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Sommario del 15/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'Angelus: i migranti "non sono numeri", ma persone che cercano "un luogo dove vivere in pace"
  • Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato sul tema della nuova evangelizzazione
  • Oggi in Primo Piano

  • Tragedia all'Isola del Giglio; ancora 17 dispersi. La testimonianza del cappellano della Costa Concordia
  • Juppé in Myanmar. La figlia di un dissidente liberato: cautela sulle aperture dei militari
  • Il Kazakhstan al voto per il rinnovo anticipato del Parlamento
  • Etiopia, terra di guerre e carestie, ma pure di speranza. Grazie anche ad una "tenda blu". Con noi, suor Laura Girotto
  • "Una perla del clero italiano": il ricordo di San Giuseppe Cafasso nel bicentenario della nascita
  • La Bellezza, via di evangelizzazione: convegno con mons. Fisichella, Portoghesi e Tarquinio
  • In Libia si prepara il processo a Saif-al Islam Gheddafi
  • Haiti, due anni dopo il terremoto: a colpire è il senso di solidarietà tra la gente locale
  • Accendi una luce in un campo profughi: l’iniziativa dell’Acnur per i rifugiati
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Denuncia dal Pakistan: stupri e torture su bambini cristiani, “pulizia etnico-religiosa”
  • Laos. Sequestrati una chiesa e un edificio cristiano per “attività religiose non autorizzate”
  • Siria. Ban Ki Moon: “Assad smetta di uccidere il suo popolo”. Damasco annuncia una nuova amnistia
  • Egitto: el Baradei si ritira dalla corsa alle presidenziali
  • Economia: ancora polemiche sui tagli del rating di S&P
  • Somalia: bloccata la distribuzione di cibo a più di un milione di persone
  • Kenya. La Chiesa si prepara a vivere la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani
  • Mauritius. Per il 2012, la Chiesa esorta alla pace e alla lotta alla corruzione
  • Hong Kong. La persona umana al centro dell’azione della Chiesa
  • Filippine. Epidemia di leptospirosi a Mindanao dopo il passaggio del tifone Washi
  • Universitari di Pechino: il 3,9% si dichiara cristiano e il 17,6% è interessato al cristianesimo
  • Conclusa in Thailandia la tre giorni sul dialogo interreligioso
  • Yemen, rapito dipendente norvegese dell’Onu a Sanaa
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'Angelus: i migranti "non sono numeri", ma persone che cercano "un luogo dove vivere in pace"

    ◊   I migranti “non sono numeri”, ma persone che cercano soltanto “un luogo dove vivere in pace”. Nella seconda domenica del Tempo Ordinario e nell’odierna Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, Benedetto XVI all’Angelus ha pregato oggi per questi uomini, donne, bambini, giovani e anziani “protagonisti dell’annuncio del Vangelo” nella società contemporanea. Il Papa ha pure ricordato la prossima Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, salutando poi in varie lingue i fedeli presenti in Piazza San Pietro. Il servizio di Giada Aquilino:

    Un invito a “essere testimoni autentici del Vangelo” e “portatori della Buona Novella” con i nostri fratelli e sorelle rifugiati e migranti, “vivendo concretamente la solidarietà e la carità cristiana, non soltanto con la preghiera ma anche con i fatti”. Sono le parole del Papa, oggi alla preghiera dell’Angelus e subito dopo nei saluti ai fedeli in Piazza San Pietro, nella 98.ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato:

    “Milioni di persone sono coinvolte nel fenomeno delle migrazioni, ma esse non sono numeri! Sono uomini e donne, bambini, giovani e anziani che cercano un luogo dove vivere in pace. Nel mio Messaggio per questa Giornata ho richiamato l’attenzione sul tema 'Migrazioni e nuova evangelizzazione', sottolineando che i migranti sono non soltanto destinatari, ma anche protagonisti dell’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo”.

    Esortando a “comprendere meglio i bisogni dei migranti e dei rifugiati e specialmente il loro desiderio di incontrare Dio” e a pregare per "tutti coloro che vivono in terra straniera", Benedetto XVI in particolare ha salutato i rappresentanti delle comunità migranti di Roma, oggi riunitisi in preghiera in Piazza San Pietro, e ha benedetto i polacchi “che vivono fuori della patria”. Il Pontefice ha quindi ricordato che dal 18 al 25 gennaio si svolgerà la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, sollecitando a pregare per la realizzazione di tale unità, verso la piena comunione:

    “Invito tutti, a livello personale e comunitario, ad unirsi spiritualmente e, dove possibile, anche praticamente, per invocare da Dio il dono della piena unità tra i discepoli di Cristo”.

    La riflessione del Santo Padre si è soffermata poi sul tema della vocazione, che emerge dalle Letture bibliche di oggi: “nel Vangelo - ha detto - è la chiamata dei primi discepoli da parte di Gesù; nella prima Lettura è la chiamata del profeta Samuele”. In entrambi i racconti, risalta l’importanza della figura del mediatore, “aiutando le persone chiamate a riconoscere la voce di Dio e a seguirla”. Nel caso di Samuele, ha spiegato il Papa, tale ruolo è svolto da Eli, sacerdote del tempio di Silo. Nel caso dei discepoli di Gesù, la figura mediatrice è quella di Giovanni Battista. Si sottolinea quindi “il ruolo decisivo della guida spirituale nel cammino di fede e, in particolare, nella risposta alla vocazione di speciale consacrazione per il servizio di Dio e del suo popolo”.

    “Già la stessa fede cristiana, di per sé, presuppone l’annuncio e la testimonianza: infatti essa consiste nell’adesione alla buona notizia che Gesù di Nazaret è morto e risorto, che è Dio. E così anche la chiamata a seguire Gesù più da vicino, rinunciando a formare una propria famiglia per dedicarsi alla grande famiglia della Chiesa, passa normalmente attraverso la testimonianza e la proposta di un 'fratello maggiore', di solito un sacerdote. Questo senza dimenticare il ruolo fondamentale dei genitori, che con la loro fede genuina e gioiosa e il loro amore coniugale mostrano ai figli che è bello ed è possibile costruire tutta la vita sull’amore di Dio”.

    Pregando la Vergine Maria “per tutti gli educatori, specialmente i sacerdoti e i genitori, perché abbiano piena consapevolezza dell’importanza del loro ruolo spirituale, per favorire nei giovani, oltre alla crescita umana, la risposta alla chiamata di Dio”, Benedetto XVI ha quindi spiegato che “il nostro cristianesimo non si basa su una teoria arida e superata. Essere cristiano - ha proseguito - significa incontrare Gesù Cristo”, che vive e ci chiama. “Quanto più ci avviciniamo a Cristo, tanto più - ha aggiunto - siamo pieni del suo amore e della sua vita”. Vogliamo, dunque, “trasmettere al nostro prossimo questo entusiasmo nel Signore. Egli è Colui che rende la nostra vita luminosa e felice”.

    Nei saluti finali in varie lingue, il Papa ha quindi ricordato tra gli altri i ragazzi italiani del catechismo di Segni, accompagnati dal parroco e dagli educatori, i giovani di Le Castella – Isola di Capo Rizzuto, che domenica scorsa hanno ricevuto il Sacramento della Confermazione, e i professori e gli alunni dell’Istituto di Villafranca de los Barros, in Spagna.

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    Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato sul tema della nuova evangelizzazione

    ◊   Come abbiamo sentito dalle parole del Papa all'Angelus, si celebra oggi la 98.ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato sul tema “Migrazioni e nuova evangelizzazione”. La ricorrenza ha quest’anno il fulcro delle celebrazioni nella città di Perugia, in Umbria. Una regione caratterizzata da una straordinaria presenza di migranti, oltre 100mila, pari all’11% della popolazione. A celebrare la Santa Messa per la Giornata nazionale nella cattedrale di Perugia è il vicepresidente della Cei e arcivescovo della città, mons. Gualtiero Bassetti. Stefano Leszczynski lo ha intervistato:

    R. – La Giornata dei Migranti è importantissima per la Chiesa, per la società civile, perché se si pensa che i migranti nel mondo sono circa 215 milioni, ci rendiamo conto che si tratta di un intero popolo in cammino. Possiamo dire quasi un’umanità itinerante, che si incontra, si mescola, si confonde e naturalmente questa è la grande sfida per la Chiesa. Allora ecco anche l’attualità del tema che è stato scelto per quest’anno dal Santo Padre: “Migrazioni e nuova evangelizzazione”.

    D. – Una sfida pastorale molto importante anche perché la componente cristiana della migrazione attuale è molto forte…

    R. – Sì, è molto forte la componente cristiana delle migrazioni. Soltanto nella mia diocesi, ho dato tre chiese agli ortodossi: ai greco-bizantini, agli ucraini e ai rumeni, che sono tutte e tre comunità molto nutrite e che dipendono poi dai loro metropoliti. Quindi c’è un’altissima percentuale di cristiani, ma c’è anche un’alta percentuale di non credenti e soprattutto di uomini e donne appartenenti ad altre religioni. Siamo dunque di fronte anche alla grande sfida della prima evangelizzazione. Se per tutti è necessaria una nuova evangelizzazione, anche per coloro che abitano nel Vecchio Continente europeo, per tanti di questi migranti si pone il problema del primo annuncio del Vangelo.

    D. – Primo annuncio del Vangelo che trova una delle sue componenti principali nell’accoglienza: è un segnale molto positivo questo per i migranti…

    R. – Se pensiamo che soltanto in Italia sono arrivati dal Mediterraneo – solo quest’anno – circa 60mila persone, che sono state accolte dalla Caritas e poi anche accolti nelle varie diocesi - io ne ho trenta - dove vengono seguiti e vengono aiutati in tutti i modi, è chiaro che anche questo rappresenta tutto un atteggiamento di pre-evangelizzaizone.

    D. – Si può parlare di nuova evangelizzazione anche nei confronti della comunità che accoglie i migranti: la società italiana, forse, ha bisogno di qualche nuovo indirizzo per comprendere meglio questo fenomeno?

    R. – Certo. Quando noi parliamo di nuova evangelizzazione è chiaro che ci riferiamo sempre ad un metodo e ad una modalità di annuncio, perché il Vangelo è chiaro che è sempre nuovo in se stesso; ma soprattutto il grande lavoro è nei confronti delle nostre comunità che devono accogliere: non essendo preparate a questa sfida, ci troviamo poi in questa crisi economica molto forte e quindi c’è la tendenza anche nelle nostre comunità a chiudersi. Io vedo che, pure per quanto riguarda la colletta per le famiglie in difficoltà che noi vescovi abbiamo deciso a livello della regione, si fa più fatica, perché la gente è veramente in difficoltà. Dunque noi dobbiamo fare un maggiore sforzo, perché se c’è più povertà attorno a noi, c’è anche più bisogno di mezzi, di generosità nell’aiutare chi ha ancora più necessità di noi.

    D. – Tra i temi di quest’anno si parla molto di questioni relative ai rifugiati e ai richiedenti asilo: altre due categorie molto sensibili sono quelle dei minori non accompagnati presenti in Italia e quella – forse un po’ particolare e della quale si è sentito parlare poco – degli studenti internazionali, ma che per la sua diocesi è invece molto rilevante…

    R. – E’ molto rilevante: a Perugia si parlano 126 lingue, perché abbiamo circa 10 mila studenti provenienti da più di 120 nazioni. Abbiamo anche fatto una missione, lo scorso anno, missione ai giovani, dedicata agli studenti per vedere di riuscire ad entrare in questa realtà. Quindi per Perugia c’è certamente anche questo problema. C’è inoltre il percorso dei diritti fondamentali della persona immigrata nel nostro Paese, che è ancora incompleto e presenta anche punti deboli e problematici soprattutto riguardo ai clandestini, agli irregolari. Penso che sia giunto il tempo, come abbiamo anche sottolineato durante la Settimana Sociale di Reggio Calabria, di trovare il modo di riconoscere la cittadinanza italiana ai figli degli stranieri che sono nati in Italia. Manca ancora una specifica legge sul diritto di asilo, vanno poi rafforzate le azioni di accoglienza rivolte a coloro che fuggono in condizioni di persecuzione politica… Va quindi rafforzato anche l’impegno di protezione sociale delle vittime della tratta, dello sfruttamento sessuale, il contrasto al traffico degli esseri umani, che spesso è gestito da organizzazioni criminali, addirittura a livello internazionale. C’è ancora troppa discriminazione tra cittadini regolari e irregolari, anche riguardo alla salute e alla maternità. Sono tutti problemi ancora aperti e quella che noi facciamo non vuole essere una critica, ma vuole essere uno stimolo ad affrontare con maggiore profondità tutto questo problema dei fratelli e delle sorelle immigrati. (mg)

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    Oggi in Primo Piano



    Tragedia all'Isola del Giglio; ancora 17 dispersi. La testimonianza del cappellano della Costa Concordia

    ◊   La tragedia del mare all’Isola del Giglio: è finora di tre morti - due francesi e un peruviano - e 40 feriti, il bilancio dell’incidente alla nave da crociera Costa Concordia, semi-affondata dopo aver urtato, venerdì sera, uno scoglio al largo dell’isola. Ma 17 persone mancano ancora all’appello. Una coppia di sposi coreani, in luna di miele, e un commissario di bordo sono stati raggiunti nelle loro cabine e salvati. Restano molte domande sulla dinamica dell’incidente. Il comandante è in stato di fermo: è accusato di naufragio, omicidio colposo plurimo e abbandono della nave. Indagato anche un altro ufficiale. Ma cosa è successo dopo l’urto? Sergio Centofanti lo ha chiesto al cappellano di bordo, don Raffaele Malena:

    R. – Quei momenti sono momenti di panico…. Forse non hanno dato subito l’allarme, l’abbandono nave… Cercavano un’altra cosa, quando si è verificato il fatto, lo squarcio alla nave: erano, infatti, andati a vedere in sala macchina se potevano risolvere il black out…. Ma è stato troppo tardi, perché in meno di 20 minuti la sala macchina era invasa dall’acqua: non c’è stato niente da fare! Il comandante ha cercato di arrivare con la nave sottoriva, vicino al porto: ma la nave ha incominciato ad inclinarsi a 150-200 metri dal porto, non più lontano.

    D. – Lei conosce l’equipaggio, ma molti passeggeri hanno denunciato il caos e l’impreparazione…

    R. – E’ troppo facile dire “impreparazione”…. Il disordine non è stato creato dall’equipaggio, l’ha creato il panico, l’ha creato la paura tra i passeggeri. Il panico fa quello che fa. Per carità di Dio, lì, in quei momenti, si vede la propria vita in pericolo! L'equipaggio si è prodigato, non è vero che era passivo. Ma io, quando ho capito che c’era stato uno squarcio di 60-70 metri, ho detto a Gesù: “Pensaci Tu!”.

    D. – Don Raffaele, lei quali soccorsi ha portato ai passeggeri?

    R. – Il cappellano dove è chiamato deve correre. Li ho incoraggiati… C’erano tanti bambini, una bambina me la sono presa in braccio, ho chiamato la mamma e ho detto di mandarla subito nella scialuppa e la mamma l’hanno fatta evacuare per prima. Sono momenti di panico e di paura per i passeggeri. Poi, devo ringraziare molto il parroco del Giglio, che ha aperto subito la chiesa. Questa è un’isola di mille e 200 persone in estate e 700 in inverno. Tutti volevano dare un mano: hanno aperto gli alberghi, ci hanno dato da mangiare, ci hanno dato coperte e tutto quello che avevano ce lo davano. Agli abitanti dell’Isola del Giglio dovremmo fare un monumento… Non ci hanno abbandonati!

    D. – Ci sono ancora alcune persone che mancano all’appello…

    R. – Si sta ancora cercando di salvare le persone che sono sulla nave: persone che credevamo morte, perché non so a che piano sia arrivata l’acqua… questo non lo so. Abbiamo ancora 6-7 persone dell’equipaggio che io conosco tutte e che penso che se sono al ponte 7 o 8 saranno ancora vive; ma se sono al ponte 0 o al ponte A B C, non so …. La nave ha preso lo scoglio e uno squarcio di 70 metri non ti perdona…. Ti manda subito a fondo! (mg)

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    Juppé in Myanmar. La figlia di un dissidente liberato: cautela sulle aperture dei militari

    ◊   Visita storica del capo della diplomazia francese Alain Juppé in Myanmar: oggi il ministro degli Esteri ha incontrato a Yangon la leader dell’opposizione e Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, affermando che l’Unione Europea risponderà positivamente alle recenti aperture del regime militare birmano. Nei giorni scorsi la giunta ha decretato un’amnistia per 651 detenuti, la metà dei quali prigionieri politici. Tra i rilasciati c’è anche il dissidente Mya Aye. La collega Ann Schneible ha intervistato la figlia, Wai Hnin Pwint Thon:

    R. – I’m very happy to see…
    Sono molto felice di vederlo libero e così i suoi amici, ma allo stesso tempo sto cercando di essere cauta su questa decisione, perché è già successo prima. Le leggi per cui è finito in prigione, rimangono. E io conosco mio padre troppo bene: non rimarrà in silenzio su molte cose. Lui e i suoi amici saranno molto chiari sulla situazione attuale e potranno essere molto critici. Quindi, il governo sostenuto dai militari potrebbe rimetterli in prigione in ogni momento. Per questo sto cercando di essere molto cauta.

    D. – Qual era il ruolo di suo padre prima di essere imprigionato?

    R. – He was one of the prominent student leaders …
    E’ stato un leader di spicco delle insurrezioni studentesche del 1988; è stato arrestato nel 1989, condannato ad otto anni e rilasciato nel 1996 e ha continuato con la sua attività. Nel 2004, sono diventati il “gruppo studentesco della generazione dell’88” e lui è uno dei leader del gruppo. Nel 2007 ci fu un fortissimo aumento del prezzo della benzina; loro decisero di scendere pacificamente in strada chiedendo soluzioni economiche. Per tutta risposta furono arrestati e condannati a 65 anni. Quindi, lui è rimasto in prigione dal 2007 fino al rilascio nei giorni scorsi.

    D. – La liberazione di questi detenuti significa che si sta muovendo qualcosa nel Myanmar?

    R. – This is such a great step …
    Questo è un grande passo avanti, e noi ne siamo molto felici, ma allo stesso tempo mio padre ha detto che dobbiamo ricordare gli attivisti politici che tuttora rimangono in prigione a causa delle loro idee. Ha anche detto che se il presidente e il governo sostenuto dai militari credono in una vera riforma democratica allora devono liberare tutti quelli che sono in prigione perché credono nella democrazia e libertà. Questo ancora non è successo: ora sono stati liberati 651 prigionieri. Di questi, non sappiamo quanti siano i prigionieri politici, e ci sono ancora prigionieri politici che rimangono in prigione. (ap/gf)

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    Il Kazakhstan al voto per il rinnovo anticipato del Parlamento

    ◊   Dopo le tensioni di un mese fa, con violenti scontri tra lavoratori in sciopero e forze dell'ordine che hanno provocato una ventina di vittime e oltre 100 feriti, il Kazakhstan si sta recando oggi alle urne per il voto legislativo anticipato. Oltre 9 milioni gli elettori. Sette i partiti in lizza, dopo la dissoluzione in novembre della Camera bassa del Parlamento di Astana, controllata dal partito del presidente Nursultan Nazarbayev. Ad Almaty, Riccardo Migliori, presidente della delegazione parlamentare italiana dell'OSCE nella repubblica ex sovietica, ha comunicato che alcuni "colleghi in città hanno riscontrato diversi problemi: ad esempio casi di firme identiche nei registri". Sull’andamento del voto, il servizio della nostra inviata ad Astana, Fausta Speranza:

    Oltre 900 osservatori internazionali seguono il voto di oggi. “Un monitoraggio previsto in ogni caso, ma diventato particolare dopo la repressione delle manifestazioni e i morti di un mese fa”. Sono le parole del ministro degli Esteri, Yerzhan Kazikhanov, che abbiamo incontrato nella capitale Astana, dove poco fa abbiamo visto votare – senza particolari cerimoniali – il presidente Nazarbayev. Ma l’attenzione non è alla capitale tradizionalmente vicina al presidente che guida il Paese dal 1991, quanto alla città di Almaty, nota per una certa stampa critica, e soprattutto alla regione occidentale di Mangistau: è proprio lì che a dicembre scorso, dopo mesi di scioperi degli operai, le forze dell’ordine hanno ucciso 17 persone. Poi il presidente ha voluto l’aumento dei salari e ha annunciato una certa apertura alle opposizioni. Da qui, la consapevolezza che si tratta di un voto particolare, in tempi di “primavera araba” e dopo mesi di gente in piazza. Ma non può che essere una tappa di un processo:

    We understand that we can not become a democracy overnight...
    “La democrazia non si costruisce in un giorno”, ha sottolineato lo stesso ministro degli Esteri, ammettendo che ancora resta molto da fare in Kazakhstan, Paese strategico tra Europa e Asia.(mg)

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    Etiopia, terra di guerre e carestie, ma pure di speranza. Grazie anche ad una "tenda blu". Con noi, suor Laura Girotto

    ◊   Etiopia, terra di guerre e carestie, terra di centinaia di etnie e tante religioni diverse, terra di malati di Aids e violenze sulle donne. Ma anche terra di speranza e, oggi, di certezze. Il Papa, più volte, anche negli ultimi mesi, ha lanciato accorati appelli alla comunità internazionale perché continui l’impegno a favore del Corno d’Africa, colpito da una terribile siccità e dalla conseguente carestia che coinvolge oltre tredici milioni di persone. In quelle zone, più precisamente nella località etiopica di Adwa, nel Tigray, al confine con l’Eritrea, dal ‘94 opera la missione di Kidane Mehret, fondata dalla salesiana italiana, suor Laura Girotto, con un esiguo gruppo di altre religiose e con l’aiuto di tanti sostenitori, come la Onlus Amici di Adwa (www.amicidiadwa.org) e la Conferenza episcopale italiana. Alla missionaria torinese e alla sua opera è dedicato il libro “La tenda blu - In Etiopia con le armi della solidarietà”, di Niccolò d’Aquino, per i tipi delle edizioni Paoline, presentato ieri a Roma. Ascoltiamo suor Laura Girotto, nell’intervista di Giada Aquilino:

    R. - È un Paese che ha scelto la strada dello sviluppo e della promozione. Un Paese che ha sofferto anni e anni di guerra, sia civile sia con altre nazioni, l’ultima 1998-2001 con l’Eritrea, una guerra che non è risolta nel senso che non si combatte più, ma non è stato raggiunto un accordo e ci sono continue provocazioni sui confini. Però l’Etiopia è decisamente incamminata verso la strada dello sviluppo e del progresso. Infatti all’inizio, quando arrivai, atterrai su un campo tra banchi di cammelli e di asini; l’Etiopia oggi invece vede aeroporti, le strade sono state quasi del tutto completate, il 90 per cento del Paese gode di energia elettrica, ci sono linee telefoniche, c’è il collegamento ad internet. E’ anche una nazione di centomila abitanti, non censiti ma si stima che le cifre siano queste, con etnie diverse e con tensioni interne che non sono facili da gestire, con una popolazione ancora in gran parte analfabeta. Difatti c’è un grandissimo sforzo sull’educazione. Quindi è un cammino tutto in salita, però è un cammino.

    D. - La missione di Kidane Mehret nasce da una vecchia tenda militare blu, sistemata a pochi passi dall’Eritrea, quindi in piena terra di tensioni. Oggi conta scuole - anche tecniche e professionali: ricordiamo per esempio i corsi di cucito per preparare le donne a lavorare nella vicina fabbrica tessile - e poi un centro per la promozione della donna, un oratorio, una chiesa, un progetto di assistenza sociale, un ospedale che sta nascendo e del quale si prevede l’apertura nel 2014. Questi sono i campi dell’approccio missionario che, come lei ricorda parlando col giornalista Niccolò d'Aquino, “è testimonianza di vita e assistenza ai bisogni”. Ci fa qualche esempio di questa sua esperienza missionaria?

    R. - Ovviamente l’approccio educativo - l’educazione con una “E” maiuscola, intesa come assunzione integrale della crescita della persona, soprattutto del giovane - è lo specifico salesiano. Naturalmente occorre rivolgersi a tutti gli altri aspetti dei diritti delle persone, quindi il diritto alla salute, il diritto alla casa, il diritto al lavoro, il diritto delle donne a poter scegliere un futuro, un marito. E lo si fa con grande rispetto dei valori culturali locali che sono assolutamente da conservare. Ad esempio, il discorso della solidarietà, il rispetto dei bambini, il rispetto della vita, i rapporti familiari: sono questi i valori da mantenere; mentre altri sono assolutamente da combattere: ricordiamo le mutilazioni genitali femminili, la visione della donna in certe fette ancora abbastanza consistenti sulla società per cui la donna non ha diritto di parola, se non teoricamente. Noi abbiamo impostato la nostra presenza missionaria proprio su questo tema: “Evangelizzare educando”.

    D. - Il Papa in un discorso ai vescovi dell’Etiopia e dell’Eritrea, qualche anno fa, puntò sull’ecumenismo concreto, sotto forma di sforzi umanitari congiunti, che “servirà a rafforzare i vincoli di comunione nel raggiungere con compassione cristiana i malati, coloro che soffrono la fame, i rifugiati, i dislocati e le vittime della guerra”: come viene messo in pratica questo auspicio in Etiopia? Lei afferma che da voi si celebra il Natale di Cristo e quello di Maometto, la Quaresima e il Ramadan…

    R. - Siamo aperti a tutti i bisogni del territorio. Se arriva un malato, non gli si chiede la religione di appartenenza, lo si cura punto e basta. La scuola materna regolarmente a Natale si prepara a rivivere la nascita di Gesù, con la rappresentazione sacra della Natività. Se, tra i bambini, non scegliamo anche i piccoli musulmani come pastorelli, come angioletti, è un dramma. Le famiglie vengono a vedere i loro bambini che interpretano questi ruoli nel contesto del presepio della Natività e si commuovono a vederli.(bi)

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    "Una perla del clero italiano": il ricordo di San Giuseppe Cafasso nel bicentenario della nascita

    ◊   “Una perla del clero italiano”, il segno concreto di “una straordinaria capacità di accoglienza, comprensione e misericordia”: così il card. Mauro Piacenza ha ricordato San Giuseppe Cafasso, a conclusione delle celebrazioni per il bicentenario della sua nascita. Stamani a Torino, nel Santuario della Consolata, il prefetto della Congregazione per il Clero ha celebrato una Messa per commemorare questo Santo piemontese, patrono dei carcerati e maestro di don Bosco. Sulla figura di San Giuseppe Cafasso, Isabella Piro ha intervistato mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino:

    R. – La vita ed il ministero di San Giuseppe Cafasso innanzitutto richiamano tutti alla necessità del primato di Dio, di un’azione concreta anche nella storia, perché lui ha servito i poveri in termini molto concreti. Questo, però, era frutto della sua fede: bisogna mantenere viva la fede, l’amore verso il Signore, che è la radice fondamentale dell’azione caritativa, sociale e nei confronti delle persone bisognose. Di fronte ad una vita che oggi è molto affannata e molto magmatica, anche a livello pastorale, così carica di molteplici attività, questo bicentenario esprime proprio l’esigenza di tornare alle radici di ciò che si fa come cristiani: la fede nel Signore, l’amore per Lui, la ricerca continua di una vita che sia di grazia, radicata nella parola di Dio, nei sacramenti e nella preghiera.

    D. – Fondamentale è il legame di San Giuseppe Cafasso con don Bosco, che fu suo allievo. Entrambi diedero grande importanza all’educazione, quanto mai urgente anche oggi…

    R. – Certo. San Cafasso e don Bosco ci dicono che l’educazione è una questione di cuore e che solo Dio ne è il padrone. Noi non possiamo riuscire in alcuna cosa se Dio non ce la insegna. Ci offrono soprattutto dei tratti caratteristici dell’azione educativa, ad esempio l’autorevolezza dell’educatore, che sa porsi di fronte ai giovani e ai ragazzi in termini di testimonianza, non solo a parole. E poi, l’educazione come atto di amore intriso di grande fede. La fede dà fondamento ed orizzonte all’opera educativa, dà senso alla vita: in fondo, ogni educazione è la scoperta continua del progetto di Dio sulla propria vita. Infine, bisogna tendere a formare delle personalità aperte al bene comune. C’è bisogno di tutti: buoni cristiani ed onesti cittadini.

    D. – San Giuseppe Cafasso è noto anche come patrono dei carcerati. La sua testimonianza di vita, in questo campo, cosa ci insegna?

    R. – Egli ha sempre considerato il detenuto come una persona umana, figlio di Dio. Come tale, dunque, soggetto di diritti inalienabili che vanno rispettati. Bisogna che il carcere diventi il luogo del riscatto, dove si possano veramente ritrovare le motivazioni del vivere bene perché un domani, scontata la propria pena, si possa ritornare ad essere dei cittadini onesti a tutti gli effetti. Sappiamo che San Giuseppe Cafasso aveva a che fare soprattutto con i condannati a morte: li accompagnava, invitandoli a confidare nella misericordia del Signore, ed ottenendo molte volte profonde conversioni del cuore. Le carceri, oggi, sono luoghi davvero molto difficili: rischiano di aggravare le pene del detenuto, ma soprattutto rischiano di incattivirne l’animo rendendolo ancora più disperato e solo. Il traguardo che ci prefiggiamo è quello di rendere il carcere un luogo di riscatto ed una comunità in cui ogni suo componente collabori insieme per un ambiente più umano, più giusto e più sereno. Credo che questo sia un “obiettivo di civiltà” verso cui bisogna camminare con grande determinazione e con grande coraggio.

    D. – La Chiesa di Torino, ed in particolare i fedeli, come escono rinnovati da questo bicentenario?

    R. – Siamo usciti più forti nella ricerca della fede e del primato di Dio ed anche con una carica di generosità e di accoglienza verso i più poveri e verso le nuove forme di povertà. Tutto questo viene oggi aggravato dalla crisi economica che stiamo vivendo. Se però riusciamo a vedere questa crisi anche come una risorsa di richiamo a certi valori – come la sobrietà ed una maggiore solidarietà – essa può rivelarsi anche positiva. (vv)

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    La Bellezza, via di evangelizzazione: convegno con mons. Fisichella, Portoghesi e Tarquinio

    ◊   “Sulla via della bellezza per una nuova evangelizzazione” è il convegno che si è svolto ieri presso la Pontificia Università Lateranense a Roma. Si tratta di uno degli appuntamenti che fanno parte del progetto “Una porta verso l’infinito” promosso dall’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi Roma in collaborazione con il Pontificio Consiglio della cultura. Benedetta Capelli:

    Il punto di partenza sono state le parole del Papa pronunciate al convegno diocesano del giugno scorso. Ricordando il patrimonio di storia e di arte di Roma, Benedetto XVI invitò tutti a percorrere “la via della bellezza che conduce a Colui che è, secondo sant’Agostino, la Bellezza tanto antica e sempre nuova”. Evangelizzazione e bellezza: un legame che, nel convegno, si è articolato secondo tre differenti prospettive. La prima ha riguardato l’aspetto più teologico attraverso la riflessione di mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione:

    “La bellezza è la strada privilegiata per l’evangelizzazione. Non dimentichiamo che il cristianesimo, fin dall’inizio, ha avuto con l’arte in genere una strada che gli ha consentito di mostrare la coerenza del mistero. Il cristianesimo presenta il mistero di un Dio che si fa uomo e la bellezza, attraverso le diverse espressioni dell’arte, è stata capace di manifestarlo. Lo manifesta nella bellezza delle nostre cattedrali e delle nostre chiese, lo ha manifestato con il linguaggio della poesia e della letteratura, con la musica, e continua a manifestarlo con la bellezza della liturgia. Ci sono, quindi, tante di quelle espressioni che sono una via privilegiata per l’annuncio del Vangelo”.

    Nel corso della sua riflessione, mons. Fisichella ha anche ricordato che la Chiesa è da sempre grata agli artisti ed ha, allo stesso tempo, lanciato un appello perché anche oggi sperimentino nuovi linguaggi confrontandosi con il Mistero di Cristo. Una sfida che si inserisce in una rinnovata sensibilità dei giovani di oggi:

    “Credo che dobbiamo alimentare il desiderio di bellezza, che è presente anche nelle giovani generazioni quando si affacciano a gustare le diverse espressioni dell’arte. A me sembra che alimentare questo desiderio equivalga anche ad esercitare e ad affinare sempre di più il gusto per la bellezza nelle sue diverse manifestazioni e a non limitarlo a quello che diversi aspetti della cultura contemporanea esprimono in una bellezza effimera, che oggi c’è ma che domani scompare. Abbiamo bisogno di esprimere al meglio la continuità della bellezza”.

    Di bellezza effimera e di bellezza autentica ha parlato anche l’architetto Paolo Portoghesi, che ha invitato ad allontanarsi da un’arte pensata solo in funzione del mercato:

    “Roma è una città che, per chi arriva dall’esterno, è un inno alla fede. Un potenziale formidabile sta proprio in un turismo che sia anche, in un certo senso, pellegrinaggio. C’è poi il grande tema della presenza della bellezza da una parte espressione del Creato e dall’altra la bellezza di Cristo, ed è proprio a questa che si riferisce Dostoevskij quando dice: ‘Quale bellezza può salvare il mondo’?. La risposta non può essere che questa. La bellezza può essere anche dentro di noi: l’invito a guardare dentro se stessi e a ritrovare questa bellezza può essere qualcosa di molto importante nella rievangelizzazione”.

    Teologia, arte e infine comunicazione. Come evangelizzare sulla via della bellezza e attraverso i mass media. La risposta di Marco Tarquinio, direttore di Avvenire:

    “Parlando di bellezza, abbiamo un compito: far capire alla gente qual è la vera bellezza. Benedetto XVI, quando era ancora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, diceva che oggi il grande trucco della menzogna è quello di presentarsi come una bellezza mendace, che affascina. Credo che noi, come giornalisti, abbiamo la possibilità di rimettere sulle gambe l’idea stessa di bellezza e farla camminare. In concreto cosa vuol dire? Vuol dire far capire che i titoli e le notizie che devono abitare le nostre pagine non sono quelle sui bei soldi, sulle belle facce o le belle storie secondo il mondo. C’è tutta un’altra umanità che possiamo mettere in pagina, far capire che è la storia e la cronaca che si fa”.

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    In Libia si prepara il processo a Saif-al Islam Gheddafi

    ◊   Missione a Tripoli domani per il capo della giunta militare egiziana, Hussein Tantawi, che incontrerà il leader del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) libico, Mustafa Abdel Jalil. Al centro dei colloqui, un eventuale aiuto egiziano alla ricostruzione della Libia e i futuri rapporti tra i due Paesi, protagonisti negli ultimi mesi di grandi cambiamenti politici a seguito delle rivolte che hanno portato alla caduta di Hosni Mubarak e Muammar Gheddafi. In Libia, intanto, mentre continuano gli scontri tra milizie rivali, con un bilancio di almeno 3 morti a sud di Tripoli, resta al centro dell’attenzione il futuro processo a Saif-al Islam Gheddafi: il figlio del colonnello è ricercato dalla Corte penale internazionale, ma le autorità vorrebbero giudicarlo in patria, dove rischia la pena di morte. Davide Maggiore ha raccolto l’opinione di Fausto Pocar, già presidente della Corte Onu per l'ex Jugoslavia e attualmente componente del Tribunale d'Appello per il Rwanda:

    R. - La situazione della Libia è stata riferita alla Corte penale internazionale dal Consiglio di Sicurezza con la prima risoluzione che lo stesso ha adottato. Le indagini sono state fatte dal procuratore della Corte penale. Bisogna però tenere presente che lo statuto della Corte penale internazionale prevede l’intervento della Corte solo a titolo sussidiario, a titolo complementare. La giurisdizione spetta primariamente agli Stati e quindi dipende se lo Stato libico sarà in condizione e avrà la volontà di giudicare direttamente i responsabili di violazione del diritto. Se lo facesse - e aggiungo lo facesse con processi equi - non ci sarebbe ragione di un intervento della Corte. Ritengo che forse ci sia qualche problema a questo riguardo, tenuto conto che - come sappiamo - crimini sono stati commessi non solo da esponenti del regime ma anche da coloro che hanno combattuto per liberarsi dal regime.

    D. - Le nuove autorità di Tripoli, inoltre, hanno ricevuto in visita il presidente sudanese Omar al-Bashir, ricercato all’Aja per crimini contro l’umanità. È il segnale di un possibile rapporto critico con le istituzioni internazionali?

    R. - Spero si sia trattato di un semplice episodio. La Libia non era tenuta ad arrestare Bashir perché non ha ratificato lo statuto della Corte. Poteva essere costretta nell’ambito di una collaborazione dovuta al Consiglio di Sicurezza. È più problematico il fatto che altri Paesi africani abbiano ricevuto Bashir pur avendo ratificato lo statuto della Corte, essendo, in questo caso, tenuti ad arrestarlo.

    D. - Anche dopo la fine formale delle ostilità, la Libia resta un Paese diviso e le milizie sono ancora potenti: attraverso la via giuridica, può esserci una strada per la riconciliazione?

    R. - Una strada di riconciliazione c’è sempre. Il problema è che ci sia una volontà di riconciliazione, che non ci siano troppi interessi contrastanti. Credo che la situazione libica sia lungi dall’essere risolta all’interno. Mi auguro che la parte costituita dalle milizie non prenda il sopravvento.

    D. - In che modo la comunità internazionale potrebbe affiancare le autorità di Tripoli nella costruzione di istituzioni giuridiche funzionanti, che sono tra le basi di uno Stato stabile?

    R. - Credo che la comunità internazionale debba proporsi l’impegno di costituire uno Stato funzionante perché non dimentichiamo che è intervenuta a smantellare un sistema precedente. È vero che questo era basato sulla violenza, però è anche vero che si è creata una situazione instabile. Quindi sarà compito della comunità internazionale, dopo essere intervenuta, fare tutto il possibile per questo. Credo si tratti di una questione non tanto di aiuti economici perché il Paese non è un Paese povero, anzi la Libia è un Paese fondamentalmente ricco rispetto all’entità della popolazione; piuttosto, penso, sia forse un problema di partenariato che permetta di creare una struttura pienamente democratica. (bi)

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    Haiti, due anni dopo il terremoto: a colpire è il senso di solidarietà tra la gente locale

    ◊   Haiti ha ricordato questa settimana, con funzioni religiose e una giornata nazionale di commemorazione, il devastante terremoto del 12 gennaio 2010. Gli ultimi dati aggiornati forniti dal governo parlano di 316mila morti e 1,5 milioni di sfollati. Al momento 500mila persone sono ancora ospitate in campi di fortuna. Alla tragedia del terremoto si è poi aggiunta la pandemia del colera, che ha provocato altre 7 mila vittime. A due anni da questi eventi, che hanno innescato la mobilitazione e la solidarietà internazionale, Haiti è una nazione ancora in grave difficoltà. Tra le organizzazioni tuttora sul posto c’è Medici Senza Frontiere. Sulla situazione ad Haiti, Giancarlo La Vella ha intervistato Costas Moschochoritis, direttore generale di Medici Senza Frontiere – Italia:

    R. – Dal punto di vista sanitario, la situazione è ancora difficile perché era difficile anche prima del terremoto. Mancano specialmente strutture di secondo livello e l’accesso alle cure, perché sono a pagamento: ma noi sappiamo che Haiti è il Paese occidentale più povero. Un problema grave è stato il colera, che sfortunatamente adesso è diventato endemico nel Paese. Quindi, al momento è necessario migliorare il sistema della fornitura dell’acqua e delle fognature. Stiamo dicendo che l’80 per cento della popolazione non ha istallazioni sanitarie nelle case e la metà non ha accesso all’acqua potabile. E’ una situazione molto, molto difficile!

    D. – A due anni di distanza dal terremoto, c’è la speranza e la voglia di ricominciare?

    R. – Vorrei dire la mia personale esperienza, quello che abbiamo visto con il nostro personale haitiano. Ha dimostrato una motivazione davvero commovente fin dalle prime ore dopo il terremoto. Cioè, il personale del nostro staff non è andato a cercare la propria famiglia, ma è rimasto nelle strutture per aiutare i concittadini, i compatrioti. C’è questa volontà, c’è questa solidarietà. E’ ovvio che in tali condizioni la società soffre: può uscire il meglio, ma in certi casi ci sono stati anche comportamenti egoisti. Però, in generale, io personalmente sono rimasto molto, molto colpito dallo spirito, dal senso di volersi aiutare gli uni gli altri. (gf)

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    Accendi una luce in un campo profughi: l’iniziativa dell’Acnur per i rifugiati

    ◊   Bastano 29 euro per donare una lampada solare ad una famiglia in un campo profughi: è quanto sottolinea l’Acnur, che ha lanciato recentemente l’iniziativa “Accendi una luce”. Sull’importanza di questo progetto, Alessandro Gisotti ha intervistato Federico Clementi, responsabile raccolta fondi dell’Acnur:

    R. – E’ un progetto innovativo per trasformare veramente la vita di milioni di persone. La protezione dell’ambiente dei rifugiati, in qualche modo, deve essere garantita di pari passo: fornire illuminazione e quindi accendere una luce a energia solare nei campi in diverse parti del mondo – anche se questo progetto è principalmente legato a 12 campi in Africa – contribuisce alla sicurezza, ad esempio, delle donne rifugiate e permetterebbe ai bambini di avere molte ore in più per studiare.

    D. – E questo soprattutto perché, purtroppo, sono molto presenti dei rischi nei campi profughi, soprattutto per le persone più deboli e quindi le donne e i bambini…

    R. – Assolutamente sì. In mancanza di luce sono soprattutto le donne e le ragazze che si sentono meno sicure: ad esempio, dopo il tramonto dover andare fuori dal campo, in posti più lontani rispetto alle loro case e alle loro tende, per raggiungere i servizi igienici. Il buio può fornire una copertura per atti di violenze nei loro confronti. Le donne sono quindi particolarmente vulnerabili sotto tale punto di vista e questo progetto va a dare una mano importante per il miglioramento delle condizioni di sicurezza nei campi.

    D. – C’è un caso modello, un’esperienza concreta?

    R. – Assolutamente sì, quella dei campi in Sudan. Da italiano sono contento di poter dire che c’è una importante Fondazione italiana, che si chiama “Prosolidar”, che ha fatto una donazione molto, molto significativa e proprio grazie a questa donazione in questo campo sono state distribuite già 5.800 lanterne solari, una per ogni nucleo familiare; 5.800 pentole a basso consumo, che permettono di cucinare con un bassissimo consumo energetico; e sono stati distribuiti in questi campi anche 97 lampioni solari, più o meno uno per ogni 300 rifugiati.

    D. – Chi ci ascolta, come può aiutare ad accendere una luce nei campi profughi dell’Africa?

    R. – E’ molto facile. Tante luci di diverso tipo si possono accendere: dalle piccole luci con delle piccole donazioni a delle donazioni importanti, che possono venire da aziende o altre fondazioni o singoli individui. Si può chiamare il numero verde 800.298.000, parlare con l’operatore, chiedere informazioni o dire di voler fare una donazione per accendere una luce. (mg)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Denuncia dal Pakistan: stupri e torture su bambini cristiani, “pulizia etnico-religiosa”

    ◊   Stupri e torture di bambini, estorsioni alle famiglie, abusi e violenze che avvengono nel silenzio e nel terrore delle vittime: è quanto accade alla comunità cristiana di alcuni quartieri suburbani della metropoli Karachi, la maggiore città del Pakistan meridionale, capitale del provincia del Sindh. La denuncia choc viene da Michael Javed, parlamentare cattolico attivo in Sindh. In un colloquio con l’Agenzia Fides, Javed lancia un allarme: i cristiani dei quartieri Essa Nagri, Ayub Goth e Bhittaiabad da mesi sono vittime di indicibili violenze, perpetrate da membri di movimenti politici a forte connotazione etnica e islamica, come i pashtun. Le famiglie cristiane vivono un calvario ma “la gente non denuncia gli abusi per timore di ritorsioni”. Solo nel mese scorso, racconta Javed a Fides, “abbiamo registrato 15 casi di stupro”. In Essa Nagri esistono autentiche “celle di tortura” dove vengono confinati e stuprati bambine e bambine cristiane. “Per loro si chiede un riscatto fino a 100.000 rupie e se le famiglie non possono pagare, i piccoli vengono torturati fino a diventare irriconoscibili”. Come risultato di tali violenze, negli ultimi sei mesi, numerose famiglie hanno preferito lasciare Karachi. “Il fine di tali violenze è eliminare la presenza cristiana dalla zona, una sorta di pulizia etnica: siamo considerati schiavi, indegni di calpestare il suolo pakistano”. In un altro caso segnalato, una “casa di tolleranza” è stata aperta vicino ad una chiesa cattolica in Ayub Goth e “ragazze cristiane, di famiglie poverissime, sono costrette a prostituirsi”. Le autorità, pur avvisate, finora non hanno ancora agito. Javed lancia un appello chiedendo “di fermare l’oppressione sulla nostra comunità”. Fides ha raggiunto p. Victor John, francescano della diocesi di Karachi, parroco a Essa Nagri, (dove vivono 700 famiglie cristiane, di cui 300 cattoliche) e responsabile pastorale per l’area di Ayub Goth, (con circa 300 famiglie cristiane): “Sono quartieri poverissimi, infestati da criminalità e illegalità. Violenze e torture ci sono, compiute da membri di partiti politici islamici che ricattano la gente per consenso politico, ma anche da militanti ostili ai fedeli. Nella zona è molto diffuso il traffico di droga, con la compiacenza della polizia. Mancano scuole e servizi sociali e, in tale contesto di povertà, la violenza impera”. “La Chiesa – prosegue – è presente con scuole, con un Centro di recupero per tossicodipendenti, con l’opera delle suore di Madre Teresa e delle suore Francescane del Sacro Cuore di Gesù. Rivolgiamo il nostro servizio soprattutto a bambini e giovani, cercando di aiutarli e istruirli, per sottrarli alla malavita”.

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    Laos. Sequestrati una chiesa e un edificio cristiano per “attività religiose non autorizzate”

    ◊   Nel Laos, le autorità distrettuali di Savannakhet hanno confiscato una chiesa e un edificio cristiano nel villaggio di Nadaeng per aver svolto “attività di culto e attività religiose non autorizzate”: è l’ennesimo episodio di abuso della libertà religiosa segnalato all’Agenzia Fides dallo “Human Rights Watch for Lao Religious Freedom” (HRWLRF), organizzazione di fedeli laotiani con base negli Stati Uniti. I cristiani di Nadaeng non sono “riconosciuti dallo stato”. Circa un mese fa avevano ricevuto un avvertimento dalla polizia, con l’invito a “cessare di utilizzare i loro edifici per attività religiose”. Dato che i fedeli di Nadaeng, ignorando tale disposizione, hanno celebrato il Natale e continuato a utilizzare l’edificio per incontri religiosi, l’Ufficio provinciale per gli Affari religiosi di Savannakhet ne ha disposto la confisca. I funzionari preposti hanno messo in guardia i fedeli dalle “tattiche ingannevoli dei nemici dell’Occidente che usano la religione cristiana per contrastare l'attuale sistema politico laotiano”. Le autorità di Savannakhet hanno dichiarato di riconoscere soltanto sette chiese in sette precise aree della provincia di Savannakhet: Tungsamakee, Posai Tai, Dongpoong, Kengkok, Songkorn, Nakham e Saynoun. Dal momento che la chiesa di Nadaeng non è stata riconosciuto dalle autorità, tutte le attività religiose sono considerate illegali e tutti i suoi possedimenti sono considerati appartenenti allo stato. Attualmente vi sono trenta chiese nella provincia di Savannakhet: tolte le sette riconosciute, le restanti 23 chiese rischiano di essere confiscate dalle autorità del Laos in qualsiasi momento. La chiesa cristiana di Nadaeng fu costruita nel 1959 e ha continuato sempre a funzionare passando indenne attraverso diverse campagne di repressione religiosa. Tuttavia, quasi 19 anni fa, ricevette da un leader locale una autorizzazione, che ora è stata revocata. Lo HRWLRF rilancia l’appello alla piena libertà religiosa nel Paese.

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    Siria. Ban Ki Moon: “Assad smetta di uccidere il suo popolo”. Damasco annuncia una nuova amnistia

    ◊   "Oggi dico al presidente della Siria Assad di smettere di uccidere il proprio popolo". Suonano come un accorato appello le parole pronunciate stamani dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, durante una conferenza a Beirut sul processo di transizione democratica dei Paesi arabi. “Il vento del cambiamento - ha detto ancora il numero uno del Palazzo di Vetro - non smetterà di soffiare. Le nazioni vogliono il rispetto dei diritti umani e dicono basta al potere di un solo uomo, alle dinastie, al silenzio imposto ai media e alla mancanza delle libertà fondamentali”. Pochi minuti dopo l’agenzia siriana Sana ha battuto quella che è sembrata una risposta alle parole di Ban Ki Moon: il presidente Bashar al Assad ha concesso un'amnistia generale per i crimini commessi nel contesto delle rivolte avvenute dal 15 marzo 2011. Intanto l'ex segretario generale della Lega Araba e candidato alle presidenziali egiziane, Amr Mussa, ha rilanciato con grande favore la proposta del Qatar di inviare un contingente militare arabo in Siria per fermare la repressione. Infine sul terreno si registrano nuove violenze: sei persone sono morte e 16 sono rimaste ferite in un attentato avvenuto oggi nella provincia siriana nord-occidentale di Idlib. (A cura di Marco Guerrra)

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    Egitto: el Baradei si ritira dalla corsa alle presidenziali

    ◊   Con una mossa che ha suscitato grande sorpresa fra sostenitori e avversari, Mohamed el Baradei, ex capo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, ha ritirato la propria candidatura alla presidenza dell'Egitto. Il Premio Nobel per la pace critica la gestione della giunta militare al potere al Cairo, accusata di allontanare gli “obiettivi della rivoluzione”. Tuttavia, diversi osservatori sostengono che il ritiro di el Baradei deriverebbe dalla consapevolezza di non poter conquistare abbastanza consensi per assicurarsi la presidenza, in un contesto nel quale i Fratelli Musulmani hanno ottenuto il 46% dei voti nelle elezioni per l'Assemblea del popolo. E ad un anno dall’inizio della primavera araba, ieri migliaia di persone hanno manifestato a Tunisi in occasione del primo anniversario delle rivolte che hanno rovesciato il presidente Ben Ali. I dimostranti hanno invocato lavoro e diritti per tutti. (M.G.)

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    Economia: ancora polemiche sui tagli del rating di S&P

    ◊   Continua a destare polemiche e reazioni il declassamento, da parte dell’agenzia Standard & Poor’s, del debito sovrano di nove Paesi europei, fra cui Francia, Italia e Spagna. Ieri, spiegando le motiviazioni, i vertici dell'agenzia non hanno esluso ulteriori declassamenti. Pressoché unanime il coro di critiche delle istituzioni comunitarie e dei governi europei che parlano di “attacco politico all’Europa”. Perplessità e critiche anche da parte della Cina, mentre l’Osservatore Romano sottolinea il “sospetto tempismo” del giudizio di Standard & Poor's. Occhi puntati ora alle ripercussioni sui mercati, che potrebbero verificarsi domani alla riapertura delle borse. (M.G.)

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    Somalia: bloccata la distribuzione di cibo a più di un milione di persone

    ◊   Una delle poche agenzie umanitarie escluse dal divieto imposto dagli insorti di Al-Shabaab in Somalia, ha sospeso la distribuzione di cibo e sementi a un milione e 100mila persone del sud e del centro del Paese dopo che le autorità locali hanno ripetutamente bloccato le consegne. In una nota diffusa dal responsabile della delegazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa in Somalia (CICR), pervenuta all’Agenzia Fides, si informa che il blocco continuerà fino a quando le autorità che controllano l’area non garantiranno che la distribuzione avvenga senza ostacoli e raggiunga tutti quelli che ne hanno bisogno, come concordato. Gli aiuti destinati a 240 mila persone delle regioni di Middle Shabelle e Galgaduud sono bloccati da metà dicembre 2011. Tutte le altre attività umanitarie del CICR, incluse le cure per i bambini gravemente malnutriti, i progetti idrici e sanitari continuano, con l'accordo di tutte le parti interessate, nelle zone controllate dagli Al Shabaab e nelle altre parti del Paese. Circa 3 milioni di persone della Somalia meridionale e centrale hanno bisogno di assistenza a causa degli effetti combinati tra siccità e conflitti. Secondo l’ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, di questi, 250 mila vivono ancora in condizioni di carestia. Nella città di Buurgabo, 90km dal confine con il Kenya, nonostante le recenti piogge, continua l’emergenza e nessuna agenzia umanitaria ha ancora raggiunto l’area. (M.G.)

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    Kenya. La Chiesa si prepara a vivere la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani

    ◊   Dal 18 al 25 gennaio, la Chiesa universale si prepara a vivere la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, una celebrazione annuale che richiama il compito urgente del ristabilimento dell’unità tra tutti i seguaci del Signore e propone nelle liturgie giornaliere preghiere di pentimento, di invocazione della misericordia di Dio, di lode e rendimento di grazie. Il tema scelto per l’edizione 2012 è “Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore” (1 Cor 15, 51-58). Un tema fortemente sentito anche dalla Chiesa del Kenya: in un messaggio ai sacerdoti, ai religiosi e ai laici, firmato da mons. Peter Kairo, presidente della Commissione per l’ecumenismo della Conferenza episcopale keniota (Kec), si ricorda che “il Signore ci invita tutti, come singoli, come famiglie, come comunità cristiane e come diverse Chiese ad entrare in relazione con Lui, così da essere trasformati e godere dei frutti della vera unità che noi tutti desideriamo”. Per l’occasione, la Kec ha pubblicato in inglese e in kiswahili il sussidio preparato per la Settimana da un gruppo ecumenico di cristiani della Polonia; il Paese quest’anno ospiterà il campionato europeo di calcio e quindi i cristiani hanno incentrato il sussidio sui temi della “sconfitta” e della “vittoria”. Un pensiero speciale, poi, la Chiesa del Kenya e quella universale lo dedicano a mons. Eleuterio Fortino, morto nel 2010, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e a lungo membro della Commissione internazionale per la preparazione della Settimana. “Il Signore conceda alla sua anima l’eterna pace!”, scrive mons. Kairo. Quindi, tutte le Chiese ed i consigli parrocchiali del Kenya vengono invitati ad adattare il sussidio alle realtà locali e a dare vita ad iniziative ecumeniche. (I.P.)

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    Mauritius. Per il 2012, la Chiesa esorta alla pace e alla lotta alla corruzione

    ◊   Pace, gioia di vivere e lotta della corruzione nelle Mauritius: è quanto chiede all’inizio del 2012 mons. Maurice Piat, vescovo di Port-Louis. In una lunga intervista pubblicata sul sito diocesano, il presule traccia un bilancio dell’anno appena trascorso, ringraziando in particolare l’operato svolto da sacerdoti, religiosi e laici, e spiega le sue speranze per il futuro del Paese. “Desideriamo - dice mons. Piat – la pace nelle famiglie, nei posti di lavoro, nella nazione. Ma la pace non è un regalo che cade del cielo, bensì è sempre frutto del nostro impegno, della volontà di servire gratuitamente”, perché “i veri artigiani della pace sono coloro che hanno a cuore il bene comune e lavorano per il bene di tutti, senza distinzioni”. In questo senso, il presule chiede che tutti “si assumano le proprie responsabilità di fronte al bene comune, per esempio nella lotta contro l’Aids o nella riabilitazione dei tossicodipendenti”. Altro punto centrale ribadito dal vescovo di Port-Louis è quello dell’evangelizzazione dei giovani: “nel corso degli anni – dice infatti mons. Piat – circa l’80% dei ragazzi che fanno la prima Comunione e la Cresima abbandonano la pratica della fede. Questo dimostra che, malgrado tutti gli sforzi dei catechisti, dei sacerdoti e dei religiosi, c’è un grave deficit”, ossia la mancanza di collaborazione tra tutti gli operatori del settore, perché “per riuscire ad evangelizzare i giovani, è necessario che sacerdoti, catechisti, insegnanti e genitori lavorino insieme”. “Tale concertazione infatti – si legge ancora nell’intervista - non solo dona coerenza a ciò che i ragazzi ascoltano a scuola, in parrocchia o in famiglia, ma costruisce anche una comunità in cui i giovani potranno crescere nella fede”. Mons. Piat affronta poi il tema della salvaguardia del Creato, ribadendo l’importanza di condurre uno stile di vita ecologico, purché ciò non si riduca soltanto ad un qualcosa di “tecnico”, ma comprenda anche “una nuova pedagogia che possa tener conto dell’interdipendenza che abbiamo gli uni con gli altri e nei confronti dell’ambiente”. Per questo, il presule chiede ai fedeli di “raccogliere l’acqua piovana e di utilizzarla per il funzionamento dei servizi igienici”, di “coltivare un orto” e di pensare ad un progetto per “pannelli fotovoltaici”. Infine, alla domanda su cosa si auguri per la Chiesa e per il Paese, mons. Piat risponde: “più gioia di vivere e meno corruzione”. (A cura di Isabella Piro)

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    Hong Kong. La persona umana al centro dell’azione della Chiesa

    ◊   Rafforzare l’impegno pastorale della Chiesa verso i più poveri e verso la società. Sono queste le parole d’ordine per la Chiesa di Hong Kong, pronunciate da mons. John Tong, vescovo della diocesi, la cui nomina a cardinale è stata annunciata dal Papa nel giorno dell’Epifania. Secondo quanto riferisce il bollettino diocesano in versione cinese, ripreso dalla Fides, durante il recente seminario dei sacerdoti della diocesi di Hong Kong, mons. Tong ha esortato tutti a partire dai valori cattolici e dalla cultura cinese degli abitanti di Hong Kong per promuovere i giusti valori nella società. “Prendersi cura della vita di fede della società non è solo l’impegno dei leader della Chiesa, ma è un compito che spetta a tutti i cristiani”, ha detto il vescovo. Anche gli altri sacerdoti intervenuti al seminario hanno confermato che “i cristiani possono aiutare la società a stabilire i valori fondamentali per rispondere alle sfide della povertà e della divisione” secondo l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa. È soprattutto necessario che “la Chiesa aiuti la società a promuovere quei valori che mettono al centro la persona umana” ha sottolineato padre Renzo Milanese, del PIME, che ha auspicato “uno sviluppo che si concentri sulla persona umana”. (M.G.)

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    Filippine. Epidemia di leptospirosi a Mindanao dopo il passaggio del tifone Washi

    ◊   È allarme leptospirosi negli ospedali dell’isola filippina di Mindanao recentemente colpita dalla tempesta tropicale Washi. Secondo le autorità sanitarie locali, citate dalla Fides, la pandemia ha fatto registrare 314 contagi e 8 morti nelle città di Cagayan de Oro e Iligan. La tempesta Washi ha colpito circa un milione di persone, oltre 1.250 sono stati i morti e 100 sono ancora i dispersi. Inoltre 38 mila persone sono rifugiate in 54 centri di evacuazione dell’area. Circa l’80% dei casi di leptospirosi riportati sull’isola di Mindanao è stato registrato tra la popolazione maschile, con un’età media di 26 anni, impegnata a ripulire le case allagate e a trasportare oggetti pesanti, di conseguenza maggiormente esposta al contatto con le acque inquinate. Particolarmente vulnerabili sono gli abitanti che non hanno trovato riparo nei centri di evacuazione e che non possono essere sottoposti a cure mediche. Tuttavia i livelli della leptospirosi non sono ancora lontanamente vicini a quelli registrati durante il Tifone Ketsana nel 2009: allora furono più di 2 mila i contagi con 167 morti. Per l’Emerging Health Threats for the Philippine National Red Cross (PNRC), l’allarme rimane comunque alto. Il fango accumulato costituisce ancora una potenziale fonte di infezione: può contenere infatti batteri delle carcasse, delle feci o delle urine dei roditori rimasti sul terreno. Inoltre la pulizia di alcune aree sarà difficile fino a quando non verrà ripristinato il servizio idrico, gravemente danneggiato, nelle due città. Nel frattempo il dipartimento sanitario ha distribuito dei kit per la diagnosi rapida dei primi sintomi della malattia. (M.G.)

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    Universitari di Pechino: il 3,9% si dichiara cristiano e il 17,6% è interessato al cristianesimo

    ◊   Il 3,9% degli universitari di Pechino si dichiara cristiano, il 17,6% dice di essere interessato al cristianesimo. Inoltre – riferisce l’Agenzia Fides - tra coloro che non hanno ancora trovato una risposta soddisfacente al senso di vita, la maggior parte è convinta di poterla trovare nel cristianesimo. Queste alcune statistiche, riportate da Faith, contenute nella tesi intitolata “Chinese Traditional Culture Study Fever, Scarcity of Meaning and the Trend of University Students’ Attitude toward Religions” del prof. Sun Shangyang, della facoltà di filosofia e religione della Beijing University, e di Li Ding, insegnante della The People University di Pechino. La tesi è stata pubblicata sull’ “International Journal of Sino-Western Studies” del dicembre 2011, rivista accademica semestrale pubblicata in Finlandia in lingua cinese e inglese. Secondo il sondaggio compiuto tra i 629.561 studenti universitari di 55 università o istituti universitari che si trovano nella capitale cinese (tra di loro circa 2.000 frequentano 13 università di primo piano della Cina continentale), il 3,9% degli studenti si dichiara cristiano, il 7% buddista, il 4% confuciano, il 2,7% taoista, il 2,1% musulmano. Il 4,5% degli intervistati non pensa mai o poco al senso della vita; oltre il 95% invece riflette spesso sul senso della vita. Il 42,4% ritiene di aver trovato la risposta giusta alle domande fondamentali, il 31,1% ancora no, il 26,5% si trova nello stato di ricerca e di perplessità. Oltre il 78% dice di essere interessato alla religione e il 17,6% dichiara di essere interessato al cristianesimo. La maggior parte di quanti non hanno ancora trovato la risposta soddisfacente al senso di vita, il 31,1% degli intervistati, pensa di poterla trovare nel cristianesimo. Inoltre gli universitari hanno osservato che in Cina ci sono tantissime religioni, ma solo la Sacra Scrittura spiega “l’uomo da dove viene”; “dove va”; “perché vive”; “qual è il vero senso e il valore della vita”, che sono le quattro domande principali su cui gli universitari si interrogano.

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    Conclusa in Thailandia la tre giorni sul dialogo interreligioso

    ◊   Si è conclusa venerdì scorso a Bangkok la tre giorni intitolata “Dialogo fra culture asiatiche” che ha riunito 50 esperti e studiosi di cultura e religioni dell’Asia sui temi del buddismo, del cristianesimo, del confucianesimo, dell’induismo, dell’islam, del jainismo, del taoismo e delle tradizioni delle minoranze etniche del continente. L’appuntamento, fortemente voluto dall’arcivescovo indiano Thomas Menamparampil, capo del dipartimento per la pace e l’armonia in seno alla Federazione delle Conferenze dei vescovi asiatici (Fabc), si è tenuto presso l’Università cattolica dell’Assunta; vi ha partecipato anche una ventina di studenti. “E' la prima iniziativa di questo tipo e intende ricercare visioni e ispirazioni dalla cultura e dalla tradizione rappresentata da ciascuno studioso”, spiega ad AsiaNews il presule che racconta anche come all’inizio sia stato difficile comunicare alla gente il progetto, ma “una volta chiarita l’idea moltissimi l’hanno sostenuta con entusiasmo”. Secondo il vescovo, infatti, con la globalizzazione “vi sono possibilità infinite di dialogo fra culture, civiltà e fede, occasioni per ascoltare le idee di ciascuno e imparare dai punti di vista altrui”. Gli studiosi intervenuti, provenienti da 10 nazioni dell’Asia e qualcuno anche dai Paesi occidentali, hanno affrontato temi quali la violenza, la crisi economica, la corruzione, i conflitti tra culture, i danni all’ambiente, la distruzione di culture e valori e come raggiungere il buongoverno nei diversi Paesi. Il presule è fiducioso sul fatto che gli scambi culturali possano “fornire un prezioso contributo”, ma, avverte, “va studiata la causa profonda delle tensioni e dei motivi d’insoddisfazione”. In qualità di capo del dipartimento per la pace e l’armonia della Fabc, mons. Menamparampil ha ammesso che si è realizzato il suo sogno, anche in vista della 10.ma assemblea plenaria della Fabc che si terrà a Ho Chi Minh City, in Vietnam, dal 19 al 23 novembre 2012 per celebrare il 40.mo anniversario della nascita dell’associazione, firmata da Paolo VI il 16 novembre 1972, e dal titolo “I 40 anni della Fabc: per rispondere alle sfide dell’Asia”. (R.B.)

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    Yemen, rapito dipendente norvegese dell’Onu a Sanaa

    ◊   Un gruppo tribale ha rapito un dipendente norvegese delle Nazioni Unite nella capitale yemenita Sanaa. Una fonte dei rapitori ha riferito che l'uomo è stato trasferito nella provincia di Marib. Chiesto al governo il rilascio di un membro del gruppo tribale attualmente in carcere. Negli ultimi 15 anni sono stati più di 200 gli stranieri sequestrati in Yemen, quasi tutti poi rilasciati. E sul terreno continuano a imperversare anche gruppi armati vicini ad Al Qaida. Alcune decine di terroristi ieri sera hanno conquistato la piccola città di Radda, a circa 170 chilometri a sudest di Sanaa. Le milizie di Al Qaida si sono impadronite di diversi centri abitati da quando sono cominciate le rivolte contro il presidente Ali Abdullah Saleh, lo scorso anno. (M.G.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 15

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