, il Papa ricorda “il generoso apporto alla missione evangelizzatrice della Chiesa” di padre Cenci, prima come “missionario in Brasile e poi al servizio della Santa Sede”. Le esequie del missionario del Pime si sono svolte questa mattina nella parrocchia romana “Regina Pacis”, in zona Monteverde. La celebrazione è stata presieduta dal cardinale Filoni che, nell’omelia, ha innanzitutto ringraziato padre Cenci per il suo servizio a Dio, alla Chiesa, alle missioni e alla Congregazione. Il porporato ha dunque sottolineato lo straordinario “sensus fidei” e “sensus Ecclesiae” di padre Cenci che lo resero un fedele sacerdote di Cristo, appassionato della missione di evangelizzazione.
◊ Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Huehuetenango (Guatemala), presentata da S.E. Mons. Rodolfo Francisco Bobadilla Mata, C.M., in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato nuovo Vescovo di Huehuetenango S.E. Mons. Alvaro Leonel Ramazzini Imeri, trasferendolo dalla sede di San Marcos. S.E. Mons. Alvaro Leonel Ramazzini Imeri è nato a Ciudad de Guatemala il 16 luglio 1947 ed è stato ordinato sacerdote il 27 giugno 1971, per l’arcidiocesi di Guatemala. Ha conseguito il Dottorato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana. È stato Professore e Rettore del Seminario Maggiore Nazionale di Guatemala e Parroco di una delle parrocchie più grandi dell’arcidiocesi di Guatemala. Il 15 dicembre 1988 è stato nominato Vescovo di San Marcos ed ha ricevuto la consacrazione episcopale a Roma dal Beato Giovanni Paolo II il 6 gennaio 1989. Ha ricoperto molti incarichi nella Conferenza Episcopale di Guatemala - della quale è stato Presidente dal 2006 al 2008 - e attualmente presiede la Commissione per le Comunicazioni Sociali e la Commissione per la Pastorale Penitenziaria. Ha partecipato all’Assemblea del Celam in Aparecida nel 2007 e all’Assemblea Speciale per l’America del Sinodo dei Vescovi nel 1997.
Il Papa ha nominato Arcivescovo Metropolita di Bangui (Repubblica Centroafricana) il Rev.do P. Dieudonné Nzapalainga, C.S.Sp., finora Amministratore Apostolico della medesima Sede Metropolitana. Il Rev.do P. Dieudonné Nzapalainga, C.S.Sp., è nato il 14 marzo 1967 a Mbomou, nella diocesi di Bangassou. Dopo la scuola primaria, è entrato nel Seminario Minore Saint Louis di Bangassou e poi in quello Maggiore di Filosofia Saints Apôtres di Otélé, in Camerun, prima di continuare gli studi presso il Seminario Maggiore Spiritano Daniel Brottier, a Libreville, in Gabon. Ha emesso i primi voti nella Congregazione dei Padri Spiritani l’8 settembre 1993 e i voti perpetui il 6 settembre 1997. È stato ordinato sacerdote il 9 agosto 1998. Successivamente ha conseguito la licenza in Teologia al Centre Sèvres dei PP. Gesuiti, in Francia, ma è stato presto richiamato nella Repubblica Centroafricana dal suo Istituto per svolgere le funzioni di Superiore Regionale. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1998-2005: Cappellano degli orfani della Fondazione d’Auteuil (Francia) e Vicario parrocchiale (St Jerôme/Marseille, Francia); 2005-2009: Superiore Regionale dei Padri Spiritani (Centroafrica) e Parroco a Bangui; 2008-2009: Presidente della Conferenza dei Superiori Maggiori del Centroafrica. Dal 2009 è Amministratore Apostolico di Bangui.
Il Pontefice ha nominato Vescovo della diocesi di Berbérati (Repubblica Centroafricana) il Rev.do Dennis Kofi Agbenyadzi, S.M.A., Superiore Regionale dei Padri della Società delle Missioni Africane nella Repubblica Centroafricana. Il Rev.do Dennis Kofi Agbenyadzi, S.M.A., è nato il 9 ottobre 1964 a Kadjebi-Akan, diocesi di Jasikan, Volta Region, in Ghana. È di nazionalità ghanese. Dopo aver completato gli studi secondari, ha svolto il servizio civile nazionale. È entrato poi nella Società delle Missioni Africane, alla fine degli anni ‘80. Ha studiato Filosofia nel Seminario diocesano di Accra, in Ghana (1989-1991); in seguito ha svolto l’anno di spiritualità a Cavali, in Benin, e subito dopo il tirocinio pastorale a Bèlèmboké, diocesi di Berbérati, in Centroafrica. Successivamente ha completato gli studi di Teologia presso il Seminario Maggiore Interdiocesano di Anyama, ad Abidjan, in Costa d’Avorio (1993-1997). Ha emesso i voti perpetui il 29 giugno 1996 ed è stato ordinato sacerdote il 12 luglio 1997. Dopo l’ordinazione, ha ricoperto i seguenti Uffici: 1997-1999: Vicario parrocchiale a Berbérati; 1999-2005: Parroco a Berbérati e Direttore delle opere di sviluppo per il popolo pigmeo; Membro del Consiglio Episcopale ed incaricato della gestione dei prodotti farmaceutici; 2004-2007: Assistente del Superiore Regionale; 2005-2009: Superiore della Casa di formazione a Bangui e Membro della Commissione diocesana per la Pastorale dei Migranti. Dal 2007 è Superiore Regionale dei Padri della Società delle Missioni Africane (rieletto nel 2010 per un secondo mandato).
Il Santo Padre ha nominato Vescovo della diocesi di Bossangoa (Repubblica Centroafricana) il Rev.do P. Nestor-Désiré Nongo-Aziagbia, S.M.A., Superiore della Comunità di Haguenau a Strasburgo, in Francia, e Superiore del medesimo Distretto dei Padri della Società delle Missioni Africane. Il Rev.do P. Nestor-Désiré Nongo-Aziagbia, S.M.A., è nato il 6 marzo 1970 a M’Baïki (Repubblica CentroAfricana). Ha emesso la prima professione nel 1994. Ha studiato Filosofia a Bangui (Centroafrica), nel Seminario Maggiore nazionale Saint Marc, e Teologia nel Seminario Maggiore SS. Peter and Paul, a Ibadan, in Nigeria. Successivamente ha conseguito una Licenza in Teologia Dogmatica presso l’Università di Strasburgo, in Francia, e sta concludendo il Dottorato presso la medesima Università. È stato ordinato sacerdote il 23 agosto 1998. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha assunto i seguenti incarichi: 1998-2004: Vicario parrocchiale e Parroco, Direttore delle vocazioni, Membro del Consiglio per gli Affari Economici e del Collegio dei Consultori nel Vicariato di Kontagora (Nigeria); dal 2004: Superiore della Comunità di Haguenau a Strasburgo, e del medesimo Distretto dei Padri della Società delle Missioni Africane. Inoltre è Parroco moderatore della Comunità parrocchiale "Terre des missions"di Weitbruch, Gries, Kurtzenhouse, Niederschaeffolsheim e Harthouse, nonché Cappellano del Collegio dei Padri S.M.A di Haguenau.
Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Toowoomba (Australia) Mons. Robert McGuckin, finora Vicario Generale e Moderatore della Curia di Parramatta. Mons. Robert McGuckin è nato il 28 gennaio 1944 a Sydney, Stato di New South Wales. Ha fatto gli studi elementari alla St. Pius Primary School di Enmore e quelli secondari al De la Salle College di Marrickville, per poi frequentare il Sutherland Shire Evening College e il Metropolitan Business College. Nel 1967 è entrato nel St. Columba’s Seminary e nel 1970 ha continuato la sua formazione per il sacerdozio presso il Seminario Maggiore di Manly. In seguito ha conseguito la Licenza e un Master in Diritto Canonico presso la St. Paul University di Ottawa (Canada). È stato ordinato sacerdote il 20 ottobre 1973 per l’arcidiocesi di Sydney. Nel 1993 si è incardinato nella diocesi di Parramatta. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale di Matraville (1973-1975); Officiale del Tribunale Regionale di New South Wales (1975-1997); Amministratore della parrocchia di Mascot (1976-1978); Amministratore della parrocchia di Botony (1978-1981); Studi a Ottawa, Canada (1981-1984); Amministratore della parrocchia di Rosebery (1984-1986); Sacerdote residente nella parrocchia di Blacktown (1986-1997); Professore di Diritto Canonico al Catholic Theological Union (1989-1996); Vicario Giudiziale di Parramatta (1991-1997); Amministratore diocesano sede vacante di Parramatta (1997); Vicario Generale e Moderatore della Curia di Parramatta (1998-2012); Presidente della Canon Law Society of Australia and New Zealand (1999-2006). Inoltre, è Professore di Diritto Canonico presso la Notre Dame University di Sydney, Giudice del Tribunale d’Appello per l’Australia e la Nuova Zelanda, Vicario Giudiziale associato del Tribunale d’appello per la Conferenza Episcopale del Pacifico e Direttore dell’ Institute of Tribunal Practice, affiliato al Catholic Institute of Sydney. Nella Diocesi di Parramatta è anche Vicario Episcopale per la Vita Consacrata e per la Pastorale della Salute.
Il Santo Padre ha nominato Vescovo Coadiutore della diocesi di Alindao (Repubblica Centroafricana) il Rev.do Cyr-Nestor Yapaupa, finora Vicario Generale della medesima diocesi. Il Rev.do Cyr-Nestor Yapaupa è nato il 26 febbraio 1970, a Bangassou. Ha studiato Filosofia e Teologia in patria, nel Seminario Maggiore Saint Marc di Bangui.
È stato ordinato sacerdote il 18 marzo 2001. Incardinato prima della diocesi di Bangassou, è passato poi alla diocesi di Alindao, creata per dismembramento di Bangassou il 18 dicembre 2004. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 2001-2002: Accompagnatore dei gruppi vocazionali; 2001-2004: Vicario parrocchiale; dal 2003: Responsabile della Commissione diocesana della Liturgia; dal 2004: Segretario diocesano dell’Insegnamento cattolico; dal 2005: Parroco della Cattedrale, Cappellano diocesano dell’Associazione di Santa Rita, Cappellano diocesano dei gruppi corali. Dal 2006 è Vicario Generale della diocesi di Alindao. Il Papa ha nominato Consultori del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione i Rev.di: Mons. Marco Frisina (Italia), Presidente della Commissione Diocesana di Arte Sacra della Diocesi di Roma, Docente presso la Pontificia Università Lateranense e la Pontificia Università della Santa Croce in Roma; P. Jeremy Driscoll, O.S.B., (Stati Uniti d’America), Docente presso il Mount Angel Seminary in St. Benedict, Oregon, e la Facoltà di Teologia del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo in Roma; P. Marko Ivan Rupnik, S.I. (Slovenia), Direttore del Centro Aletti, Docente presso il Pontificio Istituto Orientale, la Pontificia Università Gregoriana e il Pontificio Istituto Liturgico del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo in Roma; e l’Ill.mo Dott. Salvatore Martinez (Italia), Presidente dell’Associazione Rinnovamento nello Spirito Santo.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Parole più forti del maltempo: in prima pagina, il vice direttore sulla visita del Papa ad Arezzo e a Sansepolcro (rinviata la tappa a La Verna).
In rilievo, nell’informazione internazionale, la battuta d’arresto per Angela Merkel: ai socialdemocratici le elezioni amministrative nel Nordreno-Westfalia.
Se si manipolano le parole: in cultura Marguerite A. Peeters su come l’ideologia del gender si è subdolamente insinuata nelle dichiarazioni internazionali, violando tra l’altro lo spirito della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.
“Siamo fatti per la pienezza dell’estate”: Silvia Guidi recensisce “Maìn, la casa della felicità”, un film sulla figura di santa Maria Domenica e i 140 anni dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
La promessa di una fraternità operosa: nell’informazione religiosa, il cardinale Gianfranco Ravasi sul novantacinquesimo anniversario dell’apparizione mariana.
La Merkel ammette "sconfitta amara e dolorosa" nel giorno dell'eurogruppo a Bruxelles
◊ ''E' stato un giorno amaro con una sconfitta amara e dolorosa''. Così la cancelliera tedesca Angela Merkel ha commentato il risultato delle elezioni in Nord Reno-Westfalia dove è stata chiara la sconfitta del suo partito Cdu e la vittoria dell’Spd. Lo scossone politico in Germania ma soprattutto l’incognita della Grecia che non ha ancora un governo e la difficile situazione in Spagna, dove la crisi del sistema creditizio si intreccia con quella per il debito sovrano, pesano sui mercati. Le Borse hanno aperto in rosso con crescita dello spread oggi, nel giorno dell’Eurogruppo, a Bruxelles, dedicato alla discussione di misure per la crescita economica in Europa. Prima dell’apertura dei lavori, a metà pomeriggio, c’è stato in tarda mattinata uno scambio di vedute tra i presidenti della Commissione europea, Barroso, della Bce, Draghi, e dell'Eurogruppo, Juncker. Fausta Speranza ha intervistato Andrea Bonanni, editorialista su questioni europee del quotidiano La Repubblica:
R. - L’uscita di scena di Sarkozy e l’indebolimento della Merkel possono - non adesso, perché ancora alla riunione di oggi sono presenti ancora gli esponenti del vecchio governo – alla lunga cambiare gli atteggiamenti dei politici ma leggermente, non facciamoci grandi illusioni. La crisi greca se non si risolve, può far precipitare l’uscita del Paese dall’unione monetaria e quindi, naturalmente, creare enormi turbative sui mercati. Sono due problemi di una magnitudo diversa: uno riguarda l’orientamento politico, l’altro sarebbe una crisi precisa e puntuale. Ancora non si riesce a capire se si riuscirà in Grecia ad avere un governo di salvezza nazionale, se si dovrà andare a nuove elezioni e quale sarà il risultato che uscirà dalle urne in caso di nuove elezioni: se i partiti favorevoli ad un’uscita dall’euro saranno ancora maggioritari, oppure se i greci “intenderanno ragione” ed arriveranno a capire che un’uscita dalla moneta unica per loro comporterebbe sacrifici ancora superiori a quelli già pesanti che hanno dovuto accettare, per ottenere il prestito europeo.
D. – Come parlare di crescita in questo contesto?
R. – Diciamo che il vento è già cambiato rispetto ai vertici solo di qualche mese fa: non è solo la vittoria di Hollande, non è solo la sconfitta della Merkel nel Reno-Wesfalia, ci sono le pressioni del governo italiano, che sono state insistenti fino a quando Monti è arrivato a Palazzo Chigi per inserire degli elementi di crescita nell’agenda. Il problema è che non si sa ancora esattamente che cosa fare: ci sono dei veti tedeschi che appaiono, fino a questo momento, inamovibili, come per esempio quello sugli eurobond o quello sulla trasformazione della Banca Centrale Europea in prestatore di ultima istanza. Su altri, invece, ci sono maggiori disponibilità, per esempio sui project bond: cioè il fatto di usare una parte del bilancio UE per finanziare degli investimenti in settori produttivi ed in settori di avanguardia; o come la possibilità di ricapitalizzare la Banca Europea degli investimenti di 10 miliardi (cosa che fino a qualche mese fa era ancora in forse, ma che adesso sembra acquisita). C’è poi un’idea - ma su questo c’è contrasto all’interno del mondo politico tedesco - di allentare un po’ le redini all’economia della Germania, in modo che possa crescere maggiormente, aumentare i salari e con questo consentire alla Germania di riprendere il suo ruolo di locomotiva dell’economia europea, facendo trainare le esportazioni degli altri Paesi.
Messico. 50 morti per il controllo del narcotraffico. Ucciso anche un giornalista
◊ In Messico, 50 corpi martoriati sono stati trovati sulla strada per Monterrey. Si tratterebbe dell’ultima strage per il controllo del narcotraffico. Di oggi anche la notizia dell’uccisione di un altro giornalista, il quinto in due settimane che indagava sul crimine organizzato. Negli ultimi sei anni, sono 50 mila le vittime dei cartelli della droga. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Enza Roberta Petrillo, esperta di crimine organizzato transnazionale e di traffici illeciti, collaboratrice di diverse organizzazioni internazionali tra cui le Nazioni Unite:
R. – Parlare di narcotraffico in Messico implica due livelli fondamentali: un livello economico e un livello politico. Il livello politico, soprattutto, ha a che fare con una struttura statuale sempre più debole. Dal 2000, anno della grande rimonta dei cartelli criminali messicani e anno che coincide poi con l’ascesa di Calderon, che ha a che fare con uno stradominio dei cartelli criminali dovuto anche alla labilità delle strutture politiche di governo. Labilità che è determinata da due grossi elementi: l’ingerenza politico-militare degli Stati Uniti d’America nella gestione della lotta al narcotraffico e la debolezza delle strutture di governo messicane sempre più incapaci di lanciare una linea autonoma e indipendente di contrasto ai traffici di stupefacenti.
D. – Uno dei punti di criticità è quello dell’ingerenza degli Stati Uniti nella lotta al narcotraffico. In che senso?
R. – Si ha a che fare con due grandi piani a egida, appunto, statunitense. Uno è il piano-Colombia, che ha coinvolto un Paese territorialmente contiguo, mentre l’altro è l’iniziativa Mérida, che è un’iniziativa con partnership del governo di Felipe Calderon che puntava a spodestare le grandi reti distributive, ovvero i cartelli criminali messicani. Che cosa è accaduto? E’ una guerra persa perché anzitutto l’inasprimento della linea repressiva nella strategia di contrasto coincide quasi sempre con un cambiamento delle rotte, tant’è che si è assistito in contemporanea, per esempio, alla ripresa della rotta di narcotraffico venezuelana, che è stata l’esatta risposta a questa strategia. C’è un altro punto: l’ambiguità di Felipe Calderon nell’appoggiare l’iniziativa Mérida. L’iniziativa Mérida ha fatto piovere sul Messico milioni di dollari che, per la verità, sono stati una boccata d’ossigeno anche per altri fronti degli affari messicani. In realtà, però, Felipe Calderon non è riuscito a gestire i grandi nuclei di potere criminale interni alle strutture di governo, tant’è che comunque a un certo punto c’è stata una riunione recentissima a Cartagena e lo stesso Calderon ha ammiccato addirittura alla legalizzazione dell’utilizzo delle sostanze stupefacenti, che sembra un po’ l’ultima sponda per poter fronteggiare un fenomeno che è in costante crescita.
D. – 50 mila morti dal 2006: numeri da guerra…
R. – E’ una faida che però, purtroppo, vede coinvolti come protagonisti anche grossi esponenti delle strutture di governo e molto spesso anche ufficiali di polizia. Per cui, è molto difficile distinguere tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, in uno scenario cangiante e complicato come lo è quello messicano. C’è poi un ulteriore aspetto: la militarizzazione di un territorio che non è operata soltanto dai narcos. Molto spesso, sono le stesse forze di polizia che rastrellano alla cieca per legittimare una guerra al narcotraffico che sembra sempre più debole. Molto spesso, in questi rastrellamenti finiscono persone del tutto innocenti. Questo accade in particolare in territorio di frontiera, quello che vede coinvolta ad esempio la città di Tijuana, o la città di Ciudad Juarez dove, nel 2009 – l’anno dell’occupazione della città da parte delle forze governative, conclusa nel 2010 – non si è riusciti assolutamente ad arginare la tracotanza della violenza a opera dei narcos, e addirittura ad aggravare la situazione hanno contribuito poi le truppe antidroga: nei soli primi sei mesi del 2009, ci sono state circa 2.900 denunce a loro carico, registrate appunto da Human Rights Watch.
D. – Questo perché non si riesce a identificare correttamente chi siano i narcos e quindi si compiono rastrellamenti casuali?
R. – Lo scenario dei cartelli criminali è uno scenario molto fluido, fatto di alleanze abbastanza temporanee. Per esempio adesso, rispetto al caso Monterrey, si suppone che sia collegato a una faida tra il cartello de Los Zetas e il cartello di Sinaloa. E’ evidente che quando c’è uno scenario di violenza che cresce sempre di più, c’è anche uno scenario di ricomposizione politica delle logiche interne ai clan. In sostanza, non si capisce chi comanda, in questo momento. E naturalmente, anche le strategie di contrasto patiscono questa difficoltà nell’identificare chi sia il protagonista chiave su cui puntare l’attenzione. Molto spesso, per esempio, ci sono alleanze di comodo per questioni meramente economiche. Per esempio, per gestire una rotta criminale più vincente rispetto a un’altra, c’è un’alleanza tra due cartelli che magari fino al mese precedente avevano avuto conflitti a fuoco.
D. – Quale è la reazione della popolazione?
R. – La reazione forse è raccontata bene da un fenomeno in ascesa nel contesto messicano: la cosiddetta "narcocultura". Cosa accade? Accade che naturalmente la popolazione, nelle aree di frontiera, è terrorizzata dai narcos. Però, accade che in qualche modo il fenomeno criminale venga anche “legittimato”. Per esempio, uno dei fenomeni in ascesa in questo momento sono i narcocorridas, sorta di cantanti neomelodici che cantano le gesta dei grandi eroi criminali. Naturalmente, i loro concerti sono affollatissimi, veicolano una cultura vera e propria; addirittura, i boss celebrano se stessi con video sistematicamente postati su facebook, che ritraggono appunto boss ricchi e volgari che sfoggiano scarpe di coccodrillo, camicie di stile italiano o orologi da centinaia di migliaia di dollari. Queste persone stanno diventando degli “eroi”, in un momento in cui c’è uno Stato molto debole che non garantisce protezione, una crisi economica che anche lì si sente molto e soprattutto, molto spesso, alcuni dei cartelli criminali si propongono proprio come elargitori di sicurezza in un contesto in cui lo Stato non sa difendere i propri cittadini.
D. – Le frontiere messicane sono un groviglio di tunnel, c’è corruzione anche nell’apparato di pubblica sicurezza e il fenomeno è estremamente fluido. Come si può risolvere questa situazione?
R. – La frontiera non è soltanto un luogo di scambio e di transito di traffici illeciti connessi alla droga. La frontiera naturalmente è connessa, per esempio, a tutto il viavai continuo di migranti messicani che cercano di approdare negli Stati Uniti per ragioni di lavoro. La frontiera è anche connessa anche ad un altro tipo di traffico, che tra l’altro sta superando per entità lo stesso traffico di droga, ed è il traffico di armi. Ora, bisogna potenziare la sicurezza e l’operatività delle strutture di controllo locali. Noi dobbiamo considerare che l’azione sulla frontiera è un’azione gestita dall’alto, dall’esercito, in quell’area. Chiaramente, non c’è a livello locale una responsabilizzazione degli attori locali. Ancora, bisognerebbe soprattutto ragionare in un’ottica globale e quindi non agendo soltanto su uno scacchiere di tipo frontaliero, ma cercare di comprendere qual è la rotta intera del circuito criminale. Voglio spiegarmi meglio: è una cocaina che di fatto è prodotta in Bolivia, in Perú o – appunto – in Colombia. Passa per il Messico e dal Messico passa ancora via terra negli Stati Uniti e via mare, per esempio, o via aerea nell’Africa occidentale. Fino a quando non si comprenderà l’essenza di questa catena criminale, non si riuscirà a far molto.
MigraMed 2012. Mons. Miglio: la Chiesa contro equazione immigrazione-criminalità
◊ “MigraMed 2012: dialogo tra le sponde”. Presentato stamani a Cagliari il terzo incontro tra le Caritas del Mediterrano, che si terrà nel capoluogo sardo dal 16 al 18 maggio prossimi, ospitato nel College Universitario Sant’Efisio. Il servizio di Roberta Gisotti:
Rendere capillare nelle diocesi l’attenzione verso l’immigrazione, elemento ormai costitutivo nelle nostre chiese: cosi il neo arcivescovo di Cagliari, mons. Arrigo Miglio, al suo primo intervento pubblico, presentando l’evento che riunirà per la terza volta dalla nascita di MigraMed una ventina di Caritas del bacino mediterraneo, a un anno dall’esplosione della primavera araba e con la crisi finanziaria, economica e sociale che sta travolgendo l’Europa. Da mons. Miglio e dalle Caritas italiane è partito un appello affinché le autorità statali "facilitino l'acquisizione della cittadinanza italiana per i figli degli immigrati nati” in Italia. La Chiesa - ha spiegato l'arcivescovo di Cagliari - respinge l'equazione troppo spesso diffusa "tra immigrazione e criminalità" e auspica che Migramed possa aiutare il percorso di "sensibilità verso i diritti della persona immigrata" a evitare una lettura del fenomeno migratorio emergenziale.
Per questo, nel meeting nella diocesi di Cagliari - in prima linea nell’accogliere i richiedenti asilo libici - si farà anche il punto su 25 mila rifugiati dalla Libia, giunti in Italia dopo il conflitto dello scorso anno nel Paese nordafricano, ai quali se ne aggiungono altri 20 mila irregolari non censiti e del “rischio collasso” dovuto al perdurare di una grande ambiguità politico-giuridica. Si parlerà a MigraMed anche di dialogo interreligioso, tema che le Caritas della sponda sud del Mediterraneo, in Paesi a maggioranza musulmana, affrontano quotidianamente. Sono attesi a Cagliari i delegati delle Caritas di Libia, Libano, Turchia, Tunisia, Marocco, Algeria, per un confronto diretto con quelle di Francia, Germania, Malta, Grecia, Spagna, Albania, Italia, oltre a rappresentanti della Caritas Europa, della Regione Medio Oriente e Nord Africa. Tra le presenze istituzionali vi saranno Mario Morcone, capo di gabinetto del ministro per la Cooperazione internazionale e l'Integrazione, e Laura Boldrini, portavoce in Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Progetto di promozione della donna in Burundi curato dal "Jesuit Refugee Service"
◊ Imparare per sé e la propria famiglia il valore della dignità per migliorare la qualità di vita nel proprio ambiente. È l’impegno assunto dal “Jesuit Refugee Service” (Jrs) in favore delle donne in Burundi. L’iniziativa, lanciata nella diocesi di Rutana dall’organismo di solidarietà dei Gesuiti, ha visto la creazione di un Centro didattico, nel quale è possibile per le donne del posto migliorare la propria cultura e acquisire esperienze di lavoro. La collega della redazione francese, Marie Duhamel, ne ha parlato con Danilo Giannese, responsabile del JRS nella regione dei Grandi Laghi:
R. – E’ una vera e propria fattoria didattica, nella quale forniamo alle donne più grandi e alle più giovani che vivono nella zona competenze dal punto di vista dell’agricoltura e dell’allevamento. Allo stesso tempo, abbiamo deciso di formarle offrendo loro anche corsi di alfabetizzazione, quindi insegnando a leggere e a scrivere, a fare i calcoli, e insegnando loro anche i diritti umani e i loro diritti specifici.
D. – Perché puntare precisamente su di loro?
R. – Abbiamo deciso di puntare sulle donne perché abbiamo constatato che in questa parte del Burundi, come in tanti altri Paesi africani, la donna resta sfortunatamente più emarginata rispetto all’uomo. Però, sappiamo benissimo che qui in Africa, e anche qui in Burundi, è veramente la donna che rappresenta il motore della famiglia, è lei che va nei campi tutti i giorni… Abbiamo deciso allora di puntare sulle donne perché siamo consapevoli che sono loro ad avere la possibilità di lavorare per il diritto di una società più forte, di una società più solidale, dove sia la pace a regnare. In più, in questa parte del Burundi accade spesso che moltissimi uomini lascino le famiglie per andare a lavorare oltre i confini in Tanzania per poi ritornare a casa dopo più di un anno.
D. – Avete avuto l’opportunità di formare alcune donne e quali sono stati i risultati?
R. – I risultati sono positivi, perché la maggior parte delle donne e delle ragazze non hanno avuto la possibilità di andare a scuola, soprattutto perché i padri glielo hanno impedito. Ma una donna che è capace di andare al mercato e riesce a contare i soldi da dare al commerciante, o riesce a leggere il peso sulla bilancia di ciò che sta acquistando è una donna sicuramente più soddisfatta di se stessa. E una donna che scopre i propri diritti, una donna che inizia a prendere coscienza del proprio corpo è sicuramente una donna la cui mente si apre: in lei scompare la paura del prossimo, del vicino, e a giovarne è tutta la società. Già il piccolo fatto che la donna impari a produrre una maggiore quantità di cibo, perché sa coltivare la terra in una maniera più razionale, è molto positivo perché vuol dire che sempre più donne saranno in grado di produrre più quantità di cibo e ciò potrà far diminuire gli episodi di furto.
D. – Davanti a queste donne molto più indipendenti e emancipate, il marito è contento oppure fa difficoltà?
R. – Lavorando nella regione dei Grandi Laghi, ci rendiamo sempre conto che nel momento vengono sensibilizzati sul fatto che le donne hanno diritti e sul fatto che una donna con diritti sia importante soprattutto per lo sviluppo della società, gli uomini iniziano a capire che l’emancipazione verso cui vanno le loro donne anzitutto non vuol dire che comporterà per loro la perdita il loro “status”. Inizieranno ad accettare il passo in avanti delle proprie donne e inizieranno anche a beneficiare dei vantaggi di avere mogli e madri per i loro figli con una coscienza maggiore di se stesse.
Partita la corsa alle risorse petrolifere del Polo Nord: grandi i rischi ambientali
◊ La corsa ai giacimenti di petrolio e gas del Polo Nord è partita: nuove basi esplorative si stanno moltiplicando in tutta la zona dell’Artide. Le principali potenze mondiali e le compagnie petrolifere hanno in progetto lo sfruttamento massiccio di quest’area: ma grandi sono i rischi ambientali. Sulla corsa alle risorse energetiche del Polo Nord, Federico Piana ha sentito Valerio Rossi Albertini, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche:
R. - Viene fatta perché le scorte planetarie di petrolio si stanno assottigliando in maniera consistente. Andiamo incontro al cosiddetto “picco” del costo del prezzo: quando una parte consistente delle riserve si è esaurita, per la più fondamentale delle leggi di mercato, i prezzi iniziano ad aumentare. Allora noi ci troveremmo di fronte ad un’altra crisi petrolifera, ed anzi, inevitabilmente questo sarà il nostro destino, se non correremo ai ripari in altra maniera invece di andare a perforare le aree protette. Perché mentre le crisi petrolifere del passato sono state contingenti, ad esempio quando le Sette Sorelle decisero di ridurre la produzione di greggio -quindi fu fatto un po’ ad arte-, in questo caso, nel momento in cui le scorte iniziassero ad esaurirsi, ci sarebbe invece una crisi strutturale, dalla quale non sarà possibile tornare indietro. È stimato che ci sia il 13 percento delle riserve mondiali sotto la calotta artica; allora iniziano ad esplorare, a fare delle prospezioni anche in quelle zone che dovrebbero essere protette, così come lo è l’Antartide. In Antartide fu fatto un protocollo di intesa, sottoscritto in piena Guerra Fredda da tutti quanti i Paesi, che vietava, precludeva, la possibilità di andare a fare questo genere di perforazioni, di trivellazioni. Purtroppo l’Artide non è protetto da un protocollo di intesa e di tutela dello stesso genere, e quindi questi progetti, potrebbero effettivamente concretizzarsi. Adesso una speranza è che alla fine di giugno, il 20 di giugno esattamente, ci sarà il summit mondiale chiamato “Rio+20”, a cui tutti quanti i Paesi sono invitati a partecipare. Il nome “Rio+20” nasce proprio per evocare lo stesso summit, lo stesso incontro che fu fatto venti anni fa a Rio de Janeiro, in cui per la prima volta, i grandi della Terra, si accordarono per una prospettiva di sviluppo sostenibile a livello planetario. Ora, in questa sede gli auspici sono buoni; questa potrebbe essere la prima occasione per tentare di concordare un piano di azione che preservi l’Artide dalla profanazione.
D. - Secondo lei, quale potrebbe essere il danno ambientale provocato da questa estrazione così selvaggia di gas e petrolio?
R. - Allora, prima cosa: la trivellazione stessa produce un danno ambientale notevolissimo, perché questa comporta uno sconvolgimento dell’ecosistema. Non bisogna immaginare che una trivella sia semplicemente una punta di trapano che entra nel terreno; si tratta di un cantiere immenso che ruota intorno a delle macine di roccia - perché così sono in fondo le trivelle - che triturano tutto quello che trovano nel loro percorso, e tutto l’insediamento industriale intorno ad esse comporta un disastro ambientale già in partenza. Poi c’è un’altra considerazione: abbiamo visto quello che è accaduto nel Golfo del Messico; un banale incidente, perché tale era, una tubazione che si era rotta, ha prodotto uno sconvolgimento, ed eravamo nel Golfo del Messico, eravamo in prossimità delle coste degli Stati Uniti, quindi una zona molto controllata, e nonostante ciò, non c’è stato niente da fare. Ci sono voluti mesi per tappare la falla, figuriamoci se capitasse in una zona che è lontana da occhi indiscreti, e dove è difficilissimo arrivare, dove tutte quante le attrezzature possono essere trasportate soltanto in tempi lunghi. In questo caso c’è da ritenere - perché la logica ci suggerisce questo - che lì una falla produrrebbe un’emissione di petrolio che potrebbe veramente compromettere la vita dell’Artide.
Usa: libertà religiosa e matrimonio al centro della Plenaria dei vescovi
◊ La libertà religiosa, la tutela del matrimonio, la crisi economica e il tema degli abusi sessuali sui minori: saranno questi i principali punti in agenda alla prossima assemblea plenaria degli Stati Uniti che si terrà dal 13 al 15 giugno ad Atlanta. In primo piano il tema della libertà religiosa, diritto oggi minacciato da una serie di controversi provvedimenti a livello federale volti a favorire la diffusione di pratiche contrarie ai valori morali e religiosi, come l’aborto e la contraccezione. All’argomento – riferisce il sito della Usccb - sarà dedicata una sessione speciale. La questione - come è noto – vede da tempo impegnato in prima fila l’episcopato, un impegno che troverà proprio nel mese di giugno una speciale occasione per essere rilanciato. A tale proposito, a partire dal 21 giugno e fino al 4 luglio, tutte le diocesi sono state invitate a promuovere una serie di manifestazioni “per una nuova nascita della libertà nel nostro Paese”. L’iniziativa è accompagnata da un documento dell’apposita Commissione episcopale per la libertà religiosa che offre una serie di “esempi concreti” di violazione della libertà religiosa, riguardanti anche le agenzie caritative che si occupano di assistenza alle donne immigrate e che subiscono ostacoli alle loro attività in quanto non garantiscono l’accesso alle pratiche abortive o ai contraccettivi. Proprio sul fronte delle attività caritative internazionali, durante i lavori i vescovi potranno ascoltare la relazione del presidente dei Catholic Relief Services (Crs), l’agenzia caritativa internazionale della Chiesa americana. Altro importante punto all’esame dell’assemblea sarà la tutela del matrimonio, un tema tornato di pressante attualità dopo il referendum dell’8 maggio nel North Carolina e le aperture del Presidente Obama al matrimonio omosessuale. I vescovi ascolteranno una relazione di mons. Salvatore Joseph Cordileone sulle attività del Sotto-Comitato dei vescovi per la promozione e la difesa del matrimonio da lui presieduta. Ad Atlanta si parlerà anche della crisi economica e degli effetti sulle famiglie. I presuli discuteranno un messaggio speciale sul tema, dal titolo “Catholic Reflections on Work, Poverty and a Broken Economy” (Riflessioni cattoliche sul lavoro, la povertà e un’economia in crisi). In un recente intervento sulla nuova Legge di Bilancio l’episcopato ha rinnovato l’appello a considerare prioritario nella distribuzione delle risorse il bisogno delle fasce sociali più povere e vulnerabili. Per quanto riguarda il tema degli abusi, infine, i presuli americani faranno il punto sull’implementazione nelle diocesi della “Carta per la protezione dei bambini e i giovani” a dieci anni dalla sua approvazione nel 2002 e ascolteranno le raccomandazioni della National Review Board basate sui risultati dello studio commissionato dai vescovi sulla cause e il contesto in cui si è sviluppato il fenomeno tra il 1950 e il 2010. (A cura di Lisa Zengarini)
Filippine. Leader ambientalista ucciso a Mindanao. Appello dei vescovi: basta violenza
◊ Emergenza omicidi sull’isola di Mindanao: il leader ambientalista Margarito Cabal è stato ucciso nella provincia di Bukidnon, a Mindanao (Filippine Sud). Si tratta del terzo assassinio nel giro di due mesi, dopo l’omicidio del leader tribale Jimmy Liguyon e del giornalista cattolico Nestor Libaton. Cabal è stato freddato da due uomini non identificati la sera del 9 maggio scorso, ma solo ora la notizia è venuta alla ribalta, nota all'agenzia Fides l’Ong locale “Karapatan”, ricordando che nel giro di due anni – da quando è in carica nel paese il governo di Benigno Aquino jr – 76 fra leader e attivisti per i diritti umani sono stai uccisi nelle Filippine. 13 erano particolarmente impegnati per la tutela dell’ambiente, e 9 su 13 sono stati uccisi a Mindanao. Margarito Cabal era fra i leader della “ Task Force Save Pulangi”, impegnata per la difesa del fiume Pulangi, in Mindanao centrale, per il quale è già pronto il progetto di una seconda diga per una mega centrale idroelettrica (oltre a una prima già esistente sul fiume) che danneggerebbe l’ambiente e la vita delle popolazioni indigene che vivono nella zona. Per fermare il progetto si era speso anche padre Fausto Tentorio, il missionario ucciso nell’ottobre 2011. La crescente violenza preoccupa molto la Chiesa locale. Mons. Joe Cabantan, vescovo di Malaybalay, capitale della provincia di Bukidnon, e presidente della Commissione episcopale per i popoli Indigeni e Tribali a Mindanao, ha lanciato un forte appello per fermare la violenza: “Condanniamo e denunciamo questa scia di assassini che insanguina la nostra terra, che continua e che viola la dignità umana. Le vittime sono leader ambientalisti, attivisti per i diritti umani, missionari, giornalisti, persone che difendono i diritti della nostra gente. Il nostro appello è per la fine di questa assurda violenza. Molti degli omicidi recenti e passati sono irrisolti e c’è un clima di generale impunità. Chiediamo al governo un maggiore impegno per le indagini, per la giustizia, per ristabilire l’ordine e la pace a Mindanao. Ricordiamo l’omicidio di padre Tentorio, ma anche quello di padre Nerylito Satur, ucciso nel 1991, un delitto senza colpevoli”. Secondo il vescovo, “la prima responsabilità è delle autorità locali: a loro chiediamo chiarezza, giustizia, impegno per trovare soluzioni. Come Chiesa locale, continuiamo a pregare e a predicare la pace e la giustizia. Iniziando dalle piccole comunità locali, mettiamo tutto il nostro impegno e le nostre risorse per aiutare a costruire una società giusta e fraterna a Mindanao”. (R.P.)
Uganda: catturato Caesar Achellam il numero tre dei ribelli dell'Lra
◊ È arrivata dopo circa un mese di ricerche la cattura di Caesar Achellam, una delle menti dell’Lra (Esercito di resistenza del Signore). Secondo le ricostruzioni, al momento della cattura, avvenuta lungo le sponde del fiume Mobou nella Repubblica Centrafricana, Achellam sarebbe stato armato solo di un fucile di otto caricatori; si trovava nella foresta con la moglie, una delle giovani figlie e un aiutante, quando è caduto in una imboscata dell’esercito di Kampala. Come riferisce l’agenzia Misna, i vertici dell’esercito ugandese hanno reso noto che si tratta di “un passo avanti decisivo per la cattura di Kony”, a capo del movimento. “Mi sento finalmente libero, dopo 24 anni passati nella foresta” avrebbe detto il capo-ribelle qualche ora dopo l’arresto. Ad Achellam in molti atrribuiscono la strategia del ridispiegamento del gruppo Lra in Centrafrica, Sud Sudan e Congo, dopo l’abbandono dei territori del Nord Uganda avvenuto circa sette anni fa. Allo stato attuale non figura tra i capi della ribellione ricercati dalla Corte Penale Internazionale. (G.M.)
Mozambico: i religiosi dicono basta alla violenza contro i loro istituti nel Paese
◊ La Conferenza dei religiosi del Mozambico ha scritto una lettera aperta per esprimere “pubblicamente la propria indignazione e protesta” contro i sempre più frequenti attacchi di cui sono vittime religiosi e religiose nel Paese e per chiedere più sicurezza. L’ultima vittima è stato il missionario della Consolata padre Valentim Eduardo Camale, brutalmente assassinato il 3 maggio scorso a Liqueleva durante una rapina nella missione. Dopo questo ennesimo episodio, i religiosi e le religiose del Mozambico levano la loro voce, “insieme alla maggior parte del popolo mozambicano che cerca di vivere onestamente e subisce nelle strade e nelle case lo stesso problema dell’insicurezza” per dire “basta”. Basta a tutte le forme di violenza che colpiscono vittime innocenti: “dal traffico di organi umani e di persone, alla violenza sessuale, ai sequestri, agli omicidi alle aggressioni…”. “Non possiamo immaginare lo sviluppo di un Paese – sottolinea la lettera pubblicata in spagnolo sul sito della rivista Ecclesia - che prescinda dai fattori chiave per lo sviluppo dell'essere umano “ che “è un bene più prezioso di qualsiasi grande progetto o investimento finanziario. Tra gli elementi che compongono la dignità della persona umana, e non il profitto - ricordano i religiosi e le religiose mozambicane -, al primo posto c’è appunto la sicurezza pubblica”. E questo chiama in causa in primo luogo le autorità a cui spetta “il dovere costituzionale di garantire la sicurezza del popolo, non solo con misure palliative dopo che si sono verificati i fatti, ma attraverso inchieste e misure di prevenzione”. Di qui la richiesta di un maggiore impegno da parte delle istituzioni per ridurre il clima di violenza diffuso in cui vive la società mozambicana. La Conferenza dei religiosi chiede in particolare Forze dell’ordine più preparate, meglio retribuite, più attrezzate e presenti sul territorio. Misure tuttavia insufficienti – afferma - senza un sistema giudiziario e penitenziario più efficiente e giusto. Ma i religiosi mozambicani si rivolgono anche alla società civile affinché assuma un atteggiamento più attivo sul tema della sicurezza. Essi chiedono ai diversi attori sociali, alle istituzioni, alle Ong, ai media e a tutte le persone di buona volontà, di unire le forze per una riflessione comune sulle cause della violenza e sulle strategie per sensibilizzare la società sul tema della difesa della dignità della persona umana. In conclusione, la lettera esprime l’auspicio che la morte di padre Valentim e di tante altre vittime della violenza possa “stimolare la ricerca di soluzioni nuove a vecchi problemi , per costruire un Paese più giusto e migliore in cui regni la fratellanza e la vera pace”. (L.Z.)
Usa: trenta rabbini a New York per la Sinfonia di Kiko Argüello
◊ Il prestigioso auditorium Avery Fisher Hall di New York, ha visto, lo scorso 8 maggio, l'Orchestra e il Coro del Cammino neocatecumenale esibirsi nella Sinfonia che vuole rendere omaggio alle vittime della Shoah, l'Olocausto degli ebrei. “A Symphonic Homage Prayer: Una Preghiera Sinfonica di Omaggio” è, infatti, il titolo di questa celebrazione in cui la Parola di Dio si è intrecciata con la musica, attraverso la lettura del profeta Ezechiele, del Vangelo di Luca e il sottofondo della Sinfonia "La sofferenza degli innocenti". L’opera - riporta l'agenzia Zenit - è stata eseguita davanti a 3.000 persone, la maggior parte ebrei, tra cui più di 30 rabbini e circa dodici vescovi e autorità civili. Nel pubblico, inoltre, si contava la presenza di numerosi sopravvissuti all'Olocausto e delle loro famiglie. "La sofferenza degli innocenti" è stata composta da Kiko Argüello, iniziatore del Cammino neocatecumenale, ed è stata eseguita da un coro e un'orchestra di 180 professionisti, provenienti da questa realtà ecclesiale. La composizione musicale è nata davanti "alla realtà di scandalo di tanti innocenti che oggi portano i peccati degli altri", ha dichiarato Kiko all'agenzia Zenit ed è stata creata, “tenendo come punto di riferimento la profezia di Simeone alla Vergine: Una spada le avrebbe trafitto l'anima nel vedere la morte di suo Figlio sulla croce”. Questa celebrazione sinfonico-catechetica è una delle nuove iniziative del Cammino neocatecumenale che ha come obiettivo costruire ponti con il popolo ebraico, dal momento che molti ebrei, per loro stessa affermazione, si sono sentiti identificati con la musica e il messaggio che essa veicola. Dopo aver fatto tappa in diversi luoghi di tutto il mondo – Madrid, Parigi, Galilea, Betlemme e Gerusalemme - la Celebrazione ha, quindi, raggiunto con successo anche alcune importanti città degli Stati Uniti. La celebrazione dell’Avery Fisher Hall è iniziata con due dei più importanti rabbini della città di New York: il rabbino Greenberg e Rabbi Rosenbaum, che hanno offerto un saluto e guidato un momento di preghiera. Subito dopo, Kiko Argüello è stato presentato a tutti da David Rosen, rabbino e direttore dell'American Jewish Committee, assessore per gli Affari interreligiosi del Gran Rabbinato di Gerusalemme e responsabile per le relazioni con la Santa Sede. Prima dell’esibizione dell'Orchestra sinfonica, Kiko ha spiegato l'origine della sinfonia e l'importanza della sofferenza degli innocenti nella propria vita spirituale. L’iniziatore del Cammino ha raccontato, infatti, quando da giovane andò a vivere tra i “poveri più poveri” delle barracche di Palomeras Alta a Madrid, dove, tra l’altro, nacque la realtà ecclesiale del Cammino neocatecumenale, ai tempi del Concilio Vaticano II. L'evento è proseguito poi con le parole del rabbino Rosen, che ha confermato, ancora una volta, “il riconoscimento che il popolo ebraico trova nel Cammino neocatecumenale per la riconciliazione e l'amicizia con la Chiesa”. Uno dei momenti più emozionanti della serata è stato l’esecuzione dell'Orchestra e del Coro della preghiera dello Shema Israel, che tutti i partecipanti, di cui molti in lacrime, hanno accompagnato con il canto. La celebrazione si è conclusa ancora con il canto di un prestigioso coro ebreo e con la preghiera in memoria delle vittime dell'Olocausto. In tutto questo tempo, il Cammino neocatecumenale ha ricevuto numerose manifestazioni di affetto e di sostegno per questa iniziativa a New York e nelle altre città degli Stati Uniti che ha toccato, come Boston e oggi Chicago. Molte di queste provengono da rabbini e dagli stessi ebrei che vedono come questo possa essere un supporto importante e un passo avanti delle relazioni tra il popolo ebraico e la Chiesa cattolica. (A.D.J.)
Congo: per la corsa all’oro oltre 5 mila persone cacciate dalle proprie terre
◊ “Il tessuto sociale di un popolo che viveva finora in pace e nella solidarietà reciproca è compromesso perché una società canadese in cerca d’oro è venuta a stabilirsi sulla loro terra”. La denuncia arriva da un cittadino congolese, Néhémie Bahizire, che nel documento intitolato “La maledizione dell’oro del Kivu” parla dello sfruttamento delle miniere d’oro a Twangiza-Luhwinja, nell’Est della Repubblica Democratica del Congo. “Per estrarre l’oro - si legge nel documento inviato all’agenzia Fides dall’associazione ‘Pace per il Congo’ - la società Banro Corporation ha dapprima cacciato i 450 minatori che vivevano di questo lavoro. In seguito ha trasferito la popolazione dalle sue terre, il cui sottosuolo è ricco d’oro. L’operazione ha colpito 850 famiglie, circa 5.100 persone”. Per risarcirle, la Banro Corporation ha costruito delle casette ma “in un luogo molto scomodo per risiedervi, ad un’altitudine troppo elevata. Per prendere l’acqua le donne devono affrontare il calvario di scendere e poi risalire, percorrendo chilometri almeno due volte al giorno”. In più, “ad ogni famiglia è stato concesso un piccolo orto attorno alla nuova dimora ma nettamente insufficiente”. Il documento denuncia inoltre le discriminazioni che subiscono i lavoratori locali rispetto ai dirigenti di origine straniera, e il non rispetto delle norme ambientali. “Dopo aver distrutto la flora e la fauna, fiumi e montagne - è la domanda conclusiva che si legge nella denuncia – cosa rimarrà per la popolazione?”. (G.M.)
Honduras: appello della Chiesa per il giornalista rapito
◊ Il cardinale honduregno Oscar Andres Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, e l'Associazione dei media del Paese centroamericano, hanno fermamente condannato il rapimento del giornalista Alfredo Villatoro e hanno chiesto ai rapitori il rispetto della sua vita. Villatoro, 47 anni, è stato rapito da sconosciuti la mattina di mercoledì 9 maggio, sulla strada per la stazione radio Hrn, nella quale lavorava da vent’anni. Finora la polizia ha detto di non avere indizi sul crimine. "Condanniamo la violenza e chiediamo a Dio di toccare il cuore dei rapitori per farli tornare sulla via del Signore, sulla via della giustizia, e di rispettare la vita di Villatoro" ha detto il cardinale Rodriguez parlando a radio Hrn. Ha poi aggiunto che tutte le parrocchie dell’Honduras “sono unite in un'unica preghiera a Dio per la vita di questo operatore della comunicazione, e perché i suoi sequestratori non macchino con altro sangue il nostro paese". Secondo notizie raccolte dall'agenzia Fides, la Commissione Honduregna dei Diritti Umani, ha dichiarato che in Honduras dal 2003 sono stati assassinati 28 giornalisti, di questi ci sono 22 casi ancora irrisolti. (R.P.)
El Salvador: la Chiesa chiede di dare priorità al bene della società
◊ L'arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar Alas, ha insistito, nella sua abituale conferenza stampa della domenica, sull'importanza che ci sia un programma nazionale dedicato a risolvere gli interessi comuni del Paese, e che questo sia parte essenziale dell'impegno dei partiti politici. Mons. Escobar Alas ha detto che la cosa più importante per poter portare avanti un programma nazionale, è l'impegno di coloro che lavorano per risolvere i problemi dei cittadini, cioè i partiti politici, le organizzazioni della società civile e soprattutto dei cittadini. La nota inviata all’agenzia Fides riporta le parole dell’arcivescovo: "È necessario dare priorità al bene della società, gli stessi partiti saranno premiati se riescono ad anteporre il bene della nazione e della gente ai propri interessi particolari". In questa opportunità deve mostrarsi la buona volontà di tutti i settori per costruire un programma di lavoro, soprattutto per affrontare la questione della sicurezza, solo attraverso il dialogo si possono raggiungere degli accordi. "I politici hanno le capacità e i presupposti per raggiungere un accordo nazionale; ci deve essere un accordo nazionale, chiediamo al Signore di poter avere questo accordo", ha concluso mons. Escobar Alas. (R.P.)
Cina: 10 mila pellegrini al Santuario mariano di Hu Xian
◊ Sono arrivati da tutta la Cina, i 10mila fedeli che si sono recati in pellegrinaggio al santuario mariano di Hu Xian, nella provincia dello Shaanxi, per la festa di Nostra Signora della Cina celebrata il 12 maggio. Secondo quanto riporta l’agenzia Fides, erano circa sessanta i sacerdoti che si sono susseguiti per la celebrazione delle Sante Messe; tutti hanno sottolineato l’importanza della preghiera per la Chiesa all’interno dello Stato, come è stata raccomandata dal Santo Padre Benedetto XVI nell’invocare la protezione della Madonna: “Con l’intercessione di Nostra Signora possiamo vincere ogni male e difficoltà con la saggezza, il coraggio e la forza”. Il cammino dei pellegrini è stato organizzato in preparazione alla Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina, del 24 maggio. Ieri, domenica 13 maggio, è stata poi la volta del pellegrinaggio al Santuario mariano della diocesi di Cang Zhou, presieduto da mons. Giuseppe Li Lian Gui. (G.M.)
Pakistan: nessun progresso nelle indagini sull’assassinio del ministro Shahbaz Bhatti
◊ Nessun progresso nelle indagini sull’assassinio di Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le minoranze religiose, ucciso con 30 colpi di pistola il 2 marzo 2011. Nei giorni scorsi la polizia ha rilasciato il secondo presunto omicida, Zia Ur Rehman, dopo aver emesso un mandato di cattura internazionale. In un’intervista all'agenzia AsiaNews, il fratello del politico cristiano ucciso, Paul Bhatti, che è consigliere speciale del premier per l’Armonia nazionale, a nome della famiglia ha espresso disappunto sull’operato di inquirenti e magistrati, per un ravvisato disinteresse nel punire i “veri responsabili” a oltre un anno dal crimine. “Avevamo visto l’arresto di Zia Ur Rehman come un raggio di speranza - spiega - perché la polizia emette mandati di cattura internazionali sulla base di prove certe”. Nel ribadire l’intenzione di “continuare la battaglia iniziata dal fratello”, ha poi precisato che “l’omicida sarà perdonato, solo quando sarà nota la sua identità”. Intanto minacce sono state indirizzate al presidente del Comitato a tutela delle minoranze della provincia meridionale del Sindh, Saleem Khursheed Khokhar. L’uomo è stato vittima di messaggi intimidatori per il suo lavoro a tutela dei non musulmani e delle persone private dei diritti di base. Il suo impegno ha portato anche alla promulgazione di 21 risoluzioni al Parlamento provinciale, fra cui la legge del 2012 sulle Proprietà delle minoranze religiose. Dal vescovo di Islamabad-Rawalpindi, mons. Rufin Anthony, sono arrivate parole di solidarietà assieme alla richiesta di “provvedimenti immediati” e alla condanna dell’inerzia di polizia e autorità di governo sull’assassinio di Shahbaz Bhatti. (G.M.)
India: ex leader persecutore dei cristiani si converte ed evangelizza la sua comunità
◊ Il leader di un villaggio indù dello Stato dell’Orissa si è convertito al cristianesimo e, grazie alla sua testimonianza e all’opera di evangelizzazione, sta contribuendo alla crescita della comunità locale. Niladri Kanhar, questo è il nome, ha perseguitato per lungo tempo i cristiani giungendo anche ad ucciderne alcuni; sarebbe stata, riferisce l’agenzia Fides, la guarigione della figlia maggiore a fargli cambiare la sua fede; la ragazza, per tutti in punto di morte, era stata assistita dal Pastore evangelico Pabitra Kata, che aveva pregato Dio per lei, facendola guarire “nel nome di Gesù”. Da quel momento la famiglia di Niladri Kanhar ha iniziato la preghiera e la lettura della Bibbia. Poi sono giunte le persecuzioni; gli stessi abitanti del suo villaggio lo hanno malmenato cercando di “riportarlo alla fede indù”, ma egli non ha ceduto, continuando ad annunciare il Vangelo. Questo, però, gli è costato anche accuse di conversioni: attualmente, assieme al Pastore evangelico Kata, è in carcere per false accuse di proselitismo. Le stesse che molte volte, in passato, Niladri aveva formulato nei confronti di cristiani innocenti. Nello Stato si registra un forte tasso di violenza anticristiana. Nel 2008 si sono verificati massacri di massa nel distretto di Kandhamal. “Annunciare il cristianesimo in alcune aree dello Stato dell’Orissa, attraversato da movimenti radicali indù, significa persecuzioni e violenze” ha commentato una fonte di Fides. (G.M.)
Vietnam: nel mese mariano i cattolici pregano per la pace sociale e per la Chiesa in Cina
◊ Preghiere per la pace, per le famiglie e la società vietnamite e anche per la Chiesa in Cina stanno scandendo il mese mariano, tradizione molto sentita in Vietnam. Tutte le 26 diocesi del Paese - riporta l'agenzia AsiaNews - stanno organizzando cerimonie nel corso delle quali ci sono canti, recite di poesie, danze tradizionali e offerte di fiori a Maria. Nella diocesi di Saigon sono almeno 198 le parrocchie nelle quali ci sono "Dâng Hoa programs" (recite di poesie e offerte floreali). Vi hanno preso parte giovani e bambini. La Chiesa vietnamita sta anche rispondendo all'appello di Benedetto XVI che chiede di pregare per la Chiesa in Cina durante il mese di maggio. Il 18 maggio 2007, il Papa ha anche detto che "tutti i cattolici del mondo hanno il compito di pregare per la Chiesa in Cina". A Ho Chi Minh City, circa 500 studenti delle scuole "Don Bosco" hanno organizzato incontri familiari di piccoli gruppi di preghiera e di condivisione della Bibbia. Una statua della Madonna del Soccorso dei cristiani va nelle case e ci rimane per uno o due giorni. La si prega per le famiglie cattoliche e per la pace nella società vietnamita di oggi. Nei gruppi di preghiera ci sono medici, uomini d'affari, insegnati, funzionari statali, operai. Joseph Đỗ Văn Đức, supervisore di un'azienda giapponese, spiega che "la Madonna è un 'ponte'' che ci ha unito. Pregando insieme si crea comunione e ci aiutiamo di più tra noi". Alla parrocchia di Thanh Đa raccontano che "questo mese di maggio, ogni giorno organizziamo offerte di fiori, recite del rosario e preghiere alla Vergine. Sicuramente Maria Madre non dimentica le nostre famiglie. Ci benedice e dona pace al nostro Paese", Ogni mese circa 10mila vietnamiti, anche non cattolici, compiono pellegrinaggi a Nostra Signora di Tapao, nella diocesi di Phan Thiết. Ma è specialmente a La Vang che si recano decine di migliaia di pellegrini si recano da Nostra Signora per pregare e chiedere aiuto e sostegno. (R.P.)
Nepal: cattolici in preghiera per la pace e una costituzione giusta
◊ Preghiere per la pace e per una legge giusta si sono levate sabato scorso nella cattedrale dell'Assunzione di Kathmandu dove ha preso il via il primo incontro promosso dal Christian Life Program (Clp). Malgrado lo sciopero generale proclamato dal Brahmin-Chetri Samaj per il terzo giorno consecutivo, un buon numero di cattolici, coppie e single, hanno preso parte all'appuntamento del Clp, che propone il rinnovamento della vita sulle orme di Gesù. Il Christian Life Program prevede tre appuntamenti che, essendo i fedeli molto impegnati, si tengono in giorni di festività pubbliche. "Il Clp - spiega padre Robin Rai, sacerdote della cattedrale - insegna un modello di vita per le necessità quotidiane di ognuno. Che tu sia solo o in coppia, giovane o anziano la vita in Dio è davvero importante per arrivare alla salvezza e affrontare ogni problema". "La preghiera porta alla salvezza e dà pace al cuore". Chirendra Satyal, del Catholic Media afferma che "la preghiera è la chiave della vita cristiana ed è importante in ogni situazione difficile. Per quanto tu sia impegnato - aggiunge - trova il tempo per pregare, che è la sola cosa che ti darà un risultato". Quanto alla preghiera per il Paese, "possa la nuova costituzione essere promulgata in tempo e la laicità praticata bene". La nuova costituzione dovrebbe essere emanata entro il 27 maggio, ma vari gruppi stanno protestando ed esercitando pressioni a favore o contro il federalismo: anche i partiti politici sono divisi sul modello e il numero degli Stati federali. Ci sono forti tensioni fra la maggioranza indù e le oltre 60 fra etnie e minoranze religiose, che chiedono tutele e diritti nel nuovo testo costituzionale. A 15 giorni dalla scadenza prevista, le divisioni rendono del tutto incerta la promulgazione della nuova costituzione. (R.P.)
Indonesia: nell'Anno della Fede le sfide della missione e del dialogo di fronte all'islam radicale
◊ “L’Anno della Fede sarà un'opportunità per rinnovare lo slancio della missione in Indonesia”, dice all'agenzia Fides padre Romanus Harjito, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Indonesia, spiegando che “missione per noi cristiani indonesiani, piccola minoranza, significa essenzialmente testimoniare la fede con le opere, l'amore al prossimo, il servizio, cercando di vivere nella società, in larga maggioranza musulmana, i valori del Vangelo. La sfida più difficile più difficile per i cristiani indonesiani – afferma – è quella che viene dal confronto con l’islam radicale che, a volte, si trasforma in atti di ostilità e violenza verso i credenti. Nella pastorale quotidiana dobbiamo essere sempre attenti alle nostre iniziative e alle attività: i gruppi radicali islamici, pur se piccoli, ci guardano con attenzione e, se giudicano le nostre opere come proselitismo, potrebbero promuovere proteste pubbliche e anche atti di violenza”. La Chiesa indonesiana, prosegue, “sta studiando, in questa fase, di realizzare un ponte fra Anno della Fede e impegno missionario. In particolare, nell’autunno prossimo si prevede a Giakarta, per l'apertura dell'Anno della Fede, un simposio dedicato alla ricezione del Concilio Vaticano II nel contesto indonesiano, così vario, pluralistico, diversificato. Da qui possiamo ripartire per una fede più forte e un testimonianza più viva e convinta in Indonesia”. (R.P.)
Croazia: I vescovi: "no" al congelamento degli embrioni e alla fecondazione eterologa
◊ Una proposta di legge moralmente e legalmente inaccettabile, perché viola i diritti umani dei bambini e le disposizioni della Costituzione croata: così la Chiesa di Zagabria, in una nota, definisce il progetto normativo sulla fecondazione assistita, approvato nei giorni scorsi dal governo locale. Secondo il disegno di legge, sarà possibile, tra l’altro, selezionare e congelare gli embrioni e ricorrere a gameti di una terza persona esterna alla coppia. Entro i 18 anni, inoltre, il bambino nato da fecondazione assistita avrà il diritto di conoscere le sue origini, mentre non si prevede più l’obbligo di ricorrere a consulenza psicologica e giuridica. Tale progetto normativo, dunque, non trova il sostegno della Conferenza episcopale croata ed in particolare, i vescovi affermano: “Il congelamento degli embrioni, che renderebbe possibile la creazione di altri embrioni al di fuori dell’ambito familiare grazie ai gameti di genitori surrogati, priverebbe il bambino, nato da una simile procedura, del diritto di avere un padre ed una madre biologici”. E questo, prosegue la nota, potrebbe trasformare il bambino di un soggetto “particolarmente vulnerabile e soggetto a discriminazioni”. Inoltre, una volta venuto a conoscenza “del metodo e della procedura che ha dato inizio alla sua vita”, il minore potrebbe subirne “conseguenze a livello psicologico nel periodo più sensibile della formazione della sua personalità”. Ribadendo, quindi, che “un embrione è un essere umano nella fase primaria e più delicata del suo sviluppo”, i vescovi croati citano l’art. 21 della Costituzione nazionale, secondo il quale “ogni essere umano, e quindi ogni embrione, ha diritto alla vita”. Di conseguenza, “il congelamento e la selezione degli embrioni stessi viola tale diritto garantito dalla Costituzione”. Poi, la Chiesa di Zagabria cita sia la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia - la quale stabilisce che “ad un bambino bisogna garantire la tutela legale e le cure dei genitori anche prima della sua nascita” – sia il Family Act della Repubblica della Croazia, che “obbliga i coniugi a praticare il rispetto e la fedeltà reciproca”. In base a tale principio, quindi, affermano i vescovi, la fecondazione con l’uso di un gamete di una terza persona, esterna alla coppia, equivale a partorire un figlio “concepito in adulterio, biologico e genetico”. Infine, i presuli croati sottolineano che “una simile proposta di legge, le cui disposizioni ignorano totalmente i principi morali generali, potrebbe avere, a lungo termine, un impatto negativo sulla moralità della maggioranza della popolazione”, poiché “aprirebbe alla possibilità di ulteriori manipolazioni e minerebbe definitivamente la famiglia fondata sul matrimonio”. Di qui, l’appello che chiude la nota episcopale: i parlamentari, in particolare quelli cattolici, vengono invitati a “non approvare leggi dannose moralmente e legalmente”, mentre i fedeli sono chiamati a “fare attenzione ai pericoli derivanti da leggi immorali, impiegando tutti i mezzi civili a disposizione per prevenire la loro adozione ed emendare una legislazione inaccettabile”. (I.P.)
Aperta la tomba di De Pedis: accanto al suo corpo trovati altri resti non ancora identificati
◊ La tomba di Enrico De Pedis, nella Basilica di Sant’Apollinare a Roma, contiene effettivamente i resti del noto criminale esponente della Banda della Magliana. La conferma è giunta dai primi accertamenti seguiti stamane all’apertura della bara, dove gli investigatori dopo una “ispezione visiva” hanno comunicato esservi “il corpo di un uomo corrispondente a quello di Enrico De Pedis”, rimasto ucciso il 2 febbraio 1990 in un regolamento di conti a Campo de Fiori, il cui nome è stato collegato più volte nel corso degli anni alla sparizione di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana, scomparsa all’età di 15 anni il 22 giugno 1983. Ulteriore conferma sull’identità di De Pedis è giunta in fine mattinata dagli esami dattiloscopici. Le impronte hanno infatti permesso l’identificazione del cadavere anche grazie al buono stato di conservazione del corpo. Si attende ora anche l’esame del Dna, mentre proseguono i rilievi della Polizia scientifica anche nella cripta che ospita la bara di De Pedis, dove nel primo pomeriggio è stata trovata una cassetta con dei resti che potrebbero non appartenere al boss. La bara non sarà comunque spostata oggi ma nei prossimi giorni. La decisione dell’autorità giudiziaria di procedere con la traslazione è stata accolta “con piacere” dal cardinale vicario Agostino Vallini, per aiutare a superare – ha detto – “tutti i problemi ed i sospetti”. Non ci si deve fermare alla questione della sepoltura, ha commentato il fratello di Emanuela Orlandi, Pietro, in relazione all’indagine sulla sparizione della sorella, ancora insoluta. L’evento è stato seguito da una folla di fotografi, giornalisti e curiosi. (A cura di Roberta Gisotti)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 135