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Sommario del 03/05/2012
◊ Benedetto XVI in visita stamani al Policlinico “Gemelli” per celebrare i 50 anni di fondazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Nel suo discorso alla comunità accademica, al personale sanitario e ai pazienti, il Papa ha ribadito che “scienza e fede hanno una reciprocità feconda”. Quindi, ha ringraziato il "Gemelli" per l’attenzione alla persona umana, specie nella sua fragilità. Il Papa, che ha visitato il "Gemelli" per la quinta volta, è stato accolto, tra gli altri, dal cardinale Angelo Scola, presidente dell’Istituto Toniolo. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Benedetto XVI ha svolto un’appassionata riflessione sul senso della ricerca scientifica e della medicina. Nel Piazzale del Policlinico, gremito di autorità e semplici fedeli, il Papa ha ribadito innanzitutto che ogni ricerca, ogni cura medica va guidata dall’amore:
“Senza amore, anche la scienza perde la sua nobiltà. Solo l’amore garantisce l’umanità della ricerca”.
Nel suo discorso, il Papa ha quindi rilevato che le tecnologie innovative hanno trasformato la visione del mondo, ma “spesso non sono prive di inquietanti risvolti”. L’uomo del nostro tempo, ha soggiunto, “vive spesso condizionato da riduzionismo e relativismo”. Quasi “abbagliato dall’efficacia della tecnica”, ha osservato, si “dimentica l’orizzonte fondamentale della domanda di senso”, “la dimensione trascendente”. Così, “il pensiero diventa debole e acquista terreno anche un impoverimento etico, che annebbia i riferimenti normativi di valore”:
“Una mentalità fondamentalmente tecnopratica genera un rischioso squilibrio tra ciò che è possibile tecnicamente e ciò che è moralmente buono, con imprevedibili conseguenze”.
Ecco allora, ha affermato il Papa, che va riscoperto il valore e il dinamismo della trascendenza, il quaerere Deum, la ricerca di Dio:
“Scienza e fede hanno una reciprocità feconda, quasi una complementare esigenza dell’intelligenza del reale. Ma, paradossalmente, proprio la cultura positivista, escludendo la domanda su Dio dal dibattito scientifico, determina il declino del pensiero e l’indebolimento della capacità di intelligenza del reale”.
“Religione del Logos”, ha proseguito, “il Cristianesimo non relega la fede nell’ambito dell’irrazionale ma attribuisce l’origine e il senso della realtà alla Ragione creatrice, che nel Dio crocifisso si è manifestata come amore”. Proprio percorrendo “il sentiero della fede”, ha affermato, l’uomo è messo in grado di “scorgere nelle stesse realtà di sofferenza e di morte”, una “possibilità autentica di bene e di vita”:
“La cura di coloro che soffrono è allora incontro quotidiano con il volto di Cristo, e la dedizione dell’intelligenza e del cuore si fa segno della misericordia di Dio e della sua vittoria sulla morte”
Dunque, vissuta nella sua integralità, la ricerca “è illuminata da scienza e fede, e da queste due ‘ali’ trae impulso e slancio, senza mai perdere la giusta umiltà, il senso del proprio limite”. In tal modo, ha detto ancora, “la ricerca di Dio diventa feconda per l’intelligenza, fermento di cultura, promotrice di vero umanesimo”. In tal senso, ha affermato, si inserisce il “compito insostituibile dell’Università Cattolica”:
“… luogo in cui la relazione di cura non è mestiere, ma missione; dove la carità del Buon Samaritano è la prima cattedra e il volto dell’uomo sofferente il Volto stesso di Cristo”.
Il Papa ha ricordato il particolare rapporto tra l’Università Cattolica e la Sede di Pietro ed ha sottolineato che “una facoltà cattolica di Medicina è luogo dove l’umanesimo trascendente non è slogan retorico, ma regola vissuta della dedizione quotidiana”. Per questo, ha detto, è stato "istituito un nuovo Centro di Ateneo per la vita". Il Papa ha infine ribadito, con padre Agostino Gemelli, che va sempre messa “al centro dell’attenzione la persona umana nella sua fragilità e nella sua grandezza”. Quindi, ha concluso, rivolgendo un pensiero speciale ai pazienti del “Gemelli” nel volto dei quali, ha detto, “si riflette il Volto di Cristo sofferente”.
Per un commento alle parole del Papa al Policlinico Gemelli, il nostro inviato Federico Piana ha avvicinato il cardinale Angelo Scola, presidente dell'Istituto Toniolo:
R. – Il Papa ha voluto radicare nella visione della religione cristiana, in particolare centrandola sul logos, l’evidente capacità di ragione e fede di collaborare e quindi l’importanza nel rispetto delle reciproche autonomie, che la fede ha anche dal punto di vista della ricerca scientifica. Soprattutto una ricerca che è applicata al mondo della cura del malato e, quindi, di tutte le fasi delicate della vita dell’uomo. Ha dato, da questo punto di vista, delle indicazioni molto precise circa le modalità di sviluppo e di lavoro della ricerca scientifica in ambito medico, secondo tutte le sfumature che oggi questa realtà della medicina sta assumendo.
D. – Ricerca scientifica che deve avere sempre come fine l’uomo, ha ricordato il Papa...
R. – Il Papa ha parlato giustamente di un umanesimo trascendente, che cioè deve avere come punto di riferimento, come missione, come scopo, la valorizzazione piena dell’uomo, il quale ha dentro di sé – il Papa lo ha detto, citando San Tommaso – il desiderio della verità come desiderio primario, e il desiderio del permanere, dell’esistere, del durare anche oltre la morte. Questo è l’umanesimo trascendente a cui Benedetto XVI si è riferito.
D. – Lei, tutta Milano, vi apprestate a ricevere il Papa per l’Incontro mondiale con le famiglie...
R. – Sì, è vero, siamo molto contenti. Sto notando due dati, che mi impressionano molto. Da una parte, un grande impegno di tutta la diocesi, ma anche delle diocesi lombarde, e anche ovviamente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Un impegno che va facendosi ogni giorno più intenso e stringente dal punto di vista dei volontari, dal punto di vista delle famiglie disposte ad accogliere decine di migliaia di persone, dal punto di vista della mobilitazione dei cristiani e dei battezzati, ma anche di molte persone che hanno visto e vedono molto positivamente il tema-guida dell'Incontro – cioè il rapporto tra la famiglia, il lavoro e il riposo – e nello stesso tempo percepiscono che per Milano questa è un’occasione, quasi una prova in vista anche dell’Expo. Il secondo elemento che mi ha molto impressionato è il grande impatto a livello civile che l’incontro sta prendendo. In questo frangente di travaglio, di trasformazione molto gravosa in atto che pesa sulle famiglie, pesa sulle persone, avere chiamato tutti a considerare la famiglia in senso pieno, fondata sul matrimonio tra l’uomo e la donna aperto alla vita, nella sua connessione con il mondo del lavoro, con la necessità del riposo, ha toccato, ha intercettato una tematica presente, urgente e vitale. La risposta che i mass media, l’interesse che tutti i grandi media nazionali, anche internazionali, stanno dando all’incontro, ci fa dire che la famiglia viene rimessa in questo momento al centro dell’attenzione come una risorsa formidabile, non solo per la Chiesa ma per tutta la società civile.
Benedetto XVI a Frascati il 15 luglio. Mons. Martinelli: porterà la speranza
◊ Benedetto XVI si recherà domenica 15 luglio a Frascati, dove celebrerà la Santa Messa alle 9.30 in Piazza San Pietro, davanti alla Cattedrale. Al termine, il Papa farà ritorno a Castel Gandolfo per la recita dell’Angelus. La notizia è stata data dal vescovo di Frascati, mons. Raffaello Martinelli, questa mattina, nel corso della solenne celebrazione in Cattedrale per la festa degli Apostoli Filippo e Giacomo, Patroni della diocesi suburbicaria. Ascoltiamo il presule al microfono di Sergio Centofanti:
R. – Siamo ben felici, perché questa notizia, che investe di gioia un po’ tutta la nostra diocesi, è stata comunicata proprio nel giorno dei nostri Santi Patroni. La gioia è immensa, certo, perché sappiamo che il Santo Padre viene per sostenerci, per confermarci, per ravvivare la nostra fede. Quindi, questo porterà senz’altro un contributo alla nostra crescita cristiana: sia a me come vescovo, sia ai miei sacerdoti collaboratori e sia a tutti i nostri fedeli.
D. – Qual è l’occasione di questa visita?
R. – Non c’è un’occasione particolare, c’è soltanto la buona disponibilità eccezionale del Santo Padre, che ha accolto un mio invito e che viene per celebrare, insieme con noi, i santi misteri eucaristici, proprio nel giorno di domenica.
D. – Cosa ci può dire della sua diocesi, di Frascati?
R. – Tutti conoscono Frascati per il vino, ma noi lo conosciamo e lo apprezziamo anche per la fede, che qui, già dal secondo secolo, era presente, e che è vissuta con impegno, seppure anche in mezzo a tante difficoltà.
D. – Il Papa viene in un momento di crisi, un’occasione per rilanciare la speranza anche per la vostra città...
R. – Senz’altro, il Papa è sempre colui che parla di fede, parla di speranza e ci sostiene e ci rafforza in questo nostro impegno quotidiano.
Nomina episcopale in Bielorussia
◊ In Bielorussia, Benedetto XVI ha nominato vescovo di Pinsk mons. Antoni Dziemianko, finora Vescovo titolare di Lesvi ed Ausiliare di Minsk-Mohilev. Mons. Antoni Dziemianko è nato il 1° gennaio 1960 a Zabrodzie-Derevno, nell’arcidiocesi di Minsk-Mohilev in Bielorussia. Ha ricevuto la formazione al sacerdozio in clandestinità, sotto la guida del Rev.do Mons. Waclaw Piontkowski, Vicario Generale della diocesi di Pinsk. È stato ordinato sacerdote il 28 ottobre 1980 e incardinato nella diocesi di Grodno. Per alcuni anni ha svolto il ministero pastorale in clandestinità, ufficialmente come sacrestano ed organista in varie Parrocchie. Dal 1982 al 1984 è stato precettato al servizio militare. Dal 1985 al 1998 è stato Parroco di Nowogródek, nonché, per vari anni, Vicario Foraneo e giudice del Tribunale ecclesiastico. Dal 1992 al 1996 ha studiato presso l’Istituto per gli Studi sul Matrimonio e la Famiglia dell’Accademia Teologica di Varsavia (Polonia), dove ha conseguito il titolo di Magistero in Teologia. Il 4 luglio 1998 è stato eletto Vescovo titolare di Lesvi e nominato Ausiliare di Grodno. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 29 settembre dello stesso anno. Dal 1998 al 2004 ha ricoperto anche l’incarico di Rettore del Seminario diocesano di Grodno. Il 14 dicembre 2004 è stato nominato Ausiliare di Minsk-Mohilev. Dal 14 giugno 2006 al 21 settembre 2007 è stato Amministratore Apostolico ad nutum Sanctae Sedis della medesima Arcidiocesi. Attualmente ricopre anche l’incarico di Segretario Generale della Conferenza dei Vescovi Cattolici della Bielorussia.
Nuovi Statuti per la Caritas Internationalis: i commenti di Michel Roy e Paolo Beccegato
◊ Le nuove regole per la Caritas Internationalis “avranno l’effetto di integrare con più forza l’organismo all’interno della Santa Sede”: è quanto afferma il segretario generale, il francese Michel Roy, dopo la pubblicazione ieri del Decreto Generale, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, che rinnova il quadro giuridico in cui opera la Confederazione delle organizzazioni caritative cattoliche. Il Decreto stabilisce che il Pontificio Consiglio Cor Unum è il “dicastero competente per l’intero ambito della sua attività istituzionale” e questo significherà, tra l’altro, che “qualunque testo di contenuto o orientamento dottrinale o morale, emanato da Caritas Internationalis” dovrà sempre “essere sottoposto alla preventiva approvazione” del dicastero vaticano. Nell’intervista di Fausta Speranza, Michel Roy spiega che le nuove regole sono frutto di un percorso:
R. - C’est l’aboutissement, la remise de Décret hier, d’un long travail qu’a commencé…Questo è il risultato – la presentazione ieri del Decreto - di un lungo lavoro, cominciato per iniziativa della Santa Sede, quando Giovanni Paolo II ha conferito a Caritas Internationalis “personalità giuridica pubblica”. Sono serviti poi diversi anni per riuscire a trasformare in realtà questo dono del Santo Padre. Noi abbiamo una riunione del Comitato esecutivo il 15-16 e il 17 maggio: una parte di questa riunione verrà dedicata allo studio del Decreto e del nuovo Statuto. La Santa Sede ha modificato una parte, una piccola parte, dello Statuto, che è stata approvata dal Comitato esecutivo lo scorso dicembre. Lo Statuto è stato successivamente inviato alla Segreteria di Stato per un decreto di approvazione del Santo Padre: approvazione che abbiamo ricevuto ieri. Noi viviamo un atteggiamento positivo riguardo a questa evoluzione, perché Caritas ha sempre svolto un servizio alla Chiesa universale per iniziativa di Pio XII, nel 1951, e il Decreto che abbiamo ricevuto ieri precisa in modo chiaro – cosa che finora non avevamo – la natura dell’azione tra Caritas internationalis e Cor Unum, che è il nostro dicastero di riferimento, con la Segretaria di Stato, prima e seconda Sezione, e gli altri organi della Curia, con i quali abbiamo già lavorato, lavoriamo e con i quali cominceremo ora a lavorare in modo ancora più stretto. Senza dubbio quello che sta iniziando è un momento di cambiamento - anche se piccolo cambiamento - necessario per adeguarsi e adattarsi a questo nuovo Statuto previsto dalla Segreteria di Stato ed approvato dal Santo Padre e a quello che ci si aspetta dalla Confederazione.
D. – Cosa può cambiare nell’azione concreta della Caritas?
R. – Je crois que le cardinal Sarah a clairement dit…
Il cardinale Sarah, in un’intervista – al momento è in Africa - ha chiaramente detto che la missione di Caritas Internationalis non è assolutamente messa in discussione. La cosa fondamentale è quello che Caritas fa nel mondo per permettere ai più poveri di uscire dalla povertà e di ritrovare la propria dignità; per promuovere una maggiore giustizia in campo sociale; per rimettere la persona umana al centro dei dibattiti politici ed economici internazionali. Tutto questo non viene in alcun modo messo in discussione ma viene, al contrario, incoraggiato. I cambiamenti vengono fatti riguardo ai metodi di “governance” della Confederazione. La riunione di metà maggio ci permetterà di affrontare e di precisare – anche se è già precisato nel Decreto – in modo concreto questi cambiamenti. Abbiamo un testo che è il piedistallo: si tratta ora di far in modo che venga animato, che gli venga data la vita. Questo sarà uno degli obiettivi della nostra riunione.
D. – Qual è l’incoraggiamento del presidente, il cardinale Rodriguez Maradiaga? Come ha commentato il decreto?
R. – Le président a dit – hier – que c’est un jour de joie e d’espérance. …
Ieri il presidente ha detto che questo è un giorno di gioia e di speranza per la Confederazione Caritas. Noi siamo tutti – ed evidentemente lui in prima linea – contenti di vedere che il lavoro di tutti questi anni per il rinnovamento dello Statuto, in base alla lettera autografa di Giovanni Paolo II del 2004, si sia ora realizzato. In spirito ecclesiale, penso che il cardinale è contento del fatto che Caritas sia maggiormente integrata all’interno delle strutture della Santa Sede e che contribuisca quindi ulteriormente ad essere espressione delle riflessioni che la Chiesa fa sul suo ruolo nella società e nel mondo.
Ma quanto questa riorganizzazione giuridica può rafforzare e rendere più efficace l'attività delle Caritas nazionali? Fabio Colagrande lo ha chiesto a Paolo Beccegato, responsabile dell'area internazionale di Caritas italiana:
R. – Penso che ci sia un equilibrio tra i vertici della Chiesa e la partecipazione dal basso dalle Caritas parrocchiali, che sono le più vicine alla gente, e sino ai nostri pastori, ai nostri vescovi. Quindi questi nuovi Statuti traducono una visione – diremmo all’inglese – “top down bottom up”, quindi un equilibrio tra la testa e i piedi, tra le braccia e il cuore, una sintesi… D’altro canto cercano di tradurre anche la visione di una Caritas pastorale, attenta alle motivazioni, allo stile, all’esprimere la propria fede: l’equilibrio di una Caritas in veritate con i grandi dettami dell’efficienza, della trasparenza, dell’efficacia degli aiuti, della rendicontabilità degli aiuti. Le visioni, quindi, che nella rete Caritas sono tutte presenti, cercano una sintesi in questi Statuti che in qualche modo li comprendono.
D. - In questo contesto quanto è importante che l’azione umanitaria e di carità della Caritas Internationalis, e dunque delle varie Caritas nazionali, siano in sintonia con la Sede Apostolica e con il magistero della Chiesa?
R. – Penso che da sempre, ma in particolare la Deus caritas est, sottolinea una Chiesa che celebra, annuncia e vive praticamente la carità e quindi la carità come dimensione costitutiva ed essenziale alla Chiesa stessa: una carità organizzata, una carità capace di farsi vicina agli ultimi. Ecco, io penso che questi elementi siano importanti e che facciano da retroscena, quindi non è una questione di controllo, non è una questione di gerarchia: è una questione di Chiesa, di espressione reale della Chiesa, che vuole vivere la carità come espressione della verità. In questo senso direi che sono, in qualche modo, la traduzione di quello che è già in essere, ma è messo ed espresso in forma chiara, in forma normata, in forma strutturata, in forma consona ai tempi e ai momenti che stiamo vivendo.
D. – Quindi una riorganizzazione che fa sempre di più delle Caritas uno strumento al servizio della Chiesa?
R. – Direi di sì: la Caritas è un’espressione della Chiesa, la Caritas cerca di essere vicina all’evolversi dei tempi e delle persone, però è – appunto – Chiesa, una Chiesa in azione – ogni tanto si dice “in action” – e che tiene quindi dentro di sé tutte le difficoltà della complessità del tempo presente e penso ai temi della crisi oggi e quanto questi pongono delle questioni. D’altro canto, però, non deve assolutamente perdere la sua identità, che è un’identità che mette la persona al centro e mai i tecnicismi; un’identità che tiene alte le motivazioni, che tiene alti i fini ultimi e che non si perde nei rivoli delle cose non importanti. Tutte queste cose sono – penso – uno scenario che fanno da sponda a questi Statuti e che poi dovranno trovare attualizzazione di giorno in giorno.
◊ Dall’Ecclesia in Africa di Giovanni Paolo II all’Africae Munus di Benedetto XVI. Questo il titolo del seminario interdisciplinare che si è svolto all’Università Lateranense. Tra gli intervenuti al simposio, il segretario del Pontificio Consiglio della Cultura, mons. Barthélemy Adoukonou. Davide Maggiore gli ha chiesto quale sia stato il percorso della Chiesa africana tra i due Sinodi del 1994 e del 2009, che hanno portato alla promulgazione delle due Esortazioni apostoliche:
R. – Nel primo Sinodo la Chiesa si è sforzata di capire se stessa e di vivere come famiglia di Dio. Questo è stato un atto di inculturazione molto profonda. Nel frattempo, però, abbiamo visto che l’etnicità, il razzismo e tutte queste divisioni tra religioni vanno sempre avanti. Come facciamo oggi a meritarci il nome di famiglia di Dio? Il secondo Sinodo, con "Africae Munus", ha cercato di spingerci ad essere sale e luce del mondo. Questo significa che la forza di trasformazione della realtà, della società, che è la Chiesa, dobbiamo metterla in gioco. La Chiesa è stata detta “Sacramento di salvezza per il mondo”. Con il Battesimo siamo diventati, ciascuno di noi, uomini nuovi, e dobbiamo cambiare la cultura, la società. I due Sinodi si completano in qualche modo: si può dire che il primo Sinodo si è svolto all'insegna della cultura, mentre l’attuale Sinodo, che abbiamo finito e che cerchiamo di mettere in pratica, mette l’accento sulla storicità dell’uomo, sulla trasformazione e la forza che spinge verso il futuro.
D. – L’attualità internazionale, purtroppo, ci richiama spesso alle tante ferite sofferte dalla terra d’Africa. In che modo le Chiese del continente possono, attraverso l’annuncio della buona notizia del Vangelo, dare speranza ai popoli africani?
R. – Il problema non è impegnarsi a fare questa o quella cosa, ma essere quello che Cristo ci ha chiamati ad essere, cioè Chiesa, forza di trasformazione e di solidarietà. La Chiesa si è impegnata tanto, anche nel passato, e continuerà ad impegnarsi nel campo della salute, della formazione, dell’educazione, in tutti i campi sociali. La Chiesa è da sempre presente e continuerà ad esserlo ancora di più, perché prende coscienza di ciò che è, e quindi, vuole, partendo da lì, trasformare la realtà.
D. – Come la Chiesa può contribuire a far superare ai popoli d’Africa le divisioni di molte nature - culturali, etniche e politiche - che spesso li attraversano?
R. – Se la Chiesa è fedele a se stessa, ad essere quello che deve essere, cioè questa società umana riconciliata, questa famiglia umana riconciliata, la famiglia delle nazioni, il corpo di Cristo, se siamo veramente questo abbiamo la risposta a tali questioni.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Senza amore la scienza perde la sua umanità: la visita del Papa alla sede romana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Nell'informazione internazionale, in primo piano l'economia: l'Europa si spacca sulle nuove regole bancarie.
Fame e guerra nello Yemen: Giuseppe M. Petrone sulla crisi nel Paese arabo.
Origine e storia della Penitenzieria Apostolica: stralci degli interventi di Sergio Pagano e di Paolo Prodi alla presentazione di due volumi editi dalla Libreria Editrice Vaticana.
«Hora la mia allegrezza è consummata»: un testo inedito del gesuita Alessandro Valignano, scritto nel 1574 prima di partire come Visitatore delle missioni in India, Cina e Giappone.
Signora si metta in posa: Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, sui ritratti delle città dal Rinascimento al XVII secolo.
Nella comunione della Chiesa: Paul McPartlan sul documento della Commissione teologica internazionale.
Presidenziali in Francia. Acceso confronto in tv tra Sarkozy e Hollande
◊ Faccia a faccia in tv ieri sera tra il presidente uscente Sarkozy e il socialista Hollande. L’incontro è stato seguito da milioni di elettori che al ballottaggio del 6 maggio sceglieranno il prossimo capo dell'Eliseo. Toccati praticamente tutti i temi politici: dall’aumento della benzina fino alle strategie internazionali. Centrali i progetti di riforma economica e il rilancio del Paese. Francesca Pierantozzi:
Crisi economica, disoccupazione, problemi sociali, immigrazione, stile di presidenza. Di tutto hanno parlato e su tutto si sono scontrati i due pretendenti all’Eliseo. Più pugnace Sarkozy, più tranquillo e forte del suo vantaggio nei sondaggi Hollande, che però ha sempre ribattuto a Sarkozy, il quale lo ha accusato, di volta in volta, di essere un bugiardo ed un ‘Ponzio Pilato’. Hollande ha accusato Sarkozy di aver spaccato e diviso la Francia, di aver raddoppiato il debito ed aumentato la disoccupazione e, in esempio, ha citato il successo dell’economia tedesca. ‘Peccato’, ha ribattuto Sarkozy, ‘che il sistema tedesco è il contrario di quello che lei propone per la Francia’. Hollande ha ribadito la sua intenzione di aggiungere la crescita al patto di bilancio europeo: ‘il rigore’, ha detto, ‘fa soffrire molti Paesi: la Grecia, la Spagna e anche l’Italia di Mario Monti’. Per quanto interessante e accattivante, è difficile che questo dibattito riuscirà ad invertire la tendenza, che ha sempre visto Hollande vincitore, oggi con un distacco di circa sei punti sull’avversario.
Sull’acceso confronto televisivo tra i due leader che si contendono la poltrona all’Eliseo, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Massimo Nava, corrispondente da Parigi del “Corriere della Sera”:
R. – E’ stato come vedere un incontro di pugilato. In qualche modo, ha fatto rivivere i modelli storici della destra e della sinistra, quando ad esempio Sarkozy ha detto di “volere meno poveri mentre Hollande vuole meno ricchi” e la replica di Hollande che ha affermato “di voler proteggere i figli della Repubblica e non i privilegiati”.
D. – Molte le accuse reciproche…
R. – Tutto il confronto è stato un tentativo più di delegittimare e screditare l’avversario prima ancora di difendere il proprio progetto o la propria visione delle cose, che comunque è stato anche fatto. Credo che i francesi, alla fine, si siano anche emozionati o appassionati proprio davanti a questa specie di duello di tipo più classico, direi quasi da vecchi tempi. Sembrava di essere ai tempi di Giscard e Mitterand più che di fronte ad un confronto tra due progetti che, alla fine, non sono differenziati così tanto come una differenziazione di tipo ideologico farebbe pensare
D. – I temi economici sono stati comunque al centro del confronto…
R. – Lo Stato francese è fortemente indebitato e c’è una necessità di risanamento. Hollande vuole salvaguardare il modello – e quindi con una maggiore tassazione – e Sarkozy, invece, afferma che il modello va rovesciato e bisogna comunque tagliare. Tutti e due, comunque, sperano nella crescita e nell’inversione del ciclo economico.
D. – Spostandoci diametralmente su un altro tema, per quanto riguarda il fronte energetico Sarkozy, di fatto, ha difeso il nucleare - che è un punto forte della Francia - mentre Hollande, invece, ha contrapposto il nucleare alle energie rinnovabili. In Francia é possibile un cambio di rotta di questo tipo?
R. – Assolutamente no. Credo che, in questo senso, forse Sarkozy sia stato oggettivamente più sincero di Hollande: Sarkozy ha detto, molto chiaramente, che al di là di Fukushima, il nucleare francese è sicuro e garantisce alla Francia un approvvigionamento energetico a costi molto inferiori rispetto ai partner europei, e probabilmente a tutto il mondo occidentale. Hollande, invece, dice di voler fermare una delle centrali meno sicure come quella in Alsazia e quindi, in qualche modo, lascia intendere che ci sono delle concessioni ai Verdi. Di fatto, però, anche Hollande non può dire di voler abbandonare il nucleare, che tra l’altro è stato uno dei punti forti della presidenza di Mitterand.
D. – Questo schema che citavi è stato utilizzato anche per il confronto sull’immigrazione…
R. – Sì. Ma anche qui, è chiaro che il problema, per certi versi drammatico – non tanto di queste elezioni ma del sentimento comune della Francia odierna –, è che la grande maggioranza dei francesi richiede un diverso approccio verso l’immigrazione. E’ chiaro che Hollande non può dire le cose che afferma Sarkozy in questo momento, ma di fatto, in qualche modo le pensa. Ovvero: maggiori limiti all’immigrazione legale ed un pugno duro verso l’immigrazione illegale. Sono cose che, nel 2013, possono stare anche nella bocca del candidato socialista.
D. – Marine Le Pen è uscita di scena non appoggiando, di fatto, alcuno dei due candidati. Sarkozy, comunque, ha bisogno di un sostegno esterno, almeno così sembra dagli ultimi sondaggi: è possibile un nuovo scenario, un colpo di scena?
R. – Credo che il risultato più probabile sia una sconfitta onorevole. Nel senso che poi, alla fine, le percentuali dei candidati si avvicineranno molto e rispecchieranno lo scenario reale del Paese, che oggi vede destra e sinistra praticamente equidistanti. Penso, che alla fine, vincerà Hollande proprio per questa decisione del Fronte Nazionale, che nel momento in cui dice di votare scheda bianca, vuole sostanzialmente indicare che ciò che manca a Sarkozy per rimontare non arriverà in modo totale e forse neanche in modo parziale.
Al via il vertice annuale tra Cina e Stati Uniti
◊ Al via oggi, a Pechino, il vertice annuale tra Cina e Stati Uniti, alla presenza del segretario di Stato americano, Hillary Clinton. Numerosi i temi in agenda: dalla tutela dei diritti umani, agli scambi economici tra i due Paesi, divenuti sempre più importanti in questi ultimi anni. Su una cosa non ci sono dubbi, l’amministrazione Obama ha rivolto fin dall’inizio il suo sguardo verso l’Estremo Oriente, determinando e subendo – anche in seguito alla crisi – lo spostamento dell’asse economico verso quell’area. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Valeria Zanier, docente di Economia dell’Asia Orientale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia:
R. - La Cina mantiene una posizione molto forte riguardo agli Stati Uniti. C’è una grande presenza di capitali cinesi che danno sostanza al debito pubblico americano, a differenza di quanto avviene invece tra Cina e i Paesi europei, dove ancora questa presenza è molto limitata. E comunque, Pechino ha dato più volte manifestazioni a Washington di voler andare incontro ai desideri degli Stati Uniti e alle critiche che questi hanno posto per anni riguardo una politica non leale nei riguardi dei propri partner commerciali da parte del Paese asiatico.
D. - Questo asse economico tra Pechino e Washington che tipo di ricadute ha sull'area in cui si affacciano anche le nuove potenze come l’India, o come il Myanmar che vive una fase di transizione delicatissima?
R. - Cina e Stati Uniti stanno riprendendo l’alleanza per quanto riguarda l’area del Pacifico. In questo, la Cina è stata molto proattiva negli ultimi tre o quattro anni, prendendo parte a vari trattati economici multilaterali. Quindi, sicuramente, si può dire che la Cina ha fortificato il suo ruolo nell’area e adesso gli Stati Uniti sono sicuramente paritari come partner. Però, devono tener conto di un ruolo più preponderante di Pechino, soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra Cina e Corea, Cina e Sudest asiatico. Presumibilmente, anche il Myanmar fa parte di quelle economie in cui la Cina avrà sempre più peso.
D. - Sull’altro fronte c’è l’Europa che vive, come sappiamo, un momento di grande crisi e che incassa però l’appoggio di Pechino. A ribadirlo è il vice premier cinese, Li Keqiang, che si trova a Bruxelles per incontri con i vertici delle istituzioni europee. Molti analisti parlano di pericolo di invasione economica cinese: un rischio concreto?
R. - Di questo si parla a ondate. In realtà, la presenza economica cinese in Europa c’è ma è molto variegata. Ci sono Paesi come la Svezia, l’Olanda, la Germania che hanno visto un incremento pauroso di investimenti cinesi. Altri, come l’Italia o l’Ungheria che magari si aspettavano dei grandi investimenti cinesi, sono invece rimasti per il momento in posizioni defilate. Sicuramente, c’è questo interesse della Cina verso l’Europa. Però, sono un po’ dubbiosa sul fatto che abbia in mente di risollevare l’Europa dalla sua crisi.
D. - E infine l’Africa, altro continente che subisce molto l’influenza cinese. Qui, singoli Stati hanno firmato accordi miliardari con Pechino per la costruzione di infrastrutture. Come vede il futuro su questo fronte?
R. - A differenza dell’azione svolta in Europa, qui la Cina è entrata massicciamente, non ci sono più dubbi. La Cina ha attivamente portato avanti, assieme ai governi locali, lo sviluppo di settori chiave, specie i settori dell’energia, ma anche delle infrastrutture in diversi Stati africani, soprattutto l’Angola o il Sudan e altri. Ormai, la Cina ha un peso che mantiene. Quello che dovrebbe sviluppare, quello di cui appunto si parla da un po’ di tempo in Cina è il suo tentativo di sviluppo di un mercato per i suoi prodotti in Africa, proprio come alternativa ai mercati occidentali e ai mercati più sviluppati, che invece hanno subito questa pesante crisi. L’Africa ha una composizione sociale molto differente, però per alcuni settori di beni di consumo, è praticamente pronta a ricevere tutto quello che la Cina può offrire.
◊ “Sono profondamente dispiaciuto che persone che avevano l‘autorità e la responsabilità per affrontare in modo adeguato il caso di Brendan Smyth, non lo hanno fatto con conseguenze tragiche e dolorose per quei bambini che ha così crudelmente abusato”. Cosi il cardinale Sean Brady, primate della Chiesa irlandese, replica al programma “Questo mondo” della BBC, che il primo maggio ha trasmesso una puntata intitolata “La vergogna della Chiesa cattolica”. Servizio di Roberta Gisotti:
Nel programma – premette il porporato irlandese - si esagera e travisa il mio ruolo nell’inchiesta condotta dalla Chiesa nel 1975 circa le accuse contro il sacerdote premostratense Brendan Smith. In una lunga dichiarazione, diffusa ieri alla stampa, il cardinale Brady chiarisce punto per punto i fatti già esposti agli autori del programma sei settimane prima della messa in onda, ma che sono stati ignorati. Anzittutto – sottolinea il porporato – lasciar intendere, che sia stato lui a condurre l’inchiesta “è seriamente fuorviante e non vero”, quando gli fu chiesto dall’allora vescovo delle diocesi di Kilmore, Francis McKierman, di assistere altri più anziani di lui in quel processo investigativo.
A supportare ciò è la documentazione del colloquio con la vittima, Brendan Boland, sottoscritto in sua presenza, che “identifica chiaramente” nel sacerdote Brady semplicemente il ‘notaio’ o ‘chi prende nota’ delle risposte date da Boland a domande che non aveva formulato lui. Nel 1975 – ricorda il cardinale Brady non esistevano nella Chiesa irlandese delle linee-guida in caso di denuncia di abusi contro un minore. “Nessuna formazione era stata data ai preti, agli insegnanti, agli ufficiali di polizia o altri che lavoravano regolarmente con bambini su come rispondere adeguatemente” a queste denunce. Nel programma della Bbc si dà l’impressione – spiega il porporato – “che io fossi l’unica persona a conoscere le accuse contro Brendan Smith e al tempo stesso per il ruolo che ricopro oggi nella Chiesa io potessi in qualche modo fermare Brenda Smith nel 1975”. Ma “io – aggiunge – non avevo alcuna autorità su Brendan Smith. Anche il mio vescovo aveva limiti d’autorità su di lui. La sola persona che aveva autorità nella Chiesa di fermatre Brenda Smith dall’avere contatti con bambini era l’Abate nel monastero di Kilnacrott ed i suoi Superiori religiosi nell’Ordine premostratense”. Del resto, mons. Charles Scicluna, promotore di Giustizia della Congregazione per la Dottrina della fede ha confermato, in un’intervista ieri mattina alla Servizio pubblico irlandese Rte, che ricade sui superiori di Smith la responsabilità principale di non aver intrapreso adeguate azioni di fronte a quelle prove che Brady aveva fedelmente registrato ed il vescovo McKierman aveva loro trasmesso. Lo stesso mons Scicluna aveva consegnato agli autori del programma della Bbc sei settimane fa una nota dove si evidenzia che “i sinceri sforzi del vescovo McKierman e altri come il sacerdote fr. Brady di impedire che Brendan Smith perpetrasse ulteriormente il danno sono andati frustrati, con tragiche conseguenze per le vita di cosi tanti bambini”. Nella nota, mons. Scicluna dà atto al presidente dei vescovi irlandesi di aver lavorato duramente “per assicurare che una tale situazione non possa mai più ripetersi e perché le autorità civili in Irlanda siano prontamente informate delle denunce di abuso contro bambini”.
“Come altri – riconosce il cardinale Brady – mi sento tradito da chi aveva l‘autorità nella Chiesa per fermare Brendan Smyth e non ha agito sulla base delle prove che ho dato loro. Tuttavia, ho anche accettato che facevo parte di una inutile cultura di deferenza e di silenzio nella società e nella Chiesa, che fortunatamente è ormai un ricordo del passato”. “Oggi sia la Chiesa che lo Stato hanno procedure adeguate e robuste in atto per rispondere alle accuse di abusi contro i bambini”. “Ho lavorato con gli altri nella Chiesa per mettere in atto queste nuove procedure e non vedo l‘ora di continuare – conclude il porporato – quel lavoro fondamentale negli anni a venire”.
◊ Relazioni troppo strette e poco trasparenti tra l’autorità politica e i giornalisti sono un pericolo per la società pluralista. E’ quanto ha dichiarato il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjorn Jagland, in occasione della Giornata mondiale per la Libertà di Stampa che si celebra oggi. “Il rispetto della libertà di stampa – ha sottolineato - dipende tanto dai governi che dai giornalisti”. Di libertà di stampa si deve parlare, dunque, non solo per Paesi sotto dittatura. Questa Giornata è stata voluta dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1993 “per celebrare i principi fondamentali della libertà di stampa, per valutare la situazione in tutto il mondo, per difendere i media dagli attacchi alla loro indipendenza ed offrire un tributo ai giornalisti che perdono la vita nell'esercizio della loro professione”. Delle sfide attuali Fausta Speranza ha parlato con Stefano Marcelli, presidente dell’Isf, Info Security Freedom, costola italiana di Reporter sans frontières:
R. – La giornata del 3 maggio ha accompagnato il grande movimento e anche la grande speranza seguiti alla caduta del Muro di Berlino di diffondere la democrazia in tutto il mondo. Il bilancio, oggi, non è molto positivo: basta vedere i rapporti che tutte le associazioni internazionali presentano negli anni, per vedere un numero di giornalisti colleghi uccisi – quest’anno siamo a venti – ma nel 2011 sono stati più di 90 e così nel 2010. I giornalisti muoiono e quindi il bilancio non è molto positivo.
D. – Nell’ultimo anno abbaimo visto la Primavera araba: che cosa dire di questo in relazione alla libertà di stampa?
R. – La relazione si è dimostrata strettissima perché peraltro c’è sempre un legame forte perché la libertà di stampa è uno dei primi indicatori del livello di libertà, se non di democrazia, dei vari Paesi. Tutto è avvenuto sui blog. Gran parte della battaglia è stata quella per diffondere notizie e immagini di quello che accadeva e in questo modo, attraverso i social network, i telefonini, le nuove tecnologie, molti giovani e intellettuali hanno fatto cadere il muro alzato dalle dittature per impedire il contatto tra le società di questi Paesi e quello che un tempo si chiamava “il mondo libero”. Quello è stato il primo passo che poi ha aperto la strada a queste rivoluzioni che hanno abbattuto alcuni dittatori, ma non si sa ancora se ce la faranno a liberare questi popoli.
D. – Parliamo di libertà di stampa nei Paesi occidentali. Per esempio, l’opportunità che dà il blog è anche una opportunità di libertà di stampa, cioè di libertà di espressione, però, è anche una sfida perché il giornalismo è dettato anche da regole di deontologia professionale che sulla Rete in qualche modo rischiano di sfuggire, di perdersi …
R. – Certamente. Il giornalista, il giornalismo professionale, così come i grandi giornali, le grandi testate che noi siamo abituati a conoscere, sono messi in crisi da vari fattori: anche da internet, da questo che alcuni vedono – e sicuramente, oggettivamente in parte lo è – come un grande strumento di democrazia nell’informazione. Il problema, come molti osservatori fanno notare, è che se un utente va sul web non sa che merce compra. Il giornalista professionista o la testata riconosciuta è quella che garantisce – o dovrebbe garantire, quando fa bene il proprio mestiere – la qualità, cioè la veridicità delle informazioni. Lo vediamo anche nelle Primavere arabe: noi non siamo in grado di verificare se le notizie che ci arrivano dai militanti della Siria, come è successo per la Libia, siano vere o no, perché siamo di fronte a propaganda, non a informazione obiettiva.
D. – Quindi, la sfida è anche quella di reinventare la comunicazione, paradossalmente proprio in questa epoca di massima comunicazione e interdipendenza e globalizzazione … Dunque, non solo giornalisti che muoiono in zone di guerra o comunque in zone di regime, ma anche un giornalismo da ripensare?
R. – Giornalismo da difendere e da ripensare: sono decine di migliaia, ormai, i giornalisti che hanno perso il posto di lavoro negli Stati Uniti, in Europa, nelle grandi testate. C’è una crisi pesante del nostro giornalismo che chiaramente rende meno autonoma la categoria. E poi, c’è la sfida del web, ma io sono convinto che il giornalismo professionale possa sopravvivere anche all’interno del web. Però deve fare innanzitutto un’operazione: ricordarsi che il proprio ruolo è basato su principi etici deontologici e professionali.
Capolavori d'arte della regione Marche in mostra in Vaticano al Braccio di Carlo Magno
◊ "Le meraviglie delle Marche" approdano in Vaticano. Da domani al 10 giugno, il prestigioso Braccio di Carlo Magno in Piazza San Pietro accoglierà un nucleo significativo di capolavori d’arte provenienti da Musei e Raccolte della Regione. Opere di Tiziano, Raffaello, Crivelli, Lotto, Rubens, Reni insieme ad artisti meno noti in un percorso unico e di grande bellezza voluto dalla regione Marche anche per sopperire alla chiusura, per ristrutturazione, della pinacoteca anconetana. Gabriella Ceraso:
Le Marche sono un grande museo diffuso, museo a cielo aperto, ma pochi lo sanno e la mostra in Vaticano vuole esserne una vetrina privilegiata. Non c’è piccolo centro o città in questa regione che non conservi uno o più capolavori mozzafiato, incastonati e legati al territorio perché davvero tanti sono gli artisti che nei secoli vi hanno lasciato un segno. Il curatore della mostra, Giovanni Morello:
“Tranne le grandi depredazioni napoleoniche e i terremoti, purtroppo, devo dire che le Marche hanno conservato una loro integrità culturale, soprattutto sul tema dell’arte”.
Il pensiero va ad un marchigiano doc come Raffaello Sanzio, presente in Vaticano con la sua deliziosa "Santa Caterina di Alessandria", o ai meno noti Federico Barocci, Andrea Lilli, Francesco Podesti. Ma ci sono anche artisti che hanno amato questa terra tanto da volerci lavorare o vivere. Ancora Giovanni Morello:
“Sono stati privilegiati in prima battuta gli artisti marchigiani significativi, quindi anche Podesti, per esempio, che poi è stato il realizzatore della Sala dell’Immacolata nei Musei Vaticani. Andrea Lilli è un pittore che ha riempito, al tempo di Sisto V, la Biblioteca Vaticana, la Scala Santa, San Giovanni in Laterano. Anche De Magistris è un pittore che ha dipinto molto per Roma, ma anche artisti che hanno vissuto nelle Marche, provenienti soprattutto da Venezia e poi da Bologna e da Roma, come Crivelli, Lotto, Tiziano, Sebastiano Dal Piombo, Guido Reni. E’ una mostra che vale la pena di visitare con attenzione, ritrovando a ogni passo un capolavoro diverso”.
In tutto una cinquantina di opere dal ’300 al ’900, in un percorso cronologico eccezionale per densità e conoscenza offerta al visitatore. Tre le tematiche, quella cristologica, quella dedicata agli angeli e ai santi, ma soprattutto quella mariana, la prima, e non poteva essere diversamente, come sottolinea mons. Claudio Giuliodori vescovo di Macerata:
“Le Marche non sarebbero le Marche senza la Santa Casa di Loreto. A partire dal 1300, questa realtà ha fatto delle Marche anche il veicolo lauretano nel mondo. Queste opere che onorano la Madonna mettono in evidenza anche con la loro bellezza lo stesso patrimonio della fede. Questa è una responsabilità anche per noi marchigiani. Come vescovi, sentiamo l’esigenza di custodire ma anche di onorare con una fede vissuta questo patrimonio di cui disponiamo”.
Apre la mostra la tavola trecentesca attribuita a Paolo Veneziano con alcune “Storie della Vergine”, a seguire tra gli altri l’"Annunciazione", capolavoro di Guido Reni. Nella sezione cristologica spicca la "Resurrezione" di Tiziano Vecellio e il “Salvator mundi” di Melozzo da Forlì. Affollata la galleria dei Santi che, dall’icona della mostra "San Sebastiano" di Guido Reni, culmina con “San Nicola di Bari in gloria” del calabrese Mattia Preti, venerato sia in Occidente che in Oriente. Un percorso affascinante che tanto ha da dire sulla religiosità di questa terra. Ancora mons. Giuliodori:
“Sono opere di natura religiosa, quindi nascono dalla fede di un popolo che è collocato a diretto contatto con la cristianità, con Roma. Non dimentichiamoci che per secoli le Marche hanno fatto parte dello Stato Pontificio. Inoltre, queste opere rappresentano l’esperienza viva del popolo marchigiano, che è un popolo ancora ricco di fede”.
Una mostra dunque che vuole far conoscere le Marche al resto dell’Italia, ma anche le Marche agli stessi marchigiani, come sottolinea il presidente della regione, Gian Mario Spacca. Per questo, l’esposizione da Roma si sposterà dal 5 luglio al 30 settembre a Buenos Aires, al Museo nazionale di Arte decorativa, in Argentina, dove vive una delle più grandi comunità marchigiane nel mondo.
Arriva nei cinema il film su suor Maria Mazzarello, cofondatrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice
◊ “Maìn la casa della felicità” è il titolo del film sulla figura di Maria Domenica Mazzarello che viene presentato oggi ai giornalisti e, in anteprima mondiale, domani presso l’Auditorium Parco della musica di Roma. Una pellicola che racconta la storia della cofondatrice, con don Bosco, dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, canonizzata da Pio XII nel 1951. Il film è stato pensato in occasione del 140.mo anniversario della fondazione dell’Istituto che oggi è presente in 94 nazioni dei 5 continenti con oltre 13 mila suore e più di 250 novizie. Benedetta Capelli ha intervistato suor Caterina Cangià, che ha curato il film nell’ideazione, nella sceneggiatura e nella produzione:
R. – E’ stato il mio Istituto che ha avuto l’idea, quindi il Consiglio generalizio ha preso contatto con me, perché già in precedenza, nel 2002, avevo prodotto un cd rom con nove clip musicali e immagini. Allora, forte di quella mia esperienza, mi hanno chiesto di realizzare il film e almeno di prendermene cura. Man mano che io procedevo, mi sono resa conto che era necessaria una casa di produzione – qui il nodo più grande – e ho deciso di far nascere una casa di produzione dalla mia casa editrice, la Multidea. Ho fatto domanda al Ministero, che ci ha concesso di essere casa di produzione. Ho coinvolto molte persone, ho fatto lavorare tanti giovani e mi sono messa al loro fianco per produrre lavoro e al tempo stesso scegliere gente con competenza rilevante e notevole.
D. – Questo film racconta la storia di Maria Domenica Mazzarello. Come lo avete pensato?
R. – Intanto ho desiderato raggiungere varie fasce di età e ho iniziato quindi da Maìn, come la chiamavano i suoi cari, perché Maria in piemontese si dice proprio Maìn. Ho iniziato da quando aveva 11, 12 anni – l’età della sua Prima Comunione, dei primi capricci – e poi sono andata avanti mostrandola già adolescente, a 18 anni, quando fa parte di un’associazione di Figlie dell’Immacolata. Poco a poco ho raccontato tutta la sua vita, fino alla morte, una morte luminosissima, raccontata appena con la malattia, e poi descritta con un’immagine alla Terence Malick: un letto luminoso, vuoto, e un bellissimo Crocifisso, accompagnato da un suo pensiero. Il film non chiude con questa scena, ma chiude con tutta una serie di immagini di archivio - dalla sua morte in poi - di come l’Istituto si sia espanso nel mondo, di come sia cresciuto.
D. – E come viene invece indagato il rapporto con don Bosco?
R. – Si parla di don Bosco già prima del suo arrivo, quando il suo direttore spirituale, anticipa la sua venuta. Quindi, la gioia e l’entusiasmo si legge negli occhi di Maria e nel suo sorriso. Don Bosco arriva e c’è un incontro di sguardi che, nella storia era tradotto dall’espressione: “Don Bosco è un santo, io lo sento”, un’impressione detta da Maria Domenica Mazzarello e riportata nella cronistoria. Poi, don Bosco lo si vede alla professione religiosa, dove pronuncia i due messaggi più belli, che avrebbe potuto dire: “Voi siete monumento vivo all’Ausiliatrice”. Così vediamo Maìn, le sue consorelle in abito da religiose e poi vediamo che lui affida loro a lei. Sono due brevi discorsi. Ci sono poche parole all’interno del film fra don Bosco e Maìn ma estremamente intense, molto ben scelte e vince soprattutto questo sguardo che si scambiano.
D. – Oggi che esempio di santità è quello di Maria Domenica Mazzarello?
R. – E’ un esempio di santità possibile, di santità direi quasi grintosa, di santità che vuol portare avanti un progetto. Possiamo rileggerla noi adulti, e i ragazzi soprattutto, in quest’ottica. Perciò è un esempio che ci dice che si può fare: si possono avere idee, si possono insegnare cose ai ragazzi e soprattutto si può far sì che i ragazzi ci seguano.
D. – Perché Maìn, la casa della felicità?
R. – Maìn è lei e la casa della felicità è ancora lei. Noi siamo casa, quando siamo accoglienza per gli altri, quando siamo apertura, quando siamo in un certo senso reciprocità. La casa è anche l’ambiente, certamente, un ambiente che è quello delle mura, accogliente, bello, ma la casa è ambiente anche per quello che è il contesto: il contesto storico, il contesto del luogo dove siamo, il contesto di città, di paese, di quartiere. La casa della felicità. Lei diceva: “Questa è la casa dell’amore di Dio” e aveva fatto fare un cartellone proprio sulle pareti del porticato. Oggi scrivere un titolo così lungo sarebbe impossibile, ma c’è felicità quando c’è amore di Dio e così ho sintetizzato.
D. – Ha un messaggio da rivolgere ai nostri ascoltatori per questo film?
R. – Andatelo a vedere, perché vi racconterà la santità in una maniera vivace, in una maniera curatissima, dal punto di vista dell’immagine, dell’illuminazione e della recitazione degli attori. Un film che va visto, e non perché l’ho fatto io!
Siria: dura condanna dei vescovi contro la violenza
◊ Contiene una dura condanna della violenza, da qualunque parte essa provenga, un forte appello alla riconciliazione ed un’esortazione a essere solidali, il messaggio finale dell’assemblea dei vescovi di Siria che si è svolta lo scorso 25 aprile ad Aleppo, sotto la presidenza del patriarca melkita Gregorios III Lahham e alla presenza del nunzio apostolico, mons. Mario Zenari. Nel testo, diffuso in questi giorni dal patriarcato greco melkita e ripreso dall'agenzia Sir, si ribadisce anche l’appoggio ed il sostegno alla missione dell’inviato Onu, Kofi Annan, specialmente per quello che concerne il ritiro delle truppe dai centri abitati. Dicendosi a fianco del popolo siriano, “nella ricerca di una vita dignitosa e dell’unità nazionale”, i vescovi ribadiscono la necessità di “portare avanti un effettivo processo di riforme” da realizzarsi “coordinando gli sforzi di tutti i siriani, Governo, partiti, Opposizione”. “Lo Stato - si legge nel messaggio - ha invitato al dialogo ed esortiamo tutti i partiti nazionali in patria e all‘estero a formare una nuova Siria democratica multi-partitica”. Da qui l’appello a partecipare al voto del 7 maggio per l’Assemblea nazionale. Dai vescovi giunge anche una ferma condanna delle violenze e la solidarietà ai “nostri fedeli cristiani, che sono stati costretti a lasciare le loro case, città o villaggi. A volte sono stati usati come scudi umani e i loro quartieri come campi di battaglia. Faremo del nostro meglio per aiutarli attraverso Caritas Siria e tutte le nostre istituzioni, per cercare di soddisfare i loro bisogni materiali, pastorali, sanitari e sociali”. (R.P.)
Siria: blitz delle Forze di sicurezza al campus universitario di Aleppo
◊ Non si ferma l’ondata di violenza in Siria, a oltre un anno dall’inizio della rivolta popolare contro il regime del presidente Bashar al Assad e a poco più di due settimane dal dispiegamento - il 16 aprile - dei primi osservatori Onu incaricati di sorvegliare la tregua prevista dal piano di pace del mediatore internazionale, Kofi Annan. Stanotte, in un’operazione delle Forze di sicurezza, appoggiate da sostenitori armati pro Damasco, almeno 4 studenti sono rimasti uccisi ed una cinquantina feriti nel campus universitario di Aleppo. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani e i Comitati di coordinamento locali, che hanno diffuso la notizia e i relativi video su internet, circa 2.000 membri delle forze di sicurezza hanno fatto irruzione nei dormitori dell’ateneo - focolaio da mesi di proteste pacifiche anti-regime - sparando lacrimogeni e facendo ricorso alle armi. Duecento gli arresti. Nelle ultime ore, intanto, sono almeno 21 le persone uccise dai fedelissimi di Assad in tutto il Paese. A Damasco, poi, sono stati arrestati i due figli di Fayez Sara, scrittore, editorialista e dissidente siriano. (G.A.)
Nigeria: più di 30 morti nell’attentato a un mercato nel nordest del Paese
◊ Sono almeno 34 i morti causati da un attentato in un mercato di bestiame avvenuto nel pomeriggio di ieri a Potiskum, nel nord-est della Nigeria. Secondo fonti di agenzia il bilancio dell’attacco è destinato ad aggravarsi e le vittime potrebbero essere una cinquantina. Le informazioni sono ancora scarne. Le vittime sarebbero state uccise durante un assalto commesso da una banda criminale che ha aperto il fuoco ed ha lanciato degli ordigni esplosivi sulla folla. Al momento l’ipotesi prevalente è che si sia trattato di un atto particolarmente efferato di banditismo. Non si può però ancora del tutto escludere l’ipotesi che l’assalto sia stato commesso da membri della setta Boko Haram, che di recente ha commesso attentati contro diversi obiettivi, luoghi di culto cristiani compresi. Se venisse confermato il coinvolgimento di Boko Haram in questo attacco, suonano tristemente profetiche e ammonitrici le parole rilasciate all’agenzia Fides solo pochi giorni fa da mons. Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, il quale, lamentando l’inefficienza delle forze di sicurezza, aveva affermato: “Ci si deve chiedere dove sarà il prossimo attacco. In un aeroporto? In un mercato all’aperto o in un altro luogo affollato?”. Mons. Kaigama ha inoltre ribadito che “la Chiesa, specie quella cattolica, è un obiettivo”. L’allarme è stato rilanciato dal Presidente dell’Associazione dei Cristiani della Nigeria (Can) Ayo Oritsejafor, che ha chiesto alle autorità di fermare il terrorismo contro i cristiani, anche per impedire azioni di rappresaglia. Ayo Oritsejafor ha rivolto un appello a tutti i nigeriani perché rimangano calmi e non seguano la via della violenza. (R.P.)
Sudan: a Kosti migliaia di sud sudanesi a rischio espulsione
◊ È stata estesa al prossimo 20 maggio la data limite per l’espulsione di migliaia di cittadini sud sudanesi accampati nella città di Kosti a sud di Khartoum. A annunciare la decisione è stato il ministro per gli Affari sociali Amira al Fadel Mohammed, intervenendo su uno degli argomenti di maggior dibattito tra i governi del Nord e del Sud Sudan. Nelle scorse settimane, il governo sudanese aveva fissato per sabato 5 maggio la scadenza per l’espulsione di una comunità tra le 12.000 e le 15.000 persone, tutti sud sudanesi accampati in tende e alloggi di fortuna nei pressi di Kosti, in attesa di potersi imbarcare per il viaggio a bordo di un’imbarcazione sul Nilo Bianco, che li avrebbe condotti verso il Sud Sudan. “In molti aspettano qui da mesi, e vivono in condizioni disastrose, senza cibo né luce. Ma tutto è bloccato e dal porto non si muovono le chiatte né i camion sulle strade che li dovrebbero riportare oltrefrontiera” spiegano all'agenzia Misna fonti missionarie che preferiscono rimanere anonime. Secondo l’ambasciata di Juba a Khartoum , allo stato attuale sono circa 350.000 i cittadini sud sudanesi tuttora presenti in Sudan. In base alla normativa approvata dal governo, a partire dall’8 aprile devono attivarsi per lasciare il Paese o sbrigare le formalità che gli consentano di rimanere nel Paese. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni hanno chiesto al governo di Khartoum di estendere ulteriormente la scadenza per l’espulsione, dato che molti non hanno i mezzi per riuscire a garantirsi un trasferimento “sicuro e dignitoso” nel Paese vicino e che la comunità internazionale non dispone della capacità logistica per trasferirli in un così breve lasso di tempo. (R.P.)
Somalia: ancora un giornalista ucciso. Un altro colpo alla libertà di stampa
◊ Non si è fermata neanche alla vigilia della Giornata internazionale per la libertà di stampa, che ricorre oggi, la mattanza di giornalisti e operatori dell’informazione nel paese del Corno d’Africa in preda ad un ventennale conflitto armato. Ieri sera uomini armati hanno aperto il fuoco contro un reporter di una emittente radiofonica di Galkayo, nel Puntland, uccidendolo sul colpo. Farhan Jemis Abdulle, speaker di Radio Daljir - riferisce l'agenzia Misna - è stato raggiunto da una raffica di proiettili mentre tornava a casa, poco dopo aver lasciato gli uffici dell’emittente. Gli assalitori si sono dati alla fuga immediatamente. Negli ultimi mesi la città di Galkayo, al confine tra Puntland e la autoproclamata regione di Galmuduug ha assistito a un’insorgere di violenze da clan e movimenti di diverso orientamento politico. Farhan, il quinto giornalista somalo ucciso dall’inizio dell’anno, indagava sulla pirateria e le attività illegali che proliferano lungo la costa somala. Lascia una moglie e tre figli. (R.P.)
Congo: in tre mesi oltre 240 mila sfollati dal Nord Kivu: la denuncia di un missionario
◊ “Nel primo trimestre del 2012, nel solo Nord Kivu, gli sfollati sono aumentati di 241.000 unità” denuncia all’agenzia Fides padre Loris Cattani, missionario saveriano animatore di “Rete Pace per il Congo”. La popolazione del Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, è costretta alla fuga dalle violenze commesse da qualche centinaio di militari che hanno disertato le file dell’esercito. I disertori sono militari provenienti dal Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (Cndp), integrati nell’esercito nazionale nel 2009 (in base agli accordi di pace), ma ancora sotto il comando del generale Bosco Ntaganda, accusato di crimini contro l’umanità e ricercato dalla Corte Penale Internazionale. Secondo l’Onu il totale delle persone sfollate nella Rdc supera i 2 milioni. Rete Pace per il Congo aveva denunciato le violenze commesse dai militari disertori nel Nord e nel Sud Kivu, ma in base alle notizie finora raccolte, la situazione più grave rimane quella del Nord. “Nel Sud Kivu sembra che la defezione in massa dei militari sia rientrata: diversi soldati disertori sono rientrati tra le file dell’esercito regolare mentre alcuni comandanti che avevano incitato la ribellione sono stati arrestati” afferma padre Cattani. La differente situazione del Nord Kivu rispetto al Sud deriva dal fatto che, secondo padre Cattani, Bosco Ntaganda ha la sua roccaforte nel Nord, soprattutto nel territorio di Masisi. “Non so bene perché stia succedendo tutto questo, però posso avanzare delle ipotesi” continua il missionario. “Sicuramente c’è una reazione da parte dei soldati provenienti dal Cndp all’aumento della pressione internazionale sul governo di Kinshasa perché consegni Bosco Ntaganda alla Corte Penale Internazionale. Non si può escludere, inoltre, un tentativo da parte del Cndp che si è trasformato in un partito politico, di intimidire la popolazione del territorio di Masisi in vista delle elezioni parlamentari che si dovranno tenere tra due mesi. Ma si tratta solo di un’ipotesi personale” conclude padre Cattani. Nel Masisi le elezioni legislative sono state annullate per i disordini che erano avvenuti, e per il momento il Cndp non ha deputati nel Parlamento. (R.P.)
Pakistan: oltre 1.200 i nuovi missionari “pronti a diffondere la Parola di Dio”
◊ “Sono pronti per essere missionari in Pakistan ma anche ad gentes”. Così, all’agenzia Fides, padre Mario Rodrigues, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie e organizzatore delle Scuole di animazione missionaria nel Paese, su quanti, tra laici e religiosi soprattutto giovani, si sono formati in varie diocesi per intraprendere l’opera evangelizzatrice. “Questi animatori maturano la responsabilità, sempre più forte, di diffondere la Parola di Dio. La missione, per noi cristiani in Pakistan, significa servizio e amore al prossimo” sottolinea padre Mario. L’Anno della missione, in corso nel Paese dallo scorso ottobre, è stato avviato in occasione dei 60 anni di fondazione delle Pontificie Opere missionarie nello Stato asiatico e ha cominciato a portare i primi frutti. “Vi sono già tre giovani missionari che, dopo un periodo di formazione, sono partiti per la missione ad gentes in Asia, un continente che attende la testimonianza e l’annuncio del Vangelo”. Le tematiche affrontate nelle sessioni organizzate dalle scuole, che vedono la partecipazione di religiosi e laici, riguardano la missione e attingono dalla teologia, dalla attualità, dalla spiritualità; l’ultima si terrà nel mese di agosto sugli aspetti pastorali della missione e infine, in autunno, ad Islamabad si terrà la solenne conclusione dell’Anno. (G.M.)
Nepal. Il vicario apostolico: “Libertà religiosa a rischio, cresce l’estremismo indù”
◊ “Speriamo vivamente che i lavori per la nuova Costituzione vengano ultimati. Ci appelliamo alla responsabilità e alla buona volontà di tutte le forze politiche. Chiediamo, per il futuro, il pieno rispetto della libertà religiosa in Nepal”: è l’appello lanciato tramite l’agenzia Fides dal vicario apostolico del Nepal, mons. Anthony Sharma, mentre, con l’approssimarsi della scadenza del 27 maggio, l’impasse per la redazione della nuova carta non è ancora superato. “La Chiesa – ribadisce il vicario apostolico – chiede che la nuova Costituzione sancisca la piena libertà religiosa. Vogliamo uno Stato laico, che tuteli le libertà e i diritti individuali e riconosca tutte le comunità religiose. Auspichiamo una Carta che dia uguali diritti alle donne, pari opportunità, superando definitivamente il sistema delle caste”. Se il testo non verrà ultimato, nota mons. Sharma, tali principi fondamentali possono essere in pericolo: “Il Nepal era un regno indù. Oggi esistono ancora partiti e gruppi che vorrebbero fare del Nepal una nazione indù. Questo retaggio ha dato vita al Nepal Defense Army (Nda), gruppo radicale indù che in passato ha colpito persone e obiettivi cristiani. Sospettiamo sia finanziato dai gruppi estremisti indù che operano in India, come il Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss)”. In Nepal, le circa 2.500 comunità cristiane e i 2 milioni di fedeli cristiani intendono contribuire allo sviluppo del Paese, operando nel rispetto della dignità di ogni uomo. La Chiesa cattolica (oltre 7.000 anime) si impegna soprattutto con il servizio dell’istruzione, per tutti i cittadini. Le 32 scuole cattoliche insegnano i valori fondamentali a circa 21mila alunni, fra cui 11mila ragazze. “La Chiesa – conclude il vicario – ha sempre offerto la testimonianza dell’amore di Cristo tramite opere sociali. Così molti ci chiedono di diventare cristiani e abbiamo da 300 a 500 nuovi battezzati l'anno”. (R.P.)
Sud Corea: la Chiesa cattolica continua a crescere
◊ La Chiesa cattolica coreana continua a crescere. Nel 2011 sono stati celebrati 134.562 battesimi, che hanno portato il numero totale dei fedeli a 5.309.964: si tratta del 10,3 % della popolazione della penisola coreana. Questo dato mette in luce un altro aspetto positivo, ovvero l'aumento continuo dei fedeli nel Paese, che negli ultimi 10 anni sono cresciuti con una media del 2/3 % annuo. È quanto emerge dalle Statistiche della Chiesa cattolica in Corea, pubblicate dalla Conferenza episcopale. Analizzando i dati ripresi dall'agenzia AsiaNews - si notano diversi aspetti positivi ma anche alcuni aspetti negativi: aumenta l'età media dei fedeli e diminuisce, soprattutto nelle grandi città, la partecipazione alla messa domenicale. Tuttavia i vescovi ritengono questi fattori "temporanei" e si impegnano per ridurli al più presto. Secondo le Statistiche i fedeli maschi sono 2.193.464 (il 41,5 % del totale) mentre le femmine sono 3.095.332, ovvero il 58,5 %. Va sottolineato poi che del totale dei battesimi celebrati nel 2011, 25.717 riguardano neonati (un aumento del 7,5 % rispetto all'anno precedente) mentre il resto, più di 100mila, riguarda adulti convertiti al cristianesimo. Per quanto riguarda le diocesi, è Seoul a condurre con il 27 % dei fedeli totali; subito dopo vengono Suwon (14,8 %), Daegu (8,8 %) e Incheon (8,6 %). In termini assoluti, nella capitale i cattolici sono il 13,6 % della popolazione. Aumentano anche i matrimoni religiosi, che toccano un totale pari a 20.492: di questi, 12.361 sono stati celebrati fra un battezzato e un non battezzato. Di pari passo con l'aumento dei fedeli, aumentano anche le parrocchie, che nel 2011 sono cresciute di 38 unità per un totale di 1.647. Per quanto riguarda il clero, in Corea vi sono 34 vescovi e 1 cardinale; 4.455 sacerdoti coreani e 166 stranieri; 1.587 seminaristi. Lo scorso anno sono stati ordinati 141 sacerdoti, un aumento del 3,3 % rispetto all'anno precedente. Mons. Lazzaro You Heung-sik, vescovo di Daejeon e presidente della Commissione episcopale per la cura dei migranti, spiega ad AsiaNews: "Di questa crescita dobbiamo ringraziare Dio, che è il Creatore di tutto, ma anche i nostri laici. La Chiesa della Corea del Sud punta molto su di loro, perché tutti devono essere annunciatori del Vangelo. Nella mia diocesi abbiamo deciso di offrire, in tutte le parrocchie, un corso per spiegare come si deve annunciare la Buona novella, e questo sta dando i suoi frutti". Secondo il presule, inoltre, "i matrimoni e le conversioni sono doni del Signore. Qui a Daejeon abbiamo celebrato più di 7mila battesimi di adulti, nel 2011, e un centinaio di matrimoni misti. La cosa meravigliosa è che, in questi casi, il sacramento nuziale diventa vocazione alla conversione. Posso dire con gioia che, in queste famiglie, circa un anno dopo il matrimonio, quasi sempre assistiamo a un nuovo battesimo adulto". (R.P.)
Cina: nel mese di maggio giovani volontari cattolici a servizio dei Santuari mariani
◊ Servono la Messa, accolgono i pellegrini, dirigono il traffico, aiutano gli anziani a salire al santuario, rispondono ad ogni esigenza logistica: sono i giovani volontari cattolici che hanno scelto di vivere il mese di maggio offrendo il loro servizio ai santuari mariani durante questo mese che registra il più grande afflusso di pellegrini di tutto l’anno. Dal momento che in Cina le vacanze per il 1° maggio, festa dei lavoratori, durano almeno tre giorni, i cattolici approfittano di questa vacanza per andare in pellegrinaggio ad uno dei Santuari mariani per l’apertura del mese mariano. Ciò comporta un grande impegno per l’assistenza pastorale e logistica dei fedeli da parte degli addetti ai Santuari, così il contributo di questi giovani diventa importante e tempestivo. Secondo quanto riferito all’agenzia Fides da Faith dell’He Bei, uno dei tanti esempi viene dal famoso santuario di Nostra Signora della Cina di Hu Xian, nella provincia dello Shaan Xi, dove il Gruppo della carità, composto da giovani universitari cattolici, si è mobilitato fin dall’inizio di maggio per questo servizio. Durante la condivisione, quasi tutti i diversi gruppi di pellegrini hanno dedicato il loro pensiero a questi giovani, che sono “la speranza della Chiesa”. I pellegrini hanno detto di aver visto in loro “i successori dei primi evangelizzatori”, perchè “loro sono i migliori evangelizzatori”. Ma anche i giovani volontari cattolici sono entusiasti di questo servizio: “per noi è come un nuovo battesimo, un rinnovamento spirituale. Vedendo la devozione degli anziani, dei giovani e dei bambini, ci sentiamo fortificati nella fede”. Nonostante il servizio e la fatica quotidiana, i giovani volontari pregano insieme tutte le sere, e ogni settimana hanno un nuovo tema di spiritualità da approfondire. (R.P.)
Usa: e-book dell’arcivescovo di Philadelphia sulla libertà religiosa
◊ Al cuore della battaglia contro gli attuali attacchi alla libertà religiosa negli Stati Uniti c’è la necessità per i fedeli di ricostruire una cultura cristiana che sia il sale della democrazia. L'esperienza americana della libertà personale è infatti inconcepibile senza un fondamento cristiano. È la tesi sostenuta dall’arcivescovo di Philadelphia mons. Charles J. Chaput, nel suo nuovo e-book “A Heart of Fire: Catholic Witness and the Next America” in cui affronta il tema del rapporto tra libertà religiosa e società con riferimento al contesto americano contemporaneo. "Le idee moderne sulla dignità umana, i diritti, i doveri e la libertà sono figlie della cultura occidentale e la cultura occidentale è figlia del cristianesimo", ricorda il presule in un’intervista sul libro al quotidiano dell’arcidiocesi di Denver “Catholic Register”, ripresa dall’agenzia Cns. Secondo mons. Chaput, anche se la cultura americana contemporanea è diversissima da quella dei Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America, il cristianesimo resta il quadro di riferimento morale del mondo occidentale, che deve riconoscere la libertà religiosa come un diritto naturale di tutta l'umanità: “Se c’è una cosa che il cristianesimo sa fare molto bene è trovare un giusto equilibrio tra la dignità di ogni persona e gli obblighi sociali che ognuno di noi ha verso il bene comune". Di fronte alle crescenti sfide del mondo attuale i cristiani non possono limitarsi a deplorarle, ma - afferma mons. Chaput - devono costruire questa cultura religiosa e difendere la libertà della fede, attraverso la conversione personale e dicendo "sì" a Cristo: "L'unico modo per farlo è quello di vivere realmente quello in cui dicono di credere. Nulla è più efficace o più attraente dell’esempio personale," dice mons. Chaput. "Ma dobbiamo anche far valere i nostri diritti e premere sui nostri rappresentanti a fare lo stesso". (A cura di Lisa Zengarini)
Dal 7 al 12 maggio l’Assemblea generale delle Pontificie Opere Missionarie
◊ “Missio ad gentes, paradigma della nuova evangelizzazione” è il tema della sessione pastorale che aprirà l’Assemblea generale annuale delle Pontificie opere missionarie (Pom), dal 7 al 12 maggio nella Casa di esercizi dei Salesiani di via della Pisana a Roma. L’incontro riunirà i direttori nazionali delle Pom provenienti da tutti i continenti e il presidente e i segretari generali dei quattro organismi missionari. Come riporta l’agenzia Fides, sarà il saluto del presidente delle Pontificie Opere Missionarie, l’arcivescovo Piergiuseppe Vacchelli, ad inaugurare i lavori. Nel pomeriggio di lunedì 7 è previsto l’intervento del Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il cardinale Fernando Filoni, che presiederà anche l’Eucaristia alla fine della giornata. Il tema su cui si soffermerà la sessione pastorale è: “Missio ad gentes, paradigma della Nuova Evangelizzazione”, che sarà illustrato da mons. Aldo Giordano (Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa di Strasburgo) e da padre Vito Del Prete, Segretario generale della Pontificia Unione Missionaria cui seguiranno i lavori di gruppo e il dibattito in aula. Da mercoledì 9 maggio comincerà la sessione ordinaria dell’Assemblea, con la relazione introduttiva di mons. Vacchelli e gli adempimenti previsti dallo Statuto. Seguiranno le relazioni dei segretari generali delle quattro Pom; nella stessa mattina prenderà la parola il segretario generale della Pontificia Opera della Propagazione della Fede, padre Timothy Lehane Barrett e nel pomeriggio il segretario generale della Pontificia Opera di San Pietro Apostolo, mons. Jan Dumon. Giovedì 10 sarà la volta di J. Baptistine Ralamboarison, segretaria generale della Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria e di padre Vito Del Prete, segretario generale della Pontificia Unione Missionaria. Il programma di venerdì prevede l’esame delle decisioni assembleari e adempimenti finali. (G.M.)
Messico: ancora grave il sacerdote accoltellato la scorsa settimana
◊ Restano gravi le condizioni di mons. Simon Garcia Casas, accoltellato la scorsa settimana in Messico da uno sconosciuto. Lo riferisce l’agenzia Fides. “È triste e deplorevole quando, con queste azioni, l’uomo si allontana da Dio, usando la violenza” ha detto il vescovo della diocesi di Culiacan, mons. Jonas Guerrero Corona, dopo aver domandato notizie sullo stato di salute di Casas, parroco della parrocchia Cristo Resucitado, che rimane in osservazione nell’ospedale della zona. Intanto la Procura continua a guidare le indagini per risalire all’autore dell’aggressione, di cui ancora non sono chiare le motivazioni. Secondo dati raccolti da Fides, nel solo mese di aprile, nella zona di Sinaloa, dove si trova la parrocchia, sono state uccise 143 persone. (G.M.)
Albania: al via a Tirana l'Assemblea dei vescovi
◊ I vescovi dell’Albania sono riuniti da ieri a Tirana per la XVIII Assemblea plenaria della Conferenza episcopale (Cea). Al centro dei lavori l’elezione della nuova presidenza e la lettera per il centenario della Indipendenza del paese. Come già si era deciso nell’ultima plenaria, i vescovi dell’Albania si rivolgeranno “ai fedeli e a tutte le persone di buona volontà” con una lettera in occasione dei cento anni della proclamazione di Indipendenza (28 novembre 1912). Il testo della lettera che si approverà in questa Assemblea, sarà diffuso attraverso i mass media. “Il bene del Paese - si legge in un comunicato della Conferenza episcopale albanese ripreso dall'agenzia Sir - è stato e continua ad essere una costante preoccupazione per i pastori della Chiesa Cattolica in Albania”. In questi tre giorni di lavoro assembleare, i vescovi discuteranno anche delle questioni relative alla vita della Chiesa come ad esempio il nuovo messale in albanese, il rapporto con i mass media e le possibilità di un’ulteriore collaborazione. Nell’ultima parte si parlerà delle varie commissioni della Cea e si informerà sul lavoro svolto nel corso dell’anno. La conferenza si conclude domani mattina. Nel corso della sessione pomeridiana di ieri è stato eletto nuovo presidente della Cea, mons. Angelo Massafra, arcivescovo di Shkodër Pult e già vicepresidente della Conferenza episcopale albanese. I vescovi hanno inoltre proceduto alla nomina del loro vicepresidente, mons Lucjan Avgustini, vescovo di Sapë, già segretario generale. Neosegretario generale è invece stato nominato mons. George Frendo, vescovo ausiliare di Tirana. Il presidente uscente dei vescovi albanesi è mons. Rrok Miridta, arcivescovo di Tirana. (R.P.)
◊ L’ultima statistica pubblicata dalla Curia generale dei Cappuccini, presenta la consistenza numerica dei questi Religiosi e la loro distribuzione nei continenti. Al 1° gennaio 2012 i Cappuccini sono 10.364 e sono presenti in 106 Paesi, così distribuiti: 1321 in Africa; 1720 in America Latina; 662 in America Settentrionale; 2283 in Asia-Oceania; 4378 in Europa. Altri dati riguardano la composizione interna, costituita da 613 Postulanti; 375 Novizi; 1513 Professi temporanei; 8851 Professi perpetui; 6968 sacerdoti; 15 Diaconi permanenti; 161 non permanenti; 1631 Fratelli non sacerdoti. Nell’ambito gerarchico i Cappuccini sono presenti con un cardinale e 88 arcivescovi e vescovi, quasi tutti in Paesi in via di sviluppo. (A cura di padre Egidio Picucci)
Al Patriarca Bartolomeo I il prestigioso "Four Freedoms Award"
◊ “Per i suoi straordinari sforzi a favore della libertà religiosa e per la sua dedizione a un dialogo di riconciliazione fra cristiani, musulmani ed ebrei, che ha iniziato insieme a Papa Giovanni Paolo II”: è la motivazione con la quale, il 12 maggio prossimo, verrà consegnato all’arcivescovo ortodosso di Costantinopoli e Patriarca ecumenico, Bartolomeo I, il Four Freedoms Award, prestigioso riconoscimento assegnato ogni anno a personalità che hanno dimostrato particolare impegno relativamente ai quattro principi proclamati dal presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, il 6 gennaio 1941, in un celebre discorso al Congresso. Quattro principi essenziali alla democrazia: libertà di parola ed espressione, libertà di religione, libertà dal bisogno, libertà dalla paura. Bartolomeo I - riporta L'Osservatore Romano - verrà premiato con la Freedom of Worship Medal. Il quotidiano impegno per porre la libertà religiosa alla base della società, non solo in Turchia ma in tutta l’Europa centrale e orientale, «lo ha identificato come una delle figure di spicco sulla scena internazionale che si è totalmente dedicata al significato e al compimento delle quattro libertà». Nella motivazione si ricordano anche le battaglie di Bartolomeo I per la salvaguardia dell’ambiente, che gli hanno fatto guadagnare l’appellativo di «Patriarca verde». Il Four Freedoms Award, voluto dal Roosevelt Institute per mantenere viva l’eredità del presidente, viene consegnato ogni anno, alternativamente, in Hyde Park a New York e a Middelburg, nei Paesi Bassi. Il 12 maggio la cerimonia, organizzata dalla fondazione Roosevelt Stichting, si svolgerà a Middelburg, zona nella quale nacque il bisnonno di Roosevelt, James, e vedrà probabilmente la partecipazione della regina Beatrice e del primo ministro (dimissionario) Mark Rutte. L’International Four Freedoms Award è andato all’ex presidente brasiliano Luiz Inácio “Lula” da Silva, la Freedom of Speech and Expression Medal al canale satellitare Al Jazeera, la Freedom from Want Medal a Ela Ramesh Bhatt, fondatrice in India dell’Associazione per le donne lavoratrici autonome, mentre la Freedom from Fear Medal verrà consegnata a Hussain al-Shahristani, vice primo ministro dell’Energia del governo iracheno. Tornando a Bartolomeo I, il Roosevelt Institute ricorda come, fin dalla sua elezione, nel 1991, il Patriarca ecumenico abbia lavorato per promuovere la riconciliazione fra le comunità ortodossa, cattolica e musulmana nell’ex Jugoslavia, sostenendo tutte le misure necessarie al raggiungimento della pace nei Balcani. Si è poi attivamente adoperato per l’avanzamento del dialogo teologico fra la Chiesa cattolica, la Comunione anglicana e le altre confessioni, ed è stato a lungo vicepresidente della commissione Fede e costituzione del World Council of Churches. Ha guidato, inoltre, la ricostituzione della Chiesa autocefala di Albania e della Chiesa autonoma di Estonia, oltre a fornire sostegno spirituale a molti altri Paesi di tradizione ortodossa usciti da decenni di persecuzione religiosa dietro la “cortina di ferro”. Innumerevoli, infine, le conferenze internazionali di pace da lui promosse, così come gli incontri a livello ecumenico, panortodosso e interreligioso. (L.Z.)
Pompei: attesi migliaia di fedeli per la Supplica dell’8 maggio
◊ Martedì 8 maggio, ancora una volta il “popolo di Maria” si ritroverà a Pompei, dinanzi al santuario della Beata Vergine per la recita della tradizionale Supplica, la preghiera che il Beato Bartolo Longo compose nel 1883. Gli appuntamenti, intorno ai quali si ritroveranno migliaia di fedeli, avranno inizio alle 18 di domenica prossima, quando mons. Carlo Liberati, arcivescovo e delegato pontificio di Pompei, presiederà il rito della discesa del quadro della Vergine e guiderà la recita del Santo Rosario. Alle 19, poi, la solenne celebrazione eucaristica; il giorno 8 sarà mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, a presiedere la concelebrazione, che inizierà alle 10.30 e vedrà la presenza di mons. Liberati, dei presbiteri del clero pompeiano e dei presbiteri direttori di pellegrinaggi, provenienti dall’Italia e dall’estero. Al termine, mons. Fisichella guiderà la recita della Supplica. (G.M.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 124