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Sommario del 25/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’udienza generale: l’unità dei cristiani deve apparire con tutta la sua chiarezza nella storia
  • Messaggio del Papa per la Giornata missionaria mondiale: la Chiesa faccia riscoprire la gioia del credere
  • Rinuncia e nomine. Mons. Coutts nuovo arcivescovo di Karachi in Pakistan al posto di mons. Pinto
  • Unità dei cristiani. Il cardinale Koch: l'ecumenismo ha bisogno della preghiera per non perdere la sua anima
  • Costa d'Avorio, prima riunione della Recowa-Cerao. L'intervento di mons. Filoni
  • Stallo alla Conferenza sul disarmo nucleare. Mons. Tomasi: il pericolo atomico è attuale
  • Oggi su "L'Osservatore Romano
  • Oggi in Primo Piano

  • Al via il Forum economico di Davos e il Forum sociale mondiale di Porto Alegre
  • Obama nel discorso sullo stato dell'Unione: "L'America oggi è più forte, ora sia più giusta"
  • Egitto, un anno fa l'inizio della rivolta. Le opinioni di un militante e del nunzio, mons. Fitzgerald
  • Proteste in Romania contro il carovita. Mons. Robu, arcivescovo di Bucarest: "Bisogna porre termine alla crisi morale"
  • Gli autotrasportatori continuano a bloccare le strade. Dagli agricoltori frutta gratis
  • L'Ocse denuncia: in Italia e nel mondo cresce il divario tra poveri e ricchi
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Messico: i vescovi auspicano che la visita del Papa "possa fermare la violenza"
  • Usa: dopo Washington, Marcia per la vita anche a San Francisco
  • Siria: Amnesty sollecita intervento Onu e Cpi per tutelare le libertà fondamentali
  • Iraq: in due mesi giustiziate almeno 63 persone. La protesta dell'Onu
  • India: ieri Giornata della bambina, contro aborti selettivi e infanticidi femminili
  • India. Karnataka: aggrediti e umiliati 20 cristiani in preghiera accusati di proselitismo
  • Traffico di haitiani reduci dal sisma verso il Brasile: 254 fermi alla frontiera col Perù
  • Kenya: la Commissione giustizia e pace chiede elezioni pacifiche
  • Somalia: riaperto l’Ufficio Onu a Mogadiscio. Liberati oggi due cooperanti
  • Sud Sudan: nominato rappresentante speciale Onu il diplomatico di Harare Raisedon Zenenga
  • Australia: appello della Chiesa sul soggiorno dei richiedenti asilo
  • Costa Rica. I vescovi: è necessario migliorare il progetto di legge sulla vendita di alcolici
  • Italia. I vescovi: la crisi mondiale più che economica è etica e culturale
  • Naufragio Concordia. Il 3 marzo primo incidente probatorio: indagati Schettino e Ambrosio
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’udienza generale: l’unità dei cristiani deve apparire con tutta la sua chiarezza nella storia

    ◊   L'unità dei cristiani deve apparire con tutta la sua chiarezza nella storia perché il mondo creda: è quanto ha affermato il Papa oggi durante l'udienza generale nell'Aula Paolo VI in Vaticano. Benedetto XVI ha svolto la sua catechesi sulla preghiera che Gesù rivolge al Padre nell’Ora della sua glorificazione "perché tutti siano una cosa sola". Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    L’Ora iniziata con il tradimento di Giuda, e che culminerà nella salita di Gesù risorto al Padre - sottolinea Benedetto XVI - è “più di una domanda e della dichiarazione di piena disponibilità ad entrare nel disegno di Dio”:

    “Gesù in quella notte si rivolge al Padre nel momento in cui sta offrendo se stesso. Egli, sacerdote e vittima, prega per se stesso, per gli apostoli e per tutti coloro che crederanno in Lui, per la Chiesa di tutti i tempi”.

    La glorificazione che Gesù chiede per se stesso – spiega il Pontefice - è “l’ingresso nella più piena obbedienza al Padre”:

    “Sono questa disponibilità e questa richiesta il primo atto del sacerdozio nuovo di Gesù, che è un donarsi totalmente sulla Croce e proprio sulla Croce - il supremo atto di amore - Egli è glorificato perché l’amore è la gloria vera, la gloria divina”.

    Il secondo momento di questa preghiera è l’intercessione che Gesù fa per i discepoli che sono stati con Lui:

    “Gesù dice al Padre: Essi non sono nel mondo, come io non sono nel mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità”.

    Il terzo atto di questa preghiera sacerdotale – ricorda il Papa – distende lo sguardo fino alla fine del tempo:

    “In esso Gesù si rivolge al Padre per decidere a favore di tutti coloro che saranno portati alla fede mediante la missione inaugurata dagli apostoli e continuata nella storia. 'Non prego solo per questi ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola'. Gesù prega per la Chiesa di tutti i tempi, prega anche per noi”.

    La richiesta centrale della preghiera sacerdotale di Gesù dedicata a tutti i suoi discepoli è quella della futura unità di quanti crederanno in Lui. Tale unità – sottolinea il Pontefice – non è un prodotto mondano ma arriva “a noi dal Padre mediante il Figlio e nello Spirito”:

    “L’unità dei cristiani da una parte è una realtà segreta che sta nel cuore delle persone credenti. Ma al tempo stesso essa deve apparire con tutta la chiarezza nella storia, deve apparire perchè il mondo creda, ha uno scopo molto pratico e concreto, deve apparire perché tutti siano realmente una sola cosa”.

    Ricordando che questo dono dell’unità è stato invocato con forza in questa Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, il Papa sottolinea infine che nella preghiera sacerdotale di Gesù si compie l’istituzione della Chiesa:

    “La Chiesa nasce dalla preghiera di Gesù. Questa preghiera, però, non è soltanto parola: è l’atto in cui egli ‘consacra’ se stesso e cioè ‘si sacrifica’ per la vita del mondo”.

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    Messaggio del Papa per la Giornata missionaria mondiale: la Chiesa faccia riscoprire la gioia del credere

    ◊   A 50 anni dal Concilio, urge che la Chiesa ritrovi “lo stesso slancio apostolico delle prime comunità cristiane che, piccole e indifese, furono capaci di diffondere il Vangelo in tutto il mondo”. È una delle esortazioni di Benedetto XVI contenute nel suo Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2012, pubblicato oggi. La “missio ad gentes”, afferma fra l’altro il Papa, sia “il costante orizzonte” di ogni attività della Chiesa e fonte della sua carità. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    All’epoca in cui la fascia povera a sud del pianeta, e parte anche dell’est, veniva sveltamente etichettata come “Terzo mondo”, i giovani vescovi delle Chiese che in quell’area vivevano giunsero a Roma a portare un’appassionata testimonianza di ciò che voleva dire essere evangelizzatori essendo però una minoranza, o esserlo in una comunità drammaticamente priva di mezzi. Benedetto XVI parte da questa immagine del Concilio Vaticano II – al quale partecipò come giovane sacerdote – per dire all’inizio del suo Messaggio che proprio quell’esperienza di “essere pastori di Chiese giovani e in via di formazione” – portata fra i seggi conciliari dai presuli dell’Africa e dell’America Latina, dell’Asia e dell’Oceania – contribuì “in maniera rilevante a riaffermare la necessità e l’urgenza dell’evangelizzazione ad gentes”. Nei 50 anni successivi al Concilio questa “visione”, afferma il Papa, “non è venuta meno”, anzi ha stimolato “una feconda riflessione teologica e pastorale”. Tutti i Pontefici dell’epoca contemporanea l’hanno sempre rilanciata come una “priorità”. Tuttavia, chiarisce Benedetto XVI, il mandato missionario di Cristo, affidato per primo agli Apostoli e dunque oggi ai vescovi, non si esaurisce, per ciò che li riguarda, “nell’attenzione alla porzione di Popolo di Dio” loro affidata, ma “deve coinvolgere tutta l’attività della Chiesa”, dalle parrocchie agli istituti religiosi, dai movimenti ecclesiali ai singoli cristiani. Per questo, indica, tanto i piani pastorali quanto l’organizzazione diocesana devono adeguarsi alla vita della Chiesa radicata nella quotidianità di un “mondo – osserva – in continuo cambiamento” e in larga parte, non solo a occidente, “in crisi di fede”.

    Del resto, la Chiesa avrà modo quest’anno di riflettere sui vari aspetti del tema, con la celebrazione dell’Anno della fede e il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione. Siano entrambi, auspica Benedetto XVI, “occasioni propizie per un rilancio della cooperazione missionaria”. E riflettendo sul rapporto tra la fede e il dovere di comunicarla, il Papa chiede nuovo “entusiasmo” per far “riscoprire la gioia del credere” specie in quei Paesi che il Vangelo lo conoscono da secoli, ma che – ribadisce – stanno “perdendo il riferimento a Dio”. La preoccupazione di evangelizzare, incalza, “non deve mai rimanere ai margini dell’attività ecclesiale e della vita personale del cristiano”. E l’avere nel cuore la passione per il Vangelo deve sempre accompagnarsi alla carità. Il suo annuncio, scrive il Pontefice, si fa “intervento in aiuto del prossimo, giustizia verso i più poveri, possibilità di istruzione nei più sperduti villaggi, assistenza medica in luoghi remoti, emancipazione dalla miseria, riabilitazione di chi è emarginato, sostegno allo sviluppo dei popoli, superamento delle divisioni etniche, rispetto per la vita in ogni sua fase”. Nel ringraziare gli apostoli di oggi – sacerdoti, religiosi e laici – e in particolare le Pontificie Opere Missionarie per la loro dedizione, Benedetto XVI indirizza lo sguardo della Chiesa su un modello intramontabile, quello di duemila anni fa. Abbiamo bisogno, dice, “di riprendere lo stesso slancio apostolico delle prime comunità cristiane, che, piccole e indifese, furono capaci, con l’annuncio e la testimonianza, di diffondere il Vangelo in tutto il mondo allora conosciuto”.

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    Rinuncia e nomine. Mons. Coutts nuovo arcivescovo di Karachi in Pakistan al posto di mons. Pinto

    ◊   In Pakistan, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Karachi presentata per raggiunti limiti di età da mons. Evarist Pinto. Al suo posto, i Papa ha nominato mons. Joseph Coutts, finora Vescovo di Faisalabad.

    In Senegal, il Papa ha nominato vescovo di Ziguinchor il Rev. Paul Abel Mamba, finora Amministratore Apostolico della medesima diocesi. Il Rev.do Paul Abel Mamba è nato il 5 dicembre 1960 a Cabrousse, in Casamence, diocesi di Ziguinchor. Ha studiato nel Seminario minore di Saint Louis di Ziguinchor, e successivamente nel Seminario medio Notre Dame di Ziguinchor. È passato successivamente al Seminario maggiore nazionale Libermann di Sebikhotane, a Dakar. È stato ordinato sacerdote l’8 aprile 1988. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1988-1991: Economo del Seminario minore Notre Dame di Ziguinchor; 1991-2006: Sacerdote fidei donum nella diocesi di Tambacounda (Senegal); 1991-1993: Direttore del Seminario minore di Tambacounda; 1993-1995: Studi di gestione, contabilità e informatica all’Institut Catholique di Yaoundé (Camerun): 1995-2004: Economo della diocesi di Tambacounda; 2004-2006: Economo della Caritas diocesana di Tambacounda; 2006-2007: Anno sabbatico presso il Centre Sèvres di Parigi; 2007-2009: Vicario parrocchiale della parrocchia Martyrs de l’Ouganda. Dal 2010 è Amministratore Apostolico della diocesi di Ziguinchor.

    Il Santo Padre ha nominato sottosegretario della Congregazione per i Vescovi il Reverendo Mons. Udo Breitbach, finora Capo Ufficio del medesimo Dicastero. Il Papa ha nominato Consultori della Congregazione per la Dottrina della Fede i Reverendi: P. Paolo Martinelli, O.F.M. Cap., Preside dell'Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università «Antonianum» in Roma; e Sac. Maurizio Gronchi, del Clero dell'Arcidiocesi di Pisa, Docente Ordinario nella Facoltà di Teologia della Pontificia Università Urbaniana in Roma.

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    Unità dei cristiani. Il cardinale Koch: l'ecumenismo ha bisogno della preghiera per non perdere la sua anima

    ◊   La Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani viene conclusa solennemente oggi pomeriggio: alle 17.30, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Benedetto XVI presiederà la celebrazione dei secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo. Un appuntamento tradizionale di grande rilevanza ecumenica, che vedrà la partecipazione di delegazioni di numerose Chiese ortodosse e comunità protestanti. Sulla settimana di preghiera e sullo stato dei rapporti ecumenici, il collega della redazione tedesca della nostra emittente, Mario Galgano, ha chiesto una riflessione al cardinale Kurt Koch, presidente del dicastero vaticano per l’Unità dei Cristiani:

    R. – Die Gebetswoche für die Einheit der Christen steht eigentlich ganz am Anfang…
    La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è proprio l’origine del movimento ecumenico: fin dall’inizio è stata approvata e sostenuta dai Papi, a cominciare da Leone XIII e Benedetto XV. Questo inizio del movimento ecumenico non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo e deve accompagnarci sempre, perché la preghiera per l’unità è il fondamento dell’ecumenismo. Il Concilio Vaticano II parla dell’anima del movimento ecumenico: se il movimento ecumenico non vuole perdere la sua anima, deve sempre incontrarsi nella preghiera. Con la preghiera manifestiamo che non siamo noi, esseri umani, a creare l’unità; non siamo nemmeno in grado di prevedere “come” sarà l’unità né “quando” avverrà. Ma dobbiamo fare ogni cosa sia nelle nostre capacità per essere aperti allo Spirito Santo, perché è Lui che vuole questa unità e Lui ce la donerà.

    D. – Quali sono le sfide che l’ecumenismo si trova a dover affrontare oggi?

    R. – Wir haben in den letzten Jahren und Jahrzehnten etwas das Ziel der…
    Negli ultimi anni e decenni, abbiamo un po’ perso di vista l’obiettivo del movimento ecumenico. Le Chiese e le comunità ecclesiali non perseguono più la stessa meta: credo che oggi sia necessario tornare riflettere e chiedersi, nuovamente, quali siano realmente gli obiettivi. Per noi cattolici, come pure per gli ortodossi, il fine ultimo è la piena unità nella fede, nei Sacramenti e nei ministeri della Chiesa. L’unità è un’esigenza del cuore del Signore: Lui ha pregato affinché tutti siano Uno perché il mondo creda. Questo è il motivo per cui l’ecumenismo non ha alternative.

    R. – Il Papa in questi giorni ha sottolineato più volte l’importanza di questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani…

    D. – Der Heilige Vater hat ja zweimal sehr deutlich dazu Stellung genommen:…
    Il Santo Padre ha preso posizione, a questo proposito, in maniera molto chiara: mercoledì scorso, in occasione dell’udienza generale che ha dedicato interamente a questo argomento, e domenica scorsa all’Angelus, quando ha ripreso intensamente il tema della Settimana di preghiera di quest’anno, e ha detto che noi tutti saremo trasformati nella vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore, sottolineando con enfasi che riusciremo a proseguire nell’ecumenismo, nel cammino verso l’unità, soltanto se saremo pronti a lasciarci trasformare continuamente. L’ecumenismo, quindi, inteso quasi come una conversione di tutti noi a Cristo. (gf)

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    Costa d'Avorio, prima riunione della Recowa-Cerao. L'intervento di mons. Filoni

    ◊   Da ieri, e fino al 29 gennaio, è in corso a Yamoussoukro, in Costa d’Avorio, la prima riunione della Conferenza episcopale regionale dell’Africa Occidentale (Recowa-Cerao), nata nel 2009 dalla fusione dell’Associazione delle Conferenze episcopali anglofone dell’Africa Occidentale (Aecawa), della Conferenza episcopale regionale francofona dell’Africa dell’Ovest, delle Conferenze episcopali dei Paesi lusofoni. Circa 200 tra cardinali, arcivescovi e vescovi dell’Africa occidentale si ritrovano per discutere il tema: “La Chiesa, Famiglia di Dio, in Africa occidentale a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. Il cardinale di Dakar, Théodore Adrien Sarr, ha presieduto ieri sera la celebrazione inaugurale, affermando fra l'altro che il "progetto della Recowa è quello di una Chiesa impegnata con tutto il suo peso per la pace, la libertà e lo sviluppo". Una convinzione che ha trovato eco anche nell’intervento di mons. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    “La creazione della Conferenza Episcopale Regionale dell’Africa dell’Ovest risponde a un’attesa dei vescovi della regione e al desiderio di approfondire la comunione sacramentale e pastorale tra di loro”. Sono le parole con le quali mons. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, e prossimo cardinale, ha salutato la prima Assemblea plenaria della Recowa-Cerao, un progetto che ha sempre avuto e continuerà ad avere il sostegno di Propaganda Fide, ha sottolineato lo stesso mons. Filoni, che ha assicurato l’approvazione degli statuti della Conferenza da parte della Santa Sede.

    Il presule ha quindi ricordato la motivazione che ha spinto alla nascita di un unico organismo dalla fusione della Cerao e dell’Aecawa, due realtà che negli anni, pur avendo dato prova del loro contributo nella crescita della Chiesa nella regione, sono divenute insufficienti di fronte ai cambiamenti socioculturali, alle crisi politiche, alle guerre e conflitti religiosi che agitano l’Africa Occidentale. La Chiesa deve continuare ad annunciare il Regno di Dio e compiere la sua missione profetica al servizio del continente africano in modo sempre più efficace, è stato il richiamo di mons. Filoni. Di qui, la nascita di questa Conferenza, per consentire di affrontare insieme le nuove sfide sul piano sociale e religioso.

    La Recowa-Cerao risponde non solo a un’esigenza di carattere pastorale, ma anche all’importante ruolo che alle Conferenze episcopali è stato assegnato dal Concilio Vaticano II, e alle osservazioni scaturite dall’Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi che, nel 1985, ha ripetuto la necessità di unità delle Conferenze in nome del bene della Chiesa. La Recowa-Cerao, ha quindi spiegato mons. Filoni, per ottemperare pienamente alla sua missione dovrà contribuire all’unità dei vescovi e di una Chiesa sempre più protesa verso lo sviluppo integrale dell’uomo in una società fraterna e pacifica. Grazie a lei, ha aggiunto, i vescovi dell’Africa dell’Ovest parleranno a una sola voce e potranno affrontare collegialmente le numerose sfide che la regione pone, sul piano ecclesiale, sociale e politico.

    Mons. Filoni non ha mancato di fornire linee d’azione, suggerendo di partire dai contenuti dall’esortazione apostolica post-sinodale Africae Munus, pubblicata da Benedetto XVI in Benin lo scorso 19 novembre. La riconciliazione, ha ribadito, è una priorità per la Chiesa in Africa, che deve a sua volta riconciliarsi per essere credibile nel suo insegnamento e nella sua azione sociale. Di qui, l’invito ai vescovi africani a seguire la raccomandazione del Papa di celebrare tutti gli anni, in ogni Paese africano, “un giorno o una settimana della riconciliazione”.

    Un gran numero di popolazioni africane – ha detto mons. Filoni – sono vittime di guerre civili, di conflitti etnici e religiosi, di crisi politiche persistenti. Ci sono famiglie divise, persone sfollate, che vivono in condizioni di miseria insopportabile, private dei loro diritti fondamentali. Malgrado i progressi compiuti, la pace è ancora molto fragile in alcuni di questi Paesi. La Chiesa deve dunque perseguire sempre più con maggiore efficacia il suo sforzo a favore della pace e affrontare la sfida decisiva dell’educazione alla pace, come chiesto dal Papa il primo gennaio di quest’anno. In conclusione, mons. Filoni invita i vescovi a mettere a punto un’azione comune a favore dell’evangelizzazione della regione e li esorta a vivere pienamente, e in piena verità, la “solidarietà pastorale affettiva ed effettiva” all’origine della creazione di questa unica Conferenza regionale, fonte di speranza per una sempre più feconda attività missionaria della Chiesa locale e mezzo per il consolidamento della comunione ecclesiale e dello spirito collegiale che deve animare i vescovi, sia a livello nazionale che regionale.

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    Stallo alla Conferenza sul disarmo nucleare. Mons. Tomasi: il pericolo atomico è attuale

    ◊   Si è aperta ieri a Ginevra, in Svizzera, la sessione annuale della conferenza dell’Onu sul disarmo: al centro dei lavori è la questione nucleare, in particolare il bando della produzione di materiale fissile per la fabbricazione di bombe atomiche. Ma sui risultati dell’incontro regna il pessimismo: Sergio Centofanti ne ha parlato con mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Ufficio Onu di Ginevra:

    R. – C’è un’impasse, c’è un momento di stallo perché si procede per consenso e la difficoltà è che c’è uno Stato che sta bloccando la procedura verso un accordo: è il Pakistan, che ha paura nei suoi rapporti con l’India di avere una minor capacità deterrente nucleare e che, quindi, continua a bloccare la possibilità di cominciare il negoziato per un trattato sul materiale fissile. Questo porta a conseguenze molto serie, perché questa Conferenza del disarmo - prima di tutto – perde credibilità e rischia grosso, perché da troppi anni non produce più risultati importanti per la Comunità internazionale. Di fatto molti Stati stanno alzando la voce, dicendo che bisogna o sbloccare la situazione oppure, visto che vengono spesi soldi per niente, rimandare l’agenda all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per trovare un’altra strada per poter negoziare. Stiamo aspettando e vedendo come procedere. Visto l’incontro di apertura della Conferenza, non mi pare che si possa essere molto ottimisti: le vecchie remore rimangono e, nonostante l’impazienza e la chiarezza con cui molti Stati – inclusa l’Unione Europea – hanno parlato, rimane lo stallo.

    D. – Quale riflessione fare, mons. Tomasi, sul pericolo nucleare oggi?

    R. – A me sembra che l’aspetto triste, su cui tutti dovremmo riflettere, è che fino ad alcuni anni fa vi erano cinque potenze mondiali che avevano armi atomiche, oggi – nonostante tutti gli sforzi per limitare e ridurre la presenza nel mondo di questi terribili strumenti di morte – ci sono vari altri Stati che hanno la bomba atomica e altri che vorrebbero averla e che - sembra - stiano lavorando per ottenerla. Non si riflette molto nell’opinione pubblica sul fatto che c’è ancora il pericolo serio e reale che le armi atomiche possano essere usate nel mondo o per sbaglio o per mancanza di umanità di qualche leader o per altri imprevisti che possono sempre capitare. Quindi, purtroppo, questa possibilità rimane, ma - allo stesso tempo - dobbiamo anche dire che c’è una grande volontà di quasi tutti gli Stati di camminare in direzione opposta, di bloccare e di eliminare questi strumenti. (mg)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano

    ◊   Il centro e l’orizzonte della Chiesa: nella prospettiva dell’Anno della fede e del prossimo Sinodo dei vescovi, il Papa con il messaggio per la Giornata missionaria mondiale rilancia l’urgenza della missione per una nuova evangelizzazione del mondo.

    In prima pagina, per l'informazione internazionale, “Barack Obama in chiave elettorale” con il resoconto del discorso sullo Stato dell'Unione.

    In cultura un articolo di Emilio Ranzato dal titolo: “Con lo sguardo di Ulisse” ricorda il regista greco Theo Angelopoulos morto in un incidente nella serata del 24 gennaio.

    Nel giardino del mondo: Francesco Bruni sul rapporto tra Dante e l'Italia e sul contributo del poeta al superamento dei particolarismi.

    Con un articolo intitolato “Il grottesco e gli ultimi” Giulia Galeotti parla della mostra fotografica di Diane Arbus a Parigi.

    Gli archivi raccontano: Giovanni Preziosi riporta storie di aiuto reciproco tra ebrei e religiosi cattolici durante la seconda guerra mondiale.

    Informazione religiosa: nell'articolo “Alla ricerca dell'unità perché il mondo creda” di Gregory J. Fairbanks una panoramica delle attività condotte dalla Chiesa cattolica, tramite il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, per il dialogo con le comunità ecclesiali protestanti.

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    Oggi in Primo Piano



    Al via il Forum economico di Davos e il Forum sociale mondiale di Porto Alegre

    ◊   Attenzione massima per l’avvio a Davos, in Svizzera, del Forum economico mondiale. Presenti 345 esponenti del mondo politico, associativo e accademico. Mentre in Brasile a Porto Alegre si sta svolgendo il Forum sociale mondiale. Ma le due piattaforme possono dialogare sulla crisi? Al microfono di Giancarlo la Vella, l’economista Angelo Baglioni docente di economia internazionale all’Università Cattolica di Milano:

    R. – Sì, è auspicabile. Al momento ci sono tanti problemi sul tappeto. In Europa c’è un problema fondamentale che è quello della solidarietà, dell’integrazione fiscale tra i Paesi europei, che deve fare un po’ da bilanciamento ai sacrifici che si stanno chiedendo a diversi Paesi, tra cui l’Italia, e che si stanno facendo. Io spero che venga un messaggio che guardi molto in avanti sul futuro dell’Europa, che è l’unica prospettiva che può alla fine salvare il progetto euro.

    D. – Approccio prettamente economico finanziario e approccio solidaristico possono convivere?

    R. – La crescita dei Paesi occidentali va coniugata con il riequilibrio di certe distorsioni che ci sono sui mercati finanziari. Bisogna imporre regole che rendano la speculazione meno feroce. Anche questo fa parte di un discorso di solidarietà: cioè, avere una finanza che sia improntata alle regole del libero mercato, ma che risponde a regole tali per cui non ci siano eccessi nelle attività speculative. Questo va a vantaggio di tutti, va a vantaggio anche dei Paesi emergenti che spesso sono quelli che subiscono la violenza dei movimenti di capitale, che si spostano da un Paese all’altro molto rapidamente. (bf)

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    Obama nel discorso sullo stato dell'Unione: "L'America oggi è più forte, ora sia più giusta"

    ◊   Il presidente Obama ha pronunciato questa notte l’atteso discorso sullo stato dell'Unione, il terzo da quando è al timone degli Stati Uniti. Un intervento, il suo, tutto incentrato sulla crisi economica, e con un breve ma significativo accenno alla questione nucleare iraniana. Il servizio di Salvatore Sabatino:

    “I will not stand by when our competitors don't play by the rules!”...
    Una sfida più che un discorso, per rimanere uniti, anche durante il periodo più buio che gli Stati Uniti abbiano vissuto dal punto di vista economico. Obama guarda al futuro con determinazione e speranza e parla di un’America più giusta, “costruita per durare”, un Paese in cui tutti tornino ad avere le stesse opportunità, dove le regole siano uguali per tutti, dove le imprese che creano posti di lavoro siano premiate e quelle che delocalizzano, penalizzate. E soprattutto un Paese dove i ricchi paghino più tasse, per investire di più in istruzione, sanità e ricerca. Un discorso bollato dai giornali come elettorale e populista. Ma quanto si può leggere tutto questo in chiave elettorale? Nico Perrone, docente di Storia americana presso l’Università di Bari:

    R. – Direi che il discorso di Obama è un po’ tutto elettorale e populista, però si è poi anche visto che dopo i suoi slogan – penso agli slogan della prima campagna elettorale – qualche cosa l’ha fatta: per esempio l’assistenza sanitaria, che non è poco per l’America.

    D. - Obama ha rispolverato anche il glorioso slogan che lo portò alla vittoria nel 2008: “Yes we can”, affermando che oggi gli Stati Uniti sono più forti di 4 anni fa. Ma quanto è cambiata l’America sotto la sua presidenza?

    R. – L’America è diventata realista: ha messo da parte l’arroganza illimitata del potere ed ha imparato a fare i conti con la realtà. Questo Obama lo sa fare molto bene e fa in modo che anche gli americani capiscano che è necessario farlo.

    D. – Una realtà - quella che ha dovuto affrontare - comunque molto dura, con una crisi economica che ha piegato gli Stati Uniti…

    R. – La realtà è molto dura; la crisi economica è ancora più dura. Tutto sommato Obama ha pensato, e in qualche modo lo ha fatto, di affrontare la crisi finanziaria togliendo il di più che hanno i ricchi e non facendo pagare soltanto ai poveri, come invece si è fatto in Europa. Questo dobbiamo ritenerlo – credo – positivo.

    D. - Infine una forte presa di posizione sull’Iran: “l'America – dice Obama – è determinata ad impedire che ottenga l'arma nucleare, e io non tolgo alcuna opzione dal tavolo”. Una risposta chiara a chi in questi anni lo ha accusato di essere timido in politica estera. E’ davvero così debole?

    R. – Obama non è stato debole in politica estera: Obama è stato realista. Sa che al di là delle parole, delle minacce, al di là dell’invito agli alleati ad essere solidali, non ha oggi i mezzi per fare grandi cose. L’America non ha più la supremazia assoluta nel mondo: non quella militare, perché c’è il terrorismo che fa paura pur non avendo le bombe atomiche; e non quella economica. Obama lo ha capito e ne tiene conto. Quindi gli slogan non li mette da parte, ma certa di dare agli slogan un contenuto relistico. (mg)

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    Egitto, un anno fa l'inizio della rivolta. Le opinioni di un militante e del nunzio, mons. Fitzgerald

    ◊   Il 25 gennaio di un anno fa, in Egitto, avevano inizio le manifestazioni di protesta in piazza Tahrir, che avrebbero portato alle dimissioni del presidente Mubarak. E oggi è stato anche revocato, dopo 30 anni, lo stato d'emergenza imposto dopo l'uccisione di Sadat. Il capo del Consiglio militare, maresciallo Hussein Tantawi, ha rivolto un appello ai movimenti di piazza Tahrir, spronandoli a formare un partito politico. Per un bilancio di questa “primavera egiziana”, Davide Maggiore ha intervistato Ahmed Maher, fondatore del “Movimento 6 aprile”, che fu protagonista delle manifestazioni:

    R. – Now, we expected better than what happened…
    Ci aspettavamo di meglio rispetto a quello che è accaduto un anno fa. Ci aspettavamo un nuovo presidente, prima di un nuovo parlamento. Ma l’Escaf (l’Egypt Supreme Council of Armed Forces – Consiglio supremo delle forze armate d’Egitto - ndr), che attualmente detiene il potere che gli è derivato dalla nostra rivoluzione, ha indetto le elezioni parlamentari prima di quelle presidenziali. Non è strano allora che le forze islamiche abbiano la maggioranza in parlamento, ma non abbiamo timore di questo, possiamo accettarlo. Quello che potrà indurre la gente ad accettarlo o meno dipende dall’aspetto economico. Se le forze islamiche saranno capaci di risolvere i problemi economici, saranno accettate, se invece vorranno insistere su aspetti religiosi, nessuno le accetterà.

    D. – Secondo lei, le idee della rivoluzione e le loro richieste troveranno un posto nel futuro dell’Egitto?

    R. – The revolution now is still continuing: the revolution will end…
    La rivoluzione è ancora in corso: finirà quando avremo raggiunto tutti i nostri scopi. Abbiamo molti obiettivi da raggiungere, abbiamo avanzato molte richieste e lavoreremo per questo, completeremo la rivoluzione. E’ cominciata una pressione sul parlamento per ricordare ai deputati che noi abbiamo votato per loro e loro dovranno essere al nostro servizio, dovranno raggiungere gli obiettivi che abbiamo segnalato, dovranno sostenere l’economia e molto altro ancora. La rivoluzione continuerà fino a quando non ci saranno cambiamenti – magari tra due, tre anni non so – ma noi saremo lì per vigilare su tutto.

    D. – Dopo un anno, cosa ancora c’è da fare in Egitto?

    R. – Now we can speak freely in any place! …
    Ora, possiamo parlare liberamente in ogni luogo: l’altro giorno ho tenuto una conferenza in strada… Ecco, adesso possiamo organizzare comizi per le strade, possiamo rendere pubbliche le nostre idee, oggi è possibile che tu possa parlare liberamente, fondare un partito… Per quanto riguarda i temi economici, la democrazia e l’avere un governo stabile, ci vorrà un po’ di tempo. Credo che questo si possa prevedere dopo le elezioni presidenziali: allora ci sarà un vero cambiamento. Adesso non ancora…

    D. – Quali gli aspetti principali che dovranno cambiare dopo le elezioni presidenziali?

    R. – After the presidential elections it will be more stable, …
    Dopo le elezioni presidenziali, la situazione si stabilizzerà perché la gente saprà con chi sta trattando. Ora parliamo con l’Escaf, sono militari, non accettano suggerimenti da nessuno. Ma quando riusciremo a trattare con un presidente civile, per noi sarà tutto più facile.

    D. – Il processo a Mubarak è ancora in corso. Lei pensa che la conclusione del processo, qualsiasi essa sia, possa segnare la fine del vecchio regime?

    R. – No. The old regime is not Mubarak only. The old regime…
    No. Il vecchio regime non è soltanto Mubarak. Il vecchio regime è tanta gente che ha ancora quella mentalità, e ci sono molti uomini d’affari e molti generali che sono determinati a tutelare i loro interessi. Per questo, il regime di Mubarak finirà quando avremo ripulito organizzazioni e ministeri dalla gente di Mubarak, dal partito Ndp (National Democratic Party) e dalla sua mentalità.

    D. – E’ preoccupato per il ruolo che i militari svolgono attualmente nel suo Paese?

    R. – Sure. We are worried by the militaries. We can accept the Islamic Groups, …
    Sicuramente. I militari ci preoccupano. Possiamo accettare i raggruppamenti islamici, perché con loro possiamo discutere, possiamo organizzare manifestazioni “contro” di loro, ma sono comunque civili. Ma se i militari avranno un ruolo nella Costituzione, sarà molto pericoloso …

    D. – Nei giorni della rivoluzione, il Paese ha manifestato unità. Lei pensa che questo continuerà anche nei prossimi mesi?

    R. – It will depend on the issues. …
    Dipenderà dagli argomenti. Un anno fa, ci trovavamo tutti insieme a lottare contro il regime di Mubarak. Ora, invece, ci sono molti argomenti sul tavolo e ci sono tante ideologie. Quindi, ci potrà essere un’alleanza di alcuni gruppi in opposizione ad altri, ma su un diverso argomento si potrebbe avere un’alleanza diversa. Ecco perché dipenderà dagli argomenti: economici, religiosi e tanti altri ancora…

    D. – In particolare, per quanto riguarda l’aspetto religioso lei pensa che le minoranze religiose corrano dei rischi?

    R. – No, I don’t think that. …
    No, non credo. Non ci sono rischi. La rivoluzione proteggerà i cristiani d’Egitto. Noi viviamo insieme da oltre mille anni… Il problema si è verificato soltanto nell’epoca di Mubarak: prima di Mubarak, non ci sono mai stati problemi, in Egitto, tra cristiani e musulmani. Quindi, io penso che sarebbe molto positivo se noi ci impegnassimo a diffondere in Egitto i valori di civiltà ed eguaglianza e comprensione, contro ogni idea radicale. La maggioranza degli egiziani non desidera avere problemi legati alla religione; per questo noi proseguiremo sulla strada della diffusione dei valori della civiltà e dell’uguaglianza. (gf)

    E sulla valutazione della minoranza cattolica su quanto accaduto in Egitto negli ultimi 12 mesi si esprime il nunzio apostolico nel Paese, l’arcivescovo mons. Michael Louis Fitzgerald, intervistato dal collega della nostra redazione francese, Olivier Bonnel:

    R. - Je pense que, en général, les chrétiens sont déçus des résultats des élections...
    Penso che i cristiani, in generale, siano delusi dai risultati delle elezioni, dalle quali è emersa una grande maggioranza islamica. Ma c’è anche la speranza nel constatare che esiste un movimento democratico, che la democrazia continua e che si potrà fare qualcosa alle prossime elezioni: i deputati non islamici in parlamento potranno far sentire la loro voce. Quanto alla commemorazione del 25 gennaio le opinioni sono molto diverse: è stata chiesta una celebrazione e molti sostengono che, no, non è il momento di festeggiare. La rivoluzione, dicono, non è finita, bisogna rispettare i martiri, non è il momento di esultare. Io penso che la maggioranza delle persone desideri che la giornata del 25 gennaio trascorra nella pace. Credo che questo sia l’auspicio della maggior parte degli egiziani: che non ci sia violenza. (bf)

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    Proteste in Romania contro il carovita. Mons. Robu, arcivescovo di Bucarest: "Bisogna porre termine alla crisi morale"

    ◊   La protesta contro il carovita e la corruzione in Romania è arrivata al suo 12.mo giorno consecutivo. In tutte le principali città, come anche nella capitale Bucarest, decine di migliaia di persone hanno manifestato in piazza chiedendo le dimissioni del governo guidato dal premier, Emil Boc. Al centro delle proteste, che ieri hanno provocato le dimissioni del ministro degli Esteri, Teodor Baconschi, le politiche fiscali volute dall’esecutivo e la dilagante povertà nel Paese. A mons. Joan Robu, arcivescovo metropolita di Bucarest, Stefano Leszczynski ha chiesto quali siano le ragioni della protesta:

    R. – A giudicare dagli slogan gridati dalla gente, si può dire che le ragioni della protesta sono la corruzione, la povertà, l’incompetenza e la corruzione dei governanti, la rabbia nel sentire tante bugie dalla propaganda del partito al potere, le ingiustizie provocate dalla moltitudine delle tasse da pagare e così via.

    D. – Eccellenza, qual è la situazione economica della Romania, oggi? C’è stato un miglioramento dopo l’ingresso nell’Unione Europea del livello di vita, o la differenza sociale è ancora molto forte all’interno del Paese?

    R. – Direi che la situazione economica si trova in una fase di transizione senza una meta chiara e senza la sapienza della ricerca del bene comune. La gente è stanca di vedere come i governanti cerchino soltanto i loro interessi e non il bene del popolo. E poi, un miglioramento è stato percepito senz’altro dopo l’ingresso nell’Unione Europea, però solo poche persone hanno percepito un vero e stabile miglioramento. La maggior parte delle famiglie vive in povertà. Ed è vero: la crisi economica è una crisi generale, e la Romania non ne è risparmiata. Però, i governanti romeni – e questa è opinione comune – non hanno nessuna idea del bene comune: sono però molto precisi nel cercare i loro interessi e sfidano la gente con il loro egoismo e la loro prepotenza. Faccio anche un esempio. Da molti anni, cerco di incontrare il presidente della Repubblica – ho anche scritto per questo – e anche il primo ministro per un problema che riguardava la situazione di una costruzione accanto alla nostra cattedrale, a causa della quale abbiamo avuto un processo durato cinque anni. Sono anni che aspetto di essere ricevuto: nemmeno hanno risposto alle mie lettere. Ecco, questo è un esempio dal quale si rileva chiaramente la sfida, la prepotenza.

    D. – E’ una situazione spesso difficile, quella dei Paesi che sono usciti dall’ex blocco comunista, Paesi di emigrazione verso l’Occidente. Oggi, questi lavoratori continuano a trovare un’occupazione all’estero, o questa situazione si è fatta più difficile e ci sono forti ripercussioni anche in patria?

    R. – Ci sono ripercussioni abbastanza gravi: intanto, le famiglie sono divise perché una parte è all’estero e una parte è in Romania. Ci sono le molte difficoltà vissute dai bambini che crescono senza la madre o addirittura senza ambedue i genitori. Però, questa emigrazione ha forse anche un aspetto positivo, nel senso che quelli che lavorano all’estero riescono ad aiutare quella parte della famiglia che si trova in Romania: mandano soldi in Romania. Poi, però, ci sono altri aspetti che pian piano emergono. Per esempio, in Romania non si trovano più operai perché sono tutti all’estero: sono partiti tutti perché qui - ed è vero - i posti di lavoro sono pochi, sono mal pagati e quindi la gente cerca di andare altrove, dove riceve un salario migliore. Anche se poi devono far fronte a tante umiliazioni e a condizioni di vita che, purtroppo, sono quelle che sono …

    D. – Eccellenza, di cosa avrebbe bisogno oggi la Romania per acquistare una stabilità sociale e una posizione più serena nei confronti del futuro?

    R. – Come tutti, anche in Europa, dove esiste questa crisi economica, abbiamo bisogno di tornare ai valori dimenticati: non di fare crescere, ma di porre un termine alla crisi morale e alla crisi di fede in cui ci troviamo e da dove provengono tanti mali, sia nell’economia, sia nella vita sociale.

    D. – Quindi, la secolarizzazione ha colpito in maniera molto forte anche la Romania, anche a livello istituzionale?

    R. – Sì: l’ha colpita abbastanza fortemente e non nel lungo periodo, ma in pochissimo tempo. E questi attacchi sono stati molto forti. (gf)

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    Gli autotrasportatori continuano a bloccare le strade. Dagli agricoltori frutta gratis

    ◊   Ancora disagi sulle strade in tutta Italia per le manifestazioni degli autotrasportatori. Oggi, si cominciano a lamentare difficoltà nell'approvvigionamento delle scorte. Intanto, è atteso per stasera l'incontro tra il presidente del Consiglio, Mario Monti, e il governatore siciliano, Raffaele Lombardo, sulla situazione nell’isola. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    La protesta degli autotrasportatori sta scemando come intensità, ma in tante parti d’Italia i blocchi ai caselli e agli svincoli autostradali sono ancora una realtà. In alcune regioni il carburante scarseggia. Gli autotrasportatori, una minoranza rispetto all’intera platea, protestano per il caro carburante. Ma non solo. Il presidente di Confartigianato, Giorgio Guerrini:

    “Vi sono anche molti altri problemi legati alla concorrenza sleale, soprattutto da parte di autotrasportatori di Paesi terzi che non rispettano le regole che i nostri autotrasportatori osservano. Quello che abbiamo visto in questi giorni – blocchi, a volte anche non giustificati da parte di sigle sconosciute dell’autotrasporto – credo che non faccia bene al Paese e non fa bene neanche alla categoria”.

    Solo nel settore alimentare, sono 100 milioni i danni al settore. I prezzi cominciano ad aumentare dice Sergio Marini, presidente di Coldiretti:

    “Intorno al 30 per cento in alcuni mercati, soprattutto debbo dire che il problema si pone nella distribuzione organizzata, dove - oltre all’aumento del prezzo - c’è anche un problema di carenza di alcune tipologie di prodotto verso quei canali di arrivo del prodotto che sono abbastanza canonizzati, aumenta il prezzo al consumo legandolo al fatto che c’è meno offerta”.

    Oggi, in alcune piazze, la Coldiretti ha offerto frutta e verdura gratis a pensionati e famiglie.

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    L'Ocse denuncia: in Italia e nel mondo cresce il divario tra poveri e ricchi

    ◊   I ricchi sono diventati più ricchi, i poveri sono rimasti poveri e il divario è cresciuto a cominciare dagli anni ’90: è ciò che in sintesi emerge dal rapporto dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Ocse, sull’aumento delle disuguaglianze in Italia e nel mondo presentato ieri mattina a Roma alla presenza del ministro del Lavoro, Elsa Fornero, e del presidente dell’Istat, Enrico Giovannini. Investire in risorse umane e sull’occupazione tra le ricette raccomandate dall’Organizzazione. Il servizio di Adriana Masotti:

    In Italia, la disuguaglianza dei redditi è superiore alla media dei Paesi europei, più elevata che in Spagna, ma inferiore al Portogallo e al Regno Unito. Nel 2008, il reddito medio del 10% più ricco degli italiani era di 49.300 euro, dieci volte superiore al reddito medio del 10% più povero, indicando un aumento della disuguaglianza rispetto al rapporto di 8 a 1 di metà degli anni Ottanta. L’1% più ricco degli italiani ha visto la proporzione del proprio reddito aumentare dal 7% del reddito totale nel 1980 fino a quasi il 10% del 2008. Allo stesso tempo, le aliquote d'imposta sui redditi più alti si sono quasi dimezzate. Inoltre, dal Rapporto emerge che i lavoratori meglio pagati lavorano più ore e, in Italia e nella maggior parte dei Paesi Ocse, la differenza tra le ore di lavoro dei lavoratori meglio e peggio retribuiti è aumentata. Infine, la redistribuzione attraverso i servizi pubblici, come sanità e scuola, è generalmente diminuita.

    Quali le misure per ridurre le disuguaglianze? Prioritarie, secondo l’Ocse, sono le riforme delle politiche fiscali, per assicurare che i soggetti più abbienti contribuiscano in giusta misura al pagamento degli oneri e quelle previdenziali. Poi, bisogna investire nelle risorse umane e sull'occupazione, basta quindi con l’eccessiva flessibilità e precarietà. Ancora l’Ocse sottolinea l’importanza del ruolo degli ammortizzatori sociali, delle politiche di sostegno del reddito e l’offerta di servizi pubblici gratuiti, in ambiti quali l’istruzione, la sanità e l’assistenza alla famiglia. In definitiva, la parola d’ordine deve essere equità e di equità della riforma del lavoro ha parlato il ministro Fornero, che incalzata da un gruppo di precari ha assicuranto: “I precari stanno a cuore a tutti noi”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Messico: i vescovi auspicano che la visita del Papa "possa fermare la violenza"

    ◊   Il Segretario generale della Conferenza episcopale messicana, mons. Victor Rene Rodriguez Gómez, vescovo ausiliare di Texcoco, ha auspicato che la prossima visita di Benedetto XVI diventi un’occasione per i criminali di riconsiderare la loro condotta e di cambiare vita. “Questa non deve essere una tregua, ma un momento di cambiamento, di conversione, perché i gruppi criminali riescano a riconsiderare la loro posizione di fronte alla società e davanti al Paese” ha detto il vescovo in un'intervista alla stampa locale. “Benedetto XVI onora con la Sua presenza il nostro Paese e, di conseguenza, in questi giorni lanciamo l'appello non solo ad una tregua, ma ad un cambiamento in cui ci impegniamo tutti", ha spiegato mons. Rodriguez facendo riferimento alla violenza che affligge il Messico. Dal dicembre 2006 al settembre 2011, secondo i dati ufficiali, oltre 47.000 persone sono state uccise, la maggior parte delle quali in scontri legati al narcotraffico. "La visita del Papa porterà, oltre alla benedizione dalla sua presenza, un nuovo entusiasmo per il nostro impegno come cristiani e come messicani per dare al nostro Paese il futuro che tutti noi vogliamo", ha detto mons. Rodriguez. Dalla sicurezza del Papa si occuperà lo Stato Maggiore del Presidente della Repubblica, mentre le autorità statali e locali dovranno garantire la sicurezza delle persone presenti agli eventi. "Abbiamo la fiducia e la certezza che non avremo nessun problema. Il Santo Padre gode dell'affetto e del rispetto di tutti i messicani. Crediamo che vi sarà una tregua o una forma di rispetto dai gruppi difficili”, ha detto mons. Rodríguez. "La logistica è molto importante, abbiamo bisogno di 25.000 giovani solo per le "catene umane" (che accompagnano il percorso papale nelle città da Lui visitate), questi giovani però hanno bisogno di una preparazione adeguata, alloggio, trasporto e cibo", ha concluso il vescovo. (R.P.)

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    Usa: dopo Washington, Marcia per la vita anche a San Francisco

    ◊   Parallelamente alla Marcia per la Vita di Washington, presieduta dal cardinale designato Timothy Dolan, arcivescovo di New York, un evento “gemello” si è tenuto sulla costa del Pacifico: un gruppo di circa 40mila dimostranti - riferisce l'agenzia Zenit - si è radunato di fronte al municipio di San Francisco, per poi riversarsi lungo la strada principale, percorrendo due miglia lungo Market Stretto fino all’Embarcadero. “Siamo qui per dire che la vita è una scelta e le donne sono ferite dall’aborto”, ha detto Dolores Meehan, co-presidente della Walk for Life West Coast, che si è tenuta sabato, alla vigilia dell’anniversario della sentenza Roe v. Wade che nel 1973 legalizzava l’aborto negli Usa. Durante la marcia, il dottor Vansen Wong, ostetrico e ginecologo, ha raccontato la sua passata esperienza di medico abortista, pentitosi di aver messo fine a centinaia di piccole vite nascenti nel giro di sette anni. “L’aborto è una barbarie, è qualcosa di intollerabile”, ha dichiarato Wang, che oggi lavora presso una clinica dove le donne incinte ricevono ultrasuoni. “L’aborto non ha posto in alcuna società civilizzata”, ha aggiunto il medico. Un ex miss West Virginia, Jacquie Stalnaker, ha detto di essere stata costretta all’aborto dal suo ex fidanzato e del peso che ha portato per 24 anni. La Stalnaker, che è anche rappresentante regionale per la campagna Silent No More, un’organizzazione di donne che hanno praticato aborti, ha esortato la folla ad invitare i propri amici pro-choice a visitare il sito del gruppo e ad ascoltare le storie di donne passate attraverso il dramma dell’aborto. A parlare, tra gli altri, Lori Hoye, un’attivista afroamericana la cui madre rimase incinta a 15 anni e la cui sorella ebbe un aborto, e il predicatore Battista, il reverendo Clenard Childress. “Siete il sale della terra – ha detto il reverendo Childress rivolto alla folla -. Questo è più che un movimento pro-life. Questo è un movimento dello Spirito Santo, perché lo Spirito scaccia il male”. (R.P.)

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    Siria: Amnesty sollecita intervento Onu e Cpi per tutelare le libertà fondamentali

    ◊   Le violazioni dei diritti umani in Siria emerse durante la missione della Lega Araba dovrebbero provocare una "forte reazione" della comunità internazionale e spingere l’Onu ad agire con efficacia rivolgendosi alla Corte Penale Internazionale perché affronti la questione. L’appello giunge da Amnesty International. "La vera misura del successo della missione di osservazione starà nella sua capacità di spingere la comunità internazionale ad occuparsi di ciò che causa gravi preoccupazioni riguardo ai diritti umani in Siria", ha sottolineato Ann Harrison, vicedirettore di Amnesty per il Medio Oriente ed il Nord Africa. Le tesi sostenute da quei Paesi che hanno bloccato ogni azione sulla Siria in sede di Consiglio di Sicurezza suonano sempre più false, ha aggiunto la Harrison. (R.G.)

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    Iraq: in due mesi giustiziate almeno 63 persone. La protesta dell'Onu

    ◊   L'Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani, Navi Pillay, ha denunciato ieri l'enorme numero di persone messe a morte in Iraq. In particolare, Pillay si è detta sconvolta dal fatto che in un solo giorno, lo scorso 19 gennaio, siano state giustiziate ben 34 persone, tra cui anche due donne. ''Anche se le norme più scrupolose per garantire processi equi fossero state rispettate - ha detto Pillay - questo numero di esecuzioni ... in una sola giornata, è terrificante''. Ed ha aggiunto: ''Visto il deficit di trasparenza nelle procedure giudiziarie, viste le forti perplessità in merito all'equità dei processi e dato il gran numero di crimini che prevedono la pena di morte, è veramente una cifra scioccante''. Da metà novembre in Iraq, dove la pena capitale è prevista per 48 crimini, sono state giustiziate almeno 63 persone e 1.200 sono state condannate alla pena di morte dal 2004. L'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani ha anche chiesto alle autorità irachene di applicare una moratoria nelle esecuzioni. (R.G.)

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    India: ieri Giornata della bambina, contro aborti selettivi e infanticidi femminili

    ◊   L’India ha festeggiato ieri la terza Giornata nazionale della bambina. “Secondo il censimento 2011 – sottolinea all'agenzia AsiaNews il dr. Pascoal Carvalho, membro della Pontificia accademia per la vita –, una bambina su 13 non sopravvive oltre i sei anni di età. Questo anniversario ci ricorda l’urgenza di proteggere le nostre bambine da pratiche come gli aborti selettivi e gli infanticidi femminili”. L’attuale governo Upa (United Progressive Alliance) ha istituito questa ricorrenza nel 2009, scegliendo il giorno in cui, nel 1966, Indira Gandhi divenne il primo ministro donna dell’India. La Chiesa cattolica celebra invece la Giornata della bambina ogni 8 settembre, nel giorno della Natività di Maria. Con l’avvento degli ultrasuoni, dei test per determinare il sesso del nascituro e di esami come l’amniocentesi, decine di migliaia di feti femminili non sono mai nati. “All’inizio – spiega il dr. Carvalho, anche membro della Commissione per la vita dell’arcidiocesi di Mumbai –, questi esami servivano per individuare anomalie congenite del feto. Poi, sono diventati uno strumento per conoscere il sesso del nascituro, al fine di abortire se fosse stata una femmina”. Per frenare l’abuso di questi test clinici, nel 1994 il governo ha promulgato il Pre-Natal Diagnostic Technologies (Pndt) act, che prevede una serie di pene per chi è colto in flagranza di reato, sia esso medico o genitore. Tuttavia, nota il dr. Carvalho, “per quanto potente, la legge da sola non può sradicare un problema che è soprattutto legato a fattori socioculturali”. Tra questi vi sono la discendenza, la dote, o forme di “protezione”. In alcune provincie dell'India vi è ancora l'usanza del sati, il rogo della vedova sulla pira funebre del marito defunto. Secondo la tradizione indù, un rituale volontario che attesta la devozione verso il consorte; in realtà, un modo per liberarsi del “peso” economico di una donna rimasta sola. Accanto alla legge nazionale, vi sono le tante iniziative della Chiesa cattolica per contrastare la discriminazione di genere e difendere i diritti e la libertà delle bambine. Nel 2010 la Conferenza episcopale indiana ha pubblicato il Cbci Gender Policy, un rapporto in cui indica alcune strategie per proteggere e valorizzare la bambina. Tra queste: difendere le piccole da ogni forma di negazione della persona, incluse le molestie e gli abusi sessuali; trasmettere un’immagine positiva dell’essere donna tra le stesse bambine, i maschi, i genitori, gli insegnanti e tutta la società; evitare, almeno negli istituti a conduzione religiosa, ogni stereotipo di genere durante lezioni o attività extra scolastiche; sensibilizzare le persone circa i programmi statali nelle omelie, negli ospedali, nei dispensari e nelle classi di catechismo. (R.P.)

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    India. Karnataka: aggrediti e umiliati 20 cristiani in preghiera accusati di proselitismo

    ◊   Decine di attivisti indù del Rss (Rashtriya Savayansevak Sangh) hanno attaccato 20 cristiani della New Life Felloship in una casa privata, a 3km dalla città di Haliyal (Uttar Kannada, Karnataka). È accaduto il 23 gennaio scorso. “Anche nel 2012 – commenta Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic) all'agenzia AsiaNews – non c’è tregua per i cristiani. Siamo già al terzo incidente anticristiano, nel primo mese dell’anno”. Accusando i presenti di proselitismo e conversioni forzate, gli ultranazionalisti hanno iniziato a picchiare Kishore Kavalekar, un fedele, e il rev. Chandrakanth Kalappa Chavan, 27 anni, sotto gli occhi della moglie Vandana, 24 anni, e della figlia di 3 anni. Dopo aver strappato i vestiti del pastore, gli attivisti l’hanno trascinato per tutto il villaggio. Infine, gli aggressori lo hanno legato a un albero vicino a un tempio indù e chiamato la polizia di Haliyal. Le forze dell’ordine hanno arrestato il rev. Chandrakanth e Kishore, imprigionandoli per 24 ore, lasciando liberi gli attivisti del Rss. Dal 2008 il Karnataka è guidato dal Bjp (Bharatiya Janata Party), partito ultranazionalista che sostiene gruppi e movimenti estremisti indù appartenenti all’ampio ombrello del Sangh Parivar. Tra questi, il Rss (Rashtriya Swayamsevak Sangh), il Vhp (Vishwa Hindu Parishad) e il Bajrang Dal, spesso responsabili delle violenze contro dalit e cristiani. “La complicità tra il governo del Bjp e le forze ultranazionaliste – afferma il presidente del Gcic – sta mettendo in serio pericolo la sopravvivenza dei cristiani in Karnataka. Domani, l’India celebra la 62ma Festa della Repubblica: è imperativo che le credenziali laiche della nostra Costituzione siano seguite e garantite in tutti gli Stati del Paese”. Di recente, anche altri Stati indiani sono stati teatro di persecuzione anticristiana. Nel Jammu e Kashmir, un tribunale islamico (che non ha alcuna autorità legale) ha decretato l'espulsione di cinque missionari cristiani, tra cui il pastore CM Khanna e padre Jim Borst. “I cristiani – aggiunge Sajan George – sono trattati come cittadini di seconda classe non solo dalle forze ultranazionaliste, ma anche dalle autorità. Con l’avvicinarsi della Festa della Repubblica, è tempo che lo Stato assicuri alla minoranza cristiana i suoi diritti costituzionali”. (R.P.)

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    Traffico di haitiani reduci dal sisma verso il Brasile: 254 fermi alla frontiera col Perù

    ◊   Sono vittime dei trafficanti di esseri umani che stanno speculando sul sisma che due anni fa ha sconvolto Haiti: come l'agenzia Fides apprende dalla Chiesa locale, da circa dieci giorni 254 immigrati haitiani, sopravvissuti al terremoto del 2010, sono bloccati nella frontiera fra Perù e Brasile, nella città peruviana di Iñapari, dato che la polizia del Brasile impedisce l’ingresso nel Paese. Gli haitiani sono arrivati ad Iñapari (città nel sud-est della foresta peruviana), seguendo la rotta considerata “la più economica”, passando da Panama e attraversando il Perù da clandestini. Sono in condizioni disperate, senza documenti, e fra loro vi sono donne e bambini. La Chiesa locale si è mobilitata per l’accoglienza: i più sono ospitati nella parrocchia locale ed è la comunità cattolica del posto a provvedere loro cibo e sostentamento, mentre alcuni sono in un campo profughi allestito dal governo regionale di Madre de Dios. Iñapari si trova nella regione di Madre de Dios, nel triangolo di frontiera di Perù-Brasile-Bolivia, è una delle città con un tasso di povertà fra i più alti della nazione. Il sindaco di Iñapari, Celso Curi, ha dichiarato pubblicamente che questa situazione ha alterato la vita del suo piccolo paese: una cittadina di soli 2.000 abitanti, che non ha mezzi per poter assistere dignitosamente tanti profughi. Il parroco della cittadina peruviana, padre René Salizar, ha riferito che dal 2010 circa 8.000 haitiani hanno attraversato il confine per andare in Brasile da Iñapari, pagando fino a 3.200 dollari ai trafficanti che organizzano il trasbordo da Haiti. A partire dal 12 gennaio scorso, il governo brasiliano ha fissato un massimo di 100 visti di lavoro al mese per gli immigrati haitiani e la polizia ha intensificato i controlli. Da allora gli haitiani non riescono più a passare la frontiera. Padre Salizar chiede ai governi di Perù e Brasile di trovare una soluzione a questo problema, come segno di rispetto dei diritti umani degli haitiani, colpiti dal terremoto e vittime dei trafficanti. (R.P.)

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    Kenya: la Commissione giustizia e pace chiede elezioni pacifiche

    ◊   Una campagna elettorale ed una votazione pacifica: è quanto chiede l’arcivescovo Zaccheus Okoth, presidente della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale del Kenya. Il Paese africano, infatti, si prepara alle elezioni generali, le prime dopo l’approvazione della nuova Costituzione. Secondo quanto stabilito dall’Alta Corte di Nairobi, le consultazioni legislative e presidenziali si terranno a marzo del 2013, a meno che l’attuale governo di unità nazionale – formatosi nel 2008, in seguito alle violenze post-elettorali che provocarono centinaia di vittime e di sfollati – si sciolga prima della conclusione del suo mandato. Mons. Okoth è intervenuto, nei giorni scorsi a Nairobi, alla conferenza nazionale sul tema “Preparazione del Kenya verso le elezioni generali”; l’evento è stato organizzato dall’Hekima Institute, il Centro studi per la pace e le relazioni internazionali. Nel suo discorso, mons. Okoth ha invitato tutti i kenioti ad andare a votare e a vivere serenamente la campagna elettorale; alle donne, ai giovani e ai disabili il presule ha chiesto di assumere, con coraggio, ruoli di leadership, mentre ai cittadini ha lanciato un appello affinché sostengano la nuova Costituzione ed il governo delegato, senza paura. Tuttavia, il presule ha puntato il dito contro la scarsa educazione civica dei kenioti e la mancanza di informazione sull’attuazione della nuova Carta fondamentale: “L’educazione civica deve essere insegnata alla popolazione – ha detto – L’esperienza del 2008 è ancora nella memoria di molte persone e ciò ci dà l’opportunità di costruire una nazione unita”. L’arcivescovo di Kisumu ha poi messo in luce i temi principali su cui riflettere in vista delle prossime elezioni, ovvero la riconciliazione nazionale, la cittadinanza e la Carta dei diritti fondamentali; dal suo canto, la Chiesa è stata esortata a lavorare in difesa del diritto alla vita. Infine, mons. Okoth ha lanciato un appello al dialogo, esortando i leader politici a non ricorrere alla coercizione o alla corruzione, bensì a permettere elezioni libere ed eque, evitando la violenza. (I.P.)

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    Somalia: riaperto l’Ufficio Onu a Mogadiscio. Liberati oggi due cooperanti

    ◊   Liberati oggi in Somalia due cooperanti, uno statunitense ed un danese, rapiti lo scorso 25 ottobre a Galkayo. Il rilascio è avvenuto nella regione centrale di Hobyo, a seguito di un’operazione dell’Esercito statunitense. Altra buona notizia: è stato riaperto ieri l’Ufficio dell’Onu a Mogadiscio. Dopo 17 anni Augustine Philip Mahiga, rappresentate speciale del segretario generale delle Nazioni Unite (Srsg) per il Corno d'Africa, è tornato nella capitale somala, accolto in aeroporto dal primo ministro somalo Ali Mohamed Abdiweli, dal presidente del parlamento Sharif Hassan Sheik Aden e da diplomatici stranieri. L’arrivo di Mahiga è stato accompagnato da speciali misure di sicurezza, con migliaia di militari e poliziotti che hanno presidiato i punti nevralgici della città. L'ambasciatore Mahiga si è augurato che questo ritorno possa segnare l'inizio di una ''rinnovata speranza per il futuro della Somalia'', in quanto consentirà all'Onu di lavorare molto più a stretto contatto con il Governo federale di transizione, le agenzie dell'Onu e le Ong che operano nel Paese africano da tempo. Mahiga ha incontrato il presidente somalo Sharif Sheikh Ahmed, il quale ha auspicato la riapertura della ambasciate straniere a Mogadiscio, convinto che sia arrivato il momento “della pace e dello sviluppo”. Ahmed ha incontrato anche il comandante della Forza di pace dell'Amisom, cui ha espresso apprezzamento per il ''sacrificio notevole'' reso in favore della pace in Somalia. La riapertura dell’Ufficio Onu era stata annunciata lo scorso dicembre del segretario generale Ban Ki-moon, nel corso di una visita a Mogadiscio. In quell’occasione, Ban aveva auspicato “un’accelerazione dei programmi di governo per migliorare la sicurezza, il buon governo, la riconciliazione”. (R.G.)

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    Sud Sudan: nominato rappresentante speciale Onu il diplomatico di Harare Raisedon Zenenga

    ◊   Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha nominato Raisedon Zenenga, diplomatico dello Zimbabwe, rappresentante speciale dell’Onu nel Sud Sudan. Una nota emessa dal Palazzo di vetro – di cui riferisce l’agenzia AgiAfro) - sottolinea le “credenziali di tutto rispetto” maturate da Zenenga riguardo capacità di mediazione, gestione di operazioni di peacekeeping, soluzione di conflitti condotte con governi e istituzioni internazionali. Per oltre 28 anni, il diplomatico di Harare ha ricoperto “incarichi importanti in Somalia, Liberia, Iraq, Kuwait e Sierra Leone". (R.G.)

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    Australia: appello della Chiesa sul soggiorno dei richiedenti asilo

    ◊   Non più di tre mesi. Tanto restino i richiedenti asilo nei Centri di permanenza temporanea dell’Australia. A chiederlo è la Commissione episcopale locale per la Giustizia, l’ecologia e lo sviluppo: in una nota pubblicata in vista dell’Australia Day, la Festa dell’indipendenza che ricorre il 26 gennaio, i presuli ribadiscono che “la detenzione prolungata e indefinita dei richiedenti asilo nei Centri di permanenza temporanea (Cpt) non può che produrre danni psicologici”. “Le proteste di massa, i gesti di autolesionismo ed i suicidi di cui siamo stati testimoni nel corso degli anni – si legge nella nota – dimostrano che le dure condizioni di vita nei Cpt acuiscono i traumi già vissuti da persone in fuga da guerre, violenze e persecuzioni. E una vasta gamma di esperti ed operatori sanitari ha identificato nella detenzione prolungata ed indefinita il fattore principale della comparsa e dell’acuirsi delle malattie mentali”. Di qui, l’accento forte posto dai vescovi sul fatto che “la permanenza nei Cpt dovrebbe servire solo a stabilire l’identità dei richiedenti asilo e a garantire che essi non siano una minaccia per la sanità o la sicurezza dell’Australia”. Ma ciò non basta: la Commissione episcopale richiama anche l’attenzione sul modo in cui la comunità accoglie tali persone, che “non vanno giudicate prima di aver ascoltato la loro storia”. I richiedenti asilo, sottolineano i vescovi, “non sono una questione legale, ma una questione di diritti umani, anzi una questione morale”. L’appello della Chiesa allo Stato, dunque, è a “trattare l’argomento come un tema umanitario”, evitando che “esseri umani diventino pedine di un dibattito politico”, anche in nome di quella “generosità australiana che, nel corso degli anni, ha fornito rifugio a popolazioni indifese, in fuga dalla loro patria”. Una tradizione di accoglienza che, concludono i vescovi, “ha reso le persone orgogliose di essere australiane”. (I.P.)

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    Costa Rica. I vescovi: è necessario migliorare il progetto di legge sulla vendita di alcolici

    ◊   È necessario migliorare il progetto di legge sulla regolamentazione e la vendita delle bevande alcoliche: lo chiede mons. Hugo Barrantes Ureña, arcivescovo di San José in Costa Rica. Nel Paese, infatti, è attualmente al vaglio del Senato il disegno normativo n. 17410, denominato “Legge regolatrice delle bevande alcoliche”. Il progetto, scrive mons. Barrantes in una nota, presenta alcuni aspetti positivi, come quello di “proibire ai minori l’acquisto di bevande alcoliche e l’accesso in luoghi in cui essa sono in vendita” od anche “il divieto di vedere alcolici lungo le strade, negli edifici religiosi e sportivi”. Ma tali elementi, ribadisce il presule, “non sono sufficienti”, poiché “il nucleo di un progetto di legge come questo deve essere sempre il bene comune, la salute pubblica, il benessere della persona e, soprattutto, la protezione delle famiglie, in particolare dei minori e dei disabili”. “Gli interessi particolari non devono mai essere i criteri di orientamento di una legge, si legge ancora nella nota, e quindi, “le attività commerciali non vanno mai considerate come un semplice strumento di incasso per lo Stato o i comuni, né come attività che vanno a vantaggio dei soli commercianti”. Per questo, mons. Barrantes esprime “preoccupazione e stupore” per il fatto che la legge “non stabilisca criteri obiettivi ed opportuni” per il numero di licenze di vendita di alcolici in una stessa giurisdizione e per gli orari di apertura dei locali che, soprattutto nei week-end, finiscono per lavorare tra le 13 e le 18 ore. “Sono orari scandalosi in un Paese con un alto indice di alcolismo – si legge nella nota – Essi costringono le famiglie costaricane a vivere il triste spettacolo delle persone ubriache nei centri sportivi o nei luoghi religiosi”, mentre invece “il dovere della società è quello di impegnarsi nel recupero di queste persone”. “La nostra società – ribadisce poi mons. Barrantes – ha bisogno di contare su una politica di recupero delle persone alcolizzate e di prevenzione dell’alcolismo nei giovani, aspetti che sono invece totalmente assenti in questo progetto di legge”. Infine, chiedendo ai senatori di “identificare gli elementi migliorabili nella bozza della normativa”, anche in base al fatto che “la tendenza mondiale è quella di diminuire gli spazi di vendita di alcolici”, l’arcivescovo di San José conclude: “Difendere la famiglia e proteggere i giovani dal pericolo delle dipendenze significa lavorare per un futuro migliore per tutti”. (I.P.)

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    Italia. I vescovi: la crisi mondiale più che economica è etica e culturale

    ◊   All’indomani della prolusione del presidente della Cei, i membri del Consiglio permanente hanno valorizzato i passaggi centrali della riflessione del cardinale Bagnasco, del quale è stato apprezzato lo stile realistico e insieme fiducioso. Tutti gli interventi hanno convenuto sul fatto che la crisi economica che sta scuotendo il mondo non solo mette in crisi l’idea ingenua di un progresso illimitato e quasi automatico, ma svela pure la radice di un processo che, prima che economico e politico, è etico e culturale. Se la crisi dell’Europa è crisi di fede si richiede una stagione di rinnovata evangelizzazione per superare quello scetticismo contagioso che arriva fino alla reticenza su Gesù. Di qui l’attenzione nei riguardi del mondo degli adulti, dove occorre ritornare ad un annuncio diretto che sia in grado di presentare Gesù come una persona viva, un nostro contemporaneo. Lo snodo degli adulti è pure decisivo per superare quella distanza tra la fede e la vita che si rispecchia o in una fede povera di contenuti teologici o in una vita priva di riferimenti morali. L’indifferenza religiosa - nonostante in Italia si registri una sorprendente persistenza della religiosità popolare - dovrà essere affrontata con una proposta che mostri nel concreto il cristianesimo come compimento dell’umano, che non ha paura di misurarsi con la verità, senza diluirla in una generica forma di esperienza. Per questa ragione, l’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI, si rivela una preziosa opportunità per tornare al kerigma e per una forte catechesi popolare. Più di uno, analizzando la crisi economica, ha evidenziato il crescente divario tra la finanza e il lavoro. Questo scarto che è all’origine del drammatico fenomeno della disoccupazione giovanile, che nel Sud ha raggiunto livelli insostenibili, chiama in causa la responsabilità politica. E sollecita un impegno di laici cristiani in politica che sappiano farsi interpreti credibili dei principi della dottrina sociale della Chiesa. In tale contesto si è pure rimarcato il valore sociale e non solo religioso della domenica, come giorno di riposo dal lavoro, del ritrovarsi della famiglia, auspicando un’alleanza efficace per la salvaguardia di questo tempo comune, che aiuta anche la coscienza dell’essere parte di un popolo. Si è infine auspicato il riconoscimento della cittadinanza per i bambini immigrati nati in Italia. Da ultimo è stata rimarcata la necessità di sostenere la Scuola cattolica che costituisce un grande servizio reso alla società civile, oltre ad essere un luogo privilegiato di educazione cristiana. (T.C.)

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    Naufragio Concordia. Il 3 marzo primo incidente probatorio: indagati Schettino e Ambrosio

    ◊   Sono riprese in tarda mattinata davanti l’isola del Giglio le ricerche dei dispersi nel naufragio della nave Concordia della Costa Crociere. E’ stata intanto fissata al 3 marzo la prima udienza dell’incidente probatorio richiesto dalla Procura di Grosseto. Si cerca ancora nel relitto della nave. Terminato il lavoro dei palombari della Marina, i sommozzatori dei vigili del fuoco e della guardia costiera sono tornati all’interno della Concordia nei varchi aperti sui ponti 3 e 4 per ritrovare almeno i corpi dei dispersi da restituire ai familiari. Annunciata intanto la data e il luogo della prima udienza per l’incidente probatorio convocata dal Gip di Grosseto Valeria Montesarchio: si terrà il 3 marzo nel Teatro Moderno della cittadina toscana Grosseto. Indagati il comandante della Costa Concordia Francesco Schettino ed il suo vice Ciro Ambrosio; parti offese le 4.228 persone di decine di nazionalità che erano a bordo della nave, il 13 gennaio, giorno del naufragio, ma anche parti offese la Compagnia Costa ed il Codacons, il Coordinamento delle Associazioni per la Difesa dei Diritti degli Utenti e dei Consumatori. Ma intanto Schettino attraverso il suo legale Leporatti ha chiesto al Tribunale della libertà di Firenze la revoca degli arresti domiciliari per “insussistenza” di pericolo di recidiva. Mentre il legale dei passeggeri Compagna ha avanzato ipotesi di corresponsabilità della Costa Crociere, nella scelta del Comandante e nella prassi dei cosiddetti ‘inchini’. Per fare il punto della situazione nelle indagini è giunto stamane a Grosseto il procuratore generale della Toscana Deidda per incontrare il procuratore Verusio e i tre sostituti Leopizzi, Navarro e Pizza. Infine l’Arpat, agenzia regionale per la protezione ambientale segnala questa mattina “significativi livelli di inquinamento causati da tensioattivi e detersivi”. (A cura di Roberta Gisotti)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 25

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