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Sommario del 26/02/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • La Quaresima, momento propizio per rafforzare il nostro rapporto con Dio. Così il Papa all’Angelus
  • Oggi in Primo Piano

  • Attacco in Nigeria contro una chiesa protestante a Jos. Tre i morti, circa 40 i feriti. Sospetti sui Boko Haram
  • Siria: urne aperte per il referendum sulla nuova Costituzione
  • Oggi il Senegal al voto presidenziale. Si temono altre tensioni
  • Favorire la stabilità politica della Somalia. Mons. Bertin commenta il nuovo tentativo della comunità internazionale
  • Nove anni fa l’inizio del conflitto in Darfur: 400mila i morti fino ad oggi
  • Bahrein. Proteste e scontri ad un anno dall'inizio delle rivolte
  • Primavera araba: la fine del Novecento in Medio Oriente
  • Al via in Congo un tribunale per i diritti dei minori, la testimonianza di un missionario guanelliano
  • Oggi la Marcia della Penitenza nella diocesi di Locri Gerace
  • Le biotecnologie al servizio dell’uomo. Concluso il convegno di “Famiglia domani”
  • Lo sterminio nazista dei disabili in una mostra a Roma
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Afghanistan: Karzai invoca la calma, dopo le proteste in risposta al rogo del Corano
  • Proteste anti-Putin a Mosca. Imponenti le misure di sicurezza
  • Parigi: Conferenze di Quaresima su solidarietà e speranza
  • Usa: educatori gesuiti da tutto il mondo a convegno a Denver
  • Missione Metropoli: a Barcellona lettura pubblica del Vangelo di Marco
  • Vietnam: Quaresima nel segno della preghiera e protezione della vita
  • Hong Kong: in Quaresima opere di carità per i più deboli
  • Giordania: nuovo Centro cattolico Studi e Media del vicariato latino di Amman
  • Terra Santa: nuova edizione della Bibbia in arabo
  • Il Papa e la Santa Sede



    La Quaresima, momento propizio per rafforzare il nostro rapporto con Dio. Così il Papa all’Angelus

    ◊   Preghiera, gesti di penitenza e opere di carità fraterna. Così, in Quaresima, si rinnova il nostro rapporto con Dio. Lo ha detto il Papa, oggi all’Angelus in Piazza San Pietro, nel giorno in cui in Vaticano cominciano - alle 18.00 presso la Cappella Redemptoris Mater - gli Esercizi spirituali per la Curia Romana, in preparazione della Pasqua. Il tema è: “La comunione del cristiano con Dio”; a proporre le meditazioni, fino al 3 marzo, è il cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa, in Repubblica Democratica del Congo. Il servizio di Giada Aquilino:

    La Quaresima, momento propizio per rafforzare il nostro rapporto con Dio. Questa la riflessione di Benedetto XVI, stamani alla recita dell’Angelus. Nella prima domenica di Quaresima, il Papa ha riflettuto su Gesù che, dopo aver ricevuto il battesimo nel fiume Giordano da Giovanni il Battista, subisce la tentazione nel deserto, come raccontato nel Vangelo di Marco: Gesù «nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana». Quindi un esame dei “diversi significati” di deserto. “Può indicare - ha ricordato il Pontefice - lo stato di abbandono e di solitudine, il ‘luogo’ della debolezza dell’uomo dove non vi sono appoggi e sicurezze, dove la tentazione si fa più forte”. Ma al contempo, ha proseguito, “può indicare anche un luogo di rifugio e di riparo”, come nel caso del popolo di Israele scampato alla schiavitù egiziana: lì, ha detto il Papa, “si può sperimentare in modo particolare la presenza di Dio”. Proprio come il Signore che - ha spiegato Benedetto XVI, citando San Leone Magno - “ha voluto subire l’attacco del tentatore per difenderci con il suo aiuto e per istruirci col suo esempio”.

    Da qui un insegnamento, che leggiamo nel Libro dell’Imitazione di Cristo: l’uomo “non è mai del tutto esente dalla tentazione finché vive”, ma è “con la pazienza e con la vera umiltà che diventeremo più forti di ogni nemico”:

    “La pazienza e l’umiltà di seguire ogni giorno il Signore, imparando a costruire la nostra vita non al di fuori di Lui o come se non esistesse, ma in Lui e con Lui, perché è la fonte della vera vita. La tentazione di rimuovere Dio, di mettere ordine da soli in se stessi e nel mondo contando solo sulle proprie capacità, è sempre presente nella storia dell’uomo”.

    Poi in Gesù “accade qualcosa di nuovo”, proclama - ha spiegato il Santo Padre - che “il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”: Dio si rivolge all’uomo “in modo inaspettato”, “con una vicinanza unica concreta, piena di amore”; si incarna ed entra nel mondo dell’uomo “per prendere su di sé il peccato, per vincere il male e riportare l’uomo nel mondo di Dio”. Ma questo annuncio - ha proseguito il Papa - è accompagnato dalla richiesta di corrispondere ad un dono così grande:

    “Gesù, infatti, aggiunge: ‘convertitevi e credete nel Vangelo’; è l’invito ad avere fede in Dio e a convertire ogni giorno la nostra vita alla sua volontà, orientando al bene ogni nostra azione e pensiero. Il tempo della Quaresima è il momento propizio per rinnovare e rendere più saldo il nostro rapporto con Dio, attraverso la preghiera quotidiana, i gesti di penitenza, le opere di carità fraterna”.

    Il Pontefice, pregando per il cammino quaresimale appena cominciato, ha poi ricordato ai fedeli che iniziano oggi in Vaticano gli Esercizi spirituali:

    “Affido, inoltre, alla vostra preghiera la settimana di Esercizi spirituali che questa sera inizierò con i miei Collaboratori della Curia Romana”.

    Nei saluti finali nelle varie lingue, il Santo Padre ha ancora esortato in questo tempo penitenziale pasquale a pregare, “alla conversione per raggiungere una più profonda conoscenza di Gesù”, a “fare penitenza e a cambiare vita”, con gesti di misericordia, perdono e riconciliazione.

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    Oggi in Primo Piano



    Attacco in Nigeria contro una chiesa protestante a Jos. Tre i morti, circa 40 i feriti. Sospetti sui Boko Haram

    ◊   Un nuovo attentato ha scosso questa mattina la regione di Jos, nello Stato del Plateau, in Nigeria. Uomini armati hanno fatto irruzione nella sede della “Chiesa di Cristo nella Nigeria”, uccidendo 3 fedeli e ferendone altri 38. Nella zona resta aperto il conflitto tra la popolazione locale di etnia berom e gli haussa venuti dal nord, ma l’attacco anche stavolta sembra essere riconducibile alla setta estremista islamica dei Boko Haram. Lo conferma Patrick Tor Alumuku, direttore del dipartimento di Comunicazione sociale dell’Arcidiocesi di Abuja, intervistato da Cecilia Seppia:

    R. – In questo momento si pensa che il responsabile sia Boko Haram. Infatti, l’informazione che ho avuto poco fa dice che questi terroristi sono arrivati lì e hanno colpito il personale della sicurezza prima di entrare in chiesa.

    D. – Quindi, la stessa modalità con cui operano sempre, cioè si coprono il volto, entrano armati e attaccano in maniera devastante …

    R. – Esatto: sono loro. Si dice che questo gruppo terroristico in realtà sia legato ad Al Qaeda del Nord Africa: hanno lo stesso modo di operare, che vuole colpire al cuore i cristiani.

    D. – Ci sono vittime tra i fedeli, anche diversi feriti. Che Chiesa è quella di "Cristo nella Nigeria"?

    R. – E’ una Chiesa protestante, non pentecostale; è una Chiesa di tipo luterano.

    D. – Come ha reagito il governo a questa serie di attacchi sanguinosi? E cosa fa la Chiesa, come la Chiesa segue questi attentati?

    R. – Il governo sta facendo di tutto per limitare questa situazione, per alzare il livello di sicurezza. Da parte sua, la Chiesa sta cercando di aumentare il livello di sicurezza in tutti gli edifici di culto: all’entrata e all’uscita e nelle strade limitrofe. Quindi, in realtà non è facile per queste persone raggiungere una chiesa, soprattutto la domenica. Però, se gli attentatori arrivano armati non è impossibile che riescano a fare quello che hanno fatto oggi a Jos.

    D. – Rimane sempre aperta, poi, la questione del dialogo tra cristiani e musulmani: questo è un altro fronte sul quale la Chiesa continua ad impegnarsi …

    R. – Non si può mai negare l’importanza del dialogo. Da parte della Chiesa si fa ogni cosa possibile. Questo è un tema molto caldo anche tra i cristiani. Poi, c’è un altro aspetto interessante ed è che, tra gli stessi musulmani, ci sono quelli che non accettano che questo gruppo terrorista islamico provenga dalla loro parte. Secondo loro, non fa parte dell’islam questo Boko Haram, e per questo loro non amano che siano definiti “musulmani”. Noi diciamo loro: “Ma se loro stessi sostengono di essere musulmani, dovete essere voi a cercare di fermarli”!

    D. – Lì in Nigeria la gente come vive: ha paura di questi continui attacchi? C’è un clima di tensione molto forte, che si sta inasprendo …

    R. – A nord c’è questa sensazione di paura, perché nessuno vuole vivere in un posto dove c’è mancanza di sicurezza, dove esplodono le bombe, dove c’è rischio per la vita. Ci sono cristiani che dal nord, dallo Stato di Yobe e da Maiduguri [nello Stato di Borno], stanno scendendo verso il centro-sud, verso Jos [Plateau] e adesso verso Abuja: aumenta da una settimana all’altra il numero delle persone, delle macchine; le strade sono piene proprio perché ci sono tante persone che stanno scendendo dal nord verso il centro, verso la capitale. (gf)

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    Siria: urne aperte per il referendum sulla nuova Costituzione

    ◊   La Siria al voto per il referendum costituzionale che, secondo il governo, dovrebbe introdurre nel Paese il pluralismo politico. Intanto prosegue la repressione delle forze di sicurezza di Damasco contro gli oppositori: 25 le vittime odierne, dopo le 100 di ieri. Il Comitato internazionale della Croce Rossa ha ripreso i negoziati per evacuare da Homs i feriti, compresi due giornalisti occidentali. Il servizio di Cecilia Seppia:

    Sotto i continui colpi di cannone delle forze governative si sta svolgendo in Siria il referendum per la nuova Costituzione voluta dal presidente Bashar al Assad per introdurre il cosiddetto pluralismo politico. Quindici milioni i cittadini chiamati alle urne in oltre 14 mila seggi, ma l’opposizione ha da subito annunciato il boicottaggio del voto poiché esso - ha detto - “non è libero ed è macchiato di sangue”. Infatti la repressione continua senza sosta: dopo il massacro di ieri con 94 morti e 68 feriti, secondo le stime dell’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo, sono 25 le vittime di oggi uccise per lo più ad Homs, bombardata ancora dall’artiglieria del regime. Tra i cadaveri anche quello dell’imam di una moschea e 4 soldati lealisti morti invece in una battaglia ad Hama. Intanto, dopo lo stop di ieri, il Comitato internazionale della Croce Rossa ha ripreso i negoziati con il governo per evacuare i feriti dal quartiere di Bab Amro di Homs, compresi due giornalisti occidentali colpiti nei giorni scorsi.

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    Oggi il Senegal al voto presidenziale. Si temono altre tensioni

    ◊   Il Senegal oggi al voto per la scelta del nuovo presidente, per un’elezione che coinvolge circa 5,3 milioni di elettori. Una consultazione che si tiene in un clima di forte tensione in cui da giorni si susseguono le manifestazioni di piazza contro il presidente Abdoulaye Wade, accusato di aver modificato la Costituzione per concorrere ad un terzo mandato. Quattordici in tutto i candidati. L’opposizione potrebbe far convergere i suoi voti su un unico nome, per un esito elettorale che appare comunque molto incerto e che potrebbe aprire nuovi scenari per il Paese. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Massimo Introvigne, esperto di politica internazionale, che si trova a Dakar per studiare le particolarità del processo elettorale senegalese:

    R. – Il presidente Wade, che all’inizio godeva di un ampio consenso, in questo momento è considerato, all’età di 85 anni, da molti senegalesi troppo anziano per governare ancora il Paese. Si teme inoltre che voglia preparare la successione al figlio, instaurando un sistema dinastico che non è ben visto dalla maggioranza della popolazione e poi, come sta avvenendo per molti governi, la crisi economica globale ha creato un forte malcontento proprio nei confronti del presidente, il quale, peraltro, gode ancora di una forte base elettorale. Il nodo del problema sta nel fatto che la maggioranza della popolazione non crede che Wade possa vincere al primo turno, ma se questo dovesse avvenire, probabilmente ci sarebbero forti disordini dalle conseguenze imprevedibili.

    D. - In caso di sconfitta del presidente uscente, quale potrebbe essere il futuro immediato del Senegal?

    R. - La situazione sarebbe indubbiamente molto più tranquilla e i senegalesi potrebbero credere che i timori di elezioni truccate o manipolate a vantaggio del presidente non si siano concretizzati. Probabilmente, se Wade andasse al secondo turno perderebbe. I sondaggi sono vietati dalla legge senegalese, ma ci sono due candidati che sembrano avere le migliori possibilità e, se uno di questi andasse al ballottaggio con Wade, tutte le forze di opposizione lo sosterrebbero, consentendogli di vincere al secondo turno.

    D. - Perché il Senegal, considerato uno degli Stati africani più stabili, si trova ora in questa situazione? Dietro questo conflitto c’è anche qualche altro motivo?

    R. - Anzitutto il Senegal è un Paese decisivo per la stabilità africana, in virtù della sua tradizione democratica e anche per l’importanza della diaspora senegalese in numerosi Paesi. La crisi deriva da un fatto tipicamente africano e cioè il tentativo del presidente di non cedere il potere, ma deriva anche dalla crisi economica che ovunque aumenta le tensioni. Come sempre in questi momenti di crisi, anche la religione gioca un suo ruolo: il Senegal è un Paese dove si pratica un islam tranquillo, non violento. Tutto questo è di qualche importanza, perché nelle manifestazioni contro Wade sono stati lanciati invece degli slogan molto duri, tipici dell’islam più politicizzato, che non si erano mai sentiti in Senegal. Naturalmente questo preoccupa anche la minoranza cattolica, che peraltro gode di grande stima: anzi è alla comunità cattolica e in particolare al cardinale Sarr, arcivescovo di Dakar, che si guarda con speranza, come personaggio fuori dai giochi di potere, che ha sempre preso posizione a favore delle fasce sociali più deboli e della democrazia. Il porporato è una delle poche entità credibili e, nel caso di disordini all’annuncio del risultato elettorale, potrebbe svolgere un’opera di mediazione per mettere tutti intorno a un tavolo e calmare le acque.

    D. - Un confronto pacifico post-elettorale, secondo lei, in questa situazione è possibile?

    R. - Penso che tutto dipenda dal caso in cui il presidente Wade dovesse dichiararsi vincitore. Se sarà così, anche nel caso in cui gli osservatori internazionali dovessero dichiarare le elezioni regolari, molto probabilmente una parte significativa della popolazione non crederà all’esito del voto e potrebbero quindi esserci dei gravi disordini. Se, invece, si andrà al secondo turno, penso che il dialogo sia possibile. La recente intervista al cardinale Sarr concessa alla Radio Vaticana è stata ripresa da tutti i mezzi di comunicazione qui in Senegal e si è notato il suo appello alla pace e alla riconciliazione, ma anche i forti timori e un certo pessimismo che io mi permetto di collegare proprio all’ipotesi di un Wade dichiarato vincitore al primo turno. (mg)

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    Favorire la stabilità politica della Somalia. Mons. Bertin commenta il nuovo tentativo della comunità internazionale

    ◊   Dare un nuovo slancio al processo politico in Somalia per promuovere un governo stabile e intensificare le azioni di contrasto alla pirateria e al terrorismo in generale: queste le due direttrici principali emerse dai lavori della Conferenza internazionale sul Paese del Corno d’Africa che si è tenuta a Londra giovedì scorso. Se il mondo non agirà in fretta in Somalia “pagheremo un prezzo molto alto”, era stato detto all’apertura dei lavori. Adriana Masotti ha sentito mons. Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio e vescovo di Gibuti:

    R. – Dare un governo più stabile alla Somalia non è una cosa facile, in effetti. Bisogna ricordare che in questi 21 anni è mancato un governo e che ci sono stati vari tentativi per formare esecutivi di transizione. Ora, questo tentativo di Londra sembra più serio e potrebbe produrre maggiori frutti. Per favorire questo nuovo tentativo, quello che mi aspetto è che da parte della comunità internazionale ci sia una maggiore coesione e che si riesca, soprattutto da parte somala, ad identificare veri rappresentanti per governare, rappresentanti che abbiano come scopo soprattutto il servizio al proprio popolo.

    D. – Sull’altro fronte: la lotta contro la pirateria. Che passi sono stati decisi?

    R. – Secondo me, quello che hanno fatto è stato rafforzare l'impegno della comunità internazionale per lo meno per avere dei tribunali, per potere giudicare le persone che riescono ad arrestare. E’ stata ripresa però anche l’idea che per lottare veramente contro la pirateria, non basta lottare sul mare, ma bisogna che sulla terra si trovi una soluzione politica e una soluzione sociale migliore.

    D. – All’inizio della Conferenza è stato detto che, se il mondo non agirà in fretta in Somalia, pagheremo un prezzo molto alto. Possiamo dire che almeno c’è oggi una maggiore consapevolezza del problema Somalia?

    R. – Io penso di sì, perché c’era stata una grande attenzione – ricordo - nel ’92, con la “Restore Hope”, e poi c’è stato una specie di abbandono della Somalia, lasciata in mano solo all’attività umanitaria. Credo che ora si siano resi conto che è assolutamente necessario riprendere l’aspetto politico della stabilità della Somalia, per risolvere gli altri problemi. E aggiungerei anche che la comunità internazionale, che è sembrata quasi sempre una comunità internazionale guidata dal mondo occidentale, credo ora abbia aperto di più al mondo arabo musulmano.

    D. – Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, all'indomani della Conferenza di Londra ha dichiarato: “Vogliamo partecipare all’impegno per la riconciliazione, la pace, la ricostruzione della Somalia”. La Chiesa può contribuire a questo cammino?

    R. – Certamente la Chiesa può contribuire e ha contribuito. Le parole del Santo Padre in diverse occasioni hanno aiutato la comunità internazionale a tenere desta l’attenzione. La Chiesa poi, attraverso soprattutto la Caritas, ha continuato una grande opera umanitaria e tuttora continuiamo. Ci siamo appena incontrati a Roma, con diverse Caritas, e tra una settimana, dieci giorni di nuovo le Caritas che sono impegnate maggiormente per la Somalia o per i rifugiati somali si incontreranno con me a Nairobi. Questi sono, dunque, dei segni di come la Chiesa continui anche a sostenere la speranza attraverso la propria preghiera, perché di fronte alla difficoltà del compito a volte le persone o le istituzioni potrebbero scoraggiarsi. (ap)

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    Nove anni fa l’inizio del conflitto in Darfur: 400mila i morti fino ad oggi

    ◊   Quella del 26 febbraio del 2003 è comunemente considerata la data di inizio del conflitto in Darfur, che in nove anni ha causato circa 400 mila morti e costretto alla fuga 3 milioni di persone. Tra loro, due milioni vivono ancora nei campi profughi che si trovano per lo più nel territorio del Ciad. Anche coloro che hanno trovato riparo in Italia hanno cercato di prendere iniziative a favore di questa realtà. Ce ne parla Mohamed Abu al-Gasim, rappresentante dei rifugiati del Darfur in Italia, al microfono di Davide Maggiore:

    R. - Qui in Italia abbiamo cercato di realizzare dei progetti per mandare materiale scolastico nei campi che si trovano in Ciad. Abbiamo scelto un campo e all’interno di quel campo ci sono 10 mila bambini, che dal 2007 ad oggi hanno perso cinque anni della loro vita, senza studiare. Per questo abbiamo comprato il materiale e lo abbiamo inviato lì, chiedendo a tante organizzazioni di poter provvedere al trasporto, il cui costo è altissimo.

    D. - Per i rifugiati nei campi profughi cos’altro si può fare?

    R. - In Ciad, il governo sudanese ha fatto degli accordi e si parla di un ritorno volontario: ma in questo momento non esistono i villaggi, non esistono più le loro terre, anche perché queste terre sono occupate da altri. Così tante persone sono tornate nuovamente nei campi profughi.
    D. - Cosa si potrebbe fare per garantire loro un effettivo diritto al ritorno?

    R. - Questo è un lavoro che deve essere svolto anche insieme alla Comunità internazionale. Senza nessun fondo è difficile aiutare i rifugiati a tornare. (mg)

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    Bahrein. Proteste e scontri ad un anno dall'inizio delle rivolte

    ◊   Arresti di dissidenti e proteste represse con lanci di lacrimogeni e granate stordenti. Ad un anno dalle rivolte anti-regime in Baherin, nonostante le promesse di dialogo, non cambia la strategia del governo. Amnesty International - che sta seguendo tutti i Paesi coinvolti nella cosiddetta Primavera Araba sul sito www.amnesty.it - invoca l'abbandono della violenza, giusti processi e l’ingresso nel Paese di giornalisti e organizzazioni internazionali indipendenti. Massimiliano Menichetti ha intervistato il portavoce di
    Amnesty
    International Italia, Riccardo Noury:

    R. - È una situazione ancora molto brutta. Ci sono manifestazioni che vengono represse con molta forza, con un uso abnorme e criminale dei gas lacrimogeni. Continuano le condanne nei confronti degli attivisti, dei bloggers, dei manifestanti pacifici. Inoltre migliaia di persone che sono state licenziate dal lavoro, perché sospettate da parte dell’opposizione, in larga parte non sono state reintegrate.

    D. - Eppure il governo ha sottolineato l’apertura al dialogo ed aveva parlato di riforme...

    R. - Serve a tenere buone le relazioni internazionali. Il governo del re Khalifa non ha dato seguito alle raccomandazioni della Commissione di inchiesta internazionale che egli stesso aveva istituito, la quale aveva giudicato grave la situazione e aveva proposto una serie di riforme necessarie per migliorare la situazione dei diritti umani.

    D. - Qual è la posizione della comunità internazionale nei confronti del Bahrein?

    R. - Tra le tante cose da rimproverare alla comunità internazionale su come in generale ha agito rispetto alle rivolte arabe, si pensi alla vicenda clamorosa della Siria. Il Bahrein - se possibile - è un caso addirittura peggiore. Il Bahrein è il secondo Paese, nell’ambito delle rivolte arabe, al centro di un intervento militare. In Libia è servito per deporre Gheddafi, in Bahrein è servito per tenere al potere la dinastia di Al Khalifa, parlo dell’intervento di truppe saudite e del Kuwait che c’è stato a marzo del 2011. Immagino vi sia anche il sospetto che, siccome la rivolta è in larga parte portata avanti dalla maggioranza sciita, l’Iran la stia alimentando, cosa che la stessa Commissione di inchiesta internazionale ha giudicato infondata. E quindi è una brutta situazione.

    D. - Ricordiamo i sunniti sono al potere; gli sciiti, di fatto, rappresentano questa minoranza che sta contestando..

    R. - Quella sunnita rimane agganciata al potere, servendosi anche di forze di sicurezza composte da lavoratori migranti provenienti da altri Paesi, obbligati quindi a prendere parte alla repressione. Dall’altra parte, la maggioranza sciita - che non è la sola titolare esclusiva delle manifestazioni, ma certamente la parte più importante - vede un fenomeno che rende il Bahrein abbastanza particolare nel contesto delle rivolte arabe: c’è una grande partecipazione di categorie professionali, penso agli operatori sanitari, agli insegnanti, una forte presenza femminile. E tutto questo rende quella del Bahrein una rivolta veramente trasversale e popolare.

    D. - Una leva per tutelare i diritti umani nel Bahrein potrebbe essere quella di non escludere il Paese dal circuito mondiale della Formula uno?

    R. - Amnesty non sostiene il boicottaggio, ma certamente se questa discussione può servire ad attirare l’attenzione su questo Stato-isola dimenticato ben venga. La pressione deve essere fatta dai governi della comunità internazionale. Bisogna chiedere che siano annullate tutte le restrizioni all’ingresso del Paese per i giornalisti stranieri e per le organizzazioni per i diritti umani, chiedere il rilascio o un processo davanti ad un tribunale civile di tutti coloro che sono stati condannati da tribunali militari nei mesi precedenti. E questo serve perché, già nelle ultime settimane, alcuni attivisti per i diritti umani sono stati scarcerati. Ultima cosa: i Paesi maggiormente responsabili per l’invio di gas lacrimogeno - il Brasile in particolare, dove la cosa ha fatto scoppiare uno scandalo, ma anche gli Stati Uniti - dovrebbero interrompere la fornitura di questi strumenti. (bi)

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    Primavera araba: la fine del Novecento in Medio Oriente

    ◊   “Medio Oriente - Una storia dal 1918 al 1991”. È l’ultimo libro di Marcella Emiliani, mediorientalista e giornalista, già docente di Storia e Istituzioni del Medio Oriente all'Università di Bologna-Forlì. Il volume, appena pubblicato da Editori Laterza, ripercorre le tappe fondamentali del confronto dei Paesi arabi con il cosiddetto Occidente, dai tentativi riformistici dell'Impero ottomano alla fine dell'Ottocento al moltiplicarsi dei conflitti nel Novecento, con un inevitabile riferimento alla recentissima Primavera araba. “Il Novecento in Medio Oriente - si legge nell’introduzione - è finito il 17 dicembre 2010 in un piccolo comune della Tunisia, Sidi Bouzid, dove Mohamed Bouazizi, un giovane ambulante di frutta e verdura, si è ucciso cospargendosi di benzina e dandosi fuoco”: è l’inizio della Primavera araba, le cui rivolte messe in moto hanno portato “ad un punto di non ritorno le contraddizioni della modernizzazione in Medio Oriente”. Al microfono di Giada Aquilino, ce ne parla l’autrice, Marcella Emiliani:

    R. – Allo stato attuale delle cose, è sostanzialmente una serie di promesse non mantenute. Non perché le elezioni siano state vinte da partiti come Ennahda, cioè il Partito della rinascita islamica in Tunisia, o dal partito dei Fratelli musulmani in Egitto; quanto perché le poche strutture che erano organizzate hanno finito per riempire lo spazio politico senza lasciare spazio d’espressione ai giovani e a quella società civile che, invece, intendeva esprimersi. Certamente, queste – Ennahda, come pure il partito Giustizia e Libertà che i Fratelli musulmani hanno potuto creare - sono realtà che hanno contatto con la società civile: questo nessuno lo nega. Però, all’interno degli stessi Fratelli musulmani egiziani, c’è stato uno scontro generazionale: tra le vecchie generazioni che insistevano per un compromesso con i militari – come è stato fatto – e i giovani che invece non lo volevano. Ed è qui che adesso le piazze vengono tradite, per quel che riguarda l’Egitto e la Tunisia. Il discorso della Siria, come quello dello Yemen o del Bahrein, è completamente diverso, naturalmente. In Siria, visto che l’attualità è tremenda, diciamo innanzitutto che un esercito - che è stato quello che soprattutto in Egitto ha permesso questa transizione, fino ad ora ‘indolore’, anche se di transizione, poi, si può parlare fino ad un certo punto, perché Mubarak era un militare e i militari sono al potere in Egitto dal 1952 - in grado di addossarsi la responsabilità di abbattere un regime, per cercare di favorirne un altro, non c’è. Certo, parliamo di un regime militarizzato. Ma il potere è nelle mani dei servizi di sicurezza che, a loro volta, sono totalmente controllati dalla famiglia Assad e da una parte della minoranza alawita. La tragedia degli alawiti siriani è veramente una tragedia nella tragedia, perché 11 mesi fa anche loro scendevano in strada a Latakia, che è la loro capitale naturale. Adesso non si sente più parlare di Latakia, perché il regime ha fatto in maniera di separare le comunità e di metterle l’una contro l’altra, ovvero le ha fatte percepire come nemiche. Per esempio i cristiani: i cristiani non sono mai stati ferventi sostenitori di un regime dittatoriale; però la Siria si vantava – per motivi puramente ideologici – di essere l’unico Paese veramente laico del Medio Oriente, facendo vedere e dimostrando tolleranza. Tutto rientrava in quest’ottica di laicismo ‘alla araba’. Ma adesso che c’è questo scontro feroce tra la popolazione e il regime, la popolazione ha identificato nei cristiani dei ‘fiancheggiatori’ del regime. Ma i cristiani non hanno alcuna colpa: hanno fatto parte di un gioco ideologico del regime. E non è solo questo: ci sono anche i curdi, i drusi… Quindi il Paese, che prima veniva vantato di essere una Nazione, oggi è stato scientemente spaccato dal regime che ha messo tutti contro tutti. E a ciò, poi, bisogna aggiungere un altro fattore, che è molto siriano: c’è sempre stato quello che noi chiameremmo un provincialismo molto forte. Classi ed élite di Aleppo con quelle di Damasco si sono sempre capite poco, per non parlare di quelle di Homs. Per cui, la divisione tra comunità è stata aggravata anche dalla divisione tra province, tra tutte le varie realtà locali.

    D. – Nel 1945 – ricorda nel libro – è nata la Lega Araba, che nelle scorse settimane ha inviato una missione di osservatori in Siria, poi fallita. Ora l’Onu parla di “crimini contro l’umanità” commessi appunto in Siria. Che ruolo hanno tali organismi internazionali in questo momento storico?

    R. – I siriani sanno benissimo di avere in mano alcune chiavi della stabilità del Medio Oriente: l’alleanza con l’Iran, innanzitutto, con le navi che sono passate pochi giorni fa per il Canale di Suez per andare a “proteggere” le coste siriane. L’altro fattore importante è la stabilità del Libano. Sappiamo tutti che Siria e Iran hanno ottimi alleati in Amal e in Hezbollah, cioè le due maggiori espressioni della comunità sciita. Ora, se si diffonde a macchia d’olio questo tipo di instabilità, è chiaro che l’Occidente è il primo ad essere preoccupato, come lo sono le petro-monarchie del Golfo. Dietro alla mossa della Lega Araba di andare a prendere contatti, di organizzare una missione, c’è un’articolata regia dell’Arabia Saudita che sta tentando in tutte le maniere di favorire una transizione pacifica. Cioè: a Bashar al Assad viene garantita una sorta di impunità, purché se ne vada e si indicono poi libere elezioni. Il problema è che, nella realtà, questa via pacifica si allontana sempre più. L’Arabia Saudita, però, tiene la situazione monitorata perché teme l’atomica iraniana, teme naturalmente un colpo di mano di Israele contro i reattori nucleari iraniani, cerca di impedire che la Siria diventi la miccia di una destabilizzazione che, a quel punto, vista ancora l’eco della Primavera araba, potrebbe veramente incendiare il Medio Oriente. Ma questa volta in maniera davvero drammatica. Quindi, è l’importanza strategica della Siria che fa capire perché ci sia questa impotenza a livello internazionale. E poi, c’è un fattore in più: c’è un ritorno di ruolo da parte della Russia. La Russia ha in Siria l’unico porto sul Mediterraneo, che è il porto di Tartus. La Russia, per ora, sta bloccando i lavori al Consiglio di Sicurezza non per vecchi giochi da Guerra Fredda, quanto piuttosto perché sta negoziando il proprio ruolo per il “dopo”.

    D. – Lei ha citato i tanti conflitti che ci sono, purtroppo, nell’area mediorientale: il conflitto israelo-palestinese dove va?

    R. – L’attuale governo, quello di Benjamin Netanyahu, non è disponibile a riprendere il dialogo: è più che evidente. Non intende sospendere la colonizzazione dei Territori, che è l’unica condizione che il presidente dell’Autonomia nazionale palestinese, Abu Mazen, ha posto per potersi ritrovare al tavolo dei negoziati. Da considerare c’è anche il particolare momento della politica internazionale: mi riferisco al fatto che tutti cercano di approfittare del periodo elettorale delle elezioni americane. In questo momento, Obama ha le mani legate: questo mi sembra evidente. Un’avventura in Medio Oriente dopo che sta facendo salti mortali per rimpatriare i restanti militari – l’ha già fatto dall’Iraq; entro il 2014 deve ritirare quelli dell’Afghanistan – non sarebbe certo ben vista in un momento economico così difficile come questo per gli Stati Uniti. E tutti ne approfittano: la comunità europea, come sappiamo, ha anch’essa i suoi problemi dal punto di vista economico e comunque non ha mai messo in campo una forza militare. Gli unici che l’hanno fatto sono stati gli Stati Uniti. In secondo luogo, c’è un ritorno ad una politica di potenze in Medio Oriente da parte della Russia, negli ultimi dieci anni: diciamo che gli Stati Uniti hanno sempre potuto contare su un’approvazione – tacita o non – della Russia, soprattutto in un quadrante così strategico come il Medio Oriente. Oggi, le cose sono molto più difficili e lo si è visto per quanto riguarda la Siria.

    D. – Uno degli attori principali di questa storia del Medio Oriente è il petrolio. Oggi che ruolo gioca?

    R. – Con l’irruzione, dal punto di vista della domanda petrolifera, di due giganti come l’India e la Cina diciamo che gli strumenti che l’Occidente ha per contenere alcuni Paesi produttori di petrolio – parlo dell’Iran, in buona sostanza – si sono un po’ spuntati. Strumenti che, fino a che il maggior consumatore di petrolio era l’Occidente, si potevano usare; oggi, molto meno. Cioè, se anche l’Occidente non compra petrolio iraniano, la Cina è disponibilissima: offre collaborazione in cambio di materie prime e non sta a sindacare sul tipo di regimi che sono in atto. Quindi, diciamo che da questo punto di vista l’arma petrolifera non è così potente come lo era fino a dieci anni fa. Per il resto, il petrolio sarà comunque, sempre, un motivo di scontro. (gf)

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    Al via in Congo un tribunale per i diritti dei minori, la testimonianza di un missionario guanelliano

    ◊   A Kinshasa è attivo da qualche mese, il “tribunale dei minori”, una piccola ma importante conquista per la società congolese. Il tribunale cerca, infatti, di contrastare il fenomeno della stregoneria e del maltrattamento dei bambini che vengono spesso allontanati dalle famiglie con l'accusa di essere stregoni. Per un commento sull’importanza di questo tribunale, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente a Kinshasa il missionario guanelliano, fratel Mauro Cecchinato, responsabile dei centri di recupero dei ragazzi di strada dei Servi della Carità:

    R. – Finalmente, il primo gennaio 2009 il governo congolese ha varato la legge sui minori. E’ stato un passo importante. Questa legge ha permesso alle organizzazioni, soprattutto a quelle che si occupano dei bambini di strada, di sensibilizzare il governo perché mettesse in pratica questa legge. Ci sono voluti due anni, ed ora le organizzazioni umanitarie sono riuscite ad ottenere – appunto – l’attivazione di questo tribunale dei minori che attualmente è attivo nella capitale Kinshasa e in alcune grandi città della nazione congolese.

    D. – Quali sono le principali difficoltà, i problemi per i minori, in particolare i ragazzi di strada del Congo?

    R. – I maggiori problemi sono chiaramente quelli legati agli atti di violenza che vengono perpetrati su questi ragazzi e soprattutto che vengono perpetrati da parte di sette che si sono sviluppate in maniera inverosimile su tutto il territorio congolese, in particolare nella capitale Kinshasa. Sono molte e sono un po’ le fautrici del problema della “stregoneria” …

    D. – La povertà, l’ignoranza e – appunto – il fenomeno della stregoneria, il maltrattamento, le violenze che questi ragazzi subiscono … Cosa fanno i guanelliani per portare sollievo, amore e sostegno ai minori del Congo e di Kinshasa in particolare?

    R. – Sicuramente, l’accoglienza dei ragazzi: il primo lavoro che facciamo è l’educazione sulla strada per cercare di rianimare un po’ questo cuore, portarlo sulla strada giusta, questo cuore che è capace di incontrare i ragazzi per far sì che in qualche modo si sentano capiti e compresi nella loro emarginazione, nella loro stigmatizzazione. Un ragazzo considerato “sorcier”, stregone, in effetti, è un ragazzo comunque stigmatizzato dalla società locale. Per cui, il primo nostro lavoro è sicuramente incontrare questi ragazzi, cercare di orientare questi ragazzi verso i nostri centri di accoglienza dove iniziamo a fare un lavoro di ascolto per cercare di comprendere che cosa realmente sia accaduto all’interno del nucleo familiare, come mai si sono ritrovati sulla strada, e seguire due percorsi: da una parte, il cammino di recupero e dall’altra un percorso per ricominciare a riannodare con la famiglia alcuni legami che si sono in qualche modo interrotti. Questo è il grande lavoro di mediazione che compiono alcuni nostri educatori e assistenti sociali: ricontattare le famiglie, cercare una mediazione con le famiglie e una volta instaurato un clima pacifico, di collaborazione, cercare di riportare il ragazzo in famiglia. (gf)

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    Oggi la Marcia della Penitenza nella diocesi di Locri Gerace

    ◊   Nella prima domenica di Quaresima la diocesi di Locri Gerace propone ai giovani la decima Marcia della Penitenza che, all’insegna dello slogan “Amate la pace.. amate il bene comune”, promuove una riflessione sul ruolo dei cattolici in una società funestata dalla criminalità organizzata e sul rapporto tra fede e vita. Massimo Pittarello ha chiesto al vescovo, mons. Giuseppe Fiorini Morosini, le ragioni dell’importanza di tale riflessione:

    R. – Il cattolico deve riscoprire l’importanza della coerenza tra fede e vita e il gravissimo problema che, in Italia, oggi viviamo: non a caso tra le motivazioni che il Papa ha dato all’Anno della fede c’è proprio quella di richiamare i cristiani a questa coerenza tra fede e vita. Per noi, qui al sud d’Italia, è un problema molto sentito, molto forte perché, dinanzi a manifestazioni religiose che sono abbastanza numerose, come riscontro abbiamo un tasso di illegalità molto elevato. Quindi, si comprende bene che quel Vangelo, che dovrebbe essere alla base delle manifestazioni religiose, in realtà poi non è alla base delle scelte di vita. Avere cristiani veramente impegnati nella vita di ogni giorno: è chiaro che questo sarà di forte richiamo per tutte le persone che si porranno poi degli interrogativi.

    D. – In un momento di crisi economica, la disoccupazione e la precarietà creano terreno fertile per la ‘ndrangheta?

    R. – Il problema della disoccupazione, qui, è uno dei gravi problemi la cui soluzione sarebbe veramente l’azione antimafia, perché la mafia non si combatte con la polizia, o solo con la polizia, né tantomeno solo con le manifestazioni di piazza. L’antimafia, la guerra alla ‘ndrangheta la si conduce in porto se funziona l’aspetto educativo, se il giovane ha speranza di trovare lavoro nella propria realtà, se ci sono strutture sociali capaci di far crescere i giovani. Ed è in questo contesto che si può sviluppare una vera azione contro la ‘ndrangheta. E’ chiaro che quando mancano queste strutture, quando mancano questi aiuti, quando i giovani per realizzarsi devono andar fuori – ecco l’emigrazione che ancora continua, soprattutto l’emigrazione dei cervelli – è chiaro che, se non sono disposti a fare questo salto e vogliono rimanere nella terra, l’allettamento del denaro facile è una tentazione. (gf)

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    Le biotecnologie al servizio dell’uomo. Concluso il convegno di “Famiglia domani”

    ◊   Capire come mettere le nuove biotecnologie al servizio dell’uomo, nel rispetto della sua dignità, evitando manipolazione al limite dei confini etici. Questo il filo conduttore del convegno organizzato dall’associazione “Famiglia domani”, che si è concluso questa mattina a Roma sul tema “Ai confini dell’umano. La persona umana nell’epoca della rivoluzione biotecnologica”. L’incontro, iniziato ieri, ha visto confrontarsi relatori internazionali provenienti dal mondo della cultura e della medicina. Il servizio di Marina Tomarro:

    Rispettare e tutelare la vita nascente, dare una mano a quella che invece volge al termine nella sopportazione della sofferenza, utilizzando le biotecnologie per portare un aiuto concreto ma senza l’utilizzo di tecniche che vadano a ledere la dignità della persona. Questi gli obiettivi del convegno “Ai confini dell’umano. La persona umana nell’epoca della rivoluzione biotecnologica”. Virginia Coda Nunziante tra gli organizzatori dell’incontro:

    “Il tema, a nostro avviso, è particolarmente importante e davvero attuale oggi, perché effettivamente il progresso biotecnologico va avanti molto rapidamente. La scienza sta evolvendo, gli uomini di scienza fanno nuove scoperte in tutti i campi e questo è molto, molto importante. C’è, però, un principio che va sempre rispettato: i valori non negoziabili del rispetto della vita umana. Oggigiorno si parla principalmente del tema della vita nascente, che per noi è fondamentale, per quella difesa dell’embrione fin dal primissimo concepimento; l’altro tema particolarmente importante è il tema della fine vita: il rispetto della vita umana negli ultimi momenti. Sono tematiche molto attuali, per cui bisogna studiarle, approfondirle e dare una risposta precisa”.

    E al convegno era presente anche il cardinale Leo Raymond Burke. Ascoltiamo il suo commento:

    “Quello che dobbiamo combattere oggi è la perdita del senso di Dio, come Creatore del mondo. Abbiamo perso questo senso e ci siamo invece convinti che possiamo fare sempre qualcosa per rimediare, senza rispetto per l’essere umano. Facciamo delle cose veramente distruttive. Infatti, la persona che soffre manifesta con più splendore la dignità umana. Questo per il mondo è difficile da capire, ma siamo fatti per perdonarci in amore come Cristo ci insegna e come Lui manifesta con la sua vita. E così dobbiamo capire l’essere umano che soffre”. (ap)

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    Lo sterminio nazista dei disabili in una mostra a Roma

    ◊   La tragedia delle pratiche di uccisione condotte dai nazisti sulle persone con disabilità, gli esperimenti medici effettuati sui bambini e infine il dopoguerra con il processo di Norimberga ai medici del Terzo Reich. Sono i temi della mostra“In Memoriam Aktion T4”, alla Casa della Memoria e della Storia di Roma. Attraverso documenti e fotografie, l’esposizione racconta questa parentesi, spesso dimenticata, della politica di sterminio nazista. Ma che cos’era la ‘Aktion T4’? Irene Pugliese ne ha parlato con Silvia Cutrera, presidente della onlus “Agenzia della vita indipendente”, tra i curatori della mostra:

    R. - L’azione si sviluppò con una lettera nel 1939; una lettera scritta da Hitler, con la quale veniva data un’indicazione di praticare una morte pietosa nei confronti delle persone considerate incurabili. In realtà era una forma di “eutanasia camuffata”, nel senso che si trattava in realtà di vero e proprio omicidio. Riguardò poi successivamente le persone che erano ricoverate soprattutto negli istituti psichiatrici. Fu una vera azione di eliminazione: in quel periodo, furono uccise all’incirca 70 mila persone.

    D. - Questa è una terribile parentesi dello sterminio nazista, ma poco conosciuta…

    R. - Non aver approfondito, fin dall’inizio, le origini di questa messa a morte nei confronti di altri gruppi di persone ha rappresentato una lacuna da parte di chi ha fatto storia …

    D. - Anche perché si può dire che l’‘Aktion T4’ abbia rappresentato in scala ridotta “la prova generale” per la messa a punto dell’Olocausto …

    R. - Sì, perché chi avrà l’opportunità di visitare la mostra, seguirà pannello dopo pannello proprio la stessa identica metodica che poi fu applicata nella soluzione finale: c’è un primo censimento, seguito da un’analisi di questi questionari ad opera di funzionari che selezionavano le persone che poi venivano trasportate in questi centri di uccisione. Quindi ritroviamo la stessa identica procedura burocratica, formale, industriale, tipica della modernità di quel tempo, che poi verrà applicata con il popolo ebraico.

    D. - Nel processo di Norimberga successivo alla guerra, invece, questi medici come furono puniti per tale azione?

    R. - Al processo di Norimberga, l’appendice che riguardò i medici nazisti in realtà si limitò ad addossare loro alcune responsabilità. Per gli altri responsabili di questa ‘Aktion T4’ - tra l’altro successivamente, dopo il 1941 - che viene definita “eutanasia selvaggia”, le pene che vennero comminate furono ridotte rispetto alle responsabilità. Alcuni medici continuarono a lavorare negli ospedali tedeschi oppure in Austria, a Vienna ad esempio. (bi)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Afghanistan: Karzai invoca la calma, dopo le proteste in risposta al rogo del Corano

    ◊   Nuovo appello al dialogo e alla calma dal presidente afghano Hamid Karzai nel sesto giorno di proteste antioccidentali esplose dopo la distruzione delle copie del Corano nella base Usa di Bagram e costate la vita ad oltre 30 persone. “Ora è il momento di tornare alla calma, per non consentire ai nemici della pace e della stabilità di sfruttare la situazione e danneggiare le proprietà pubbliche e private”, ha detto il leader afghano in un discorso alla TV di Stato. Il presidente statunitense Barack Obama - informa una nota della Casa Bianca - ha espresso apprezzamento per le parole di Karzai e ribadito l’impegno degli Stati Uniti nella partnership con il governo e con il popolo afghano. Quindi Obama ha ringraziato il generale delle forze Isaf a Kabul, John Allen, per tutte le misure di sicurezza prese per proteggere i militari e i civili. Ieri sera i talebani hanno rivendicato l’uccisione di due consiglieri americani avvenuta presso il ministero dell’Interno di Kabul preso d’assalto dai manifestanti. Principale sospettato del duplice omicidio è però un poliziotto che lavorava per i servizi di intelligence nella stessa sede, attualmente ricercato. Dura la condanna della Nato che ha richiamato il personale in servizio nei dicasteri della capitale, stessa cosa per la Gran Bretagna, che ha deciso di ritirare i suoi funzionari dalle istituzioni governative afghane. Nel pomeriggio l'esplosione di una granata su un altra base Nato nella provincia di Kunduz ha provocato il ferimento di 7 soldati americani. Un appello a rispettare i sentimenti religiosi per riconquistare il cuore degli afghani arriva da padre Stanley Fernandes, direttore del "Jesuit Refugee Service" dell'Asia del Sud, che ha chiesto l'impegno delle forze occidentali e degli operatori internazionali a lavorare per la pace. (C.S.)

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    Proteste anti-Putin a Mosca. Imponenti le misure di sicurezza

    ◊   Si sta svolgendo a Mosca la quarta grande manifestazione di piazza contro il premier russo Vladimir Putin, ad una settimana dalle presidenziali che lo vedono super favorito. Gli organizzatori puntano a radunare 34 mila persone che si riuniranno fino a formare una catena umana di 15 Km, lungo i giardini che circondano la capitale. Imponenti le misure di sicurezza. La polizia ha transennato e blindato anche con le truppe antisommossa piazza della Rivoluzione, a due passi dal Cremlino.

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    Parigi: Conferenze di Quaresima su solidarietà e speranza

    ◊   Si parte oggi, con una conferenza del neo arcivescovo di Milano cardinale Angelo Scola e si chiude domenica 1° aprile (domenica delle Palme) con una relazione di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio ed attuale ministro del governo italiano. Programma intenso anche quest’anno quello messo a punto dall’arcidiocesi di Parigi per le “Conferenze di Quaresima” che dal 1835 si svolgono tutte le domeniche del periodo quaresimale nella cattedrale parigina di Notre-Dame e rappresentano per la città e la Francia un “punto di riferimento per la riflessione cristiana sull’attualità delle fede”. “Nell’anno in cui la Chiesa cattolica di Parigi - si legge in un comunicato dell’arcidiocesi - sta riflettendo sui fondamenti etici della solidarietà, ci si domanda come aprire cammini di speranza in un momento di crisi che spinge a guardare il futuro con ansia e demotivazione”. Le conferenze - riferisce l'agenzia Sir - mirano quindi a verificare percorsi di riflessione e azione condivisi. Saranno animate sempre a due voci, dando vita ad un confronto tra un rappresentante della “coscienza cristiana” e un rappresentante “di altre esperienze”. Al cardinale italiano Angelo Scola, è affidato il tema “Etica cristiana e vita nel sociale”. Si parlerà poi di modelli di sviluppo, di finanza etica, di immigrazione e di povertà. Ad Andrea Riccardi il compito di chiudere il ciclo delle conferenze sulla “Solidarietà: realismo e spirito”. (R.P.)

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    Usa: educatori gesuiti da tutto il mondo a convegno a Denver

    ◊   Un centinaio di esperti ed educatori gesuiti da tutto il mondo si ritroveranno dal 5 all’8 marzo prossimo alla Regis University di Denver, in Colorado, per discutere il futuro del “Jesuit Commons – Higher Education at the Margins” (Educazione superiore ai margini” - Jc-Hem,). Si tratta di una nuova iniziativa di educazione superiore a distanza rivolta ai rifugiati lanciata due anni fa dal Servizio Gesuita per i Rifugiati (Jrs) in collaborazione con 13 atenei gesuiti, tra i quali appunto la Regis University. Ispirato a una positiva esperienza realizzata dall’Università cattolica dell’Australia a favore dei rifugiati birmani, il progetto del Jc-Hem prevede corsi superiori a distanza basati sull'utilizzo del computer e di Internet. I corsi sinora avviati hanno coinvolto i rifugiati di tre campi in Kenya (Kakuma) Malawi (Dzaleka) e Siria (Aleppo). L’idea è di mettere a disposizione dei rifugiati la straordinaria rete di servizi sociali ed educativi della Compagnia di Gesù presenti in più di 100 Paesi nel mondo. La conferenza alla Regis University servirà essenzialmente a fare il punto su quanto realizzato e a studiare nuovi progetti. Alla quattro-giorni parteciperanno delegati dal Jrs, da numerosi istituti gesuiti americani di educazione superiore, dalla Pontificia Università Gregoriana a Roma e da altri istituti gesuiti dei cinque continenti. Tra i relatori: padre Michael Garanzini, presidente della Loyola University di Chicago e segretario della rete dell’Educazione superiore della Compagnia di Gesù; il presidente del Jesuit Commons Chris Lowney e la direttrice internazionale della rete, prof.ssa Mary McFarland, docente presso la Gonzaga University di Spokane; il direttore del Jrs padre Peter Balleis; padre Gregory Lucey, presidente dell’Associazione delle Università Cattoliche Gesuite (Ajcu). Interverrà inoltre anche Vincent Cochetel, rappresentante regionale dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). Modererà lo scrittore Paul Nakai. (L.Z.)

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    Missione Metropoli: a Barcellona lettura pubblica del Vangelo di Marco

    ◊   Nell’ambito di “Missione Metropoli”, progetto voluto da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, domenica 4 marzo si terrà a Barcellona, presso il Palau de la Musica Catalana (ore 18) una lettura pubblica del Vangelo secondo San Marco da parte di personalità della cultura, dei media e dello sport, intervallata da intermezzi musicali. “Celebreremo questo evento - spiega il cardinale arcivescovo Lluís Martínez Sistach rivolgendosi in un messaggio a sacerdoti, diaconi, religiosi, laici e laiche, membri del Consiglio pastorale diocesano e dei consigli parrocchiali, alle scuole cristiane, agli insegnanti di religione, animatori di movimenti e associazioni - insieme con undici altre grandi città europee nell’ambito della ‘Missione Metropoli’ in questa Quaresima, come espressione della nuova evangelizzazione. Allo stesso modo - prosegue il porporato ripreso dall'agenzia Sir - nello spirito evangelizzatore del nostro Piano pastorale, vogliamo che la Parola di Dio venga divulgata. Per questo abbiamo pubblicato il Vangelo di San Marco in edizione catalana e in edizione castigliana” al fine di raggiungere persone che “possono aver lasciato la pratica religiosa, si sentono lontane dalla Chiesa o che non credono”. (R.P.)

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    Vietnam: Quaresima nel segno della preghiera e protezione della vita

    ◊   Il futuro della missione in Vietnam è la protezione della vita umana, sin dal suo concepimento, e la promozione di attività e iniziative che aiutino le fasce più deboli della popolazione, fra cui poveri e bambini. Con questo proposito i cattolici si apprestano a vivere il periodo di Quaresima, in preparazione alla Pasqua di risurrezione, alternando momenti di preghiera e di incontro a opere concrete nel settore del sociale. Nella sua lettera pastorale per questo periodo, il cardinale Jean-Baptiste Phạm Minh Mẫn sottolinea che "è un tempo propizio per rinnovare la fede, come singoli individui che a livello di comunità". E aggiunge: il vero cambiamento arriva con "l'ascolto della parola di Dio, la preghiera e la pratica dei suoi insegnamenti". Interpellato dall'agenzia AsiaNews padre Vincent Phạm Trung Thành, superiore provinciale dei Redentoristi di Saigon, parla del periodo di "digiuno e preghiera" cristiano, invitando i fedeli a promuovere "attività nel campo del sociale", mettendosi al servizio di "poveri e bambini sfortunati che vivono attorno a noi". In preparazione alla Quaresima, la settimana scorsa l'arcidiocesi di Ho Chi Minh City ha organizzato una serie di visite nei centri medici e sociali di assistenza al malato, cui ha partecipato anche il congolese mons. Jean Marie Mupendawatu, segretario del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari. Nei vari incontri con medici, infermiere, lavoratori e volontari egli ha ricordato che "in passato i cattolici vietnamiti sono morti per la loro fede e sono diventati martiri"; oggi e in futuro, aggiunge mons. Mupendawatu, i cattolici del Vietnam "devono essere pronti a morire per proteggere la vita. Questo è il nuovo campo missionario, voce del Vangelo ed evangelizzazione della società moderna". (R.P.)

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    Hong Kong: in Quaresima opere di carità per i più deboli

    ◊   Compiere le opere di carità e dare la massima attenzione alle fasce deboli: è l’invito quaresimale rivolto ai fedeli di Hong Kong da parte del Comitato organizzativo della Campagna di Quaresima della Chiesa cattolica di Hong Kong. Secondo quanto riferisce Kong Ko Bao (il bollettino diocesano in versione cinese ripreso dall'agenzia Fides), una novantina di insegnanti delle scuole cattoliche, insegnanti di religione e operatori pastorali, hanno assistito alla presentazione della Campagna che è stata presieduta da don J. B. Tsang, presidente del Comitato Organizzativo della Campagna, il quale ha citato il Messaggio del Papa per la Quaresima 2012 intitolato "Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone" (Eb 10, 24), invitando i fedeli ad approfondire la fede e ad esercitare la carità. Don Tsang, in qualità di presidente del Comitato Organizzativo, il 28 gennaio aveva già inviato una lettera sull’argomento ai parroci, ai superiori degli istituti missionari, ai presidi delle scuole cattoliche, ai presidenti dei Consigli parrocchiali, ai responsabili delle commissioni e organizzazioni diocesane e delle associazioni cattoliche dei laici. Nella lettera ha presentato il programma della diocesi per la Quaresima 2012 e comunicato alcune date significative: “dall’8 febbraio il Comitato comincia a distribuire il messaggio, il materiale, i poster per la Quaresima nelle scuole, nelle parrocchie e negli enti cattolici”; “è stato pubblicato il Cd ‘Agnello Pasquale’ per la formazione quaresimale dei bambini”; “la Caritas comincerà le visite ai bisognosi offrendo pasti gratuiti”; “il 19 maggio si terrà l’incontro di premiazione della Campagna di Quaresima 2012”. (R.P.)

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    Giordania: nuovo Centro cattolico Studi e Media del vicariato latino di Amman

    ◊   Il Ministero della Cultura giordano ha accolto la richiesta del vicariato Latino di Amman di modificare il nome della "House of Research and Studies" (Centro Ricerche e studi) in "Catholic Centre for Studies and Media" (Centro cattolico Studi e Media) accettando altresì la nomina di padre Rifat Bader, attuale portavoce della Chiesa cattolica in Giordania, quale suo direttore. Il nuovo Centro sarà inaugurato ufficialmente il prossimo mese di marzo dal Patriarca Latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal. La modifica del nome, spiega padre Bader, riflette la nuova missione del Centro che vuole diventare un punto di riferimento per le Chiese in Giordania, ma anche per i media locali, arabi e internazionali attraverso pubblicazioni, ricerche e conferenze. In particolare esso avrà il compito di organizzare incontri di studio tesi ad evidenziare il ruolo della religione nella promozione della pace, della concordia, del senso civico e della convivenza tra persone di diverse fedi e parteciperà attivamente ai diversi forum di riflessione promossi su questo argomento a livello locale e internazionale. "Il centro - ha precisato padre Bader - si occuperà anche della supervisione della sezione giordana di Noursat, il primo e unico canale satellitare cristiano del Libano, attivamente impegnato nella promozione del dialogo tra cristiani e musulmani in Medio Oriente e nel mondo". (L.Z.)

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    Terra Santa: nuova edizione della Bibbia in arabo

    ◊   “Una risposta concreta all‘appello della Chiesa Cattolica, che ha invitato l‘intera comunità dei fedeli a riscoprire le radici della fede cristiana”: così la Franciscan Printing Press (Fpp), Stamperia francescana a Gerusalemme, definisce la nuova edizione della Bibbia in lingua araba, recentemente stampata in due versioni una comprensiva dell‘Antico e del Nuovo Testamento e l‘altra contenente solo il Nuovo Testamento. La Custodia di Terra Santa - riferisce l'agenzia Sir - ha voluto acquistare la traduzione in arabo della Bibbia realizzata dai Gesuiti dell’università di St. Joseph di Beirut e provvedere alla stampa attraverso la Fpp che, al momento della sua apertura più di 150 anni fa, cominciò la sua attività tipografica proprio con la stampa della Bibbia in lingua araba. La Custodia ha voluto donare ad ogni parrocchia di Terra Santa due copie di questa riedizione della Bibbia e di dieci copie del Nuovo Testamento, accompagnando il dono con l‘augurio ai parroci di proseguire nella loro opera pastorale. “La lettura e la conoscenza della Bibbia - si legge sul sito della Custodia di Terra santa - sono imprescindibili per la costruzione dell‘identità cristiana e per l‘adesione al progetto di Dio. E per chi vive ed opera in Terra Santa il rapporto con la Bibbia è arricchito di un‘esperienza particolare, di un contatto diretto con il contesto umano, geografico, sociale e culturale in cui Gesù è vissuto”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 57

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.