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Sommario del 05/05/2012
Il Papa ai vescovi Usa: le scuole cattoliche siano fedeli alla loro identità
◊ Benedetto XVI ha ricevuto, stamani in Vaticano, un gruppo di vescovi degli Stati Uniti in visita “ad Limina”. Nel suo discorso, il Papa ha messo l’accento sull’importanza dell’educazione cattolica per la società americana, in particolare nell’impegno della nuova evangelizzazione. Troppo spesso, è stato il rammarico del Papa, scuole ed università cattoliche hanno fallito nel rafforzare la fede dei propri studenti. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Benedetto XVI ha incentrato tutto il suo discorso ai vescovi americani sul tema dell’educazione religiosa e della formazione nella fede delle giovani generazioni. Il Papa ha innanzitutto sottolineato che le scuole “restano una risorsa essenziale per la nuova evangelizzazione”. Quindi, ha affermato che molti presuli hanno evidenziato la necessità di “riaffermare l’identità distintiva” delle scuole cattoliche così come la “fedeltà agli ideali fondanti e alla missione della Chiesa al servizio del Vangelo”. In particolare, ha esortato quanti insegnano discipline teologiche a rispettare il mandato dell'autorità ecclesiale e a mantenersi in comunione con la Chiesa. Il Papa ha denunciato la “confusione creata da istanze di apparente dissidenza tra alcuni rappresentanti delle istituzioni cattoliche e la guida pastorale della Chiesa”. Tale “discordia – ha soggiunto – danneggia la testimonianza della Chiesa e, come l’esperienza ha mostrato, può essere facilmente sfruttata per comprometterne l’autorità e libertà”.
“It is no exaggeration to say…”
“Non è esagerato dire – ha affermato – che fornire una solida educazione di fede alla gioventù rappresenta la sfida più urgente che deve affrontare la comunità cattolica nel vostro Paese”. D’altro canto, il Papa ha ribadito che “il compito essenziale di un’autentica educazione ad ogni livello non è solo quello della trasmissione della conoscenza”, ma anche di “formare i cuori”:
“There is a constant need to balance…”
“C’è – ha detto – un costante bisogno di bilanciare il rigore intellettuale nel comunicare” la ricchezza della fede della Chiesa con la formazione dei giovani all’amore di Dio, la pratica della morale cristiana e della vita sacramentale e la preghiera personale e liturgica. Ne segue, ha soggiunto, che la questione dell’identità cattolica, non solo negli atenei, concerne “molto di più che l’insegnamento della religione o la mera presenza di una cappellania nel campus”.
“All too often, it seems, Catholic schools…”
“Troppo spesso – ha avvertito – pare che le scuole cattoliche e i college abbiano fallito” nell’esortare gli studenti a “riappropriarsi della propria fede” come parte della propria crescita intellettuale. Ed ha constatato che molti studenti sono oggi slegati dalla famiglia, dalla scuola e dalla comunità, che prima facilitavano la trasmissione della fede. Dunque, alle istituzioni cattoliche si richiede di creare ancora di più una rete di sostegno. Per questo, è stata la sua esortazione, gli studenti devono essere incoraggiati a sviluppare una visione di armonia tra fede e ragione che possa guidarne la vita. Come sempre, ha aggiunto, è essenziale il ruolo svolto dagli insegnanti che ispirano gli altri con “il loro amore evidente per Cristo”:
“Faith’s recognition of the essential unity…”
“Il riconoscimento della fede dell’essenziale unità della conoscenza – ha affermato – fornisce un baluardo contro l’alienazione e la frammentazione che si verifica quando l’uso della ragione è staccato dalla ricerca della verità”. In tal senso, ha concluso, le istituzioni cattoliche hanno il ruolo specifico di aiutare “a superare la crisi attuale delle università”. Ogni intellettuale cristiano ed ogni istituzione educativa cattolica devono essere “convinti e desiderosi di convincere gli altri che nessuno aspetto della realtà rimane aliena o non toccata dal mistero della redenzione” del Signore Risorto.
Benedetto XVI riceve il presidente albanese. Mons. Massafra: lavoriamo per un'Albania "europea"
◊ L’Albania in marcia verso l’ingresso nell’Europa comunitaria e lo stato dei rapporti interni al Paese tra Stato e Chiesa locale, oltre a valutazioni sulla situazione internazionale del momento. Di questo hanno parlato stamattina Benedetto XVI e il presidente della Repubblica albanese, Bamir Topi, ricevuto in udienza in Vaticano. Nei “cordiali colloqui”, riferisce una nota della Sala Stampa vaticana, sono stati evidenziati “i buoni rapporti esistenti tra la Santa Sede e la Repubblica d’Albania” e passati in rassegna “temi di interesse comune attinenti alle relazioni tra la comunità ecclesiale e quella civile, tra i quali il dialogo interreligioso ed il contributo della Chiesa in campo educativo e sociale. Ci si è anche soffermati – prosegue la nota – sul cammino dell’Albania verso la piena integrazione nell’Unione europea”, per finire con “uno scambio di vedute sull’attuale congiuntura internazionale e regionale, con particolare attenzione alla crisi economica”. Dopo l’incontro con il Papa, il presidente albanese si è successivamente incontrato con il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e con l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.
In Albania, intanto, proprio in questi giorni si è conclusa la plenaria dei vescovi locali. Il collega della redazione albanese della Radio Vaticana, don Davide Djudjaj, ha chiesto di illustrarne gli esiti al neopresidente dei presuli albanesi, l’arcivescovo di Scutari mons. Angelo Massafra:
R. – Continuiamo a portare avanti il programma pastorale in vista della nuova evangelizzazione. Tra i programmi per quest’anno, oltre a ciò che è stato indicato dal Santo Padre come l’Anno della fede, è per me una cosa molto importante anche il centenario dell’indipendenza del nostro Paese dall’Impero ottomano – avvenuta nel 1912 – che celebriamo quest’anno. Tra le cose più interessanti emerse da questa assemblea, vi sono i contributi e il ruolo che i cattolici, gerarchia e laici, hanno portato sia prima sia dopo l’indipendenza con la ricostruzione di uno Stato nuovo.
D. – Quali sfide, secondo lei, ha davanti a sé la Chiesa cattolica in Albania?
R. – Le sfide sono tantissime. Dobbiamo continuare a evangelizzare il nostro popolo, valorizzando il sangue dei nostri martiri e di tanti altri uccisi dal sistema comunista, anche se non ancora riconosciuti come martiri. La libertà, il ritorno alla democrazia sono passati per il sangue di tanti cristiani, sacerdoti, religiosi, anche alcuni vescovi, e questo sangue sta portando i suoi frutti. Certo, ci sono rischi che incombombono, come il consumismo, o come L’Europa che ci impone, per entrare nell'Unione, cose – diciamo così – eticamente discutibili, e c’è il rischio della droga… Sono tutti problemi molto grandi, ma noi dobbiamo continuare a evangelizzare affinché i cittadini, cattolici e non, possano diventare davvero attori di un’Albania veramente nuova, libera che possa entrare in Europa con tutti i diritti.
D. – Oggi, il Papa ha ricevuto in udienza il presidente della Repubblica d’Albania, Bamir Topi. Come vede lei il ruolo della Chiesa cattolica nella società albanese, oggi?
R. – E’ sempre una presenza molto viva, efficace. Direi che gli albanesi aspettano, a volte con trepidazione, o comunque con unc certo gradimento, i nostri messaggi e il nostro impegno. C’è grande rispetto per quello che facciamo a tutti i livelli: scolastico, sanitario, a livello di aiuto immediato o tramite le Caritas, o grazie alla presenza capillare dei nostri sacerdoti, missionari e missionarie, tra le montagne o nei villaggi più abbandonati. Per cui io ringrazio il Santo Padre per avere accolto il nostro presidente della Repubblica e mi auguro che questi incontri abbiano poi un impatto più fruttuoso in Albania, in modo che tutto ciò che è ancora in sospeso – le nostre richieste, le nostre problematiche riguardo ai terreni, all’aiuto ai disabili – diventi poi realtà.
◊ Benedetto XVI ha nominato l’Em.mo Card. Joseph Ze-kiun Zen, S.D.B., Vescovo emerito di Hong Kong, Suo Inviato Speciale alla celebrazione del centenario della nascita del Beato Peter ToRot, catechista e martire della Papua Nuova Guinea, prevista a Rabaul il 7 luglio 2012.
Messa del cardinale Saraiva Martins per i 37 anni dalla morte del cardinale Mindszenty
◊ Il cardinale José Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi, ha presieduto ieri sera a Roma, presso la Chiesa di Santo Stefano Rotondo sul Celio, una Santa Messa in occasione del 37.mo anniversario della morte del Servo di Dio cardinale József Mindszenty, perseguitato prima dai nazisti e poi dai comunisti. La celebrazione eucaristica è stata organizzata dalla Comunità degli ungheresi di Roma con l’Ambasciata d’Ungheria presso la Santa Sede, il Pontificio Istituto Ecclesiastico Ungherese e la Fondazione di Santo Stefano. La collega Marta Vertse ha chiesto al cardinale Saraiva Martins se ai tempi della sua ordinazione sacerdotale a Roma, nel 1957, fosse a conoscenza di quanto stesse accadendo al cardinale Mindszenty in Ungheria:
R. - Certamente io ero informato di quello che avveniva in Ungheria. Anche perché l’Ungheria è un Paese che mi è stato sempre caro. Io ho seguito abbastanza bene gli avvenimenti tristi che coinvolgevano la Chiesa in questo Paese, quindi ho avuto l’occasione di conoscere bene la situazione e di ammirare anche il cardinale Mindszenty. Certamente è stato una grande personalità non solo dell’Ungheria, ma anche della Chiesa cattolica. Un vero modello di pastore per il suo coraggio straordinario, per le sue convinzioni profonde, per quella tenacia nella difesa dei valori della Chiesa, dei valori del Vangelo, dei valori del cristianesimo. Certamente per me è stata una grande personalità storica, non soltanto civile ma anche direi per noi uomini di Chiesa.
D. - Eminenza, il cardinale Mindszenty è stato completamente riabilitato sia giuridicamente che moralmente. Questo fatto influisce in qualche modo sulla sua Causa di Beatificazione?
R. - Certamente questa riabilitazione, oltre ad essere una cosa meritata, mette fine ad una storia molto triste, alla grande sofferenza subita dal cardinale Mindszenty. Questa riabilitazione nell’ordine giuridico, nell’ordine morale, nell’ordine politico è stata un grande avvenimento. Per quanto riguarda i suoi effetti sul processo di Beatificazione, devo dire che la Congregazione delle Cause dei Santi studia approfonditamente il candidato seguendo la verità storica dei fatti. E questa verità dei fatti viene fuori naturalmente studiando la documentazione relativa a questi eventi. Perciò direi che di per sé questa riabilitazione non influisce: è un dato molto positivo e viene eventualmente a confermare la linea della Chiesa, il pensiero della Chiesa sulla personalità del cardinale Mindszenty, e magari è una conferma.
D. - Lui veniva chiamato il cardinale d’acciaio, intrepido difensore della fede. Che cosa può significare per l’Europa di oggi?
R. - Il cardinale Mindszenty è un modello di fede per la società di oggi. In una società in cui l’indifferenza religiosa si espande sempre di più, una società in cui si ignorano sempre di più i valori umani e religiosi, i valori cristiani, allora certamente il cardinale Mindszenty è un modello di attualità straordinaria e non soltanto per la Chiesa di oggi, ma per la società tutta. Certi valori umani e certi valori cristiani in fondo si identificano. Non dobbiamo separare mai troppo questi due aspetti: valori umani e cristiani. Il cardinale Mindszenty è un modello per i cristiani ma anche per la società. Perché i valori umani e cristiani sono inseparabilmente uniti. Tutto ciò che autenticamente umano è già originariamente cristiano. E tutto ciò che è originariamente cristiano è già autenticamente umano. I Santi sono dei modelli di santità ma anche di umanità. I Santi sono quegli uomini che vivono in pienezza la loro umanità.
D. - Eminenza, è una questione cruciale, a proposito del cardinale Mindszenty, la sua obbedienza. E’ stato provato senza nessun dubbio che ha sempre obbedito a Papa Paolo VI?
R. - Sì, è una delle caratteristiche del cardinale Mindszenty. Certamente nello studio della documentazione a lui relativa, per la futura Beatificazione, viene messa in rilievo questa obbedienza alla Chiesa. Perché per lui la Chiesa non è una società qualsiasi. La Chiesa per Mindszenty era naturalmente lo stesso Cristo, che incarnato in una comunità di fede, speranza e di amore, continua la sua missione di salvezza tra gli uomini dopo la sua dipartita dal Padre. E lui obbediva alla Chiesa, ben sapendo che obbedendo alla Chiesa, obbediva a Cristo. La Chiesa è il Corpo mistico di Cristo, è lo stesso Cristo che continua ad essere presente nella storia.
Intelligenza, fede e amore: l'editoriale di padre Lombardi
◊ Giovedì scorso, Benedetto XVI si è recato in visita al Policlinico “Gemelli” per celebrare i 50 anni di fondazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Un’occasione per ribadire l’importanza del fecondo dialogo tra scienze e fede. Ascoltiamo al riguardo il nostro direttore padre Federico Lombardi nel suo editoriale per il settimanale informativo “Octava dies” del Centro Televisivo Vaticano:
“Senza amore, anche la scienza perde la sua nobiltà. Solo l’amore garantisce l’umanità della ricerca”. Così Papa Benedetto ha concluso il suo discorso giovedì mattina alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Una risposta profonda e toccante a un bisogno diffuso di orientamenti solidi e alti.
“Ricco di mezzi, ma non altrettanto di fini, l’uomo del nostro tempo, quasi abbagliato dall’efficacia tecnica, dimentica l’orizzonte fondamentale della domanda di senso”. Ancora una volta il Papa parla della fiducia nell’intelligenza, nella ragione; parla del cristianesimo come “religione del Logos”, che non relega la fede nell’ambito dell’irrazionale, ma vede l’origine e il senso della realtà intera nella “Ragione creatrice”. L’unione della ragione e della fede è garanzia della fecondità di ambedue, mentre la loro separazione conduce a un “impoverimento etico”, che rende incapaci di valutare se ciò che è tecnicamente possibile è anche moralmente buono e conduce al bene dell’umanità.
Ma il Papa ha detto anche di più, perché la scienza e la ricerca medica sono così direttamente connesse alla cura della persona umana, che in esse diventa particolarmente evidente quanto sia necessaria la guida dell’amore, quanto sia vitale il nesso fra l’impegno scientifico e la dedizione appassionata al bene dell’uomo; un uomo che soffre e si trova a confronto con le domande più radicali sul senso della vita. Allora, “la dedizione dell’intelligenza e del cuore si fa segno della misericordia di Dio e della sua vittoria sulla morte”.
Quale ispirazione più entusiasmante e forte per ogni impegno dell’intelligenza a favore dell’uomo? E per che altro dovrebbe impegnarsi alla fine l’intelligenza?
Convegno in Vaticano sulla cecità: malattie degli occhi, grave causa di povertà
◊ Il numero di non vedenti nel mondo cala sensibilmente, ma sono ancora centinaia di milioni le persone ipovedenti o affette da cecità completa che non hanno accesso alle cure necessarie. Il dato è emerso ieri alla prima giornata di lavori del Convegno internazionale di studio, ospitato in Vaticano, dal titolo “La persona non vedente: Rabbunì, che io riabbia la vista”. Gli oltre 300 partecipanti di 45 nazioni, che terminano oggi i loro incontri, hanno visto alternarsi al microfono alcuni fra i maggiori esperti di settore, insieme con numerose personalità della Chiesa e del laicato cattolico, tra le quali il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, e il presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, l’arcivescovo Zygmunt Zimowski.
A evidenziare “il grande cambiamento positivo in termini di incidenza e prevalenza delle disabilità visive” – informa una nota del Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari che organizza l’incontro in collaborazione con Cbm Italia Onlus – è stato il dott. Silvio Paolo Mariotti, responsabile del Programma per la prevenzione della cecità e sordità dell’Oms. In alcune regioni del mondo, in particolare in Africa – ha riferito il dott. Mariotti – si è registrato una “forte riduzione” (dal 20% del 2002 al 13% del 2010 del totale dei non vedenti nel mondo) delle persone con handicap visivo, “segno della riuscita degli interventi di prevenzione e cura”. A livello globale, ha proseguito, si è passati “dai 314 milioni di persone non vedenti o ipovedenti stimate nel 2004 (di cui 46 milioni affetti da cecità totale) ai 285 milioni, dei quali 39 milioni di non vedenti e 246 di ipovedenti, del 2010”. “Il dato è positivo e incoraggiante – ha aggiunto il dottor Mariotti – perché per la prima volta vediamo che le disabilità visive nel mondo non sono aumentate e ciò nonostante nello stesso arco di tempo l’età media della popolazione mondiale si sia elevata”. Anche le patologie infettive, come tracoma e oncocercosi, sono diminuite, mentre il problema della cataratta non operata costituisce tuttora il 51% dei casi di perdita totale della vista. E ciò, ha messo in risalto il dott. Mariotti, “a causa dell’ancora grave insufficienza di infrastrutture nei Paesi economicamente svantaggiati”.
Tra i relatori, il dott. Mario Angi, docente universitario a Padova e presidente della Cbm Italia Onlus, ha trattato delle gravi problematiche legate ai difetti refrattivi (a partire da miopia, presbiopia ed astigmatismo) e l’impegno necessario a fornire le cure e gli strumenti di correzione, come gli occhiali, sottolineandone, precisa il comunicato, “il paradosso in termini sociali ed economici: oltre a costituire una concausa di povertà, si stima infatti che la perdita di produttività provocata dall’ipovisione non corretta sia pari a 268,8 miliardi di dollari mentre il costo per fornire gli occhiali necessari a tutti coloro che ne hanno bisogno sarebbe pari a circa un decimo di tale cifra, cioè 26 miliardi”. (A cura di Alessandro De Carolis)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ La formazione religiosa dei giovani risorsa per la società: Benedetto XVI ai vescovi statunitensi in visita “ad limina Apostolorum”.
I pericoli della biomedicina: in prima pagina, Augusto Pessina dopo il discorso del Papa all’Università Cattolica.
Contro la pretesa di ricorrere alle armi nucleari: nell’informazione internazionale, intervento della Santa Sede a Vienna.
I missionari che distinsero il vero dal mito: in cultura, Giuseppe Buffon sulla Cina e l’Oriente attraverso le lenti dei religiosi.
La storia in un quadrato di carta: Silvia Guidi sui 150 anni delle Poste Italiane.
Catechesi e nuova evangelizzazione: nell’informazione religiosa, una riflessione dell’arcivescovo Pierre-Marie Carré, segretario speciale del Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione, alla vigilia del Congresso europeo promosso dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa.
Grecia: elezioni politiche nel segno della crisi
◊ I cittadini greci si recano questa domenica al voto in un clima di grande pessimismo; a condizionare le elezioni, infatti, è la grave crisi economica che attanaglia il Paese ellenico ed il malcontento generale circa il piano di salvataggio deciso dai creditori internazionali, in collaborazione con il governo di Atene. Un test elettorale, dunque, cruciale. Salvatore Sabatino ne ha parlato con il giornalista greco Dimitri Deliolanes:
R. – Sicuramente è un test molto importante ma la sua importanza consiste nel fatto che farà sfogare la rabbia popolare e provocherà un terremoto sul piano della politica interna. Sicuramente, però, non avrà conseguenze nei nostri rapporti con l’Europa o a livello di applicazione della politica economica.
D. – Con le elezioni di domenica, hanno avvertito i sindacati, sono in gioco il diritto al lavoro, allo stipendio e alla previdenza sociale: una denuncia certamente non da poco…
R. – E’ sicuramente vero, perché abbiamo visto che la ricetta imposta dalla Troika alla Grecia è veramente micidiale per i lavoratori, per la gente povera, però non può cambiare con le elezioni, cambierà solo se cambia la politica dell’Unione Europea.
D. - Molti intellettuali hanno espresso il loro dissenso nei confronti del voto sottolineando che avrebbero piuttosto preferito un governo tecnico sul modello di quello italiano. La scelta di andare alle urne non può avere un effetto boomerang?
R. – No, non credo che si avrà un effetto boomerang, si avrà piuttosto una situazione più o meno uguale a quella che c’è adesso. Probabilmente ci sarà lo stesso governo con gli stessi partiti, i due maggiori partiti di coalizione, e molto probabilmente il premier sarà sempre il tecnocrate Papademos.
D. – Quindi pochi cambiamenti in realtà all’orizzonte…
R. – Sì, ci sarà sicuramente un terremoto sul piano interno, perché i due maggiori partiti, espressione del bipartitismo greco, che fino a ieri controllavano l’80 per cento dell’elettorato, adesso saranno ridotti a meno della metà. Ci sarà un forte salto in avanti della sinistra ma anche dell’estrema destra e probabilmente avremo anche, per la prima volta nella storia europea, un partito dichiaratamente nazista in parlamento.
D. – A proposito della fine del bipartitismo, il parlamento che uscirà dalle elezioni politiche sarà quasi certamente formato da 10 partiti. La frammentazione gioverà alla Grecia o creerà altri problemi?
R. - Sicuramente giova alla democrazia; non è possibile che nel campionato giochino solo due squadre, è importante che giochino tutte le squadre grandi e piccole ciascuna con il suo contributo. Io sono a favore del pluralismo e sono a favore delle coalizioni di governo.
D. - Chiunque sia il vincitore sicuramente avrà un compito arduo, che è poi quello di traghettare la Grecia oltre la crisi. Ci sono i presupposti giusti o la sfiducia generale vanificherà tutti gli sforzi?
R. – Ripeto, non è in mano al governo greco il futuro e la soluzione dei problemi economici ellenici. Chiunque governi in Grecia sarà costretto a seguire la ricetta che viene dall’Unione Europea ... che in realtà viene direttamente da Berlino.
D. – L’Europa comunque ascolterà il risultato che uscirà dalle urne?
R. – Su questo dico che i greci hanno lo sguardo verso le elezioni francesi perché veramente lì si gioca il destino dell’Europa, non nelle elezioni greche. Tutti i greci - di destra, di sinistra e di centro - sono tutti per Hollande; vogliono un cambiamento vero!
Si apre Guantanamo il processo contro le presunte menti degli attentati dell’11 settembre 2001
◊ Si apre oggi a Guantanamo il processo alle cinque presunte menti degli attentati dell’11 settembre 2001, che provocarono la morte di 2.976 persone. Gli imputati dovranno rispondere di fronte a una corte militare statunitense di capi d’accusa che includono terrorismo, dirottamento aereo, associazione a delinquere, crimini di guerra e strage. Il processo contro Khalid Shaikh Mohammed, l'uomo che si è autoproclamato la mente degli attacchi, Aziz Ali, Walid Muhammad Salih Mubarak Bin Attash, Ramzi Binalshibh e Mustafa Ahmed Adam al-Hawsawi – arrestati nove anni fa – potrebbe durare oltre un anno. Su quello che è già stato ribattezzato come ‘il processo del secolo’ Stefano Leszczynski ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International - Italia:
R. - I lunghi anni di detenzione a Guantanamo, e ancora prima di Guantanamo, in altri centri segreti di detenzione, ma anche il processo che si celebra davanti ad una commissione militare, costituiscono fattispecie che sono ben lontane dagli standard internazionali sul processo equo che spetta a tutti, anche alle persone sospettate di alcuni tra i più efferati reati compiuti nella storia recente. Il rischio è che un processo di questo genere, non solo sia irregolare, ma scontenti anche la richiesta di giustizia che arriva ed è doveroso che arrivi - e Amnesty International appoggia - da parte dei sopravvissuti e da parte dei parenti delle vittime delle Torri Gemelle.
D. - Il primo quesito che viene in mente è: perché un processo militare e non un processo civile? Non c’è il rischio, in questo modo, addirittura di riconoscere a dei presunti terroristi, o alle organizzazioni terroristiche, una valenza militare processandoli in questo modo?
R. - Questo è vero. È come dire che è stata combattuta una guerra, gli sconfitti sono sotto processo, in corte marziale, e li si giudica con procedure sommarie, quasi ripagandoli della stessa moneta, rispondendo al terrorismo con violazioni dei diritti umani. C’è anche un altro motivo: le modalità con cui sono state ottenute le confessioni, in diversi casi attraverso pratiche quali il semi-annegamento, il famoso water boarding, attraverso l’isolamento, in assenza di avvocati, in un processo civile, davanti ad una corte federale, non reggerebbero. E dunque, se questi processi venissero svolti dai tribunali ordinari, qualunque giudice non ammetterebbe come prove, confessioni estorte sotto tortura. Quindi, da un certo punto di vista, è una scelta obbligata ma fallimentare, perché molto lontana dall’idea di giustizia che credo accompagni molte persone negli Stati Uniti, comprese quelle più direttamente coinvolte –purtroppo- nella strage delle Torri Gemelle.
D. – In quella giornata del 2001, 2976 morti in tutto. Ma saranno soltanto pochissimi i parenti delle vittime che potranno assistere allo svolgimento del processo. Questo, forse, lascerà un po’ una macchia sulla storia anche dell’amministrazione Obama?
R. - Credo di sì. Perché oltre al rischio che questi processi militari, se vanno avanti, possono condurre a condanne a morte ed a esecuzioni, c'è proprio l’idea di una mancanza di interruzione nella continuità delle violazioni dei diritti umani dell’era Bush, che contraddistingue l’amministrazione Obama. Guantanamo è ancora aperta. Non si vede la fine di questa detenzione a tempo indeterminato che coinvolge ancora diverse decine di persone di Guantanamo, non si vede una soluzione sul piano giudiziario, che rispetti gli standard internazionali, e quindi non sono neanche all’orizzonte dei processi civili. Da questo punto di vista le responsabilità dell’amministrazione Obama, purtroppo sono molte, ed è mancato proprio quel segnale di discontinuità, che molti attendevano quando Obama si insediò.
Siria: l’opposizione boicotta le elezioni parlamentari
◊ Ancora violenze in Siria, dove almeno 5 persone sono morte per un'esplosione alla periferia di Aleppo. Non si allenta quindi la tensione a due giorni dalle prime elezioni multipartitiche della storia del Paese, boicottate da gran parte dell’opposizione. Il servizio di Marco Guerra:
Secondo gli analisti, non stanno suscitando molto interresse nell’elettorato le elezioni parlamentari che si terranno in Siria lunedì prossimo. La prima consultazione multipartitica del Paese – che vede 14 liste contendersi i 250 posti del nuovo parlamento - è stata voluta dal presidente Bashar al-Assad e si inserisce nel processo di riforme politiche annunciate in risposta ai disordini che stanno scuotendo la Siria da oltre un anno, e a seguito dei quali l’Onu stima che abbiano perso la vita oltre 9mila persone. Il confronto elettorale è inficiato dalla stessa “Assemblea del Popolo” uscente, dominata dal partito Baath al governo, che ha chiesto di rinviare il voto per consolidare “riforme globali, attendere l'esito del dialogo nazionale e rafforzare le formazioni politiche registrate con la nuova legge sui partiti”. Ancora più netta la bocciatura dell’opposizione siriana che sta animando le proteste antigovernative che, senza mezzi termini, parla “di farsa” per evitare futuri negoziati con le forze d’opposizione. La stessa comunità internazionale sembra non credere a queste elezioni vista l'assenza di organizzazioni indipendenti per monitorare le operazioni di voto. A tutto questo si aggiunge il ritiro di centinaia di candidati e la prosecuzione delle violenze sul terreno nonostante il dispiegamento degli osservatori dell’Onu. Secondo i gruppi di opposizione, oltre 40 persone sono morte solo durante la giornata di ieri.
Giappone: spento l’ultimo reattore nucleare dopo il disastro di Fukushima
◊ Dopo il disastro causato dal terremoto e dallo tusnami dell’11 marzo 2011, il Giappone chiude definitivamente l’esperienza dell’energia nucleare ad uso civile. Oggi è stata avviata la procedura di arresto del reattore n. 3 della centrale di Tomari, l’ultimo ancora operativo dei 54 che fornivano energia a tutto il Paese. Le strutture atomiche sono state progressivamente disattivate dopo il guasto alla centrale di Fukushima. Il servizio di Giancarlo La Vella:
L’incubo vissuto l’11 marzo 2011 e nei giorni seguenti ha lasciato il segno. Dopo 42 anni, da stasera il Paese del Sol Levante non utilizzerà più energia elettrica derivante dall’atomo. L’inquinamento nucleare, causato dai guasti alla centrale di Fukushima, a seguito del terremoto e dello tsunami dell’anno scorso, ha inferto un duro colpo alle politiche energetiche nipponiche basate sino ad allora totalmente sul nucleare. La perdita di radiazioni e le evacuazioni di massa, in quello che è stato il più grande incidente nucleare dopo la catastrofe di Chernobyl nel 1986, hanno moltiplicato le paure nell'opinione pubblica giapponese sulla tenuta delle strutture. Tutte, sia quelle danneggiate, che quelle integre, dopo i severi controlli del caso, non sono più state riattivate, proprio a seguito delle forti resistenze delle comunità locali. Decine di migliaia le persone che stanno manifestando oggi in tutto il Paese al grido di “Mai più Fukushima”, affinché non si torni più indietro, a causa dei dubbi sulla sicurezza dei siti. Forti gli interrogativi su quale politica energetica avvierà adesso il Giappone: se quella tradizionale basata sulle centrali a combustibile fossile o sulle energie alternative rinnovabili. Di sicuro la potenza mondiale non si farà trovare impreparata su scelte anche draconiane da adottare nell’immediato.
◊ Si celebra oggi in Italia la Giornata nazionale contro la pedofilia. Allarmanti sono i dati segnalati da don Fortunato Di Noto, presidente dell’associazione Meter, con una crescita esponenziale sul web di siti pedo-pornografici. Don Fortunato domani sarà in Piazza San Pietro per partecipare con i suoi associati al Regina Coeli presieduto da Benedetto XVI. Qual è il significato di questa presenza? Fabio Colagrande lo ha chiesto allo stesso don Fortunato Di Noto:
R. – E’ il segno visibile della nostra attenzione ai bambini, perché la Chiesa ama i bambini. Dicendo Chiesa, ciò significa che anche il Santo Padre è amico dei bambini e di conseguenza partecipando al Regina Coeli nella preghiera e non solo nella preghiera, ma come segno visibile in una società a volte distratta, noi vorremmo ribadire che non possiamo tacere, non possiamo rimanere in silenzio. Dbbiamo operare in una carità creativa, inventiva, capace di incidere nel cuore delle persone a volte indifferenti o anche delle persone che, ahimé, fanno del male ai bambini, indiscriminatamente. La nostra presenza vuole essere veramente una presenza discreta, silenziosa ma potente, perché suscitata anche dall’azione dello Spirito Santo che ha ormai coinvolto migliaia di parrocchie, migliaia di persone. Questo è fondamentale, per noi.
D. – Negli anni passati, Benedetto XVI vi ha salutati, ha incoraggiato la vostra iniziativa. Un Pontefice particolarmente impegnato proprio per combattere questa piaga anche all’interno della Chiesa…
R. – Credo che scopriremo sempre di più la grandezza di Benedetto XVI per aver, con paternità, con fermezza e lucidità, affrontato veramente il problema. Un problema che non è legato solo allo scandalo con il quale alcuni sacerdoti hanno macchiato il volto bello della Chiesa e quindi il volto stesso di Cristo e così i bambini stessi coinvolti in questo turpe abuso. Credo che l’intenzione non sia solo quella, ma sia anche nel dire che la Chiesa, nata dalla Croce di Cristo – nata in un certo senso da un Bambino “crocifisso” – ancora ribadisce la forza pedagogica, la forza risanatrice di un possibile cammino di redenzione e di liberazione. La forza del nostro Pontefice è la forza che nasce veramente dalla verità: è una verità che ci sta rendendo liberi, è la verità che afferma che il sacerdozio è un dono straordinario, grande, che non possiamo assolutamente strumentalizzare per alcun fine, se non soltanto per ribadire la bellezza di una fede che può generare nuovi uomini, nuove donne. Soprattutto attraverso i bambini, la Chiesa si sta totalmente rinnovando.
D. – La Giornata che stiamo celebrando quest’anno per la sedicesima volta: come nasce ad Avola, nel 1995?
R. – Nasce per diversi episodi. Il primo, perché noi ci eravamo occupati della pedofilia già alla fine degli anni Ottanta, e quindi era un’esperienza ormai già consolidata. Dall’altra parte, erano accaduti dei fatti – il suicidio di un minorenne, di un tredicenne uccisosi con una corda al collo – e poi anche altri episodi di bambini vittime di abusi che venivano a raccontarci di aver subito “delle cose” fatte dai grandi. Ma oltre a quello, dovevamo dare una risposta sociale e culturale al fenomeno della “normalizzazione” della pedofilia, perché già allora delle “lobbies” pedofile e culturali avevano avanzato l’idea di normalizzare il problema, da cui la nascita di movimenti pedofili, di fronti di “liberazione” pedofila, di partiti pedofili che sostenevano questa idea. Allora, come contrastare tutto ciò? Soltanto con una protesta, una denuncia? No. Pensammo di creare due momenti importanti. Quello commemorativo, perché noi siamo cristiani e crediamo alla fede e crediamo anche alla forza della preghiera, alla forza di una riflessione che nasce dal Vangelo. Dall’altra parte, creare una forza sociale che ci consentisse di incidere con il nostro modo di agire corretto, esemplare, con l’impegno di dare una nuova visione della difesa e della tutela dell’infanzia. Certo, oggi sono passati 16 anni e credo che in questo arco di tempo abbiamo fatto tanto. Poi, si sono aggregate altre realtà: istituzionali, non istituzionali, iniziative private, laicali… Ma quello che è importante è aver dato il “la” che ci ha permesso di far sì che questa Giornata sia diventata un appuntamento nazionale e internazionale. Quest’anno, hanno aderito anche dal Camerun, dalla Moldavia, dall’Australia, dalla Somalia… Ciò significa che un carisma, e quindi una celebrazione, che a sua volta diventa un appuntamento di riflessione, può diventare l’occasione per cui tutto il mondo può riflettere sul fatto che dobbiamo fare ancora di più per l’infanzia, sempre di più, con coraggio, senza tirarci indietro e soprattutto con grande equilibrio.
Problema casa a Torino: "Mai più alloggi sfitti", l'appello dell'arcivescovo
◊ “Mai più alloggi sfitti” : è l’appello che l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, rivolge ai cristiani della sua città e che domani raggiungerà tutte le parrocchie. L’invito è a rendere concreto il valore evangelico della fraternità e della condivisione a partire dalla questione cruciale della casa. No, dunque, ad alloggi che rimangono vuoti, ma disponibilità ad affittarli a costi contenuti, sapendo che la casa è indispensabile per dare dignità alle persone. Adriana Masotti ne ha parlato con il direttore della Caritas diocesana, Pierluigi Dovis, impegnata su questo fronte con un progetto specifico:
R. - Negli ultimi dieci anni, soprattutto nel contesto urbano della prima cintura di Torino, la questione casa è cresciuta in modo esponenziale. Se dieci anni fa, avevamo una presenza di persone senza dimora, in cerca costante di un’abitazione, e una fascia di povertà che aveva bisogno soprattutto della casa di natura popolare, nel giro di questi ultimi cinque, sei anni, a queste categorie si è aggiunta la categoria dei cosiddetti “nuovi poveri”, che hanno appunto perso il lavoro, piuttosto che visto il lavoro ridimensionato, e che dunque non ce la fanno più. Vengono sfrattati proprio perché non riescono più a mantenere l’affitto che precedentemente era stato pattuito. È dentro a questo livello di difficoltà, che si pone l’appello dell’arcivescovo.
D. - A fronte di una richiesta così forte di case a determinate condizioni, c’è anche un grande patrimonio di alloggi a Torino, e molti di questi alloggi sono vuoti.
R. - Siamo nell’ordine di alcune migliaia di alloggi che non sono occupati, dunque sarebbero occupabili. La domanda che ci siamo posti con l’arcivescovo è stata: “Perché non vengono ceduti in affitto?” I motivi possono essere tanti: dalla paura di affidare un proprio bene a qualcuno che poi non sia in grado di custodirlo, alla paura di non venire pagati, alla paura che nel momento in cui la casa serva, non si riesca a mandare via l’inquilino che si è ospitato, fino a un ragionamento un po’ perverso, che dice: “È bene investire nel mattone. Il mattone in quanto tale rende”. Per cui l’invito dell’arcivescovo vorrebbe mettere insieme le due dimensioni, quella solidaristica con quella della convenienza economica. Per poter far questo è chiaro che c’è bisogno di mettere a disposizione dei proprietari alcune condizioni favorenti. Noi le abbiamo già sperimentate da una decina d’anni, attraverso un progetto ecclesiale che si chiama ”Insieme per la casa”, che offre a ogni padrone di casa che decide di affittare con un canone un po’ più calmierato, delle possibilità, delle opportunità, delle coperture finanziarie, fino alla certezza che degli operatori, di tanto in tanto, vanno a visitare la famiglia ospitata in modo da aiutarla a fare le scelte giuste per pagare in tempo e nel modo più adeguato. Fino ad ora, questo progetto è riuscito ad inserire in casa più di 1500 famiglie.
D. - La diocesi di Torino ha stabilito anche una buona collaborazione con il Comune per aiutare i proprietari di case a decidersi per l’affitto. Ma in che modo, il problema della casa chiama in causa in particolare i cristiani? Mi sembra di capire dal messaggio, che la casa ha un “di più” di valore nell’ottica cristiana.
R. - Certamente. Non è solo una questione di natura sociale o di solidarietà. Dentro c’è un valore forte di condivisione, perché la casa è il luogo in cui la vita nasce, cresce, impara a essere relazione vera, profonda e feconda. Non è il luogo in cui appartarsi, ma è il luogo in cui, entrando dentro di sé, e insieme a coloro con i quali si realizza un cammino di vita, ci può essere l’apertura del cuore verso l’altro, e dove si può fare davvero una piccola esperienza di chiesa, cioè di comunità raccolta intorno alla Parola e ai valori che la Parola porta nella nostra vita. Dunque, insistere sulla casa, ha un senso in qualche modo di natura pastorale -e se vogliamo- con qualche aggancio di natura teologica, perché è un po’ il luogo nel quale quell’amore, che viene dalla Santa Trinità, diventa vita di ogni giorno. In questo modo può essere tradotto in linguaggio umano e trasportato, attraverso le relazioni di coloro che compongono la famiglia dentro la casa, al territorio, alle persone che incontrano. Ed è quindi un’occasione di evangelizzazione. Certo, va aiutato a capirlo. Il messaggio dell’arcivescovo parte proprio da considerazioni di natura pastorale, teologica, etica, per giungere poi alle conclusioni più pratiche ed operative.
Convegno di “Scienza e Vita”. Lucio Romano: la ricerca comunichi con semplicità
◊ Usare tutti i linguaggi, non solo tecnici ma anche poetici, saper parlare ai cuori e non solo alle intelligenze. E’ questa “l’opera di sintonizzazione” indispensabile per la Chiesa, indicata da mons. Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, nel suo intervento di ieri al Convegno nazionale di “Scienza e Vita” che si chiude oggi a Roma. Ma come deve essere strutturata, in una società sempre più affascinata dalla tecnica, una buona comunicazione sui temi della bioetica? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Lucio Romano, eletto oggi presidente nazionale dell’Associazione “Scienza e Vita”:
R. - Una comunicazione che non si avvalga solamente della descrizione quantitativa della vita, ma che sappia coniugare la dimensione biomedica della ricerca, delle applicazioni, dell’attività assistenziale, con la dimensione antropologica valoriale. Rappresenta sicuramente una grande sfida che richiede, però, una perfetta conoscenza delle tematiche. Richiede anche una capacità comunicativa che possa dar luogo a una facile comprensione da parte degli interlocutori, ma che sia rigorosa anche per quanto riguarda i contenuti antropologici.
D. - Il tema del Convegno - “Comunicare scienza, comunicare vita” - ricorda anche l’urgenza di un dialogo e non di una contrapposizione tra questi due ambiti. Come mettere in comunicazione la scienza con la vita?
R. - Una ricerca che non sia manipolata, che non sia ideologizzata ed un’antropologia che non sia manipolata e non ideologizzata. Credo che questo sia il percorso che ci dà la possibilità di un dialogo aperto e di una ricerca della verità e di un riconoscimento della verità. Questo è possibile attraverso - appunto - non l’ideologizzazione delle posizioni, ma attraverso l’individuazione di punti di sintonia e di convergenza sulla verità dell’uomo. Quale verità? Solamente la verità di ordine biochimico, meccanico o quantitativo, sicuramente no. Né tanto meno solamente in quella in ambito spirituale, ma in una giusta coniugazione tra la dimensione della fede e la dimensione della ragione.
D. - In un mondo in cui le informazioni “sono trattate al pari di una merce ed è più facile piazzare le notizie negative”, sembra più semplice - ha detto mons. Pompili - comunicare la scienza. Serve, invece, una comunicazione più capace di parlare il linguaggio della vita…
R. - Sì, perché il linguaggio che si richiede per comunicare scienza è un linguaggio semplice, un linguaggio immediato che si avvale anche di una semantica abbastanza ridotta nei termini. La dimensione della comunicazione valoriale richiede, invece, una semantica più complessa. Ma questo non deve significare assolutamente un’impossibilità di una comunicazione nell’ambito valoriale. Quindi, dobbiamo far nostre quelle che sono le nuove tecniche di comunicazione, affinché entrino nel sentire comune, attraverso l’uso di una semantica che sia di facile comprensione da un lato e dall’altro che sia estremamente rigorosa per quanto riguarda i contenuti. Dobbiamo prepararci a questo nuovo campo e prepararci in modo aperto al dialogo, fermo restando che c’è un richiamo ben preciso a quelli che sono i nostri valori antropologici di riferimento.
I cristiani mediatori di pace in Medio Oriente. Il cardinale Tauran: guerra, sconfitta per l'umanità
◊ Il ruolo dei cristiani mediorientali nel dialogo tra Oriente e Occidente. Questo il tema della giornata culturale della comunità maronita romana, che si è svolta al Pontificio Collegio Maronita di Roma. L’incontro è stata un’occasione per parlare del ruolo dei cristiani nell’attuale crisi mediorientale e dell’attesa per il viaggio del Papa in Libano il prossimo settembre. Il servizio di Michele Raviart:
Discendenti della prima Chiesa di Gerusalemme e abituati a vivere insieme alle altre grandi confessioni monoteiste, i cristiani d’Oriente sono eredi di un patrimonio culturale indispensabile per un dialogo fecondo tra Occidente e Medio Oriente. Un’area in cui la libertà di culto è formalmente garantita ovunque, tranne che in Arabia Saudita, ma in cui è virtualmente impossibile convertirsi al cristianesimo e accedere alla vita politica. Fa eccezione, in questo contesto, il caso del Libano, Paese finora estraneo alle rivoluzioni del mondo arabo, e in cui il presidente della repubblica è tradizionalmente un membro della comunità cristiana maronita, Chiesa Orientale da sempre in comunione con Roma. Una divisione di poteri tra le varie confessioni, che può servire da modello per la risoluzione delle crisi nell’area, come ci spiega mons. Paul Matar, arcivescovo di Beirut:
"Il Libano rappresenta un’esperienza molto importante di apertura e di coesistenza islamo-cristiana. Di conseguenza se i siriani vogliono trovare una soluzione ai loro problemi, bisogna che accettino di vivere insieme. Se gli egiziani si vogliono aprire alla modernità, devono convivere, così come gli iracheni. In Libano abbiamo già vissuto la guerra civile e per fermarla abbiamo parlato insieme, cristiani e musulmani. Perché i siriani non parlano tra di loro e sunniti, alawiti e cristiani non progettano insieme un avvenire per la Siria?".
Il confronto tra monoteismi favorisce una “pedagogia dell’incontro” e allontana la xenofobia, perché l’amore indiviso per l’unico Dio accomuna la “famiglia umana” in una cultura di dignità e sicurezza, ha spiegato il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Un confronto che non vuol dire tuttavia annullamento delle differenze, ma che parte da un’affermazione della propria identità, per poi condividere la propria esperienza con gli altri in vista del bene comune. Il porporato ha quindi ribadito che "mai si può combattere in nome della religione", sottolineando anche che "la Chiesa predica sempre il dialogo e la pace, perché la guerra è una sconfitta per tutta l'umanità. Mai si risolve un problema con la guerra, perché la violenza genera violenza". Ai nostri microfoni ha parlato quindi dell'attesa per l’arrivo di Papa Benedetto XVI in Libano il prossimo settembre, quando sarà presentata l’Esortazione apostolica seguita al Sinodo per il Medio Oriente del 2010. Il cardinale Jean-Louis Tauran:
“Il Papa consegnerà questo documento, che rappresenterà una speranza per i cristiani, che devono sentirsi parte di questa terra del Medio Oriente: sono nati lì; lì hanno le loro radici spirituali; lì sono stati piantati e lì devono fiorire”.
La storia e la geografia hanno fatto sì che cristiani, musulmani ed ebrei condividano lo stesso spazio comune in Medio Oriente, che malgrado le difficoltà, rimane lo scenario decisivo per elaborare un progetto universale di pace.
Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
◊ Nella quinta Domenica di Pasqua, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Gesù parla ai suoi discepoli con una similitudine tratta dalla vita agreste: Lui è la vite vera – afferma - e il Padre suo è l’agricoltore. Quindi aggiunge:
“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.
Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente emerito di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
Ancora una immagine dalla campagna: la vite e i tralci. Immagine forse più familiare ancora di quella del pastore, proprio in questa stagione in cui profumano i fiori della vite. Anche questa similitudine è introdotta dalla espressione: “io sono”, dalle assonanze molto ricche. Non è una somiglianza posta all’esterno del nostro vivere: qui si tratta di un amore che sale dalla radice, segnale di terra e di sole, di pioggia e di vento, che fa screpolare la corteccia e poi fa maturare il grappolo pieno e dolce. Ma solo se il tralcio rimane ben connesso al tronco, se attende con pazienza questa linfa vitale, goccia d’amore dopo goccia, può crescere il grappolo. E perché non si disperda questa linfa in rivoli sterili, avviene la potatura; per concentrare lo sforzo, per una fecondità piena e non dispersa. Questo è lo stile delle relazioni fra noi e Gesù: una linfa vitale sale dalla sua vita santa, dalla sua misericordia, dalle sue radici, che sono fedeltà al Padre dell’alleanza. E riempie la nostra sete di amore e di vita, la nostra passione per la vita, il nostro bisogno di fecondità. E Lui fa in noi “molto frutto”, per suo dono. Ma bisogna restare ben uniti a Lui, per sentire i presagi del frutto succoso.
Il Kenya verso le elezioni. Appello della Chiesa: prevalgano la giustizia, il perdono e la pace
◊ Centinaia di vittime e di sfollati: è la drammatica eredità che hanno lasciato, in Kenya, le elezioni del 2008, cui seguirono scontri e violenze. Ora il Paese africano si prepara a tornare alle urne per le consultazioni generali; si tratta di un appuntamento di notevole importanza, considerato che si tratterà delle prime elezioni dopo l’approvazione della nuova Costituzione. Le consultazioni si terranno il 4 marzo 2013, ma la Chiesa ha già lanciato numerosi appelli affinché la nazione non riviva mai più le tragedie del passato. Ed è di ieri l’ultimo invito, in ordine di tempo, che la Conferenza episcopale del Kenya (Kec) ha rivolto all’intero Paese – fedeli, governanti, religiosi e laici – perché alle prossime elezioni prevalgano la giustizia, il perdono, la riconciliazione e la pace. In una lunga lettera pastorale, la Kec ricorda innanzitutto l’importanza di attuare la nuova Costituzione anche attraverso la partecipazione dei cittadini e la tutela dei principi democratici, poiché essi, insieme al “rispetto della vita umana e di un organismo elettorale indipendente, sono vitali per la difesa della pace prima, durante e dopo le elezioni”. Per questo, si legge nella lettera pastorale, “tutti i cittadini hanno il diritto, ma anche il dovere di partecipare alla vita economica, politica e culturale del Paese” e tale diritto-dovere “deve essere garantito” ad ognuno. La Chiesa keniota, poi, chiama i partiti e gli elettori a restare lontani dalle divisioni tribali e a pensare nell’ottica del bene comune: “I partiti – scrivono i vescovi – sono chiamati a farsi interpreti delle aspirazioni della società civile, offrendo ai cittadini l’effettiva possibilità di contribuire alla formulazione di scelte politiche”. Ma oltre a riforme prettamente tecniche – come la creazione di una carta nazionale di identificazione da consegnare ad ogni persona avente diritto al voto – i vescovi del Kenya sottolineano che il Paese ha bisogno di una “conversione” che porti “al perdono e alla riconciliazione dei cuori e delle menti”, poiché “non c’è pace senza giustizia e non c’è riconciliazione senza perdono”. Tra gli altri punti affrontati nella lettera pastorale, i presuli non dimenticano la questione degli sfollati e chiedono alle autorità locali di “compiere i passi necessari” per permettere ai rifugiati di tornare nelle proprie terre. Un paragrafo del messaggio viene inoltre dedicato alle violenze interetniche che vengono condannate con fermezza e delle quali si chiede la cessazione immediata, poiché, ricorda la Chiesa, “le diverse etnie devono essere la forza del Paese”. E un pensiero la Kec lo rivolge anche ai giovani, in particolare al ruolo che essi possono avere nella promozione della pace e dello sviluppo: per questo, la lettera pastorale sottolinea che essi “non devono essere usati come oggetti di violenza per interessi politici, economici, religiosi o sociali”, ma devono avere “l’opportunità di contribuire allo sviluppo del Kenya” in tutti i suoi ambiti. Per la Kec è, inoltre, fondamentale che “lo Stato vari delle leggi che tutelino e promuovano la dignità umana, assicurino a tutti i cittadini l’accesso al cibo, all’acqua potabile, ai servizi sanitari di base, all’educazione e alla sicurezza”. In questo senso, forte è l’appello ad “un’economia che sia a servizio dei poveri” e che non finisca per “perpetuare la violenza”. Centrale anche l’invito agli elettori affinché votino candidati “che rispettano la vita e sui quali si possa contare nel momento in cui bisogna tutelare i bambini non ancora nati”, poiché “la Chiesa cattolica crede che la vita ha inizio sin dal concepimento e termina con la morte naturale”. Sulla stessa linea, i vescovi pongono la tutela dell’ambiente, della donna - condannando ogni violenza contro di essa - e della dignità della persona umana, creata “ad immagine e somiglianza di Dio”. “Tale dignità “è un dono di Dio – si legge nella Lettera – ed è pertanto inviolabile; essa non dipende dalla cultura, dalla società, dalla comunità o dall’individuo; non può essere scippata da nessuno ma, al contrario, deve essere rispettata, protetta ed onorata”. Un ulteriore appello viene lanciato ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, affinché siano esempi di promozione della pace e dell’armonia, dando prova, ciascuno nella propria comunità, di accettare tutti, “a prescindere dalle origini etniche, sociali o religiose”. Guardando poi indietro, alle violenze perpetrate nel 2008, la Kec afferma che il Paese ha scritto “una storia vergognosa” e che “non bisogna permettere che il sangue di cittadini innocenti venga versato ancora sul suolo della nazione”, poiché “onore e rispetto sono dovuti a tutti i kenioti”. In quest’ottica, “le prossime elezioni generali saranno un momento storico” e tutti saranno chiamati a “costruire una nazione migliore”. L’invito finale è, quindi, a votazioni “trasparenti, libere, corrette e giuste”, affinché il Kenya possa vivere in “unità, pace e libertà”. (A cura di Isabella Piro)
La Serbia al voto: Tadic e Nikolic in lizza per la presidenza
◊ Importanti elezioni generali anche in Serbia questa domenica. Urne aperte per amministrative, politiche e presidenziali. La Serbia sceglie così la propria classe dirigente in un solo giorno. Gli aventi diritto che voteranno negli 8.500 seggi aperti sono 6.7 milioni, mentre 12 sono i candidati per le presidenziali con due grandi favoriti: il presidente uscente, il riformista Boris Tadic ed il nazionalista Tomislav Nikolic. Secondo quanto affermano i sondaggi, i due andranno al ballottaggio, che è previsto per il 20 maggio. Alle legislative sono 18 le formazioni in lizza: anche qui, i partiti raccolti attorno a Tadic – il partito democratico – ed attorno a Nikolic – quello progressista - dovrebbero fare il pieno di voti, ma avranno bisogno di trovare degli alleati per governare. Le tematiche connesse all’integrazione europea, alla crisi economica e al lavoro l’hanno fatta da padrone nella campagna elettorale. Rispetto agli anni passati, la questione del Kosovo – regione ormai di fatto indipendente – è rimasta un po’ in sordina. (Servizio di Giuseppe D’Amato)
Presidenziali in Francia: Sarkozy-Hollande, sfida per l'Eliseo
◊ Elezioni presidenziali in Francia questa domenica. Il prossimo capo dello Stato - dicono gli analisti - sarà giudicato sul bilancio dei primi 100 giorni trascorsi all'Eliseo, sullo staff di ministri che sceglierà e su come affronterà i dossier più caldi, a cominciare dalla crisi economica che attanaglia l’Europa. Fino ad ora, però, né il socialista Francois Hollande, né il presidente uscente Nicolas Sarkozy hanno rivelato i nomi di chi farà parte del nuovo governo. Sarà comunque un risultato sul filo del rasoio. “Vedrete, ci sarà una grossa sorpresa”: ci crede fino all’ultimo Nicolas Sarkozy, indietro nei sondaggi anche se in rimonta su Francois Hollande. Il presidente uscente ha chiuso la campagna elettorale con un ultimo appello a quella maggioranza silenziosa che, secondo lui, potrà ancora farlo vincere. I pronostici, però, stanno tutti dalla parte del candidato socialista Hollande. Ieri il suo direttore di campagna, Pierre Moscovici, ha anche suggerito quale potrebbe essere l’agenda dei primi giorni all’Eliseo: investitura anticipata anche l’11 maggio e poi subito dalla Merkel, a Berlino, per preparare le modifiche al patto fiscale, da sottoporre ad un vertice informale europeo già previsto per fine mese. Dalla Germania, la stampa tedesca riferisce che incontri sarebbero già in atto tra diplomatici tedeschi e membri dello staff di Hollande. I francesi avrebbero rassicurato i partner sulla volontà di avere un approccio pragmatico da parte di Hollande, e sul fatto che le relazioni tra Francia e Germania non verranno rimesse in discussione dal candidato socialista, se eletto all’Eliseo. La parola spetta ora ai francesi: i seggi aprono questa domenica alle 8, e 12 ore dopo si saprà il nome del prossimo presidente francese. (Servizio di Francesca Pierantozzi)
In Italia-amministrative test sulle misure economiche del governo
◊ Si aprono questa domenica alle 8.00 le urne in 945 comuni italiani, dove quasi 10 milioni di persone sono chiamate ad eleggere sindaci e consigli comunali. Gli eventuali ballottaggi si svolgeranno il 20 e 21 maggio. Al centro del confronto politico il tema delle tasse. Particolarmente sentita in questa stagione di crisi, la questione fisco ha tenuto banco nelle ultime ore di campagna elettorale per le amministrative. Il Pdl ha presentato un disegno di legge con il quale chiede al Governo misure per consentire alle imprese che hanno crediti nei confronti dello Stato di poterli compensare con i debiti. Il segretario Alfano, inoltre, insiste perché l’Imu sia una tassa transitoria e chiede ai sindaci di non alzare l’aliquota. In campo anche il Pd. Il segretario Bersani propone di alleggerire l'Imu e affiancarle un'imposta personale sui grandi patrimoni mobiliari. L’esecutivo da parte sua sostiene che il 30% dei proprietari di immobili sarà esente dal pagamento, mentre il restante 70% pagherà in media 200 euro. Soldi comunque che non andranno a finire tutti nelle casse dei comuni, come accadeva per l’Ici. Inevitabilmente il tema peserà sulle elezioni amministrative di domenica e lunedì che interessano 945 comuni, dei quali quattro capoluoghi di regione: Genova, L’Aquila, Catanzaro e Palermo; e 22 capoluoghi di provincia. Nelle precedenti amministrative, in questi 26 comuni, 18 erano andati al centrodestra, 8 al centrosinistra. Ma la nascita del governo tecnico ha provocato una scomposizione delle alleanze. E molto dunque può cambiare, anche perché il vento dell’antipolitica potrebbe rendere molto forte il partito degli astenuti. (Servizio di Giampiero Guadagni)
I vescovi spagnoli: la comunicazione sia al servizio dell’evangelizzazione
◊ La comunicazione sia al servizio dell’evangelizzazione: questo il punto centrale del messaggio dei vescovi spagnoli per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che quest’anno ricorre domenica 20 maggio. “Comunicare è essenzialmente comunicare la verità – scrivono i presuli – essere all’altezza di rispondere alle domande, alle inquietudini e ai dubbi dell’uomo e di metterli in relazione con ciò che è necessario conoscere”. Se questo tipo di comunicazione viene effettivamente realizzato, continuano i vescovi iberici, “l’uomo ne risulta umanizzato”, poiché “ogni contatto con la verità su qualsiasi aspetto della realtà permette all’uomo di conoscere il suo posto e la sua missione all’interno della società”. Di qui, il richiamo forte che la Conferenza episcopale spagnola fa al fatto che “l’umanizzazione della società è uno dei fini della comunicazione e, al tempo stesso, uno dei parametri attraverso i quali si può misurare la qualità della comunicazione”. Infatti, “una società che conosce la verità è una società più libera, più giusta e più umana”. Sul fronte opposto, i vescovi iberici puntano il dito contro “la menzogna, la trasmissione di ciò che è errato, i dubbi” che – si legge ancora nel messaggio episcopale – “non producono comunicazione, bensì disinformazione e, con essa, disumanizzazione”. Chi, dunque, “per mancanza di rigore o di onestà”, trasmette la menzogna, dicono ancora i presuli, “tradisce la missione che gli è stata affidata, ovvero quella di fare da ponte tra la verità e gli uomini del nostro tempo, e provoca la disumanizzazione della società”. In questo senso, il messaggio della Chiesa spagnola ribadisce che “la comunicazione ha la sua massima espressione e realizza nel modo migliore la sua dimensione umanizzante nell’annuncio di Gesù Cristo, via, verità e vita”. Ed è per questo che “la comunicazione contribuisce definitivamente all’evangelizzazione”. In fondo, ricordano i presuli iberici, fu il Signore ad inviare i discepoli perché annunciassero la Buona novella. Infine, la Conferenza episcopale spagnola si congratula con tutti “i comunicatori ed i professionisti dei diversi mass media che hanno fatto della verità il loro lavoro abituale”. “Dal loro impegno personale e professionale – conclude il messaggio - dipende in buona parte il progresso di una società che ha bisogno della verità per poter servire al meglio tutti i suoi membri”. (I.P.)
Al via a Roma il congresso Conferenze episcopali d’Europa sulla Catechesi
◊ “L’iniziazione cristiana nella prospettiva della nuova evangelizzazione con particolare attenzione ai fanciulli e giovani dai 7 ai 16 anni”, è il tema scelto quest’anno per il Congresso europeo per la Catechesi, che si apre lunedì prossimo a Roma, al quale parteciperanno vescovi e direttori nazionali degli uffici e organismi nazionali responsabili della catechesi nelle Conferenze episcopali in Europa. Durante il simposio, che si concluderà il 10 maggio, verrà presentata anche un’indagine sullo stato della catechesi in Europa condotta in occasione del 20.mo anniversario del catechismo della Chiesa cattolica. Da segnalare, mercoledì 9 maggio, alle ore 19.30 nella Basilica di Santa Maria Maggiore, la celebrazione della Messa per l’Europa nella Giornata dedicata al Vecchio Continente. La funzione sarà presieduta dal cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente Ccee, e concelebrata dai vicepresidenti del Ccee cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, e mons. Józef Michalik, arcivescovo di Przemyśl. Sempre mercoledì 9 maggio, nella sede della Radio Vaticana, si terrà una conferenza stampa dove verrà presentato ai giornalisti il nuovo portale dell’informazione istituzionale delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). (M.G.)
Nepal. I Gesuiti festeggiano i 60 anni di presenza nel Paese
◊ I sessanta anni della presenza dei Gesuiti in Nepal venngono commemorati con una grande celebrazione presso la St. Xavier's School di Jawalakhel, a Kathmandu, questa domenica, al termine di tre giorni di assemblea dei Gesuiti della Regione. A riferirlo è il servizio stampa della Curia Generalizia. Era il 6 giugno del 1951 quando nella capitale nepalese giunsero i primi tre Gesuiti della Provincia di Patna (India) per fondare, su invito del Re Mahendra Shah, quella che sarebbe diventata la prima scuola cattolica del Paese segnando l’inizio della presenza della Chiesa nel Regno indù. Erano i padri Ed Saxton, Frank Murphy e Moran. Nel corso degli anni si aggiunsero poi Gesuiti provenienti dall'India, dal Giappone e dal Nord-America. Le Provincie di Chicago e Patna hanno comunque continuato ad essere i principali sostenitori della Compagnia di Gesù in Nepal. Se l’educazione resta ancora oggi la loro principale area di apostolato nel Paese, i Gesuiti sono impegnati anche nel settore sociale e in altri campi della pastorale. Tra le varie opere si segnala quella svolta dal Jesuit Refugee Service (Jrs), insieme alla Caritas Nepal, a favore dei migliaia di profughi bhutanesi che si trovano nel Paese. Oggi sono in tutto 70 i Gesuiti presenti in Nepal, compresi 30 giovani in formazione e 5 che lavorano fuori della Regione. Eretta a Vicariato Apostolico con a capo il vescovo gesuita Antony Sharma, la Chiesa cattolica in Nepal conta oggi circa 7mila fedeli su una popolazione di quasi 30 milioni di abitanti. (A cura di Lisa Zengarini)
Oltre 300 movimenti e comunità cristiane “Insieme per l’Europa” il 12 maggio
◊ Intrecciare la realtà vitale prodotta dai movimenti di ispirazione cristiana con l’operato nella sfera pubblica di coloro che determinano l’agenda internazionale, è l’intento che anima “Insieme per l’Europa”, l’iniziativa che si terrà in contemporanea in più di 130 città del vecchio continente il prossimo sabato 12 maggio. L’evento “europeo” avrà il suo epicentro allo Square Meeting Centre di Bruxelles, dove saranno presenti personalità del panorama politico, istituzionale e culturale europeo. In programma il messaggio (video) di Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, il contributo di Romano Prodi e gli interventi di Maria Voce (Focolari), Andrea Riccardi (Sant’Egidio) e Thomas Römer (YMCA di Monaco). Pace, economia e finanza, dialogo interculturale e accoglienza, responsabilità sociale e cittadinanza partecipativa, ambiente, problematiche della famiglia, attenzione alle nuove generazioni saranno alcuni dei temi declinati in esperienze e proposte. “Nella crisi che attraversa l’Europa e che si snoda su diverse linee di frattura - spiegano gli organizzatori in una nota ripresa dal Sir -, ‘Insieme per l’Europa’ è una manifestazione di comunione, responsabilità e passione per la casa comune europea, dall’Atlantico agli Urali, un’Europa che non si ripiega su se stessa, ma si riconosce in un destino comune con gli altri continenti. Dice anche che insieme si può sperare e mettere in campo energie e idee”. A conclusione della convention, durante un collegamento via satellite e internet con le altre città dove si svolge l’iniziativa sarà enunciato un manifesto finale, diretto alle istituzioni e ai cittadini dell’Europa.(M.G.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 126