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Sommario del 18/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Ecumenismo, priorità della Chiesa, cristiani più credibili se uniti: così il Papa all'udienza generale
  • Rinuncia e nomina in India
  • Intervista in esclusiva della Radio Vaticana al presidente del Consiglio italiano, Mario Monti
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Naufragio del Giglio: per il gip "disastro di proporzioni mondiali". Il comandante agli arresti domiciliari
  • Myanmar: Aung San Suu Kyi ufficialmente iscritta tra i candidati alle prossime elezioni
  • Rapiti due sacerdoti cattolici in Nord Sudan. Per la polizia è opera di miliziani del Sud
  • Il Cir al governo Monti: rivedere il trattato di amicizia italo-libico
  • Carceri, in Italia all'esame del Senato il decreto legge contro il sovraffollamento
  • Mondo del web in sciopero per le norme antipirateria proposte negli Usa: il commento di padre Spadaro
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Banca Mondiale: crescita globale in calo verso una crisi da cui “non si salva nessuno”
  • Senegal: visita di mons. Mamberti per il 50.mo delle relazioni con la Santa Sede
  • Il cardinale Turkson all'Ordinariato militare in Italia: "Educare i giovani alla mondialità"
  • Inghilterra: i leader delle Chiese cristiane incontrano Abu Mazen
  • Tunisia. Appello di mons. Lahham: "Segnale forte sull'economia o si rischia una nuova crisi"
  • Niger: solidarietà dell’arcivescovo di Niamey alle vittime di attacchi anticristiani in Nigeria
  • Pakistan: nel Punjab continuano le proteste per l’abbattimento dell'istituto Caritas di Lahore
  • India: gli assassini dei cattolici restano senza un volto
  • Vescovi asiatici per quattro giorni tra i più poveri delle baraccopoli di Bangkok
  • Taiwan: per i vescovi la riconferma del Presidente Ma utile anche ai rapporti con la Chiesa cinese
  • Paraguay: per la siccità, emergenza alimentare per centinaia di comunità indigene senza viveri
  • Perù: confermata l'assoluzione a padre Bartolini, difensore degli indios in Amazzonia
  • Repubblica Ceca: la Chiesa torna in possesso delle sue proprietà
  • Genova: lettera del cardinale Bagnasco alla diocesi sulla famiglia
  • Il Papa e la Santa Sede



    Ecumenismo, priorità della Chiesa, cristiani più credibili se uniti: così il Papa all'udienza generale

    ◊   L’unità dei cristiani è compito e responsabilità “dell’intera Chiesa e di tutti i battezzati”. Così il Papa, stamani all’udienza generale in Aula Paolo VI, gremita di fedeli, incentrata sull’inizio, proprio oggi, della Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani quest’anno sul tema: “Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore”. Il Papa ha ribadito che la mancanza di unità tra i cristiani impedisce un annuncio più efficace del Vangelo ed ha posto l’interrogativo: “Come possiamo dare una testimonianza convincente se siamo divisi?”. Il servizio di Massimiliano Menichetti.

    E’ partendo dal tema della Settimana per l’Unità dei Cristiani che Benedetto XVI ha tracciato le radici di questa iniziativa nata nel 1908 in cui “l’impulso impresso dal Concilio Vaticano II alla ricerca della piena comunione tra tutti i discepoli di Cristo trova ogni anno una delle sue più efficaci espressioni”.

    "Questo appuntamento spirituale, che unisce cristiani di tutte le tradizioni, accresce la nostra consapevolezza del fatto che l’unità verso cui tendiamo non potrà essere solo il risultato dei nostri sforzi, ma sarà piuttosto un dono ricevuto dall’alto, da invocare sempre".

    Ribadendo che il tema della giornata quest’anno è stato suggerito da un ampio gruppo ecumenico polacco, il Papa ha sottolineato come la storia di questo Paese abbia conosciuto convivenza democratica, libertà religiosa, ma anche “invasioni, disfatte” insieme alla “costante lotta contro l’oppressione” e alla “sete di libertà”. Da qui la riflessione sul significato di “vittoria” e “sconfitta”. Una vittoria quella indicata da Cristo capace di trasformare l'uomo, che non passa per la strada del “potere e la potenza”, ma attraverso “l’amore, il servizio reciproco, la nuova speranza e il concreto conforto” agli “ultimi, ai dimenticati, ai rifiutati”:

    "Per tutti i cristiani, la più alta espressione di tale umile servizio è Gesù Cristo stesso, il dono totale che fa di Se stesso, la vittoria del suo amore sulla morte, che splende nella luce del mattino di Pasqua. Noi possiamo prendere parte a questa 'vittoria' trasformante se ci lasciamo trasformare da Dio, solo se operiamo una conversione della nostra vita".

    Benedetto XVI ha evidenziato che “la piena e visibile unità dei cristiani” esige una trasformazione e conformazione, “in maniera sempre più perfetta, all’immagine di Cristo”. “L’unità per la quale preghiamo - ha detto il Papa - richiede una conversione interiore, sia comune che personale”:

    "Non si tratta semplicemente di cordialità o di cooperazione, occorre rafforzare la nostra fede in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, che ci ha parlato e si è fatto uno di noi; occorre entrare nella nuova vita in Cristo, che è la nostra vera e definitiva vittoria; occorre aprirsi gli uni agli altri, cogliendo tutti gli elementi di unità che Dio ha conservato per noi e sempre nuovamente ci dona; occorre sentire l’urgenza di testimoniare all’uomo del nostro tempo il Dio vivente, che si è fatto conoscere in Cristo".

    Benedetto XVI ha poi evidenziato che il Concilio Vaticano II ha posto la ricerca ecumenica al centro della vita e dell’operato della Chiesa:

    “'Questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all’opera ecumenica' (Unitatis redintegratio, 4). E il beato Giovanni Paolo II ha sottolineato la natura essenziale di tale impegno: 'Questa unità, che il Signore ha donato alla sua Chiesa e nella quale egli vuole abbracciare tutti, non è un accessorio, ma sta al centro stesso della sua opera. Né essa equivale ad un attributo secondario della comunità dei suoi discepoli. Appartiene invece all’essere stesso di questa comunità'” (Enc. Ut unum sint, 9).

    “Il compito ecumenico è dunque una responsabilità dell’intera Chiesa e di tutti i battezzati” ha esortato il Pontefice, invitando a far crescere la comunione già esistente tra i cristiani “fino alla piena comunione nella verità e nella carità”. Per questo - ha aggiunto - la preghiera per l’unità non è circoscritta a questa Settimana di Preghiera, ma deve diventare parte integrante della vita orante di tutti i cristiani sempre, in ogni luogo e in ogni tempo:

    "La mancanza di unità tra i cristiani impedisce un annuncio più efficace del Vangelo, perché distrugge o mette in pericolo la nostra credibilità. Come possiamo dare una testimonianza convincente se siamo divisi? Certamente, per quanto riguarda le verità fondamentali della fede, ci unisce molto più di quanto ci divide. Ma le divisioni restano, e riguardano anche varie questioni pratiche ed etiche, suscitando confusione e diffidenza, indebolendo la nostra capacità di trasmettere la Parola salvifica di Cristo".

    “E’ una grande sfida – ha proseguito il Papa - questa per la nuova evangelizzazione, che può essere più fruttuosa se tutti i cristiani annunciano insieme la verità del Vangelo di Gesù Cristo e danno una risposta comune alla sete spirituale dei nostri tempi”. Quindi l’invito alla preghiera in un “modo più intenso durante questa Settimana per l’Unità, perché cresca la testimonianza comune, la solidarietà e la collaborazione tra i cristiani”, nella consapevolezza che solo Cristo può cambiare il cuore dell’uomo.

    Poi il saluto, in una gremita Aula Paolo VI, ai Polacchi con l’invito a non mancare ad una reciproca comprensione, riconciliazione e apertura al dialogo. E il caloroso benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare ai sacerdoti aderenti al Movimento dei Focolari, agli studenti della diocesi di Caserta accompagnati dal loro vescovo, mons. Pietro Farina, e l’affettuoso saluto ai piccoli degenti dell’Istituto nazionale per la ricerca e la cura dei tumori di Milano ai quali ha assicurato la “fervida preghiera affinché il Signore sostenga ognuno con la sua grazia”. Presente anche una folta rappresentanza dell’Ordine degli Avvocati di Roma, incoraggiati dal Papa “a svolgere la loro delicata professione mantenendosi sempre fedeli alla verità, presupposto fondamentale per l’attuazione della giustizia”. Infine, il cordiale saluto ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli invitati questi ultimi a testimoniare sempre con generosità la “fede in Cristo, che illumina il cammino della vita”.

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    Rinuncia e nomina in India

    ◊   In India, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Guwahati presentata per raggiunti limiti di età da mons. Thomas Menamparampil, della Congregazione dei Salesiani. Gli succede S.E. Mons. John Moolachira, coadiutore della medesima Arcidiocesi.

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    Intervista in esclusiva della Radio Vaticana al presidente del Consiglio italiano, Mario Monti

    ◊   Crisi economica, importanza dell’Euro, rapporti Stato-Chiesa. Sono alcuni dei temi affrontati dal presidente del Consiglio Mario Monti in un’intervista concessa alla nostra Radio, in coordinamento con l’Osservatore Romano, dopo la visita in Vaticano di sabato scorso. Una visita, definita dallo stesso premier “un’esperienza profonda e indimenticabile”. Ma sentiamo lo stesso Monti intervistato da Luca Collodi e Alessandro Guarasci:

    R. –Il rapporto tra gli Stati e la Chiesa può essere un ponte, un varco che abbatte i muri degli egoismi nazionali e rinsalda il senso di un’appartenenza che significa rispetto, responsabilità, solidarietà. La crisi, per essere superata in tutti i suoi gravi profili, richiede quindi di guardare in avanti con coraggio, con speranza, ma anche di riscoprire le proprie radici.

    D. – La classe dirigente italiana – ma naturalmente anche quella europea – è consapevole che è in atto una frattura tra il Paese reale e il Paese legale? Cioè, che quanto pensano i politici spesso non corrisponde al sentire comune della gente?

    R. –I cittadini hanno diritto di chiedere condotte trasparenti e credibili, ma non è convogliando i malesseri sociali su facili via di fuga che si ristabilisce un ordine ragionevole e un rapporto corretto tra opinione pubblica e Istituzioni. L’antipolitica e l’antiparlamentarismo causano danni che nel tempo possono dimostrarsi insidiosi.

    D. – Presidente, la crisi è grave. C’è qualcuno, secondo Lei, che a livello internazionale ha interesse a far saltare la moneta unica? Insomma: serve una maggiore integrazione europea, secondo Lei?

    R. – Serve una maggiore coesione europea e serve combattere un rischio grave e cioè che l’euro, punto di arrivo, perfezionamento di un processo e pinnacolo molto audacemente innalzato sulla cattedrale dell’integrazione europea, si trasformi invece in un fattore di disintegrazione, di conflitto psicologico. Ora, pensare che la causa della crisi sia l’euro è non solo un errore economico, ma un pretesto o, peggio, un tentativo di scaricare sull’Europa problemi anche di altre realtà, che coinvolgono ulteriori responsabilità e ben altri interessi. E’ però responsabilità di noi europei aver lasciato consolidare la sensazione, a volte, che la moneta prevalesse sulla bandiera. Oggi, rinunciare all’euro significherebbe abbandonare all’incertezza i più deboli e i più poveri. L’euro resta uno strumento di straordinaria incidenza nella vita delle persone, ma non è il fine dell’azione comunitaria, che resta il “bene comune”. La crisi si supera alzando la “bandiera dei valori” sopra gli stessi “interessi della moneta” e riconoscendo come la moneta, a sua volta, non è certo solo un fatto tecnico. L’euro per nascere ha avuto bisogno, infatti, di essere accompagnato da una serie di vincoli per una responsabile gestione dei bilanci pubblici. Ebbene, in questo senso, l’euro ha indotto tutti i Paesi che hanno voluto abbracciarlo a rispettare meglio anche valori etici fondamentali, come quello dell’equità tra le generazioni.

    D. – Presidente Monti, più volte Papa Benedetto XVI e anche i vescovi italiani hanno sollecitato i cattolici a partecipare al rinnovamento etico e culturale della politica nazionale. Come vede Lei questo rinnovato protagonismo dei cattolici nella vita sociale italiana, a servizio del bene comune?

    R. - Alla crisi, cittadini e Istituzioni non devono rispondere fuggendo come di fronte ai lupi, ma restando saldamente uniti. Con le parole del Santo Padre possiamo dire: “con i mezzi della nostra ragione dobbiamo trovare le strade”. Il che non significa affatto relegare la fede ad una nicchia di intimistico personalismo: al contrario, significa riaffermarne l’autonomia rispetto alla politica, non renderla – sono parole di Joseph Ratzinger – un “mero corollario teorico ad una determinata visione del mondo”. Quando ho incontrato il Santo Padre ho vissuto un’esperienza profonda e indimenticabile. Il Santo Padre ha chiaramente affermato che “la distinzione tra l’ambito politico e quello religioso” serve a tutelare la libertà religiosa e a riconoscere la responsabilità dello Stato verso i cittadini. Il Presidente Napolitano ha dichiarato che “il senso della laicità dello Stato abbraccia il riconoscimento della dimensione sociale e pubblica del fatto religioso”. Mi riconosco pienamente nel criterio della distinzione e della reciproca collaborazione. (gf/mg)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All'udienza generale Benedetto XVI ricorda l'inizio della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.

    Bisogna guardare avanti con coraggio: l'intervista al presidente del Consiglio italiano, Mario Monti, rilasciata alla Radio Vaticana in coordinamento con il nostro giornale.

    Nell'informazione internazionale, in primo piano l'economia: la Banca mondiale taglia le stime di crescita.

    La grande lezione di Václav Havel: in cultura, Giovanni Coppa a un mese dalla morte del primo presidente della Repubblica Ceca.

    Come definire l’indicibile senza violarne il mistero: stralci dalla conferenza dell'arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, in occasione della riapertura dopo il restauro della Chiesa della Congregazione degli Italiani a Praga.

    Mirabile Miranda: Silvia Guidi sulla “Tempesta” di Shakespeare. Sullo stesso tema, Giuseppe Fiorentino con un articolo dal titolo “Il piccolo William e i seccatori d’oltre oceano”.

    India Paese di missionari: cresce il numero dei religiosi e dei sacerdoti inviati all'estero.

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    Oggi in Primo Piano



    Naufragio del Giglio: per il gip "disastro di proporzioni mondiali". Il comandante agli arresti domiciliari

    ◊   Il naufragio del Giglio. “Un disastro di proporzioni mondiali in cui ricorre la condotta gravemente colposa a carico del comandante della Costa Concordia”. E’ quanto scrive il gip nell’ordinanza che ha deciso la scarcerazione di Francesco Schettino. La procura di Grosseto annuncia il ricorso al Tribunale del riesame, mentre il Consiglio dei ministri sta elaborando l’ordinanza per lo stato di emergenza. Intanto, sono di nuovo ferme le operazioni di soccorso e ricerca sul relitto: 11 restano le vittime accertate finora, 28 i dispersi. Cecilia Seppia:

    E’ tornato nella sua abitazione di Meta di Sorrento, Francesco Schettino: con sorpresa dei pm, il gip Valeria Montesarchio ha infatti deciso per l’uomo gli arresti domiciliari perché non ha riscontrato pericolo di fuga, piuttosto il rischio di inquinamento delle prove. Il comandante della Concordia continua a difendere la sua posizione, ma l’ordinanza del giudice non lascia margini di dubbio e ravvisa nella tragedia la condotta gravemente colposa di Schettino, che non fece nessun tentativo serio – si legge - per tornare a bordo dove c’erano altri membri dell’equipaggio e ufficiali a soccorrere i passeggeri. A loro, il plauso del direttore del Centro Stella Maris di Livorno, don Luciano Cantini:

    “Io ho ascoltato che il commissario di bordo con una gamba ferita ha continuato ad aiutare le persone e a metterle in salvo. Ci sono persone che sono tornate a bordo dell’equipaggio per aiutare i colleghi a fare questo tipo di sgombero. Le 'mele marce' nei cesti ci sono sempre, questo si sa, però non possiamo mai generalizzare. Io vedo nella gente di mare una grande generosità e un grande senso di solidarietà in ogni situazione”.

    Sentiamo anche il commento del direttore dell’Ufficio per la Pastorale degli addetti alla navigazione marittima della Fondazione Migrantes, don Giacomo Martino:

    "Credo che, al di là del dramma dell’affondamento, per i marittimi la cosa peggiore sia stata proprio quella di sentirsi trattare da molti media come persone incapaci ed egoiste. In fondo, se una nave in due ore tira fuori più di 4000 persone, significa che l’equipaggio ha veramente lavorato con grande senso di solidarietà. Quindi, in questo senso, io vorrei proprio spendere una voce per queste persone, perché altrimenti rischiamo di affondarle due volte".

    I compaesani di Schettino dicono basta alla gogna mediatica ma le accuse contro il comandante della Concordia, così come per il primo ufficiale in plancia, Ciro Ambrosio, sono molto pesanti: omicidio colposo plurimo, naufragio e abbandono della nave. Per questo la procura di Grosseto, che indaga su altri due ufficiali, ha annunciato il ricorso al riesame: “Schettino - dice il procuratore capo Verusio - potrebbe ancora scappare”. E mentre sul fronte meteo si attendono pesanti rovesci questa mattina, la nave è tornata a muoversi: una oscillazione di oltre un metro dicono i tecnici, imponendo un nuovo stop alle operazioni di ricerca. I palombari della Marina sono comunque pronti a entrare in azione per aprire con microcariche altri quattro varchi nella parte sommersa del relitto e individuare le persone che ancora mancano all’appello: 28 in tutto, 16 uomini, 11 donne e una bimba. E' di 80 persone invece il bilancio dei feriti, grave il cuoco del Bangladesh. Sul fronte ambientale resta il pericolo del disastro: per svuotare i serbatoi dalle oltre 2400 tonnellate di carburante ci vorranno settimane.

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    Myanmar: Aung San Suu Kyi ufficialmente iscritta tra i candidati alle prossime elezioni

    ◊   In Myanmar, la leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, in passato duramente osteggiata dall’ex giunta militare, ha registrato questa mattina la sua candidatura alle elezioni parlamentari suppletive, che si terranno il primo aprile prossimo. In palio, 48 seggi parlamentari. Si tratta sicuramente di un significativo progresso nel processo di democratizzazione del Paese asiatico. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Francesco Sisci, corrispondente per l’Asia del Sole 24 Ore:

    R. – Sì, è sicuramente un altro concreto passo avanti verso lo sviluppo della democrazia. Ci sono stati una serie di altri passi in questi ultimi anni. Uno, assolutamente significativo, ha riguardato la decisione americana di aprire relazioni diplomatiche con il governo birmano, il che significa la base per uno scambio politico duraturo. C’è anche il fatto che, da una parte, c’è la candidatura di Aug San Suu Kyi – e dobbiamo vedere poi che cosa riuscirà ad ottenere alle elezioni – ma dall’altra parte c’è anche un necessario compromesso sul ruolo dei militari, che non potranno essere semplicemente mandati a casa, ma continueranno ad avere un qualche potere. Per vedere quanta democrazia arriverà in Birmania nei prossimi anni, più che seguire Aung San Suu Kyi dobbiamo forse assistere alle mosse dei militari nello scambio complessivo.

    D. – Per arrivare a una democrazia piena, quali sono gli altri aspetti su cui bisogna lavorare?

    R. – Bisogna stare attenti a trovare un ruolo di compromesso con le forze conservatrici ed è proprio in questa direzione che adesso si marcia. I militari possono avere un ruolo un po’ più marginale, sia nella politica ma anche nell’economia. E’ importante, però, vedere i progressi nell’apertura del mercato, l’apertura agli investimenti stranieri e la volontà degli stranieri di andare ad investire in Myanmar.

    D. – Quale, secondo te, tra gli attori internazionali è opportuno che guardi da vicino processo di democratizzazione?

    R. – I tre attori principali sono stati e sono finora Thailandia, Cina e India. Oggi, comincia ad aggiungersi l’America e sarebbe opportuno che vi si aggiungesse l’Europa, però è difficile immaginare che oggi l’Europa fra i tanti problemi che ha, riesca a trovare energie sufficienti per pensare alla Birmania, eppure questo sarebbe un momento particolarmente importante e favorevole. (bf)

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    Rapiti due sacerdoti cattolici in Nord Sudan. Per la polizia è opera di miliziani del Sud

    ◊   Due sacerdoti cattolicisono stati rapiti nel Nord Sudan, nella città di Rabak, situata a sud della capitale Khartoum. Si tratta del parroco della Chiesa di Santa Josephine Bakhita e del suo assistente. L’episodio è avvenuto domenica scorsa. Il servizio è di Eugenio Bonanata:

    I rapitori hanno promesso di liberare i due ostaggi ieri sera, ma finora non lo hanno fatto. Gli ultimi sviluppi della vicenda sono contenuti in un comunicato dell’agenzia Fides, che cita fonti dell’arcivescovato di Khartoum. A diffondere la notizia del sequestro è stato il vescovo ausiliare della capitale, mons. Daniel Adwork Kur, attraverso una dichiarazione rilasciata alla Fondazione di diritto pontificio "Aiuto alla chiesa che soffre". Per la polizia, si è opera di miliziani del Sud Sudan. Ne è convinto anche un religioso ben informato sulla situazione nel paese che ai nostri microfoni preferisce mantenere l’anonimato per ragioni di sicurezza:

    “Fondamentalmente sono scontenti per la situazione politica che si è creata nel Sud. Probabilmente, sentono che le regioni dove vivono sono marginalizzate o non considerate abbastanza dall’attuale governo e, quindi, organizzano una specie di ribellione interna: reclutano persone con rapimenti oppure, attraverso questi rapimenti, chiedono poi riscatti. O ancora, prendono dei beni che gli sono utili per i loro obiettivi”.

    Tuttavia, non c’è accordo unanime sulla motivazione politica che chiama in causa l’instabilità interna del giovane stato del Sud Sudan e le vecchie ruggini con il Khartoum. Il dato certo è che, ultimamente, in Nord Sudan stanno aumentando le notizie di rapimenti ed altri episodi di violenza.

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    Il Cir al governo Monti: rivedere il trattato di amicizia italo-libico

    ◊   Gli immigrati ''non sono numeri'': il Papa aveva usato queste parole domenica scorsa, Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, per ricordare che si tratta di esseri umani “che cercano un luogo dove vivere in pace”. Parole apprezzate molto da chi da sempre lavora a sostegno di chi è costretto a fuggire dalla propria terra. Oggi pomeriggio, il Cir, il Consiglio italiano per i Rifugiati, presenta a Milano una mostra fotografica inserita nel progetto multimediale Asylum, preceduta da un dibattito sulla necessità di attualizzare la convenzione di Ginevra, nata 60 anni fa e ancora oggi il più importante strumento di tutela per i rifugiati. Francesca Sabatinelli ha intervistato Christopher Hein, direttore del Cir:

    R. – Il Papa, in questa occasione della Giornata mondiale, ha fatto propria un’esplicita menzione dei rifugiati, e devo dire che naturalmente ci ha fatto molto piacere, sottolineando anche le necessità di accoglienza di chi viene da noi come persona che è dovuta fuggire dal proprio Paese, per i motivi che sono elencati nella definizione universale della Convenzione di Ginevra del 1951. Dobbiamo riflettere sulla validità oggi di questa definizione. Oggi parliamo dei rifugiati per motivi ecologici, per il clima, per esempio, una circostanza assolutamente non prevista dalla definizione della Convenzione di Ginevra: persone espulse dal loro territorio a causa di profondi cambiamenti climatici o altri interventi ambientali. Ci dobbiamo interrogare anche sulla responsabilità internazionale di questi fenomeni che, oggi come oggi, non possiamo più considerare semplicemente disastri naturali, come si faceva tradizionalmente.

    D. – Questo ci fa riflettere sul fatto che occorrerebbe, dunque, un’attualizzazione della Convenzione…

    R. – In un certo modo alcuni passi sono già stati fatti, non a livello globale, ad esempio a livello dell’Unione Europea: da sette anni è stata introdotta la cosiddetta protezione sussidiaria in favore di persone che non sono rifugiate, ai sensi di questa definizione piuttosto limitata del rifugiato, ma che comunque per determinati motivi non possono tornare nel loro Paese di origine, perché temono il rischio della tortura, del trattamento inumano o degradante. La protezione sussidiaria opera anche in favore di persone che provengono da zone di guerra dove la loro vita, la loro libertà, sono minacciate a causa dell’evento bellico. Non si parla quindi di persecuzioni, ma di circostanze che comportano un danno grave alle persone, che impediscono loro di ritornare. In Italia abbiamo una terza forma di protezione, la cosiddetta protezione umanitaria, per circostanze che non sono previste in una normativa comunitaria e che per molti sono importanti.

    D. – Proprio l’Italia però spesso è bersaglio delle accuse degli altri Paesi europei per il non rispetto degli standard di accoglienza ai rifugiati…

    R. – Questo dibattito è cominciato non certamente per quanto riguarda l’Italia, ma per la condizione in Grecia, dove è intervenuta anche una sentenza importante della Corte di Strasburgo sui diritti umani, dicendo che in Grecia non ci sono le condizioni per inviare un richiedente asilo. In Italia la situazione non è certamente comparabile. Vorrei, però, sottolineare, comunque, che abbiamo delle grandi lacune di accesso per molti richiedenti asilo nelle strutture di accoglienza, inoltre, chi, dopo una procedura faticosa, viene riconosciuto rifugiato, non trova molto spesso assistenza nel percorso di integrazione e quindi vive in edifici occupati, sulle strade, presso le stazioni…

    D. – Il Cir è stato fortemente critico nei confronti della politica del precedente governo italiano, soprattutto verso l’agire del Ministero dell’Interno. Auspicate una maggiore collaborazione con l’attuale esecutivo?

    R. – Certamente sì, penso che ci sia un cambiamento di clima. Dobbiamo, però, essere molto vigili. Nel prossimo incontro a Tripoli tra il presidente del Consiglio dei Ministri, Monti e il ministro degli Affari Esteri Terzi con la controparte libica, si parlerà certamente anche del Trattato di amicizia tra Italia e Libia. Questo Trattato ha portato al respingimento, dal mare verso la Libia, di centinaia e centinaia di persone, a partire dal maggio 2009. Ci auguriamo che questa politica non prosegua e che una collaborazione tra i due Paesi non si focalizzi solo sul contrasto dell’immigrazione clandestina, ma che veda la realtà in faccia. La maggior parte di queste persone sono persone che hanno bisogno di protezione e quindi bisogna trovare il modo di farli arrivare in modo regolare, senza rischiare la vita. Ci auguriamo che il nuovo governo, e anche il nuovo ministro dell’Interno, abbiano una maggiore sensibilità. (ap)

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    Carceri, in Italia all'esame del Senato il decreto legge contro il sovraffollamento

    ◊   In Italia, il Senato ha avviato stamani l’esame del decreto legge in materia di sovraffollamento delle carceri. Tra le varie misure, il decreto allarga da 12 a 18 mesi di pena residua il requisito richiesto per la destinazione agli arresti domiciliari. L’aula di Palazzo Madama ha anche approvato la relazione del ministro Paola Severino sullo stato della giustizia. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Nella relazione, il ministro della Giustizia esprime preoccupazione per la situazione delle carceri. I detenuti nei 206 penitenziari italiani sono 66.897, ma la capienza è di poco superiore a 45 mila. I processi pendenti sono oltre nove milioni e il 42% dei detenuti, oltre 28 mila, sono in attesa di giudizio. I magistrati in organico sono 8.834, ma risultano scoperti 1.317 posti ed in media, nel civile, i tempi per una sentenza definitiva sono pari a sette anni e tre mesi. Nel penale ci vogliono, mediamente, quattro anni e nove mesi. Si tratta di tempi inaccettabili, come sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di "Antigone", Associazione impegnata nella difesa dei diritti nel sistema penale:

    “Può capitare, ad esempio nel caso di un procedimento penale, che una persona dopo cinque anni venga condannata e incarcerata, supponiamo per un fatto non di particolare gravità. E in questi cinque anni ha trovato un lavoro, una famiglia… Una sentenza, dopo tanto tempo, rovina la vita delle persone. Bisognerà trovare il modo perché i tempi si velocizzino, altrimenti non c’è altra riforma possibile, il sistema è fallimentare”.

    Il ministro della Giustizia ha anche aggiunto che se il parlamento dovesse raggiungere un’intesa su un’amnistia, il governo non avrebbe nulla da obiettare. Ancora Patrizio Gonnella:

    “E’ una soluzione non definitiva, un provvedimento eccezionale di clemenza. Se accompagnata ad una seria riforma del codice penale, l’amnistia potrebbe essere una chiave di volta. Bisognerà vedere se le forze politiche si assumeranno l’onere di una scelta impopolare”.

    Le lacune nella giustizia hanno anche effetti economici. Nella relazione, si ricorda che, secondo la Banca d'Italia, “l’inefficienza della giustizia civile italiana può essere misurata in termini economici come pari all’1% del Pil”. Soltanto nel 2011, sono stati sborsati 46 milioni di euro per procedimenti penali dovuti ad errori giudiziari.

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    Mondo del web in sciopero per le norme antipirateria proposte negli Usa: il commento di padre Spadaro

    ◊   Mondo del web in “sciopero”, a partire dall’auto oscuramento di Wikipedia, per protesta contro la legge antipirateria on line, in discussione al Congresso americano. Alla Camera dei Rappresentanti è ora in discussione un testo denominato “Stop Online Piracy Act”, mentre al Senato è allo studio un'altra versione, il Protect Ip Act. Entrambi i testi hanno ottenuto il sostegno di Hollywood, dell'industria discografica e della camera di commercio americana, mentre i fondatori di Google, Twitter, Yahoo e di altri colossi del web sostengono che le norme aprono la strada alla censura. Delle sfide che Internet pone in tema di libertà di espressione ma anche di necessità di arginare comportamenti criminali, Fausta Speranza ha parlato con padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica:

    R. – Oggi l’ambiente digitale è diventato un ambiente di vita: chiudere o limitare l’accesso a questo ambiente è come limitare l’accesso a un territorio di vita. All’inizio dello scorso novembre per esempio il Foreign OIffice ha organizzato la London internet conference, proprio dedicata alla cyber-sicurezza: in quell’occasione il ministro degli Esteri britannico ha affermato che il libero accesso a internet è un diritto fondamentale e ha pure dichiarato che la libertà di espressione è il cuore del problema circa il futuro del cyber-spazio. E’ un dato di fatto che la rete ha ridotto le distanze tra politici e cittadini. Qui si pone il problema, perché vediamo che i governi spesso sono intenzionati ad avere un ruolo incisivo sulla rete: 60 governi al mondo bloccano la rete ai propri cittadini in un modo o nell’altro.

    D. – C’è questa espressione, “pirati on line”, che la dice lunga su tutto un mondo di illegalità che sta però spadroneggiando su internet…

    R. – La pirateria informatica indica una serie di attività di natura illecita che vengono compiute tramite l’utilizzo di strumenti informatici. Queste vanno ovviamente condannate. Per esempio Wikipedia le ha esplicitamente condannate in un comunicato appena apparso sulla rete. Come vanno condannati del resto tutti gli illeciti che vengono compiuti nel territorio. Questo pone il problema molto serio di una governance di internet. Per questo, nel 2005, a Tunisi, è nato l’Internet Governance Forum che vede governi, settore privato e società civile discutere insieme e questa è la grande novità e l’elemento più importante, la chiave di soluzione del problema. Devono valutare insieme principi, norme, regole, procedure decisionali, programmi condivisi, che determinano l’evoluzione e l’uso della rete.

    D. - Appena si parla di controllo si deve dire che non può essere controllo nel senso di gestione da parte di regimi autoritari o di censura. Però dobbiamo parlare di controllo, anche se ci piace poco questa parola. Cioè un controllo, che non sia censura, ci deve essere…

    R. – Il cuore del problema è il diritto alla libertà di espressione, che appunto va tutelato. Come ogni diritto fondamentale, è da esercitare in maniera responsabile ma non può essere sacrificato mediante bilanciamenti ingenui con altri valori politici ed economici. La libertà di espressione deve essere ristretta soltanto per difendere i diritti fondamentali delle altre persone e nel rispetto di precise condizioni come ha affermato la Convenzione internazionale sui diritti politici delle Nazioni Unite. Ogni limitazione della libertà di opinione e di espressione deve essere prevista da una norma finalizzata a difendere i diritti, la reputazione degli altri, oppure la sicurezza nazionale, oppure l’ordine pubblico, la salute, la morale pubblica. Quindi, occorre provare anche che tali limitazioni legali siano necessarie e in ogni caso devono essere il meno possibile restrittive. Questo è il piano fondamentale di discussione. Il problema c’è ma bisogna stare attenti alle soluzioni per non cadere in un problema opposto. Direi che non si può delegare la soluzione del problema sempre solo esclusivamente alla norma; c’è un problema educativo, che è fondamentale. Inoltre il problema legale non può che porsi a livello internazionale, non nazionale: sono i governi, insieme con il settore privato e la società civile, a dover riflettere su questi temi e trovare con fatica soluzioni. (bf)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Banca Mondiale: crescita globale in calo verso una crisi da cui “non si salva nessuno”

    ◊   La Banca Mondiale ha tagliato le sue previsioni sulla crescita globale, mettendo in guardia anche le nazioni emergenti. Se la crisi persiste soprattutto nella eurozona, la discesa sarà molto dura e nessuna nazione verrà risparmiata. Presentando il rapporto sull’economia globale - riferisce l'agenzia AsiaNews - Justin Lin, capo economista dell’organismo, ha detto che l’economia del pianeta crescerà solo del 2,5% nel 2012 (rispetto alle previsioni del 3,6); l’area dell’euro si contrarrà allo 0,3% (su stime precedenti dell’1,8); gli Usa cresceranno del 2,2 (rispetto al 2,9). Per il 2012 vengono ritoccate anche le prospettive di crescita del Giappone (1,9% da 2,6); della Cina (8,4 dall’8,9) e dell’India (1,9 dal 6,5%). I dati rilasciati oggi in Asia (ieri negli Usa), sono impressionanti se paragonati con le previsioni del 2011 (2,7%), del 2010 (4,1) e del 2009 (2,9). La Bm ha però anche aggiunto che “perfino giungere a questi debolissimi risultati è molto incerto” e che se l’eurozona peggiorasse ancora di più, il “risultato negativo sarebbe ancora più lungo e più profondo” della precedente crisi del 2008, e nessuna nazione sarebbe risparmiata. La crescita per le nazioni in via di sviluppo sarà del 5,4% (la previsione era del 6,2) e quelle delle nazioni ricche dell’1,4 (dal 2,7 pronosticato). La Bm raccomanda di mettere al primo posto un impegno negli ammortizzatori sociali e lanciare programmi di infrastrutture. Essa fa notare che, anche grazie alla crisi, nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo molti prezzi sono scesi e l’inflazione è diminuita. Nonostante ciò, si aggiunge “la sicurezza del cibo per i più poveri – compreso il Corno d’Africa – rimane una preoccupazione fondamentale”. Da un picco nel febbraio 2011 (in corrispondenza con la “Primavera araba”), i prezzi sono scesi del 14%. (R.P.)

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    Senegal: visita di mons. Mamberti per il 50.mo delle relazioni con la Santa Sede

    ◊   Le relazioni diplomatiche tra Senegal e Santa Sede sono basate sul dialogo delle culture e delle religioni, dialogo che contribuisce alla risoluzione dei conflitti che minacciano la stabilità del mondo. E’ quanto ha affermato mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, in visita da sabato in Senegal, dove quest’anno si celebra il 50.mo anniversario della nascita delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati ha elogiato la buona intesa tra le diverse comunità religiose nel Paese africano e si è complimentato per i valori di solidarietà e pacifica convivenza che i senegalesi coltivano, valori che hanno permesso alle comunità religiose di lavorare insieme in un mutuo rispetto. Ieri mons. Mamberti è stato ricevuto dal primo ministro Souleymane Ndéné Ndiaye e dal ministro degli Affari Esteri Me Madické Niang che ha spiegato come Senegal e Santa Sede lavorino per combattere fanatismo ed estremismo, perché la religione non sia fonte di violenza, ma un fattore di pace, riconciliazione e giustizia. “Siamo consapevoli che la religione può apportare referenze e valori alla nostra popolazione – ha detto Niang – e per questo è necessario permettere che essa possa giocare pienamente il suo ruolo nello sviluppo economico e sociale”. Per il ministro degli Affari Esteri la religione influisce sulla coesione sociale e su quei valori che possono far uscire il Paese dal sottosviluppo, dall’ignoranza e dalla povertà, per questo l’impegno del governo è quello di assicurare libertà di culto. Il segretario per i Rapporti con gli Stati ha dichiarato a sua volta che la sua visita in Senegal è un’occasione per la Santa Sede per continuare a promuovere i valori del continente africano e per appoggiare quanti operano per la pace; per questo, ha aggiunto mons. Mamberti il Vaticano segue “con speranza le scelte positive in Africa, in particolare nel campo dello sviluppo”. “Seguiamo anche con tristezza – ha proseguito il segretario per i Rapporti con gli Stati – i problemi che minacciano la stabilità come le guerre, soprattutto quando oppongono le popolazioni per motivi religiosi, mentre invece, come in Senegal, la religione deve essere un fattore di riconciliazione e di pace”. Nel corso dell’incontro con il rappresentante della Santa Sede, il ministro degli Affari Esteri ha informato che il Senegal è pronto ad accogliere il Papa e che una sua visita apporterebbe risvolti positivi per la nazione. Domenica scorsa, mons. Mamberti, nella cattedrale del Ricordo africano di Dakar, ha concelebrato una Messa, insieme al cardinale Théodore Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar, al nunzio apostolico, mons. Louis Mariano Montemayor, e ad altri rappresentanti della Chiesa. Vi hanno preso parte anche alcune autorità politiche. Il segretario per i Rapporti con gli Stati ha evidenziato che le relazioni diplomatiche tra Senegal e Santa Sede sono salde; dal 1961, infatti, 6 ambasciatori senegalesi sono stati accreditati presso la Santa Sede e diversi nunzi apostolici hanno lavorato bene per il Paese. Sono rapporti, che mons. Mamberti, ha descritto basati non soltanto su una solida amicizia, ma soprattutto volti alla prevenzione di problemi che affliggono il mondo, e che, sviluppandosi sul dialogo contribuiscono alla risoluzione di conflitti che minacciano la pace in Africa e nel mondo. Il segretario per i Rapporti con gli Stati ha anche definito le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Senegal espressione di sollecitudine pastorale per i popoli africani che sono chiamati ad affermarsi nell’ambito della comunità delle nazioni indipendenti, che hanno permesso al Paese di consolidare la propria presenza internazionale, in particolare in Occidente. Mons. Mamberti ha pure rimarcato l’importanza dell’impegno del Senegal nel portare avanti i principi della laicità. Proprio tale laicità, per il cardinale Sarr, porta al rispetto di diversi valori e all’accoglienza di differenti comunità religiose, alle quali vengono offerte condizioni favorevoli alla loro vita e missione. Il porporato ha anche spiegato che, comportando la distinzione e la separazione tra potere temporale e spirituale, la laicità permette la promozione del benessere di tutti. E rivolgendosi a mons. Mamberti, il cardinale Sarr, ha voluto anche esprimere, come portavoce del popolo senegalese, apprezzamento per il lavoro che la Santa Sede continua a svolgere sostenendo la promozione della pace nel mondo, in Africa, nel Senegal e specialmente nel Casamance. (T.C.)

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    Il cardinale Turkson all'Ordinariato militare in Italia: "Educare i giovani alla mondialità"

    ◊   “Oggi c’è bisogno di una educazione alla mondialità, che sia interdisciplinare, interculturale, interreligiosa, interetnica. E questo, certo, riguarda la formazione ed educazione dei militari, oggi più di prima, impegnati in teatri di operazione sparsi per il mondo, in conflitti asimmetrici, in missioni di pace che sempre più richiedono la relazione con le popolazioni civili”. Lo ha detto il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace che, ieri a Roma, ha presieduto la celebrazione della “Giornata della pace”, promossa dalla Chiesa Ordinariato militare in Italia (Omi), e svoltasi nella chiesa del Seminario della Cecchignola, la cittadella militare. Nella sua omelia, diffusa oggi dall’Omi e ripresa dall'agenzia Sir, il cardinale ha richiamato il Messaggio per la Pace di Benedetto XVI, “Educare i giovani alla giustizia e alla pace”: “i giovani militari sono giovani come gli altri, così essi vivono nella pienezza delle dimensioni personali, e forse più di altri devono per così dire fare i conti con la dignità umana: la propria e quella degli altri”. Questo stato di cose, per il cardinale Turkson, “necessita dell’azione responsabile di tutti i soggetti coinvolti nel processo educativo”, come cappellani militari e istituti di formazione militare. Come scrive Benedetto XVI nel Messaggio, gli educatori devono essere “anche testimoni credibili”. I giovani, infatti, “spesso si trovano a vivere in contesti e ambienti di vita diseducativi, a fare esperienze che li fanno perdere o frustrare. Così, tutti i responsabili chiamati in causa sono invitati ad agire. Se, per esempio, il mondo politico o i comandanti militari o i cappellani non si fanno esemplari, non solo nelle funzioni disciplinari, ma anche nella condotta personale, ogni gruppo, ogni formazione degenera e si sfalda e lo sguardo dei giovani viene distolto dalle cose grandi e belle che l’esistenza loro riserva”. Nel saluto iniziale, mons. Vincenzo Pelvi, ha ricordato “i giovani militari che con la loro vita contribuiscono, e hanno contribuito, alla costruzione della pace nei diversi teatri operativi sparsi nel mondo, come anche nelle loro caserme, preparandosi al meglio per assolvere al compito di essere ‘operatori di pace’ nel mondo delle Forze armate, preposte alla tutela della democrazia e dell’ordinata convivenza civile”. Alla celebrazione erano presenti, tra gli altri, il sottosegretario alla difesa, Gianluigi Magri e i 5 Capi di Stato maggiore della Difesa che hanno ricevuto dalle mani del cardinale, il Messaggio della pace del Papa, la lettera pastorale e la Via Crucis, "Cirenei della croce", commentata da mons. Pelvi. (R.P.)

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    Inghilterra: i leader delle Chiese cristiane incontrano Abu Mazen

    ◊   Il presidente dell'Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, ha incontrato ieri, a Londra, i rappresentanti delle Chiese cristiane di Gran Bretagna, guidati dall'arcivescovo di Liverpool, mons. Patrick Kelly, dall’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, e dal moderatore dell'Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, David Arnott. Nel corso dell’incontro si è parlato della condizione dei cristiani in Terra Santa e della situazione politica che influenza il processo di pace. Secondo quanto riferiscono le Chiese cristiane, in una nota congiunta ripresa dall'agenzia Sir, il presidente Abbas ha detto che la ripresa dei colloqui nel contesto della primavera araba ha offerto una rara opportunità che deve essere colta ora altrimenti sarà persa per sempre. Ricordando una sua visita a Betlemme, nello scorso Natale, Arnott ha detto di aver visto “le difficoltà di vita dei palestinesi ma anche il loro profondo desiderio di una pace negoziata tra i popoli di quella terra”. Mons. Kelly, che la settimana scorsa era in Terra Santa con i vescovi Usa-Ue per l’Holy land Coordination, ha detto che “c'è bisogno urgente di una leadership forte e creativa per affrontare gli aspetti fondamentali di questo lungo conflitto”. L’arcivescovo anglicano, Rowan Williams, ha, infine, ribadito la speranza per “una pace giusta e duratura in Terra Santa affinché i giovani israeliani e palestinesi non siano delusi nelle loro attese di giustizia e di stabilità”. (R.P.)

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    Tunisia. Appello di mons. Lahham: "Segnale forte sull'economia o si rischia una nuova crisi"

    ◊   “Il tunisino medio vuole due cose: la sicurezza e il lavoro. Se la prima è garantita, è il secondo che manca” dice mons. Maroun Elias Lahham, arcivescovo di Tunisi, che in un colloquio con l’agenzia Fides traccia un breve quadro della situazione della Tunisia ad un anno dalla cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini, che ha destituito il Presidente Ben Ali ed ha avviato il Paese sulla strada della piena democrazia. “Il problema è l’economia. Dal punto di vista politico le cose vanno bene: le elezioni si sono svolte in maniera corretta, abbiamo un nuovo Presidente, un nuovo governo e un nuovo Parlamento. La sicurezza è garantita, ma l’economia stenta a decollare” sottolinea mons. Lahham. Oltre alla crisi economica-finanziaria internazionale, che si ripercuote anche sull’area del Mediterraneo, secondo l’arcivescovo di Tunisi i motivi dell’attuale debolezza dell’economia tunisina sono essenzialmente due. “In primo luogo - spiega mons. Lahham - rilanciare l’economia nel giro di un anno non è facile. In secondo luogo, come affermano diversi commentatori locali, la nuova dirigenza, pur seria ed onesta, non sembra avere come punto forte l’economia. Nell’opinione pubblica locale stanno sorgendo dubbi sul fatto che il governo abbia veramente un piano economico per il Paese”. Mons. Lahham sottolinea che “la popolazione potrà pazientare ancora qualche mese, ma se non si dà subito un segnale forte sul fronte dell’economia ci si può aspettare una forte protesta sociale. I disoccupati sono più di un milione e sono in crescita”. Riguardo al turismo, il settore trainante dell’economia locale, l’arcivescovo evidenzia: “i turisti possono venire tranquillamente in Tunisia, perché c’è sicurezza. Il problema è che se altri Paesi offriranno prezzi ancor più competitivi rispetto ai nostri, i flussi turistici principali si indirizzeranno lì e non da noi”. (R.P.)

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    Niger: solidarietà dell’arcivescovo di Niamey alle vittime di attacchi anticristiani in Nigeria

    ◊   Solidarietà ai nigeriani vittime di attacchi anti-cristiani, appello al dialogo interreligioso, allarme per gli estremisti del movimento islamico Boko Haram: su queste tre linee si muove la lettera scritta da mons. Michel Cartatéguy, arcivescovo di Niamey, in Niger. Alla fine di dicembre, il presule si è recato in visita ufficiale in Nigeria, insieme ad una delegazione di autorità politiche e di esponenti dell’Associazione islamica del Niger, per ribadire la vicinanza tra i due Paesi africani e portare conforto alle vittime dei massacri perpetrati dai Boko Haram subito dopo Natale. Violenze che, purtroppo, non sembrano avere fine: è di questa mattina la notizia di altre cinque vittime nel nord della Nigeria. Nella lettera pubblicata nei giorni scorsi, mons. Cartatéguy sottolinea “le relazioni fraterne tra i cristiani ed i musulmani della Nigeria e del Niger”, ma si dice, al tempo stesso, preoccupato “per le correnti estremiste che guadagnano terreno in Niger”. L’arcivescovo di Niamey afferma che gli stessi musulmani sono scioccati dalle violenze compiute dai Boko Haram: “Ai nostri occhi, sia di cristiani che di musulmani – scrive – portatori di messaggi di pace, rispetto e tolleranza, come ci insegna Dio, questi estremisti manipolati da ideologie distruttive non possono in alcun modo richiamarsi a Dio”. “Le barbarie senza nome – prosegue la lettera – non trovano alcuna giustificazione da nessuna parte, men che mai nei libri dei Santi”. Ribadendo, poi, come i Boko Haram ed altre correnti estremiste mirino a mettere in discussione i buoni rapporti esistenti generalmente tra i cristiani ed i musulmani dell’Africa subsahariana, mons. Cartatéguy testimonia la solidarietà delle autorità musulmane nei confronti dei cristiani e la loro volontà di mantenere rapporti fraterni. Nella sua lettera, infatti, il presule riporta le parole degli esponenti dell’Associazione islamica del Niger che dicono: “Dobbiamo stare attenti e combattere insieme coloro che ci vogliono dividere. Dobbiamo rimanere uniti, altrimenti coloro che mirano a separarci potrebbero approfittare della nostra debolezza per metterci gli uni contro gli altri. Cristiani e musulmani, siamo nelle stesse condizioni e non dobbiamo scoraggiarci”. La missiva dell’arcivescovo di Niamey termina quindi con una preghiera: “Ho pregato perché vinca il perdono e non la vendetta – scrive il presule – anche se ciò sembra impossibile dopo queste violenze”, perché “il vero perdono porta alla pace ed essa trasforma le vittime ed i nemici di una volta in fratelli e sorelle”. (I.P.)

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    Pakistan: nel Punjab continuano le proteste per l’abbattimento dell'istituto Caritas di Lahore

    ◊   In Pakistan continuano le proteste della comunità cristiana contro la demolizione da parte dal governo provinciale del Punjab della “Gosha-e-Aman”, l'lstituto Caritas e “luogo di pace” che accoglieva cristiani e musulmani. Lunedì centinaia di persone sono scese in piazza contro l’abbattimento del centro di accoglienza, avvenuto lo scorso 10 gennaio, giornata ribattezzata “martedì nero” dalla comunità locale, che ha bollato la decisione delle autorità locali come l’ennesimo atto di persecuzione ai danni delle minoranze religiose nel Paese. Il Centro di Lahore era gestito dalla Caritas Pakistan e dalla Lahore Charitable Association e ospitava fedeli senza distinzione di credo o classe sociale. La demolizione, inoltre, è avvenuta in violazione di una direttiva del tribunale che imponeva un margine di tempo per decidere sul futuro della struttura. I dimostranti annunciano che le proteste continueranno fino alla restituzione della proprietà e il risarcimento dei danni. Sembra che la vicenda sia nata dalla richiesta di una donna, che dopo essere stata ospitata presso il “Gosha-e-Aman”, si sia convertita all’Islam e abbia rivendicato il diritto di proprietà sulle due stanze da lei occupate. (M.P.)

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    India: gli assassini dei cattolici restano senza un volto

    ◊   In India i cattolici continuano ad essere assassinati e i colpevoli continuano a rimanere ignoti. Per due recenti delitti, quello del catechista e attivista per i diritti umani, Rabindra Parichha, avvenuto 34 giorni fa ad Orissa, e quello di suor Valsa John a Jharkhand, dello scorso novembre, le autorità brancolano nel buio. All’agenzia di stampa Fides l’avvocato e missionario K.J. Markose denuncia: “Su chi ha ucciso Parichha la polizia non ha un’idea o non vuole averla. Ha solo arrestato un sospetto, poi rimesso in libertà con la promessa di collaborare, ma non è successo nulla. Io seguirò il caso, forse anche con un reclamo ufficiale al Tribunale, anche perché – aggiunge - il ritardo rischia di vanificare le indagini”. Stessa sorte per l’omicidio di suor Valsa, uccisa a freddo nella sua abitazione. La polizia aveva fermato sette “presunti maoisti”, anche questa volta senza sviluppi. In questi giorni consorelle e laici che conoscevano la religiosa si sono incontrati a Ranchi per rendere omaggio alla donna che “ha combattuto il sistema corrotto con una Bibbia e la Costituzione indiana”, due dei pochi oggetti ritrovati nella sua abitazione. Sono gli stessi attivisti a riferire che “la suora si stava battendo contro lo sfruttamento dei territori e delle popolazioni della regione da parte delle compagnie minerarie. Forse – aggiungono – i mandati vanno cercati proprio lì”. (M.P.)

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    Vescovi asiatici per quattro giorni tra i più poveri delle baraccopoli di Bangkok

    ◊   Un gruppo di vescovi asiatici – insieme con alcuni sacerdoti, religiosi e laici – vivranno per quattro giorni una reale “immersione” nella povertà, restando da oggi al 21 gennaio fra i più poveri e gli emarginati nelle baraccopoli alla periferia di Bangkok. I vescovi saranno ospitati in capanne, mangeranno con i poveri, lavoreranno con loro e ne condivideranno tutti gli aspetti della faticosa vita quotidiana. La straordinaria esperienza evangelica di condivisione è parte di una iniziativa lanciata dall’Ufficio per lo Sviluppo Umano della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc), che riunisce 25 Conferenze episcopali dell’Asia. I moderni “poveri” fra i quali i vescovi si immergeranno – riferisce all’agenzia Fides Fr. Nithiya Sagayam, segretario dell’Ufficio Fabc – sono indigeni, migranti, malati di Aids, vittime della tratta di esseri umani. Scopo dell’iniziativa è “stare con i poveri e gli emarginati, per comprendere a fondo la loro condizione, imparare dalla loro sofferenza e dalle vittime dell’ingiustizia”, secondo il detto di San Vincenzo De’ Paoli “i poveri sono i nostri maestri”. L’esperienza di “immersione” sarà seguita da tre giorni di riflessione sulle risposte della Chiesa alle lotte dei poveri in Asia, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, che vedranno riuniti a Bangkok, dal 21 al 24 gennaio, circa 40 delegati, fra vescovi, sacerdoti, religiosi e laici asiatici. I delegati si confronteranno per elaborare piani d'azione specifici, da sottoporre alle Conferenze episcopali nei rispettivi Paesi. Il workshop di tre giorni e tali piani d'azione saranno incentrati sulla costruzione di una società giusta e sulle possibili iniziative di pace. Il Presidente dell’Ufficio per lo Sviluppo nella Fabc, mons. Charles Bo, arcivescovo di Yangon (Myanmar), ha auspicato che, con tale iniziativa, “i leader della Chiesa possano essere più vicini al grido dei poveri”. (R.P.)

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    Taiwan: per i vescovi la riconferma del Presidente Ma utile anche ai rapporti con la Chiesa cinese

    ◊   La rielezione del Presidente Ma Ying-jeou potrebbe rafforzare i legami tra la Chiesa in Taiwan e quella della Cina continentale. Questo almeno l’auspicio espresso da mons. John Hung Shan-chuan, presidente della Conferenza episcopale regionale cinese che riunisce i vescovi dell’isola, dopo il voto dello scorso sabato che ha riconfermato Ma alla presidenza del Paese. Secondo l’arcivescovo di Taipei, la vittoria del leader del partito Kuomintang (Kmt), favorirà lo sviluppo e ha buone probabilità di favorire i rapporti tra le due Chiese in particolare attraverso maggiori scambi per la formazione del clero cattolico nella Cina continentale e potrebbe quindi incoraggiare anche i contatti tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare cinese. La vittoria di Ma, un pragmatico moderato, artefice da quando è al potere di un significativo miglioramento delle relazioni con la Cina, da cui l'isola si è separata dal 1949, è stata accolta con favore dal mondo imprenditoriale di Taiwan e ha fatto tirare un sospiro di sollievo sia a Washington che a Pechino. Stati Uniti e Cina temevano, infatti, l'instabilità che sarebbe seguita a un'eventuale vittoria di Tsai Huang-liang, del Partito Progressista Democratico (Dpp), che nella campagna elettorale ha criticato il presidente Ma per la sua “debolezza” verso la Cina. Dal nuovo mandato ci si aspetta anche una politica più attenta alla lotta alla povertà. In questo senso si è espressa all’agenzia Ucan suor Stephana Wei Wei, direttrice del “Rerum Novarum Center”, un centro gestito dai Gesuiti che assiste immigrati ed emarginati. Secondo la religiosa l’isola ha bisogno di una politica fiscale che ridistribuisca le ricchezze a favore dei più poveri. (L.Z.)

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    Paraguay: per la siccità, emergenza alimentare per centinaia di comunità indigene senza viveri

    ◊   Sono almeno 313 le comunità indigene maggiormente colpite dalla mancanza di alimenti provocata dalla siccità che colpisce il Paraguay dalla fine di novembre, per questo motivo il Presidente Fernando Lugo ha firmato ieri un decreto che dichiara l’emergenza alimentare per 90 giorni. A risentire della gravità della situazione - riferisce l'agenzia Fides - sono soprattutto i circa 110.000 nativi, appartenenti ad una ventina di etnie, che vivono in condizioni di povertà nelle regioni orientali e occidentali. La scarsità di precipitazioni ha inoltre provocato una serie di incendi che hanno distrutto ettari di pascolo, riducendo così anche gli alimenti per gli animali. Desta inoltre preoccupazione la mancanza di acqua per uso domestico, che può provocare la diffusione di malattie legate all’utilizzo di acqua inquinata. Il decreto dà disposizione agli organi di stato di adottare tutte le misure amministrative e finanziarie necessarie per dare una risposta immediata ai problemi legati alla produzione di alimenti. La siccità colpisce soprattutto le coltivazioni di soja, la fonte principale dell’economia paraguayana, di cotone, mais, sesamo e arachidi. Inoltre rende impossibile la navigazione commerciale fluviale per l’abbassamento del livello dei corsi d’acqua. (R.P.)

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    Perù: confermata l'assoluzione a padre Bartolini, difensore degli indios in Amazzonia

    ◊   E’ stato assolto anche in seconda istanza dalla magistratura di San Martin (Alto Amazonas) padre Mario Bartolini, il missionario passionista italiano accusato nel 2009 di diversi reati tra cui “ribellione contro lo Stato”, in occasione della mobilitazione delle popolazioni indigene dell’Amazzonia contro lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. Con la sentenza, che ne ratifica una già emessa il 23 dicembre 2010 dalla giustizia di Yurimaguas, sono stati prosciolti anche il giornalista Geovanni Acate, direttore dell’emittente diocesana ‘Radio Oriente’ e gli esponenti del Fredesaa – il ‘Fronte di difesa e sviluppo di Alto Amazonas’ – imputati nello stesso processo, oltre ai dirigenti nativi che in precedenza erano stati invece riconosciuti colpevoli di incitazione alla ribellione durante le proteste, sfociate nelle violenze di Bagua. “Certamente a questa felice conclusione del processo per l’intero gruppo si è arrivati anche grazie al nuovo contesto politico seguito al cambio di presidenza in Perù. I principali accusatori contro padre Mario erano infatti gli uomini del partito allora al potere” scrive in una nota l’associazione missionaria ‘Aloe Onlus’, che ha seguito fin dall’inizio la vicenda di padre Bartolini. Dal 2006, padre Bartolini denuncia le violazioni del ‘gigante’ locale dell’agricoltura, il ‘Grupo Romero’ che, come documenta anche il vicariato apostolico di Yurimaguas, ha ottenuto concessioni di sfruttamento nel territorio di Barranquita illegalmente, sulla base di una vecchia disposizione del regime di Alberto Fujimori (l’ex-presidente di origine giapponese condannato a 25 anni di carcere per violazioni dei diritti umani, la cui figlia, la senatrice Keiko, è stata tra l’altro candidata alle presidenziali del 2011). “I ‘campesinos’ – spiega Pignotti – rivendicano diritti sulle loro terre a fronte di multinazionali e privati che arrivano nel territorio vantando titoli di proprietà fasulli, come se si trattasse di terre di nessuno e i residenti sono costretti a dover dimostrare legalmente di essere lì da generazioni”. (R.P.)

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    Repubblica Ceca: la Chiesa torna in possesso delle sue proprietà

    ◊   Le chiese della Repubblica Ceca tornano in possesso delle loro proprietà. Il governo del premier Petr Necas ha approvato una norma che mette fine alle confische risalenti agli anni del comunismo, cominciate nel 1948. Il provvedimento, atteso ora al vaglio del Parlamento, dispone che la Chiesa Cattolica del Paese rientri in possesso di proprietà del valore di 75 miliardi di corone (2,9 mld di euro), oltre ad un indennizzo per il periodo ultratrentennale di esproprio, pari a 59 miliardi di corone (2,3 mld di euro). Termina definitivamente anche il regime in cui era lo Stato a pagare i salari di sacerdoti e religiosi. La legge, che normalizza definitivamente i rapporti tra Stato e Chiesa, ha tuttavia subito un iter travagliato ed è stata approvata solo in virtù dell’ultimatum che il primo ministro ceco ha dato ai suoi stessi alleati, in particolare al vicepremier e vice-presidente del partito Karolina Peake. La Conferenza episcopale ceca ha ringraziato il governo per il supporto dato alla legge, auspicandosi che altre misure dello stesso tenore possano essere adottate e che la legge sia presto approvata dal parlamento della Repubblica Ceca. (M.P.)

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    Genova: lettera del cardinale Bagnasco alla diocesi sulla famiglia

    ◊   Si intitola "Il dono della fiducia" la Lettera che il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente Cei, ha indirizzato alla diocesi per l'anno pastorale 2011-2012. La Lettera, come recita il sottotitolo, sviluppa il tema della "educazione in famiglia" e si innesta nel contesto pastorale del decennio sull'educazione. "Il bisogno di fiducia fa parte dell'uomo" scrive il porporato e "la fiducia ha la sua originaria sorgente in Dio: è Dio che, donandoci il Figlio Gesù, ci rivela quanto ogni uomo è importante per il suo cuore, quanto siamo preziosi ai suoi occhi. In sostanza, ci dona amore e fiducia". Tuttavia - riferisce l'agenzia Sir - è "nello sviluppo educativo umano" che "il bambino fa la primissima esperienza di fiducia in famiglia". Purtroppo, ha aggiunto, "la cultura nella quale viviamo non ci aiuta, anzi, è di ostacolo" perché "tende a corrodere il modo di concepire la vita, la famiglia, il lavoro, il senso del dovere e di Dio. E i segnali dello smarrimento sono evidenti. Interrogativi sempre più pressanti pesano su tutti, specialmente sui giovani". "Come cristiani - ribadisce il porporato - non possiamo stare a guardare! Ecco perché i vescovi italiani hanno messo al centro del decennio pastorale l'impegno per l'educazione". Il cardinale ha poi precisato che "il primo e fondamentale luogo dove si educa è la famiglia", che "i genitori sono i primi e insostituibili educatori dei figli per diritto naturale" e che "la Chiesa e lo Stato devono affiancarsi ma non sostituirsi in questo diritto-dovere insito nella generazione". Il cardinale Bagnasco ha poi ricordato che "nel nostro Paese, nonostante tutto, la famiglia rappresenta ancora un punto di riferimento decisivo" anche se "esistono tendenze che mirano a cambiare il volto della famiglia, rendendola un soggetto plurimo e mobile, senza il sigillo oggettivo del matrimonio". Ma, ha domandato: "Una realtà variabile e provvisoria può offrire sicurezza? E i figli non hanno forse diritto a qualunque sacrificio pur di tenere salda e stabile la coppia e la famiglia? Non è forse questo l'atto d'amore e di educazione più grande che i genitori possono fare? E anche il loro preciso dovere?". "Per questo - ha concluso - la società deve stimare, salvaguardare e sostenere in ogni modo il bene primario della famiglia, per cui un uomo e una donna si scelgono nell'amore e si consacrano totalmente e per sempre l'uno all'altra con il vincolo del matrimonio". (R.P.)

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.