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Sommario del 10/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il discorso del Papa al Corpo Diplomatico. I commenti del vescovo di Tunisi e del sociologo Introvigne
  • Il cardinale Ravasi su Twitter: i miei messaggi sono per tutti. Omelie e catechesi nel linguaggio della rete
  • Visita apostolica agli istituti religiosi femminili Usa. La precisazione di padre Lombardi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Assad annuncia aperture democratiche, parla di complotto internazionale e attacca la Lega Araba
  • Nuovi episodi di intolleranza anticristiana in India
  • Sciopero generale in Nigeria: almeno 5 morti
  • Usa: primarie in New Hampshire, favorito Mitt Romney
  • Corea del Nord: il leader Kim Jon-un annuncia un'amnistia
  • Appello del patriarca Twal: ogni diocesi aiuti una famiglia della Terra Santa ad avere una casa
  • Migranti e nuova evangelizzazione. L'impegno della Chiesa italiana per la 98.ma Giornata mondiale
  • India: ancora dispersi 40 bambini disabili dopo il passaggio del ciclone Thane
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Nuovi risvolti nelle Filippine sull’omicidio di padre Tentorio
  • Norvegia: incontro del Consiglio europeo di “Religioni per la pace” sulla Primavera araba
  • Nigeria: per i vescovi l'abolizione del sussidio sulla benzina "colpisce i poveri”
  • Colombia: le Farc chiedono il dialogo con il governo
  • Il presidente di Cor Unum, il cardinale Sarah, in visita in Perù
  • Venezuela: mons. Diego Padrón eletto nuovo presidente dei vescovi
  • Manila: quasi nove milioni di cattolici filippini alla processione del Nazareno
  • Usa: 21-22 gennaio la tradizionale colletta annuale per la Chiesa in America Latina
  • Terra Santa: dopo 44 anni la festa del battesimo di Cristo celebrata nel sito dove sarebbe avvenuto
  • Zambia: il sostegno di Aiuto alla Chiesa che soffre alla popolazione
  • Ungheria: il governo promulga la nuova legge sulle Chiese
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il discorso del Papa al Corpo Diplomatico. I commenti del vescovo di Tunisi e del sociologo Introvigne

    ◊   “La crisi può e deve essere uno sprone a riflettere sull’esistenza umana e sull’importanza della sua dimensione etica”: è uno dei passaggi forti del discorso che il Papa ha rivolto ieri al Corpo Diplomatico. Al centro dell’intervento, che ha avuto ampia eco a livello internazionale, è il rispetto della persona anche con riferimento ai fermenti della “Primavera araba”. Al riguardo, Alessandro Gisotti ha intervistato il vescovo di Tunisi, mons. Maroun Elias Lahham:

    R. - La Tunisia è stato il primo Paese a iniziare la “Primavera araba” fondata appunto sulla dignità della persona umana, sul diritto al lavoro, alla libertà di espressione, alla libertà di coscienza... Penso, dunque, che il messaggio del Papa valga anche per noi, anche per la Tunisia, anche per la Chiesa. In Tunisia questo è importantissimo!

    D. - E' su questo punto del rispetto della dignità della persona, che si può rafforzare il dialogo tra cristiani e musulmani?

    R. - Certo. Perché questi sono i punti comuni in Tunisia, un Paese musulmano che ha fatto la rivoluzione per salvaguardare i diritti della persona umana. Il messaggio del Santo Padre va in questo senso. Questo è un terreno fecondissimo per un futuro dialogo…

    D. - Il Papa ha anche messo l’accento sulla crisi economica e ci ha ricordato che non solo i Paesi sviluppati soffrono, anzi, molto di più soffrono i Paesi in difficoltà, in via di sviluppo…

    R. – Certo! Adesso, con la globalizzazione, nessuno soffre da solo. Per la Tunisia questa sarà ancora un’altra sfida. La Tunisia ha sempre contato sull’aiuto dell’Europa e dell’Occidente per rilanciare la sua economia. Adesso che l’Europa soffre, sarà una sfida doppia, perché se l’economia non va e non c’è un minimo di benessere umano, la persona umana soffre anche nei suoi aspetti più normali.

    D. - Il discorso del Papa ha affrontato tanti problemi, tante ombre... il Pontefice ha anche detto che non bisogna scoraggiarsi...

    R. - Io sono d’accordissimo con il Santo Padre perché la storia va sempre verso il meglio, perché Dio è il Signore della storia, e dunque le difficoltà sono sempre difficoltà, però non bisogna mai scoraggiarsi. L’umanità deve avanzare. (bi)

    Un altro tema sottolineato nel discorso al Corpo Diplomatico è stato il rispetto della libertà religiosa definito dal Papa “il primo dei diritti umani”. Un’affermazione su cui si sofferma il sociologo Massimo Introvigne e già rappresentante dell'Osce per la lotta contro le discriminazioni anticristiane. L’intervista è di Fabio Colagrande:

    R. - Penso che l’affermazione del Papa ne contenga tre: la prima è che si continuano ad uccidere i cristiani. Le cifre, che nel corso del mio mandato all’Osce ho spesso ricordato, sono quelle di un vero e proprio genocidio: 105 mila morti all’anno, uno ogni cinque minuti. Il secondo fenomeno di cui il Papa ci parla, è quello della pulizia religiosa, che assomiglia molto alla pulizia etnica, attraverso costellazioni di attentati terroristici, che certamente non riescono ad eliminare le comunità in un Paese, ma le spaventano a tal punto da indurre la maggioranza dei cristiani a emigrare, a fuggire. Il terzo fenomeno è l’emarginazione dei cristiani dalla vita politica attraverso una serie di strumenti che comprendono anche la diffamazione e la ridicolizzazione, e questo si verifica anche in Occidente. Qui naturalmente, il Papa ricollega la parte così importante sulla libertà religiosa del suo discorso, ad altre parti che riguardano la famiglia, la libertà di educazione e la vita.

    D. - È importante, secondo Lei, che Benedetto XVI ne abbia parlato proprio con gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede?

    R. - È molto importante. Devo dire che nel mio anno di mandato all’Osce che si è concluso, ho visto come questo sia utilissimo, e come la diplomazia della Santa Sede svolga un ruolo fondamentale.

    D. - Il Papa ha aggiunto che la libertà religiosa, il primo dei diritti umani, ha una triplice dimensione: individuale, collettiva e istituzionale…

    R. - Credo che questo sia molto importante. Una sottolineatura che vale sia per alcuni Paesi in via di sviluppo, dove si fanno solenni affermazioni quanto alla libertà religiosa dove la si intende semplicemente come un diritto individuale: ognuno è libero di credere quello che vuole, ma poi se la Chiesa, per esempio, intende manifestarsi pubblicamente, attraverso la pubblicazione di giornali o aprendo scuole, in quel caso allora la libertà religiosa non c’è più. Ma questo naturalmente vale anche per il nostro Occidente dove circolano teorie giuridiche piuttosto pericolose che riducono la libertà religiosa alla mera libertà di coscienza. Affinché ci sia piena libertà religiosa, è necessario anche che sia riconosciuto alla Chiesa il diritto di aprire istituzioni, comprese le scuole. E bisogna anche che vi siano dei riconoscimenti istituzionali, soprattutto nei Paesi di antica tradizione cristiana, dell’importanza del ruolo che da secoli, da millenni, la Chiesa svolge. (bi)

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    Il cardinale Ravasi su Twitter: i miei messaggi sono per tutti. Omelie e catechesi nel linguaggio della rete

    ◊   Novità in rete: il cardinale Gianfranco Ravasi è su Twitter, il social network più noto al mondo insieme a Facebook. L’iniziativa del noto teologo, di postare on line brevi messaggi per sollecitare la riflessione, ha sollevato curiosità ed interrogativi. Roberta Gisotti ha intervistato il porporato, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura:

    D. – Eminenza, che cosa l’ha spinta ad entrare in questo ambito di comunicazione - possiamo dire - sincopata?

    R. – Sono sostanzialmente due le ragioni. La prima è culturale, perché riguarda un fenomeno – come questo del linguaggio – che ormai costituisce una sorta di rete che si estende su tutto il nostro globo. E’ una rete che ha in sé non soltanto dei valori di comunicazione immediata, ma ha anche una nuova concezione dell’incontro tra le persone, anzi, per certi aspetti, anche una nuova visione della persona. Si tratta, quindi, di un fenomeno culturale globale. La seconda ragione è che nell’interno dell’orizzonte in cui siamo immersi, che è quello della nuova comunicazione e dei nuovi media, è fondamentale la dimensione religiosa, la dimensione della spiritualità, la dimensione anche di tutto ciò che, in qualche modo, è trascendente rispetto al quotidiano. Ci sono in rete tante domande - alcune volte anche sguaiate, dobbiamo dire - che riguardano proprio il fenomeno religioso. Ci sono queste due parole fondamentali: da una parte, quindi, la cultura e, dall’altra parte, la religione, che entrambe si confrontano con questa nuova atmosfera.

    D. – Qualcuno ha definito omelie i suoi twitt, ma forse questo termine è improprio...

    R. – Il termine, per me, è chiaramente improprio, perché i miei twitt sono fondamentalmente legati ad una citazione presa dalla Bibbia, presa dalla cultura contemporanea, che offre una sorta di riflessione essenziale, che può essere anche – tra virgolette – laica: adatta a tutti e non soltanto ai credenti. La “Twitteromelia” è un termine che, in pratica, viene coniato in correlazione ad una esperienza che hanno fatto alcuni presuli, in particolare il vescovo francese di Soissons, mons. Hervé Giraud, il quale ha introdotto queste brevissime omelie, quindi sono applicazioni di tipo morale, di tipo spirituale, di tipo religioso, espresse in 140 caratteri. Dal punto di vista formale sono molto significative, perché hanno una capacità di incidenza diretta, immediata con un concetto solo, il quale risulta il più possibile folgorante, il più possibile incisivo.

    D. – Eminenza, non teme una lettura superficiale dei suoi twitt?

    R. – E’ fuor di dubbio che noi siamo sempre di fronte a due estremi, che ininterrottamente – tra di loro – si confrontano. Da una parte abbiamo una cultura che è mossa quasi da una frenesia nella comunicazione, che ha bisogno di una essenzialità assoluta, che continuamente ricerca l’immediatezza, la chiarezza, una chiarezza che riduce tutte le cose all’essenziale. Tanto è vero che si usa parlare ormai della “morte della subordinata”, del ragionamento sillogistico, che procede di grado in grado; l’argomentazione, la discussione viene ormai cancellata da queste che sono soltanto delle coordinate, delle frasi cioè - che sono quasi da epigrafe – essenziali. Abbiamo poi un altro estremo che è quello del discorso non soltanto religioso, ma anche culturale che ha bisogno dell’approfondimento, quindi ha bisogno dello scavo ed anche di una ricchezza di argomentazioni e documentazione. Ebbene, io ritengo che sia assolutamente necessario che entrambi i fronti vengano considerati: il fatto che io do un messaggio essenziale non esclude, per esempio, che io scriva poi su “L’Osservatore Romano” oppure su l’“Avvenire” oppure sul supplemento culturale de “Il Sole 24 Ore” degli articoli molto complessi, sistematici attorno ad un determinato tema o recensioni che affrontano saggi che sono tutti pieni di subordinate e quindi di ragionamenti e non soltanto di affermazioni. Dobbiamo sempre ricordare che, soprattutto per quanto riguarda il campo religioso, non è sufficiente la comunicazione essenziale, folgorante… E non è, però, neppure tutto da ridurre all’omelia tradizionale, alla comunicazione catechetica molto articolata o alla riflessione teologica. Entrambi i percorsi sono necessari.

    D. – Nel caso di Twitter non c’è il rischio di lasciare disattesi gli interrogativi o di far cadere le riflessioni contenute nei commenti ai suoi twitt?

    R. – In questo caso ci sono più elementi a cui bisogna badare. Da una parte bisogna inesorabilmente anche – prima o poi – entrare in una sorta di dialogo. E’ vero che nelle relazioni – io credo oggi di avere attorno ai 7.500 followers che seguono il mio twitter - molti chiedono esplicitamente che io abbia a rispondere ad alcune loro provocazioni, che alcune volte sono anche molto polemiche. Finora io non ho ancora fatto questo percorso, perché richiederebbe anche un investimento di tempo e di energie del tutto particolare. C’è, però, un altro aspetto che io considero e che è la mia presenza nei blog: ho un blog collegato a “Famiglia Cristiana”, uno collegato a “Il Sole 24 Ore”, sui quali pongo – in maniera abbastanza sistematica – dei veri e propri articoli o comunque degli interventi che rispondono a provocazioni oppure a domande che ho ricevuto. Direi quindi: distinguiamo almeno questi due generi. Da ultimo riterrei che non bisogna far morire tutti gli altri modi di comunicazione, che io pure seguo e che devono essere seguiti da coloro che vogliono annunciare in una maniera più compiuta. Io continuo, per esempio, a tenere un programma televisivo, dove l’argomentazione è molto più ampia, perché ho a disposizione 19 minuti e dove la presentazione dei temi può fiorire, può sbocciare secondo dimensioni diverse. Penso che bisogna muoversi con una articolazione molto varia, con delle iridescenze e con dei colori che sono diversi, proprio perché ora noi viviamo in una atmosfera che ha questa molteplicità e che non è più affidata soltanto a un tono monocorde, che era quello – per esempio una volta – della carta stampata oppure solo della televisione. Internet ha introdotto una variabilità dalla quale non possiamo prescindere, perché – come dicono gli studiosi del linguaggio – ormai questa è una vera e propria atmosfera ed anche chi vuole sottrarsi ne è alla fine avvolto, coinvolto e qualche volta travolto.

    D. – Quindi un primo bilancio positivo di questa sua iniziativa?

    R. – Sì, credo che possa essere giudicato positivo. Naturalmente quando si fanno gli esperimenti per la prima volta, questi hanno sempre dentro delle fragilità, dei limiti… Quindi c’è un periodo di rodaggio che io sto facendo. Devo dire che il fatto che ogni giorno crescano non soltanto coloro che seguono questi messaggi essenziali che io do, ma anche che ci sia il desiderio di avere una risposta, di fare delle domande ed il fatto che ci siano anche coloro che retwittano, che trasmettano cioè a loro volta ad altri - nel loro sito o twitter - il messaggio che ho dato, è un elemento positivo, tenendo conto che lo stesso San Paolo diceva: “E’ opportuno intervenire in tutti i contesti e scegliere tutto ciò che c’è di buono nelle realtà”. Ci sono anche molti elementi negativi in questa comunicazione, ne vedo anch’io nelle reazioni che creano queste dichiarazioni molto essenziali che io faccio… Però c’è anche questo profondo desiderio di interrogazione sul senso ultimo della realtà: andare un po’ al di là delle cose penultime e cioè le cose concrete e materiali che di solito in rete si trasmettono e si cercano; qualche volta queste cose penultime sono pesanti, perché sono magari negative in maniera esplicita: pensiamo alla pornografia e a tutte le forme di violenza che ci sono in rete. Dall’altra parte, però, si vede invece come fioriscano le realtà ultime, come fioriscano le domande fondamentali: quindi vita, morte, oltrevita, bene, male, giustizia, verità, amore, dolore, male in senso generale. (mg)

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    Visita apostolica agli istituti religiosi femminili Usa. La precisazione di padre Lombardi

    ◊   È ormai in dirittura finale la visita apostolica avviata il 22 dicembre 2008 dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica per studiare la situazione degli istituti religiosi femminili degli Stati Uniti. La visita è stata condotta sotto la direzione di Madre Mary Clare Millea, superiora generale delle Apostole del Sacro Cuore di Gesù, nominata visitatore apostolico dall’allora Prefetto del dicastero il cardinale Franc Rodé. Lo scopo dell'iniziativa era in particolare di osservare la qualità della vita dei membri di questi istituti religiosi. Madre Millea ha recentemente presentato al Segretario della congregazione vaticana, mons. Joseph Tobin, un rapporto generale sui dati e le osservazioni raccolte in quasi due anni di indagini e incontri che serviranno alla stesura delle conclusioni sulla visita. Insieme al rapporto generale sono stati consegnati anche i primi rapporti individuali per ognuno dei 400 istituti religiosi oggetto dello studio. I rimanenti dovrebbero arrivare entro la prossima primavera. La visita – spiega un comunicato dell’Ufficio guidato da Madre Millea - si è articolata in quattro fasi: nelle prime tre sono stati avviati contatti con le Superiore generali degli istituti interessati, è stato inviato un questionario generale a tutte le Superiore maggiori degli Stati Uniti e alcune delegazioni di religiose hanno effettuato visite in loco in circa un quarto degli istituti in esame. La quarta fase è stata quindi dedicata alla raccolta dei dati e alla stesura del rapporto che ha richiesto circa un anno di lavoro. Il contenuto del rapporto è riservato, ma Madre Millea ha comunque espresso soddisfazione per i risultati emersi dalla ricerca: “La visita apostolica ha destato un diffuso interesse e questa attenzione ha suscitato un rinnovato apprezzamento per il ruolo delle religiose nella Chiesa e nella società e ha accresciuto il dialogo e la conoscenza reciproca tra le diverse comunità negli Stati Uniti”, ha detto la Superiora. "Come religiosa, sono pienamente consapevole della nostra storia e del ruolo vitale da noi svolto nella Chiesa negli Stati Uniti”, ha aggiunto. “Vedo gioie e difficoltà quotidiane anche nella mia comunità. Ma avere potuto verificare di persona la perseverante vocazione delle religiose negli Stati Uniti, nei loro ministeri e nella loro fede e vedere i frutti del loro servizio è stato incoraggiante. Anche se ci sono problemi nella vita religiosa che richiedono attenzione, resta immutata una realtà di fedeltà, gioia e speranza”, ha concluso Madre Millea. Secondo quanto stabilito dal decreto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, la visita apostolica si è limitata agli istituti apostolici, quelli impegnati attivamente nel servizio alla Chiesa e alla società. Non sono state invece coinvolte le religiose contemplative. "La Congregazione per gli istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica - ha precisato il direttore della Sala stampa vaticana padre Federico Lombardi - sta studiando la relazione e quindi in questo momento è prematuro attendere dei commenti dalla Congregazione stessa. Ma dopo un opportuno approfondimento - ha detto padre Lombardi - ci si può attendere che la Congregazione faccia conoscere una sua valutazione sui risultati della visita". (A cura di Lisa Zengarini)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All’Europa manca la Fed: in prima pagina, Luca M. Possati su una nuova strategia per la Banca centrale statunitense.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, Haiti e il terremoto lungo due anni: mezzo milione di persone nelle tendopoli.

    I primi cento giorni: in cultura, il direttore a colloquio con padre Antonio Spadaro, dal primo ottobre alla guida de “La Civiltà Cattolica”.

    Musei vaticani sold out: Antonio Paolucci sul prestigioso traguardo, nel 2011, dei cinque milioni di visitatori, e Raffaella Vincenti sulla Sala di consultazione digitale della Biblioteca apostolica vaticana.

    Se il vescovo cinguetta: Silvia Guidi su twitter e le omelie, da Alcuino ai giorni nostri.

    I sette cervi d’argento di Papa Silvestro: Fabrizio Bisconti sull’iconografia del Battesimo di Gesù.

    Lo specchio dei media sulla famiglia: nell’informazione religiosa, anticipazione dell’intervento del vescovo Enrico dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, al convegno “Quale famiglia per quale società”.

    Nell’informazione vaticana, le intenzioni dell’Apostolato della Preghiera affidate da Benedetto XVI per il 2013, con un’intervista di Nicola Gori al gesuita Claudio Barriga Dominguez, direttore delegato dell’Apostolato della preghiera.

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    Oggi in Primo Piano



    Assad annuncia aperture democratiche, parla di complotto internazionale e attacca la Lega Araba

    ◊   Il presidente siriano Assad è apparso stamattina in tv per pronunciare un attesissimo discorso alla nazione. Negando il ricorso alla violenza, ha parlato di un complotto internazionale. Annunciate, inoltre, le elezioni tra marzo e giugno, mentre il referendum sulla Costituzione dovrebbe tenersi a marzo. Ce ne parla Salvatore Sabatino:

    Una difesa a spada tratta del proprio operato, puntando sulle riforme necessarie da adottare per modernizzare il Paese. Assad, in tv, è apparso perentorio nel suo atto di accusa contro il complotto in atto da parte di non meglio precisate potenze straniere, convinto che il lavoro da svolgere riguardi due fronti: la riforma politica e la lotta al terrorismo, senza dimenticare che i problemi del Paese vanno affrontati dall’interno. Poi un attacco diretto alla Lega Araba; "Non è mai stata con noi – ha affermato – e ha permesso la diffusione di notizie false sulle tv satellitari contro di noi". L’organismo panarabo è stato definito “ipocrita ed incapace di diffondere la democrazia”. Il presidente, poi, ha smentito di aver dato l’ordine di aprire il fuoco contro i manifestanti, mentre ha invitato i siriani a resistere, perché “la vittoria è vicina”. Infine due annunci importanti: il primo sull’allargamento del governo a nuove forze politiche, la seconda che riguarda la “nuova Costituzione, che garantirà ampie libertà nel Paese”.

    Il presidente siriano Assad ha attaccato aspramente la Lega Araba, accusata di ipocrisia e di incapacità di operato sul fronte della diffusione della democrazia. Quanto questa spaccatura potrà influire sugli equilibri tra Damasco ed il mondo arabo? Salvatore Sabatino lo ha chiesto ad Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi islamici dell’Università della Calabria:

    R. – La spaccatura è già avvenuta: direi, ancor più in generale, che è il mondo arabo stesso che denuncia in modo così esplicito ormai una impotenza molto forte, da tutti i punti di vista. Il panarabismo, che era stato vagheggiato nel secolo scorso, è tramontato con la fine dei nazionalismi socialistezzanti alla Nasser; ma oggi tramonta anche quel po’ di arabismo che poteva rimanere. La regione è ormai totalmente in preda a influenze di carattere esterno: sono la Turchia e l’Iran, casomai i Paesi non arabi, che vantano in un certo senso un primato nella regione e che vogliono mantenerlo per motivi diversi e naturalmente con intenzioni opposte, togliendo praticamente agli arabi la possibilità di rappresentare un’alternativa credibile.

    D. – Assad appare sempre più isolato anche sul fronte interno: l’allargamento del governo a nuove forze politiche, così come annunciato dallo stesso presidente questa mattina, può aiutarlo a mantenere ancora il potere?

    R. – Credo che quelli che sta facendo il presidente siriano siano tentativi un po’ disperati, per cercare di recuperare un po’ di autorevolezza e credibilità. Non mi sembra di poter dire che possano avere un qualche effetto decisivo da questo punto di vista. La credibilità di Assad è tenuta in piedi da una schiera di sostenitori, da alcuni posizionamenti internazionali che influiscono su alcuni elementi della popolazione siriana, che è molto composita anche dal punto di vista etnico e religioso e che talvolta si schiera pro o contro il governo per motivi che non hanno nulla a che vedere con le politiche intrinseche dell’esecutivo stesso. La situazione, a me, sembra sia ormai irrecuperabile per il governo e che si tratti soltanto di rimandare una caduta che prima o poi dovrà necessariamente avvenire: ma non sappiamo in che modo e soprattutto se questo modo sarà indolore.

    D. – La repressione che in questi dieci mesi ha provocato migliaia di morti non verrà certo dimenticata dalla popolazione siriana: le aperture annunciate verso una democratizzazione del Paese saranno possibili in un clima del genere?

    R. – Nell’82 ci fu già un massacro in Siria e al quale, qui in Occidente, si è dato – tutto sommato - poco spazio. La città di Hama, che si era ribellata al governo all’epoca, fu di fatto rasa al suolo: le stime più pessimistiche parlarono di 38 mila morti in quel caso e in pochissimo tempo. Diciamo che in un certo senso il popolo siriano ha già "digerito" questo tipo di ferite: Assad nel suo discorso ha parlato di una cicatrice sul cuore quello che sta succedendo nel suo Paese, ma credo che agli occhi del popolo questa cicatrice non sia particolarmente significativa, perché suo padre aveva condotto questa brutale repressione e tutto questo è rimasto ben vivo nella coscienza dei siriani, che quindi accumulano – se vogliamo – un senso di frustrazione su una frustrazione che era avvenuta poi non moltissimi anni fa. (mg)

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    Nuovi episodi di intolleranza anticristiana in India

    ◊   In India si segnalano nuovi episodi che fanno temere in una ripresa dell’intolleranza nei confronti dei cristiani. Nello Stato dell’Orissa due leader sono stati arrestati con accuse che la comunità cristiana definisce “false e intimidatorie”. Si parla di collaborazione con la guerriglia e di conversioni fraudolente. C’è il timore che si torni ad una situazione di tensione che provocò i massacri anticristiani del 2008 nel distretto di Kandhamal. Sul clima in cui vivono i cristiani in India, Giancarlo La Vella ha intervistato padre Carlo Torriani, missionario del Pime nel Paese asiatico:

    R. – E’ l’atmosfera che c’è in India da circa una decina d’anni, creata da un’organizzazione, il cui nome si può tradurre in “volontari per la difesa della cultura nazionale”. Dopo l’indipendenza si sono scagliati contro i musulmani e dopo sembra che abbiano detto: rivolgiamoci ai cristiani. Hanno cominciato a propagandare leggi contro le conversioni fraudolente. Si insinuano soprattutto nelle zone tribali, perché reagiscono male al fatto che chi si converte al Cristianesimo ha anche accesso alla scuola e questo apre gli occhi ai fuori-casta e ai tribali, che non si lasciano più sottomettere.

    D. – C’è il timore che possano riesplodere episodi di estrema violenza come i massacri anticristiani avvenuti nel 2008?

    R. – La possibilità c’è, specialmente in queste zone tribali in cui c’è poco la presenza dello Stato. Tuttavia nel governo centrale dell’India c’è consapevolezza di queste cose e c’è in piedi la proposta di varare una legge contro la violenza interreligiosa: la normativa consisterebbe nel riconoscere come un crimine l’azione di chi organizza e favorisce la discordia tra le comunità religiose e incita alla violenza promuovendo principi anche attraverso la propria stampa. (bi)

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    Sciopero generale in Nigeria: almeno 5 morti

    ◊   Dopo gli attacchi ai cristiani iniziati nel giorno di Natale, in Nigeria si contano ancora morti ma si tratta di 5 vittime di scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Ieri è stato il primo giorno di uno sciopero generale contro il rincaro della benzina. I manifestanti sono scesi nelle strade a migliaia, dalla capitale economica Lagos alla capitale amministrativa Abuja, alla megalopoli del nord Kano. Proprio a Kano, un manifestante è rimasto ucciso dagli spari della polizia e un bambino di 9 anni è morto calpestato dalla folla. A Lagos, nel sud, sono morti tre giovani. Il prezzo della benzina è raddoppiato perché sono stati cancellati i sovvenzionamenti statali. I tagli rientrano in una nuova politica economica avviata nel Paese più popoloso dell’Africa. Fausta Speranza ne ha parlato con l’africanista Aldo Pigoli, docente all’Università cattolica di Milano:

    R. – Questo rincaro è fondamentalmente dovuto all’adozione di una politica economica interna volta ad una razionalizzazione generale. In particolar modo, è dovuto al taglio dei costi, tra cui appunto quelli relativi al mantenimento di sussidi – come quello per i prodotti e i carburanti – che ha sempre caratterizzato la politica economica del Paese, così come per altri Paesi produttori ed esportatori di petrolio e gas naturale. L’analisi della situazione economica nigeriana mostra come il mantenimento dei sussidi sia diventato sempre più insostenibile per quanto riguarda il bilancio dello Stato. Il presidente, Jonathan Goodluck, è impegnato da diverso tempo nella razionalizzazione della gestione economica del Paese. Egli da un lato tenta di svincolarsi dal solo settore petrolifero e degli idrocarburi – e quindi di rilanciare un po’ l’economia del Paese in generale, soprattutto dal lato della produzione e della diversificazione delle attività produttive - mentre dall’altro lato deve far sì che il bilancio dello Stato sia in grado di sviluppare una serie di progetti di natura socio-economica. Progetti che riguardano, ad esempio, l’investimento sull’educazione e sul settore sanitario, per permettere quindi a lungo termine un miglioramento degli standard di vita e delle condizioni economico-sociali della gran parte della popolazione nigeriana, che vive al di sotto della soglia di povertà.

    D. – Il punto però è che i tagli ai sussidi colpiscono ora una popolazione la cui maggioranza vive con meno di due dollari al giorno…

    R. – Certo, certo. La Nigeria è la seconda potenza economica africana e le proiezioni la danno come prima potenza economica africana – andando quindi a superare addirittura il Sud Africa – entro il 2020. Questo, però, non vuol dire che i nigeriani stiano bene: gran parte dei circa 150 milioni di essi vive in una situazione sia di povertà diffusa o estrema, sia di scarso accesso ai servizi basilari, quali appunto l’educazione, i servizi socio-sanitari, l’acqua potabile e così via.

    D. – In tutto questo, ci sono stati i massacri di Natale contro i cristiani e vari attacchi nei giorni seguenti. Il presidente Jonathan ha accusato elementi interni all’apparato statale di appoggiare e coprire gli integralisti islamici del gruppo Boko Haram che purtroppo abbiamo imparato a conoscere dopo il massacro di Natale. Che cosa si può dire riguardo questa tensione sociale, dove si mischiano etnie, religioni, ma soprattutto questioni economiche…

    R. – Qualsiasi rivendicazione di natura religiosa ed etnica nasconde un po’ in tutta l’Africa subsahariana dinamiche di natura politico-economica legate alle risorse. Anche se si deve tener presente che la gran parte della ricchezza petrolifera della Nigeria dipende dalle regioni meridionali, soprattutto dalla famosa regione del Delta del Niger, mentre gli attacchi ci sono stati al Nord.

    D. – Abbiamo la preoccupazione del presidente Jonathan, il quale ha espressamente affermato che la situazione è anche più grave rispetto a quella degli anni Sessanta, quando c’è stata la guerra civile. Dobbiamo veramente pensare ad un rischio-destabilizzazione di un Paese così grande e popoloso in Africa, qual è appunto la Nigeria?

    R. – Il problema di un’implosione della Nigeria c’è e c’è stato anche in altri periodi. Pensiamo solo allo sciopero che stiamo vivendo adesso: si era verificato già nel 2003 ed è stato molto forte, tanto da riuscire a bloccare il Paese. C’è stato il problema – ancora persistente – del Delta del Niger e del movimento del Mend, c’è stata la guerra degli anni Sessanta, quella separatista di fine anni ’60 ed inizi ’70. Questo è un Paese molto importante per gli equilibri dell’Africa subsahariana e per lo sviluppo futuro del continente. E’ un Paese molto importante anche per alcuni attori internazionali, in primis gli Stati Uniti. Dire dunque che la Nigeria possa implodere dall’oggi al domani, credo sia abbastanza prematuro ed anche un po’ forzato. Sicuramente, però, la situazione in Nigeria va tenuta in considerazione e sotto controllo. (vv)

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    Usa: primarie in New Hampshire, favorito Mitt Romney

    ◊   Dopo i “caucus” in Iowa, è oggi la volta del New Hampshire, prima tappa delle primarie repubblicane da cui emergerà lo sfidante di Barack Obama alle presidenziali del 6 novembre. Secondo i sondaggi della vigilia, grande favorito di questa tornata è l'ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, mentre è in ascesa l'ex governatore dello Utah, Jon Huntsman. Se Romney dovesse aggiudicarsi il New Hampshire, metterebbe un’ipoteca sulla nomination. Ne è convinto l’americanista Bruno Cartosio dell’Università di Bergamo, intervistato da Alessandro Gisotti:

    R. - Se Romney vincesse in New Hampshire sarebbe una ipoteca abbastanza consistente sulla nomination, perché i due appuntamenti successivi, South Carolina e Florida, si presentano in modo diverso. E’ più probabile una vittoria in Florida che in South Carolina, ma una vittoria in New Hampshire, dove si tratta di votare e non di fare riunioni di “caucuses,” cioè di comitati elettorali, avrebbe un valore di trascinamento alto.

    D. – Dopo il successo avuto in Iowa, Rick Santorum rischia di diventare una meteora, l’ennesima peraltro del campo repubblicano…

    R. – E’ probabile che sia così. Potrebbe anche succedere che si vada ancora avanti a febbraio e si arrivi addirittura fino al cosiddetto "Super martedì" del 6 di marzo. Ma, in sostanza, è probabile che Santorum non riesca a competere con Romney per una serie di ragioni abbastanza spiegabili nel contesto del quadro politico statunitense di oggi: cioè, Romney, anche se si è spostato, diciamo così semplificando, un po’ a destra, è il più moderato e il più articolato nello schieramento e quindi ha più possibilità di attirare i voti degli indipendenti; Santorum, invece, è su posizioni più rigide, soprattutto sul terreno della moralità pubblica, che lo mette un po’ in difficoltà sul terreno del rapporto con gli indipendenti, che sono - tanto per i democratici, quanto per i repubblicani - il vero ago della bilancia.

    D. – Mentre i riflettori sono puntati sui Repubblicani, quale strategia sta adottando lo staff elettorale di Obama?

    R. – In realtà stanno studiando con molta attenzione l’andamento delle primarie repubblicane e stanno tenendo aperte opzioni diverse. Hanno cominciato a circolare analisi sull’andamento della diseguaglianza sociale e alcune di queste analisi - a cui il giornalismo democratico ha dato una qualche importanza - hanno sottolineato che le iniziative sociali di Obama hanno permesso di togliere dalla povertà 6 o 7 milioni di persone e che quindi hanno effettivamente inciso. Poi, l’altro aspetto è quello legato all’andamento delle primarie repubblicane, perché se l’esito è Romney la tattica sarà una; se l’esito fosse Santorum, che in questo momento sembra l’avversario più qualificato, la tattica sarebbe certamente un’altra.

    D. – Di certo c’è che molto dipenderà dai dati dell’economia. Gli ultimi hanno registrato un calo del tasso di disoccupazione. Un dato che sorride evidentemente ad Obama…

    R. – E, infatti, è su questo che l’opinione pubblica simpatizzante per i Democratici, o comunque liberal, sta giocando le sue carte. Stanno dicendo: ecco, ci abbiamo messo del tempo, ma le iniziative sono servite, stiamo uscendo dalla depressione. L’altro addentellato di questo discorso è l’accentuazione del discorso di Obama nei confronti dell’Europa, dicendo all’Europa: noi abbiamo fatto la nostra parte, e questo lo dimostra, adesso voi datevi da fare. (bf)

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    Corea del Nord: il leader Kim Jon-un annuncia un'amnistia

    ◊   Il nuovo leader nordcoreano, Kim Jong-un, ha annunciato un’amnistia in occasione dell’anniversario della nascita dei due leader scomparsi, suo padre Kim Jong-il e suo nonno Kim Il-sung. Il provvedimento è annunciato per il primo febbraio, ma non è stato precisato quanti e quali prigionieri riguarderà. Secondo una coalizione di Organizzazioni non governative, più che un gesto simbolico “urge una nuova era per il pieno rispetto dei diritti umani nel Paese”. Fausta Speranza ha chiesto come valutare il gesto al prof. Maurizio Riotto, docente all’Università orientale di Napoli:

    R. – Secondo me, con la dovuta cautela, potrebbe essere sicuramente un gesto di distensione; ma potrebbe essere – paradossalmente – anche un gesto per affermare il proprio potere: non dimentichiamo che qualche giorno fa è stato il compleanno di Kim Jong-un e i sovrani e il governo stesso, nei giorni di festa o nel loro genetliaco, si compiacciono di concedere qualcosa al popolo. Quindi, potrebbe essere anche una affermazione in questo senso.

    D. – Quaranta Ong della coalizione internazionale per fermare i crimini contro l’umanità in Corea del Nord hanno scritto al leader una lettera aperta, invitando ad "abbandonare il pluridecennale modello di abusi dei diritti umani commessi dal governo di Pyongyang - così scrivono – contro il popolo della Corea del Nord". C’è speranza?

    R. – Ricordiamo che c’è uno stillicidio di fughe dal Nord: queste persone spesso finiscono nelle mani dei contrabbandieri, dei mercanti di uomini cinesi, andando incontro a una sorte che non è assolutamente piacevole. E’ dunque un bene sollecitare la Corea del Nord a gesti di maggiore distensione nei confronti della propria popolazione, ma è anche giusto secondo me gettare uno sguardo su quanto accade alla frontiera, dove sicuramente si sta consumando in silenzio – in colpevole silenzio potrei aggiungere – un’autentica sfilza di torti e di angherie verso il popolo coreano o comunque nei confronti della gente coreana che si trova a gravitare nella zona tra la Corea del Nord e la Cina stessa. (mg)

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    Appello del patriarca Twal: ogni diocesi aiuti una famiglia della Terra Santa ad avere una casa

    ◊   I vescovi europei e americani dell’Incontro di Coordinamento della Terra Santa si trovano oggi ad Haifa per un incontro con la comunità cattolica locale, in particolare con i sacerdoti di tradizione latina, melkita e maronita. Intanto, notevole eco ha suscitato l’incontro avuto ieri della delegazione dei presuli con le autorità israeliane, che ha permesso di affrontare alcune delle questioni riguardanti la presenza della Chiesa nei luoghi santi. La nostra inviata Philippa Hitchen ne ha parlato con il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal:

    R. – Siamo felici di avere la visita di questo Coordinamento, come ogni anno. E’ un segno di comunione con la Chiesa internazionale, è un segno di solidarietà. Siamo molto grati per il loro arrivo. Questa è la comunione che anche il Sinodo ha tanto predicato, la comunione tra tutte le Chiese del mondo. Il Santo Padre ne parla spesso.

    D. – Una delle urgenze maggiori per la comunità cristiana in Terra Santa è quella delle case per le famiglie...

    R. – E’ vero. Tra i nostri bisogni, i progetti delle case e delle abitazioni sono i più urgenti ed è la cosa che costa di più. Una famiglia, da sola, non avrà mai la possibilità di avere una casa e faccio di nuovo un appello a quelli che possono dare un aiuto. Non possiamo mettere tutto il progetto a carico di una persona, di una chiesa, di una diocesi… Ma se ogni diocesi si prendesse l'impegno di dotare di un appartamento una famiglia cristiana, questo sarebbe più facile e certamente daremo la possibilità a tante giovani famiglie cristiane di rimanere e di evitare la tentazione di emigrare. Ci vuole però una sensibilità chiara, un senso di responsabilità, un senso di comunione tra noi e voi, saremo molto grati.

    D. - Qualcuno ha però definito la creazione di palazzi abitati solo da cristiani come una specie di ghetto. Qual è il suo pensiero?

    R. – Il fatto che ci siano case per i cristiani non rappresenta un ghetto, perché anche gli altri ricevono tanti aiuti - dall’Arabia Saudita, dai loro rispettivi governi. Aiutiamo i cristiani perché ne hanno bisogno. Del resto, la Chiesa cattolica gestisce 14 ospedali nel Patriarcato e noi cattolici siamo il 2-3 per cento: non credo quindi che tutti gli ospedali lavorino con i cristiani, la maggioranza sono gli altri. E noi siamo felici di dare il nostro servizio, la nostra carità, la nostra testimonianza agli altri.

    D. – Oltre ai bisogni concreti, la Terra Santa ha anche un bisogno spirituale, quello di una vera e propria integrazione tra le diverse religioni, nel segno del rispetto. Cosa manca a questo traguardo?

    R. – Togliamo i muri visibili, togliamo i muri nei cuori degli uomini: i muri della paura, dell’odio, dell’ignoranza. Speriamo che un giorno questa integrazione possa arrivare. (bf)

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    Migranti e nuova evangelizzazione. L'impegno della Chiesa italiana per la 98.ma Giornata mondiale

    ◊   E’ stata presentata stamani presso la Sala Marconi della Radio Vaticana la 98.ma la Giornata mondiale del Migrante e de Rifugiato, che si celebrerà il prossimo 15 gennaio in tutte le parrocchie italiane. Il tema centrale di quest’anno è Migrazioni e nuova evangelizzazione e deriva dal messaggio appositamente scritto da Benedetto XVI . A presentare l’evento, che avrà il proprio nucleo celebrativo a Perugia, in Umbria, sono stati Mons. Bruno Schettino, presidente della Commissione episcopale per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes, e mons. Giancarlo Perego, direttore generale di Migrantes. Il servizio è di Stefano Leszczynski:

    Il tema proposto quest’anno per la Giornata mondiale delle Migrazioni chiama la Chiesa a compiere una nuova evangelizzazione anche nel vasto e complesso fenomeno della mobilità umana. Un impegno che deve avvenire in un contesto del tutto nuovo, caratterizzato da una sempre maggiore intensità dei flussi migratori. Lasciare il proprio Paese per cercare altrove condizioni di vita migliori – fa notare mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes – non deve portare "alla perdita e all'abbandono dell'esperienza di fede". Di qui, la necessità di individuare nuove strategie pastorali, come pure metodi e linguaggi per un’accoglienza sempre vitale della parola di Dio:

    “L’immigrazione sta cambiando la Chiesa, che è chiamata a valorizzare delle risorse cattoliche che provengono da altri Paesi del mondo, almeno 100, dove vi sono un milione di cattolici. Sta cambiando la Chiesa che è chiamata a dialogare con le esperienze cristiane differenti, ma anche con esperienze religiose differenti. In questo senso, allora, il tema è connesso strettamente allo sforzo che la Chiesa in Italia, ma tutta la Chiesa universale, stanno compiendo in questo anno per rinnovarsi sulla base di nuovi strumenti e di una nuova evangelizzazione”.

    La forte migrazione verso l’Italia pone inoltre una sfida importante alla Chiesa cattolica italiana per il gran numero di cristiani migranti, che nel 2010 ammontavano a due milioni e mezzo, quasi il 59% del totale degli stranieri residenti in Italia. Tra questi, i cattolici sono circa un milione, ma non mancano numerose rappresentanze di ortodossi e protestanti. Un mondo religioso differente, dunque, con il quale diviene ineludibile il confronto e il dialogo. Tra le tipologie di migranti in condizioni di particolare fragilità – sottolinea mons. Giancarlo Perego restano i richiedenti asilo e i rifugiati per i quali serve una rete strutturata e organica di accoglienza, che non è possibile senza una specifica legge sull’asilo, che prenda in considerazione anche la particolare condizione dei minori stranieri non accompagnati:

    “E’ necessario che in Italia ci sia al più presto una apposita previsione di legge di un sistema nazionale per la protezione dei minori stranieri non accompagnati, che assicuri anche qui un’accoglienza adeguata, diffusa sul territorio, con risorse dedicate e una chiara definizione dei livelli di responsabilità tra Stato centrale, Regioni e Comuni. Il dovere di accoglienza per i minori soli, che sono in quanto tali inespellibili, deve infatti uscire da una logica tutta emergenziale come finora avvenuto”.

    Un vero e proprio patrimonio di conoscenza in mobilità è poi rappresentato dagli studenti internazionali, attualmente quasi quattro milioni in Italia e con una crescita che si stima possa arrivare a oltre sette milioni nel 2025. Ancora il direttore generale di Migrantes, mons. Giancarlo Perego:.

    “In Italia, ciò chiede una maggiore attenzione verso gli studenti universitari che provengono da Paesi poveri, attraverso l’ausilio di borse di studio, di centri di accoglienza, ma anche attraverso percorsi di cooperazione internazionale e di rientro di questi studenti, che tante volte rappresentano i 'cervelli' oggi in fuga e che potranno diventare una risorsa aggiuntiva per i Paesi più poveri. E poi bisogna rivedere, certamente, tutta la questione fermo da 20 anni, relativo all’edilizia per gli studenti universitari, che vede l’Italia all’ultimo posto nel contesto europeo e quindi vede l’Italia anche all’ultimo posto – assieme alla Grecia – per l’accoglienza degli studenti universitari stranieri”. (mg)

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    India: ancora dispersi 40 bambini disabili dopo il passaggio del ciclone Thane

    ◊   Il ciclone Thane che ha investito l’India lo scorso 30 dicembre non ha fatto notizia. Eppure ha devastato numerosi villaggi del Tamil Nadu, causando una sessantina di vittime e numerosi dispersi: tra di loro 40 bambini disabili. A denunciare la loro scomparsa è stato il Ciai, il Centro italiano aiuti all'infanzia, una ong da anni presente nel Paese con progetti a favore dei minori e dei pescatori. Benedetta Capelli ha raggiunto a Puducherry Paola Scelzi, operatrice del Ciai:

    R. – Io sono qui da quasi sette mesi, sono una delle program manager del Ciai e gestisco progetti per l’infanzia. Nei giorni scorsi mi sono recata nei villaggi: le case sono completamente devastate e il materiale scolastico dei bambini è andato distrutto. Sicuramente questa sarà una delle nostre priorità appena le scuole verranno riaperte in modo da favorire l’accesso all’educazione.

    D. – Com’è la situazione nella zona nella quale lei si trova, dopo questo ciclone di cui, in Italia almeno, si è parlato così poco?

    R. - L’uragano si è abbattuto sulla costa orientale dell’India, in Tamil Nadu, il 30 dicembre notte, ha danneggiato tantissime scuole e centinaia di migliaia di alberi sono crollati. Sono stati colpiti principalmente due nostri progetti: il villaggio dei pescatori di Cuddalore dove il Ciai già era intervenuto dopo lo tsunami nel 2004 e la Satya School di Puducherry, la città dove mi trovo attualmente, che è un centro che fornisce terapie riabilitative per bambini con disabilità. 40 di questi bambini, con le rispettive famiglie, risultano dispersi, sono irrintracciabili. Nei villaggi soprattutto la situazione è molto seria. L’erogazione di acqua e corrente elettrica non è costante, attualmente non è stata ancora ripristinata e quindi noi stiamo valutando la situazione con i nostri partner, principalmente garantendo l’accesso all’educazione ed alle cure. I bambini beneficiari dei nostri progetti sono bambini con disabilità, bambini orfani o a rischio di abbandono e marginalità.

    D. - A distanza di alcuni giorni da quello che è accaduto, i soccorsi stanno continuando ad arrivare oppure c’è una carenza da questo punto di vista?

    R. - Nei giorni scorsi in alcune zone è stata parzialmente ripristinata la fornitura di acqua e corrente elettrica. Per quanto riguarda l’acqua stanno arrivando rifornimenti con dei serbatoi.

    D. – Questo ciclone ha colpito anche le coltivazioni…

    R. - Sono stati colpiti soprattutto gli alberi, quindi il verde della zona. Si parla di 200 mila alberi abbattuti. Questo sta causando un innalzamento delle temperature che unito all’assenza di acqua, quindi a carenze igieniche precarie, potrebbe portare a problemi di salute per la popolazione colpita.

    D. – Qual è l’appello che lei vuole lanciare dai microfoni della Radio Vaticana?

    R. – Il Ciai, che è una ong attiva da tantissimi anni qui in India, con progetti di sostegno a distanza diretti principalmente all’infanzia, ha lanciato una raccolta fondi per fronteggiare questa emergenza. L’invito è quello di consultare la nostra pagina web dove sono pubblicate tutte le indicazioni per fare donazioni. Attualmente il progetto che sosteniamo riguarda 200 bambini che sono sostenuti a distanza in 20 villaggi intorno a Cuddalore. Questi bambini sono orfani, a causa dello tsunami, sono bambini di famiglie monoparentali o bambini affidati. A questi minori noi garantiamo accesso all’educazione e alle cure. Qui a Puducherry, nella Satya School, abbiamo un progetto che sostiene bambini con disabilità perché la Satya School è un centro che fornisce diverse terapie riabilitative a questi bambini che spesso, nella società indiana, sono vittime di discriminazioni. (bf)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Nuovi risvolti nelle Filippine sull’omicidio di padre Tentorio

    ◊   Respinge ogni accusa Jimmy Ato, l’uomo arrestato dalla polizia filippina con l’accusa di aver ucciso padre Fausto Tentorio il 17 ottobre dello scorso anno ad Arakan, sull’isola di Mindanao. Secondo quanto scrive l’agenzia Fides, Ato avrebbe indicato i mandanti del crimine. Si tratterebbe di un politico, William Buenaflor, candidatosi sindaco di Arakan e dell’ispettore Benjamin Rioflorido, capo della polizia locale. Entrambi hanno negato ogni addebito ma Rioflorido si è anche autosospeso dal suo incarico. Secondo l’uomo, ad uccidere il missionario italiano sarebbero stati due fratelli: Joe e Dima Sampolna, residenti a Culaman, ma ha comunque ammesso di aver partecipato ad una riunione a casa del politico, nella quale è stato pianificato il delitto di padre Tentorio. Nelle sue dichiarazioni alla polizia, Ato ha anche affermato di aver ricevuto 1.500 pesos per il suo lavoro di “vedetta” e di aver ricevuto minacce di morte per mantenere il silenzio sul caso. Stando a quanto riferito da padre Jun Mercado, missionario Oblato di Maria Immacolata di Cotabato, sono tre le piste da seguire per spiegare la morte di padre Tentorio. Indagare sul lavoro che faceva con le comunità indigene nel campo del dominio ancestrale della terra che rappresentava una minaccia per le compagnie agricole latifondiste di Arakan; opera che infastidiva pure le compagnie minerarie nell’area di Columbio. Il lavoro di padre Tentorio con la popolazione indigena aveva provocato i malumori anche dei politici locali. Infine, secondo padre Mercado bisognerebbe capire se i gruppi paramilitari siano coinvolti nell'assassino o perchè assoldati dalle compagnie minerarie o dai politici per fare i loro interessi. (a cura di Benedetta Capelli)

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    Norvegia: incontro del Consiglio europeo di “Religioni per la pace” sulla Primavera araba

    ◊   Il Consiglio europeo di “Religioni per la pace” riunirà oggi e domani in Norvegia rappresentanti religiosi del Medio Oriente, del Nord Africa e dell’Europa per “esplorare insieme – si legge in un comunicato ripreso dall’agenzia Sir – sfide e possibilità per la costruzione di una nazione dopo la cosiddetta primavera araba”. La consultazione che si terrà nella città di Stiklestad, è parte di un processo avviato a Marrakech in Marocco lo scorso novembre dal Consiglio delle Religioni per la pace del Medio Oriente e del Nord Africa. “Gli eventi nella regione del Nord Africa nei primi mesi del 2011 – si legge ancora nel comunicato di presentazione - hanno stupito il mondo intero. Il ruolo della religione nella formazione delle società nascenti dopo le rivolte è ancora tutto da determinare. La religione, tuttavia, rappresenta una delle più importanti realtà negli sforzi futuri che si faranno per la costruzione della nazione”. Tema principale della consultazione è “Il ruolo delle comunità religiose e dei loro leader nella primavera araba in un processo ancora in divenire”. Interverranno Mohammad Al-Sammak, segretario generale del Comitato nazionale per il dialogo islamo-cristiano del Libano, Mehrézia Labidi-Maiza (Tunisia), coordinatrice della “Women of Faith Network”, il vescovo Gunnar Stålsett, moderatore di “Religioni per la pace – Europa, e il rabbino Jacky Kadoch, Presidente della Comunità ebraica di Marakesh e del Marocco. (L.Z.)

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    Nigeria: per i vescovi l'abolizione del sussidio sulla benzina "colpisce i poveri”

    ◊   I vescovi della Provincia ecclesiastica di Ibadan (sud della Nigeria) si dicono “rammaricati” per “la decisione impopolare” di abolire i sussidi sulla benzina, che ha provato un drastico e improvviso aumento dei prezzi del carburante. Il 1° gennaio il governo federale ha abolito la sovvenzione che manteneva il prezzo al dettaglio della benzina intorno alle 65 naira per litro (0.30 euro). Il prezzo del carburante è immediatamente salito fino addirittura a 140 naira al litro (0.66 euro), una cifra proibitiva per molti, in un Paese dove la maggioranza della popolazione vive con meno di due dollari al giorno (1,5 euro). Il provvedimento ha provocato forti proteste da parte dei nigeriani, accrescendo la tensione provocata dagli attentati della setta Boko Haram. “Molti nigeriani che si erano recati nelle loro città e villaggi di origine per celebrare il Natale e il Capodanno non possono nemmeno permettersi di tornare nei loro luoghi di lavoro a causa del rialzo dei prezzi della benzina” denuncia un comunicato inviato all’agenzia Fides. Il governo ha motivato il provvedimento come una misura per impedire frodi sulla vendita di carburanti. “Prendiamo atto con profondo rammarico che questo Paese ha ormai una tradizione di far soffrire i poveri a causa degli interessi egoistici di pochi che si sono arricchiti fraudolentemente in collusione con coloro che si trovano al potere. Il povero deve soffrire per far sorridere il ricco?” replicano i vescovi. I presuli concludono mettendo in relazione la rimozione del sussidio con le forti tensioni provocate dall’ondata di attentati scatenati dalla setta Boko Haram, che ha particolarmente colpito le comunità cristiane. “Anche se non è giusto incolpare il governo del Presidente Jonathan di tutti i mali della Nigeria, questo governo deve assumersi la piena responsabilità per la tempistica insensibile della sua politica sul sussidio di carburante. Il governo sembra aver già deciso l’eliminazione del sussidio molto prima dell’avvio delle cosiddette consultazioni o non sembra importagli affatto che decine di nigeriani sono stati orribilmente uccisi pochi giorni prima nelle vicinanze della nostra Capitale federale?”. (R.P.)

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    Colombia: le Farc chiedono il dialogo con il governo

    ◊   In un comunicato, ripreso dall'agenzia Misna, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc) hanno chiesto di riavviare il dialogo con il governo. “Riprendere l’agenda rimasta pendente nel Caguán, la zona smilitarizzata in cui 10 anni fa fallì l’ultimo tentativo di negoziato tra l’esecutivo e la guerriglia sotto l’amministrazione di Andrés Pastrana”: a scriverlo il numero uno delle Farc, Timoleón Jiménez. Sul tavolo, le Farc chiedono di mettere la risoluzione dei principali problemi sociali del Paese, “le privatizzazioni, la deregolamentazione, la libertà assoluta di commercio e investimenti, un mercato democratico”. “Questa guerra – aggiunge - non avrà soluzione fino a quando le nostre voci non saranno ascoltate”. In un passaggio della nota, si parla anche della regione del Catatumbo dove “il governo – scrivono i guerriglieri - ha ribadito la volontà di aumentare la presenza militare per favorire l’ingresso di nuove imprese” interessate a sfruttare carbone e petrolio a svantaggio però delle popolazioni indigene locali e con il pretesto di voler condurre un attacco frontale al narcotraffico. L’esercito e il governo “mentono al Paese” – sottolineano - decisi a depredare riserve e parchi naturali per i guadagni dei loro azionisti”, in una terra in cui le comunità native oggi vivono come rifugiati”.(B.C.)

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    Il presidente di Cor Unum, il cardinale Sarah, in visita in Perù

    ◊   Una visita che è stata anche un omaggio a Santa Rosa di Lima. L’ha compiuta il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, il dicastero vaticano che è stato molto vicino alle popolazioni del Perù dopo il terremoto del 2007. All’agenzia Fides, il porporato ha raccontato la sua devozione per la santa, protettrice della Guinea, il Paese natio del cardinale Sarah. Nel suo viaggio, ha visitato il monastero di Santa Rosa de Santa Maria, il monastero di Santa Catalina e la Basilica Minore di Santa Rosa de Lima. “Ho celebrato la Messa nel luogo in cui è morta – ha detto il cardinale - abbiamo visitato il monastero che lei ha voluto fondare e anche il santuario in cui è nata e vissuta”. “Questa è per me un’emozione forte – ha proseguito - e ringrazio il Signore per questo, sono molto fortunato di poter visitare questi luoghi dove Santa Rosa è vissuta, perché qui il suo messaggio è sempre vivo”. Il cardinale Sarah ha anche visitato la zona di Manchay, nell’estrema periferia di Lima, e le numerose opere sociali che l'arcidiocesi di Lima gestisce in particolare una scuola, la mensa per i bambini e un centro sanitario. (B.C.)


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    Venezuela: mons. Diego Padrón eletto nuovo presidente dei vescovi

    ◊   È mons. Diego Padrón, arcivescovo di Cumaná, il nuovo presidente della Conferenza episcopale venezuelana (Cev) per il triennio 2012-2015. Il presule è stato eletto ieri, nel corso della 97.ma Assemblea plenaria episcopale che terminerà giovedì prossimo, 12 gennaio. Insieme a mons. Padrón, sono stati eletti due vice-presidenti: mons. José Luis Azuaje, vescovo di San Carlos del Zulia, e mons. Mario del Valle Moronta, vescovo di Sab Cristóbal; l’incarico di Segretario generale è invece andato a mons. Jesús González de Zárate, vescovo ausiliare di Caracas. “La nuova giunta direttiva – si legge in una nota diffusa ieri dalla Cev – ha tra i suoi compiti iniziali l’approvazione del piano triennale per il Paese da applicare fino al 2015”. I lavori della Plenaria sono iniziati sabato scorso, 7 gennaio, alla presenza del nunzio apostolico nel Paese, mons. Pietro Parolin, e con il discorso inaugurale del presidente uscente, mons. Ubaldo Santana, il quale ha presentato un’ampia panoramica della realtà internazionale e nazionale ed ha sottolineato il ruolo giocato dalla Chiesa venezuelana nella ricerca della riconciliazione e della pace. “I vescovi – ha detto mons. Santana – desiderano impegnarsi con i sacerdoti nel dare il miglior esempio possibile di servizio e di dedizione all’opera di evangelizzazione, ponendosi sempre a fianco dei più poveri, consolando gli afflitti, educando e illuminando le coscienze, levando la voce in difesa dei diritti umani dei più indifesi e ricordando sempre i principi etici e morali”. “Nei conflitti e nelle controversie – ha aggiunto mons. Santana – vogliamo essere agenti di pace, di riconciliazione, di ricerca dell’accordo attraverso l’ascolto reciproco e il dialogo costruttivo”, per “costruire un Paese più fraterno e solidale”. Infine, il presule ha ribadito che la sfida principale della Cev è “il grande progetto della Nuova Evangelizzazione in un fase tanto cruciale della storia del mondo”. Tra gli altri momenti importanti dei lavori della Plenaria, c’è stata la Messa di domenica scorsa, 8 gennaio, dedicata alla Giornata mondiale della pace, e l’incontro con alcuni membri della Caritas del Paese. (I.P.)

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    Manila: quasi nove milioni di cattolici filippini alla processione del Nazareno

    ◊   Oltre 8,5 milioni di cattolici filippini hanno partecipato alla processione del “Nazareno Nero”, che si è conclusa oggi a Manila nella chiesa di Quiapo. Le celebrazioni sono avvenute nonostante l’allerta di possibili attentati terroristi lanciata nei giorni scorsi dal governo. L’evento raccoglie ogni anno milioni di persone da tutto il Paese, che per 22 ore accompagnano la statua per le vie del centro storico di Manila. Quest’anno - riferisce l'agenzia AsiaNews - l’arcidiocesi di Manila ha inviato copie del Nazareno nelle diocesi di Cagayan de Oro, Illigan City e Cotabato (Mindanao), per consentire anche alla popolazione vittima delle alluvioni di organizzare la processione. Mons. Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, afferma che “quest’anno la devozione della gente è stata più forte delle minacce dei terroristi”. “Il comitato organizzativo – afferma - era cosciente del pericolo e nelle scorse settimane abbiamo più volte pensato di cancellare la processione. Tuttavia, nei giorni scorsi molti fedeli hanno risposto agli appelli del governo sottolineando che la paura per eventuali incidenti non era nulla in confronto alle sofferenze patite dal Cristo in Croce. Sono convinto che anche senza il nostro benestare la popolazione avrebbe organizzato lo stesso la processione”. Il prelato spiega che per i filippini partecipare alle celebrazioni del Nazareno Nero rappresenta l’occasione di essere più vicini a Gesù. “Alla processione – racconta – partecipano tutte le classi sociali e soprattutto malati che spesso rischiano la vita nella calca per toccare la statua e chiedere una grazia. Ogni anno molte persone restano colpite da questo spettacolo e vi sono diversi casi di conversione, soprattutto fra la gente più umile”. (R.P.)

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    Usa: 21-22 gennaio la tradizionale colletta annuale per la Chiesa in America Latina

    ◊   Si svolgerà dal 21 al 22 gennaio la tradizionale colletta annuale promossa dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) per la Chiesa in America Latina. La raccolta, che si tiene ormai da 46 anni, serve a finanziare progetti missionari, di formazione e di catechesi promossi dalle diocesi sudamericane. Un impegno che ha costantemente portato consistenti frutti in territori caratterizzati, per la loro vastità, dalla necessità di ingenti risorse pastorali. Saranno i bambini emblematicamente al centro della campagna di quest’anno per la quale è stata scelta un’immagine che li raffigura in gruppo nell’atto di ricevere la loro prima comunione. In vista della colletta l’arcivescovo di Los Angeles José Horacio Gómez, presidente del Sotto-Comitato per l’America Latina della Usccb si è appellato in particolare alla generosità dei fedeli ispanici che vivono negli Stati Uniti. Per loro, afferma, questa “iniziativa è un’opportunità per mostrare solidarietà nei confronti della Chiesa nei loro Paesi di origine e per contribuire alla nuova evangelizzazione in tutto il continente”. Nel corso del 2011 , la raccolta ha consentito di finanziare 407 progetti per un totale di 7,1 milioni di dollari di cui quasi 1,8 milioni destinati alla formazione di religiosi, seminaristi, clero e diaconi permanenti. Il sottocomitato ha anche assegnato dei fondi speciali per la ricostruzione delle chiese e di altre strutture religiose danneggiate da calamità naturali, come ad esempio ad Haiti e in Perù. Lo scorso autunno i vescovi hanno approvato un nuovo stanziamento di oltre 2,7 milioni di dollari per 174 progetti. (L.Z.)

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    Terra Santa: dopo 44 anni la festa del battesimo di Cristo celebrata nel sito dove sarebbe avvenuto

    ◊   Dopo 44 anni, ieri, in Terra Santa, la comunità cattolica è tornata a celebrare la festa del battesimo di Cristo a Qassir El Yehud, il sito che secondo la tradizione avrebbe fatto da sfondo all’incontro fra Giovanni Battista e Gesù nel fiume Giordano. Qassir El Yehud si trova di fronte a Gerico ed è stato riaperto alle visite dei pellegrini questa estate. Riconosciuto fin dai primi secoli della tradizione cristiana come il luogo del battesimo di Cristo, il sito è stato chiuso dopo la Guerra dei Sei Giorni, perché diventato una zona militare e minata. I pellegrini potevano giungervi solo in date prefissate e con un permesso dell'esercito. La riapertura delle sponde del Giordano, riferisce il portale del patriarcato latino di Gerusalemme www.lpj.org, permette ora a tutti di visitare il luogo liberamente e alla Custodia di Terra Santa di fare il suo tradizionale pellegrinaggio nel giorno della festa del Battesimo di Cristo. E domenica scorsa erano centinaia le persone che vi hanno preso parte. La celebrazione è stata aperta con una processione dal monastero ortodosso che si trova proprio sulle rive del fiume. Alle 10 ha presieduto la Messa il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa. Durante la cerimonia, diversi bambini sono stati battezzati con l’acqua del fiume Giordano, vicino al quale è stato posto l'altare. (T.C.)

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    Zambia: il sostegno di Aiuto alla Chiesa che soffre alla popolazione

    ◊   Lo Zambia è un Paese povero dove è necessario investire nell’educazione e nell’evangelizzazione. E’ uno dei pensieri espressi dal mons. Charles Kasonde, vescovo di Solwezi, all’Aiuto alla Chiesa che soffre. Il presule ha anche sottolineato la necessità per il Paese africano di “una guida sincera e onesta, capace di stare al passo con i tempi”. Mons. Kasonde ha anche aggiunto che lo Zambia è ricco di materie prime e di risorse naturali eppure la popolazione locale vive con meno di 50 centesimi al giorno. Pur registrando abbondanti precipitazioni, non si è mai investito in un sistema di irrigazione così, quando piove, la maggioranza delle persone non sa di che vivere. Nota critica anche per i mezzi di informazione che – ha sostenuto il vescovo – pongono l’accento solo sulla povertà, la corruzione e l’ampia diffusione dell’Aids. «L’Aids è un grave problema per tutta l’Africa sub-sahariana, che si diffonde rapidamente e per il quale non esiste una cura – ha detto ad Acs mons. Kasonde – e per prevenire il contagio è necessario anche investire nel settore dell’educazione”. L’educazione è una priorità per l’episcopato dello Zambia, “è la chiave dello sviluppo, specie per le nuove generazioni - ha ribadito il presule - se avessimo i fondi necessari potremmo rinnovare le scuole ed educare molti più bambini”. Mons. Kasonde ha ricordato che un tempo era la Chiesa cattolica a gestire molte scuole. Poi con l’indipendenza del 1964 è iniziata la cosiddetta “zambianizzazione”, ovvero la nazionalizzazione di tutte le strutture del Paese. “Non voglio certo dire che sia stata una scelta sbagliata – ha puntualizzato – ma il governo era così oberato di responsabilità da non poter garantire un adeguato sistema scolastico”. Le scuole non sono le uniche ad aver bisogno d’interventi strutturali. La diocesi di Solwezi - fondata nel 1976 come suffraganea dell’arcidiocesi di Lusaka - si trova in un’area rurale povera e molte delle Chiese sono state costruite con il fango. Il vescovo ha riferito che i cattolici nell’area sono 80mila su 750 mila abitanti e l’opera di evangelizzazione deve essere sostenuta dalla costruzione di nuovi edifici religiosi. “I miei fedeli hanno bisogno d’incontrare Cristo e di pregare il Signore in una casa che sia degna. Ed è questo che chiedono alla Chiesa”. Nel 2010 Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato alla Chiesa in Zambia più di 650mila euro.(B.C.)

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    Ungheria: il governo promulga la nuova legge sulle Chiese

    ◊   Il parlamento ungherese ha promulgato la legge sulle Chiese, che riconosce 14 Chiese e comunità religiose già stabilite nel Paese. È stata adottata con 256 voti a favore e 36 voti contrari. Le comunità religiose che hanno presentato richiesta di registrazione supplementare presso il Ministero competente mantengono per il momento il proprio status. Si prevede che il parlamento prenda una decisione in merito entro la fine di febbraio. Le norme relative alla tipologia di attività religiose necessarie per il rilascio dello status di Chiesa cambieranno. A partire dal 1° gennaio - riporta l'agenzia Sir - un’associazione deve presentare almeno 1.000 firme alla commissione affari religiosi del parlamento per il passaggio della domanda alla sessione plenaria dello stesso. Tra le condizioni, la nuova legge prevede che la comunità abbia operato a livello internazionale negli ultimi 100 anni o funga da organizzazione da almeno 20 anni in Ungheria. (R.P.)


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