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Sommario del 03/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Messaggio del Papa per la Giornata del Malato: la fede è ancora sicura per chi soffre
  • Il cardinale Ortega: il Papa “pellegrino della carità” a Cuba
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto: terzo turno delle parlamentari. In Tunisia udienza del processo a Ben Ali
  • Siria, Sarkozy: gli osservatori siano liberi di fare il proprio lavoro
  • In Germania cresce l’occupazione nonostante la crisi dell'euro
  • Il cardinale Sarr: non viene fatto tutto il possibile per la pace in Casamance
  • Africa in primo piano nei piani del nuovo direttore della Fao, Graziano da Silva
  • Don Dal Molin: dopo le Gmg più giovani intraprendono cammini di discernimento vocazionale
  • "Tassa ingiusta": così mons. Perego sul contributo per il permesso di soggiorno
  • Il cardinale Bagnasco sulla piaga del gioco d'azzardo: "Una droga da cui guardarsi"
  • È morto l’arcivescovo emerito di Udine mons. Battisti, amato per il suo impegno nel Friuli del dopo terremoto
  • I progetti del neodirettore del Festival del cinema di Venezia, Alberto Barbera
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Nigeria: l’esercito rassicura i cristiani minacciati da Boko Haram
  • Usa: con i “caucus” in Iowa, al via le primarie repubblicane
  • I vescovi dell'India: parlamento approvi la legge sulla violenza interreligiosa
  • Sud Sudan: nello Stato di Jonglei migliaia di sfollati senza assistenza
  • Messico: ogni giorno scompaiono 41 bambini, coinvolti in bande criminali o sfruttati
  • Rep. Dominicana: il cardinale López Rodríguez chiede una campagna elettorale senza violenza
  • Honduras: il cardinale Maradiaga esorta a riempire il tempo di amore e di solidarietà
  • Brasile: inaugurata la prima cappella dedicata alla Beata Chiara Badano
  • Taiwan: lettera pastorale dei vescovi sul Sacramento dell'Eucarestia
  • Irlanda: mons. Martin auspica l’avvio di un dibattito “maturo” sul ruolo della fede nella società
  • Portogallo: per la crisi il cardinale Policarpo esorta a riscoprire la Dottrina sociale della Chiesa
  • Ungheria: al via l’iter parlamentare del nuovo disegno di legge sulle Chiese
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messaggio del Papa per la Giornata del Malato: la fede è ancora sicura per chi soffre

    ◊   L’importanza dei “Sacramenti di guarigione” sono al centro del Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale del Malato, che ricorre il prossimo 11 febbraio. Il documento, pubblicato oggi, ha per tema: “Alzati e va’: la tua fede ti ha salvato!”, tratto dal Vangelo di Luca. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    I malati e i sofferenti trovino nella fede “un’ancora sicura”: è l’incoraggiamento di Benedetto XVI che nel suo Messaggio per la Giornata del Malato sottolinea che “chi crede non è mai solo”. Il Papa si rivolge con parole di particolare vicinanza ai malati e ai sacerdoti che operano negli ospedali, chiamati a sentirsi “veri ministri degli infermi”. E ribadisce che, sull’esempio di Cristo, i fedeli sono chiamati ad accogliere ogni vita umana, specie se "debole e malata", e a chinarsi “sulle sofferenze materiali e spirituali dell’uomo per guarirle”. Si sofferma quindi sui “Sacramenti di guarigione”, ovvero della Penitenza e della Riconciliazione e su quello dell'Unzione degli infermi che “hanno il loro naturale compimento nella Comunione Eucaristica”. Sacramenti che mettono in luce “il binomio tra salute fisica e rinnovamento dalle lacerazioni dell’anima”.

    Chi nella malattia “invoca il Signore”, scrive il Papa, è “certo che il Suo amore non lo abbandona mai” e che anche “l’amore della Chiesa” non viene mai meno. Nel Sacramento della Penitenza, nella “medicina della confessione”, osserva, “l’esperienza del peccato non degenera in disperazione, ma incontra l’Amore che perdona e trasforma”. Per questo, il momento della sofferenza invece che essere di disperazione può “trasformarsi” in “un tempo di grazia per rientrare in se stessi”, ripensare alla propria vita e ai propri errori come il figliol prodigo. Auspica poi che venga valorizzato il Sacramento dell’Unzione degli Infermi, che, scrive, non va ritenuto “quasi un sacramento minore rispetto agli altri”. Anzi, ribadisce il Papa, questo Sacramento “merita oggi una maggiore considerazione, sia nella riflessione teologica, sia nell’azione pastorale verso i malati”.

    Il Messaggio non manca infine di mettere l’accento sull’importanza dell’Eucaristia. Ricevuta nel momento della malattia, constata, “contribuisce in maniera singolare ad operare tale trasformazione” associando il malato all’offerta che Gesù “ha fatto di se stesso al Padre per la salvezza di tutti”. Di qui l’esortazione all’intera comunità ecclesiale e in particolare alle parrocchie affinché “prestino attenzione nell’assicurare la possibilità” a malati ed anziani “di accostarsi con frequenza alla Comunione”.

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    Il cardinale Ortega: il Papa “pellegrino della carità” a Cuba

    ◊   Già fervono i preparativi a Cuba e in Messico per il viaggio che il Papa compirà in questi due Paesi del continente americano dal 23 al 28 marzo prossimo. Gli episcopati locali hanno già pubblicato il programma della visita, annunciata dallo stesso Benedetto XVI. Ma come è stata accolta la notizia a Cuba? Alina Tufani lo ha chiesto all’arcivescovo dell’Avana, il cardinale Jaime Ortega:

    R. – Fue una grande alegria...
    E’ stata una grande gioia. E’ un evento tanto atteso: per noi è sorprendente che il Papa abbia scelto il nostro Paese assieme al Messico per venire in America Latina. Il Messico è un grande Paese, emblematico per tutta l’America Latina, e Cuba si trova nel tragitto di questo viaggio. Il Papa era stato invitato già da tempo, fin dalla visita del cardinale Bertone a Cuba, in un momento che coincideva con l’insediamento del nuovo presidente, Raul Castro, che in quell’occasione invitò calorosamente il Papa, in modo insistente, perché venisse a Cuba. Eravamo pieni di speranza e il Papa stesso, quando io gli parlavo di questo invito, mi diceva di portare nel cuore questo desiderio di essere a Cuba.

    D. – Senza dubbio, la visita di Giovanni Paolo II ha segnato la storia di Cuba. Quali aspettative ha la Chiesa per questa nuova visita di un Papa?

    R. – El Papa ha tenido ahora una ocasion...
    Il Papa ha adesso un’occasione privilegiata per venire a Cuba: la celebrazione dei 400 anni dal ritrovamento dell’immagine della Vergine della Carità del Cobre. Questa devozione è davvero nazionale e unisce in maniera speciale i cubani: la gente qui sa che la carità ci unisce. Il Papa vuole prima di tutto celebrare il giubileo della Vergine della Carità e verrà a Cuba proprio come “pellegrino della carità”. Quali sono le nostre aspettative? Abbiamo già avuto l’esperienza della visita di Giovanni Paolo II, che ha segnato la storia della nostra nazione cubana, che ha creato un prima e un dopo, anche se questo non è quantificabile dal punto di vista matematico, così come le cose dello spirito non sono quantificabili. I cambiamenti che produce un’azione rivolta all’intimo del cuore umano e all’anima dei popoli non sono verificabili come per un evento qualsiasi, ma lasciano un’impronta che fa sì che nasca una nuova fase. Ora, c’è un ricordo enorme della visita di Giovanni Paolo II e c’è una grande attesa per l’arrivo di Benedetto XVI. E’ l’impronta che resta nello spirito di questa gente. E questo è un momento molto opportuno perché il Papa raccolga il frutto di tutto ciò.

    D. – La visita di Giovanni Paolo II ha cambiato molte cose per la Chiesa, che ora ha più accesso nei mezzi di comunicazione e può accogliere missionari dall’estero…

    R. – Si, como es logico......
    Sì, abbiamo più accesso ai mezzi di comunicazione. Io già da anni pronuncio il Messaggio di Natale sul canale più seguito della televisione cubana e questi interventi hanno un impatto incredibile. Inoltre, non ci sono difficoltà per l’entrata dei missionari a Cuba dopo la visita di Giovanni Paolo II. Ci sono molte cose che si sono aperte, passo passo, per esempio il fatto di poter ricevere libri religiosi di tutti i tipi, filosofici, teologici, di divulgazione religiosa. Io credo che l’aspetto più difficile sia la crisi delle vocazioni. Grazie a Dio abbiamo costruito un seminario all’Avana. Qui, ci sono 60 seminaristi da tutto il Paese e questo vuol dire che c’è un bel gruppo di cubani che si preparano per il sacerdozio. Ci sono meno vocazioni per quanto riguarda la vita consacrata femminile, ce ne sono di più per il sacerdozio. Ma non possiamo confidare solo nelle nostre possibilità, abbiamo bisogno di un aiuto dall’estero. Dobbiamo comunque animare di più i laici. Quello che manca ancora è infatti la partecipazione dei laici. Qui c’è il cammino della Chiesa per il futuro. (ap)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Accanto a ogni vita debole e malata: nel messaggio per la Giornata mondiale Benedetto XVI raccomanda ai sacerdoti i sacramenti di guarigione.

    In prima pagina, un editoriale di Lucetta Scaraffia dal titolo "Il Papa e la storia".

    In rilievo, nell'informazione internazionale, la persistente tensione fra Iran e Stati Uniti.

    Quando i sindaci di Roma erano poeti: in cultura, Marco Beck ed Emilio Ranzato sul film di Claudio Bondì "Il ritorno" - su Claudio Rutilio Namaziano, "praefectus Urbi" nel V secolo - riscoperto da letteratura, teatro e cinema.

    Amico dell'invisibile: Claudio Toscani sulla tensione metafisica di Eugenio Montale.

    Un articolo di Eliana Versace dal titolo "Angelico senza segreti": come l'arcivescovo Montini appoggiò la leggendaria impresa informatica dell' "Index Thomisticus" di padre Roberto Busa.

    Mirone e Caravaggio per non vedenti: Alessio Conti sul percorso plurisensoriale dei Musei Vaticani.

    Nell'informazione religiosa, Jean-Louis Bruguès sull'urgenza di un'ecologia umana da san Francesco d'Assisi a Benedetto XVI.

    Gli auguri del presidente Monti a Benedetto XVI.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto: terzo turno delle parlamentari. In Tunisia udienza del processo a Ben Ali

    ◊   In Egitto seggi aperti per il terzo turno delle votazioni per la Camera bassa del Parlamento. Si vota negli ultimi 9 dei 27 governatorati in cui è diviso il Paese, le urne saranno aperte oggi e domani, il processo elettorale - di cui molti hanno criticato la farraginosità - terminerà a febbraio (il voto per l'elezione della Camera alta prenderà il via il 29 gennaio). Le consultazioni, le prime dalla deposizione del presidente Hosni Mubarak, lo scorso anno, vedono l’affermazione del partito Giustizia e Libertà, braccio politico di Fratelli Musulmani. La formazione ha infatti conquistato le prime due tornate elettorali con circa il 40% dei voti. Il numero due dello schieramento, Rashad Bayoumi, ha annunciato che Israele non sarà mai riconosciuto e che il trattato di pace firmato nel 1979 sarà sottoposto a referendum. Secondo partito è al momento Al Nour, espressione dei salafiti. Intanto in Tunisia oggi si tiene l’udienza del processo contro l'ex presidente Zine El Abidine Ben Ali e altri alti rappresentanti governativi per la morte di 43 manifestanti durante le proteste di piazza antiregime. Sulle consultazioni in Egitto Massimiliano Menichetti ha intervistato Francesca Corrao, docente di lingua e cultura araba all’Università Luiss:

    R. – Queste elezioni non sono di fatto molto importanti, perché in realtà chi scriverà la Costituzione che sarà poi votata da un referendum, a giugno, saranno 100 rappresentanti scelti tra intellettuali, professionisti e parlamentari. Direi quindi che più che preoccuparci di questa “scheggia” - come si potrebbe definire secondo la vecchia politica – dell’estremismo salafita, dovremmo evidenziare la crucialità di quest’anno e le elezioni del prossimo, quando cioè si voterà con la nuova Costituzione. Il Paese, ha comunque tutto il tempo e tutte le carte per poter dare segno di un’importante svolta democratica, come ha già dato la piazza nel corso di questi mesi.

    D. – In questo scenario il numero due dei fratelli musulmani, Rashad al-Bayoumi, ha annunciato che Israele non sarà mai riconosciuto e che il trattato di pace firmato nel 1979 sarà sottoposto a referendum…

    D. – E’ un’opinione che di certo preoccupa. Credo però che questo sia un momento particolare e dovremo quindi muoverci per conoscere meglio quella che è la realtà egiziana. Questa realtà ci ha dimostrato, nel corso di un anno, quanti partiti siano emersi e quanta voglia ci sia di creare dibattito, di allearsi, come ha fatto in un primo momento l’Alleanza democratica, dove erano andati a confluire i gruppi più conservatori e più secolari o anche il blocco egiziano. Ci sono molti partiti in realtà. Certamente si fa fatica ad orientarsi nel passaggio da una dittatura rigida ad un’apertura al dialogo, dove però c’è anche, come sempre, chi ha voce perché ha i soldi per poter fare propaganda.

    D. – Lei dice quindi che uno dei rischi è che vengano messe in evidenza delle frasi, magari di contrasto, rispetto ad una realtà che si sta evolvendo?

    R. – Esatto. Cerchiamo di seguire l’evoluzione, di sostenerla e cerchiamo anche di mettere ai margini le frasi di contrasto o le espressioni di rottura piuttosto che di armonizzazione. Ci siamo tutti stupiti per le contestazioni di piazza e questo perché erano 10 anni che l’Egitto era associato solo a terrorismo e arabi estremisti e fanatici. Poi, però, si è scoperto che a piazza Tahrir c’erano pacifisti, musulmani e cristiani che pregavano insieme, nel reciproco rispetto. Quella che vediamo in Egitto è una realtà in forte evoluzione e bisogna fare attenzione a cosa si mette in evidenza.

    D. – Ieri è ripreso il processo all’ex presidente egiziano, Mubarak, per la repressione armata contro le proteste dello scorso inverno. Oggi udienza anche per l‘ex presidente tunisino, Bel Ali, sempre per la morte di dissidenti…

    R. – Sono processi-simbolo ed ovviamente affermano voglia di rispetto per le istituzioni e per i diritti. Poi è ovvio: tutto dipende da come andranno a finire i processi stessi, se saranno o meno delle farse. La cosa certa è che in tutte le transizioni dalle dittature alle democrazie, elementi di incontro e scontro come quello sugli scranni di un tribunale hanno messo alla prova la capacità di un popolo di dimostrare la propria crescita e maturità in senso democratico. Il percorso è certamente lungo, tuttavia questo è un segno molto importante.

    D. – Dunque che cos’è, ad oggi, la primavera araba?

    R. – La rivoluzione araba ha segnato una stagione fondamentale, è stata un punto di non ritorno, a dimostrazione che c’è voglia di democrazia, di libertà, di dialogo e di giustizia. E’ noto che il passaggio dalla dittatura alla democrazia richiede dei tempi lunghi e questi si costruiscono attraverso il dialogo e la cooperazione, la conoscenza e soprattutto l’interazione proficua, com’era già stato fatto in precedenza tra le varie sponde del Mediteranneo. Credo che l’Unione del Mediterraneo, di cui si parla tanto, debba portare avanti quella che è stata una cooperazione importante e promuoverla ulteriormente. (vv)

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    Siria, Sarkozy: gli osservatori siano liberi di fare il proprio lavoro

    ◊   Non si fermano gli attacchi in Siria. Stamani, secondo l’agenzia ufficiale Sana, alcuni terroristi hanno fatto saltare in aria un gasdotto nella regione di Homs, epicentro delle proteste contro il regime di Assad. Non si spengono, intanto, le polemiche sulla missione degli osservatori della Lega Araba. Sono di oggi le dichiarazioni del presidente francese, Nicolas Sarkozy, che ha esortato Assad a lasciare il potere. Il capo dell’Eliseo ha anche chiesto che gli osservatori siano liberi di svolgere il proprio lavoro. Sulla missione nel Paese, Benedetta Capelli ha intervistato Silvia Colombo, ricercatrice dell’Istituto di Affari internazionali:

    R. - Si tratta di un tema molto delicato viste le difficoltà che hanno comunque portato all’accettazione da parte del regime di Bashar Al Assad, di questa missione di osservatori nel Paese. C’è forse bisogno di tempo, affinchè questa missione compia quel poco di lavoro che può fare sul campo. Tutti questi mesi di violenze, di repressione e di successivi tentativi di mediazione sono falliti e soltanto adesso sembra essersi aperto questo spiraglio. Al di là delle critiche e delle problematicità della missione stessa, di come è stata costruita, di quali sono i suoi obiettivi concreti e qual è la leadership affidata al generale sudanese - tutti elementi importanti da analizzare - forse è opportuno concentrarsi soprattutto su quello che sta avvenendo sul campo.

    D. - Secondo lei, quanto sta pesando la posizione della Russia, che non spinge perchè ci siano nuove sanzioni nei confronti del regime di Damasco?

    R. - Secondo me, il contesto internazionale è sicuramente colpevole, e in larga parte determinante, per il protrarsi del conflitto e delle sanguinose violenze in Siria. Se guardiamo alla situazione attuale sul campo, vediamo da una parte l’aumento delle violenze - nonostante la presenza di questa missione - e dall’altra c'è un presidente, un regime che ha comunque aperto alla missione della Lega Araba, pur mantenendo fermamente il potere nel proprio Paese e nonostante le voci di vulnerabilità. In questi mesi, le decisioni prese all’interno dei vari consessi internazionali sono in parte responsabili di questo protrarsi delle ostilità, nel senso che sicuramente, se ci fosse stata una presa di posizione e la possibilità di imporre sanzioni molto più dure rispetto alle semplici sanzioni economiche imposte dall’Unione europea, dagli Stati Uniti e successivamente dalla Lega araba, forse si sarebbe potuto evitare di arrivare a questa situazione e soprattutto al fatto che ancora non si vede uno spiraglio.

    D. - Secondo lei, basterà semplicemente rimuovere Bashar Al Assad per dare un nuovo corso alla Siria?

    R. - Come si è visto nella "primavera araba", sicuramente la rimozione dei dittatori, delle figure autoritarie in Tunisia, in Egitto, in Libia sono stati momenti determinanti per avviare un processo di transizione. Nel caso della Siria la situazione sarà sicuramente molto più complessa, visto che siamo ormai oltre nove, dieci mesi di conflitto, di scontro in un Paese dagli equilibri e dalle dinamiche interne molto delicati per il contesto geopolitico in cui si trova, e anche per la composizione etnica e religiosa della popolazione siriana. Non si può comunque escludere il fatto che il Paese, viste appunto queste difficoltà e il protrarsi del conflitto, piombi in una fase ancora più buia di conflitto.

    D. - In questo contesto, quanto pesa il vicino Iran?

    R. - Sicuramente il rapporto tra Siria e Iran è molto, molto complesso: oggi l’Iran con le sue provocazioni sta lanciando un messaggio: non vuole essere tagliato fuori dallo scacchiere regionale. Nel momento in cui il suo più forte alleato nella regione, che è proprio la Siria di Bashar Al Assad, si trova in un momento di crescente difficoltà e anche nel momento in cui in tutta la regione del mondo arabo si stanno affermando movimenti islamisti che si rifanno alla corrente sunnita mentre l’Iran è un Paese sciita. Probabilmente vedremo Teheran sempre di più protagonista nel momento in cui dovesse esserci fisicamente una caduta del regime di Bashar al Assad. (bi)

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    In Germania cresce l’occupazione nonostante la crisi dell'euro

    ◊   Il tasso di disoccupazione in Germania è sceso a meno del 7%, cioè ad un livello minimo dalla riunificazione tra est e ovest. Nel 2011 il numero di persone occupate è cresciuto dell’1,3% rispetto all’anno precedente. In questo momento di crisi globale e in particolare di forte crisi europea, certamente alcuni problemi di alcuni Paesi possono risultare positivi per altri, in termini di tassi di interesse o di esportazioni, ma l’analisi del successo della Germania deve comprendere diversi fattori, come spiega, nell’intervista di Fausta Speranza, l’economista Alberto Quadrio Curzio:

    R. – Innanzitutto la Germania ha continuato a migliorare la qualità dei suoi prodotti manifatturieri, che sono un vero punto di forza su scala mondiale. Inoltre io credo che il sistema istituzionale tedesco funzioni molto bene e che tutto ciò favorisca anche l’economia.

    D. – Ma si può dire che in questi anni la Germania abbia fatto da “formichina” mentre Paesi come Irlanda, Spagna, Grecia e Italia, anche con tutte le diversità delle situazioni, hanno fatto un po’ da “cicala”?

    R. – La Germania è stata certamente cauta, ma non ha evitato degli errori, perché il suo sistema bancario – per esempio – era molto esposto e lo è tuttora verso i Paesi periferici dell’eurozona: la Grecia, la Spagna e il Portogallo, meno nei confronti dell’Italia per varie ragioni. Tuttavia è riuscita a cavarsela anche in questa circostanza, perché il finanziamento del suo debito pubblico è diventato, via via, meno oneroso in quanto i titoli di Stato tedeschi sono stati considerati molto affidabili e il risparmio si è precipitato ad acquistare quei titoli, facendo scendere i tassi di interesse. Ciò detto, bisogna ricordare che sono stati fatti significativi investimenti in infrastrutture; le imprese hanno investito molto, anche per un regime fiscale favorevole, nella ricerca scientifica e tecnologica. E quindi è stato tutto l’insieme del Paese che ha certamente retto molto bene.

    D. – Ci piacerebbe pensare che dopo aver visto che in fase di globalizzazione anche i problemi si fanno ormai globali, anche che questa ricchezza e prosperità della Germania possa farsi in qualche modo globale anche in Europa, se le cose riescono ad andare meglio…

    R. – Io penso e spero che sia così. Naturalmente la Germania non solo deve essere apprezzata per le ragioni che dicevo prima, ma deve essere anche valutata e quando si dice valutata deve essere anche giudicata. Io credo che la Germania non sia stata sufficientemente lungimirante nel 2011, ma anche nel 2010, nell’affrontare la crisi greca e adesso le crisi conseguenti. La Germania è il più potente Paese dell’Europa e uno dei Paesi più forti del mondo, ma da sola in un contesto di globalizzazione pesa relativamente poco: se la Germania non capisce che questo suo nuovo status di potenza leader in Eurolandia le attribuisce anche delle responsabilità per ciò che attiene i profili di solidarietà europea, temo che la crisi europea non si risolverà a breve termine e che la stessa Germania risentirà di questa crisi, perché il 60 per cento delle sue esportazioni va verso il resto dell’Europa.

    D. – Visto che parliamo di Germania, parliamo anche di bund, di titoli tedeschi, e dunque di spread tra Btp italiani e titoli tedeschi: è destinato a rimanere alto questo spread?

    R. – Io credo che il livello dello spread in questo momento sia falsato dai mercati, perché, da un lato, è stato generato dal calo dei tassi di interesse sui titoli tedeschi per il forte afflusso di risparmio verso la Germania e, dall’altro lato, per l’aumento del tasso di interesse sui titoli italiani a causa della percezione di un maggior rischio che il mercato ha attribuito ai titoli stessi. Io credo che se noi guardassimo ai fondamentali dei due sistemi economici, proveremmo che questo spread non è rappresentativo dei fondamentali: ma i mercati in questo momento decidono in tale direzione. Io non credo che nel medio termine questo spread rimarrà così e non solo perché l’Italia ha dei conti pubblici che sono sostanzialmente in ordine, malgrado l’alto debito, ma anche perché chi ha comprato titoli tedeschi, pagandoli prezzi notevolmente sopra la pari, corre anch’esso qualche rischio: prima o dopo quei titoli potrebbero avere dei cali di prezzo. (mg)

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    Il cardinale Sarr: non viene fatto tutto il possibile per la pace in Casamance

    ◊   Il Senegal si prepara alle elezioni presidenziali del 26 febbraio e sale in questi gioni la competizione elettorale. Di oggi è la notizia della candidatura alla corsa presidenziale anche del cantante Youssou N’Dour, che entra nella rosa di coloro che sfideranno il capo dello Stato uscente, Abdoulaye Wade. Nel fianco delle autorità di Dakar rimane tuttavia la “spina” rappresentata dal trentennale conflitto in Casamance, regione indipendentista dominata dal Movimento delle forze democratiche della Casamance (Mfdc). E proprio all'arcivescovo della capitale, il cardinale Theodor-Adrien Sarr, gli indipendentisti si sono rivolti per facilitare un difficile negoziato di pace. Il porporato ne ha parlato al microfono della collega della redazione francese, Hélène Destombes:

    R. – Un group de combattants de Mfdc qui est dans le Maki …
    Un gruppo di combattenti del Movimento di forze democratiche della Casamance (Mfcd) che si trova in Maki, mi ha contattato per chiedermi di voler facilitare i rapporti tra loro e il presidente della Repubblica, per favorire un dialogo che porti a deporre le armi e a firmare la pace. Io non potevo certo rifiutare questa richiesta, pur sapendo che si tratta comunque di una richiesta rivolta da un solo gruppo del Maki e non certo da tutto il Maki. La speranza è che, piano piano, possa venire contattato anche da altri gruppi e che questa richiesta diventi sempre più ampia fra i combattenti del Mfdc. Evidentemente, prima di accettare, ho aspettato che il presidente della Repubblica desse il suo consenso.

    D. – Giocherà, dunque, il ruolo di “mediatore” con l’appoggio della Chiesa locale: ma molto concretamente quali saranno le azioni che pensate di intraprendere?

    R. – L’église de Ziguinchor a fait un plan de action que comporte…
    La Chiesa di Ziguinchor ha fatto un piano di azione che, almeno in una prima fase, si tradurrà in un momento di sensibilizzazione e di preghiera nelle parrocchie della diocesi. Questo è stato fatto anche nei giorni scorsi, in occasione della Giornata mondiale della pace del primo gennaio: sono andato a Zinguicnchor per celebrare la Messa, nella quale abbiamo chiesto a Dio di donare la pace alla Casamance. In questa circostanza, ho avuto anche la possibilità di lanciare diversi appelli, specie a coloro che impugnano le armi, siano essi i combattenti del Mfdc o i soldati dell’esercito senegalese e a chi comanda su entrambi i fronti.

    D. – Nella sua omelia, lei ha denunciato l’avidità di alcuni speculatori e la negligenza di alcuni responsabili: a chi si riferiva?

    R. – Vous savez très bien que ce genre de conflit, que dure de plus de 28 ans
    Voi sapete bene che questo tipo di conflitto, che dura da ormai più 28 anni, non si può certo dire che sia dovuto unicamente a interessi oscuri o nascosti. Ho voluto quindi levare un appello al cuore delle persone, perché accettino di anteporre ai propri interessi quello degli altri e pensino realmente alla vita delle persone e a chi è morto. Pensino alla popolazione della Casamance che non riesce a rialzarsi, non riesce a lavorare, non riesce ad attuare uno sviluppo economico a causa di questa continua insicurezza. Ho lanciato un appello anche al governo, per dire che la pace si può attuare e che ritengo che in questi 28 anni non si sia fatto tutto il possibile per risolvere questo conflitto. Infine, ho rivolto un appello ai Paesi vicini che certamente possono aiutarci molto.

    D. – L’intervento del Gambia e della Guinea Bissau può essere determinante nella risoluzione del conflitto?

    R. – Je pense vraiment que se le gouvernement de Sénégal ouvre de négociations…
    Io credo davvero che se il governo del Senegal riuscirà ad avviare dei negoziati con i combattenti dell’Mfcd, bisognerà vedere come la Guinea Bissau e il Gambia si comporteranno per contribuire alla risoluzione della questione dei combattenti che si rifugiano facilmente sui loro territori. Certamente, tutto potrebbe essere risolto.

    D. – Lei è convinto che oggi le due parti in conflitto siano realmente pronte ad intraprendere dei veri negoziati?

    R. – Les populations de Casamance sont fatiguées..
    La popolazioni della Casamance sono ormai stanche di questo conflitto e chiedono la pace, questo è chiaro. Poi, ci sono dei combattenti in Maki che si rendono conto che questo conflitto non può ancora durare a lungo, sono stanchi… Riguardo poi alla dichiarazione fatta dal presidente, speriamo non si tratti solo di una semplice dichiarazione, ma che segni la reale volontà di assumere le decisioni necessarie: questo dialogo è indispensabile e deve attuarsi il più velocemente possibile. E questo è tutto quello che possiamo sperare in questo 2012. (mg)

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    Africa in primo piano nei piani del nuovo direttore della Fao, Graziano da Silva

    ◊   “Abbiamo risorse limitate”, che concentreremo sull'Africa, in particolare nei Paesi del nord: lo ha affermato José Graziano da Silva, nuovo direttore generale della Fao, che insediatosi ieri ha tenuto questa mattina a Roma la sua prima conferenza stampa. A seguirla per noi c’era Roberta Gisotti:

    Sessantun anni, agronomo, il brasiliano José Graziano da Silva, personaggio di spicco sotto la presidenza Lula, è il primo direttore generale latinoamericano della Fao, la più grande agenzia dell’Onu, dedicata a sradicare la fame nel mondo. 3600 dipendenti, poco più della metà nella sede centrale di Roma, il resto in oltre cento Paesi. Già ministro per la Sicurezza alimentare nel suo Paese, "padre" del rivoluzionario programma brasiliano “Fame zero”, da Silva succede al senegalese Jacques Diouf – per ben 18 anni alla guida della Fao – e dopo l’altrettanto lungo mandato del libanese Edouard Saouma. Per questo, il primo mandato di da Silva è stato fissato fino al 2015, proprio allo scadere del famoso obiettivo del Millennio, fissato dalle Nazioni Unite per dimezzare il numero degli affamati nel mondo. Ma questi – sappiamo invece – sono perfino aumentati da 800 a 925 milioni.

    Che cosa potrà fare da Silva? “Non abbiamo tempo da perdere – ha detto oggi, nel suo primo incontro con la stampa – dobbiamo recuperare il tempo perduto, ma la Fao da sola non può centrare l’obiettivo”. “Sarà un anno pieno di sfide”, ha aggiunto, elencando i cinque pilastri del suo programma: eradicare la fame, aumentare la sostenibilità delle produzioni e dei consumi alimentari, accrescere la cooperazione Sud-Sud, riformare la Fao decentrando le sue attività sul campo, riducendo le spese amministrative e tagliando i costi eccessivi.

    L’Africa rimarrà una priorità rispetto all’America Latina, dove negli ultimi anni – ha osservato da Silva – si sono ottenuti ottimi risultati nel settore agricolo. Due risposte in particolare ai giornalisti: i biocarburanti, ha sostenuto, non sono un male assoluto, dipende dalle colture utilizzate – come il mais – in eccesso. L’accaparramento delle terre da parte di grandi multinazionali preoccupa soprattutto nei Paesi africani, privi di leggi a tutela dei propri territori: per questo la Fao darà presto un quadro normativo mondiale. (Dal Palazzo Fao, Roberta Gisotti)

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    Don Dal Molin: dopo le Gmg più giovani intraprendono cammini di discernimento vocazionale

    ◊   “Rispondere all’Amore... si può. Le vocazioni dono della carità di Dio”: è il tema su cui riflettono circa un migliaio di partecipanti ai tre giorni del Convegno Nazionale Vocazionale che prende il via oggi a Roma. L’incontro parte dal messaggio di Benedetto XVI per la 49.ma Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che si tiene il 29 aprile, come spiega don Nico Dal Molin, direttore del Centro Nazionale Vocazioni della Conferenza episcopale italiana, che ha organizzato il convegno. L’intervista è di Debora Donnini:

    R. – Il senso è legato al tema che il Papa propone per la prossima Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: "Le vocazioni dono della Carità di Dio". Allora, sviluppando questa tematica, abbiamo pensato che fosse importante vedere anche l’altra faccia della medaglia: se le vocazioni sono un dono dell’amore di Dio, noi diciamo che rispondere a questo Amore si può.

    D. – Quante sono le vocazioni sacerdotali e alla vita religiosa in Italia? Stanno aumentando o diminuendo?

    R. – Noi veniamo da lunghi anni di emergenza vissuta proprio su queste difficoltà vocazionali ma da un paio di anni direi che il trend sta decisamente evolvendo in positivo: lo scorso anno in Italia le ordinazioni sacerdotali diocesane sono state 405. In questo senso c’è un piccolo recupero di qualche decina di unità e questo ci dice che c’è un’inversione che ormai si sta decisamente consolidando e che riguarda anche la presenza all’interno dei Seminari che, anche in questo caso, è decisamente in aumento: concretamente nella Filosofia e nella Teologia dei Seminari diocesani, ci troviamo con circa 3 mila presenze in tutta Italia. Purtroppo fa da contrappeso il calo delle vocazioni alla Vita religiosa, che – soprattutto per la parte femminile – rappresenta un calo veramente molto netto e talvolta anche drammatico.

    D. – In un mondo, appunto, sempre più secolarizzato, quali sono per la Chiesa italiana i modi e anche dei nuovi modi attraverso i quali portare avanti la pastorale vocazionale? E in questo senso sono importanti, per esempio, esperienze come le Giornate mondiali della Gioventù?

    R. – Ho partecipato all’ultima Giornata mondiale della Gioventù di Madrid e assistiamo ad un fenomeno molto incoraggiante: dopo le Gmg, mediamente, nelle diocesi che offrono dei cammini di approfondimento dell’esperienza della Giornata mondiale, c’è un raddoppio, se non addirittura un triplicarsi, del numero dei giovani che chiedono di fare questi cammini di accompagnamento vocazionale e di discernimento. Non è detto, poi, che tutti questi giovani approdino all’essere sacerdoti o consacrati, ma è significativo il dato che vi sia un interrogarsi molto più profondo.

    D. – Secondo voi, nella fioritura di vocazioni, quanto sono importanti i movimenti ecclesiali e le nuove comunità e la famiglia cristiana?

    R. – Per quanto riguarda i movimenti, c’è sicuramente un dato straordinariamente positivo ed è la freschezza di una riscoperta del Vangelo, del Vangelo della vocazione nel senso più ampio di questa parola. Questo ci sta indicando il bisogno di ritrovare una modalità di maggior coinvolgimento all’interno delle parrocchie che talvolta, purtroppo, invece langue. Per quanto riguarda la famiglia devo dire che anche in questo caso noi abbiamo un occhio privilegiato di collaborazione: c’è una specie di triade che sta lavorando insieme - giovani, famiglia e vocazioni – proprio perché non c’è vocazione che nasca fuori dalla famiglia. (mg)

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    "Tassa ingiusta": così mons. Perego sul contributo per il permesso di soggiorno

    ◊   In molti criticano la tassa sul permesso di soggiorno che, a partire dal 30 gennaio, colpirà gli stranieri in Italia. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    “Una gravissima penalizzazione”. Così molte associazioni che lavorano al fianco degli immigrati definiscono il contributo per il rilascio dei permessi di soggiorno stabilito dal precedente governo Berlusconi e che entrerà in vigore il 30 gennaio prossimo. La nuova tassa è divenuta realtà dopo la firma del decreto, nell’ottobre scorso, da parte degli allora ministri dell’Interno e dell’Economia, Maroni e Tremonti, e dopo la pubblicazione del 31 dicembre scorso in Gazzetta Ufficiale. Ciò comporterà che gli immigrati presenti in Italia dovranno pagare una cifra che andrà dagli 80 ai 200 euro ogni volta che chiederanno o rinnoveranno il permesso di soggiorno. Dal pagamento saranno esentate alcune categorie, come i minori o i richiedenti asilo. Mons. Giancarlo Perego, direttore di Migrantes:

    R. – E’ una tassa non solo inopportuna in questo momento di crisi, che colpisce profondamente gli immigrati, ma è anche una tassa ingiusta, che aggrava ulteriormente una serie di tasse legate a un qualsiasi documento di identità, penalizzando soltanto gli immigrati nel nostro Paese. Una seconda osservazione è che, proprio perché siamo in una situazione di crisi economica, credo che, qualora ci sia un contributo aggiuntivo – stimato in oltre 200 milioni di euro oltre ai 100 milioni che gli immigrati versano ogni anno per le tasse di soggiorno – il suggerimento è quello di costituire un fondo di solidarietà presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali o presso il Ministero della Cooperazione internazionale e dell’integrazione, ad esempio a favore dei ricongiungimenti familiari, a favore dell’acquisto e del cambio della casa. Oppure, si può utilizzare questo fondo anche per progetti di integrazione scolastica per gli oltre 700 mila studenti che, come sappiamo, molte volte non sono sostenuti in questo percorso integrativo. Ridurre questa tassa a un contributo aggiuntivo alla gestione della sicurezza, in questo momento mi pare davvero inopportuno.

    D. – Questo contributo è un’eredità del passato governo Berlusconi: l’esecutivo di Mario Monti dovrebbe quindi ripensarci?

    R. – Dovrebbe perlomeno indirizzare, in maniera corretta una decisione che era stata presa già precedentemente, in modo tale che queste risorse possano comunque andare a favore degli immigrati. Occorre prendere in considerazione politiche migratorie che guardino soprattutto al tema dell’integrazione. (vv)

    E’ assurdo che a pagare siano le categorie più deboli, denuncia l’Associazione nazionale per l’immigrazione in Italia onlus, composta da oltre 500 avvocati, presenti in tutte le province italiane, che si preoccupano di fornire assistenza giuridica agli immigrati. Mario Pavone ne è il presidente:

    R. – L’attuale governo Monti avrebbe potuto differire l’entrata in vigore di questa norma perché, nell’ottica di una sequenza di norme punitive, si rivela essere ulteriormente punitiva nei confronti della presenza degli stranieri in Italia. Il governo Monti avrebbe dovuto introdurre, tra le varie norme, una norma che faccia sì che vi possa essere l’emersione dal lavoro nero: una norma che consenta la regolarizzazione di tutti coloro che sono stati regolarizzati in precedenza, ma non hanno ancora ottenuto il permesso di soggiorno – e si tratta di oltre 340 mila soggetti, riferendoci della regolarizzazione del 2007. E anche una norma che interessi le badanti che nel 2009 vennero regolarizzate in 320 mila quando le domande presentate riguardavano 650 mila soggetti.

    D. – Secondo lei, quali conseguenze pratiche potrebbero derivare dall’entrata in vigore di questo decreto, non solo sulla vita degli immigrati ma anche sul loro rapporto con l’Italia?

    R. – Il vero e unico problema è che ciò che potrebbe derivarne è una sorta di estraneità dal sistema-Stato e quindi non andrebbe di certo a favorire quella che è l’integrazione degli stranieri nel contesto statuale. Gli stranieri non possono ribellarsi in alcun modo perché nessuno si è preoccupato di creare un organismo intermedio tra Stato-apparato e stranieri, che consentisse un dialogo con le varie comunità – almeno quelle principali – per dar loro modo di esprimersi sui vari provvedimenti che vengono assunti sulla loro pelle.

    D. – Molti italiani, però, pensano che gli immigrati non facciano i sacrifici che invece vengono chiesti a loro…

    R. – Questo non corrisponde a verità. Com’è stato autorevolmente sostenuto dall’ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, e dall’attuale presidente, Giorgio Napolitano, gli stranieri contribuiscono al bilancio dello Stato e, attraverso la tassazione, contribuiscono a sostenere l’impianto-Stato, il nostro welfare. L’intero sistema scolastico non reggerebbe più se non ci fosse la presenza dei bambini stranieri nelle aule. Non capisco come, in un momento di crisi in cui si cerca in tutti i modi di evitare una tassazione, si arrivi a punire una categoria di soggetti deboli come quella degli stranieri, privi di un sistema-famiglia come quello che abbiamo noi. (vv)

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    Il cardinale Bagnasco sulla piaga del gioco d'azzardo: "Una droga da cui guardarsi"

    ◊   Il gioco d'azzardo “è una nuova droga da cui bisogna guardarsi. Le istituzioni intervengano”. Così il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova, questa mattina a margine di una Messa celebrata a Genova per i giostrai. “Al microfono di Paolo Ondarza, Maurizio Fiasco sociologo della Consulta Nazionale Antiusura :

    R. – La Chiesa ha colto una vistosa omissione nel recente decreto salva Italia: è curioso che un settore come il gioco d'azzardo che l’anno scorso, nel 2011, ha prodotto 76 miliardi di spesa, oltre il nove per cento del consumo totale di beni e servizi delle famiglie, non sia stato oggetto di una meditazione sia per gli effetti etico-sociali, ma soprattutto per gli effetti finanziari: produce infatti una voragine nel debito pubblico e di questo particolare nella manovra non vi è traccia.

    D. – A fronte di tutto ciò, continuano ad aprire nelle principali città italiane altri casinò, ed è sempre più diffuso il gioco on line...

    R. – Abbiamo dei centri fisici: sono decine di migliaia di installazioni, diffuse capillarmente nelle città, anche in prossimità di luoghi molto frequentati da minori. E poi abbiamo dei casinò dentro casa: le abitazioni domestiche diventano il terminale, la dependance di un casinò reale, dove c’è tutta la gamma dei giochi d’azzardo.

    D. – C’è un problema sociale. In questo momento di crisi l’idea di poter accedere a guadagni facili, attraverso il gioco è molto allettante...

    R. – E’ una fantasia che viene sfruttata dal marketing, cioè dalla pubblicità operativa, concretamente messa in atto dai concessionari. Chi ha di meno è più spinto ad azzardare. Su questa propensione, senza nessun intervento dell’Authority sulle comunicazioni e sulla pubblicità, si è costruito un marketing pervasivo ed insistente.

    D. – Il gioco di azzardo, come ha detto il cardinale Bagnasco, è una nuova droga, produce dipendenza?

    R. – Lo è letteralmente, come hanno spiegato illustri neurologi: ha gli stessi meccanismi di una droga. I meccanismi neurologici che attiva sono esattamente gli stessi e su questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dato una definizione molto precisa, ma i nostri governi – da 20 anni – non l'hanno recepita.

    D. – E le ricadute non sono solo individuali...

    R. – La sofferenza è una sofferenza di tipo familiare: la sofferenza va sul coniuge, va sui figli e va sugli anziani, perché porta anche ad un disimpegno degli obblighi di assistenza familiare verso tutti i congiunti, a partire dai congiunti più deboli. (ap)

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    È morto l’arcivescovo emerito di Udine mons. Battisti, amato per il suo impegno nel Friuli del dopo terremoto

    ◊   Domani, nella cattedrale di Udine, i funerali di mons. Alfredo Battisti, 86 anni, arcivescovo emerito del capoluogo friulano, spentosi il primo gennaio. Il presule è stato alla guida dell’arcidiocesi di Udine dal 1973 al 2000 e fu definito “il vescovo del terremoto” per il suo impegno nella fase della ricostruzione. Mons. Battisti si adoperò anche affinché il friulano diventasse lingua liturgica. Per un ricordo di questa figura di pastore ancora molto amata tra i fedeli, Marco Guerra ha sentito mons. Duilio Corniali, arciprete di Tarceto e già vicario per la cultura della diocesi di Udine:

    R. – E’ entrato in Friuli e lì è stato accolto dal terremoto del 5 maggio 1976, che lo ha obbligato a radicarsi rapidamente in questa terra. Di fatto, diventa pastore della Chiesa di Udine in Friuli, e si fa interprete delle necessità della gente, chiama a raccolta tutta la Chiesa, e raccoglie 800 gemellaggi di diocesi italiane con altrettante comunità colpite dal terremoto. E in questo modo diventa un vero leader spirituale, ma anche sociale, entrando nel cuore di tutti i friulani.

    D. - Il vescovo era molto legato alla cultura friulana, e allo stesso tempo si adoperò nel dialogo tra le diverse etnie che abitano in questo estremo nord-est dell’Italia…

    R. – Capì che qui convivevano tre etnie: tedescofona, slavofona e friulana. Queste realtà avevano bisogno di grande attenzione. Così, si mise subito sulla strada dell’ inculturazione della fede, diede molta attenzione anche alla lingua friulana: promosse la traduzione della Bibbia, poi la traduzione del dizionario in friulano che furono approvati dalla Congregazione per il culto divino. Il friulano, grazie a lui, è diventato una delle lingue liturgiche della Chiesa cattolica. E in Friuli la promozione umana non poteva prescindere dalla cultura, dalla storia e dalla lingua. (bi)

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    I progetti del neodirettore del Festival del cinema di Venezia, Alberto Barbera

    ◊   Il cinema dell'anno trascorso, quello del nuovo anno e la Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia: il neo-direttore del festival veneziano, Alberto Barbera traccia per la Radio Vaticana un consuntivo e suggerisce le aspettative. Il servizio di Luca Pellegrini:

    Attento ai sintomi che attraversano il mondo del cinema, le sue pulsioni artistiche, i suoi handicap produttivi, le tendenze e gli stili, i desideri del pubblico e i progetti dei registi, Alberto Barbera, direttore del Museo del Cinema di Torino e da pochi giorni nominato dal Consiglio d'amministrazione della Biennale di Venezia – presieduto da Paolo Baratta – alla guida della Mostra veneziana; una responsabilità che lo porterà a contatto con tutte le cinematografie del mondo, traccia per Radio Vaticana un bilancio dell'anno appena concluso:

    R. - Mi sembra sia stato un anno ricco di contraddizioni. Alcuni grandissimi film, penso per esempio ai film internazionali, e alcune conferme assolutamente interessanti, per quel che riguarda il nostro cinema, per esempio il film di Sorrentino che, anche se non ha convinto tutti, è un film coraggioso che ha saputo misurarsi con il mercato internazionale in un contesto che certamente non è incoraggiante, non è entusiasmante. È vero che il cinema sta attraversando, purtroppo, una lunga fase di transizione di cui si stenta a vedere la fine. E questo forse spiega, anche in parte, questa continua emorragia di spettatori, che è forse, la cosa che preoccupa di più.

    D. - Mentre per il 2012, cosa ci dobbiamo aspettare dal mondo del cinema?

    R. - Temo che purtroppo per l’anno prossimo non ci siano all’orizzonte cambiamenti così significativi da far sperare in una trasformazione positiva e radicale. Mi pare che il cinema proceda un po’ a tentoni. C’è da sperare che forse qualche luce rischiari questo 2012.

    D. - Lei ritorna, dopo dieci anni, a dirigere la kermesse veneziana: quale tipo di Mostra sarà la 69.ma, che si aprirà il prossimo 29 agosto?

    R. - Intanto, io ho scelto di non abbandonare il Museo del cinema, un progetto nel quale credo tantissimo, che mi appassiona. Per quanto riguarda la Mostra, sto cominciando a ragionare su un progetto. Credo che le condizioni siano cambiate così tanto in questi dieci anni che davvero si debba un po’ ripensare al Festival nel suo insieme, nel suo complesso, la forma e la formula. Intanto, penso a una Mostra molto più snella. Sono assolutamente contrario a questa tendenza bulimica che tutto in il resto del mondo hanno coltivato in questi ultimi anni, lavorando più sulla quantità che sulla qualità della selezione. Vorrei poi lavorare secondo due direttrici: da una parte, tentare di riposizionare Venezia nel contesto del mercato internazionale, e dall’altra parte penso che, oggi, nessun festival possa accontentarsi di essere soltanto e semplicemente una vetrina. E quindi in questo senso, bisogna pensare a progetti in una logica di attività permanente che davvero sono – credo – la carta qualificante, vincente per qualsiasi festival che voglia misurarsi con la realtà contemporanea del cinema.(bi)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Nigeria: l’esercito rassicura i cristiani minacciati da Boko Haram

    ◊   All’indomani dell’ultimatum lanciato dal gruppo estremista islamico Boko Haram, che intima i cristiani a lasciare il nord della Nigeria entro tre giorni, cresce la paura nel Paese africano. Non sono bastate, infatti, le rassicurazioni della polizia nigeriana che ha definito “vuote e senza fondamento” le minacce e gli avvertimenti dei fondamentalisti. “Vogliamo assicurare tutti i nigeriani che essi sono al sicuro ovunque risiedano”, ha detto Yemi Ajayi, portavoce delle forze dell’ordine citato dall'agenzia AsiaNews. “La polizia nigeriana – ha aggiunto – ha il mandato di proteggere vite e proprietà e continuerà a offrire questa responsabilità senza timori e favoritismi”. Queste rassicurazioni confermano in realtà i timori diffusi dopo gli attentati che il 25 dicembre hanno colpito chiese cristiane alle porte di Abuja, nella città di Jos e in altre località del nord-est provocando oltre 40 vittime. A Madalla, teatro del più sanguinoso degli attacchi, il dolore è ancora molto forte ma si cerca di riprendere subito la strada del dialogo con la comunità mussulmana. Padre Issac, scampato all’esplosione che ha devastato la chiesa di Santa Teresa, è convinto della necessità di un impegno nuovo: “La cultura del dialogo e della convivenza pacifica – ripete il parroco – è un patrimonio della Nigeria che va tutelato, a cominciare dalle aule scolastiche. Le comunità cristiane hanno paura – denuncia infine padre Issac – anche perché la recente abolizione dei sussidi che tenevano bassi i prezzi della benzina possono alimentare le tensioni sociali e favorire gli estremisti”. (M.G.)

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    Usa: con i “caucus” in Iowa, al via le primarie repubblicane

    ◊   Stati Uniti: al via, oggi, con i “caucus” in Iowa, le primarie del partito Repubblicano da cui emergerà il nome dello sfidante di Barack Obama alle presidenziali del prossimo 6 novembre. Una sfida che si preannuncia particolarmente serrata, con l’economia in testa alle preoccupazioni dell’elettorato americano. Quanto mai incerto il risultato. I sondaggi della vigilia hanno ridimensionato l’ex speaker della Camera, Newt Gingrich. Resterebbero dunque in lizza il cattolico conservatore, Rick Santorum, ex senatore della Pennsylvania, il 76enne deputato libertario Ron Paul e soprattutto l’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney. Già candidatosi 4 anni fa, Romney è considerato da molti osservatori il repubblicano con più chance di successo contro Obama. Tuttavia, le sue posizioni moderate sui temi sociali e la sua fede - è mormone - non piacciono agli evangelici e ai militanti del movimento “Tea Party” che rappresentano una fetta importante della base repubblicana. Certo, se Romney prevalesse oggi in Iowa, avrebbe fatto un passo importante per la nomination: nelle prossime primarie, il 10 gennaio in New Hampshire, è dato infatti in forte vantaggio sugli altri candidati. (A cura di Alessandro Gisotti)

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    I vescovi dell'India: parlamento approvi la legge sulla violenza interreligiosa

    ◊   Il mancato inserimento della legge sulla violenza interreligiosa nelle sessioni invernali del parlamento indiano ha suscitato il forte disappunto della Conferenza episcopale indiana (Cbci) che definisce la Communal Violence Bill (Cvb) una legge “urgente” e di “primaria importanza”, per una democrazia matura come quella del’India. Voluta dal National Advisory Council (Nac) di Sonia Gandhi, la Cvb conferisce al governo centrale il potere di intervenire in maniera diretta nei casi di violenza interreligiosa, scavalcando le autorità statali. L’esigenza di tale legge è emersa dopo i fatti del Gujarat (2003) e dell’Orissa (2008) in cui, davanti a enormi violenze indù-musulmane e dei radicali indù contro i cristiani, Delhi non è potuta intervenire senza la richiesta del governo locale. Forze dell’opposizione, alcuni alleati della Gandhi e attivisti continuano a criticare il disegno di legge, giudicato incostituzionale proprio per questa possibilità assegnata alle autorità centrali. Per la Conferenza episcopale la legge è disegnata per garantire alle autorità statali di poter esercitare le loro funzioni in modo equo e imparziale. Per sostenere questo, la Cbci ha chiarito, attraverso l'agenzia AsiaNews, due punti giudicati “controversi” dai detrattori della Cvb. Il primo riguarda la definizione di “gruppo”, inteso come una minoranza religiosa o etnica, in qualunque Stato indiano, o caste e tribù registrate secondo le clausole 24 e 25 dell’art.366 (definizione delle caste e delle tribù, ndr) della Costituzione. “Per i detrattori – spiega la Cbci – tale affermazione divide la nazione. Ma in nessun punto la legge discrimina la maggioranza. Anzi, la Cvb consente sia alle vittime di comunità di maggioranza che a quelle di comunità di minoranza di beneficiare degli stessi diritti”. La seconda polemica ruota intorno all’intervento diretto del governo centrale e al potere dell’autorità nazionale di dare disposizioni ai funzionari statali. In realtà, secondo la Conferenza episcopale indiana, “la legge prevede solo la creazione di un’autorità nazionale con il compito di controllare i casi di violenza interreligiosa. Tale organismo avrebbe solo carattere informativo, registrando i casi in cui sono riscontrate lacune giudiziarie”. (M.G.)

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    Sud Sudan: nello Stato di Jonglei migliaia di sfollati senza assistenza

    ◊   Mancanza di acqua potabile, cibo e assistenza medica stanno aggravando l’emergenza umanitaria nello Stato di Jonglei, dove gli scontri tra le comunità di allevatori Lou-Nuer e Murle hanno provocato almeno 25.000 sfollati: lo dice all'agenzia Misna padre Edward Joseph Deng, parroco nella regione della crisi. “La gente – sottolinea padre Deng – sta soffrendo: mancano l’acqua potabile e i generi alimentari ed è forte il rischio di epidemie”. Il parroco parla da Bor, la capitale dello Stato di Jonglei, dalla quale dipendono le chiese dell’area di Pibor dove si sono concentrate le violenze. Oltre all’emergenza sfollati a preoccupare è il destino di migliaia di civili che vivono a Pibor, una città assediata da circa 6000 Lou-Nuer armati. Il timore di un loro ingresso nel centro urbano, abitato per lo più da Murle, ha spinto il governo a inviare nell’area centinaia di militari e circa 2000 poliziotti. Queste misure, che si aggiungono al dispiegamento di un contingente di peacekeeper dell’Onu, potrebbero però non essere sufficienti. Secondo l’Organizzazione non governativa locale South Sudan’s Human Rights Society for Advocacy (Sshursa), per ripristinare condizioni di sicurezza accettabili e ridurre la possibilità di nuovi scontri bisognerebbe creare “zone cuscinetto” tra le due comunità. Negli ultimi giorni le violenze hanno costretto a sospendere le sue attività umanitarie anche Medici senza frontiere, l’unica Ong straniera presente a Pibor. Le violenze tra Luo-Nuer e Murle sono riprese nel fine-settimana, meno di un mese dopo scontri che avevano causato almeno 40 vittime nei pressi di Bor. Le tensioni tra le comunità, quasi sempre legate al controllo dell’acqua e dei pascoli, sono uno dei problemi principali del Sud Sudan divenuto l’anno scorso indipendente da Khartoum dopo una lunga guerra civile. (R.P.)

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    Messico: ogni giorno scompaiono 41 bambini, coinvolti in bande criminali o sfruttati

    ◊   In Messico ogni giorno scompaiono 41 bambini. Secondo i dati dell’Unicef ripresi dall'agenzia Fides, negli ultimi 5 anni si sono perse le tracce di oltre 75 mila minori, 20 mila dei quali circa sono vittime dei trafficanti. Nel periodo 2009-2011 è stato registrato il 70% delle scomparse, causate dalla migrazione verso gli Stati Uniti o dal coinvolgimento dei minori in organizzazioni criminali per mancanza di lavoro e di opportunità. Attualmente nel Paese non esiste una struttura federale che registri le scomparse, e le autorità locali insieme ai politici e all’intera società devono agire insieme per rispondere in maniera responsabile. Tra le varie iniziative sono state proposte la revisione del Codice penale federale, della Legge per la tutela dei minori, e altre mirate ad evitare la sottrazione di minori, ad aggravare le pene dei colpevoli, e a dare una risposta più completa ai familiari delle vittime. I bambini e gli adolescenti sono le vittime preferite per il crimine organizzato, perché non oppongono resistenza, non sanno a chi rivolgersi per chiedere aiuto, vengono minacciati loro o i loro familiari. Le autorità competenti devono organizzarsi per stabilire una procedura di ricerca immediata dei minori di cui viene denunciata la scomparsa nei centri commerciali, aziende o uffici pubblici, edifici, immobili e lotti, e avviare immediatamente il protocollo di sicurezza, ordinare il controllo e la chiusura delle zone di accesso del luogo fino al ritrovamento del bambino. Inoltre, il pubblico ministero una volta ricevuta la denuncia di scomparsa dovrà immediatamente prendere le misure di sicurezza necessarie per la ricerca e non aspettare i termini imposti attualmente. In caso contrario le vittime potranno richiedere sanzioni amministrative e penali per omissione. (R.P.)

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    Rep. Dominicana: il cardinale López Rodríguez chiede una campagna elettorale senza violenza

    ◊   Il cardinale Nicolas de Jesus Lopez Rodriguez, arcivescovo di Santo Domingo, ha chiesto gli aspiranti alla presidenza della Repubblica una campagna elettorale che sia all'altezza dell’importanza della consultazione, degna, che eviti la violenza, dove ognuno dica semplicemente quello che intende fare se sarà eletto con il voto popolare del prossimo 20 maggio. “Evitare scontri e antipatie, augurandosi che i problemi che si presentano siano risolti in modo soddisfacente. E' quello che vogliono tutti i dominicani di buona volontà" ha detto il cardinale parlando alla stampa al termine della Messa per il nuovo anno, celebrata nella cattedrale di Santo Domingo, alla quale hanno partecipato il vice presidente della repubblica, Rafael Alburquerque, gli ambasciatori degli Stati Uniti d'America e di Haiti, Raul Stati Yzaguirre e Fritz Cineas. Il cardinale Lopez Rodriguez ha colto l’occasione anche per esprimere il suo stupore e per condannare i numerosi crimini commessi contro le donne, dal momento che in tutto il Paese si parla quotidianamente di omicidi per motivi passionali, anche dentro al matrimonio. Il porporato ha sottolineato che le notizie di questi omicidi feriscono nella parte più sensibile, la società e l'anima dei Dominicani. Secondo le informazioni raccolte dall’agenzia Fides, alla fine di novembre, la stampa e diversi organismi sociali hanno parlato di 200 omidici di donne commessi nell'anno 2011 nella Repubblica Dominicana, cioè un numero superiore a quello causato da malattie catastrofiche come il colera. Un organismo sociale ("Colectiva Mujer y Salud") ha anche messo in evidenza l’enorme quantità di denunce presentate per violenza domestica: più di 64.000. "Dobbiamo cercare di vedere come tutto questo si possa evitare" ha evidenziato l’arcivescovo di Santo Domingo, rilevando anche "il gravissimo problema della droga". Su questo tema ha affermato: ci sono prove "che il Paese è preso di mira per diventare un punto di riferimento, sia dal Sud America, come da Puerto Rico, per la distribuzione e il trasporto della droga". (R.P.)

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    Honduras: il cardinale Maradiaga esorta a riempire il tempo di amore e di solidarietà

    ◊   In una lunga omelia tenuta durante la Messa del primo giorno del nuovo anno, il cardinale Oscar Andres Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, ha evidenziato che l’Honduras ha perso l'orientamento, perché gli uomini non riconoscono la presenza di Dio nella storia, e ha chiesto agli honduregni di non sprecare il tempo durante il 2012, invitandoli invece a riempirlo di amore e di solidarietà, evitando così di perderlo in cose vane, come recita un adagio popolare: "Il tempo perso, perfino i Santi lo rimpiangono". Durante la Messa, celebrata come di consueto nella cattedrale metropolitana di Tegucigalpa, il cardinale ha ricordato che riempire il tempo con delle promesse e con dei progetti è proprio di Dio, e quando il tempo cronologico viene riempito e inondato da Dio, diventa un tempo di pienezza, di densità e diventa storia della salvezza, quindi arrivano le trasformazioni e realizzazioni. L’arcivescovo di Tegucigalpa - riporta l'agenzia Fides - ha rilevato che non ha senso bruciare un fantoccio come simbolo dell’anno vecchio. Invece di fare queste cose, si dovrebbero dedicare almeno cinque minuti per "riconoscere tutte le grazie che abbiamo ricevuto durante quest’anno". Solo riconoscendo il dono della vita “ci rendiamo conto del valore delle cose date a noi dal Creatore dell'Universo”. In tale contesto, non è possibile che "pur avendo la guida della migliore tecnologia, il nostro mondo sia disorientato, l'Honduras è disorientato, e tutto perché non siamo in grado di riconoscere la presenza di Dio nella storia o di vivere il suo messaggio con la fede". Il cardinale Rodriguez Maradiaga si è soffermato ad approfondire il concetto del tempo perché molte volte si sprecano ore, minuti e secondi in cose sciocche: "Questo tempo non ha consistenza, nessun contenuto, è la cornice di eventi sconosciuti e come tale produce angoscia, provoca preoccupazione, paura, noia e spesso un profondo senso d’impotenza". Quindi ha esortato a non cadere nella superstizione, a non credere che finirà il mondo in una certa data, dimenticando che il tempo è opera di Dio, è un talento da gestire, dandogli contenuto. Ogni 1° gennaio chiede ai fedeli: ‘non basta aggiungere anni alla vita, ma occorre dare vita agli anni’, perché questo è l’atteggiamento migliore dinanzi al dono che Dio ci ha dato". (R.P.)

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    Brasile: inaugurata la prima cappella dedicata alla Beata Chiara Badano

    ◊   Chiara “Luce” Badano, la giovane diciottenne morta nel 1990 a Sassello (Italia) a causa di un tumore tra i più dolorosi, è la protettrice dei bambini colpiti da questo grave male, ospiti dell’ospedale “Sarina Rolim Caracante” gestito dal «Gruppo di ricerca e assistenza cancro infantile» (Gpaci) di Sorocaba, città dello Stato di San Paolo, in Brasile. L’aveva annunciato già lo scorso anno l’arcivescovo di Sorocaba, mons. Eduardo Benes de Sales Rodrigues, durante la visita pastorale all’ospedale, che cadeva proprio alla vigilia della cerimonia di beatificazione di Chiara Luce, avvenuta a Roma il 25 settembre dello scorso anno. In quell’occasione, l’arcivescovo Benes de Sales Rodrigues aveva dato il suo consenso al progetto di una cappella con la presenza permanente di Gesù Eucaristia, intitolata alla giovane beata. E ora, in questo tempo natalizio, quello che lo scorso anno era un progetto è diventato realtà. Nei giorni scorsi, infatti – riferisce L’Osservatore Romano - l’arcivescovo di Sorocaba ha inaugurato e consacrato la piccola cappella dedicata a Chiara, a cui si accede proprio dal corridoio che porta alla sala operatoria. Nell’omelia il presule si è soffermato sugli ultimi suoi due anni di malattia che l’aveva sorpresa con un acuto dolore mentre giocava. Ha ricordato quei 25 minuti di lotta interiore da lei vissuti all’annuncio della diagnosi. Poi, il suo «sì» irrevocabile: “Lo vuoi tu, lo voglio anch’io”. “Chiara Badano — ha sottolineato mons. Benes de Sales Rodrigues — è stata un esempio di come si possono vivere nella gioia, nella letizia, momenti così difficili che portano al passaggio definitivo verso il Padre». Infine, l’arcivescovo ha espresso la certezza «che per intercessione di Chiara Luce in questa struttura cadranno molte grazie”. Sono quattrocento i bambini e adolescenti curati in questo ospedale, l’unico specializzato in tumori infantili della regione. I piccoli ospiti provengono da più di quaranta città e godono di cure gratuite essendo la maggior parte di famiglie povere. L’ospedale «Sarina Rolim Caracante» è sostenuto dalla solidarietà di innumerevoli benefattori e in parte dalle istituzioni civili. La nuova iniziativa è un nuovo gesto che ancor più fa di questo luogo di dolore un luogo di speranza. Una speranza che non resta chiusa tra le pareti di questa struttura. (L.Z.)

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    Taiwan: lettera pastorale dei vescovi sul Sacramento dell'Eucarestia

    ◊   “Approfondire il mistero della fede, vivere il sacramento del ringraziamento” è il tema della Lettera pastorale 2012 della Conferenza episcopale regionale di Taiwan, firmata il 1° gennaio, solennità di Maria SS.ma Madre di Dio. Nella Lettera i vescovi rilanciano la preparazione al Congresso Eucaristico Internazionale che si terrà a Dublino nel prossimo giugno e la Lettera Pastorale del Papa “Porta Fidei” per l’Anno della Fede. Dal momento che nel mondo e nella società in cui oggi viviamo la fede è scarsa, la Conferenza episcopale - riferisce l'agenzia Fides - ha indicato 5 punti cruciali per l’impegno pastorale: i sacerdoti sono invitati a preparare e a celebrare con cura e zelo l’Eucaristia; i fedeli laici sono esortati a partecipare attivamente alla celebrazione del sacramento del ringraziamento e all’adorazione eucaristica; i laici devono conoscere, studiare e recitare la Liturgia delle Ore; si incoraggiano i laici a rinnovare la propria conoscenza del Catechismo della Chiesa Cattolica, visto che l’Anno della Fede è in concomitanza con il 50° anniversario del Concilio Vaticano II e i 20 anni della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, per rispondere così alla sfida di questo mondo di fede debole; infine le parrocchie sono invitate a elaborare e promuovere il proprio progetto dell’evangelizzazione. I vescovi taiwanesi concludono la loro Lettera affidando l’impegno pastorale della Chiesa di Taiwan per il nuovo anno all’intercessione della Vergine, “perchè la vita di ogni fedele sia a somiglianza della vita di Maria SS.ma, per diventare un continuo Magnificat lunga tutta la sua esistenza”. (R.P.)

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    Irlanda: mons. Martin auspica l’avvio di un dibattito “maturo” sul ruolo della fede nella società

    ◊   L’avvio di un dibattito “maturo” sul ruolo della fede nella società che eviti rappresentazioni caricaturali della religione, ma anche il riconoscimento che, nonostante gli scandali, il contributo della Chiesa in Irlanda è stato nell’insieme positivo. Questo l’auspicio per il 2012 espresso dall’arcivescovo di Dublino, mons. Diarmuid Martin. Nell’omelia per la Messa celebrata il 1° gennaio nella capitale alla presenza del Premier Enda Kenny, di diversi ministri e parlamentari della Repubblica, il presule ha ricordato che “la Chiesa cattolica è la fede della maggioranza degli irlandesi”, e “ha avuto un’influenza dominante sui valori che mantengono intatto il nostro tessuto sociale”. E tuttavia, ha rilevato, “oggi esiste una situazione nuova che richiede un nuovo modo di interagire tra Chiesa e Stato: la fede in Gesù Cristo non può essere imposta a nessuno”, perché quando “si tenta di imporre una fede su una società” essa viene inevitabilmente snaturata. Anche se ci sono stati “momenti bui nella storia della Chiesa cattolica” in cui alcuni suoi membri hanno abusato del loro mandato, ha proseguito l’arcivescovo di Dublino citato dal quotidiano “The Irish Catholic”, “il contributo di singoli credenti e della Chiesa come istituzione allo sviluppo dell'Irlanda e alla cultura della società irlandese è stato nell’insieme positivo. Ed è proprio sugli aspetti positivi del nostro passato - ha sottolineato - che dovrebbe basarsi un dialogo maturo e aperto al futuro tra Chiesa e cultura irlandese ". Mons. Martin ha riconosciuto che le critiche "o anche il rifiuto della Chiesa cattolica e di ciò che rappresenta sono legittime. Ma – ha chiosato - la critica è una cosa diversa da una caricatura negativa e cinica della fede. Ridicolizzare la fede non serve molto a costruire nella società valori durevoli” e “una società che cerca solo risposte immediate è la meno adatta a individuare questi valori”. L’avvio di tale dialogo, ha sottolineato, richiede anche “un rinnovamento interno” della Chiesa. In questo senso, ha concluso, il prossimo Congresso Eucaristico Internazionale di Dublino deve essere per i cattolici irlandesi un’occasione “per riflettere su ciò che la loro fede in Gesù Cristo significa nella società di oggi”. (L.Z.)

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    Portogallo: per la crisi il cardinale Policarpo esorta a riscoprire la Dottrina sociale della Chiesa

    ◊   “Un anno difficile e impegnativo in cui, per non sprofondare nello scoramento, avremo bisogno di fare appello a tutte le forze che ci danno il coraggio di combattere e che sono il fondamento della nostra speranza e della nostra gioia". Con questo invito il cardinale patriarca di Lisbona José Policarpo ha aperto il 2012 durante la Messa celebrata il primo gennaio nella parrocchia di nostra Signora Regina della Apostoli, a Ramada, nel comune di Odivelas. Nell’omelia – riferisce l’agenzia Ecclesia - il presidente della Conferenza episcopale portoghese (Cep) ha esortato i fedeli a riscoprire la Dottrina sociale cattolica, troppo spesso trascurata in questi anni, presentando questi insegnamenti come la parola della Chiesa che “illumina e dà senso ad ogni realtà concreta" con particolare attenzione "per le questioni sociali e economiche”. “Essa - ha detto - ci apre al primato della generosità sull'egoismo, ci insegna a privilegiare il bene comune, ci aiuta a non limitare le aspirazioni del nostro cuore alla materialità delle cose, ma ad aprirci alla dimensione trascendente dell’uomo e della storia”. Il cardinale Policarpo ha quindi ricordato che per i cristiani Gesù è la "forza per reagire alle avversità, la sfida a una vita diversa che trasforma la società come il lievito nella pasta". "La sfida della giustizia e della pace sintetizza tutto il messaggio cristiano sulla società", ha poi evidenziato il porporato che, riferendosi al tema della 45ª Giornata mondiale della Pace, ha indicato come priorità della nuova evangelizzazione “l’annuncio della Buona Novella della giustizia e della pace” ai giovani attraverso “la testimonianza della vita” e la valorizzazione dell’ottimismo tra le nuove generazioni. Il cardinale Policarpo ha ricordato in proposito le parole di Benedetto XVI nel suo messaggio per la Giornata che rileva come nel 2011 “è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia, una crisi le cui radici sono anzitutto culturali e antropologiche”. Secondo il patriarca di Lisbona, "solo gli uomini giusti possono costruire la giustizia, e solo quelli che hanno sperimentato la pace interiore possono lottare per la pace nella società. La pace e la giustizia – ha concluso - presuppongono la generosità, la capacità di donarsi, l’armonia con se stessi, con gli altri, nella società e con la terra che abitiamo". (L.Z.)

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    Ungheria: al via l’iter parlamentare del nuovo disegno di legge sulle Chiese

    ◊   In Ungheria continua a far discutere il controverso disegno di legge sulle Chiese presentato al Parlamento prima di Natale dal capo gruppo del partito Fidesz. Secondo quanto riferisce l'agenzia Sir, la norma prevede che soltanto le Chiese con 100 anni di lavoro internazionale possono essere riconosciute dallo Stato. La nuova legislazione è stata presentata come disegno di legge privato, cioè può essere adottato senza confronto con le parti interessate e con un dibattito parlamentare limitato. Diversi osservatori sottolineano che, ad esclusione di alcuni emendamenti, la legge in questione concorda alla lettera con quella abrogata dalla Corte Costituzionale per motivi procedurali lo scorso 19 dicembre. Il nuovo disegno prevede che sia una commissione parlamentare e non il governo a valutare le richieste per lo status di Chiesa ufficiale a partire dal primo gennaio 2012. Finora 72 comunità religiose hanno presentato domanda in tal senso. La legge abrogata a dicembre aveva riconosciuto solo 14 denominazioni. Il parlamentare di Fidesz, Gergely Gulyas, ha invece annunciato che 12 nuove confessioni potrebbero essere riconosciute entro la fine di febbraio. (M.G.)

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