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Sommario del 12/05/2012
Arezzo attende con gioia il Papa. Il vescovo Fontana: momento di verifica della nostra fede
◊ Sono momenti di grande attesa nella diocesi di Arezzo, Cortona e San Sepolcro per la visita, domani, di Benedetto XVI. Il Papa partirà in elicottero dal Vaticano alle ore 8 per giungere un’ora dopo ad Arezzo dove sarà accolto dal premier italiano, Mario Monti. All’interno del parco “Il Prato” celebrerà la Messa e reciterà il Regina Coeli. Nel pomeriggio l’incontro con i religiosi francescani nel Santuario de La Verna; quindi in serata bagno di folla a San Sepolcro dove il Santo Padre rivolgerà un discorso alla cittadinanza. Da Arezzo, il servizio del nostro inviato, Paolo Ondarza:
Un palco bianco allestito sul monumentale parco "Il Prato". Per le antiche strade medievali sventolano bandiere del Vaticano, gialle e bianche, e quelle policrome dei vari rioni storici della città. Arezzo è pronta ad abbracciare il Papa. Pietro viene a trovare Donato. Dopo Giovanni Paolo II nel 1993, Benedetto XVI visita la terra del vescovo aretino del IV secolo, Apostolo della Tuscia. Un’occasione di verifica per la diocesi di Arezzo-Cortona-San Sepolocro il cui territorio si estende per oltre 3mila quattrocento chilometri quadrati. L’arcivescovo Riccardo Fontana:
“Quello che noi abbiamo pensato è fare una verifica su noi stessi di quanto la Chiesa, che è pellegrina in Arezzo, Cortona e San Sepolcro, sappia ritrovarsi nella Chiesa universale, sappia ritrovarsi nel Concilio Vaticano II; vedere quanto noi stiamo vivendo l’esperienza ecclesiale è un dono particolarmente forte”.
Questa terra così ricca di fede, spiritualità e arte abituata a guardare al futuro con fiducia oggi non esita a nascondere qualche preoccupazione. L’arrivo del Papa e del premier italiano Monti che qui lo accoglierà, sono vissuti con grande attesa dalla popolazione. Ad Arezzo, città dell’oro, le oltre 1300 imprese sorte dalle ceneri del secondo dopoguerra oggi devono infatti fare i conti con la recessione. Un cittadino su 4 è in difficoltà economica. Anche per questo tutta l’organizzazione della visita, pur attenta al dettaglio, si è svolta nel segno della sobrietà. Un’offerta per i poveri sarà presentata al Santo Padre che domani pomeriggio, dopo il pranzo in episcopio con i vescovi della Toscana, volerà a La Verna, Santuario di grande spiritualità immerso in una monumentale foresta di faggi e abeti. Qui l’incontro con la famiglia francescana, frati e clarisse. Presso il “crudo sasso” come lo definì Dante, San Francesco ricevette “l’ultimo sigillo”, le stimmate, conformandosi definitivamente a Cristo. Ultima tappa di questa prima visita di Benedetto XVI in Toscana sarà San Sepolcro, borgo costruito mille anni fa sulle reliquie del Santo Sepolcro di Gerusalemme, qui trasportate dai santi pellegrini Egidio e Arcano. Giustizia e pace saranno il cuore dell’atteso discorso che il Papa rivolgerà alla cittadinanza nella medievale Piazza Torre di Berta.
E sempre il nostro inviato, Paolo Ondarza, ha raccolto alcune testimonianze di fedeli che ad Arezzo come a San Sepolcro attendono con trepidazione l’arrivo del Papa:
D. - Per lei che cosa vuol dire questa visita?
R. - Vuol dire tanto. Per la Chiesa e per i cristiani è un momento molto importante di preghiera e di raccoglimento, anche perché ce n’è bisogno.
R. - Quando ho saputo di questa visita, ho pensato ad una grande grazia. Prego per lui.
R. - Vuol dire grande speranza, che possa avere un significato importante per la città ed anche un risveglio, a livello religioso. L’attesa è sicuramente tanta.
D. - Lei con quale sentimento aspetta il Papa?
R. - Lo aspetto con tanto amore e tanta felicità. Sto facendo le pulizie per lui, e lo faccio con tanto onore. Lo aspetto a braccia aperte, non vedo l’ora.
R. - Sono ben felice che il Papa venga. Le persone girano tutto il mondo per andarlo a visitare e questa volta è lui che viene da noi. Mi sembra sia giusta e doverosa un’accoglienza cordiale da parte di tutta la cittadinanza. Non lo dico soltanto perché sono cattolica, ma perché si tratta di una personalità importante, è un punto di riferimento.
D. - Quanti anni hai?
R. - Dieci.
D. - Se potessi dire qualcosa al Papa, cosa gli diresti?
R. - Gli direi che gli voglio tanto bene.
Il sindaco di San Sepolcro: la visita del Papa darà slancio alla società civile
◊ La visita pastorale di Benedetto XVI nella diocesi di Arezzo-Cortona-San Sepolcro è attesa con grande interesse non solo dalla Chiesa locale, ma da tutta la società civile. Al microfono di Paolo Ondarza, la testimonianza del sindaco di San Sepolcro, Daniela Frullani:
R. – E’ un evento atteso da tantissimo tempo, da più di 500 anni. Quest’anno la nostra città festeggia il suo millenario. Io dico che questo per noi è un anniversario di grandissima importanza, perché costituisce un momento di riflessione collettiva sulle nostre origini, sui valori per i quali San Sepolcro è stata fondata. E’ una città che nasce da un progetto teologico: i pellegrini di ritorno dalla Terra Santa e i Santi Egidio ed Arcano vollero costruire sulle rive del Tevere una nuova Gerusalemme, città della giustizia e della pace.
D. – Non va dimenticato che ci troviamo in un momento di crisi economica che coinvolge l’Europa e coinvolge particolarmente l’Italia. La politica, dunque, è chiamata a risolvere, ad affrontare questa crisi, senza dimenticare il valore della persona...
R. – Questo io lo dirò nel mio discorso di saluto al Santo Padre, perché credo anch’io fermamente che la politica non debba soccombere alle leggi dell’economia e che al centro di tutto debba esserci la dignità dell’uomo e il valore della persona. Quindi, ogni azione politica deve sempre avere questo punto di riferimento, in qualsiasi contesto storico, in qualsiasi situazione. Viviamo un momento molto difficile e ne siamo perfettamente consapevoli. Abbiamo la necessità di recuperare uno stile di vita diverso, più sostenibile. E’ il momento di affrontare grandi problemi che non sono più rinviabili. E’ necessario che un messaggio di speranza in questo senso possa partire dalla terra in cui San Francesco amava ispirarsi.
D. – La città è vestita a festa: sventolano bandiere dei vari rioni, oltre a quelle del Vaticano e oltre a quelle chiaramente di San Sepolcro...
R. – I nostri colori si intrecciano con quelli del Vaticano, con quelli di tutti i rioni cittadini. Alcuni cittadini addirittura non conoscevano i colori dei propri rioni. Ecco, quindi, quando si dice la riscoperta delle proprie origini, delle tradizioni, della propria storia!
Fervono, dunque, i preparativi per la visita di Benedetto XVI in terra aretina. Il nostro inviato, Paolo Ondarza, ne ha parlato con Leonardo Nocentini, responsabile del servizio di volontariato per la visita del Papa ad Arezzo:
R. – Siamo oltre 300 volontari. Le persone di cui si valuta la presenza all’evento della celebrazione sono all’incirca 30mila. Queste sono tutte stime che hanno anche una veridicità in funzione di quello che sarà il tempo meteorologico.
D. - Come sono stati scelti i volontari?
R. - Tramite tutti i collegamenti con le parrocchie, con i movimenti e con la consulta del volontariato provinciale abbiamo chiesto la disponibilità di tutte le persone che potessero assicurare un servizio prettamente alla persona, che potessero servire nella funzione di accoglienza e di guida dei pellegrini che si avvicineranno al luogo della celebrazione.
D. – Il volontario svolge il suo servizio gratuitamente...
R. – Certamente!
D. – Cosa motiva una persona ad adoperarsi per un evento di questo tipo come la visita del Papa?
R. - Pensando alla maggior parte delle persone che appartengono a movimenti ecclesiali, credo che sia proprio quello del servizio a una Chiesa che in questo momento vive un momento celebrativo molto importante, quindi un amore per la propria Chiesa. Per le altre persone che magari non appartengono necessariamente ai movimenti ecclesiali, io credo che sia sempre un’attenzione, una sensibilità al prossimo.
D. – Particolare attenzione è stata riservata ai diversamente abili perché possano partecipare…
R. – Certo, una particolare attenzione che ha coinvolto in questo la pastorale sanitaria che si è organizzata e ha ritrovato disponibilità, Misericordie, opere di assistenza, per poter accompagnare e far vivere questo momento anche ai diversamente abili. E’ prevista un’area specifica, dove vengono accolte queste persone che è in vicinanza immediata del palco con servizi e accompagnamento dedicati esclusivamente a loro.
D. – Quale la principale sfida per il team dei volontari?
R. - La principale sfida è quella di mantenere la calma e cercare di portare i pellegrini in una condizione di serenità a questo evento. La sfida è veramente far funzionare tutto quello che è stato previsto nel modo migliore, quindi nel comunicare tra i vari reparti, tra i vari gruppi, in modo che non ci siano dimenticanze e non ci siano ostacoli ulteriori a quelli che già sono da affrontare.
D. - Nell’episcopio di Arezzo il Papa saluterà gli organizzatori della visita: è prevista anche una delegazione di volontari?
R. – E’ prevista la possibilità di un incontro personale con il Papa. C’è stata indicata questa opportunità che coglieremo molto volentieri.
D. – Come responsabile dei rapporti con il volontariato come vive questo evento per la sua città?
R. – Io ho cercato di seguire anche il consiglio che il nostro arcivescovo ha dato, cioè di far sì che questa attesa fosse un momento anche spirituale di avvicinamento all’incontro. Molto spesso quando si fanno eventi di questo genere ci preoccupiamo di far sì che tutti i dettagli tecnici siano messi al punto giusto e dimentichiamo il motivo per cui stiamo lavorando. Io ho cercato di mantenere questa attenzione e questa tensione spirituale in tutto il mio percorso di avvicinamento a questo evento. Certo, la responsabilità di questo team mi affascina da una parte e mi spaventa dall’altra. Io sono più attento a mantenere questa motivazione di servizio alla mia Chiesa, oltre a quella di essere in questo momento responsabile dei volontari, che devono far girare tutto a puntino.
◊ Un clima di grande cordialità ha caratterizzato il concerto offerto, ieri sera, in Aula Paolo VI, dal presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, a Benedetto XVI, nel settimo anniversario di Pontificato. Prima un incontro privato tra i due, poi lo scambio di doni, un violino pregiato e una partitura dell’800, offerti dal Quirinale. Il Papa, a sua volta, ha conferito al direttore d’orchestra Riccardo Muti una speciale onorificenza per la diffusione della musica sacra. In programma, il Magnificat in sol minore di Antonio Vivaldi; Stabat Mater e Te Deum, dai Quattro pezzi sacri, di Giuseppe Verdi. Protagonisti Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma. Il servizio di Gabriella Ceraso:
“Un concerto tutto italiano” quello che il presidente Napolitano ha offerto al Papa: direttori, esecutori, autori e strumenti, gli eccezionali archi d’epoca provenienti da Cremona. "Un modo - ha detto Napolitano introducendo la serata - per ringraziare Benedetto XVI per la sollecitudine e la fiducia che mostra per le sorti dell’Italia". D’altra parte “una profonda condivisione di ansie e di intenti” per i travagli del mondo, dice il capo dello Stato, segna sempre più il rapporto con la Santa Sede. Giorgio Napolitano cita le allarmanti persecuzioni contro i cristiani in Medio Oriente e la crisi economica:
“Molto ci conforta, Santità, la sua sensibilità ed attenzione per la causa dell’unità europea, così come per la dimensione etica e culturale di una crisi che va superata guardando a nuovi parametri di benessere sociale e civile da perseguire”.
Pace in Medio Oriente e crisi economica sono i temi affrontati anche nel breve colloquio prima del concerto, in cui il Papa ha assicurato il suo affetto all’Italia e la sua vicinanza, in questo momento arduo ed impegnativo. Poi la musica: il Pontefice va al cuore delle opere ascoltate, a partire dalla fede di Vivaldi, espressa nel suo ‘Magnificat’:
“E’ il canto di lode di Maria e di tutti gli umili di cuore, che riconoscono e celebrano con gioia e gratitudine l’azione di Dio nella propria vita e nella storia; di Dio che ha uno 'stile' diverso da quello dell’uomo, perché si schiera dalla parte degli ultimi per dare speranza”.
Lode, ringraziamento e meraviglia, nell’opera di Vivaldi, lasciano il passo, nei pezzi sacri di Verdi, ad una musica essenziale, che si afferra quasi alle parole per esprimere, nel modo più intenso possibile, il contenuto: una grande gamma di sentimenti, che vanno dalla pietà alla supplica, dall’anelito di gloria dello ‘Stabat Mater’ fino al grido finale del ‘Te Deum’, ‘In te, Domine, speravi’. Quasi una richiesta dello stesso Verdi, sottolinea il Pontefice, di avere speranza e luce nell’ultimo tratto della vita.
Sui caratteri della religiosità vivaldiana, così ben espressa nel "Magnificat" eseguito ieri sera, Marco Di Battista ha raccolto il parere del maestro Riccardo Muti:
R. - Gli autori napoletani - e quindi non solo Vivaldi, ma anche in tutta la musica del Settecento - quando scrivono la musica religiosa il senso del dolore è come trasfigurato. Quindi c’è un senso che non voglio definire di gioia ma di serenità e, nel caso del “Magnificat”, non siamo di fronte ad un requiem ma ad un testo che vuole magnificare il Signore. La musica del Settecento, anche nel dolore, può rispondere esattamente a tutti quei dipinti - del Settecento napoletano ed italiano in genere - dove la figura della Madonna o quella del Cristo non sono messe in una maniera estremamente tragica ma il cui dolore viene quasi trasfigurato. La musica di Vivaldi, quindi, è una musica che, in questo caso, glorifica il Signore e lo glorifica come fa Mozart quando scrive “Exultate Jubilate”: c’è un senso di gioia quasi irrefrenabile, in cui il virtuosismo che si richiede ai cantanti non è fine a se stesso ma vuole significare la gioia intrattenibile verso le ‘cose del cielo’.
D. - Più complessa, probabilmente, è la religiosità di un Verdi che scrive questi pezzi sacri alla fine della propria carriera ma che non sembrano essere dei semplici “pezzi di vecchiaia” ma dei pezzi molto sentiti dallo stesso Verdi. Una spiritualità dove c’è una specie di lotta con il sacro…
R. - In effetti, di questi quattro pezzi sacri di Verdi - che poi sono slacciati l’uno dall’altro - eseguiamo i due con orchestra, ossia lo “Stabat Mater” ed il “Te Deum”. Non si tratta affatto di ‘pezzi di vecchiaia’, anche se Verdi non li ha scritti perché voleva assolutamente scriverli, anzi: in un certo senso, sono stati una sorta di esercizio di contrappunto che fece e, addirittura, non voleva che fossero eseguiti. Vennero eseguiti tardivamente, a Parigi. Il “Te Deum” è stato scritto nel 1896, quindi parliamo di cinque anni prima della morte di Verdi. Li ha scritti mettendo però al loro interno quello che era il suo senso del trascendente, sempre con quelle luci ed ombre che tanto hanno fatto parlare musicologi ed altri personaggi, scrittori o pensatori, sulla reale credenza di Verdi nelle ‘cose dell’aldilà’. Verdi era uno che credeva nella trascendenza e nel futuro di un mondo nell’aldilà. Il “Te Deum” finisce addirittura con un mi naturale dato altissimo ai violini che, potremmo dire, danno un’indicazione del cielo, ed i contrabbassi con i violoncelli in un mi grave. In mezzo, quindi, c’è il vuoto: c’è il vuoto tra le cose dell’anima beata e le cose dell’anima che, invece, è proiettata verso l’Inferno. Queste sono tutte elucubrazioni mentali che facciamo. Personalmente, credo che se Verdi ha scritto le sue opere ed ha capito l’animo degli uomini - come scrisse D’Annunzio, che pianse per tutti -, se ne ha interpretato i dolori, le gioie, gli amori e le gelosie, ossia l’uomo nella sua totalità e nella sua spiritualità, era certamente uno che credeva nella spiritualità. Non penso che Verdi non credesse religiosamente: certo, non lo faceva magari in una maniera beghina ma moderna, ma credeva nella trascendenza dell’uomo. Sono sicuro che Verdi era così. Gli agnostici o i materialisti vogliono vedere in lui una figura che era estremamente critica. Probabilmente egli era critico nei confronti di coloro che si occupavano di religione e in questo campo, come in tutti, ci sono gli uomini positivi e quelli meno positivi. Ma nella religione in se stessa e nell’esistenza di un Dio sicuramente Verdi ci credeva, perché altrimenti avrebbe mentito nel corso di tutta la sua vita. Il “Te Deum” e lo “Stabat Mater” riflettono, non operisticamente ma in maniera teatrale - quindi il teatro è anche la vita e viceversa -, il dolore della Madre di Dio. Il “Te Deum” rappresenta anche questa forma di esplosione di gioia e di riconoscimento della luminosità di Dio portata avanti secondo la vita ed il carattere - non facile - di Verdi e con un finale che, come tutte le cose di Verdi, porta sempre ad una specie di dubbio: qual è la persona, anche la più Santa, che non ha un senso del dubbio?
“Trascinati verso il cielo”: Lettera del Papa per i mille anni del duomo di Bamberg
◊ Il Duomo è un “testimone di pietra” della Fede: così scrive il Papa nella Lettera inviata all’arcivescovo Ludwig Schick in occasione dei mille anni del Duomo di Bamberg, in Germania. La Lettera, firmata il 3 Maggio 2012, è stata pubblicata dall’Osservatore Romano che ne ha curato la traduzione. Il servizio di Fausta Speranza.
“Nella stretta comunione con il Successore dell’Apostolo Pietro e della Chiesa universale troverete, anche nell’attuale crisi della fede, una certezza di fede e una fiducia incrollabili”. Sono parole di Benedetto XVI che ricorda come le mura del Duomo di Bamberg “hanno retto alle tempeste di un millennio”. “Su di esse – spiega - si sono infrante le onde delle ideologie ostili a Dio e agli uomini dello scorso secolo”. “Le forti mura del Duomo” dice “custodiscono luoghi sacri”. Il Papa ricorda che “ciò che distingue il Duomo da tutte le altre chiese è la cattedra del vescovo, situata in posizione prominente. Per questo chiamiamo il Duomo Cattedrale”. E sottolinea: “La cattedra non è un trono, bensì un pulpito per l’insegnamento. Da qui si diffonde la parola del vescovo”. Benedetto XVI poi parla dell’altare “dove viene offerto il sacrificio eucaristico”. “Da qui – afferma - traspare per noi la natura vera, nascosta della Chiesa. Pur costituendo una comunità composta da persone, essa è però al tempo stesso un mistero divino”. E aggiunge: “La Chiesa di Gesù Cristo non è semplicemente un gruppo d’interessi, un’impresa comune, in breve una forma di società umana, che quindi potrebbe essere formata e guidata secondo regole secolari, politiche, con mezzi temporali. Chi viene chiamato al servizio nella Chiesa non è un funzionario della comunità, ma riceve l’incarico e il mandato da Gesù Cristo, il Capo del suo Corpo mistico. È Cristo stesso a unire i fedeli in un’unità piena di vita.” “Nello svettante edificio del Duomo di Bamberg, potenza e bellezza si uniscono”, dice Benedetto XVI che sottolinea che la celebrazione del millenario della sua consacrazione “può diventare per l’arcidiocesi di Bamberg il preludio dell’Anno della Fede che ho proclamato per tutta la Chiesa”. Cita “lo straordinario monumento funebre dei santi Enrico e Cunegonda, realizzato da Riemenschneider”, e la tomba di Papa Clemente II, che – ricorda – “anche dopo la sua elezione a Successore di Pietro voleva rimanere vescovo di Bamberg, dando così una notevole prova dell’unità di Bamberg con Roma”. Il Papa chiede di accogliere l’appello che proviene “a fare ascoltare la Parola del Vangelo in famiglia, nella professione, nella società, nell’economia e nella cultura e di modellare le realtà terrene secondo il suo spirito”. Le quattro alte torri del Duomo imperiale “puntano verso il cielo perché “indicano la meta del pellegrinaggio terreno della Chiesa”. E il Papa dice: “Conoscere questa casa sulla pietra, cari Fratelli e Sorelle, può rafforzarvi nella certezza che il Signore non abbandona la sua Chiesa, nemmeno in futuro, per quanto possa essere difficile. Nella Chiesa, della quale il millenario Duomo è un potente simbolo, anche le generazioni future di fedeli cattolici troveranno la patria del cuore e protezione”.
Il cardinale Filoni ordina 4 sacerdoti e 17 diaconi: conformati a Cristo per servire
◊ Il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ha presieduto oggi pomeriggio la Santa Messa nella Basilica di San Pietro in occasione dell’ordinazione diaconale e presbiterale di alcuni alunni del Pontificio Collegio Urbano De Propaganda Fide. Si tratta di 4 nuovi sacerdoti e 17 nuovi diaconi provenienti in gran parte dall’Asia e dall’Africa: 6 sono cinesi, 5 coreani, 2 vietnamiti, due del Mali, e uno, rispettivamente, di Camerun, Burundi, Ghana, Uganda, Haiti e Papua Nuova Guinea.
Ai nuovi diaconi – il cardinale Filoni – ha ricordato che ciò che in particolare li caratterizza è la configurazione a Cristo–servo, “che nella spoliazione e nell’umiltà si fece uomo di Dio e per Dio, uomo per gli altri, ‘venuto - secondo l’espressione di Marco - non per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti’ (Mc 10, 45): si tratta di un servizio – ha spiegato – da esercitare “con gioia e generosità”. Il porporato ha quindi sottolineato la scelta dei diaconi di appartenere totalmente a Cristo e alla Chiesa attraverso il celibato. “Voi – ha osservato - siete convinti non che l’amore verso una donna, alla quale la natura inclina, non sia bello e nobile, ma che questo amore generoso e totale a Cristo e alla sua Chiesa sia il più alto e il più bello. Liberi da condizionamenti umani, voi siete pronti ad esercitare il vostro ministero diaconale verso tutti, particolarmente verso i più poveri e verso i bisognosi, conformemente a Cristo che si chinò con amore verso i peccatori e gli ultimi”.
Rivolgendosi ai nuovi presbiteri, il cardinale Filoni ha rilevato che i sacerdoti, “per intrinseca natura”, devono coltivare “una straordinaria vita interiore” per non divenire “mestieranti delle cose divine”. Così “l’intima e personale unione del sacerdote a Cristo è fattore indispensabile per un’autentica vita sacerdotale”: infatti – ha proseguito - il sacerdote “è l’amico con cui Gesù parla; è colui che ha in sommo grado per amico Cristo”. Il porporato ha poi affermato: “Nel mondo non c’è azione più grande di questa. Celebrare l’Eucaristia! In quell’atto è la pienezza della grazia che voi rendete presente; è l’apice di ogni aspirazione”, perché ogni volta che si pronuncia “Questo è il mio corpo, questo è il mio Sangue”, sull’altare “si compirà il miracolo più grande che possa accadere sulla faccia della terra: rendere presente Gesù nel suo vero corpo e nel suo vero sangue”, che per le mani del sacerdote “offre ancora una volta, in modo incruento, il proprio sacrificio perfetto di lode e di salvezza al Padre”. Il cardinale Filoni, infine, ha esortato i nuovi presbiteri a portare le vesti sacerdotali sempre “con somma dignità”: esse “ci ricordano la veste inconsunta, di cui Gesù era rivestito e che portò come tale fino alla croce”.
Approvati definitivamente gli Statuti della Comunità cattolica “Shalom”
◊ “Oggi la Chiesa vi dà un sigillo definitivo di autenticità del vostro carisma”: con queste parole, ieri, il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, ha consegnato il decreto di approvazione definitiva degli Statuti alla Comunità cattolica Shalom, nel 30.mo anniversario della sua fondazione. Si tratta, ha continuato il porporato, di “un atto di fiducia e di amore della Chiesa nei vostri confronti”, un ringraziamento “per la vostra opera di evangelizzazione”. Sottolineando come “ogni movimento ecclesiale, quando nasce, è un piccolo seme che possiede dentro di sé il desiderio di annunciare Cristo fino agli estremi confini della terra”, il cardinale Rylko ha poi auspicato che la Comunità cattolica "Shalom" possa continuare “con rinnovato impegno e crescente generosità a servire la Chiesa stessa e l’umanità intera”. Grande gioia, naturalmente, è stata espressa da tutta la Comunità tramite le parole del suo fondatore, Moyses Azevedo: ringraziando il cardinale Rylko e quindi Benedetto XVI per l’approvazione definitiva degli Statuti, Azevedo ha ricordato i tre pilastri sui cui si basa "Shalom", ovvero contemplazione, unità ed evangelizzazione, ed ha auspicato che “l’azione dello Spirito Santo, attraverso le grazie e le sfide, e con la costante cura pastorale della Chiesa”, continui ad accompagnare la Comunità. Nata in Brasile nel 1982 per iniziativa di alcuni giovani universitari e con l’incoraggiamento dello scomparso cardinale Aloísio Leo Arlindo Lorscheider, allora arcivescovo di Fortaleza, "Shalom" è un’associazione privata internazionale di fedeli di Diritto pontificio che oggi conta migliaia di membri. Presente in 17 Paesi del mondo, porta avanti un’assidua opera missionaria ed evangelizzatrice. Il trentennale di fondazione della Comunità avrà il suo culmine mercoledì prossimo, 16 maggio, quando i membri di Shalom parteciperanno all’udienza generale di Benedetto XVI. (A cura di Isabella Piro)
◊ Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in Udienza: il cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e il cardinale Agostino Vallini, Suo Vicario Generale per la Diocesi di Roma.
In Polonia, il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato Vescovo di Tarnów S.E. Mons. Andrzej Jeż, trasferendolo dalla sede titolare di Tigillava e dall’Ufficio di Ausiliare di Tarnów.
Il Papa ha nominato Vescovo Eparchiale di Lungro degli Italo-Albanesi dell’Italia Continentale l’Archimandrita Donato Oliverio, finora Delegato ad omnia della medesima Eparchia.
In Colombia, il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Ibagué il Rev.do Orlando Roa Barbosa, del clero dell’arcidiocesi di Ibagué, finora Rettore del Seminario Maggiore arcidiocesano María Inmaculada, assegnandogli la sede titolare di Nasbinca.
Traffico di esseri umani: l’editoriale di padre Lombardi
◊ Sconfiggere l’abominevole fenomeno della tratta degli esseri umani: è il pressante appello levato nei giorni scorsi ad un Convegno tenutosi in Vaticano, promosso dal dicastero “Giustizia e Pace”. Evento su cui si sofferma padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per il settimanale informativo “Octava dies” del Centro Televisivo Vaticano:
Traffico di esseri umani. Fra i drammi di questo nostro mondo è uno dei più orribili. Come si può arrivare a tanta degradazione morale da considerare le altre persone come puri oggetti da sfruttare, ridurle in schiavitù e abusarne sistematicamente per ricavarne denaro? E’ un mistero. Non solo ogni ombra di rispetto per la dignità dell’altro scompare, ma anche ogni minima traccia di sensibilità umana.
Dicono che per volume di affari, solo il traffico di armi supera quello degli esseri umani. E le nuove tecnologie di comunicazione vengono largamente usate per favorirlo a livello internazionale. Bene ha fatto perciò il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace a ospitare un incontro in cui la Conferenza Episcopale Inglese ha discusso con un pubblico più ampio di organizzazioni ecclesiali la sua esperienza di impegno contro questa piaga terribile, in collaborazione con le istituzioni pubbliche di polizia e lotta contro il crimine, ben rappresentate anch’esse.
La testimonianza di una giovane trascinata con inganno nella prostituzione ha sconvolto non pochi dei presenti e ha confermato – come nel caso degli abusi sui minori - che l’impegno concreto di chi vuole veramente lottare contro le radici del male deve partire dalla condivisione personale profonda della sofferenza delle vittime. Proprio nel ritrovare le vie di un rapporto personale che riconosca e faccia rivivere la presenza e la dignità dell’anima nei corpi violentati sta il contributo dei credenti, un contributo di cui anche le forze di polizia sentono l’assoluta necessità perché la loro lotta raggiunga infine il risultato della liberazione e della rinascita delle vittime a nuova vita. Le religiose sono necessariamente in prima fila in questo impegno, perché donne e più libere di assumersi i rischi altissimi di questo servizio. La Chiesa deve mettere a disposizione la sua esperienza in umanità e guarigione spirituale e la sua presenza internazionale per collaborare con chi combatte le battaglie più difficili contro il male nel mondo.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Comune preoccupazione per la pace: l'incontro fra Giorgio Napolitano e Benedetto XVI in occasione del concerto nell'Aula Paolo VI.
La prima volta del Papa in Toscana: domani Benedetto XVI ad Arezzo, a L'Averna e a Sansepolcro. In cultura, un articolo di Andrea Bellandi dal titolo "A La Verna per incontrare un maestro": il cristocentrismo bonaventuriano nella riflessione di Jospeh Ratzinger.
In rilievo, nell'informazione internazionale, le violenze senza tregua in Siria.
Per ragionare bene è indispensabile credere molto: in cultura, Inos Biffi sull'indissolubile rapporto tra filosofia e teologia in Tommaso d'Aquino.
L'andar di Luca: Antonio Paolucci sull'opera di Luca Signorelli celebrata da Perugia, Orvieto e Città di Castello.
Dalle "tabulae" ai tablet: intervista di Silvia Guidi al direttore della Libreria Editrice Vaticana, don Giuseppe Costa.
Un articolo di Sabino Maffeo dal titolo "Accanto a Paolo VI con gli occhi puntati sulle stelle": ricordo del fratello gesuita Luigi Puhl, per trent'anni al servizio della Specola Vaticana.
Al-Qaeda rivendica gli attentanti di Damasco. Il nunzio: cappa di piombo sulla capitale
◊ Un gruppo terroristico legato ad al-Qaeda ha rivendicato il doppio attentato di due giorni fa a Damasco, che ha fatto almeno 55 morti e quasi 400 feriti. Con una nota sul web, il Fronte al-Nusra afferma che l’attacco è “un atto di rappresaglia contro il massacro dei sunniti attuato dal regime”. E ieri sera almeno una persona è morta nell’attentato portato a termine contro la sede del partito governativo Baath ad Aleppo. Escalation di violenze che non risparmia la minoranza cristiana: un parroco cattolico è stato aggredito in una Chiesa di Qara, e in un villaggio nella provincia di Hama bande armate hanno espulso tutte le famiglie cristiane. Ieri il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha espresso la vicinanza del Papa al popolo siriano all’indomani dei gravi attentati di giovedì. Adriana Masotti ha sentito il nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari:
R. – Il Santo Padre, costantemente informato sulla crisi e il dolore del popolo siriano, ha espresso più volte questa vicinanza sia negli appelli fatti all’Angelus, sia nei messaggi – natalizio e pasquale – e in altre occasioni. Il Papa è vicino a questa gente che soffre e rinnova ancora l’appello pressante a risolvere questa crisi attraverso il dialogo e, come condizione, prima di tutto, fa un appello forte alla cessazione della violenza. Purtroppo vediamo i villaggi siriani continuamente insanguinati e, purtroppo, come si sa, questo sangue chiama altro sangue. Quindi occorre rompere, ma decisamente, con l’aiuto della comunità internazionale, rompere questa spirale della violenza. Purtroppo questa carneficina ha gettato tutti nel dolore e nella costernazione, perché non si sa più cosa pensare. C’è veramente un’aria, una cappa di piombo che pesa su Damasco. Vogliamo sperare che la comunità internazionale, anche dopo questo triste episodio, prenda ancora più decisamente in mano la situazione e appoggi quella che per il momento è la soluzione più opportuna: il piano di Kofi Annan.
D. – Nella dichiarazione della Sala Stampa vaticana si dice che questi ultimi attentati dovrebbero spingere tutti ad un rafforzato impegno nel dare attuazione al piano Annan, e anche lei sottolinea che questo piano è l’ultima spiaggia, l’ultima ancora di salvezza...
R. – Io direi, prima di tutto, che la comunità internazionale non lasci cadere le braccia. Si nota alle volte un po’ di stanchezza qua e là. Certi Stati hanno i loro problemi, hanno le elezioni, hanno problemi finanziari e può succedere che, alle volte, questo slancio di sostegno venga meno. Direi che questo è il momento di non demordere da parte della comunità internazionale e di riprendere lo sforzo, perché purtroppo credo che la Siria da sola non potrà uscire da questa crisi. Questo piano di Kofi Annan sinora è un piano che può dare una certa speranza di successo, perché è sottoscritto da entrambe le parti in conflitto, essendo sigillato dalla comunità internazionale e dal Consiglio di Sicurezza. Quindi ci si dovrebbe aggrappare ad esso – le parti in conflitto e tutti quanti – affinché abbia un certo successo o almeno si possa cominciare a vedere qualche passo nella cessazione della violenza e a portare le parti al tavolo dei negoziati.
D. – Sappiamo che in Siria continuano ad arrivare armi. Fermare questo commercio potrebbe già portare a qualche risultato...
R. – Anche qui la comunità internazionale deve sentirsi impegnata a fermare un eventuale traffico di armi, perché è chiaro che se arrivano le armi, arriva la violenza e quindi arriva il sangue. Bisogna cercare quindi una soluzione negoziata di questo conflitto. Vorrei anche chiudere, per non finire sotto questa cappa di piombo sotto la quale viviamo in questi giorni, dicendo che bisogna cercare la speranza cristiana. Siamo nella città di Damasco, la città dove il giovane Saulo è stato convertito dalla luce di Dio. Dobbiamo avere fiducia in un’arma che è molto potente e che è l’arma della preghiera, l’arma della grazia di Dio: che possa toccare il cuore di tanta gente, di tanti persecutori dell’immagine di Cristo, perché ogni uomo porta in sé l’immagine di Dio. Quindi, che con quest’arma della preghiera, la comunità cristiana possa ottenere questa grazia del Signore: la conversione di coloro che trafficano armi, che hanno progetti di sterminio, di persecuzione e che possano sentire questa voce di Dio “Perché mi perseguiti?” In fondo, ogni uomo, ogni donna, ogni bambino porta questa immagine di Dio, che deve essere rispettata al massimo.
Ue: sempre più gravi i rischi di un'uscita della Grecia dall'Euro
◊ La Grecia, dopo ed in seguito alla crisi economica sta attraversando una crisi politico-istituzionale senza precedenti. Nonostante, infatti, l’invito delle Istituzioni europee ad un maggior senso di responsabilità, sono andati falliti i tre tentativi di formare un governo di coalizione e “salvezza” nazionale. Ora, di fronte alla situazione di stallo di Atene, le cancellerie del Vecchio Continente e le istituzioni europee stanno insistendo sul tasto della responsabilità; devono, in pratica, i greci stessi, decidere se restare in Europa o meno. Questa contrapposizione così forte, non rischia di minare le basi sulle quali è stata fondata l’Unione Europa? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Francesco Gui, docente di Storia dell’Europa all’Università di Roma "La Sapienza":
R. - Di certo sono momenti altamente drammatici, e si può comprendere come questa popolazione, da un momento all’altro, si possa trovare in una situazione così difficile. Diciamo la verità: non sono processi facili. Si è parlato di rigidità della posizione tedesca: da un certo punto di vista si può dire che bisogna riuscire anche ad imparare ad essere un po’ tolleranti, però il problema è che servono certamente riforme radicali per quei Paesi che si trovano in difficoltà.
D. - Se la Grecia uscisse effettivamente dall’Europa, non minerebbe quelle che sono le basi dell’Europa stessa?
R. - Credo che sarebbe una cosa estremamente grave, nonostante ciò che si dice oggi, forse anche per forzarli ad accettare certe condizioni. Lo considererei un evento catastrofico, anche perché gli effetti sugli altri Paesi sarebbero piuttosto gravi. Quello che non si può dire, però, è che è tutta colpa dei tedeschi, oppure non si può dire che "per la crescita, basta ripompare il denaro nell’economia ed il problema è risolto". Il problema, secondo me, è molto più complesso e deve comportare trasformazioni interne alle nostre società.
D. - Istituzionalmente non esiste la figura del ministro delle Finanze europeo, nonostante le numerose sollecitazioni. Non è arrivato, secondo lei, il momento di crearla questa figura e, se ci fosse, quanto aiuterebbe a gestire le cose con più tranquillità?
R. - Secondo me sarebbe molto importante. Da una parte i Paesi che sono un po’ in difficoltà si devono render conto di aver chiesto loro di entrare nell’euro. Poi hanno fatto finta di niente, come se nulla fosse, ed ora pagano le colpe degli errori commessi. E’ quindi necessaria una profonda trasformazione, ovviamente in meglio, delle nostre società. Chiaramente, però, serve un momento istituzionale, ma anche una maggiore partecipazione diretta da parte degli europei nella vita politica dell'Unione. Mi stupisco, ad esempio, del fatto che il governo tedesco, oltre ad imporre l’austerity e così via - che, per certi aspetti, era necessaria -, abbia anche proposto di eleggere, direttamente dai cittadini europei, il presidente della Commissione europea. Ovverosia, colui che gestirebbe, di fatto, non la politica estera dell’Unione ma, soprattutto, la politica economica, su una base molto forte. Ecco, mi stupisco che nessun governo e nessun partito, neanche da noi, abbia detto di essere o meno d’accordo ed abbia ripreso quest’atto costruttivo, fatto dal governo di Berlino.
D. - In un mondo che tende a creare grossi blocchi, anche economici, il fatto che in Europa si rischi invece un disfacimento dell’Unione non fa ulteriormente perdere credibilità al Vecchio continente, a livello internazionale?
R. - Naturalmente, e non solo per un fatto egoistico. Diciamo la verità: non siamo più nella società dell’edonismo ma in quella del dovere, dell’impegno, della creatività, della scienza e così via. Se gli europei potessero dimostrare, al resto del mondo, che ci si può unire in maniera pacifica e costruire delle democrazie per l’interesse generale, non solo farebbero il proprio interesse ma farebbero anche l’interesse di tutto il genere umano, se mi posso permettere quest’espressione kantiana...
Cooperazione ed economia al centro del vertice tra Cina, Giappone e Sud Corea
◊ Cina, Corea del Sud e Giappone a confronto da domani a Pechino nel quinto Vertice Trilaterale, alla presenza del premier cinese Wen Jiabao, del presidente sudcoreano Lee Myung-bak, e del premier giapponese Yoshihiko Noda. Numerosi i temi in agenda: dalla cooperazione a tre, alle possibilità di sviluppo economico, fino alle ambizioni nucleari della Corea del Nord. Salvatore Sabatino ha chiesto a Francesco Sisci, editorialista ed esperto di Asia del "Sole 24 Ore", qual è la valenza economica di questo summit:
R. – E’ un incontro rituale e questa ritualità è il fatto forte: ormai si sta costituendo e rafforzando una cooperazione politica, economica e strategica molto importante tra questi tre Paesi cruciali dell’Asia orientale.
D. – Questi Paesi rappresentano, di fatto, il nuovo motore economico mondiale. Quanto le scelte che usciranno da questo vertice potranno influire sugli equilibri finanziari globali?
R. – Influiranno in parte, perché si tratta di nuovo e vecchio, in realtà, ancora messi insieme. In questo vertice, infatti, non c’è l’India né i Paesi del Sud-Est asiatico, mentre c’è il Giappone che da anni ha un’economia che arranca, e che quindi non ha una grande rappresentatività della spinta economica che viene dall’area. Quindi, da un punto di vista economico è importante, ma – oserei dire – non fondamentale, anche perché c’è un altro grande assente: l’America.
D. – Sappiamo anche che il Giappone e la Corea del Sud sono due potenze che hanno puntato sulla produzione di alte tecnologie, la Cina no o non del tutto. Quali sono i punti in comune tra questi tre Paesi?
R. – Se i tre Paesi aumentano la cooperazione economica, questo naturalmente avrà un effetto benefico per tutto il gruppo. Quindi, c’è questa possibilità di creare sinergie. In questo senso, la Cina offre un grandissimo mercato potenziale e la possibilità di essere una base di produzione, di lavoro a costi bassi. Dal canto loro, Corea e Giappone hanno quelle tecnologie che potrebbero essere utili ed essere applicabili in Cina e, dunque, creare un esito benefico per l’economia regionale, ma anche per l’economia mondiale. Questo può avvenire, però, solo nell’ambito di una tranquillità politica e strategica: Cina, Giappone e Corea del Sud non devono, in pratica, sentirsi minacciate a vicenda.
D. – Ci deve essere anche un accordo politico sulle questioni estere. Sappiamo ad esempio che le ambizioni nucleari della Corea del Nord non hanno tenuto sempre uniti questi Paesi...
R. – No, lì ci sono delle disparità di visioni, però queste disparità non sono in realtà gigantesche: nessuno di questi Paesi, ad esempio, vuole il crollo di Pyongyang, perché nessuno vuole pagarne i costi e le conseguenze.
D. – L’Europa e gli Stati Uniti guardano con grande interesse al vertice di Pechino, perché sanno che ormai l’asse economico mondiale si è spostato verso Oriente. Avrà un peso questo interesse sull’incontro?
R. – Non credo immediatamente, a meno che questi tre Paesi non decidano di avere degli interventi congiunti o sull’America, sul dollaro americano o, visto che la situazione economica americana sta migliorando, sull’Europa. Sul Vecchio Continente, però, la questione è più complicata e delicata, perché in generale la valutazione che si fa da queste parti del mondo sulla situazione europea è che non si tratti di una crisi economica, quanto di una crisi politica, cioè dell’incapacità dell’Europa di avere delle politiche economiche finanziarie comuni, intorno a cui muoversi in un futuro di medio e lungo termine.
Elezioni in Algeria: vince il "blocco laico", sotto le attese i partiti islamici
◊ Netta affermazione del Fronte di Liberazione Nazionale e del Raggruppamento nazionale democratico alle elezioni politiche in Algeria. Il "blocco laico" vicino al presidente Bouteflika conquista la maggioranza assoluta dei seggi - 288 su 462 – e si appresta a governare nel segno della continuità. Male i partiti d’ispirazione islamica dell'Alleanza verde che contestano il risultato finale, ma per gli osservatori internazionali il voto si è svolto regolarmente. Per un’analisi dell’esito delle elezioni in Algeria, Marco Guerra ha sentito Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa:
R. - Il voto premia lo status quo, cioè il Fronte di liberazione nazionale, il partito che dall’indipendenza - esattamente 50 anni fa - domina la vita politica del Paese. I commentatori dicevano che quest’anno sarebbe stata la volta buona per un ricambio politico, attraverso l’affermazione dei partiti fondamentalisti. Così non è stato, e bisogna dire che nei giorni precedenti al voto, il Fronte di liberazione nazionale aveva manifestato la certezza della vittoria.
D. - Dopo i successi di Egitto e Tunisia, i commentatori parlano di una brusca frenata dei partiti confessionali in Nord Africa. Perché?
R. - Il fatto è che il popolo algerino ha già sperimentato, da molti anni, l’ondata fondamentalista, quando nel 1991, il Fronte islamico di salvezza, vinse le elezioni poi annullate al quale poi seguì un decennio di attentati. Sembrerebbe che la popolazione sia rimasta "vaccinata" da quell’esperienza, e non voglia più ripetere quegli anni dolorosi. Quindi, si è ben guardata dal votare in massa per quei partiti, che per quel poco che avevano governato in Algeria prima dell’annullamento del voto del 1991, non avevano certo dato una buona prova di sé.
D. - Perché la "primavera araba" ha avuto esiti diversi in Algeria, nonostante sia uno dei primi Paesi dove si era manifestata la protesta?
R. - Gli algerini danno questa spiegazione: “Noi la primavera l’abbiamo già fatta, vent’anni fa quando nel 1998 ci fu una protesta popolare che aprì il campo politico al multipartitismo”. Loro considerano, in qualche modo, di aver già fatto la loro primavera in quell’autunno del 1998. Fra l’altro esiste una libertà di stampa relativamente buona, rispetto ad altri Paesi, anche prima delle "primavere arabe". Però, non c’è una dinamica politica vera e propria. Lo stesso Fronte di liberazione nazionale non ha al proprio interno una dialettica democratica come un partito moderno.
D. - Per i Paesi della sponda nord del Mediterraneo, cosa significa questo risultato, come va letto?
R. - Il quadro politico generale rimane lo stesso. Il Paese mostra una certa solidità e sicurezza, e questo fa pensare che i rapporti tra Europa e Algeria, continueranno sulla falsa riga dei rapporti intrattenuti fino ad adesso, cioè grandi scambi economici, meno sul piano sociale, culturale, dove le istituzioni ingessano, ancora purtroppo, almeno una parte della società civile.
D. - Cosa c’è da aspettarsi per il futuro prossimo dell’Algeria?
R. - Per avere un’idea di che cosa accadrà nel futuro dell’Algeria, bisogna attendere le elezioni presidenziali del 2014, quando il presidente Bouteflika, probabilmente non si ricandiderà. Allora avremo una nuova figura al potere, e il presidente nella vita politica dell’Algeria ha sempre contato molto di più del parlamento. Quindi forse la vera sfida è rinviata ancora per qualche tempo.
Acqua e petrolio, le micce del conflitto tra Nord e Sud Sudan
◊ Non si spengono le tensioni tra Nord e Sud Sudan dopo le dichiarazioni roventi del presidente Omar al-Bashir contro le Nazioni Unite e l’Unione Africana. “Nessuno può imporci la sua volontà” ha detto il presidente sudanese, rigettando, di fatto, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che imponeva il cessate il fuoco tra Khartoum e Juba. Nonostante un mandato di cattura internazionale a suo carico il presidente Bashir riesce ancora ad assumere posizioni molto forti nella regione. Ad Enrico Casale, africanista della rivista dei Gesuiti "Popoli", Stefano Leszczynski ha chiesto perché Basihr è ancora così potente:
R. - E’ possibile perché Omar al-Bashir governa ormai il Sudan con pugno di ferro e quindi vanta nel Paese un sostanziale appoggio e - almeno per il momento - questo gli garantisce la possibilità di sfuggire sia alla giustizia internazionale, sia ai diktat imposti o proposti dalla comunità internazionale.
D. - In questo modo riesce a portare avanti una guerra che è del tutto ignorata…
R. - Anche perché con la nascita del Sud Sudan un anno fa - nel 2011 - c’era la fondata speranza che le due componenti del Paese si avviassero su una strada di pace: in realtà la posta in gioco tra il Nord del Sudan e il Sud del Sudan è molto alta e riguarda sia la gestione delle risorse petrolifere, sia la gestione delle risorse idriche.
D. - In che senso la crisi dell’acqua può diventare la vera e propria miccia di una nuova emergenza nell’area?
R. - Il Sudan è attraversato interamente - da Sud a Nord - dal Nilo: la gestione delle acque del Nilo è governata da un accordo che è datato 1959. In quest’accordo l’Egitto ha una sostanziale supremazia sugli altri Paesi a monte del corso del fiume, ma con la nascita del Sud del Sudan - quindi con uno Stato nuovo - che potrebbe non riconoscere quest’accordo e quindi potrebbe deviare le acque e ridurre il flusso del fiume, potrebbero scoppiare degli incidenti sia con l’Egitto, sia con il Nord del Sudan.
D. - Se dovesse esplodere un conflitto tra i due Stati, cosa potrebbe provocare a livello regionale?
R. - Sia per il Nord del Sudan, sia per il Sud del Sudan un nuovo conflitto sarebbe una tragedia, perché aggraverebbe delle situazioni di precarietà economica che sono già gravi in situazioni normali e questo soprattutto nel Sud del Sudan.
Attacchi a Equitalia e attentato a Adinolfi, rischio escalation. Commento del vescovo di Terni
◊ Per l’attentato a Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, è attendibile la rivendicazione della Federazione Anarchica Informale. Lo ha detto oggi il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, che ha parlato di “rischio di escalation” del terrorismo. La situazione è molto delicata, ha aggiunto, anche perché legata alla difficoltà economica del Paese. E sono della notte scorsa nuovi attacchi contro "Equitalia". Due le bombe molotov scagliate a Livorno. Anche su questo è intervenuta la Cancellieri: "Equitalia" non è la causa del problema, ha detto, ognuno ha il dovere di pagare le tasse. Si deve temere il ritorno a una stagione di terrorismo? O si può pensare che possa essere tutto espressione di disagio socio-economico? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto a mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia:
R. – Credo che si debba stare tutti attenti ad evitare di creare un brodo di culture di queste cose: credere che tutto sia legato è sbagliato, anzi è ciò che vogliono coloro che colpiscono con le armi. Queste persone sono favorevoli a che si sottolinei un disagio e una colpevolezza del governo. Di questo ne fanno ragione e pescano in questo falso e irresponsabile modo di confondere tutto. Ecco perché credo che dobbiamo essere intelligenti nel distinguere, analizzare e anche nel distribuirci le colpe fra tutti, perché è troppo facile puntare il dito e sparare contro qualcuno. Non dimentichiamo il rischio di guardare la pagliuzza dell’occhio di qualcun altro, dimenticando la trave che ci riguarda.
D. – Mons. Paglia, non si contano più i suicidi, in Italia, dall’inizio dell’anno, si sono intensificate le azioni di violenza contro "Equitalia". Sono queste due facce della stessa medaglia? Dello stesso problema: italiani che si sentono schiacciati, vessati, dall’azione del governo?
R. - Non credo, per quel poco che so, che il governo stia vessando: il governo sta cercando di evitare che il Paese precipitino nel burrone. E’ chiaro che quando si devono dare gli scossoni, perché la macchina non precipiti, a volte non si fa troppo caso ai dettagli. Questo va tenuto presente. D’altra parte, credo che sia importante, proprio per evitare il crollo drammatico del Paese, che debba crescere la solidarietà tra i cittadini, la creatività tra le diverse istituzioni sociali, la solidarietà tra chi comunque sente che è importante pensare anche agli altri. Io non credo che il problema oggi, in Italia, sia la richiesta di tasse eccessive. Faccio fatica a crederlo. Che sia difficile arrivare alla fine del mese non c’è dubbio, ma questo anche perché appunto c’è chi purtroppo non paga le tasse. La tenuta del Paese oggi è il primo bene a cui tutti dobbiamo guardare e, laddove c’è bisogno, chiediamo a chi governa di articolare meglio e con più attenzione i suoi provvedimenti, ma non c’è dubbio che dobbiamo anche evitare di lasciarci travolgere da una violenza che non è frutto semplicemente delle tasse, a volte è anche frutto del fatto che la gente è più sola, che non si riesce a fare amicizia, che non si cerca di creare situazioni solidaristiche.
D. - Eccellenza, è un fatto però che la solitudine sia creata anche dalla situazione economica nella quale ci si trova: pensiamo agli imprenditori che non ricevono più credito, a chi perde improvvisamente lavoro, persone che forse si aspettano solidarietà proprio dallo Stato…
R. – Un primo punto è che la crisi viene anche dal fatto che la solitudine di molti, che sono colpiti dalla crisi, rende il loro futuro talmente problematico che non hanno la forza, neppure psicologica, di resistere. Anche i suicidi vanno capiti: spesso si tratta di persone deboli psicologicamente o comunque abbandonate, e questo è importante sottolinearlo. Ciò vuol dire che dobbiamo crescere molto nella dimensione solidale. Per quel che riguarda poi "Equitalia", c’è un problema anche a monte. Quanti pagano le tasse? Non pagare le tasse porta ad uno squilibrio, che è appunto foriero di violenza. Qualcuno potrebbe dire che le tasse sono troppo esose, e questo è anche vero, tuttavia, si potrebbero adottare alcune misure, bisognerebbe inventare qualche meccanismo per vedere in maniera più diretta e articolata la realtà delle singole attività tassate. D’altra parte è importante che una rete solidaristica si attivi. Io credo che oggi, per attutire la violenza, debba crescere la solidarietà. Il governo stesso, per esempio - è successo ieri con il decreto relativo ai fondi europei - ha portato più di 2 miliardi, per aiutare situazioni deboli per il Sud. Questo non c’è dubbio che il governo debba farlo, però attenzione ad evitare la semplificazione di trovare il capro espiatorio - "Equitalia" o il governo – per giustificare violenze che possono essere evitate in altri modi.
Festa della mamma, "Save the Children" lancia l'allarme su malnutrizione di madri e bambini
◊ E’ il Niger il luogo "peggiore" dove essere mamme, seguito dall’Afghanistan. Lo afferma il 13.mo rapporto sullo stato delle madri nel Mondo di "Save the Children", diffuso in occasione della Festa della Mamma. 165 i Paesi inseriti nella lista, che agli ultimi dieci posti vede nazioni dove un bambino su 7 muore prima dei 5 anni, mentre 1 su 3 soffre di malnutrizione. L’allattamento al seno potrebbe salvare 1 milione di bimbi all’anno, ma - spiega Valerio Neri, direttore generale di "Save the Children" Italia - in Niger “la gente mangia sempre meno bene”. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
R. – La gente riempie lo stomaco, ma di proteine ce ne sono sempre meno. Le mamme vanno a partorire sottopeso loro e sottopeso il bambino, con conseguenze drammatiche: i bambini che riescono a salvarsi, restano in perenne stato di malnutrizione, quindi con ulteriori conseguenze gravi sullo sviluppo nel prosieguo della loro vita. Noi facciamo queste rilevazioni ogni anno e la cosa più triste è che negli ultimi anni la forbice tra i Paesi in fondo alla lista e quelli all’inizio – cioè Norvegia, Svezia, il Nord Europa che è sicuramente uno dei posti migliori al mondo dove si possa essere madre – è sempre più ampia. Chi sta bene sta sempre meglio, ma chi sta male sta sempre peggio.
D. – E questo lo testimoniano i Paesi che si trovano in fondo alla lista, tutti dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia meridionale …
R. – Sì: Afghanistan, Yemen, Guinea Bissau, Mali, Eritrea, Ciad, Sudan, Sud Sudan, Congo, dove povertà, malnutrizione e guerriglia fanno parte di una stessa causa maligna. La povertà e la guerra, nei Paesi poveri, vanno sempre insieme e costituiscono uno dei motivi fondamentali e strutturali del perché, in questi Paesi, sia veramente difficile sollevare lo stato della popolazione.
D. – Di quali fattori avete tenuto conto per stilare questa lista?
R. – Sono due gruppi di indicatori statistici: uno riguarda i bambini, e quindi soprattutto la mortalità infantile. Purtroppo, Afghanistan e Niger sono i Paesi in cui la mortalità infantile è più alta in assoluto. Ce ne sono molti di più sulle madri, tutti indicatori che fotografano lo stato di emancipazione della donna, o di partecipazione della donna ai luoghi di potere della nazione in cui si trova. Faccio un esempio: la partecipazione delle donne alla vita politica è considerata un fattore di grande sensibilità circa la capacità delle donne di agire per la loro famiglia come per il loro Paese, e quindi è un fattore di grande importanza. Il fatto che una donna abbia studiato di più o di meno, ha una diversa incidenza sulla sua capacità di tenere in vita i suoi figli: è incredibile, ma questo è accertato in maniera incontrovertibile. Più una donna studia, più facilmente sarà una madre in grado di proteggere e quindi poi di far sviluppare bene i propri figli.
D. – E per quanto riguarda, invece, i rapporti tra l’uomo e la donna all’interno della famiglia, che fotografia presentano i Paesi?
R. – Questo è un fattore culturale di grandissima importanza. Ci sono Paesi in cui il rapporto è paritario, ovviamente, nel Nord del mondo, ma non solo. Ad esempio, un Paese come l’Egitto sta facendo grandissimi passi avanti a questo riguardo. Poi ci sono altri Paesi, purtroppo quelli ancora un po’ più legati al mondo tribale, dove la situazione è completamente diversa. Nel Sud Sudan, se le ragazze studiano lo devono all’apertura mentale del padre, perché se il padre dice: “Mia figlia non deve studiare, deve semplicemente andare in sposa a qualcuno”, la ragazza e la madre della ragazza non hanno alcuna possibilità di intervenire. Fino ad arrivare a situazioni drammatiche – come in Eritrea, ad esempio, ma anche in Etiopia – dove molto spesso le donne sono costrette a matrimoni molto anticipati, da bambine praticamente, e lì siamo a livello quasi schiavistico. Facilmente avrà un bambino ad una età molto, molto giovane con conseguenze spesso drammatiche sulla salute sia della mamma – quasi bambina – che del nascituro.
D. – Quali le richieste, quindi, che "Save the Children" rivolge ai “grandi”, al G8, in vista dell’incontro del 18 e 19 maggio a Camp David, dove si affronterà il tema della nutrizione?
R. – Noi riteniamo che il mondo faccia troppo poco. I potenti della terra potrebbero fare assai di più per aiutare i Paesi più poveri ad avere un’alimentazione migliore, perché l’alimentazione è veramente una delle cause della mortalità infantile. Occorre quindi investire di più in questi Paesi, ma secondo modalità di efficienza, non tanto investire in mega-ospedali, ma nella formazione di persone che possano visitare le parti più remote dei Paesi, portando alle popolazioni rurali più lontane informazioni igieniche di base: lavarsi le mani, allattare i bambini al seno almeno fino al sesto mese di età … tutte cose necessarie a salvare queste donne da parti spesso molto tragici e con conseguenze assolutamente drammatiche e mortali per i bambini. Il mondo ha una responsabilità altissima, può interrompere questo circolo vizioso dell’ignoranza e della povertà. Speriamo che il G8, sebbene in un momento di relativa difficoltà economica del mondo ricco, sappia fare uno sforzo maggiore per i Paesi che più ne hanno bisogno.
Insieme per l'Europa: la voce di movimenti e comunità cristiane per un continente della fraternità
◊ A Bruxelles e in 130 città europee, tra cui Roma, torna oggi pomeriggio la manifestazione ecumenica “Insieme per l’Europa” giunta alla quarta edizione. Nata dall’invito alla comunione reciproca, fatta nel 1998 da Giovanni Paolo II, conta oggi sull’adesione di oltre 300 movimenti e comunità di diverse confessioni cristiane. L’obiettivo, nel rispetto dei diversi carismi, è di promuovere e testimoniare che un’Europa della fraternità è possibile. A Roma, l’appuntamento è alle 15.30 in Piazza del Campidoglio. Ma quali le specificità dell’edizione 2012? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Carlo Guerrieri del comitato promotore di "Insieme per l’Europa":
R. – Il tema ricorrente sarà proprio offrire dei ‘sì’ all’Europa unita e concepire l’Europa al di là della stretta unione del mercato o del senso di sicurezza che l’Europa ci può dare: sì ai valori della vita, della famiglia, della tutela del creato, dell’economia equa, della solidarietà con i poveri, con gli emarginati, sì ad una responsabilità verso tutta la società. Quindi, forse, veramente, la cosa più specifica di questo 2012 è assumersi come cristiani la responsabilità di rispondere positivamente alle esigenze che emergono dall’Europa di oggi.
D. – Di questo si parlerà nelle tavole rotonde e sarà materia anche delle testimonianze che verranno date sia a Bruxelles sia in tutte le altre città europee. Ma Bruxelles ha anche delle figure istituzionali, figure politiche: che cosa può dire “Insieme per l’Europa” alla politica europea in questo momento?
R. – Forse la cosa più significativa è assumere come categoria quella di una relazionalità, reciprocità tra esperienze, tra carismi nell’ambito spirituale, ma anche tra specificità politiche, nazionali e culturali. In un’Europa in cui gli interessi di una nazione sembrano sovrapporsi o cancellare quelli degli altri, cristiani, che non solo si riconoscono, ma si arricchiscono della testimonianza, del contributo che gli altri offrono a questa unità d’Europa, mi sembra che sia veramente il valore fondante.
A Roma il programma inizierà alle 15.30 in piazza del Campidoglio con tavole rotonde e testimonianze sui temi della famiglia, dell'economia e dell'integrazione. Due i collegamenti con Bruxelles, l'ultimo alle 18.10. Spazio poi fino alle ore 20 ai giovani. Ma sulla specificità dell'appuntamento romano sentiamo al microfono di Gabriella Ceraso, Cristina Pressato del Comitato promotore:
R. - Sarà un momento importante per tutti noi che a Roma, in questi mesi, abbiamo condiviso un pezzo di strada partendo da sensibilità e cammini diversi. Abbiamo avuto la fortuna di avere la cornice di piazza del Campidoglio, ma la cornice ai contenuti é quella di voler dar voce alla speranza di un'Europa dei popoli. Anzi, forse vorremmo dire che l'Europa é, già oggi, terra di speranza, quella speranza di chi, oltre alla Croce, intravede la Risurrezione. In questa terra Roma può svolgere, secondo noi, un ruolo importante come luogo di accoglienza e come ponte proteso sul Mediterraneo.
D. - Quindi un contributo, anche di Roma, a quell'unità dell'Europa a livello spirituale che i movimenti si impegnano a portare avanti, vero?
R. - Sicuramente. Riprenderemo, anche in sintonia con il programma di Bruxelles, tre dei sette 'sì' che sono stati pronunciati nel messaggio conclusivo a Stoccarda, nel 2007. In particolare, il programma si articolerà, almeno nella sua prima parte, nell'analisi e nella riprosposizione del 'sì' alla famiglia, nelle croci e nelle risurrezioni che attraversa nella società di oggi, ed anche del 'sì' all'integrazione come possibilità di arricchimento nell'incontro tra culture, fedi religiose ed esperienze di vita diverse. Inoltre, si riproporrà il 'sì' ad una nuova economia, che metta la persona - e non solamente il profitto - al centro dei propri obiettivi. Nel corso di questo viaggio, vedremo come questa speranza sia, in parte, già anche una realtà. Una realtà che spesso, magari, é poco conosciuta.
D. - Chi sono i protagonisti dell'appuntamento romano: giovani, religiosi?
R. - I protagonisti, sostanzialmente, sono laici. La prima parte sarà incentrata su questi tre 'sì', ed avremo sia giovani e sia persone più adulte. Ci saranno delle testimonianze, delle coreografie, degli spunti di carattere teatrale ed anche dei canti, eseguiti dal Coro dei Movimenti, che rappresentano un segno tangibile, da ormai 14 anni, di questo cammino di condivisione. Nella seconda parte, invece, avremo delle band musicali di giovani di alcuni movimenti, che principalmente attaraverso la musica - ma anche attraverso delle testimonianze - proporranno quella che é la loro lettura dell'Europa.
Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
◊ Nella sesta Domenica di Pasqua, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Gesù invita i discepoli ad amare:
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”.
Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente emerito di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
A volte si ha l’impressione che ciò che distingue un cristiano da un non cristiano nella vita concreta sia solo il fatto che alla domenica il non cristiano dorme di più, mentre il cristiano va a Messa. Perché nella vita ordinaria non si vedono differenze. Il Vangelo di oggi ci aiuta a vedere in cosa dovrebbe apparire una differenza chiara: nell’amore grande, generoso, perfino eccessivo e sprecato. Qui sta la cartina di tornasole dell’essenza del cristianesimo: nell’amore disarmato ma intenso, fino a dare la propria vita senza rivalse. Appunto come hanno fatto certi santi e sante: che si sono consumati nell’altruismo, per amore del Signore, che loro vedevano nel fratello ferito, malato, flagellato, povero e infelice. Di questo ci parla Gesù nel Vangelo, che è in continuità con il tema della vite e del tralcio di domenica: un amore che sale da dentro, perché Dio è la misura del nostro amore. E Dio ama in maniera unica, divina: e mette dentro di noi, il dono di questo amore originale, totale. Esso tutti abbraccia, verso tutti si fa dono e grazia, sorriso e gioia. Credere è essenzialmente questo: affidarsi a questa linfa che dentro gorgoglia silenziosa e ti fa ogni giorno luce, bontà e solidarietà, e dona guarigione.
Nigeria. Mons. Abegunrin: “Non si vuole combattere Boko Haram”
◊ “La Nigeria non vuole per il momento la fine della minaccia di Boko Haram”: è quanto denuncia mons. Gabriel Leke Abegunrin, vescovo di Osogbo, capitale dello Stato di Osun, nel sud-ovest della Nigeria, in una lunga intervista al Nigerian Tribune. Secondo il presule “i membri dei servizi di sicurezza hanno rivelato di conoscere chi siano coloro che sono dietro a questa minaccia, ma di non essere in grado di catturali”. Il vescovo lamenta quindi che, a causa delle condizioni di insicurezza, i nigeriani “non possono muoversi liberamente nel Paese”. La setta integralista islamica Boko Haram, originaria del nord della Nigeria, da alcuni mesi sta espandendo le sue attività ad altre aree del Paese, colpendo con attentati anche luoghi di culto cristiani. Mons. Abegunrin lamenta inoltre le divisioni partitiche (che portano pure alla strumentalizzazione della violenza) e le forme di clientelismo legate alla politica: “Se non hai la tessera di un partito non ottieni un lavoro”. Il vescovo si sofferma infine sulle carenze nelle strutture pubbliche, in particolare quelle sanitarie e scolastiche, secondo il quale derivano più dalla cattiva gestione che dalla mancanza di fondi. “Perché le scuole private guadagnando terreno?” si chiede mons. Abegunrin riferendosi in particolare alle scuole cattoliche. “Perché reclutiamo il nostro personale e lo controlliamo” risponde, “diciamo loro: se non fate il vostro lavoro, andatevene. Non è che nelle scuole private vi siano insegnanti migliori, ma facciamo in modo che i nostri lavorino sodo e tirino fuori il meglio dagli allievi”. “Il governo paga i propri insegnanti meglio di quanto noi paghiamo i nostri – conclude mons. Abegunrin - Non abbiamo soldi, ma abbiamo i mezzi per rendere felici i nostri insegnanti nel posto di lavoro. Il governo ha tutto, ma non sa come farne uso”. (M.G.)
Nelle Mauritius, cattolici e anglicani uniti contro l’aborto
◊ L’aborto non è una soluzione. Essenziale, invece, sostenere le donne incinte in difficoltà: così, in sintesi, cattolici e anglicani delle Isole Mauritius scrivono in una lettera aperta ai parlamentari del Paese. Il 4 maggio scorso, infatti, il governo locale ha annunciato la decisione di presentare un progetto di legge che autorizzerebbe l’aborto in alcuni casi specifici: quando la gravidanza comporta, per la donna, il rischio della vita o di conseguenze gravi e permanenti sulla sua salute fisica e mentale; in caso di malformazioni del feto; se la donna resta incinta dopo un’aggressione sessuale, oppure ad un’età inferiore ai 16 anni o, ancora, in caso di incesto. Nella missiva congiunta, il vescovo cattolico di Port-Louis, Maurice Piat, e il suo omologo anglicano, Ian Ernest, affermano di “non voler in alcun modo imporre una dottrina religiosa, ma piuttosto contribuire al progresso della società”. Quindi, punto per punto, cattolici ed anglicani ribattono alle clausole poste dal progetto di legge: in caso di rischio della vita della donna, scrivono, “il ricorso al parto cesareo è la soluzione più indicata”, mentre le possibili conseguenze sulla salute della donna sono “rischi e non certezze” ed “è molto difficile legiferare sui rischi”. Quanto alle possibili malformazioni del feto, la lettera ribadisce che permettere l’aborto in questi casi significherebbe “rifiutare di lasciar vivere una persona con un handicap fisico o mentale”. Al contrario, “un bambino disabile ha diritto ad una tutela maggiore da parte della società, poiché anche lui ha un contributo di saggezza da apportare” nel mondo. Riguardo, poi, alle donne che rimangono incinte in circostanze difficili, cattolici e anglicani sottolineano che “la vita umana resta una vita umana, innocente, fragile, della quale tutti siamo responsabili”. Di qui, “il dovere di sostenere le donne che si trovano in tali situazioni, così da dare loro la possibilità di assumersi le loro responsabilità di madri con dignità”. Con particolare riferimento alla clausola riservata alle minori di 16 anni, mons. Piat ed il Rev. Ernest affermano che “permettere l’aborto in questi casi equivarrebbe a fare dell’interruzione volontaria di gravidanza un metodo di contraccezione e ciò significherebbe banalizzare la soppressione della vita e disumanizzare i giovani”. La missiva prosegue ricordando che “la vita comincia e deve essere rispettata sin dal concepimento”, il che implica massima severità nei confronti di chi “fa pressione sulle donne perché abortiscano” e nei confronti dei “medici che cercano, attraverso la pratica dell’aborto, un modo facile per arricchirsi”. In alternativa a tale progetto di legge, cattolici ed anglicani propongono, invece, una normativa “che abbia a cuore lo sviluppo umano dei cittadini”, promuovendo quindi “una maggiore educazione alla vita affettiva e alla sessualità, intesa come linguaggio dell’amore vissuto nell’impegno del matrimonio”. Necessarie anche “delle reti di solidarietà per le donne e le giovani in difficoltà” e per questo lo Stato viene invitato a “sostenere finanziariamente gli organismi che offrono sostegno ed ascolto alle ragazze incinte in situazioni complicate”. Dal canto loro, le Chiese si dicono “felici di poter lavorare insieme al governo e alle organizzazioni non governative in questo settore”. E ancora: cattolici e anglicani chiedono di “semplificare le procedure di adozione nel Paese per facilitare l’accoglienza dei bambini da parte di coppie disposte ad impegnarsi in quest’ambito”. Infine, la lettera si conclude con un richiamo forte: “Nessuno ha alcun diritto sulla vita umana, ma soltanto una responsabilità nei confronti di essa”. Perciò, al di là delle divisioni politiche, maggioranza e opposizione vengono esortate a votare il progetto di legge “secondo coscienza, una coscienza illuminata dalla saggezza umana” (I.P.)
In Canada, Marcia nazionale per la vita
◊ Oltre 10mila persone hanno partecipato, ieri, alla Marcia nazionale per la vita che si è tenuta ad Ottawa, in Canada. Presenti anche molti vescovi, tra cui l’arcivescovo di Québec, mons. Gérald Cyprien Lacroix. Celebrando la Santa Messa nel corso della mattinata, mons. Lacroix ha ribadito l’importanza del legame tra la misericordia ed il dialogo: “Si può progredire nel dialogo – ha detto il presule – non soltanto portando avanti il rispetto della vita, ma anche la misericordia, poiché è in essa che si trova la pace del cuore e l’apertura alla bellezza e alla grandezza della vita”. Ad organizzare la marcia è stato l’Organismo cattolico per la vita e la famiglia (Ocvf) che per l’occasione ha pubblicato, sul suo sito web, una brochure di riflessione dedicata al punto di vista cattolico sulla questione dell’aborto. Nella presentazione della brochure, l’Organismo chiede l’adozione di “un approccio chiaro, onesto e pastorale, secondo gli insegnamenti della Chiesa cattolica, su questa questione estremamente difficile”. Quanto alle donne, l’Ocvf scrive: “Nessuna condanna, ma uno sguardo lucido e compassionevole sul dramma delle donne che si trovano di fronte ad una gravidanza imprevista o che sono già vittime di un aborto”. Necessario, quindi “costruire insieme una società più umana fondata sulla vera cultura della vita”. Da ricordare che nell’aprile scorso, annunciando l’indizione della Marcia nazionale, l’Ocvf aveva pubblicato un messaggio: nel documento, si affermava che “un bambino nel grembo materno deve essere rispettato come persona a partire dal concepimento”, poiché “sin dall’inizio del suo sviluppo esso è un essere umano unico e assolutamente insostituibile”. Tanto più che, sottolineava ancora l’Ocvf, “la storia ha dimostrato più volte che se non si rispetta il diritto alla vita del nascituro, prima o poi si violano anche gli altri diritti”. (A cura di Isabella Piro)
La Conferenza episcopale della Colombia interviene in tema di unioni omosessuali
◊ «È necessario uscire dall’inanità, dal torpore, e tornare a difendere con forza e coerenza la vita, la famiglia, i diritti dei minori, aprendo un dibattito nazionale che porti il popolo colombiano a decidere con libertà e coscienza sull’orientamento che si intende dare a questi fondamentali temi». È l’appello di monsignor Juan Vicente Córdoba Villota, vescovo di Fontibón e segretario generale della Conferenza episcopale della Colombia (Cec), contenuto in una lettera pastorale, diffusa in questi giorni, proprio quando la Corte costituzionale è chiamata a esprimere un giudizio sulla possibilità di adozione di bambini da parte di coppie omosessuali; giudizio che, alla luce di precedenti sentenze, non è escluso possa essere favorevole. Nella lettera – come scrive l’Osservatore Romano - il presule è perentorio: la recente sentenza della Corte costituzionale (21 aprile), che dichiara «famiglia» le unioni tra persone dello stesso sesso è «semplicemente una stravaganza giuridica». La Costituzione dice che «la famiglia è il nucleo primario e vitale della società ed è formata da un uomo e una donna». Ora, tre dei cinque membri della Corte, «con un colpo di magia», hanno «deciso di cambiare le cose per 45 milioni di colombiani». Nella sentenza, i giudici hanno inoltre dichiarato che «il vincolo familiare si ottiene da una varietà di situazioni di fatto, fra cui la libera volontà di formare la famiglia, indipendentemente dal sesso o dall’orientamento (sessuale) dei suoi componenti». Per monsignor Córdoba Villota, la Corte costituzionale «deve tutelare la Costituzione, nessuno può cambiarne “una sola virgola”, e in questo caso, la Corte non sta adempiendo alle sue funzioni». I giudici «non possono modificare la legge; questo lo può fare solo il Congresso. A ognuno, quindi, il suo mestiere». In precedenti sentenze, la Corte costituzionale aveva già riconosciuto la pensione di reversibilità alle coppie dello stesso sesso, alla pari di quelle eterosessuali, ma adesso accetta che gli omosessuali possono addirittura costituire una famiglia. Seguendo la singolare logica dei giudici, il segretario generale della Cec così commenta: «Ora si comincia a creare consenso culturale sul fatto che esistono diversi tipi di famiglia e dunque fra poco si comincerà anche a parlare di presunti diritti di adozione». Ma tutto ciò «non ha nulla a che fare con la famiglia come stabilisce l’articolo 42 della Costituzione», male interpretato dalla Corte che non ha adempiuto alle sue alte funzioni seminando confusione e relativismo, attraverso interpretazioni accomodanti, frutto di un’ideologia contraria all’ordine naturale, all’autentica dignità della persona umana. Per Córdoba Villota, la Chiesa non ha nulla contro le persone che desiderano vivere insieme e che, quindi, possono chiedere diritti per quanto riguarda l’eredità, la salute o il patrimonio. «Ogni persona ha la stessa dignità fondamentale». Ed è proprio in virtù dell’inviolabile rispetto della persona e della sua dignità, che la Chiesa, tutti i cittadini, hanno il diritto-dovere di condannare «l’ingiusta depenalizzazione dell’aborto», decisa nel 2006, e di difendere il diritto alla vita, dal concepimento fino alla morte naturale, i diritti del bambino, la famiglia, frutto dell’unione di un uomo e una donna. «La Chiesa, nella sua risposta all’interrogativo sulla verità circa l’uomo — ha concluso il segretario generale della Cec — non può sottrarsi all’obbligo di insegnare alla società a procedere verso il vero bene, proclamando le norme morali che garantiscono il cammino dell’autentica libertà agli uomini».
Il nuovo arcivescovo di Seoul, da sempre attivo per il dialogo con il Nord e la difesa della vita
◊ Il dialogo con la Corea del Nord ma soprattutto la difesa della vita in una società sempre più secolarizzata "sono le sfide che attendono il nuovo arcivescovo di Seoul, mons. Andrea Yeom Soo-jung, nominato dal Papa il 10 maggio". Lo dice ad AsiaNews padre Luca Kim, sacerdote della capitale coreana. Il nuovo arcivescovo "era da tempo ausiliare, e il ritiro del cardinale Nicolas Cheung Jin-suk era previsto per i limiti di età. Ora il nuovo pastore dovrà affrontare quei temi che da sempre sono al primo posto nei pensieri della Chiesa coreana: come rispondere alla secolarizzazione della nostra società e come convivere con il Nord. Mons. Yeom è infatti anche amministratore apostolico di Pyongyang". Il nuovo arcivescovo, finora vescovo titolare di Tibiuca, ausiliare e vicario generale di Seoul, è nato il 5 dicembre 1943 a Ansong, diocesi di Suwon, in una famiglia cattolica da 5 generazioni. Il nonno di suo nonno venne martirizzato nel 1850 insieme ad altri fedeli durante i primi anni della Chiesa cattolica in Corea. Due delle sue 5 sorelle sono suore. Mons. Yeom è stato ordinato sacerdote l'8 dicembre 1970 a Seoul dal cardinale Stephen Kim. Dopo l'ordinazione sacerdotale ha ricoperto diversi incarichi: vice parroco; professore e preside del seminario minore di Songshin; parroco; procuratore del seminario maggiore di Seoul; cancelliere della curia arcidiocesana. Il 12 dicembre 2001 è stato nominato vescovo titolare di Tibiuca e ausiliare dell'arcidiocesi di Seoul. Ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 25 gennaio 2002. Il nuovo arcivescovo è da sempre impegnato nella battaglia a favore della bioetica e nel dialogo con il Nord. Dalla sua nomina a vescovo ausiliare ha ricoperto l'incarico di presidente della Commissione episcopale per la Vita, organo della Conferenza episcopale coreana che si occupa dei problemi collegati alla manipolazione genetica che, in Corea del Sud, è un argomento molto sentito. Inoltre ha ricoperto il ruolo di presidente della Commissione per la riconciliazione del popolo coreano dell'arcidiocesi. Nel corso del suo lavoro in Commissione ha sempre privilegiato il dialogo e, nel 2002, ha inviato una lettera al presidente dell'Associazione cattolica della Corea del Nord Samuel Jang Jae-eun chiedendo di pregare per la riconciliazione e l'unità della penisola. Nel testo scriveva: "Sono molto felice di essere coinvolto in questa nobile opera, quella di riunire il popolo coreano. Ora, con pazienza e con molta preghiera, dobbiamo concentrare le nostre menti e i nostri sforzi per far progredire una pacifica riunificazione, attesa da molto tempo dal popolo coreano".
Un Congresso sul futuro della Chiesa nello Stato dell’Andhra Pradesh
◊ Sviluppare la missione, favorire l’armonia all’interno delle comunità, valorizzare le donne: questi gli obiettivi emersi dal Congresso sulla missione che si è tenuto in India, precisamente nello Stato dell’Andhra Pradesh, dall’8 al 10 maggio. Come riporta AsiaNews, al raduno, cui ha presenziato anche il nunzio apostolico in India e Nepal, mons. Salvatore Pennacchio, hanno preso parte oltre 1.500 delegati, provenienti dalle 13 diocesi dello Stato. Al termine del Congresso è stato stilato un documento, diviso in tre parti, sul futuro della Chiesa in Andhra Pradesh, in cui su una popolazione di 84,6 milioni di persone, 1,7 milioni sono cattolici. “La prima parte ricorda il contributo dei primi missionari per la crescita della fede” spiega il padre carmelitano Johannes Gorantla, moderatore dell’incontro. “La seconda prende coscienza della realtà attuale in cui opera la Chiesa e individua alcuni problemi, la terza propone un piano per la crescita e lo sviluppo della Chiesa”. Altro importante momento, quello dedicato ai servizi educativi e sanitari. “Circa 2mila sacerdoti e 6mila suore - spiega padre Reddy -parteciperanno a programmi e seminari governativi per migliorare la collaborazione tra Stato e clero nel raggiungere le fasce più povere della popolazione”. Il raduno si è concluso con una speciale liturgia e, nella sua omelia, il vescovo della diocesi di Kurnool, mons. Anthony Poola, ha esortato i fedeli a farsi “messaggeri di pace nel mondo”. (G.M.)
Pakistan, ogni anno muoiono più di 25mila donne per assistenza sanitaria insufficiente
◊ Strutture sanitarie insufficienti e assistenza materno-infantile estremamente precaria. In Pakistan, come stimato dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione citato all’agenzia Fides, ogni anno si verificano circa 5mila casi di fistola ostetrica, una lacerazione da parto, e oltre 25milla donne non sopravvivono a complicazioni legate alla gravidanza. Inoltre, più di un milione di bambini muoiono prima di aver compiuto i 5 anni di età e oltre 16mila a distanza di un mese dalla nascita. Il padre camilliano Mushtaq Anjum ha riferito che la maggior parte dei pakistani non ha accesso alle strutture sanitarie di base; le donne, emarginate in quasi tutti i settori, insieme ai bambini restano i soggetti più vulnerabili. Tuttavia, come aggiunge padre Anjum, il grande coraggio dell’emorroissa, figura che si incontra nel Vangelo di Marco, dà speranza alle donne pakistane di tutte le tradizioni religiose che hanno fame di salute e salvezza. L’obiettivo dei ministri degli infermi è “cercare di emulare Gesù, il guaritore, aiutando i malati a trovare una risposta alle insistenti domande sul significato del dolore, del mare e della morte” sottolinea il camilliano. Ad aggravare lo scenario, la nuova sfida dell’Hiv/Aids che diventa sempre più pesante. (G.M.)
Convegno a Roma a 50 anni dalla canonizzazione di San Vincenzo Pallotti
◊ “Fate risplendere la santità di Dio” è lo slogan scelto per la celebrazione del 50° anniversario della canonizzazione di Vincenzo Pallotti, anche tema del convegno che si terrà dal 15 al 19 maggio al Centro di spiritualità “Cenacolo” di Roma. L’incontro, proposto dal comitato “Famiglia Pallottina in festa” e organizzato dall’Istituto San Vincenzo Pallotti di Roma, si inserisce all’interno del cammino di preparazione spirituale che culminerà il 20 gennaio 2013 con la celebrazione dei 50 anni della santificazione del fondatore dell’Unione dell’Apostolato Cattolico. I temi che verranno esaminati intendono mostrare la santità nelle varie dimensioni della vita cristiana seguendo il pensiero del sacerdote romano, il quale invitava tutti gli uomini di buona volontà ad imitare il divino modello di amore del Cristo. La chiamata all’apostolato e alla santità, secondo Pallotti, non è riservata ad alcuni ma è rivolta a tutti “qualunque sia il loro stato, la loro condizione, la loro professione, la loro fortuna”. La novità del suo pensiero emerge dalla profonda congiunzione tra apostolato e santità e tra carità e santità; è la carità pienamente vissuta nella sequela di Cristo che indirizza l’impegno di ogni fedele verso una vita normale, ordinaria. In programma per il primo giorno, martedì 15 maggio, immagini, cronache dalla stampa e ricordi di Vincenzo Pallotti; a seguire, la celebrazione eucaristica, nella chiesa Regina Apostolorum, presieduta dal cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica. Il secondo giorno vedrà alcune riflessioni dedicate al tema della santità, che giovedì verrà affrontata nella sua dimensione sacerdotale; quel giorno la celebrazione si terrà nella Chiesa del Gesù di Frascati, città d’adozione del Santo, presieduta dal vescovo Raffaello Martinelli. Il programma di venerdì verterà sulla santità laicale, mentre sabato su quella dei consacrati; chiuderà il convegno la celebrazione eucaristica, nella chiesa di San Salvatore in Onda, presieduta da Jacob Nampudakam, rettore generale della Società dell’Apostolato Cattolico. Valido aiuto per sviluppare i temi delle cinque giornate saranno i discorsi dei Papi pronunciati in occasione della canonizzazione di Vincenzo Pallotti: l’omelia di Giovanni XXIII del 20 gennaio 1963 in Vaticano e il discorso di Paolo VI del 1° settembre 1963 a Frascati. (G.M.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 133