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Sommario del 08/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa battezza 16 bambini nella Sistina: educare è arduo, serve la testimonianza della fede. All'Angelus: Cristo ci rende figli di Dio
  • Oggi in Primo Piano

  • La comunità internazionale mobilitata per prevenire una catastrofe nei Paesi del Sahel
  • Il nuovo governo della Bosnia pensa a un censimento della popolazione. L'ultimo risaliva al '91
  • I vescovi europei e americani per la Terra Santa in visita a Gaza. Mons. Fontana: fratelli che non vanno lasciati soli
  • Terra Santa: alla Domus Galilaeae, sul lago di Tiberiade, celebrata l'Epifania con 800 ebrei
  • Italia. Voci contro l'acquisto degli aerei F35: quei miliardi si investano per lavoro, famiglie e sanità
  • L'Aquila 33 mesi dopo il sisma. Don Tracanna: giovani e anziani senza punti di ritrovo
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Nigeria. I leader cristiani: vittime di pulizia etnico-religiosa
  • Iran: annunciato un sito sotterraneo per l'arricchimento di uranio
  • Il premier britannico Cameron promette di bloccare una Tobin tax europea
  • Sud Sudan. L'Onu smentisce le cifre della strage della scorsa settimana
  • Birmania: possibile ruolo di governo per Aung San Suu Kyi
  • India. Allarme delle Ong cristiane: radicali indù e musulmani infiltrati nelle Chiese
  • Indonesia: i cattolici festeggiano una nuova chiesa nei pressi di Jakarta
  • La diocesi di Milano si prepara al VII Incontro mondiale delle famiglie
  • Tornano le letture teologiche del Magistero del Papa: nel 2012 le omelie pasquali
  • Ucraina: fondata l’Associazione dei media cattolici
  • Bulgaria: una mostra d’arte esempio di convivenza pacifica
  • Convegno salesiano a Roma sulla cultura vocazionale
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa battezza 16 bambini nella Sistina: educare è arduo, serve la testimonianza della fede. All'Angelus: Cristo ci rende figli di Dio

    ◊   Con la preghiera e la fedeltà ai Sacramenti, i genitori diventano per i figli testimoni della verità di Dio. È l’insegnamento che Benedetto XVI ha tratto dalla liturgia della Messa di questa mattina, presieduta nella Cappella Sistina nel giorno in cui la Chiesa celebra la solennità del Battesimo di Cristo. Come da tradizione, durante la cerimonia il Papa ha impartito il Sacramento del Battesimo a un gruppo di 16 bambini. All'Angelus, il Pontefice ha ripetuto che solo Cristo può darci la "dignità e il potere di diventare figli di Dio". Il servizio di Alessandro De Carolis:

    (canto)

    Parlare al cuore dei figli con la “voce della verità”, quella di Dio. Il compito complesso e sublime di ogni genitore cristiano. Sotto gli affreschi della Sistina e davanti ai piccoli visi dei neonati schierati di fronte a lui in braccio ai genitori – sei femminucce, tra cui due gemelle, e dieci maschietti – Benedetto XVI ha seguito il sentiero spirituale tracciato dalle letture della Messa per ribadire a mamme e papà che quella del Battesimo è stata la loro “prima scelta educativa”, scelta “fondamentale” perché è la prima testimonianza di fede offerta ai figli:

    “Educare è molto impegnativo, a volte è arduo per le nostre capacità umane, sempre limitate. Ma educare diventa una meravigliosa missione se la si compie in collaborazione con Dio, che è il primo e vero educatore di ogni uomo”.

    Dal profeta Isaia, il Papa ha tratto la certezza che Dio vuole dare ai credenti “cose che – ha detto – ci fanno bene”, anche se talvolta, ha proseguito, “usiamo male le nostre risorse” per “cose che non servono, anzi, che sono addirittura nocive”. Dio, ha affermato, “vuole darci soprattutto Se stesso e la sua Parola”, i Sacramenti, ovvero le fonti alle quali chi educa deve necessariamente attingere:

    “I genitori devono dare tanto, ma per poter dare hanno bisogno a loro volta di ricevere, altrimenti si svuotano, si prosciugano. I genitori non sono la fonte, come anche noi sacerdoti non siamo la fonte: siamo piuttosto come dei canali, attraverso cui deve passare la linfa vitale dell’amore di Dio. Se ci stacchiamo dalla sorgente, noi stessi per primi ne risentiamo negativamente e non siamo più in grado di educare altri”.

    Se invece preghiera e vita sacramentale sono l’anima di una madre e di un padre, i loro figli potranno goderne gli effetti, sotto forma di una educazione davvero “alta”:

    “La preghiera e i Sacramenti ci ottengono quella luce di verità grazie alla quale possiamo essere al tempo stesso teneri e forti, usare dolcezza e fermezza, tacere e parlare al momento giusto, rimproverare e correggere nella giusta maniera”.

    E prima di procedere al rito del Battesimo, Benedetto XVI si è rifatto alla scena del fiume Giordano, ricordando che “la prima e principale educazione avviene attraverso la testimonianza”. Il Battista lo dimostra, ha asserito, non trattenendo a sé i propri discepoli, ma indicando in Gesù il vero Maestro da seguire:

    “Il vero educatore non lega le persone a sé, non è possessivo. Vuole che il figlio, o il discepolo, impari a conoscere la verità, e stabilisca con essa un rapporto personale. L’educatore compie il suo dovere fino in fondo, non fa mancare la sua presenza attenta e fedele; ma il suo obiettivo è che l’educando ascolti la voce della verità parlare al suo cuore e la segua in un cammino personale”.

    All’Angelus, presieduto dalla finestra del suo studio affacciato su Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha proseguito idealmente la riflessione della Messa spostando però l’accento sul fatto che ogni essere umano, pur non essendo necessariamente un genitore, è comunque un “figlio”. Ciò, ha continuato, aiuta a maturare un atteggiamento di accoglienza verso la vita come un “dono”. E inoltre, il sentirsi figlio suggerisce di aprire il cuore verso Dio, Padre di tutti e che tutti ama:

    “Ognuno di noi è voluto, è amato da Dio. E anche in questa relazione con Dio noi possiamo, per così dire, ‘rinascere’, cioè diventare ciò che siamo. Questo accade mediante la fede (…) Il Battesimo è questa nuova nascita che precede il nostro fare. Con la nostra fede possiamo andare incontro a Cristo, ma solo Lui stesso può farci cristiani e dare a questa nostra volontà la risposta, la dignità, il potere di diventare figli di Dio, che da noi non abbiamo”.

    Al termine dell’Angelus, il Papa ha salutato i fedeli in cinque lingue, “augurando ogni bene per l’anno da poco iniziato”.

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    Oggi in Primo Piano



    La comunità internazionale mobilitata per prevenire una catastrofe nei Paesi del Sahel

    ◊   L’Africa è in primo piano in questo inizio 2012: una nuova emergenza alimentare si profila per i Paesi compresi nella fascia del Sahel, a sud del deserto del Sahara e fino al Corno d’Africa. A lanciare l’allarme sono diverse organizzazioni impegnate nella regione. Tra queste l’Oxfam, tra le più importanti confederazioni internazionali, specializzata in aiuti umanitari e progetti di sviluppo. Roberta Gisotti ha intervistato Sibilla Filippi, tra i responsabili per l’Africa dell’Oxfam-Italia:

    D. – Quali sono le cause di questo nuovo allarme per la regione del Sahel: sono solo cause naturali o ci sono anche cause di altro tipo, che aggravano la situazione?

    R. – Le cause sono anzitutto naturali. Nello scorso anno, le piogge sono state molto scarse e questo sta provocando ovviamente un’emergenza alimentare. Ci sono anche altre cause, però, che aggravano la situazione, quale soprattutto l’aumento dei prezzi del cibo, che sta causando non solo un problema di reperibilità, ma anche di accesso al cibo. Parliamo di Paesi in cui le popolazioni vivono in estrema povertà, dove quindi l’aumento del prezzo del cibo è un problema assolutamente ulteriore e molto grave.

    D. – Quali sono i Paesi più colpiti all’interno della fascia del Sahel? Sembra sia coinvolto anche il Corno d’Africa…

    R. – Il Corno d’Africa sta vivendo, assolutamente sì, un’emergenza umanitaria. Dei Paesi del Sahel, invece, i più colpiti sono il Ciad, il Niger, la Mauritania, il Mali e il Burkina Faso. Anche il Senegal e parte della Nigeria, però, sono a rischio.

    D. – Quali previsioni fare su quella che si profila come una possibile catastrofe? In che modo si può arginare quello che il giornale “Avvenire” ha già definito un possibile “tsunami della fame”?

    R. – Purtroppo, per il 2012 si prevedono 11 milioni di persone a rischio di insicurezza alimentare. Quello che si può fare è agire immediatamente. La buona notizia, per così dire, di questa catastrofe è che è stata identificata in tempi molto stretti e quindi siamo assolutamente nei tempi per prevenire il peggio.

    D. – Nei tempi: ma serviranno contributi economici?

    R. – Assolutamente sì. Alcuni donatori, i più importanti e più impegnati nell’area, hanno già stanziato dei fondi. La Commissione europea, in particolare, ha stanziato dieci milioni di euro, tramite progetti Echo (Humanitarian Aid & Civil Protection), mentre le organizzazioni internazionali, che si trovano in loco, hanno già iniziato a lavorare in questo senso.

    D. – E’ importante che le ong presenti sul luogo – ed abbiamo anche tante organizzazioni della Chiesa – svolgano un ruolo da "sentinelle", come è successo in questo caso…

    R. – Certo. Sono organizzazioni sia internazionali che locali che collaborano al fine di evitare il disastro alimentare. Il fatto è che questa crisi, che si presenterà nel 2012, segue varie crisi che si sono già presentate nel 2005, nel 2008 e nel 2010. Quindi, i Paesi sono già devastati, ma alcune organizzazioni presenti sul territorio si erano già mobilitate per prevenire le catastrofi. Questo è ciòche, di fatto, rende poi possibile evitare il peggio: investire sulla prevenzione. (ap)

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    Il nuovo governo della Bosnia pensa a un censimento della popolazione. L'ultimo risaliva al '91

    ◊   L’accordo del 28 dicembre 2011 raggiunto a Sarajevo tra le tre comunità etniche della Bosnia (serbi, croati e musulmani) ha permesso di aprire, dopo 14 mesi di crisi politica, alla nascita di un nuovo governo della cui formazione è stato incaricato, il 5 gennaio scorso, il premier Vjekoslaw Bevanda, nominato dalla presidenza tripartitica bosniaca. Sempre il 28 dicembre i leader dei sei maggiori partiti hanno trovato un’intesa su alcune leggi necessarie anche all’adesione della Bosnia all’Ue. Tra gli accordi raggiunti vi è quello sul prossimo censimento, probabilmente nell’aprile del 2013. L’ultimo risale al 1991, subito dopo scoppiò la guerra. Francesca Sabatinelli ha intervistato Azra Ibrahimovic, coordinatrice per la ong Cesvi della Casa del sorriso di Srebrenica:

    R. – Questo censimento è molto importante per tutti noi bosniaci per capire, dopo vent’anni, quanti siamo veramente: quanti bosniaci risiedono in Bosnia Erzegovina e quanti bosniaci sono sparsi in giro per il mondo. Ci sono varie stime che indicano che siamo 3 milioni 500 mila. Alcuni dicono che siamo più di 4 milioni, ma nessuno sa dire con precisione quanti siamo, mentre altre stime ci dicono che un milione e cinquecento mila vive all’estero: anche questo però non è un dato preciso. Quindi, prima di tutto, secondo me è importante capire quanti siamo anche per evitare la manipolazione delle cifre da parte dei vari partiti politici e dai vertici di questo Paese.

    D. – C’è voluto del tempo prima che i partiti arrivassero ad a organizzare il censimento. Uno dei punti più controversi, ma sul quale è stato raggiunto un accordo, è il fatto di lasciare come indicazione opzionale quella della propria identità etnica e del proprio orientamento religioso…

    R. – Precisare di che religione si è non è assolutamente un dato importante per un censimento. La religione dovrebbe essere un fatto privato di ogni persona. Non vedo per quale motivo debba essere importante per un censimento. Nel nostro Paese ci sono tre maggiori religioni – islamica, cattolica e ortodossa – e siamo tutti e tre popoli costitutivi di questo Paese. Allora, se è così per statuto, non vedo perché dobbiamo ancora menzionarlo nel censimento. Questo, poi, di nuovo ci farebbe tornare a quello che si dice siano stati i problemi di questo Paese, tutti legati all’appartenenza etnica e religiosa. C'è il rischio di manipolazione politica della gente, alla quale far credere che la questione in gioco sia quella e non tutto il resto: i problemi sociali, economici, i problemi legati all’istruzione...

    D. - Quello che dici è che le autorità politiche vogliono distrarre l’attenzione…

    R. – Esatto. A 15-16 anni dalla fine della guerra, noi ci troviamo di fronte a un grosso problema che è quello della disoccupazione. Siamo intorno al 45 per cento dei disoccupati. E’ una cifra altissima, enorme, però nessuno parla di questo problema, della ripresa economica, della ripresa sociale. Abbiamo grossi problemi anche per quanto riguarda l’istruzione. Quindi, ci sono una serie di problemi che vengono nascosti dalle questioni del censimento e della divisione dei poteri tra i vertici di questo Paese.

    D. – L’ultima volta che ci fu un censimento fu nel ‘91, poi scoppiò la guerra. Quanto ci si basò, anche sui dati del censimento, per avviare quella che veramente fu una pulizia etnica?

    R. – Io ero anche abbastanza piccola, avevo 13 anni quando cominciò la guerra in Bosnia, anzi in ex-Jugoslavia. La Bosnia è, per così dire, una Jugoslavia in "piccolo": ci vivono diverse etnie, popolazioni con diverse religioni, era un campo abbastanza fertile per fomentare ancora di più gli odi e le intolleranze. Il censimento ha aiutato a capire quali fossero le percentuali della popolazione e cosa si sarebbe potuto fare in caso di dissoluzione della Jugoslavia e di dichiarazione di indipendenza della Bosnia Erzegovina. Il censimento del ‘91 potrebbe essere stato strumentalizzato anche per la guerra in Bosnia Erzegovina. (bf)

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    I vescovi europei e americani per la Terra Santa in visita a Gaza. Mons. Fontana: fratelli che non vanno lasciati soli

    ◊   Ha fatto tappa questa mattina a Gaza il viaggio dei vescovi europei e americani, appartenenti alla delegazione impegnata nell’incontro annuale del “Coordinamento per la Terra Santa”. Presenti membri di numerose Conferenze episcopali mondiale, che hanno incontrato la comunità cattolica locale. Michele Raviart ha raggiunto telefonicamente a Gaza uno dei presuli, l'arcivescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, mons. Riccardo Fontana:

    R. - Abbiamo incontrato a Messa la comunità cattolica, presente in gran numero, e dopo ci siamo fatti raccontare le difficoltà maggiori che i nostri sentono, legate all’impossibilità di uscire dal Paese. Manca naturalmente il lavoro, c’è una difficoltà di comunicare con l’esterno in tutte le maniere e alcune famiglie sono in condizioni di oggettiva povertà.

    D. – Di quale tipo di solidarietà hanno bisogno le popolazioni che avete incontrato a Gaza?

    R. – Hanno bisogno della solidarietà per non sentirsi soli e isolati in una situazione a prevalenza musulmana e non sempre tollerante. La realtà che viene presentata come positiva è quella delle nostre tre scuole cattoliche, che sono un punto di incontro della popolazione di diversa appartenenza. In sostanza, si fa un lavoro guardando al futuro.

    D. – Come continuerà il vostro viaggio?

    R. – Noi ora torneremo a Gerusalemme, dove dobbiamo lavorare per cinque giorni. Ci sarà la riunione degli inviati delle Conferenze episcopali europee e del Nord America. Siamo in atteggiamento di studio della situazione, in modo da poter riferire ai nostri episcopati e poter aiutare chi sta sul territorio. E’ molto bello, perché ad invitarci sono tutti gli ordinari cattolici di Terra Santa, dei vari riti. Il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Twal, è vivacissimo in quest’opera e sta facendo molto, ma anche tutti gli altri. Con la Custodia di Terra Santa c’è un ottimo rapporto, come è naturale che sia, con i nostri Frati minori. (ap)

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    Terra Santa: alla Domus Galilaeae, sul lago di Tiberiade, celebrata l'Epifania con 800 ebrei

    ◊   Grande partecipazione e tanta emozione per la festa dell’Epifania che ieri si è svolta presso il Centro internazionale "Domus Galilaeae", gestito dal Cammino Neocatecumenale, sul lago di Tiberiade. Momento centrale è stata la rappresentazione dell’arrivo dei Re Magi. Benedetta Capelli ne ha parlato con padre Francesco Voltaggio, rettore del Seminario diocesano “Redemptoris Mater” che ha sede proprio nella "Domus Galilaeae":

    R. - Quanto è accaduto ci sorprende sempre di più, di anno in anno. Anzitutto, perché oggi sono venuti moltissimi ebrei, circa 800, avevamo a malapena posto per accoglierli. C’erano tantissimi bambini per questa festa dei Re Magi. L’ambiente era meraviglioso. Posso condividere solamente una piccola esperienza, per dare un’idea: una signora mi ha ringraziato dicendo: “Io non sono un’ebrea religiosa, ma voi date una parola di fede senza fare politica. Io spero che le cose che oggi avete detto si avverino nella mia vita”. Abbiamo fatto canti di Natale in lingua, anche in ebraico, anche canti della tradizione ebraica. Abbiamo letto il profeta Isaia, abbiamo anche cantato il Vangelo e dopo hanno anche battuto le mani, c’è un ambiente molto aperto. Quindi siamo molto contenti; anche i bambini hanno fatto molte domande ai Re Magi, e questo ci ha dato l’occasione di dare testimonianza di Gesù e anche manifestare la nostra amicizia verso il popolo ebraico.

    D. - Come siete riusciti a creare questo clima di comunione?

    R. – Non è stato un nostro merito: è stata una Grazia che ci ha dato il Signore, grazie alla Domus Galilaeae, progettata da Kiko Argüello, e anche grazie al direttore della casa, padre Rino Rossi, perché sia dai primi tempi sono venuti tantissimi ebrei a farci visita – noi non ce lo aspettavamo – attratti dalla bellezza del luogo, il Monte delle Beatitudini, e anche dalla meravigliosa estetica della casa. È stato un dono, che ci ha fatto anche Giovanni Paolo II, che ha inaugurato questa casa. Gli ebrei sono attratti perchè si sentono voluti bene e anche perché il nostro cristianesimo ha radici in questo popolo, vengono e si sentono voluti bene, si sentono accolti.

    D. - Non è il primo anno che un’esperienza di questo tipo – vivere l’Epifania insieme ad altre confessioni religiose – accade: quale bilancio si può fare di questa esperienza?

    R. - Normalmente, facciamo anche un evento con la chiesa locale, con gli arabi, con i cristiani della Galilea che partecipano in numerosi. L’anno scorso sono venuti 1500. Quest’anno, a causa di un altro evento, una sinfonia che abbiamo organizzato a Betlemme, non lo abbiamo fatto per non sovraccaricare troppo di impegni … Il bilancio è molto positivo: noi cerchiamo di fare un regalo sia al popolo di Israele che al popolo ebraico, ai nostri fratelli ebrei e ai cristiani di varie confessioni, specialmente cattolici ed ortodossi, che vengono numerosissimi per questa festa dei Re Magi. Iniziano ad affacciarsi anche alcuni musulmani, attratti dalla parola di fede…

    D. – “Promuovere iniziative per un dialogo più profondo tra chiesa cattolica e mondo ebraico”: questa era una frase di Giovanni Paolo II. Questo si sta realizzando, oppure registrate delle difficoltà, peraltro anche naturali in contesti di questo tipo?

    R. - Difficoltà ci sono sempre, quando si apre una strada nuova come quella della Chiesa con il Concilio. Però quello che noi riteniamo importante è manifestare senza paura la nostra identità, la nostra fede in Gesù Cristo, con il sincero amore che ci dà il Messia che viene con noi i cristiani per aiutare il popolo ebraico, per amarlo… Vediamo come questo si sta realizzando, e anche qui, in questa terra, vediamo come sia fondamentale il fatto che gli ebrei si sentano voluti bene. Però non dobbiamo mai nascondere la nostra identità, non dobbiamo avere paura di manifestare la nostra fede, con molta delicatezza, come facciamo in questa casa con gli ebrei che ci visitano, dando anzitutto una testimonianza del nostro amore volendogli bene, e poi anche trasmettendogli la nostra esperienza. (bi)

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    Italia. Voci contro l'acquisto degli aerei F35: quei miliardi si investano per lavoro, famiglie e sanità

    ◊   Basta con le spese dello Stato italiano per gli F35. Ad unirsi al coro di voci che chiede di fermare l’acquisto di cacciabombardieri è stato mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente di Pax Christi Italia, il quale alla vigilia dell’Epifania ha chiesto in una nota di tagliare drasticamente i costi militari. Gli F35, aerei di attacco acquistati dagli Usa, costano quasi 150 milioni di euro ciascuno. In totale, un investimento di oltre 15 miliardi. Federico Piana ha intervistato Francesco Vignarca che su questo tema ha condotto un’inchiesta per la rivista "Altraeconomia":

    R. – Da tempo, ci stiamo opponendo all’acquisto da parte dell’Italia di questi oltre 130 cacciabombardieri con proiezione d’attacco e con, addirittura, la possibilità di portare testate nucleari. Noi, in particolare, abbiamo individuato il tema dell’F35 perché si tratta del programma militare più costoso della storia e, più in generale, ci sembrano fuori controllo tutte le spese militari. In una situazione economica così problematica, spendere troppo per le armi, per gli eserciti, per mantenere una finta sicurezza armata, e non avere risorse per le famiglie, per la sanità, per l’istruzione, ci sembra veramente un’aberrazione.

    D. – In un momento di crisi nessuno si è chiesto se era possibile, e fattibile, togliere questi 15 miliardi dal budget dei militari: perché?

    R. – Quando in questi mesi e in questi anni abbiamo portato avanti la nostra istanza per annullare questo tipo di acquisto, abbiamo sempre avuto come risposta quella delle "famose penali". In altre parole, ci dicevano: purtroppo, essendo un programma pluriennale, ormai siamo già partner, non possiamo tirarci indietro. Ma quello che abbiamo scoperto noi è che, al punto in cui si è, non esistono penali: siamo ancora nelle fasi di sviluppo, di prima industrializzazione. Se l’Italia non sottoscrivesse il contratto previsto potrebbe tirarsi indietro, ovviamente perdendo i circa due miliardi e 700 mila euro investiti finora.

    D. - Quante manovre si farebbero con 15 miliardi? Mezza o addirittura una...

    R. – Questi costi sono spalmati in più di 10 anni, ma noi abbiamo calcolato che si tratta comunque di circa un miliardo e mezzo l’anno che è, ad esempio, la parte che riguarda le pensioni, settore in cui si è cercato o si cercherà di spendere di meno, mandando la gente in pensione più tardi, magari anche con lavori usuranti e logoranti. Uno solo di questi caccia equivale ai tagli del Servizio civile nazionale; uno solo di questi caccia equivale alle riduzioni che in questi anni ha avuto la cooperazione internazionale. Sono tutti ambiti dello Stato che, secondo noi, andrebbero preservati meglio, anche perché - lo dimostra proprio questa crisi - la sicurezza vera non è la necessità di avere dei caccia perché qualcuno ci bombarda sulla testa: la sicurezza è quella del lavoro, è quella dell’assistenza, quella legata all’ambito finanziario. L’Italia è stata sotto attacco finanziario e noi non avevamo risorse per poterlo fermare perché, in un certo senso, non avevamo possibilità di investire nelle imprese, nei cittadini, nelle idee.

    D. – Ma servono questi F35 oppure no?

    R. – Secondo l’Aeronautica militare, sì. Noi diciamo di no. Anche da un punto di vista strategico militare, noi abbiamo già quasi 100 Eurofighter che sono effettivamente caccia da discesa, sono intercettori. Gli F35 sono caccia d’assalto, progettati per la proiezione offensiva, così dicono le diciture militari. Quindi, non solo per un discorso di costi ma per un discorso strategico, di obiettivi, noi crediamo che non servano e che anzi siano dannosi. In questo senso, il messaggio di mons. Giudici, vescovo di Pavia e presidente di Pax Christi, in cui si chiede di lasciare la strada di Erode e di andare verso la strada del bambino, ci sembra pienamente calzante.

    D. – Però, di fronte a questa frase dell’ammiraglio Di Paola, ministro della Difesa, che avete riportato anche voi di "Altraeconomia", non si può non ragionare: “La crisi non fa venire meno funzioni fondamentali come la difesa”. E’ credibile come frase?

    R. – Certamente. Il problema è un punto che noi sottolineiamo da tempo. Noi non capiamo perché difesa significhi militari. Non capiamo perché difesa voglia dire per forza armi. La difesa è una cosa più che legittima, ma non dobbiamo pensare che la si faccia solo sparando, tanto è vero che l’Italia è l’unico Paese al mondo - è una delle cose di cui potremmo vantarci e non lo facciamo mai - che nella legislazione si prevede stessa dignità tra la difesa armata e quella popolare non violenta, che è uno strumento che si potrebbe utilizzare. Non è solo dire non facciamo niente, ma è proprio uno strumento con cui si possono addestrare le persone e fare tutta una serie di percorsi. L’idea che ci sia della difesa solo la parte militare è qualcosa che non funziona. Lo vediamo anche nei conflitti. Dove si riesce veramente a raggiungere una pacificazione? Dove, di fronte a un intervento inizialmente di controllo, c’è stata subito una proiezione molto forte dell’ambito di riconciliazione e di ricostruzione. (bf)

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    L'Aquila 33 mesi dopo il sisma. Don Tracanna: giovani e anziani senza punti di ritrovo

    ◊   E’ stato il quinto terremoto più distruttivo in Italia in epoca contemporanea dopo Messina, Avezzano, l’Irpinia e il Friuli. A quasi tre anni di distanza dal sisma che ha colpito in particolare l’aquilano, sembra ancora lontano il ritorno alla cosiddetta normalità. Il punto della situazione nel servizio di Davide Dionisi:

    Sono trascorsi due anni e nove mesi da quel terribile 6 aprile, quando alle ore 3.32 una scossa di terremoto di magnitudo pari a 5,9 della scala Richter ha devastato L’Aquila e dintorni. Tragico il bilancio: oltre 300 vittime, 1600 feriti ed oltre 10 miliardi di euro di danni stimati. La ricostruzione post terremoto non può farci dimenticare né lo spessore della tragedia in sé, né tantomeno le iniziative che vengono adottate per cercare di accelerare i tempi del ritorno alla cosiddetta normalità. E in questo la Chiesa locale è in prima linea. Cosa è cambiato da allora? Lo abbiamo chiesto a don Claudio Tracanna, responsabile dell’Ufficio Comunicazioni sociali dell’Arcidiocesi de L’Aquila:

    R. – La situazione non è troppo diversa da quella di due anni e mezzo fa, anche se qualche segno di speranza si vede. Abbiamo ancora più di 21 mila cittadini assistiti dallo Stato tramite il commissario per la ricostruzione, anche se, prima di Natale, sono stati finalmente assegnati tutti gli alloggi provvisori costruiti subito dopo il terremoto. Negli alberghi, al momento, abbiamo soltanto 500 persone. In più, sono state riconsegnate – sempre per Natale – 116 chiese alle varie comunità parrocchiali. La situazione, quindi, è ancora critica, però inizia a vedersi qualche segno di speranza.

    D. - Che servizio pastorale è quello che la Chiesa aquilana svolge in questo tessuto sociale così provato e in una zona così disastrata?

    R. – Penso che il servizio della diocesi sia stato e sia tutt’ora molto importante, perché non si è mai interrotto. Non si è interrotto nemmeno la notte delle scosse del 6 aprile, neanche il giorno successivo, ed è continuato fino ad oggi: i parroci sono stati vicini alle persone fin da subito, anche perché loro stessi erano degli sfollati e perciò hanno condiviso tutto con la gente, dalle tendopoli ai nuovi alloggi, compresa quella ricostruzione che ancora oggi stenta a partire. Oggi è importante avere dei luoghi. Sono proprio questi a mancare, nella nostra città: luoghi in cui incontrarsi per pregare e per socializzare. C’è una grave carenza di posti soprattutto per i giovani e gli anziani, che non sanno dove andare. I giovani li ritroviamo nell’unico, grande centro commerciale presente nella nostra città, mentre gli anziani sono rinchiusi in questi nuovi villaggi, perché spesso, oltre alla mancanza di luoghi, sono carenti anche i servizi nei nuovi villaggi. Speriamo che si possa ovviare a tutto ciò, anche con l’aiuto della Caritas nazionale: creare luoghi, in questi nuovi villaggi, per svolgere il nostro ministero.

    D. - Come guarda l’aquilano al futuro?

    R. – L’aquilano guarda al futuro certamente con speranza, anche se a volte, a causa di tutto quello che si vive qui, c’è molta tensione tra gli amministratori e i politici. A volte la tensione c’è anche tra la gente per tutto quello che è legato alla ricostruzione e spesso tutto questo viene accompagnato anche dalla rassegnazione. (vv)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Nigeria. I leader cristiani: vittime di pulizia etnico-religiosa

    ◊   In Nigeria “è in atto una pulizia etnica e religiosa sistematica”. La denuncia arriva dai leader cattolici e protestanti del Paese africano, vittima da giorni di aggressioni mirate contro i cristiani del nord. Oltre quaranta morti in 72 ore, questo il bilancio degli attacchi, a quattro giorni dalla scadenza dell’ultimatum lanciato dalla setta islamista “Boko Haram”, che ha rivendicato i massacri. “Andate via o sarete uccisi”, avevano minacciato gli estremisti, che progettano di imporre la sharia negli Stati del nord, a maggioranza musulmana. “I terroristi stanno strumentalizzando la religione per esclusivi obiettivi di potere”, ha affermato in un'intervista al sito "Vaticaninsider" l’arcivescovo di Lagos, mons. Ogokie, mentre “i cristiani - ha aggiunto - non si sentono protetti dallo Stato, che ha dimostrato di non essere in grado di garantire la sicurezza dei propri cittadini". Gli ultimi attacchi ieri nello Stato nordorientale di Adamawa, nel quale oggi vige “un coprifuoco di 24 ore”. Una misura presa dalle autorità locali, musulmane, nel tentativo di stroncare sul nascere un conflitto che minaccia di portare il Paese sull’orlo di una guerra civile, dopo che ieri i miliziani avevano combattuto con le forze di polizia nella città di Potiskum. Intanto, il presidente nigeriano, Goodluck Jonathan, che il primo gennaio aveva dichiarato lo stato di emergenza in alcuni Stati del nord, è intervenuto in televisione per spiegare al Paese la decisione di eliminare le sovvenzioni statali al petrolio. “Un provvidemento nell’interesse della Nigeria”, ha affermato il presidente, che ha portato tuttavia al raddoppio del prezzo del greggio, scatenando l’ira dei sindacati. Annunciato per domani uno sciopero generale in tutto il Paese. (A cura di Michele Raviart)

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    Iran: annunciato un sito sotterraneo per l'arricchimento di uranio

    ◊   Un sito sotterraneo per l’arricchimento di uranio in Iran sarà “operativo in un prossimo futuro” nella centrale di Fordow. L’annuncio arriva direttamente del capo dell’organizzazione per l’energia atomica iraniana, Fereydoun Abbasi Davani, che ha poi precisato che nel sito potrà essere prodotto uranio arricchito al 20%, 3,5% e 4%. “L’Iran è pronto a fornire servizi e tecnologie nucleari ai Paesi amici che ne facciano richiesta”, ha continuato Davani, rivolgendosi in particolare ai “Paesi africani che hanno ampie risorse di urano”. Secondo la Reuters la centrale di Fordow, situata in una montagna nell’area della città santa sciita di Qom, sarebbe stata già attivata a fine dicembre. (M.R.)

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    Il premier britannico Cameron promette di bloccare una Tobin tax europea

    ◊   In un’intervista alla Bbc, il premier britannico, David Cameron, ha detto che bloccherà una
    Tobin tax europea. ''Se i francesi vogliono introdurre una tassa sulle transazioni nel loro Paese dovrebbero essere liberi di farlo”, ha affermato, “ma l'idea di una nuova tassa europea quando quella tassa non verrà introdotta in altri luoghi non penso sia logica e la bloccherò''. A meno che, ha concesso, “il resto del mondo si metta d'accordo nello stesso momento e introduca un qualche tipo di tassa''. Cameron ha rilevato come imporre la tassa in Europa senza che simili misure vengano introdotte altrove danneggerebbe soltanto i posti di lavoro e la prosperità dei Paesi europei. Cameron ha poi osservato che “una tassa sulle transazione in Gran Bretagna esiste già e abbiamo uno dei mercati più competitivi e di successo”.(A.D.C.)

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    Sud Sudan. L'Onu smentisce le cifre della strage della scorsa settimana

    ◊   Le voci sul numero delle vittime degli scontri in Sud Sudan sono infondate. A riferirlo è Hilde Johnson, rappresentate speciale dell’Onu nello Stato africano, che ha smentito così la notizia di oltre 3.000 persone uccise nella regione di Pibor la scorsa settimana, in un attacco dell’etnia Nuer contro quella Murle, accusata di rapimento e furto di bestiame. Ancora non si conosce il bilancio esatto degli scontri, ma le cifre fatte circolare dal commissario della contea di Pibor, Joshua Konyi, non sono state confermate né dall’Onu, né dall’esercito del Sud Sudan. Hilde Johnson, dopo aver visitato la zona, ha elogiato i caschi blu che hanno difeso i civili che abitano nella contea, anche se un terzo delle case sono state incendiate e 60 mila persone hanno urgente bisogno di aiuto. (M.R.)

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    Birmania: possibile ruolo di governo per Aung San Suu Kyi

    ◊   L’attivista birmana Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace nel 1991, potrebbe avere un ruolo di governo qualora ottenesse un seggio in parlamento nelle prossime elezioni. Ad affermarlo è un consigliere della presidenza birmana, che ha ventilato la possibilità per la donna, leader dell’opposizione nel Paese, di ottenere un incarico “adeguato” nell’amministrazione pubblica, dopo le elezioni del prossimo aprile. La Lega nazionale per la democrazia - il partito fondato da Aung San Suu Kyi più di venti anni fa - è stata ufficialmente ammessa alle consultazioni elettorali, dopo essere stata bandita per anni dalla giunta militare. “Ignoriamo ancora come e dove svolgerà le sue funzioni, se verrà eletta”, ha affermato il portavoce della donna, liberata nel novembre 2010 dopo anni di prigionia, “ma potrà essere anche una semplice parlamentare”. Le elezioni di aprile assegneranno 48 seggi, lasciati vacanti da alcuni parlamentari divenuti ministri e sottosegretari, e sono guardate con fiducia dalla comunità internazionale. (M.R.)

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    India. Allarme delle Ong cristiane: radicali indù e musulmani infiltrati nelle Chiese

    ◊   Fondamentalisti islamici e radicali induisti si stanno infiltrando nelle comunità cristiane e nelle Organizzazioni non governative cristiane in India: il loro obiettivo è quello ottenere materiale che può essere usato contro i cristiani, soprattutto su Internet e attraverso i social network. E’ l’allarme giunto all’agenzia Fides dal “Catholic Secular Forum” (Csf), ong ecumenica che opera in India per la difesa dei diritti dei cristiani. I militanti, che agiscono come “spie”, passano poi le informazioni ottenute ai partiti politici estremisti e alle organizzazioni terroristiche. Le informazioni riguardano soprattutto le conversioni, i certificati di battesimo, i dettagli sui membri delle comunità, i documenti sulle proprietà. Molte informazioni sono interne e sono riservate, ma i radicali intendono renderle pubbliche per supportare le loro tesi malate (ad esempio: “i cristiani compiono conversioni fraudolente”) e istigare l’odio anticristiano. Secondo Csf e altre Ong cristiane, è aumentata sul web la diffusione di celebrazioni sui battesimi e matrimoni di cristiani convertiti, con fotografie e filmati, che i radicali utilizzano per loro scopi, come accaduto di recente al caso del Pastore protestante C. M. Khanna in Kashmir, accusato di aver manipolato e convertito al cristianesimo dei ragazzi musulmani. Il Csf nota che la circolazione di false informazioni mette in pericolo la vita dei convertiti e di molti cristiani e rischia di generare una nuova ondata di violenza sui cristiani. (R.P.)

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    Indonesia: i cattolici festeggiano una nuova chiesa nei pressi di Jakarta

    ◊   Una nuova chiesa intitolata a San Lorenzo sarà inaugurata verso la metà di gennaio nell’arcidiocesi di Jakarta. Un evento che è motivo di festa per i cattolici indonesiani e una conferma della situazione di relativa pace e armonia interconfessionale che si respira nella capitale del Paese .“La chiesa potrà ospitare fino a duemila fedeli, mentre si sono già registrati oltre diecimila che si aggiungeranno alle oltre 22.860 persone nella vicina parrocchia di Santa Monica, distante solo 6 km”, riferisce ad AsiaNews una giovane coppia di sposi. La chiesa parrocchiale di San Lorenzo è situata nel compound di Alam Sutera a Serpong, a circa 25 chilometri dal centro di Jakarta e sarà sotto la giurisdizione dell’arcidiocesi della capitale. Il progetto iniziale risale al 2004 ed è opera del sacerdote camilliano, padre Widyosuhardjo, che ha promosso con forza la costruzione di un nuovo luogo di culto. Un cammino lungo sette anni, tra certificazioni necessarie e reperimento di fondi. In un primo momento, la futura parrocchia di San Lorenzo era solo “un piccolo luogo di culto”, legato alla parrocchia di Santa Monica a Serpong. Istituita 15 anni fa, la parrocchia di Santa Monica ha raccolto fedeli di diverse aree, rendendo necessaria la realizzazione di nuove chiese che fossero in grado di accogliere il vasto numero di persone che partecipavano ai riti domenicali, alle funzioni in programma durante la settimana e in occasione delle principali festività. Negli anni, sono così sorte le parrocchie di Sant’Odilia e Sant’Elena. La parrocchia di San Lorenzo sarà la terza della zona e, secondo le previsioni, sarà colma di fedeli come le due che l’hanno preceduta nel corso degli anni. Intanto, il 3 gennaio scorso, sempre ad Alam Sutera, si è tenuta una celebrazione promossa da leader cristiani, che ha visto la partecipazione di fedeli musulmani provenienti dal Tangerang del Sud e da Banten. L’arcivescovo di Jakarta, mons. Ignatius Suharyo, e il vescovo di Bogor, Michael Angkur, insieme con 13 sacerdoti provenienti da varie parrocchie, hanno celebrato una Messa, pregato per la pace e promosso il dialogo interreligioso. (M.R.)

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    La diocesi di Milano si prepara al VII Incontro mondiale delle famiglie

    ◊   “Apri la porta al mondo”: questa l’esortazione contenuta nei volantini che l'arcidiocesi di Milano sta distribuendo per sensibilizzare le famiglie all’accoglienza in occasione del VII Incontro mondiale delle famiglie, che si terrà nel capoluogo lombardo tra il 29 maggio e il 3 giugno prossimi e al quale parteciperà anche Benedetto XVI. L’invito è quello di “regalarsi un viaggio stando a casa” e di scoprire “la condivisione di momenti preziosi con chi non avresti mai pensato di incontrare”. Secondo le stime riportate dal Sir, occorrono centomila famiglie residenti nel territorio della diocesi che diano la disponibilità a offrire un po’ di spazio in casa propria per ospitare. Intanto, dal 10 al 19 gennaio, in preparazione dell’evento, la Fondazione Milano Famiglie 2012, propone otto incontri sul tema dell’accoglienza in famiglia. (R.B.)

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    Tornano le letture teologiche del Magistero del Papa: nel 2012 le omelie pasquali

    ◊   Anche nel 2012 riparte il ciclo di letture teologiche dedicato al magistero di Benedetto XVI. In primo piano, quest’anno, nella consueta cornice dell’Aula della Conciliazione del Palazzo Lateranense a Roma, le omelie pasquali del Papa. Questo il programma riportato dal Sir: si parte giovedì 19 gennaio con “L’uomo nuovo: mito o realtà?”, sul tema dell’omelia della veglia pasquale del 2007. All’incontro interverranno il rettore dell’Università Lateranense, mons. Enrico Dal Covolo, Alberto Siracusano, docente nell’ateneo di Tor Vergata, e Lorenza Lei, direttore generale della Rai. Il 26 gennaio, invece, sarà la volta dell’omelia della veglia del 2008, “L’identità dell’uomo nel tempo e oltre il tempo” con Livio Melina, preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, Laura Palazzani, docente di Filosofia del diritto alla Lumsa, e Angelo Luigi Vescovi, direttore scientifico dell’ospedale Casa sollievo della sofferenza. L’ultimo incontro, il 2 febbraio, sulla veglia del 2009, “La stabilità dell’uomo nel mondo globalizzato” con l’arcivescovo Luis Francisco Ladaria Ferrer, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, il giurista Gian Piero Milano e il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini. (R.B.)

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    Ucraina: fondata l’Associazione dei media cattolici

    ◊   I giornalisti cattolici dell’Ucraina si sono uniti nell’"Associazione degli Operatori dei media cattolici". "Inizialmente comunicavamo tramite Facebook e si è formata così una cerchia costante di persone che condividevano le stesse opinioni”, ha spiegato al Sir padre Mykola Myshovskyi, caporedattore della rivista “Credo”. “Successivamente - ha aggiunto - abbiamo deciso di avviare un progetto comune che, come ci auguriamo, sarà utile alla Chiesa greco-cattolica dell’Ucraina (Ugcc) e alla Chiesa cattolica romana (Rcc) del Paese”. Secondo il caporedattore della rivista dal Patriarcato, Anatolii Babynski. l’associazione - nata a Kiev dopo un incontro a dicembre e che conta attualmente 80 soci - dovrebbe promuovere la crescita professionale e spirituale dei soci, oltre a “rafforzare la voce della Chiesa nella società ucraina”. Padre Myshovskyi e Anatolii Babynskyi sono stati eletti co-presidenti della nuova associazione. (M.R.)

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    Bulgaria: una mostra d’arte esempio di convivenza pacifica

    ◊   Si chiama “Tolleranza: faro per la fede e per la vita” la mostra che verrà inaugurata il 10 gennaio prossimo al Museo archeologico nazionale di Sofia, in Bulgaria. Ideata e organizzata da Stefano Benazzo, ambasciatore d’Italia in Bulgaria e modellista, l’esposizione non ha solo un grande valore artistico, ma “celebra il dialogo interculturale e interreligioso in atto nel Paese”, dove convivono pacificamente diverse etnie e religioni come quella ebraica, quella cristiana, la musulmana e altre ancora, come ha dichiarato a Sir Europa mons. Janusz Bolonek, nunzio apostolico in Bulgaria. “Un’esposizione variegata – l’ha descritta il presule – realizzata grazie alla partecipazione di autori provenienti da Paesi diversi e con età, professione e confessioni diverse”. (R.B.)

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    Convegno salesiano a Roma sulla cultura vocazionale

    ◊   “Parlare ai giovani di vocazione significa offrire loro l’opportunità di guardare in fondo alla propria vita, alla ricerca del senso e dei valori in essa celati, in ascolto di Colui che è la vita e il datore di ogni dono”. Con queste parole don Claudio Belfiore, responsabile dell’Ufficio nazionale salesiano delle parrocchie e degli oratori, introduce il convegno che si svolgerà a Roma dal 9 al 12 gennaio prossimi presso il Salesianum in via della Pisana e al quale si prevede la presenza di 200 confratelli. Uno degli obiettivi prefissati, riferisce la Zenit, è approfondire la riflessione del 26.mo Capitolo generale del 2008 sulla cultura vocazionale. Un tema “fondamentale perché – insiste don Claudio Belfiore – tocca in profondità la vita di ogni uomo e dei giovani in particolare", ai quali "dischiude gli orizzonti del senso e del futuro, abilita alla progettualità e alla responsabilità, coltiva il senso della fiducia e della speranza”. Secondo il sacerdote, questi sono i bisogni principali dei giovani, oltre naturalmente al lavoro, alla professionalità e alla sicurezza economica. Ad aprire i lavori sarà don Carmelo Sciuto, dell’Ufficio catechistico nazionale della Conferenza episcopale italiana, che parlerà del rinnovamento dell’iniziazione cristiana con il riferimento al magistero. Poi sarà la volta di don Nico Dal Molin, del Centro vocazionale Cei, mentre don Enrico Leoni, coordinatore nazionale dell’Ufficio salesiano dell’animazione vocazionale, curerà un approfondimento sulla situazione del Medio Oriente. Don Mario Delpiano, inoltre, presenterà l’attività pastorale nel contesto oratoriano, don Luigi Spada nel contesto parrocchiale e don Alberto Martelli nel contesto specifico della comunità religiosa. Chiuderà i lavori don Pier Fausto Frisoli, responsabile all’interno del Consiglio generale della Congregazione salesiana. (R.B.)

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