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Sommario del 28/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa incontra i capi dicastero della Curia Romana. Domani l'Angelus con il lancio delle colombe dei ragazzi di Azione cattolica
  • Il Papa invita a pregare per chi non ha accesso all'acqua e alle risorse per sopravvivere
  • Concluso a Ginevra l'incontro Ccee-Kek. Mons. Tomasi: cristiani uniti in Europa, no all'emarginazione della fede
  • A 50 anni dal Concilio: mons. Capovilla rievoca i sentimenti della vigilia di Giovanni XXIII
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • In Senegal l'opposizione in piazza contro la ricandidatura del presidente Wade
  • La Chiesa del Gabon sulla Coppa d'Africa: il campo di calcio, terreno d'incontro tra le genti del continente
  • Si placa la sequenza sismica nel Nord Italia: pochi danni e tanta paura
  • Bosnia Erzegovina. Mons. Sudar: "pulizia etnica" contro i cattolici e crescita del radicalismo islamico
  • 2500 città in preghiera per la Terra Santa. L'importanza dell'evento nelle parole di padre Pizzaballa
  • La Chiesa testimoni il suo amore preferenziale per i poveri: così mons. Francesco Antonio Soddu, nuovo direttore di Caritas Italiana
  • Giornata della Memoria: la testimonianza di Natan Orvieto, salvato da un sacerdote cattolico
  • Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: ancora morti tra i civili, l'Onu tratta la resa di Assad
  • Afghanistan: talebani in Qatar per negoziare con gli Usa
  • Myanmar: allarme discriminazione per i bambini di etnia Rohingya
  • Cina: al via le celebrazioni per gli 85 anni della diocesi di Haimen
  • Taiwan: presto in onda un programma sulla fede cristiana
  • Regno Unito: 5 febbraio Domenica dell’Educazione, il ruolo delle scuole cattoliche
  • Giornata della memoria: una mostra a Roma documenta la persecuzione degli Ebrei in Italia
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa incontra i capi dicastero della Curia Romana. Domani l'Angelus con il lancio delle colombe dei ragazzi di Azione cattolica

    ◊   Benedetto XVI questa mattina ha incontrato i responsabili dei vari dicasteri della Curia Romana, per fare il punto dei lavori e del coordinamento tra le Congregazioni e gli altri organismi che collaborano con lui.

    Domani, il Papa presiederà come di consueto l’Angelus di mezzogiorno dalla finestra del suo studio privato, alla presenza, fra gli altri, dei ragazzi dell’Azione cattolica della diocesi di Roma, che al termine concluderanno l’Angelus – come sempre alla fine del mese della pace – con il lancio di due colombe, secondo una tradizione iniziata nel 1985.

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    Il Papa invita a pregare per chi non ha accesso all'acqua e alle risorse per sopravvivere

    ◊   Per il mese di febbraio, il Papa chiede preghiere perché “tutti i popoli abbiano accesso all’acqua e alle risorse necessarie al sostentamento quotidiano”. Benedetta Capelli ha chiesto un commento a questa intenzione di preghiera ad Andrea Masullo, presidente del Comitato Scientifico di Greenaccord:

    R. – Questo del Santo Padre non è un richiamo nuovo, perché è contenuto in tanti suoi scritti e in tanti suoi discorsi, ossia la necessità di riporre l’uomo al centro dell’azione economica. L’uomo, ma anche la natura ed il Creato. L’economia deve quindi garantire un’equa distribuzione dei beni della terra, e quale bene è più essenziale alla vita dell’acqua? Purtroppo, questa non è ancora garantita per tutti, anzi: le prospettive sono di un peggioramento di questa “garanzia”. Basti pensare all’aggravamento che verrà causato dai cambiamenti climatici.

    D. – Ci sono dei dati, in merito, che possono farci capire qual è la reale situazione di negazione di accesso all’acqua?

    R. – Sì. Oggi, ci sono circa due miliardi di persone, al mondo, che non hanno un accesso sicuro all’acqua. In molti Paesi in via di sviluppo, proprio le acque inquinate sono la causa di malattie mortali, soprattutto per l’infanzia. La situazione perciò è drammatica, ma sarà ancora peggiore, perché questo numero – già di per sè enorme – è destinato addirittura a raddoppiare entro questo secolo. Bisogna assolutamente che l’acqua venga gestita in maniera più consapevole.

    D. – Nell’Enciclica Caritas in veritate, il Papa aveva parlato della necessità di “una coscienza solidale”, in grado cioè di considerare l’alimentazione e l’accesso all’acqua diritti universali di tutti. Sono stati fatti dei passi avanti verso questo traguardo?

    R. – Oggi, stiamo vivendo una grande contraddizione. Da una parte, gli studi e le analisi mostrano una situazione che va man mano peggiorando: ci troviamo di fronte a un sistema economico fondato sul consumismo che – per garantire il superfluo ai Paesi ricchi – porta spesso a impoverire quelli più poveri. Viviamo quindi quest’assurdità, dettata da una produzione fine a se stessa e soprattutto finalizzata al consumismo, al consumo sfrenato. Anche dall’insegnamento del Santo Padre viene quindi la necessità per poter parlare di sviluppo equo e sostenibile, di riporre l’uomo e la natura al centro dell’azione economica. Tutti i dati, sia nazionali sia internazionali, ci mostrano un mondo in cui le diseguaglianze, anziché diminuire, aumentano.

    D. – In questo senso, come guardare alla possibilità di una privatizzazione dell’acqua?

    R. – Le risorse essenziali, come l’acqua ed il cibo, vanno garantite a tutti: ce lo insegna la Dottrina sociale della Chiesa, prima ancora di qualsiasi discorso economico e di profitto. In particolare l’acqua, che è fondamentale per la vita, se finisse in mani private e se dovesse obbedire esclusivamente alle ragioni del profitto, come una merce, finirebbe convogliata verso altri indirizzi piuttosto che a quelli vitali. Anche qui, va aperto un discorso rispetto all’agricoltura: l’agricoltura industriale, che viene diffusa a livello mondiale, ha un uso eccessivo e dissipativo, spreca davvero tanta acqua. Anche in questo caso, quindi, dovremmo tornare a un’agricoltura di tipo biologico, con terreni più sani organicamente, che facciano un uso minore dell’acqua, perché si tratta di una risorsa che, in tante parti del mondo, comincia a scarseggiare. Per quanto riguarda quindi la gestione di una risorsa così preziosa, si dovrebbe tornare a delle pratiche “conservative” e non “dissipative”. E la privatizzazione, in tal senso, rappresenta un grande pericolo.

    D. – Negare l’accesso al cibo, e quindi anche all’acqua, significa sostanzialmente negare anche la pace tra i popoli?

    R. – Certamente. Noi viviamo il paradosso dei Paesi poveri, come alcuni di quelli africani, che godono di una certa fertilità e che tuttavia hanno una sotto-alimentazione; dei Paesi ricchi – come la Cina – che acquistano terreni agricoli, e dei Paesi costretti a esportare prodotti alimentari verso il mondo ricco che hanno un’alimentazione insufficiente. C’è quindi un discorso di giustizia fondamentale, perché poi questi Paesi sono costretti, a loro volta, a importare gli alimenti essenziali, come i cereali. Il prezzo dei cereali dipende dal prezzo del petrolio, il prezzo del petrolio dipende dal nostro livello di consumo e di spreco, e quindi ecco che si crea questa morsa viziosa e drammatica per questi Paesi, e il miliardo di persone che soffrono per la fame rischia sempre di aumentare. Basta poco: pochi centesimi di aumento nel prezzo del petrolio fanno passare il numero di persone che soffrono la fame da un miliardo a due. (vv)

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    Concluso a Ginevra l'incontro Ccee-Kek. Mons. Tomasi: cristiani uniti in Europa, no all'emarginazione della fede

    ◊   A Ginevra, si è concluso ieri l’incontro del Comitato Congiunto Ccce e Kek, che riunisce, da parte Kek, i delegati delle Chiese ortodosse, protestanti, anglicane e i veterocattolici, mentre da parte Ccee i membri del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee. Con l’ausilio di esperti, i lavori hanno riguardato l’analisi delle sfide poste ai cristiani dall’attuale situazione demografica, politica ed economica e sulle risposte teologiche e pastorali offerte a tali sfide. La collega della nostra redazione francese, Helene Destombes, ne ha parlato con l'arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore della Santa Sede all'Onu di Ginevra:

    R. – I delegati del Ccee e della Kek hanno avuto come obiettivo principale quello di continuare il dialogo per creare comunione, per fare un cammino assieme in Europa, soprattutto di fronte ai nuovi sviluppi con i quali ci confrontiamo. Ci sono degli aspetti culturali, una sensibilità nuova che sta emergendo nella cultura europea, che tende a privatizzare la religione, che tende a far dominare nell’arena pubblica un’ideologia che si dice neutra, ma che di fatto impone dei criteri, delle scelte e dei modi di vivere che escludono altri sistemi di credenza, come per esempio il cristianesimo. Dall’altra parte, oltre a questa evoluzione culturale, ci sono delle situazioni pratiche, come i cambi demografici che stanno avvenendo in Europa: la presenza di minoranze che richiedono un’attenzione particolare nei rapporti tra cristiani e musulmani, rom, sinti e così via. Davanti a questo panorama di preoccupazioni, una ventina di persone si sono radunate per riflettere, parlare e ascoltare e hanno visto che bisogna, innanzitutto, trovare una maniera efficace di trasmettere la fede in vista dei cambiamenti tra generazioni; bisogna trovare il modo per condividere informazioni su come le varie tradizioni cristiane stiano affrontando questi problemi, perché trovare un’azione comune è ancora prematuro. Le diverse tradizioni hanno delle esigenze proprie, per cui camminano per la propria strada, pur tenendo conto che siamo tutti dipendenti dal messaggio evangelico e che dobbiamo cercare di orientarci nella stessa direzione. (ap)

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    A 50 anni dal Concilio: mons. Capovilla rievoca i sentimenti della vigilia di Giovanni XXIII

    ◊   Appena pochi giorni dopo la sua elezione al Soglio pontificio, Giovanni XXIII confidò al suo segretario particolare, don Loris Capovilla, l’intenzione di indire un nuovo Concilio ecumenico. Nel 2012 la Chiesa si appresta a celebrare il 50.mo dell’inizio dell’assise, inaugurata l’11 ottobre 1962. A distanza di così tanti anni, lo stesso mons. Loris Capovilla – oggi 96.enne – rievoca le ansie pastorali e la profondità di fede con le quali Giovanni XXIII si preparò al grande evento, che avrebbe trasformato la storia della Chiesa contemporanea. L’intervista è di Luca Collodi:

    R. – Quando il Papa me ne parlò la prima volta, era Papa da appena cinque giorni. Fece un cenno vago, disse: “Sul mio tavolo si riversano tanti problemi, interrogativi e preoccupazioni. Ci vorrebbe un qualcosa di singolare e di nuovo, non solo un Anno Santo”. Nel Codice di Diritto canonico, allora da poco rifomato, c’è un capitolo chiamato “De Concilio ecumenico”. Più avanti, me ne ha parlato un’altra volta, e io sono sempre rimasto in silenzio. E’ venuto poi quella sera del 21 dicembre del 1958, me ne riparlò e mi disse: "Il tuo superiore ti ha accennato a questo grande disegno, ti sembra essere ispirazione del Signore? Tu finora non ha detto neanche una parola...”. E toccandomi il braccio, mi disse: “Il fatto è che tu ragioni un po’ umanamente, come un impresario che fa un progetto e chiama l’architetto, i consulenti, che si intende con le banche. Per noi invece è già un gran dono di Dio accettare una buona ispirazione e parlarne. Non pretendo di arrivare a celebrarlo, a me basta annunciarlo”.

    D. – Quali erano le preoccupazioni sulle quali Papa Giovanni aveva posto la sua attenzione?

    R. – Si trattava dei problemi che erano sul tappeto, i problemi che hanno tutti: teologici, morali, storici ed anche economici. Molte volte questi sono anche un po’ aggrovigliati e non si risolvono con un semplice colloquio, specialmente se riguardano la Chiesa universale e la Chiesa particolare. Il Papa disse che eravamo noi a dover trattare queste questioni, studiarle, indagarle ed approfondirle insieme. E poi, sempre insieme, sull’altare della Confessione di Pietro, trarre le conclusioni, che sono poi i 16 documenti che oggi brillano come lampade sulla tomba dell’Apostolo. Anche dinanzi a tutti coloro che dicevano che ci voleva un gran coraggio, alla sua età, egli rispondeva che non era lui a doverlo fare: “Il Concilio lo fa il Signore, lo fa la Chiesa nel suo insieme. Noi siamo le sentinelle del momento. Dopo un Papa, ne viene un altro". Non è vero che lui aveva fretta: desiderava solo dire come dovevamo camminare, cioè tutti insieme. Entriamo in Concilio per fare cosa, prima di tutto? Per professare, in faccia al mondo, la nostra fede. Ed infatti, il giorno dell’apertura del Concilio, il momento più solenne non è stato, a mio avviso, quello della grande processione dei 2500 vescovi, questo “fiume bianco” che attraversava Piazza San Pietro. Per me, il momento più solenne è stato quando il Papa, toltosi lo zucchetto e inginocchiatosi in faccia all’assemblea, intonò: “Ego, Ioannes, Ecclesiae catholicae episcopus, credo in Unum Deum, Patrem Onnipotentem”. Quando, cioè, professò l’atto di fede.

    D. – Lei come spiega la crisi dell’Occidente, la crisi dei valori, la crisi economica e l’insoddisfazione sociale dell’inizio del Terzo Millennio?

    R. – C’è una cosa che mi ha sempre colpito: la “dottrina dei carismi”, che si trova al capitolo 12, della prima Lettera ai Corinzi. Lì c’è scritto che Dio distribuisce dei doni, ma viene detta anche un’altra cosa molto importante. Al versetto 7 del capitolo 12, per me c’è la parola decisiva e determinante per la condotta del cristiano: quello che hai è tuo, la tua intelligenza, i tuoi beni materiali e culturali, la tua fede è tua; però ti è stata data “ad comunem utilitatem”, cioè per il bene comune. (vv)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale di Ferdinando Cancelli dal titolo "Un falso privilegio": quando si propaganda l'eutanasia.

    Fiscal Impact: nell'informazione internazionale, Luca M. Possati sulle due partite nel vertice del Consiglio europeo.

    Un articolo di Giuseppe M. Petrone dal titolo "La forza della democrazia": si vota in Egitto per il Consiglio della Shura.

    In cultura un articolo di Aidan Hart dal titolo "Lo spirito della materia": quello che la Scrittura dice l'icona manifesta.

    Testimone volontario: Gaetano Vallini sulla storia del soldato britannico Denis Avey che entrò due volte ad Auschwitz per il "bisogno di sapere".

    Un articolo di Claudia Di Giovanni dal titolo "La Metropolis del cupolone": nella Filmoteca Vaticana una copia del capolavoro di Lang.

    Il coraggio della riconciliazione: nell'informazione vaticana, il messaggio del cardinale Turkson per la pace in Terra Santa.

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    Oggi in Primo Piano



    In Senegal l'opposizione in piazza contro la ricandidatura del presidente Wade

    ◊   Rischio di forti tensioni in Senegal a circa un mese dalle elezioni presidenziali. Il Consiglio Costituzionale ha dato la sua approvazione alla candidatura per un terzo mandato al capo dello Stato uscente, l’ultraottantenne Abdulaye Wade. Il popolare cantante pop, Youssu N’Dour, parla di colpo di mano e denuncia il blocco della sua candidatura per irregolarità formali. Sono e resto un candidato – ha detto Youssou N'Dour – aggiungendo che c’è ancora tempo, sia pure in extremis, per l’appello alla decisione del Consiglio, che ha giustificato l’esclusione dalla lista dei candidati in base a presunte irregolarità formali. Quasi 13 mila le firme presentate dall’artista, ma solo 9 mila quelle riconosciute valide, invece delle 10 mila necessarie. Altri 13 i candidati che aspirano alla più alta carica dello Stato in una situazione che potrebbe precipitare da un momento all’altro. Ma come si è giunti a questa crisi in uno dei Paesi più tranquilli dell’Africa? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Stefania Ragusa, giornalista e scrittrice, particolarmente attenta alle vicende senegalesi:

    R. – In realtà, non è una sorpresa, perché in Senegal da diversi mesi c’è fermento e c’è agitazione proprio intorno alla ricandidatura di Wade. C’è un grande malcontento per come il presidente ha gestito il potere in questi ultimi anni e per le ricadute negative che ci sono state sulla condizione economica della gente. Il Paese, soprattutto in questo momento, è attraversato da una crisi profonda: ci sono pochi soldi e le persone fanno davvero fatica a vivere con quello che si guadagna.

    D. – Si parla genericamente di opposizione in piazza, ma, in particolare, chi sta protestando contro la terza ricandidatura di Abdoulaye Wade?

    R. – Sì, c’è un movimento, il Movimento 23 giugno, che raccoglie molti giovani e anche molti intellettuali. Si chiama così, perché lo scorso 23 giugno c’è stata una manifestazione pacifica, perfettamente riuscita, in dissenso alla politica di Wade. Si è protestato per chiedere che il presidente venisse destituito o, comunque, che si impegnasse a non ricandidarsi. Da quel giorno poi ci sono state altre dimostrazioni, altri momenti di critica politica molto forti, che però i media occidentali non hanno rilanciato. Si è pensato anche, ad un certo punto, che il Senegal, sotto la spinta dell’opposizione, si potesse inserire nel clima delle primavere arabe. Questo, finora, non è accaduto, ma non è detto che non accada nei prossimi giorni.

    D. – Nei giovani c’è stata la forte delusione per l’esclusione dalla corsa alla presidenza di un personaggio così popolare a livello internazionale come Youssou N'Dour...

    R. – No, io credo che l’esclusione di Youssou N'Dour colpisca più noi occidentali che non i senegalesi. Anzi in Senegal questa candidatura non è stata vista molto bene. Quello che colpisce è la modalità con cui è avvenuta l’esclusione e soprattutto la preoccupazione per come la Corte Costituzionale sta gestendo questa faccenda così delicata. Ora, quello che appare sicuro è che dietro alla terza candidatura di Wade c’è qualcosa che non funziona, anche a livello legale. Di fronte all’assenza di prospettiva di lavoro, di crescita, di sviluppo, è possibile che ci sia una reazione forte da parte soprattutto dei giovani, che sono le vittime principali del sistema di un Paese che negli ultimi anni, da quando Wade è diventato presidente, davvero non è cresciuto e non ha visto migliorare la propria condizione generale. (ap)

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    La Chiesa del Gabon sulla Coppa d'Africa: il campo di calcio, terreno d'incontro tra le genti del continente

    ◊   Dal 21 gennaio e fino al prossimo 12 febbraio, il Gabon e la Guinea Equatoriale ospitano la 28.ma edizione della Coppa delle Nazioni Africane, la più grande competizione internazionale di calcio che si svolge in Africa. La Chiesa del Gabon ha diffuso un’esortazione nella quale invita tutti a vivere questa competizione come un’occasione di incontro e di dialogo. Lo spiega mons. Patrick Nguéma Edou, vicario generale dell’arcidiocesi di Libreville, al microfono di Charles Le Bourgeois:

    R. – Pour nous le sport véhicule déjà une valeur de fraternité…
    Per noi, lo sport in sé veicola già un valore di fraternità. Voi sapete bene come la difficoltà maggiore nel mio Paese e nella nostra regione sia proprio il confronto con l’altro e questo genera tensioni, conflitti, rifiuti ed esclusioni. Noi crediamo che lo sport possa essere una reale occasione di incontro con l’altro, di scoperta dell’altro. Quindi, questa competizione che viene ospitata dal nostro Paese rappresenta per noi un’occasione importante per meglio conoscere l’altro e per meglio accoglierlo: per noi, il senso dell’accoglienza è fondamentale, considerando il fatto che il nostro Paese è un grande Paese aperto alle comunità straniere.

    D. – Più precisamente, la Coppa delle Nazioni africana cosa può portare ai Paesi partecipanti?

    R. – La Coupe d’Afrique des Nations, ça permet à un certain nombre des pays…
    La Coppa delle Nazioni Africane permette a un certo numero di Paesi di mostrarsi e quindi di valorizzarsi: una persona che viene valorizzata è una persona che poi porta positività nel vivere insieme con gli altri… Certo, è vero che partecipando alla gara, ciascuna squadra arriva con l’obiettivo di portare la Coppa al proprio Paese, ma come dicono anche le Sacre Scritture alla fine della corsa c’è sempre un vincitore… Quello che è veramente importante è l’incontro in sé. Poi, bisogna sottolineare anche che ci sono alcune grandi squadre di calcio che non sono purtroppo presenti; sono invece presenti squadre minori, magari trascurabili, ma è comunque un modo che ci permette di evidenziare come ciascuno possa avere il suo posto, anche nel mondo del calcio.

    D. – Nell’esortazione avete sottolineato come la responsabilità degli sportivi nel mondo sia grande. Che cosa intendete esattamente?

    R. – La responsabilité des sportifs est grande dans le sens que tous sportifs …
    La responsabilità degli sportivi è grande nel senso che per noi tutti gli sportivi diventano in certo modo missionari, missionari della fraternità, missionari dell’amore: mettersi in competizione con l’altro non è sinonimo di conflitto e perdere un incontro non vuol dire rendere l’altro un nemico. Inoltre, questi sportivi hanno dei tifosi e devono quindi comprendere che tutti quelli che guardano a loro come modelli devono poter poi beneficiare dei valori che loro stessi veicolano. Quindi per noi, gli sportivi hanno una missione importante proprio perché attraverso il loro modo di vivere, attraverso il loro modo di essere, attraverso le parole, i gesti e i fatti hanno il potere di invogliare un certo numero di persone a iniziare un cammino, che per noi è un cammino fatto di valori umani e cristiani. (mg)

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    Si placa la sequenza sismica nel Nord Italia: pochi danni e tanta paura

    ◊   Si attenua la paura nel Nord Italia, nel primo giorno senza scosse dopo la sequenza sismica che ha avuto il suo apice, ieri, nell’Appennino parmense, con una scossa di magnitudo 5.4 della scala Richter. Secondo il comitato operativo della Protezione civile, riunitosi ieri sera a Roma, i movimenti registrati negli ultimi giorni non hanno diretta correlazione tra loro e non è possibile fare ipotesi sulla loro evoluzione. A subire qualche danno sono stati solo alcuni beni di interesse artistico-culturale: in particolare, la reggia di Colorno in provincia di Parma e una chiesa a Massa Carrara. Per una spiegazione del fenomeno, Marco Guerra ha sentito Gianluca Valensise, sismologo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia:

    R. – Lo sciame è una sequenza che avviene in una zona intanto più circoscritta: qui invece stiamo parlando di terremoti anche molto distanti fra loro. È possibile che lo sciame continui, però non c’è una verità scientifica, non c’è niente di specifico che lo faccia ritenere.

    D. – Quindi non c’è un collegamento tra le scosse che si sono avvertite questa settimana in diverse zone del Nord Italia?

    R. – Un collegamento sembra che ci sia e potrebbe esserci, ma diciamo a livello geodinamico, perché alcuni colleghi autorevoli hanno ipotizzato che tutte queste scosse abbiano in comune il fatto di essere sui bordi di quella che noi chiamiamo “microplacca adriatica”, una delle placche in cui è suddiviso il Mediterraneo.

    D. – Cosa succede sotto la Pianura Padana?

    R. – Si incontrano le due catene alpine a appenninica. Quindi, la Pianura Padana sembra una piana alluvionale, sembra un materasso così piatto e tranquillo, in realtà nasconde delle catene in evoluzione. Poi, sul fatto che queste zone siano così tranquille sono state dette tante cose inesatte in televisione. Nessuno da quelle parti si sente in una zona non sismica.

    D. – Si continua a ripetere che i terremoti non si possono prevedere, ma prevenire. Le misurazioni di gas radon non sono ancora attendibili?

    R. – Sul fronte previsione, forse, sono anche un po’ più pessimista degli altri. Anche se ci fosse la possibilità di prevedere i terremoti più superficiali, in ogni caso il terremoto di ieri – con un epicentro a 60 km sotto terra – chiunque può capire che è puramente nell’immaginario la possibilità di anticipare dove avverrà. Noi abbiamo i nostri metodi statistici e valutiamo la probabilità di occorrenza: sappiamo cosa si muove e cosa non si muove, tutto qui.

    D. – L’Italia è un Paese fortemente sismico: nelle zone più colpite dai terremoti in passato si sono attivate quelle pratiche per mettere in sicurezza gli edifici, c’è stato effettivamente un cambio di passo?

    R. – L’Italia eccelle negli sviluppi tecnologici, nell’ideazione di normative, poi però è manchevole nell’implementazione di queste leggi. Tutto questo penso sia stato vero fino a dieci anni fa. Con il sisma nel Molise del 2002, si è avuta una svolta decisiva perché da lì è partita la nuova normativa. Anche per il terremoto de L’Aquila, al di là della sua drammaticità, si è vista una risposta istituzionale decisamente diversa rispetto al passato. Tutti i decenni precedenti sono stati contrassegnati da situazioni sempre ambigue, quindi con norme non rispettate, con ricostruzioni parziali e tutto quello che gli italiani conoscono. (bi)

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    Bosnia Erzegovina. Mons. Sudar: "pulizia etnica" contro i cattolici e crescita del radicalismo islamico

    ◊   Situazione difficile per i cristiani della Bosnia Erzegovina. Dei circa 820 mila che vivevano nel Paese balcanico prima della guerra nell'ultimo decennio dl secolo scorso, ne sono rimasti solo 460 mila. Fra le varie etnie le tensioni permangono e l’emigrazione dei cattolici continua, anche a causa dell’ascesa del radicalismo islamico. Sulla situazione del momento, Massimo Pittarello ha chiesto intervistato a mons. Pero Sudar, ausiliare e vicario generale dell’arcidiocesi di Sarajevo:

    R. – La guerra è nata proprio a causa della non tolleranza e con lo scopo di dividerci etnicamente. Però, l’implementazione della Pace di Dayton si è manifestata nella continuazione di questa pulizia etnica, dato che acconsente alla divisione del Paese – della Bosnia Erzegovina – in due, cioè nella Repubblica Serba e nella Federazione. Tuttavia, in conseguenza degli Accordi di Dayton, i croati sentono di dover lasciare questo Paese non avendo più una forza politica che li incoraggi a rimanere qui, nonostante le difficoltà. Purtroppo, questa piccola comunità cattolica tende a determinare la propria scomparsa.

    D. – La Croazia si appresta ad entrare nell’Unione Europea: quale sarà l’effetto nella regione?

    R. – Noi speravamo che la Croazia, anche nel proprio interesse, sostenesse o potesse sostenere la nostra sopravvivenza, la sopravvivenza dei cattolici croati in Bosnia Erzegovina, perché noi siamo – in qualche modo – un legame tra due popoli più grandi. Potrebbe accadere che la Croazia, entrando nella comunità europea, rafforzi la frontiera con la Bosnia Erzegovina, abbandonando così i croati cattolici al loro destino.

    D. – La diffusione dell’islam radicale, delle cellule wahabite, è un’operazione geopolitica con l’avanzamento della frontiera un Europa?

    R. – Certamente, in questo momento nel mondo si avvertono molto queste tensioni, e tutte e due le parti utilizzano – purtroppo – la religione per scopi che non hanno niente a che fare con essa. Se l’islam intollerante avanza in Bosnia Erzegovina, le prime vittime ne saranno i nostri musulmani. Il problema fondamentale, qui da noi, è l’ingiustizia politica che entra a far parte della vita quotidiana. E in questo senso, purtroppo, collaborano bene i rappresentanti della comunità internazionale: qui qualcuno vuole che la situazione non si normalizzi. Penso che la Bosnia Erzegovina sia dal salvare come un modello e anche come un esempio che testimonia che la convivenza è possibile e doverosa. (gf)

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    2500 città in preghiera per la Terra Santa. L'importanza dell'evento nelle parole di padre Pizzaballa

    ◊   In occasione della Quarta Giornata internazionale di intercessione per la pace in Terra Santa, che si celebra questa domenica, 2500 città di tutti i continenti pregheranno per la pace e la riconciliazione nella Terra di Gesù e nel mondo. L’iniziativa, patrocinata dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace è promossa da varie organizzazioni giovanili e istituti religiosi cattolici. Sul significato profondo di questa Giornata Stefano Leszczynski ha intervistato il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa:

    R. – E’ importante e ci ricorda, anzitutto, qual è il primo dovere e qual è la prima cosa che dobbiamo fare, quella cioè di metterci di fronte al Signore. La pace è un dono, ma lo dobbiamo costruire noi: pace significa anche relazione positiva, serena e questa deve essere illuminata anzitutto dal rapporto con Dio.

    D. – Un momento importante anche per i cristiani di Terra Santa, che spesso si sentono lontani e in stato di grave difficoltà…

    R. – Purtroppo in Terra Santa di pace si parla nella preghiera, nella disanima della situazione, ma non rappresenta la realtà. Il conflitto che c’è in Terra Santa è considerato l’origine di tanti altri conflitti e quindi - per noi cristiani che siamo qui - la pace, oltre che essere un desiderio, è un dovere, un richiamo che deve partire dalla coscienza di essere – soprattutto qui – di fronte a Dio.

    D. – Quest’anno assume anche un particolare carattere ecumenico questa iniziativa…

    R. – Sì, è una felice coincidenza che sia preceduta da un incontro di preghiera per la pace e la riconciliazione da Gerusalemme tra tutti i cristiani, che si riuniscono di volta in volta in chiese diverse e che questa volta si ritroveranno presso la Chiesa copta-ortodossa. E questo per chi ha fede non è una coincidenza, ma è una provvidenza…

    D. – Non è la prima volta che si svolge questa Giornata d’intercessione: quali frutti si sono potuti vedere in questi anni?

    R. – Frutti immediati non se ne vedono, evidentemente una giornata di preghiera non produce frutti immediati, ma col tempo ci sono relazioni più serene: lo stare insieme e l’incontrarsi per pregare per qualcosa di positivo, ci fa conoscere meglio e questo crea un ambiente più sereno. Restano sicuramente tanti problemi, ma il ritrovarsi per pregare insieme per qualcosa che ci unisce – il desiderio della pace – produce sicuramente animi più sereni.

    D. – I giovani sono un elemento importante in questo avvenimento: quanti sono e come partecipano a questa iniziativa?

    R. – Qui i giovani partecipano molto, non sono naturalmente tantissimi: sono i giovani dei diversi gruppi di preghiera, degli oratori, delle attività che si svolgono, delle varie parrocchie, delle scuole. Anch’essi avranno momenti di preghiera durante le celebrazioni di questi giorni. Ma – ripeto - oltre alla preghiera, c’è la preparazione e quindi il parlare, perché decidere di fare quel momento di preghiera porta anche alla riflessione, al pensiero e all’impegno, della propria coscienza anzitutto per la pace e per una mentalità e una cultura di pace. (mg)

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    La Chiesa testimoni il suo amore preferenziale per i poveri: così mons. Francesco Antonio Soddu, nuovo direttore di Caritas Italiana

    ◊   Sarà presto a Roma, mons. Francesco Antonio Soddu, per assumere il suo incarico di nuovo direttore della Caritas Italiana, nominato dal Consiglio permanente della Cei. Mons. Soddu, finora direttore della Caritas diocesana di Sassari e parroco della cattedrale del capoluogo sardo, subentra a mons. Vittorio Nozza, che ha diretto la Caritas Italiana dal 2001 ad oggi. 52 anni, mons. Soddu ha compiuto gli studi teologici presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna. “La nomina a direttore della Caritas Italiana – ha confidato – crea in me uno stato di vertigine indescrivibile”. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

    R. – Ho accolto questa notizia con molta meraviglia e la sto vivendo con molta trepidazione. Capisco più che mai lo stato d’animo degli Apostoli, di tutti i profeti, quando sono stati chiamati da Dio. In un primo momento il loro atteggiamento poteva forse sembrare riluttante, ma dinanzi ad una chiamata così grande, tutte le forze e le sicurezze vengono chiaramente a mancare. Davanti alla chiamata autentica di Dio non si può che rispondere: “Eccomi!”. Con questa risposta si vuole dire che si è pieni di fiducia e che il Signore saprà agire attraverso la nostra incapacità ed anche il nostro essere indegni.

    D. – Lei dal 2005 è stato direttore della Caritas diocesana di Sassari ed ora riveste quest’importante incarico. Quali sfide sente di dover affrontare arrivando a Roma, alla Caritas italiana?

    R. – La prima sfida è verso me stesso, perché ho ancora molto da imparare. Sotto questo punto di vista sono ancora molto spaventato, ma metterò in pratica quello che è il metodo della Caritas, che cercherò di portare avanti e di incarnare nella mia persona: ascoltare, osservare e discernere. Credo che questa sfida possa essere ben superata.

    D. – Viene spontaneo pensare al fatto che il suo trasferimento coincida con un periodo non certo facile per l’Italia…

    R. – Tutte le stagioni e tutte le epoche sono state particolari per chi le ha vissute. Questo è il nostro tempo. In questo nostro tempo, ed in questo nostro Paese, la Chiesa deve testimoniare sempre il suo amore preferenziale per i poveri, partendo dagli ultimi, rispecchiando la legalità e tutti quelli che sono i capisaldi del messaggio evangelico.

    D. – In conclusione, cosa augura a se stesso?

    R. – Auguro a me stesso di essere all’altezza di ciò che il Signore, mediante la Chiesa, mi sta affidando. Quasi 27 anni fa – vi faccio questa confidenza - quando diventai sacerdote, nel santino della prima Messa che generalmente si dà, ho fatto stampare la frase della Sacra Scrittura: “Signore, io vengo per fare la tua volontà”. Soltanto in nome della volontà di Dio si affronta tutto ciò che la Chiesa ci affida, con quel grande senso di fiducia che si accompagna a quel sano timore che non deve mai mancare, altrimenti si possono creare un po’ di pasticci. (vv)

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    Giornata della Memoria: la testimonianza di Natan Orvieto, salvato da un sacerdote cattolico

    ◊   Sono oltre 400 in Italia le persone insignite dell’alta onorificenza dei “Giusti tra le Nazioni” per il loro impegno a favore degli ebrei perseguitati durante la Shoah. Anche a loro è dedicata la Giornata della Memoria, appena celebrata. Tra questi c’è il venerabile don Gaetano Tantalo, parroco di Tagliacozzo durante l’occupazione nazista. Nel 1943 si offrì come ostaggio volontario ai tedeschi che volevano punire la sua gente sospettata di favorire i partigiani. Nello stesso periodo ospitò in casa sua una famiglia di ebrei fuggita da Roma dopo le leggi razziali: era la famiglia di Natan Orvieto. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. – Noi ci trovavamo in una località di villeggiatura, a Magliano dei Marsi – io avevo cinque anni e mezzo. E lì ci colse il famoso 8 settembre, cioè l’armistizio. Una signora, nostra carissima amica del paese, disse a mio padre: “Signor Orvieto, scappi, scappi, perché c’è un mandato di cattura da parte del comando tedesco”. Non sapendo dove sbattere la testa, alla fine ebbe un’illuminazione: si ricordò della conoscenza che avevamo fatto tre anni prima con don Gaetano Tantalo.

    D. – Era un sacerdote che vi ospitò nella sua casa parrocchiale. Per quanto tempo?

    R. - Per nove mesi e mezzo, circa. E disse – questa fu una frase veramente grande: “Il Signore Iddio vi ha mandato nella sua casa, quindi si è impegnato a proteggervi”.

    D. – La vostra presenza nella casa di don Tantalo, alimentava sospetti tra la sua gente?

    R. – Interrogativi, può darsi. Ma evidentemente ciascuno se li teneva per sé, probabilmente proprio perché c’era questa figura esemplare di don Gaetano che non faceva fare chiacchiere. Il 31 dicembre del ’43, ci fu una grossa nevicata. I tedeschi iniziarono a girare per tutte le case del paese alla ricerca di uomini che potessero pulire le strade. Arrivarono alla casa parrocchiale. Bussa, bussa, bussa … mi ricordo che noi eravamo in uno stanzone al silenzio. Ad un certo punto vedemmo dalle feritoie delle finestre una donna anziana – la signora Annunziata Onofri – che andò verso i soldati e disse: “Ma chi cercate? Ma lì c’è solo il prete, che tra l’altro si è pure ‘azzoppato’ qualche giorno fa!” … Come sia andata, non lo so. Fatto sta, che i tedeschi se ne sono andati. E questa è la riprova di quello che ho detto prima e cioè dell’atmosfera che don Gaetano aveva creato attorno a sé. Cioè, la donnina non aveva detto una bugia, perché don Gaetano ci teneva che non si dicessero bugie, assolutamente. Ma disse una mezza verità: che lì ci stava un prete, perché quella era la casa del prete!

    D. – Come ha vissuto la condizione di ‘salvato’?

    R. – Gli alleati arrivarono a Tagliacozzo il 10 giugno 1944, e scendemmo tutti in piazza, con le campane della chiesa che suonavano a stormo per la felicità: le ho ancora nelle orecchie, potrei rifarle il suono … Una felicità colossale! Appena arrivò la prima autoblindo, ricordo che un paesano mi prese – a me, bambino di sei anni e mezzo– e mi mise sopra il cofano dell’autoblindo. Ricordo perfettamente la mano dell’autista che usciva fuori per toccare la mia mano … è stata una gioia grande.

    D. – Quindi, un ricordo di estrema felicità di quel momento. Poi, però, negli anni, la condizione di sopravvissuto le è pesata non poco …

    R. – Certo. Poi ho vissuto la consapevolezza di chi piano piano viene a sapere che cosa era successo di tragico, di tremendo; dell’industria della morte, dei parenti stretti che non tornavano … Le posso dire l’atmosfera di attesa: a proposito di un mio zio, il rabbino Pacifici, nessuno voleva credere che non potesse tornare più. Quindi ogni giorno cercavamo notizie, ci si chiedeva: forse l’hanno fatto prigioniero i russi, forse stava male e ci vorrà del tempo prima che ritorni … Finché poi due, tre anni dopo venne la testimonianza di una persona che ci raccontò: “Eh, sì, era con me, il rabbino Pacifici, ma l’hanno gassato quasi subito!”. Credo di avere anch’io, come molti altri, nutrito all’interno un sentimento quasi inconscio di complesso di colpa per essere sopravvissuto, tant’è che non ho voluto leggere tanti particolari delle sofferenze subite da questi poverini nei campi di sterminio.

    D. – Oggi, però, c’è un impegno, un impegno molto forte da parte sua nel raccontare. Questo dà senso alla sua esperienza …

    R. – Sì. Questo è vero e la ringrazio per questa sua percezione dell’importanza del senso della vita, anche dopo tutta questa tragedia. Il senso della vita io lo sento in questo: l’umanità da questa storia deve raccogliere delle indicazioni forti: vivere la Memoria proiettandosi nel futuro e non rimanendo solamente ancorata al passato.

    D. – La sua vicenda personale è una bellissima pagina della storia dei rapporti tra ebrei e cattolici.

    R. – Certo.

    D. – Don Tantalo è stato insignito dell’alta onorificenza di “Giusto” …

    R. - … “Giusto tra le Nazioni”: certamente. La cosa più appropriata che si possa dire di personaggi come lui e, grazie a Dio, non è stato l’unico: ce ne sono stati anche altri. Quando seppe come è articolata la Pasqua ebraica, che noi non dovevamo mangiare nulla che fosse stato a contatto con il lievitato, trovò un muratore che venne a rifare la piastra del camino, e disse: “Così il signor Enrico – mio padre – potrà impastare il pane azzimo per poter fare la Pasqua ebraica”. Questo significa “ama il prossimo tuo come te stesso”. Un atteggiamento ricambiato da mio padre, più tardi, quando don Gaetano era ospite a casa nostra: noi non ci inginocchiamo per le preghiere, ma don Gaetano sì. E siccome in inverno pieno non poteva andare in chiesa perché faceva troppo freddo ed era malato, mio padre andò dall’abate di San Paolo e gli chiese: “Mi può dare un inginocchiatoio? C’è un sacerdote a casa mia che deve pregare...”. (gf)

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    Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella quarta Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il passo del Vangelo in cui Gesù, entrato nella sinagoga di Cafarnao, libera un uomo posseduto da uno spirito impuro che lo abbandona tra urla strazianti. Tutti, presi da timore, si chiedono a vicenda:

    «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».

    Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    Molte cose sono strane in questo brano evangelico. Prima di tutto la presenza in sinagoga di una persona che non doveva avere accesso a quel luogo di culto. Secondo la mentalità ebraica ufficiale, doveva essere tenuto fuori: e come mai i responsabili della sinagoga non se ne sono accorti di quella contraddizione? Si insinua implicitamente già da questo fatto, che facevano male il loro compito, che erano incapaci di riconoscere il vero bene in quel luogo e in quelle circostanze. La sola presenza di Gesù provoca una reazione furiosa: il male alla sua presenza non può resistere, si ribella, strepita. Santità di Gesù e spirito di impurità non possono convivere. Il contrasto è insanabile. Ed è Gesù che vince la lotta: una vittoria che libera dalla vessazione, ma anche fa esplodere gioia e sorpresa. Non si sta in sinagoga continuando ad essere conniventi col male: Gesù con la sua presenza è sfida ad ogni commistione non solo col male, ma anche con un culto fatto di pura abitudine senza vigilanza, senza autenticità. Tra timore e sorpresa l’impressione è che qualcosa di nuovo, originale, può arrivare con Gesù. Una parola con autorità, una intuizione che non consente equivoci, una sfida severa ad ogni falsa religiosità. L’azione liberatrice della buona novella scuota davvero le nostre assemblee, purifichi le strane connivenze con il male, le false certezze religiose. A volte c’è proprio bisogno.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: ancora morti tra i civili, l'Onu tratta la resa di Assad

    ◊   Continuano le violenze in Siria dove, secondo le opposizioni al regime di Bashar Al-Assad, undici persone sono state uccise nei pressi di Damasco. Operazioni di sicurezza si sono svolte nella capitale e nelle province di Homs e Hama, dove sono stati ritrovati i cadaveri di 17 civili arrestati dai militari, abbandonati per strada in cinque quartieri diversi nella città, con ancora i segni delle catene con cui erano stati immobilizzati. Un “messaggio alla popolazione affinchè smetta di opporre resistenza”, ha commentato un attivista siriano, che parla con certezza di un’”esecuzione sommaria” da parte dei militari. Si aggrava così il bilancio delle vittime civili degli scontri, che durano ormai da dieci mesi e che non risparmiano i minori. Due ragazzi sarebbero stati uccisi ieri a Homs e a Damasco, aggiungendosi ai 382 decessi già denunciati dall’Unicef. Intanto un’esplosione ha colpito questa mattina il gasdotto di Deir al-Zour, 450 chilometri a est di Damasco, mentre ieri un centinaio di dimostranti ha assaltato l’ambasciata siriana al Cairo, provocando danni, ma senza causare vittime. Sul fronte diplomatico, il Consiglio di sicurezza dell’Onu cerca di raggiungere un compromesso su di una risoluzione di condanna al regime di Assad, proposta dai Paesi arabi e occidentali. Decisivo sarebbe il voto favorevole della Russia, ma Mosca appare finora contraria a nuove sanzioni e un embargo sulle armi, che lederebbero gli interessi di Mosca. (A cura di Michele Raviart)

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    Afghanistan: talebani in Qatar per negoziare con gli Usa

    ◊   Cinque rappresentanti dei talebani afghani sono arrivati questa mattina a Doha, capitale del Qatar, per incontrare funzionari degli Stati Uniti. A riferirlo è l’agenzia indipendente afghana Pahjhwok, che cita fonti ufficiali. L’incontro, confermato da un portavoce dei talebani, è stato invece smentito dallo staff del presidente, Hamid Karzai. Il capo di Stato afghano, ricevuto in questi giorni dai governi di Roma e Parigi, si trova oggi a Londra per la firma di un accordo di partenariato con il Regno Unito e per discutere con il primo ministro, David Cameron, il ritiro delle truppe inglesi dall’Afghanistan, previsto per il 2014. Intanto, il governo di Kabul, insieme con l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, ha lanciato un appello alla comunità internazionale per la raccolta di 437 milioni di dollari in aiuti da destinare all’Afghanistan nel 2012. Secondo le stime dell’Onu, i cittadini afghani bisognosi di assistenza umanitaria sfiorano i nove milioni, a fronte di oltre 187 mila persone che hanno perso la loro abitazione nel 2011. (M.R.)

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    Myanmar: allarme discriminazione per i bambini di etnia Rohingya

    ◊   Circa quarantamila bambini in Myanmar hanno un accesso limitato all’alimentazione e ai servizi sanitari, a causa della loro appartenenza all’etnia Rohingya. Di questa minoranza - concentrata in una regione isolata al confine con il Bangladesh e di religione musulmana - fanno parte tre milioni di persone, che non possono essere registrate all’anagrafe a causa delle politiche discriminatorie del governo, che mettono a rischio principalmente i minori. Riferisce l’Agenzia Fides che per i responsabili del "Proyecto Arakam", una ong locale che si occupa della tutela delle minoranze in Myanmar, la questione è direttamente collegata alle mancate concessioni delle autorizzazioni al matrimonio e alla “politica dei figli” imposta dal governo birmano. Da una parte, i bambini non registrati sono una prova dell’esistenza di matrimoni non autorizzati dallo Stato, “crimine” che può costare fino a 10 anni di carcere. Dall’altra, i terzi o quarti figli, che eccedono il limite consentito dal governo, non possono essere registrati e per tutta la vita faranno parte di una "lista nera" che impedisce loro di trovare un lavoro, studiare o sposarsi. Secondo la legge sulla cittadinanza del 1982, i bambini Rohingya, registrati e no, sono catalogati come "apolidi". La maggior parte di loro non può frequentare la scuola ed è sfruttata per i lavori forzati, mentre il tasso di analfabetismo che la colpisce è di circa l’80% (M.R.)

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    Cina: al via le celebrazioni per gli 85 anni della diocesi di Haimen

    ◊   La diocesi cinese di Haimen, nella Cina orientale, festeggia 85 anni dalla sua fondazione e molte sono le iniziative in corso per commemorare l’evento. Secondo l’Agenzia Fides, oltre 800 persone tra sacerdoti, religiose, laici ed esponenti dell’autorità civili hanno preso parte alla benedizione edinaugurazione della statua di bronzo di mons. Simon Zhu Kaimin, il primo vescovo della diocesi. Il presule, consacrato da Papa Pio XI nel 1926, costruì, in 30 anni di ministero, 156 chiese, un ospedale, una scuola, una casa degli anziani e un orfanotrofio. Il vescovo, pioniere della missione, fondò nel luglio 1931 anche la congregazione di Santa Teresa del Bambino Gesù, che oggi conta 23 religiose attive nelle parrocchie, nel campo sanitario e sociale. Tra gli eventi in programma per l’anniversario della diocesi: l’apertura di un Museo cattolico di storia, cultura e arte, la pubblicazione di un testo sulla storia della Chiesa ad Haimen, un documentario e una mostra. Attualmente, la diocesi di Haimen conta più di 30 mila fedeli - in larga parte contadini e operai - 11 sacerdoti, una ventina di religiose e tre seminaristi, mentre le parrocchie sono 24. (M.R.)

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    Taiwan: presto in onda un programma sulla fede cristiana

    ◊   Un programma televisivo sulla fede cristiana verrà trasmesso in Taiwan a partire dal mese prossimo. Il programma, che si pone l’obiettivo dell’evangelizzazione delle comunità indigene dell’isola, è stato promosso dalla “Voice of the Catholic Church Assocation”, l’ente per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale di Taiwan. Secondo quanto riferisce l’Agenzia Fides, il programma sarà strutturato in un dialogo tra due persone, su temi e questioni inerenti la fede cristiana, ed è stato prodotto dalla casa editrice dei Gesuiti “Kuangchi”, grazie alle donazioni di oltre 2.000 benefattori. Il programma, della durata di un’ora, andrà in onda ogni giovedì per 20 settimane. Tra i progetti della “Voice of the Catholic Church Association”, nata nel 1986 nella parrocchia della Sacra Famiglia di Taipei, c’è la creazione di una stazione televisiva di proprietà, sulla falsa riga di analoghe esperienze della comunità protestante e buddista. L’Associazione cattolica di Taipei ha già all’attivo sette radio che trasmettono programmi di evangelizzazione in lingua cinese e nelle altre lingue locali dell’isola. (M.R.)

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    Regno Unito: 5 febbraio Domenica dell’Educazione, il ruolo delle scuole cattoliche

    ◊   Le Chiese cristiane del Regno Unito celebrano il prossimo 5 febbraio la Domenica nazionale dell’Educazione. Un’occasione per ricordare l’importante contributo dato anche dalle scuole cattoliche al sistema educativo nazionale. È quanto sottolinea il presidente dell’Ufficio episcopale per l’Educazione Cattolica (Ces), mons. Malcolm McMahon, nella lettera per la giornata. “Le nostre scuole – scrive il presule nella missiva pubblicata sul sito della Conferenza episcopale inglese e gallese – svolgono un ruolo importante nella vita e nella missione della Chiesa” e sono “un’espressione significativa di come la comunità cattolica si pone al servizio della società”. Per questo è importante sostenerle: “Sappiamo – afferma mons. McMahon – che il successo dei nostri istituti educativi, molti dei quali sono tra i migliori del Paese, e la loro fedeltà alla missione di evangelizzare tutte le genti dipende da noi: innanzitutto dal sostegno e dalla collaborazione dei genitori, i primi educatori dei loro figli, poi da quello delle parrocchie, con le quali condividono la missione e la testimonianza come anche dalla dedizione dei tanti docenti che vivono nella propria vita la gioia portata dalla conoscenza di Cristo”. Di qui, in conclusione, l’invito a preservare questo “tesoro” per passarlo alle future generazioni e ad affrontare le sfide poste all’educazione dai grandi cambiamenti sociali dei nostri tempi, senza mai perdere di vista Cristo. Oltre alla lettera di mons. McMahon, la Conferenza episcopale inglese e gallese ha messo in rete suggerimenti per l’omelia del giorno e i testi di recenti discorsi del Santo Padre Benedetto XVI ai giovani sul tema dell’educazione. (L.Z.)

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    Giornata della memoria: una mostra a Roma documenta la persecuzione degli Ebrei in Italia

    ◊   La Casa della memoria e della Storia di Roma ospiterà fino al 10 febbraio la mostra “1938-1945. La persecuzione degli ebrei in Italia. Documenti per una storia”. L’esposizione ripercorre gli eventi in maniera cronologica attraverso 15 sezioni tematiche. La prima parte illustra le premesse storiche delle persecuzioni e la progressiva privazione dei diritti civili. In queste sezioni sarà possibile osservare esempi degli elenchi dei cittadini ebrei italiani, le schedature attuate da Comuni italiani nel’38 per rendere gli ebrei reperibili, le riproduzioni delle lettere con le quali gli ebrei venivano licenziati dai loro posti di lavoro e dei cartelli che ne vietavano l’ingresso in alcuni luoghi pubblici. Il periodo storico dal settembre del 1943 alla Liberazione è raccontato in alcune sezioni dedicate agli arresti, alle deportazioni e allo sterminio nelle regioni poste sotto l’occupazione tedesca e la Repubblica di Salò. Saranno documentati i campi di concentramento per gli ebrei in Italia e i testi delle cartoline gettate dai treni dei deportati, oltre alle schede di segnalazione degli scomparsi e alle lettere dei delatori. Chiude il percorso la sezione “ritorno alla vita”, dedicata al dopoguerra. L’iniziativa è a cura dell’Associazione romana amici d’Israele ed è promossa dal comune di Roma (M.R.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 28

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.