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Sommario del 09/05/2012
Il Papa all’udienza generale: anche nelle prove, mi sento sorretto dalla preghiera dei fedeli
◊ La preghiera della Chiesa mi sostiene, soprattutto nei momenti difficili: è quanto affermato da Benedetto XVI stamani all’udienza generale in Piazza San Pietro. Il Papa ha dedicato la sua catechesi alla prodigiosa liberazione di San Pietro a Gerusalemme, narrata negli Atti degli Apostoli. Quindi, nel mese di maggio dedicato a Maria, ha invitato i fedeli a pregare il Rosario. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Come Pietro, anche il suo Successore trova forza nella preghiera. All’udienza generale, Benedetto XVI si sofferma sull’ultimo episodio della vita di San Pietro, raccontato negli Atti degli Apostoli: la liberazione dalla prigionia a Gerusalemme, grazie all’intervento prodigioso dell’Angelo del Signore. Il Papa sottolinea l’atteggiamento di Pietro: l’Apostolo è sereno, “si fida di Dio”. E sa che può contare sulla preghiera della sua comunità. E duemila anni dopo, Benedetto XVI vive la stessa esperienza:
“Anche io, fin dal primo momento della mia elezione come Successore di San Pietro, mi sono sempre sentito sorretto dalla preghiera della Chiesa, dalla vostra preghiera, soprattutto nei momenti più difficili (applausi) Vi ringrazio di cuore. Con la preghiera costante e fiduciosa, il Signore ci libera dalle catene, ci guida per attraversare qualsiasi notte di prigionia che può attanagliare il nostro cuore, ci dona la serenità del cuore per affrontare le difficoltà della vita, anche il rifiuto, l’opposizione, la persecuzione”.
Tranquillità e fiducia, ribadisce il Papa, sono dunque i due sentimenti prevalenti in San Pietro, “circondato dalla solidarietà e dalla preghiera dei suoi” e così “si abbandona totalmente nelle mani del Signore”:
“Così deve essere la nostra preghiera: assidua, solidale con gli altri, pienamente fiduciosa verso Dio che ci conosce nell’intimo e si prende cura di noi al punto che – dice Gesù – ‘perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati’”.
Nell’esperienza della prima comunità di Gerusalemme, avverte ancora, possiamo intravedere che la testimonianza si inaridisce se non è animata, sorretta e accompagnata dalla preghiera, “dalla continuità di un dialogo vivente con il Signore”:
“Un richiamo importante anche per noi, per le nostre comunità, sia quelle piccole come la famiglia, sia quelle più vaste come la parrocchia, la diocesi, la Chiesa intera”.
E soggiunge che non bisogna lasciarsi dominare dalle passioni, “dalla dittatura delle proprie voglie, dall’egoismo”, ma imparare a pregare bene il Signore. E’ questa la testimonianza di Pietro, a Gerusalemme, nella Chiesa dove è “posto come roccia”:
“Egli sperimenta che nel seguire Gesù sta la vera libertà, si è avvolti dalla luce sfolgorante della Risurrezione e per questo può testimoniare sino al martirio che il Signore è il Risorto”.
L’episodio di Pietro mostra dunque la “forza della preghiera”. L’Apostolo, conclude il Papa, “si sente tranquillo, nella certezza di non essere mai solo: la comunità sta pregando per lui, il Signore gli è vicino”:
“La preghiera costante e unanime è un prezioso strumento anche per superare le prove che possono sorgere nel cammino della vita, perché è l’essere profondamente uniti a Dio che ci permette di essere anche profondamente uniti agli altri”.
Al momento dei saluti ai pellegrini, accorsi numerosi in Piazza San Pietro, il Papa ha rivolto un pensiero ai partecipanti al Convegno contro la tratta degli esseri umani, promosso da “Giustizia e Pace”. Quindi, ha incoraggiato l’Associazione umanitaria “Medici con l’Africa Cuamm”, riuniti per il Convegno “sull’accesso gratuito alle cure per le mamme e i bambini” dell’Africa sub-sahariana. Infine, nel mese mariano, ha rivolto un invito ai fedeli e in particolare ai giovani:
“Il mese di maggio richiama la nostra devozione alla Madre di Dio: cari giovani, non disdegnate di recitare il Rosario, preghiera semplice ma efficace”.
◊ In Brasile, il Papa ha nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro il Reverendo Sacerdote Roque Costa Souza, del clero della medesima arcidiocesi, finora Rettore del Seminario Maggiore “São José”, assegnandogli la sede titolare vescovile di Castel mediano.
Arezzo attende il Papa con orgoglio e speranza. Intervista con il sindaco Fanfani
◊ "Orgoglio e speranza". E’ con questi stati d’animo che Arezzo attende il Papa. La città infatti, assieme a La Verna e San Sepolcro, sarà meta della prima visita di Benedetto XVI in Toscana, domenica prossima. Ad accogliere, il Santo Padre la mattina al suo arrivo sarà il premier italiano, Mario Monti. “La speranza è che la nostra comunità sappia trarre dalle parole del Pontefice ulteriore alimento per la propria crescita”, spiega il sindaco di Arezzo, Giuseppe Fanfani. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. – C’è un grandissimo impegno e una grandissima attenzione, ma anche un po’ di preoccupazione da parte degli amministratori. Erano tantissimi anni che non si viveva un avvenimento così importante. La presenza del Santo Padre crea sempre un clima di particolare nei credenti e particolare attenzione anche in chi non crede.
D. – C’è grande attesa per questa visita ad Arezzo, in un momento in cui la città – purtroppo non è la sola – risente della grave crisi economica in corso...
R. – Arezzo è una realtà che è cresciuta tantissimo a livello industriale nel dopoguerra e che ora sente più di altre realtà la crisi economica, che attanaglia tutto il sistema produttivo. E’ un momento di grande crisi, nel quale si creano attese e speranza, e la presenza del Papa contribuisce a rafforzare la speranza nel futuro.
D. – Arezzo, città provata dalla crisi, ma anche città dalle grandi potenzialità...
R. – Arezzo, nel dopoguerra, aveva un’unica azienda orafa, ora ne sono nate 1500. Ha una popolazione estremamente attiva e versatile ed è un popolo particolarmente laborioso ed intelligente. Io sono certo che la crisi sarà un grande stimolo per fare cose diverse, ma farle ugualmente bene.
D. – Tra l’altro, ad accogliere il Papa ad Arezzo ci sarà il premier italiano Monti. E' un’occasione per Arezzo per presentare al governo i propri problemi, difficoltà e sofferenze, in questo momento di crisi economica...
R. – La contemporanea presenza del Santo Padre e del presidente del Consiglio, ovviamente, fa crescere nell’opinione pubblica l’importanza di questo evento, come pure l’attenzione dei media, e accresce anche la speranza della gente nella prospettiva generale che il mondo in questo momento sta vivendo, che non è delle migliori.
D. – La visita del Papa ad Arezzo avviene fra l'altro in un momento in cui nel Paese intero si registra un diffuso sentimento di disaffezione alla politica...
R. – Io credo che la politica abbia bisogno di tanta serietà e di tanto esempio. Mai come in questo momento la disaffezione è legittimata da comportamenti indecorosi, ai quali assistiamo quotidianamente da più parti. Io spero che dalle parole del Santo Padre si possano desumere anche richiami alla serietà nell’esercizio della cosa pubblica.
D. – Benedetto XVI prima d’ora non era mai stato in Toscana e la sua prima volta in Toscana, avviene ad Arezzo...
R. – E’ un luogo di grande spiritualità: abbiamo La Verna-Camaldoli - già solo questo basterebbe - e abbiamo il millenario di San Sepolcro che porta proprio il nome del Santo Sepolcro. E abbiamo ancora la città di Arezzo nella quale Piero della Francesca e la leggenda della Vera Croce hanno disegnato il cammino della sofferenza e della spiritualità del Cristo, fino ai tempi moderni.
D. – Dunque, c’è grande attesa e trepidazione tra gli aretini...
R. – Fino ad ora le ho parlato come sindaco, ora le parlo come uomo, come cattolico e non posso non esprimere la mia profonda felicità personale, per poter dare al Santo Padre il saluto a nome di tutta la collettività.
◊ Dopo l’appuntamento dello scorso settembre a Firenze, il Cortile dei Gentili – la struttura vaticana nata all’interno del Pontificio Consiglio della Cultura per promuovere il dialogo tra credenti e non credenti – torna su uno dei territori privilegiati dell’incontro fra culture diverse, quello dell’arte. Sarà infatti dedicato al tema “Arte, bellezza e trascendenza” il nuovo appuntamento internazionale in programma il 17 e 18 maggio, in Spagna, a Barcellona. Sui contenuti di queste due giornate "catalane"’ del Cortile, ascoltiamo il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, al microfono di Fabio Colagrande:
R. – Il tema della bellezza e dell’arte è fondamentale nell’interno del Cortile dei Gentili. Ora, di sua natura, l’arte è sempre protesa verso un oltre e un altro, rispetto all’orizzonte concreto, dove si registra la cronaca. Quindi, è sempre una domanda di spiritualità, è una domanda di metafisica: andare al di là di tutto ciò che è immediato. Per questa ragione noi abbiamo iniziato con Firenze, la città dell’arte per eccellenza. Ma ora vorremmo, invece, affrontare un altro orizzonte, un po’ particolare, che è quello di Barcellona, dove abbiamo una città che è molto “identitaria” – la Catalogna ha una sua identità molto specifica – e che è un luogo nel quale c’è, però, anche deposto un grande seme di cultura: ci sono università molto vivaci e, soprattutto, c’è questo grande emblema, che è stato ripetutamente proposto in questi ultimi tempi, soprattutto dopo la visita e la consacrazione di Benedetto XVI, e cioè l’emblema della Sagrada Familia di Gaudì.
D. – In particolare, le due giornate del Cortile a Barcellona vedranno alternarsi tre momenti, dedicati come di consueto a un confronto accademico, a un momento, invece, proprio nella Sagrada Familia, dedicato all’arte: il dialogo delle voci, poesia e musica. L’arte non solo come argomento di dibattito, ma l’arte entra proprio di diritto anche negli appuntamenti del Cortile dei Gentili?
R. – Noi sappiamo che compito dell’arte non è mai descrivere e informare. La musica, per esempio, di sua natura è evocativa. La musica però – e l’arte in generale – proprio perché sono evocative non sono informative, danno piuttosto delle emozioni e delle istanze spirituali. Per quella serata, che sarà un grande evento, che coinvolgerà tutta la città di Barcellona, è stato usato un termine: il dialogo. Il dialogo avviene prima di tutto tra fede e arte, in genere. Si parlerà perciò di Bibbia, di spiritualità, di liturgia e, al tempo stesso, però, di espressione artistica, quindi di godimento anche estetico. Secondo, ci sarà un dialogo, invece, ancora più concreto e abbastanza curioso: il dialogo tra le voci, tra i cori, distribuito nell’interno della basilica. Ci saranno almeno 700 coristi, distribuiti in quattro punti differenti – cento sul lato destro, cento sul lato sinistro, che dialogheranno tra di loro – e ci saranno invece due cori possenti nella parte sacra e nella parte di apertura, cioè l’ingresso solenne: ci saranno, da una parte, 250 coristi e, dall’altra, 250 coristi. Per cui avverrà anche in questo caso, come avveniva nella grande tradizione, il dialogo delle voci, che è proprio della polifonia. La polifonia di sua natura suppone voci diverse, che hanno timbri diversi, che tra di loro si intrecciano e dimostrano tutti che ci può essere bellezza nella diversità. Il terzo dialogo è quello, forse, in assoluto, più originale. Infatti, i cori sono distribuiti in spazi differenti, dove ci sono immagini, evocazioni, che Gaudì aveva voluto, di misteri cristiani: lui aveva concepito la basilica della Sagrada Familia come se fosse una sorta di catechesi di pietra. Ecco, ci sarà il dialogo tra la musica e l’architettura, tra due arti diverse, e anche con l’arte. In un certo senso, i colori e le forme della musica saranno anche visibili e non solo udibili. Un po’ come accadeva nel Medioevo, quando si scrivevano dei testi musicali, giocando sui capitelli delle colonne dei chiostri.
L'impegno della Chiesa per le persone non vedenti e ipovedenti
◊ La Chiesa locale e missionaria è in prima linea anche nella cura, nell’assistenza e nella promozione sociale ed economica delle persone non vedenti ed ipovedenti. È quanto emerso nel corso del Convegno internazionale di Studio dedicato a “La persona non vedente: ‘Rabbunì, che io riabbia la vista”, tenutosi venerdì e sabato scorsi in Vaticano. Due giorni di approfondimento pastorale e scientifico organizzati dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari e dalla Fondazione "Il Buon Samaritano", che fa capo allo stesso dicastero, in collaborazione con la Cbm Italia Onlus. "Un impegno della Chiesa Cattolica - si afferma in un comunicato - in effetti assai diversificato e presente in tutti i continenti. Il personale ecclesiale e gli operatori sociosanitari, volontari e/o professionali, lavorano infatti, oltre che nell’accompagnamento spirituale, negli ambiti dell’istruzione, della formazione igienico-sanitaria ma anche professionale, sia dei non vedenti e sia degli operatori sanitari locali".
Nella linea di questo impegno sono diocesi, Congregazioni e Istituti religiosi più in generale, organismi non governativi e realtà dell’associazionismo. Consacrati e volontari impegnati in progetti che aiutano i non vedenti e da questi stessi sono aiutati a vivere la pienezza della vita. "Come rilevato dalla Fondazione 'Il Buon Samaritano', che - informa la nota - sta compiendo un’indagine anche statistica sulle realtà già operative in seno alla Chiesa, molti dei 40 progetti in merito ai quali sono già compilati e reinviati i questionari predisposti, hanno una durata quinquennale o maggiore raggiungendo e intervenendo in favore di diverse migliaia di persone alle quali vanno aggiunte le molte comunità che fruiscono di iniziative a carattere locale". In generale, prosegue il comunicato, "sono tutte azioni che trovano, quando possibile, supporto in enti governativi od Ong. Come inoltre emerso durante il Convegno, nei Paesi economicamente svantaggiati si registra una grave carenza di personale medico ed infermieristico specializzato". Se - è il calcolo - "negli Usa e in Italia si stima che vi sia un oftalmologo ogni dodicimila abitanti vi sono realtà nelle quali, come in Etiopia, il rapporto scende a uno su di un milione di persone e tale presenza si raggruppa in linea di massima nella capitale, in questo caso Addis Abeba".
Nell’ambito del Convegno del 4 e 5 maggio scorsi, si è registrata l’affluenza di oltre 300 persone provenienti da 45 Paesi dei cinque continenti. Oltre al contributo dei relatori, tutti del più altro livello internazionale, i partecipanti al simposio hanno molto apprezzato ed applaudito il concerto, presentato da Elisabetta Gardini, di brani di musica classica e contemporanea eseguiti da 3 artisti non vedenti. Tra questi il parroco di Camporeggiano, Don Gerardo Balbi, pianista diplomato che suona accompagnato dal violinista Gianfranco Contadini, e i due musicisti giunti appositamente da Taiwan: Lin-Phin Chang, clarinetto e sassofono, e Chou Chien-Yu, pianista. (A cura di Roberto Piermarini)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Pietro si fida di Dio: durante l'udienza generale il Papa parla della liberazione dell'apostolo dal carcere.
In rilievo, nell'informazione internazionale, la Siria: dal marzo scorso più di mille bambini morti nelle violenze.
In cultura, un articolo di Christoph Markschies dal titolo "Come ci interroga Erik Peterson": la vera teologia deve scuotere per poter consolare veramente e i profondità.
Emilio Ranzato e Gaetano Vallini sul Vaticano alle Olimpiadi di Londra nel film "100 metri dal Paradiso".
"Studio Dante perché mi piace Drupi": Jaroslaw Mikolajewski su storia e arte nel profondo rapporto culturale tra Polonia e Italia".
Piccole eroine nascoste: Giulia Galeotti su una nuova traduzione del libro di Ester commentata da Giulio Michelini, con una notizia sulla pubblicazione del testo biblico nella collana "La Bible d'Alexandrie".
Siria: esplode ordigno al passaggio del convoglio Onu
◊ In Siria, un ordigno è esploso nel villaggio di Atman, nella provincia di Daraa, nel Sud del Paese al passaggio del convoglio della missione di osservatori Onu. Illeso il capo della missione, il generale norvegese Robert Mood che ha ribadito: "Così non si esce dalla crisi". Il Consiglio Nazionale Siriano, il principale blocco dell'opposizione anti-Assad ha accusato il regime di Damasco di aver organizzato l'esplosione, che ha ferito 8 militari. Nel convoglio anche un’auto di giornalisti sulla quale viaggiava il freelance Cristiano Tinazzi. Massimiliano Menichetti lo ha raggiunto telefonicamente subito dopo l’attentato:
R. – Ci stavamo dirigendo verso Daraa, con il convoglio delle Nazioni Unite, c’era anche il generale Mood: a pochi chilometri dall’entrata nel centro abitato, abbiamo superato un camion militare che si stava dirigendo – anch’esso – verso la città ed è esploso un ordigno - probabilmente un ordigno esplosivo improvvisato – che era sul ciglio della strada e che ha investito il camion militare, che poi ci ha superato a tutta velocità per portare i feriti in città. Fortunatamente non ci sono stati feriti gravi e tutti i giornalisti sono illesi.
D. – A quanti metri eravate dall’esplosione?
R. – Cinquanta metri dal camion e fisicamente anche la macchina si è alzata…
D. – Si è capito l’attentato contro chi era rivolto? Contro i militari? Contro il convoglio dell’Onu?
R. – Quasi sicuramente contro i militari, però chi ha detonato la bomba sapeva benissimo che in quel momento stava passando anche il convoglio e sapeva benissimo che c’erano anche tante altre macchine di civili che si stavano dirigendo verso Daraa e verso la frontiera con la Giordania. Questa è una zona molto trafficata.
D. – Perché stavate andando a Dara?
R. – Come ogni giorno, le Nazioni Unite vanno in diverse città dove sono dislocati gli osservatori per fare briefing e controllare la situazione sul terreno. Ieri siamo stati a Homs ed anche lì c’è una situazione tremenda: la città è disabitata, sembra una città fantasma, in alcuni quartieri si combatte ancora; anche mentre eravamo lì si sentivano colpi di mitra. Il generale Mood è voluto venire qui, perché voleva verificare sul terreno la situazione e voleva parlare con i suoi uomini.
D. – Il generale Mood ha tenuto la conferenza stampa subito dopo l’attentato: quali sono i tratti essenziali di questa informativa?
R. – Ha iniziato parlando della missione e ricordando che al momento sono 70 gli osservatori Onu presenti sul territorio siriano, ma che già da domani saranno 100. Ha detto che stanno facendo del loro meglio, di muoversi consultando la popolazione, l’esercito siriano, ma anche gli oppositori per cercare di far rispettare la tregua, perché non viene rispettata da ambo le parti. Ha dato poi un messaggio chiaro, ricordando che il destino del Paese è in mano ai siriani stessi e che chiunque – sia all’interno sia all’esterno del Paese – voglia risolvere la questione con bombe, con violenza e con attentati, ha sbagliato strada! Non è questa la via giusta per risolvere la situazione, ha detto. Ha ricordato anche che c’è ancora una possibilità per portare il Paese fuori da questa situazione. Ha ricordato infine che quello che è successo oggi è quello che vivono i siriani tutti i giorni.
In questo scenario, il Paese aspetta i risultati ufficiali delle elezioni parlamentari di lunedì. Consultazioni salutate con favore da Damasco e giudicate una farsa dall’opposizione. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi Islamici all'Università di Cosenza:
R. – E’ chiaro che, in questo clima, le elezioni hanno dei significati che non possono essere considerati come nelle situazioni di normale democrazia. I dati sull’affluenza sono incerti: da una parte abbiamo visto la rappresentazione tipica del regime, che ci ha mostrato file e code piuttosto sostenute davanti ai seggi elettorali; dall’altra l’opposizione ribadisce che - soprattutto nelle città ribelli e martoriate dalla repressione del governo – i seggi sono andati praticamente deserti. Naturalmente non lo sapremo ancora per qualche giorno e poi dovremo verificare se i dati elettorali che ci verranno forniti saranno effettivi, credibili o meno. Questo per quanto riguarda la situazione interna del Paese. Direi però che, ancor di più, le elezioni siriane si presentano in realtà come un puzzle internazionale: al di là dell’esito di questi seggi, di chi sarà eletto con queste elezioni, la situazione è sempre più in mano a forze internazionali.
D. – Sulla situazione incideranno anche le elezioni russe e quelle francesi?
R. – Le elezioni presidenziali in Francia o la riconferma di Putin in Russia possono influire notevolmente sulla situazione e sembrerebbero rafforzare, in un certo senso, anche il regime che aveva – da una parte – in Putin un amico e – dall’altra – in Sarkozy un nemico e che quindi potrebbe giovarsi di questa situazione.
D. – Poi c’è il ruolo che hanno Iran e Turchia?
R. – Sono i due nuovi attori emergenti nell’ambito del Medio Oriente, che stanno sostituendo ormai un mondo arabo completamente in crisi, una Lega Araba che non ha più nessun potere. La Siria, in questo scacchiere, è uno degli elementi più importanti per il futuro Medio Oriente.
D. – Kofi Annan ribadisce: i trecento osservatori arriveranno entro fine mese. Secondo lei è verosimile un intervento armato nella regione? Quali saranno gli scenari che si apriranno?
R. – Io credo che si confermi un po’ la situazione attuale. La Siria, come sappiamo, non dispone di risorse petrolifere o di altro tipo di risorse tali che possano spingere la Comunità internazionale a interventi decisi. Rimane in una situazione di stallo, in cui si fa un gioco diplomatico abbastanza logorante e nel quale sembra che nessun attore – finora – abbia voluto prendere una posizione decisa. E’ vero che si dice – anche se credo non sia reale – che la Turchia si preparerebbe addirittura ad un intervento militare… Non credo che la questione possa essere risolta in questa maniera. Io credo sostanzialmente che un dato sia acquisito e cioè l’uscita del mondo arabo propriamente detto dallo scacchiere del Medio Oriente. Non che naturalmente gli arabi siano scomparsi, ma certamente hanno perduto talmente tanta della loro possibile influenza; le divisioni interne hanno dimostrato grande debolezza e ormai le decisioni che riguarderanno i futuri assetti del Medio Oriente – almeno a medio termine – sono nelle mani di nazioni, di potenze che sono completamente al di fuori dell’area.
D. – Poi rimane il problema dei profughi e delle vittime: molte le denunce, ma non sembra che si prenda in considerazione la creazione di un corridoio umanitario…
R. – Un fatto gravissimo! Qui siamo attorno ai 10 mila morti e nessuno si muove, nessuno si scandalizza: non c’è una presa di coscienza veramente forte, come è avvenuta invece in altri casi. Mi ricorda un po’ la situazione dell’Algeria, dove siamo dovuti arrivare a 100 mila morti prima che si muovesse qualcosa e anche lì non in maniera particolarmente decisa. Insomma ai nostri confini praticamente, al di là del mare, abbiamo situazioni di vere e proprie tragedie umanitarie, alcune delle quali - se non passano del tutto sotto silenzio - sono minimizzate!
Ucraina: Iulia Timoshenko trasferita dal carcere all'ospedale
◊ La leader dell'opposizione ucraina, Iulia Timoshenko, è stata trasferita dal carcere femminile di Kharkiv all'ospedale cittadino. Ieri, i familiari dell’ex premier avevano annunciato per queste ore la fine dello sciopero della fame da parte della loro congiunta, iniziato circa tre settimane fa dopo che la Timoshenko aveva denunciato di essere stata picchiata in carcere. La donna, accusata di malversazione ed evasione fiscale, è agli arresti dall’agosto scorso. Per questa vicenda, legata ad accordi sulle forniture di gas, i suoi legali hanno chiesto di indagare sulla massiccia corruzione praticata da alti dirigenti ucraini. Intanto, è cresciuta la pressione internazionale su Kiev riguardo al caso Timoshenko, che ha portato molti Paesi del Vecchio Continente a minacciare di disertare i prossimi Campionati di calcio "Euro 2012". Il trasferimento dell’ex premier in ospedale può quindi essere letto come un passo dovuto per le condizioni di salute della donna o le autorità ucraine puntano a disinnescare la crisi diplomatica che minaccia gli Europei di calcio? Giada Aquilino lo ha chiesto a Oles Horodetskyy, presidente dell’Associazione cristiana ucraini in Italia:
R. - Penso che siano entrambe le cose. Da una parte, lo stato di salute della Timoshenko, le sue condizioni fisiche sono peggiorate ulteriormente a causa dello sciopero della fame. Dall’altra parte, il governo deve fare qualcosa per reagire alle proteste europee. Quindi ritengo che sia stato trovato un compromesso. Inoltre la Timoshenko ha accettato di curarsi nell’ospedale delle Ferrovie di Stato di Kharkiv, però ad una condizione: che il medico curante sia un tedesco.
D. - In Ucraina cosa si dice della vicenda Timoshenko?
R. – Con l’arrivo al potere del presidente Viktor Ianukovich, la situazione in Ucraina è cambiata, soprattutto nel campo della libertà della parola, della libertà d’espressione. Poi le persecuzioni politiche nei confronti degli ex governanti sono evidenti. Il caso Timoshenko è solo la parte visibile dell’iceberg, ma purtroppo ci sono anche i casi dell’ex ministro dell’Interno, che è stato condannato a mio parere per niente, e altri casi che riguardano i funzionari del precedente governo. Quindi purtroppo l’Ucraina, dopo aver guadagnato, durante la "Rivoluzione arancione", una posizione democratica forte, ora la sta perdendo. Però c’è anche da dire che l’opposizione è completamente disorientata, distrutta, perché una gran parte dei parlamentari dell’opposizione è passata al partito di governo.
D. - E la comunità ucraina all’estero che momento vive?
R. - Purtroppo, dobbiamo constatare il fatto che il governo, pur di non far vincere l’opposizione, ha tolto anche i nostri diritti di voto, tramite una decisione della Corte costituzionale risalente all’inizio di aprile: è stato deciso che gli ucraini che si trovano all’estero non potranno votare come i residenti in Ucraina. Praticamente avranno solo "mezzo voto": noi potremo votare per le liste politiche, invece prima c’era la possibilità di votare sia per le liste politiche, sia per i candidati. In Ucraina invece continueranno ad esserci due possibilità di voto: si potrà scegliere sia il candidato, sia il partito. Abbiamo quindi iniziato una forte battaglia per i nostri diritti nelle varie città d’Europa dove viviamo. Personalmente vorrei rivolgere un appello soprattutto alla società italiana affinché ci aiuti: ad ottobre ci saranno le elezioni parlamentari, che in qualche modo saranno decisive per il nostro Paese. Quindi sia per quanto riguarda un monitoraggio internazionale, sia per difendere i nostri diritti costituzionali invoco una maggiore collaborazione e una qualsiasi forma di aiuto da parte di tutti.
Giornata per l’Europa. Intervento del cardinale Erdő a 20 anni dalla pubblicazione del Catechismo
◊ Oggi, Giornata per l’Europa, si celebrerà una Messa per il Vecchio vontinente nella Basilica papale di Santa Maria Maggiore, alle ore 19.30. A presiederla sarà il presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest. Il cardinale Erdő stamane ha partecipato alla conferenza stampa, che si è svolta presso la nostra emittente, sul XII Congresso europeo per la Catechesi, presentando il nuovo portale dell’informazione istituzionale del Ccee e l’indagine europea sul 20.mo anniversario del Catechismo della Chiesa Cattolica. Fausta Speranza lo ha intervistato:
R. – Il Catechismo della chiesa cattolica è stato un grande evento nella storia della nostra Chiesa. Tutte le Conferenze episcopali lo hanno tradotto il prima possibile, poi sono uscite altre edizioni, anche perché il testo originale è stato modificato ulteriormente. In alcuni Paesi, il Catechismo ha avuto una grandissima diffusione – sono state vendute milioni di copie – e la stessa cosa vale per il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, che è entrato anche nell’insegnamento, pur non essendo un libro scolastico. L’edizione del Compendio ha avuto grande diffusione persino nei supermercati di alcuni Paesi. Certamente, sono state fatte anche edizioni del Catechismo per le scuole, libri di religione per ciascuna classe: per esempio, in Ungheria - per la prima volta, dopo la Guerra mondiale - siamo riusciti a pubblicare 12 edizioni, una per ciascuna classe, sempre in base a quelli della Chiesa cattolica, però pedagogicamente rielaborati. E' stato un grande successo.
D. – Un nuovo portale per il Consiglio delle Conferenze episcopali: è stato voluto per un nuovo sforzo di comunicazione?
R. – Nel 2008, durante la nostra assemblea plenaria è stata fatta la proposta di stabilire un portale internet che ricollegasse meglio tutte le conferenze episcopali del continente. Il contenuto, quindi, non viene redatto da un’organizzazione centrale, ma dalle singole conferenze. Ciascuna conferenza però ha un responsabile speciale per questo lavoro: ci sono due persone responsabili per i compiti tecnici - uno a Sarajevo in Bosnia ed in Spagna - persone giovani e ben qualificate. Tutti possono aggiungere notizie sulle singole Conferenze episcopali, nella forma in cui loro vogliono metterle su Internet. Abbiamo però il servizio di tradurre tutto automaticamente in 32 lingue europee, che sembra essere una cosa importante, soprattutto quando una cosa esce in lingua lussemburghese, ungherese o un’altra lingua non tanto diffusa.
D. – Questa Europa ha bisogno di un messaggio forte di speranza…
R. – Assolutamente sì. Noi vediamo che tra i fedeli c’è questa speranza: allora, se condividiamo le nostre esperienze possiamo rinforzare anche la speranza generale nella società europea. Proprio oggi – 9 maggio, Giornata dell’Europa – abbiamo la gioia di aprire al pubblico questa pagina Internet.
Allarme della Fondazione Rava: ad Haiti è di nuovo allarme colera
◊ Ad Haiti, mentre procede lentamente la fase di ricostruzione del dopo terremoto del 2010, la popolazione è alle prese con una nuova emergenza: il diffondersi del colera. A denunciare questo dramma, è padre Rick Frechette della Fondazione "Francesca Rava", da anni in prima linea a sostegno della popolazione haitiana. Per una testimonianza al riguardo, Alessandro Gisotti ha intervistato Maria Vittoria Rava, presidente della Fondazione umanitaria:
R. – La situazione della ricostruzione è ancora ferma. In questa stagione ci sono le alluvioni, le tempeste tropicali, che sono i nostri temporali moltiplicati per 100 volte. In questa situazione, in questi slum, baraccopoli - dove spesso, quando vado in Haiti, passo le mie giornate insieme alla gente - quando piove le persone devono stare in piedi anche di notte: non possono sdraiarsi perché il pavimento della loro casa diventa fango. E proprio in questa stagione di piogge fortissime, purtroppo - proprio in questi giorni - abbiamo ricevuto l’allarme che è nuovamente scoppiata un’epidemia di colera. Il colera, purtroppo, non è stato debellato; è diventato da epidemico ad endemico e tuttora quando il livello dell’acqua si alza e si mischia al livello inquinato dei rivoli, delle fogne, purtroppo le persone che si abbeverano a queste fontane la cui acqua – naturalmente – non è filtrata, si infettano. Purtroppo, poi, le poche organizzazioni che comunque erano rimaste, se ne sono andate e quindi l’afflusso di pazienti al nostro ospedale “Saint Luc” a Tabarre e anche al centro per la cura del colera, che è stato costruito poco dopo l’emergenza di un anno e mezzo fa, non riesce a sopportare la quantità di pazienti che vi si riversano.
D. – Una questione particolarmente a cuore alla Fondazione è quella delle protesi: come sta andando questo progetto?
R. – Abbiamo la grande amicizia del Progetto “Cilla per Haiti”. Il progetto della Fondazione, in particolare, è proprio questo: il fatto di togliere un braccio o una gamba non è stato un atto dovuto all’inesperienza, è stato l’unico modo per salvare la vita a molti da cancrene o da infezioni, perché sono arrivati molto in ritardo, dopo l’evento del terremoto. E tuttora questa officina ortopedica sta funzionando: hanno permesso a due ragazzi, che si chiamano Junior e James, di venire in Italia già per la seconda volta – sono tornati in Haiti appena un paio di settimane fa – a fare un corso di formazione per utilizzare le macchine che sono state donate a questa officina che sorge proprio all’ospedale “Saint Damien”, grazie ai fondi italiani. L’idea, infatti, è questa: purtroppo ormai del terremoto non se ne parla più, ma le gambe e le braccia e gli arti menomati dureranno per sempre, perché un bambino cresce e purtroppo avrà sempre bisogno di cambiare una protesi. Padre Rick in modo molto lungimirante ci ha chiesto: “Voi dovete formare i miei ragazzi perché possano in modo indipendente aiutarsi e aiutare gli altri”.
D. – Come aiutare Haiti e come aiutare la Fondazione Rava ad aiutare la popolazione di Haiti?
R. – Quello che dico dal cuore, e lo dico come Maria Vittoria prima ancora che come presidente della Fondazione, è: "Basta poco"! Ognuno secondo le proprie possibilità: vi assicuro che anche con 10 euro si possono comprare reidratanti per il Centro colera; con 26 euro al mese, che è meno di un caffè al giorno – chi di noi italiani non prende almeno un caffè al giorno? – si può aiutare un bambino adottandolo a distanza. I bambini, quelli che sono rimasti senza famiglia e senza aiuti dopo il terremoto, sono tantissimi e vivono in questo "Foyer Saint Louis", un orfanotrofio creato per dare loro una famiglia, serenità e protezione. Si può diventare volontario o prestare la propria opera professionale: ci sono panettieri, meccanici, ingegneri che vengono giù con noi per dare ciò che sanno fare. Quindi, l’invito è a collegarsi al nostro sito www.nph.italia.org anche con tutte le vostre idee, perché così potremo conoscerci personalmente …
Italia. Napolitano: il Paese non si farà intimidire dal terrorismo
◊ L’Italia non si farà intimidire dal terrorismo. In occasione della Giornata della Memoria delle vittime del terrorismo, Giorgio Napolitano, durante la commemorazione al Quirinale, avverte che gli "Anni di piombo" non torneranno. Il presidente, in mattinata, aveva deposto una corona di rose in via Caetani, a Roma, dove 34 anni fa venne ritrovato il corpo di Aldo Moro. Proseguono intanto le indagini per l’attentato a Roberto Adinolfi. Il servizio di Francesca Sabatinelli.
La tragedia del terrorismo “non si ripeterà”, il dissenso politico-sociale non giustifica il terrorismo. Sono le parole del presidente, Giorgio Napolitano, di colui che con forza ha voluto che ci fosse una Giornata della Memoria e che si celebrasse oggi, nel giorno dell’assassinio di Aldo Moro. Una ricorrenza che serve al capo dello Stato per avvertire che occorre vigilanza e porre argini insuperabili. “Quanti fossero tentati di mettersi sulla strada del terrorismo sono perdenti non intimidiranno lo Stato” è l’avvertimento, che rimanda a soli due giorni fa, quando a Genova è stato gambizzato Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, il cui attentato non è stato rivendicato ma per il quale, ha precisato sempre oggi il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, si valutano tre piste: quella vetero-brigatista, quella anarco-insurrezionalista e quella commerciale. Nelle parole di Napolitano, c’è il dolore per la giustizia incompiuta per Brescia, per la strage di piazza della Loggia: è di pochi giorni fa la sentenza di assoluzione per i neofascisti imputati. “Il tormento è forte”, spiega, ma "una verità storica si è conseguita”, quella messa in luce dalle carte processuali, che definiscono la matrice di estrema di destra e l’attività depistatoria di una parte degli apparati dello Stato. Dunque, “non brancoliamo nel buio di un’Italia dei misteri”: per il presidente ci sono ancora verità da svelare, ma siamo in un’Italia che si è liberata, che “ha sconfitto il terrorismo e che ha individuato e sanzionato centinaia di persone”. Di fronte all’attacco terroristico, conclude Napolitano, ci assalì il timore che lo Stato potesse non farcela, ma “l’Italia, lo Stato democratico ce la fecero”. Il terrorismo, ha aggiunto, è stata una “prova superata grazie ad uno sforzo corale”. Emanuela Campanile ne ha parlato con Renzo Agasso, giornalista, co-autore del libro ‘Il piombo e il silenzio. Le vittime del terrorismo in Italia’:
R. – Credo che un compito di chi ha vissuto quegli anni, ma anche di chi vuole raccontare l’Italia, sia quello di continuare a parlare di queste cose. Guai se cadesse il silenzio su queste vicende, e su queste persone soprattutto, perché il silenzio è quello nel quale maturano poi queste decisioni scellerate. C’è in questo momento, nel nostro Paese, un brutto clima. C’è molta violenza repressa, che qualcuno magari nasconde dietro il problema della crisi. Io mi auguro anche che i familiari delle vittime continuino in quest’azione meritoria e trovino questa forza di uscire dal silenzio, di farsi sentire e vedere, e che si sappia cosa hanno pagato.
D. – Quello che è successo a Genova è un segno di una rinascita del terrorismo in Italia...
R. – Penso che in questo momento non si possa parlare di una rinascita delle Brigate Rosse - non è pensabile, il Paese è diverso, il Paese è troppo cambiato in questi trent’anni - ma certamente di questa presenza della violenza, di questo dobbiamo essere convinti. C’è nel Paese un substrato di violenza che ogni tanto torna a farsi sentire e bisogna fare in modo che non diventi più una violenza organizzata e forte come quella degli anni ’70. Bisogna stare attenti, bisogna alzare la guardia e bisogna anche che la politica cambi un po’ il linguaggio, cambi un po’ i metodi, perché certamente delle responsabilità morali ci sono in questo campo.
Presentato a Roma il Festival "Alleluia" organizzato dalla Comunità “Shalom”
◊ La Comunità cattolica “Shalom”, fondata nel 1982 in Brasile, celebra a Roma con una serie di iniziative, in programma fino al prossimo 16 maggio, il 30.mo anniversario di fondazione e l’approvazione definitiva da parte del Pontificio Consiglio per i Laici. Questa mattina è stato presentato in Campidoglio il Festival "Alleluia", promosso dalla Comunità "Shalom", che si terrà sabato prossimo a Piazza Farnese. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Parte da Roma la festa dei giovani in attesa della Giornata mondiale della gioventù, che si terrà a luglio 2013 in Brasile. In occasione del Festival "Alleluia", si ritroveranno in Piazza Farnese giovani brasiliani, romani e di ogni nazionalità, per una festa che culminerà nella Gmg in Brasile. L'evento sarà un ponte ideale tra Roma e Rio de Janeiro, come sottolinea il fondatore della comunità cattolica Shalom, Moysés Louro do Azevedo Filho:
“Questo ponte servirà a rafforzare ulteriormente il legame tra la città di Roma e il Brasile per ricambiare con gratitudine le tante grazie che dalla vostra terra, centro e cuore della cattolicità, sono giunte fino a noi”.
Il Festival di sabato prossimo, patrocinato da Roma Capitale e dal Vicariato di Roma, riunirà diverse forme di espressione artistica e musicale. Sarà un appuntamento per far festa e per evangelizzare. Don Maurizio Mirilli, responsabile dell'Ufficio per la pastorale giovanile del Vicariato di Roma:
“Si alterneranno sul palco momenti di spettacolo, di canzoni, di evangelizzazione, a veri momenti di preghiera. Ci sarà anche un momento di adorazione sul palco con il silenzio, con migliaia di giovani in un luogo dove di solito invece c’è tanto baccano. Sarà un momento di preghiera unito alla gioia, alla testimonianza e all’annuncio”.
Per l’occasione, varrà portata in Piazza Farnese la Croce, simbolo della Gmg. La comunità "Shalom" è una realtà missionaria internazionale, che conta circa cinquemila membri e attraverso l’arte, la musica e la preghiera porta l’annuncio del Vangelo in tutto il mondo. In Brasile, il Festival "Alleluia" riunisce ogni anno centinaia di migliaia di giovani.
La Giornata della Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa
◊ In tutto il mondo si è celebrata ieri la Giornata mondiale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa. 98 milioni i volontari in tutto il mondo che operano a favore di chi ha più bisogno, impegnati sui fronti di crisi e di guerra, dai conflitti più mediatizzati, come quello in Siria, alle crisi umanitarie più dimenticate come quella che vivono le popolazioni di Haiti, del Mali o del Niger. Francesca Sabatinelli ha intervistato Bijan Farnoudi, del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) a Ginevra:
R. – We started last 12 months…
Abbiamo iniziato gli ultimi 12 mesi affrontando le massicce crisi umanitarie in Libia e in Costa d’Avorio, allo stesso tempo abbiamo avuto una riduzione di bilancio che ci ha reso impossibile, a noi come ad altre organizzazioni umanitarie, di essere pienamente operativi ovunque, come avremmo voluto. In questo momento siamo molto attivi in Siria: proprio oggi (ieri - ndr) il presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, Jakob Kellenberger, ha lanciato un appello chiedendo circa 20 milioni di euro per finanziare l’aumento delle nostre operazioni umanitarie in Siria.
D. - In Siria, nel gennaio scorso, è stato ucciso il segretario generale della Mezzaluna Rossa locale. Qual è la situazione che vi trovate ad affrontare in questo Paese?
R. – Well, the current situation…
Attualmente, in Siria la popolazione civile è intrappolata tra le varie parti che portano avanti la violenza. E’ molto difficile per le famiglie siriane riuscire a raggiungere l’ospedale locale senza correre il rischio, almeno in alcune zone, di finire in mezzo al fuoco incrociato. Il risultato di questo sono le vittime: chi rimane ferito dai proiettili, chi salta su una mina. La vera tragedia umanitaria comunque riguarda le donne in gravidanza, i bambini malati, chi deve essere operato di appendicite, chiunque debba recarsi da un medico o in ospedale per ricevere cure e assistenza, come chiunque al mondo. Queste persone, spesso, aspettano fino all’ultimo secondo prima di lasciare la loro casa per cercare aiuto, perché in alcune zone delle città è molto pericoloso circolare, guidare, nelle strade.
D. – Quali sono le zone a maggior rischio per gli operatori della Croce Rossa?
R. – There are several dangerous areas…
Ci sono diverse zone pericolose nel mondo. Ovunque ci sia violenza armata, c’è pericolo. La strategia che il Cicr mette in atto per garantire la sicurezza dei suoi operatori è il “farsi accettare”. Noi non viaggiamo con guardie armate al seguito o a bordo di auto blindate: noi ci muoviamo con i nostri vecchi fuoristrada indifesi, protetti soltanto dall’“approvazione” che le popolazioni ci riservano. Questa “approvazione” significa che noi riusciamo ad avere accesso in luoghi come Afghanistan, Sudan, laddove molte altre organizzazioni non riescono ad arrivare. Anche noi, comunque, non siamo al riparo dai problemi legati alla sicurezza. Purtroppo, molto di recente, un nostro collega, un medico, è stato ucciso in Pakistan (Khalil Rasjed Dale, 60 anni, medico del Cicr rapito in gennaio, il suo corpo è stato ritrovato il 29 aprile a Quetta, nel sud-ovest del Pakistan - ndr). Questo dimostra come oggi alcune zone di conflitto siano estremamente pericolose, persino per la Croce Rossa.
D. – E’ importante ricordare anche le zone del mondo in cui voi operate, ma che sembrano del tutto dimenticate dall’opinione pubblica internazionale …
R. – Especially Mali…
Il Cicr in questo periodo guarda con grande preoccupazione soprattutto alla situazione in Mali. A partire dallo scorso gennaio, la crisi nel nord del Paese impedisce alla popolazione l’accesso alle cure, al cibo, all’acqua potabile. In aprile, ci sono stati violenze e saccheggi, il Cicr e la Croce Rossa del Mali cercano di andare incontro ai bisogni più urgenti delle persone. Bisogna però dire che si tratta di una zona che non riceve l’attenzione internazionale così come altri luoghi del mondo, nonostante i bisogni negli ultimi mesi siano aumentati drammaticamente.
E il Vaticano andò alle Olimpiadi: nei cinema italiani arriva "100 metri dal Paradiso"
◊ Esce venerdì prossimo nei cinema italiani “100 metri dal Paradiso”, una divertente commedia per le famiglie in cui si immagina la partecipazione della squadra olimpica del Vaticano alle prossime Olimpiadi di Londra. Una storia di vocazione e gli ideali puri dello sport sono alla base dell’entusiasmo del protagonista, un sacerdote che con spirito vivace e qualche gustoso sotterfugio cerca nuovi modi per portare nel mondo la Parola del Vangelo e l’immagine della Chiesa. Il servizio di Luca Pellegrini:
In uno stadio olimpico bastano soltanto cento metri per raggiungere il Paradiso, nella vita molto di più. Ma Raffaele Verzillo non contamina i due piani e dirige soltanto una divertente commedia in cui immagina la squadra olimpica del Vaticano, con le sue tute bianche e gialle, partecipare alle prossime Olimpiadi di Londra. Un oro in quel contesto equivarrebbe, per mons. Angelo Paolini, interpretato dal simpatico Domenico Fortunato, a una visibilità straordinaria per la Chiesa. Così la squadra di sacerdoti, missionari e missionarie, che si allena per l’ambita qualificazione è sostenuta, nel film, niente meno che dal cardinale segretario di Stato, il simpatico Mariano Rigillo. Abbiamo chiesto al regista se ha incontrato difficoltà in questo curioso progetto cinematografico:
R. - Abbiamo iniziato a scrivere in maniera un po’ incosciente: soltanto alla fine del film, quando ci siamo resi conto che avremmo avuto bisogno degli stemmi vaticani, allora ci siamo detti: “Forse potremmo avere qualche problema, perché abbiamo scritto con tanta libertà… Vediamo se il Vaticano accetta questo progetto”. Con nostra grande sorpresa, in Vaticano non solo sono rimasti molto contenti, ma in molti nel vedere il film si sono fatti un sacco di risate…
D. - Si è ispirato a quali personaggi?
R. - Noi siamo partiti da un’idea, che penso possa essere anche concreta: come è successo per il figlio di uno dei due protagonisti - per Tommaso Garrazzi - che all’apice della qualificazione olimpica ha la chiamata, la vocazione… E allora abbiamo pensato: chissà a quanti sacerdoti e a quante suore è accaduta una cosa del genere? Per rendere credibile la ricerca degli atleti delle Olimpiadi, avevamo bisogno che questi sacerdoti avessero un’esperienza di atletica per partecipare alle Olimpiadi: allora abbiamo inventato queste figure di sacerdoti che sono stati ex campioni o ex promesse dello sport e che sono poi diventati sacerdoti o suore.
D. - Pastorale della Chiesa e mondo dello sport: il suo film auspica un impegno comune per il bene della persona...
R. - Io penso che lo sport, comunque, sia un atto spirituale: ogni sportivo, indipendentemente dalla religione che professa, compie - secondo me - un atto spirituale nei confronti di se stesso, nel momento in cui sfida se stesso. Così come la religione mette l’uomo davanti a una serie di domande nei confronti di se stesso, anche lo sport mette l’uomo davanti al superamento dei propri limiti: quindi sì - secondo me - sono due elementi della vita dell’uomo in forte connubio; sono assolutamente uno intrecciato all’altro e comunque uno confrontabile con l’altro.
D. - Chi sarà, secondo lei, più entusiasta del film: la Santa Sede o il Comitato Olimpico Internazionale?
R. - Io mi auguro tutti e due, perché sono le due facce di una stessa medaglia, al centro della quale c’è l’uomo. Importante è che noi lo sport lo intendiamo puro, come espressione di un superamento di un limite umano; così come la religione noi la intendiamo pura... che l’uomo viva la ricerca del divino al suo centro. Spero veramente che siano contenti entrambi!
El Salvador: negata estradizione in Spagna agli ex militari per la strage dei Gesuiti dell'89
◊ La Corte Suprema del Salvador ha respinto la richiesta di estradizione presentata dalla Spagna nei confronti di 13 militari a riposo per la loro presunta implicazione nell’assassinio di sei religiosi gesuiti, di una loro collaboratrice e della figlia adolescente nel 1989, durante la guerra civile (1980-1992). Il massimo tribunale nazionale aveva ricevuto la richiesta a gennaio: la decisione è stata presa da nove dei 15 membri della Corte, dopo l’esame dettagliato dei singoli dossier degli ex militari: tra questi figura anche l’ex ministro della Difesa Rafael Humberto Larios. L’eccidio - riporta l'agenzia Misna - fu perpetrato il 15 novembre 1989, quando i soldati del battaglione anti-guerriglia Atlacatl, addestrato negli Stati Uniti, fecero irruzione nella ‘Universidad Centroamericana José Simeón Cañas’ (Uca), uccidendo il rettore, il gesuita spagnolo Ignacio Ellacuría, insieme ai confratelli spagnoli Ignacio Martin Baro, Segundo Montes, Amando Lopez, Juan Ramon Moreno, e al salvadoregno Joaquin Lopez, oltre alla cuoca Elba Julia Ramos e a sua figlia quindicenne Celina Mariceth Ramos. Inizialmente il governo tentò di attribuire la responsabilità dell’eccidio alla guerriglia del ‘Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional’ (Fmln), oggi partito al potere. Un colonnello, due tenenti, un sottotenente e cinque soldati furono processati nel 1991: sette furono assolti; i due condannati – al colonnello Guillermo Benavides e al teniente Yusshy Mendoza furono comminati 30 anni di carcere – beneficiarono in seguito di un’amnistia decretata nel 1993 dall’allora presidente Cristiani (1989-1994), poche ore prima della pubblicazione di un rapporto della Commissione della Verità dell’Onu che attribuì agli alti vertici militari la responsabilità della strage. L’amnistia chiuse di fatto la vicenda in Salvador, riaperta nel 2009 in Spagna sulla base di una denuncia presentata dalla ‘Asociación Pro Derechos Humanos’ iberica e dall’organizzazione statunitense ‘Center For Justice & Accountability’. La Uca continua a chiedere che venga fatta luce sui mandanti della strage.(R.P.)
Filippine: ucciso un leader indigeno contrario a nuove miniere come padre Tentorio
◊ Jimmy Liguyon era un leader indigeno 37enne, capo del villaggio di San Fernando, nella provincia di Bukidnon, sull’isola di Mindanao (Filippine Sud). Jimmy è stato ucciso a sangue freddo a colpi di fucile da Aldy Salusad, membro di un gruppo paramilitare che opera nella zona, finanziato e guidato dal Battaglione dell’esercito filippino stanziato a Bukidnon. L’omicidio è avvenuto il 5 marzo scorso, ma a causa di omertà, minacce, tentativi di far passare sotto silenzio l’accaduto, solo ora è salito agli onori della cronaca. Come riferisce all’agenzia Fides l’Ong filippina “Karapatan” (“Alleanza per il progresso dei Popoli”), da una settimana la società civile di Mindanao lamenta a gran voce la perdita di un altro leader che coraggiosamente si opponeva allo sfruttamento indiscriminato del territorio con nuovi progetti di estrazione mineraria, che avrebbero distrutto la vita delle tribù indigene locali. La famiglia di Jimmy Liguyon, e al suo fianco la società civile di Mindanao, chiede giustizia e invoca la fine dell’impunità, ricordando un altro martire per i diritti delle popolazioni indigene: padre Fausto Tentorio ucciso nell’ottobre 2011 a Kidapawan. Attualmente 19 famiglie di indigeni che hanno perso casa, terra e sostentamento a causa delle miniere, occupano in segno di protesta la piazza davanti al Palazzo del Governo provinciale a Malaybalay City, capitale della provincia di Bukidnon. Secondo informazioni giunte a Fides da “Karapatan”, un gruppo di paramilitari aveva fatto visita a Jimmy e ai suoi due fratelli, Emelio e Arser, mentre si trovavano in casa di Jimmy. Dopo un breve dialogo, i militari li hanno invitati a seguirli e, fuori di casa, uno di loro all’improvviso ha sparato al petto a Jimmy, uccidendolo all’istante. Secondo fonti locali, lo avrebbe ucciso per il suo rifiuto di ratificare gli accordi che una associazione locale, la “San Fernando Tribal Datus Association”, aveva stretto con le compagnie minerarie. L’associazione è formata da un gruppo di indigeni che ha acquisito dal governo titoli di proprietà (“domino ancestrale”) su vasti appezzamenti di terreno nell’area di San Fernando, cedendoli poi a grandi compagnie minerarie per progetti estrattivi. Jimmy, contrastando fortemente l'ingresso delle grandi imprese minerarie nel suo villaggio, si opponeva a tali accordi. Jimmy era già stato più volte minacciato. Lascia una moglie e 5 figli. “Karapatan” chiede l’arresto del colpevole e la protezione per la famiglia di Jimmy, lanciando l'allarme sull’evacuazione forzata di centinaia di contadini e di indigeni a Mindanao a causa di intense operazioni militari nelle loro terre ancestrali. (R.P.)
Sudan-Sud Sudan: rinviata la Plenaria dei vescovi per le tensioni tra i due Paesi
◊ I vescovi del Sudan e del Sud Sudan (che sono riuniti nella medesima Conferenza episcopale, la Sudan Catholic Bishops’ Conference-Scbc) hanno deciso di rinviare la loro Assemblea plenaria annuale a causa delle tensioni tra i due Paesi. In un messaggio inviato dal segretario generale della Scbc si rende noto che il cardinale Zubeir Wako, arcivescovo di Khartoum e presidente della Scbc, ha annullato l’Assemblea plenaria che doveva tenersi a Juba (in Sud Sudan) dal 12 al 17 giugno. Nella nota riportata dall'agenzia Fides, si aggiunge che lo svolgimento dell’incontro dipenderà dagli sviluppi della situazione politica. Nel frattempo non scende la tensione tra i due Paesi. Il Sud Sudan ha accusato l’aviazione di Khartoum di aver bombardato diverse località nel proprio territorio, in particolare negli Stati dell’Alto Nilo, di Unità e del Bahr el-Ghazal occidentale. Non vi sono però conferme da fonti indipendenti delle accuse sud sudanesi. Sia Khartoum sia Juba affermano di rispettare il cessate il fuoco imposto dalla risoluzione approvata il 4 maggio dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. (R.P.)
Sudan: 15 mila profughi sud sudanesi in attesa da mesi nel porto di Kosti per emigrare
◊ E’ l’assenza di certezze politiche sul loro futuro che spinge decine di migliaia di cittadini sud-sudanesi a lasciare le proprie case nel Suidan. A spiegare, all’agenzia Misna, le ragioni dell’esodo è un missionario da tempo impegnato nei territori di confine con il Sud Sudan, che chiede l’anonimato. “Parliamo di circa 15.000 persone – dichiara il religioso - che vivono da anni in Sudan. Ma da un po’ di tempo a questa parte non si sentono più a casa loro. Per questo hanno preso i mobili e gli oggetti di una vita per fare ritorno in una terra che, in molti, non conoscono nemmeno”. Il missionario conferma che nei prossimi giorni, dal porto Kosti nella regione del Nilo Bianco, dove i profughi sono bloccati da mesi, inizieranno i trasferimenti dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim). “La gente sarà trasportata a Khartoum e di lì, con degli aerei, fino a Juba”. A dicembre, infatti, è partita l’ultima delle imbarcazioni a bordo delle quali – percorrendo a ritroso le acque del Nilo – in centinaia di migliaia avevano raggiunto il Sud Sudan divenuto indipendente. “Poi è scoppiata la guerra e ogni passaggio da Nord a Sud è diventato impossibile. La gente si è trovata qui, come intrappolata. Anche i commerci sono fermi da mesi, con tutte le conseguenze che questo comporta” osserva il missionario. La scorsa settimana – su pressioni internazionali – il governo di Khartoum ha esteso fino al 20 maggio il limite massimo per l’espulsione dei profughi di Kosti dal Paese. “Dall’ultima settimana di aprile le scuole e le cliniche allestite per l’emergenza hanno chiuso. Le autorità temevano che la gente non sarebbe più andata via se avessero avuto a disposizione tutti questi servizi. Invece in molti stavano per avventurarsi in un pericoloso viaggio oltreconfine, verso Renk, la prima cittadina del Sud Sudan. Poi, l’annuncio dell’Oim di avviare i trasferimenti, li ha fatti tornare indietro”. In un clima di attesa febbrile per la partenza, in città, si è creato un mercato dove la gente vende tutto quello che non sa se riuscirà a portare con sé al Sud. “C’è chi ha deciso di non rinunciare ai suoi beni e lascerà un membro della famiglia di guardia, fino a quando non sarà possibile trasportare tutto – aggiunge ancora il religioso – e chi invece non vuole più aspettare” per rifarsi una vita. (R.G.)
Addis Abeba: Forum per trasformare l'economia in Africa
◊ Nuove idee per “trasformare” il continente, a partire da una riduzione della dipendenza dall’export di materie prime e delle “barriere” che ostacolano commercio, telecomunicazioni e servizi finanziari: è lo slogan con il quale, ad Addis Abeba, si apre oggi il Forum economico mondiale sull’Africa. Il presupposto è che l’Africa sta crescendo ma, nonostante le ricadute della crisi internazionale, potrebbe farlo di più e più velocemente. “Affinché lo sviluppo sia davvero sostenibile – ha detto presentando l’incontro Elsie Kanza, la direttrice del Forum – dobbiamo diversificare i motori dell’economia: non possiamo dipendere da beni singoli, soprattutto materie prime”. All’incontro - riporta l'agenzia Misna - partecipano fino a venerdì circa 700 esperti, imprenditori e dirigenti politici, tra i quali i capi di Stato o di governo di Nigeria, Gabon, Gibuti, Rwanda e Tanzania. Sul tavolo ci sono gli ultimi studi della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), secondo i quali la crisi internazionale non sta compromettendo la crescita dell’Africa. Stando ai dati dell’Fmi, nell’ultimo decennio sei delle dieci economie in più rapido sviluppo sono state africane e nel 2015 questa proporzione dovrebbe salire a sette su dieci. La Banca Mondiale prevede che il Prodotto interno lordo del continente cresca in modo costante, passando dal 4,9% dell’anno scorso al 5,3% del 2012 e al 5,6% del 2013. Al Forum partecipano anche i rappresentanti di 61 multinazionali, interessate anzitutto a ottimizzare i margini di profitto delle loro attività e a conquistare nuovi “mercati di frontiera”. Almeno nei documenti ufficiali il Forum non dovrebbe però perdere di vista uno sviluppo “sostenibile e inclusivo”, che tenga in conto le ricadute sociali delle dinamiche capitalistiche. (R.P.)
Roma: fiaccolata di solidarietà contro gli attacchi ai cristiani
◊ Preghiera e solidarietà per le comunità cristiane nel mondo ferite da attacchi e discriminazioni: è quanto esprimeranno questa sera i partecipanti alla fiaccolata promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, a Roma, assieme alla Comunità Ebraica. L’iniziativa, che si svolge in occasione della Giornata in ricordo delle vittime del terrorismo, avrà luogo a piazza del Colosseo dove verranno spente le luci del monumento per richiamare l’attenzione, spiegano i promotori, di fronte a una realtà per la quale «non si può e non si deve restare indifferenti». Le violenze di cui sono state vittime recentemente i cristiani in Nigeria e in Kenya - riporta L'Osservatore Rpomano - hanno nuovamente portato alla luce il pericoloso diffondersi, in alcuni Paesi, dell’intolleranza nei confronti delle minoranze. «Ogni giorno assistiamo a nuovi atti di terrorismo e di inaudita violenza contro le comunità cristiane nel mondo. Particolarmente grave — si ricorda dalla Comunità di Sant’Egidio — è la situazione in Nigeria, dove la violenza non ha risparmiato i luoghi sacri, uccidendo decine di fedeli inermi, tra cui donne, anziani e bambini». Il 3 maggio scorso, i membri della Comunità si erano riuniti nella basilica di Santa Maria in Trastevere per una veglia di preghiera, presieduta dal vescovo ausiliare della diocesi di Roma, Matteo Maria Zuppi. «La violenza non è mai un episodio — ha affermato il presule nell’omelia — e non è mai la violenza a mettere fine alla violenza». La Comunità Ebraica di Roma ha concorso a promuovere la fiaccolata, che ha ricevuto il sostegno anche dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei), oltre che di altre organizzazioni, tra cui quello dei giovani della Comunità Religiosa Islamica (Coreis) e delle Associazioni cristiane lavoratori italiani (Acli) di Roma e provincia. Il motivo dell’adesione, ha sottolineato il presidente dell’Ucei, Renzo Gattegna «è da ricondursi alla consapevolezza che non sia in alcun modo possibile tacere di fronte alle violenze». Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha aggiunto: «Siamo molto sensibili a questo tema e la manifestazione ha l’obiettivo di mobilitare le persone, oltre a sollecitare tempestivi interventi politici e diplomatici». (R.P.)
Bolivia: di fronte alle proteste sociali la Chiesa invita al dialogo
◊ La Chiesa cattolica della Bolivia invita al dialogo e ad evitare la violenza, "dinanzi alla crescente ondata di proteste sociali in Bolivia". Infatti il Paese si prepara ad uno sciopero degli autisti e dei medici, disposti a scioperare per 72 ore, con le conseguenze immaginabili, a partire da oggi. Nel comunicato della Conferenza episcopale intitolato “Dialogo urgente e responsable”, riportato dall'agenzia Fides, si legge la richiesta dei vescovi “indirizzata alle autorità pubbliche e ai settori sociale, di evitare qualsiasi scontro o atto di violenza e riprendere la via del dialogo”. La dichiarazione appare in un momento in cui si sta verificando una crescente ondata di disordini sociali in Bolivia, per lo sciopero di 48 ore degli autisti del trasporto pubblico che paralizzerà diverse città del Paese, fra cui La Paz e altre 5 regioni. Il panorama della tensione sociale è poi aggravato dallo sciopero dei medici e dei paramedici del sistema sanitario pubblico. “Siamo preoccupati per le misure estreme di pressione sociale esercitata su molte persone che rischiano la loro integrità - afferma il documento -, per il conflitto che non si arresta nel settore sanitario, per le perdite economiche che subiscono i privati, le aziende e i commercianti, dovute ai blocchi stradali e delle città, e per il malessere della popolazione”. (R.P.)
Pakistan: la carenza della sanità esclude gran parte della popolazione dall’assistenza di base
◊ Le condizioni sanitarie in Pakistan sono molto precarie e portano gravi disagi alla popolazione. Il Paese destina a questo settore solo lo 0,7% del Pil. Tra le principali cause di malattia e morte in Pakistan si registrano anomalie congenite, gastroenteriti, infezioni respiratorie, tubercolosi, malaria e tifo. Secondo le stime delle Nazioni Unite, l’Aids ha causato 4.900 decessi, l’epatite B e C dilagano e riguardano circa 3 milioni di persone. Per l’assistenza di 160.943.000 persone (World Health Statistics 2008), il Paese ha 127.859 medici, 62.651 infermieri, 96.000 operatrici sanitarie, con circa 12.804 - 13.937 strutture sanitarie, compresi 945 ospedali. Il Pakistan dispone inoltre di 4.755 dispensari, 5.349 centri sanitari di base, 903 centri di assistenza materno-infantile, 562 centri sanitari rurali e 209 centri per la tubercolosi. Le cifre sembrerebbero incoraggianti, ma in realtà nel Paese esiste un doppio sistema sanitario, pubblico e privato. Secondo il governo, teoricamente il sistema sanitario pachistano fornisce assistenza gratuita a tutti, mentre negli ultimi due o tre decenni è stato di fatto privatizzato, diventando inaccessibile per la maggior parte della popolazione. Molte medicine a buon mercato scarseggiano, i prezzi aumentano e sono fuori dalla portata della gente comune. Un dettagliato sondaggio della Ong di Islamabad The Network for Consumer Protection (Ncp), ha riscontrato scarsa disponibilità di farmaci essenziali nelle strutture sanitarie pubbliche e prezzi insostenibili, fuori dalla portata dei più poveri, dei farmaci per i trattamenti comuni acquistati da privati. Le precarie condizioni generali della salute dei pachistani continuano a peggiorare anche a causa della mancanza di opportunità e di istruzione: l’ammissione alla facoltà di medicina resta un sogno per i poveri, in quanto solo i ricchi possono permettersi di far studiare i loro figli. A questo scenario si aggiunge la discriminazione contro le donne, che sono oltre la metà della popolazione. Ci sono pochi medici di sesso femminile, perché a molte giovani è negato l’accesso alla facoltà di medicina. La carenza di dottoresse, in particolare in ginecologia, rende più difficoltosa l’assistenza e i trattamenti per le donne. (R.P.)
Nepal: la Compagnia di Gesù festeggia 60 anni di missione
◊ I gesuiti festeggiano 60 anni di presenza in Nepal. L'anniversario è stato celebrato lo scorso 6 maggio nei locali della St. Xavier High School, la prima scuola cattolica del Paese asiatico fondata nel 1951 da padre Marshall D. Moran. L'evento dal titolo "Mostrare giustizia e mietere la pace" ha impegnato tutti gli studenti della scuola che si sono cimentati in una rappresentazione teatrale con canti religiosi e balli davanti al presidente Ram Baran Yadav e alle principali autorità dello Stato. Nel suo discorso - riferisce l'agenzia AsiaNews - Yadav ha sottolineato la qualità dell'istituto, divenuto negli anni una delle scuole più importanti del Paese. "Il tipo di educazione che si insegna oggi alla St. Xavier - ha affermato - verrà adottato come modello per tutto il Paese". La comunità cattolica nepalese è nata proprio attraverso l'opera educativa dei gesuiti. Fino al 1992, le scuole sono state l'unico luogo di missione concesso dal governo induista, che permetteva la libertà di culto, ma perseguiva con il carcere i tentativi di conversione. Miglioramenti nel campo della libertà religiosa sono iniziati solo a partire dal 2006, dopo la caduta della monarchia indù e la proclamazione dello Stato laico, ma le conversioni sono ancora ostacolate. Nel 2011 i partiti conservatori hanno proposto una serie di leggi che prevedono il carcere per chi fa proselitismo o tenta di convertire un indù ad un'altra religione. Conosciuti nel Paese per aver istruito nei loro istituti di Darjeeling e Kurseong (India) i figli dell'allora re Tribhuvan Bir Bikram Shah Devel, i gesuiti vengono invitati in Nepal nel 1951 per formare la futura élite del Paese. Mrigendra Shamsher Rana, ministro dell'educazione, incarica padre Marshall D Moran e altri tre missionari della St. Xavier School di Patna (India) di aprire una scuola nel quartiere di Godivari (periferia di Kathmandu). La prima classe della St. Xavier School di Kathmandu inizia nel 1952 con 65 studenti. A tutt'oggi oltre 6mila giovani frequentano le scuole della Compagnia di Gesù nella sola capitale. In totale i gesuiti gestiscono tre Istituti superiori e un'Università e 33 fra Scuole primarie, secondarie e superiori amministrate insieme alle comunità cattoliche locali. Oltre agli Istituti scolastici i missionari hanno aperto diversi ospedali e cliniche, fra i più importanti vi sono i Child Care Centres di Pokhara e Jawalakhel, il Freedom Centre, istituto per la riabilitazione dei drogati di Nakkhipot (Lalitpur, Nepal centrale) e il Human Development Research Centre di Sanepa (Lalitpur). Padre Amrot Rai, rettore della St. Xavier High School spiega che i gesuiti continuano la loro missione fra i nepalesi, nonostante il clima di instabilità dovuto alla crisi economica e politica del Paese. Il sacerdote annuncia che nei prossimi mesi verranno aperte due nuove scuole a Sadakbari nella regione del Terai (Nepal meridionale) e a Ahemja nel distretto di Kaski (Nepal occidentale). (R.G.)
Papua Nuova Guinea: sul condom le scuole cattoliche fanno “obiezione di coscienza”
◊ Nelle scuole cattoliche della Papua Nuova Guinea non si farà educazione sessuale incoraggiando l’uso del preservativo e non si distribuiranno preservativi agli studenti, nonostante le decisioni dello Stato: è quanto deciso dalla Conferenza episcopale che, come ha riferito all’agenzia Fides, ha annunciato una “obiezione di coscienza” alle disposizione del Ministero dell'Educazione. Il Ministero ha disposto che nelle scuole secondarie debbano essere distribuiti preservativi agli studenti. Il provvedimento fa parte di una nuova politica che mira a combattere l’AIDS e dispone un percorso di educazione sessuale per le scolaresche. Dopo una recente assemblea, i vescovi ribattono: “Anche se il documento emesso dal Ministero dell’Istruzione è positivo in molti punti, non possiamo essere costretti a seguire una politica – quella sull’uso del preservativo – che contrasta con la nostra filosofia dell’educazione” nota mons. Francesco Panfilo, arcivescovo di Rabaul e vicepresidente della Commissione episcopale per l’Educazione cattolica. Mons. Panfilo afferma che la Chiesa è pronta anche a rispondere in tribunale, se lo Stato dovesse contestarle, a livello legale, questa decisione. La Chiesa cattolica – spiega l’arcivescovo – considera la distribuzione di preservativi come un segnale scorretto per gli studenti: li incoraggia a ulteriori atteggiamenti di libertà sessuale prima e fuori del matrimonio, che possono essere fautori dell’Hiv. “Se una scuola dà una penna biro e un libro a uno studente, il messaggio di base è semplice: studiare. Ma se dà preservativi, il messaggio per gli studenti sarà solo: andate e sentitevi liberi di fare ciò che volete”, è un invito all’irresponsabilità, spiega a Fides James Ume, preside in una scuola secondaria intitolata a De La Salle. Secondo il Ministero dell’Educazione, invece, non c'è modo di controllare completamente il comportamento sessuale degli studenti. Dato che un alto tasso di infezione da Aids, negli ultimi anni, è stato registrato tra la popolazione scolastica, l’uso del condom, secondo il Dipartimento, è utile a limitare i danni e i contagi. La Chiesa cattolica, inoltre, sottolinea come le modalità di un percorso di educazione sessuale, e di lotta all’Aids, per gli studenti debbano essere appannaggio dei Consigli di Istituto e debbano tenere conto del contributo congiunto di docenti e genitori degli allievi. La politica, dice padre Paul Jennings, del San Joseph International College a Boroko, “dovrebbe fare di più per mantenere una partnership con i genitori” e non imporre direttive nell’educazione dei loro figli. (R.P.)
Nigeria: dal 2010 sono già 400 i minori deceduti negli scavi illegali
◊ Da marzo del 2010, sono 400 i bambini morti mentre estraevano oro dalle miniere illegali di Zamfara, Stato federale del nord della Nigeria. Lo ha denunciato l’Organizzazione umanitaria statunitense Human Rights Watch (Hrw), che nei prossimi giorni presenterà ad Abuja una dettagliata relazione. Oltre ai morti, ha precisato l’organizzazione, sono migliaia i bambini che contraggono gravi malattie, alcune delle quali porteranno negli anni a disabilità irreversibili o al decesso. I casi di morte - riferisce L'Osservatore Romano - sono dovuti all’inquinamento per avvelenamento da piombo, sia per i minori che lavorano nelle miniere illegali sia per coloro che vivono nei villaggi a ridosso dei giacimenti. Hrw ha chiesto al Governo nigeriano di agire immediatamente e adottare azioni concrete per garantire il diritto alla salute dei bambini. (R.P.)
Guinea Bissau: la Chiesa continua a investire nei giovani
◊ La diocesi di Bissau e quella di Bafatá hanno celebrato, dal 4 al 6 maggio, la loro “Giornata della Gioventù”. Il vescovo ausiliare di Bissau, mons. José Lampra Cá, si è ritrovato con i giovani della sua diocesi a Farim, mentre mons. Pedro Carlos Zilli, vescovo di BafatḠha vissuto questo evento a Buba. Secondo le informazioni inviate all’agenzia Fides dalla curia di Bissau, i giovani iscritti all’evento della diocesi di Bissau erano 1.029, ma si calcola che effettivamente siano stati circa 1.300. A Buba si sono ritrovati 530 giovani provenienti da tutte le parrocchie e le missioni della diocesi di Bafatá. Il tema comune era quello della XXVII Giornata Mondiale della Gioventù di questo anno 2012: "Siate sempre lieti nel Signore" (Fil 4,4), sottolineando le parole del Papa: "La gioia è un elemento centrale dell'esperienza cristiana". Oltre a questo tema, a Buba, partendo dalla Lettera pastorale di mons. Zilli, "La speranza non delude", si è riflettuto anche su: "I giovani, speranza di una Guinea migliore". I giovani della diocesi di Bafatá sono stati introdotti nel clima della prossima Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro, nel 2013, in quanto è stato presentato il logo ufficiale ed il tema: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni" (cfr. Mt 28, 19). Le Giornate sono state scandite da momenti di riflessione, da un concorso musicale, da una intensa preghiera e dalla Messa. Al termine della Messa della Giornata della Gioventù a Buba, domenica 6 maggio, mons. Pedro Zilli ha evidenziato che "le Giornate della Gioventù a Farim e Bafata rivelano che, nonostante le difficoltà causate dal colpo di stato militare del 12 aprile, i nostri giovani continuano a credere in nuove possibilità più in sintonia con la dignità dei guineani, e che la libertà religiosa è profondamente rispettata nel nostro amato Paese. Mostrano che la Chiesa, attraverso le diocesi, le parrocchie e le commissioni, continua ad investire nei giovani, speranza di un futuro migliore". (R.P.)
Albania. Lettera dei vescovi per il 100.mo d’indipendenza: dobbiamo andare verso l’Europa
◊ “L’Albania deve andare verso l’Europa cui naturalmente appartiene correggendo così errori o situazioni del passato”. È quanto scrivono i presuli albanesi nella Lettera pastorale in occasione dei 100 anni dell’indipendenza del Paese. Il documento, dal titolo “Fides et Patria” è stato approvato – riferisce l’agenzia Sir - durante l’Assemblea della Conferenza episcopale(Cea), svoltasi dal 2 al 4 maggio a Tirana. “La lettera - spiega don Gjergj Meta, portavoce della Cea - si rivolge a tutti i fedeli cattolici ma anche a tutte le persone di buona volontà. Nel documento viene sottolineato il ruolo dei cattolici nel processo d’indipendenza, culminato il 28 novembre 1912, dopo 500 anni di occupazione ottomana. Tra gli eventi importanti di questi 100 anni vengono ricordati il martirio della Chiesa cattolica durante il comunismo, la visita di Giovanni Paolo II nel 1993 e la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta” figlia del popolo albanese. Nella lettera vengono analizzati alcuni aspetti particolari nella vita del Paese. Anzitutto l’ “amore per la Patria”, che “vuol dire amore per la famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Non ci può essere, quindi, - ribadiscono i presuli - un impegno per la Patria senza un impegno per la famiglia”. Viene poi rimarcato che “amore per la Patria vuol dire amore gli uni per gli altri e per la vita” : da qui l’esigenza di portare avanti nella vita del Paese “il processo di riconciliazione e di dialogo”, anche interreligioso, ricercando un linguaggio comune “per una convivenza migliore, anche in vista del processo d’integrazione europea”. “La difesa della vita, in tutti gli stadi della sua esistenza - si legge nel testo - costituisce la migliore premessa nell’impegno contro alcuni fenomeni quali aborto, eutanasia, vendetta, suicidio e uso di droghe”. I vescovi ricordano inoltre che “la coscienza e il rispetto della legge per un’Albania più democratica costituiscono le premesse necessarie per la lotta alla corruzione che impedisce la crescita della società, causando povertà e degrado”. I vescovi indicano infine “l’integrazione dell’Albania nella famiglia europea come una sfida per il futuro”. Per questo si rivolgono ai giovani invitandoli a “essere responsabili della Patria”, a “non abbandonarla” e a “lavorare per il suo sviluppo”, “ispirandosi alle migliori virtù ereditate dai loro padri ma anche alla loro fede”. (R.G.)
Polonia: 1085 artisti di 11 Paesi al Festival di Musica Sacra a Częstochowa
◊ 1085 artisti hanno dato vita al XXII Festival Internazionale di Musica Sacra “Gaude Mater”, ospitato nei giorni scorsi a Częstochowa. L’evento, tra le maggiori manifestazioni di musica sacra a livello europeo, ha visto esibirsi artisti polacchi e di altri 10 altri Paesi tra cui Inghilterra, Romania, Egitto, Ucraina, Austria. La manifestazione è stata organizzata dal Centro di promozione della cultura “Gaude Mater” di Czestochowa sotto il patronato del Ministero della Cultura e del Patrimonio nazionale, del presidente dei presuli polaccchi, mons. Józef Michalik, dell’arcivescovo metropolita, mons. Wacław Depo, e del sindaco, Krzysztof Matyjaszczyk. Il Festival è stato accompagnato da alcuni seminari, che hanno affrontato la tematica del “sacro nella musica”, e da mostre d’arte, spettacoli e rappresentazioni interdisciplinari. Il Festival ha avuto una dimensione ecumenica e ha permesso di apprezzare la musica ortodossa, il canto gregoriano, così come la musica delle sinagoghe. “Il nostro Festival è una presentazione delle opere della grande musica sacra”, ha spiegato all’agenzia Zenit Małgorzata Nowak, direttore del Centro “Gaude Mater” e direttore esecutivo del Festival. L’idea – ha aggiunto “è quella di far avvicinare le diverse culture e religioni, presentando la musica sacra tipica delle diverse confessioni religiose”. Quest’anno il Festival è stato dedicato a due personaggi: Wojciech Kilar, il compositore polacco delle tante opere di musica sacra, fra cui Missa pro pace, uno dei più importanti autori di colonne sonore cinematografiche del suo Paese, e Krzysztof Pośpiech, morto nel 2011, iniziatore del Festival “Gaude Mater” Il Festival è nato nel 1991 quando ha avuto luogo a Częstochowa la VI Giornata Mondiale della Gioventù.(R.G.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 130